Speciale Storica n°16 - Grandi Pontefici

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SPECIALE

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storica national geographic

GRANDI PONTEFICI Condottieri, santi, peccatori

GRANDI PONTEFICI S P E CIALE

condottieri, santi, peccatori: i papi che hanno trasformato la storia dell'occidente sotto l'aspetto politico, culturale e spirituale


erich lessing / album

san pietro Con CaMpaniLi iMMaGinari Il dipinto di Viviano Codazzi raffigura un aspetto immaginario di piazza san Pietro nel 1630, dato che i due campanili del Maderno, ben visibili nell’opera, non furono più realizzati. L’intera piazza (e parte della Basilica) saranno poi l’oggetto degli interventi di ristrutturazione di Gian Lorenzo Bernini. Museo del Prado, Madrid.


grandi pontefici


il colonnato del bernini Per progettare il colonnato che abbraccia piazza san Pietro Gian Lorenzo Bernini impiegò circa undici anni. Le colonne sono in stile dorico e il Bernini ricorse all’espediente di aumentare gradualmente il diametro delle colonne, riuscendo così a mantenere invariate le relazioni proporzionali tra gli spazi e le colonne anche nelle file esterne.

Condottieri, santi e peccatori: i più grandi pontefici della cristianità, da Leone I Magno a Pio IX, che hanno attraversato la storia lasciando un segno profondo e tangibile.

10 Leone Magno Fu la prima, autorevole guida della giovane Chiesa di Roma ad ammantarsi di leggenda, capace di fronteggiare eresie e barbari.

22 Gregorio Magno Intellettuale di ampio respiro, fu un saggio pastore di anime e un abile mediatore politico, segnando una cesura tra antichità e Medioevo.

36 Il papa “mago” Silvestro II, al secolo Gerberto d’Aurillac, divenne papa nel 999. Ma dopo la morte fu accusato di avere stretto un patto con il diavolo.

42 Gregorio VII Asceso al soglio pontificio nel 1007, affermò la superiorità del papato su ogni autorità terrena, e la piena indipendenza dall’imperatore.

54 Bonifacio VIII Abile politico e strenuo sostenitore dell’egemonia del pontefice, la sua figura campeggia sullo sfondo di un’epoca di grandi contrasti.

66 La Chiesa in esilio 4 storica national geographic

Per quasi settant’anni, la Santa Sede rimase nella città di Avignone, dove i pontefici allestirono una delle corti più brillanti del Medioevo.


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76 Benedetto XIII, l’antipapa scismatico Lo spagnolo Pedro de Luna fu il secondo antipapa della storia. Con il suo pontificato si consolidò lo Scisma d’Occidente.

82 Alessandro VI e i Borgia Nel 1492 un cardinale spagnolo veniva eletto papa con il nome di Alessandro VI. Diventerà il simbolo della corruzione della Chiesa.

98 Giulio II, il papa guerriero Più principe rinascimentale che uomo di Chiesa, antepose alla missione spirituale la lotta per liberare l’Italia dal dominio straniero.

110 Leone X Cercò di inaugurare a Roma una nuova età dell’oro, ma in molti criticarono gli sprechi e le corruzioni del suo pontificato.

120 Clemente VII contro Carlo V

sIsto IV noMIna IL CardInaLe PLatIna Prefetto deLLa BIBLIoteCa VatICana. affresCo (1477) dI MeLozzo da forLì. PInaCoteCa VatICana, CIttà deL VatICano. Foto: erich lessing / album.

La volontà dell’imperatore di dominare sull’intera Penisola italiana culminò nel 1527 con l’aggressione allo Stato Pontificio.

128 Controriforma Con il Concilio di Trento, la Chiesa avviò una fase di profonda rigenerazione morale e spirituale.

146 Pio IX Dopo i moti del 1848, virò verso politiche conservatrici, volte alla difesa intransigente del potere temporale e spirituale del papato.

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GiUlio ii e MicHelanGelo Papa Giulio II commissionò a Michelangelo il proprio monumento funebre (che verrà realizzato in misura molto ridotta dopo infinite traversie) e gli affreschi della volta della Cappella Sistina. Dipinto di Anastasio Fontebuoni (1571-1626). Casa Buonarroti, Firenze.


LO SPIRITO E IL POTERE

L’

inizio dello Stato della Chiesa si fa coincidere, convenzionalmente, con la Donazione di Sutri, quando il re longobardo Liutprando, nel 728, donò i castelli di Sutri e di altre città laziali, conquistate ai Bizantini, alla “Cattedra di Cristo”, cioè al pontefice Gregorio II. Il suo successore, Gregorio III, chiamò questi primi possedimenti respublica beati Petri, sancendone il carattere di entità politica autonoma dotata di un suo territorio e di un suo governo. Ma, nel corso dei secoli, l’effettiva estensione territoriale dello Stato Pontificio fu comunque poca cosa rispetto allo sterminato potere temporale che la Chiesa si attribuì pochi decenni dopo attraverso la cosiddetta Donazione di Costantino, un falso documento redatto a quel tempo, in cui l’imperatore Costantino nel 313 avrebbe concesso al papa Silvestro I il potere temporale su Roma e l’intero Impero Romano d’Occidente (la falsità del documento fu poi dimostrata nel Quattrocento dal filologo Lorenzo Valla, ma era troppo tardi). Ebbero così inizio 11 secoli di storia nei quali la Chiesa di Roma divenne di volta in volta combattente per la difesa della fede e dell’ortodossia cristiane, contro le ondate eretiche, gli scismi, la Riforma luterana, la corruzione e il potere delle sue sedi territoriali, e combattente in senso molto più materiale contro il Sacro Romano Impero, i sovrani europei che per tutto questo periodo di tempo occuparono la nostra Penisola a diverse ondate ma senza soluzione di continuità, i regni musulmani (dalle Crociate alla battaglia di Lepanto nel 1571). Di questa mobilitazione senza sosta di spirito e materia durata oltre un millennio, fino alla Breccia di Porta Pia nel 1870, sono stati protagonisti pontefici santi, pontefici peccatori, pontefici guerrieri, pontefici letterati e mecenati, che hanno inciso profondamente sulla storia, la cultura, l’arte e il volto stesso dell’Occidente. Giorgio Rivieccio


otto werner / age fotostock

castel sant’anGelo Durante il suo pontificato alessandro Vi non solo aggiunse fortificazioni alla struttura originaria, ma anche un’ala residenziale (poi demolita nei secoli successivi) rendendo il castello una reggia dove amava soggiornare.


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leone magno Papa Leone I, che per la sua importanza nella storia della Chiesa è ricordato come Leone Magno, in un dipinto del pittore spagnolo Francisco Herrera (1576-1656). Museo del Prado, Madrid.

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medaglia con il volto di attila Il re degli Unni con le fattezze di un satiro a simboleggiare la sua natura di barbaro. Secondo la leggenda, Leone Magno avrebbe fermato la sua avanzata in Italia. Kunsthistorisches Museum, Vienna.


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Il prImo grande pontIfIcato

leone magno

Fu la prima, autorevole guida della giovane Chiesa di roma ad ammantarsi di leggenda, capace di fronteggiare le eresie del periodo cosĂŹ come le incursioni dei barbari in Italia. La tradizione vuole che sia stato lui a fermare la discesa di attila verso roma JaCoPo MordentI StorICo e SCrIttore


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uella di papa Leone I è una figura sfaccettata, emblematica di quell’epoca cruciale nota come tarda antichità. Molto più che per il suo ruolo di spicco nell’ambito delle controversie teologiche che animarono la Chiesa del V secolo, risulta impresso nell’immaginario collettivo per alcuni episodi

politici, ben presto ammantatisi di leggenda, che lo videro protagonista. Su tutti, l’incontro con Attila, re degli Unni, avvenuto presso il fiume Mincio. Le informazioni relative alla vita di questo papa sono scarse, tratte da un esiguo numero di fonti quali in primo luogo il Liber Pontificalis e il corpus epistolare dello stesso Leone. Non sappiamo con certezza nemmeno quando e dove egli sia nato: al più è ragionevole supporre che la sua nascita sia da collocarsi alla fine del IV secolo, in area toscana.

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Uomo di Chiesa, uomo di Stato

elmo romano rinvenuto nel 1910 a Deurne, nell’odierno Belgio, l’elmo è realizzato i n argento, ferro e oro placcato, e secondo la datazione risale intorno al 320, quando l’impero si avviava al declino.

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A ogni modo fu Roma la città che assurse per Leone a imprescindibile punto di riferimento intellettuale, sia certo in considerazione del suo ruolo di vescovo, sia probabilmente anche in relazione all’educazione di stampo classico che egli dovette ricevere. A tale formazione dovette andare sommandosi una solida competenza in materia ecclesiastica, quando Leone, in un anno imprecisato, entrò a far parte del clero di Roma. Fonti alla mano, durante il papato di Celestino I (422-432) e di Sisto III (432-440) egli si distinse nelle vesti di diacono e successivamente di arcidiacono, per esempio intervenendo nella spinosa disputa teologica fra l’eresiarca Nestorio, patriarca di Costantinopoli, e il patriarca di Alessandria Cirillo: significativamente, le posizioni in materia cristologica espresse in quel frangente da Leone avrebbero trovato conferma nella condanna dell’eresia nestoriana da parte del Concilio di Efeso del 431. Ancora: fu sempre Leone a far propendere il papato per una politica di fermezza nei confronti di un’altra eresia, quella pelagiana,

quando nel 439 papa Sisto III si pronunciò contro la riammissione di Giuliano di Eclano, macchiatosi appunto di pelagianesimo, nella sede episcopale da lui precedentemente occupata presso la città di Avellino. All’autorevolezza dottrinale il futuro papa fu in grado con il tempo di combinare anche riconosciute qualità diplomatiche e politiche, che lo portarono in determinate circostanze a operare nell’orbita non ecclesiastica, bensì imperiale: lo si può dedurre per esempio dal delicato incarico affidatogli nel 440 dall’imperatore romano d’Occidente Valentiniano III, un incarico che prevedeva che egli si recasse in Gallia per porre termine al duro scontro sorto fra il prefetto del pretorio Albino, governatore della regione, e il generale Ezio, comandante militare della provincia.

Le eresie in età tardoantica Papa Sisto III venne a mancare nell’agosto del 440: il clero e il popolo di Roma acclamarono allora come nuovo papa proprio Leone, che venne ordinato vescovo solo a fine settembre, una volta rientrato a Roma. Leone improntò da subito la sua attività pastorale al contrasto delle eresie e, più in generale, di tutti i culti ritenuti dannosi per i fedeli romani e per i cristiani tutti. Già nella tarda antichità il dibattito intorno alle eresie aveva teso a travalicare l’ambito ecclesiastico fino a coinvolgere quello civile e, in senso lato, quello sociale: ecco perché le posizioni espresse in merito da Leone, benché di quando in quando viziate da interpretazioni superficiali delle diverse eresie, rappresentano oggi una preziosa finestra sul V secolo.


giOVanni simeOne / fOtOteca 9x12

le mura aureliane Pur non essendo piÚ capitale dell’Impero (ruolo assunto da ravenna dal 402), roma era ancora un simbolo di potere; da qui il tentativo di attila di conquistarla.


Un pontefIce SQUISIto letterato

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a un punto di vista stREttaMEntE stilistico, la pro-

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duzione letteraria di papa Leone Magno mostra una consumata capacità di impiegare la retorica latina, raggiungendo un efficace equilibrio tra forma e contenuto. di tale produzione rimangono numerosi sermoni e lettere, oggetto nel tempo di un costante apprezzamento. I sermoni dovettero godere di una certa importanza nell’economia dell’attività pastorale di Leone, giacché vennero pronunciati in occasione delle più importanti solennità dell’anno liturgico, o comunque delle ricorrenze più significative per roma. ne sono stati tramandati 97. L’epistolario di Leone, secondo per ampiezza soltanto a quello di Gregorio Magno, consta complessivamente di 173 componimenti: 143 lettere redatte direttamente dal papa, 19 lettere aventi questi come destinatario, e infine altri 11 scritti.

san leone i magno, ritrattO di giuseppe franchi (1565-1628). pinacOteca ambrOsiana, milanO.

art archiVe / dagli Orti

l’imPeratrice galla Placidia Figlia di teodosio, sorella dell’imperatore Flavio onorio, fu moglie dell’imperatore costanzo iii nel periodo in cui visse papa leone i. collezione Jean Vinchon, parigi.

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Era un’epoca in cui di fatto l’ortodossia risultava ancora in parte “fluida”, il primato del papa sulla Chiesa era di là da venire e l’esautorazione ecclesiastica delle competenze imperiali stava muovendo i primi passi. Fra i primi bersagli dell’attivismo di papa Leone ci furono i manichei, ben radicati a Roma dopo che l’occupazione dell’Africa settentrionale da parte dei Vandali li aveva indotti a emigrare. Contro di loro Leone non si limitò a pronunciare infiammati sermoni, ma arrivò a propugnare interventi sul piano civile come la denuncia di tutti i seguaci di Mani presenti a Roma; un’apposita lettera ai vescovi italiani arrivò persino ad ampliare gli orizzonti geografici della presa di posizione del papa. Leone affermò esplicitamente di intravedere nel dualismo dei manichei non soltanto una grave insidia per la fede cristiana, ma anche una minaccia per il benessere

dell’Impero: a suo parere era opportuno che potere civile e potere ecclesiastico collaborassero nel respingere simili pericoli ai fini della serenità dell’intera società. Negli anni Quaranta del V secolo, Leone si spese molto anche nel contrastare una nuova eresia, quella monofisita dell’archimandrita (superiore di un convento) di Costantinopoli Eutiche. Questi, arrivato a negare la compresenza della natura umana e di quella divina nel Cristo, fu deposto e scomunicato dal sinodo dei vescovi di Costantinopoli del 448, con l’avallo del patriarca Flaviano; egli si rivolse allora a Leone per essere reintegrato nella Chiesa, ma il vescovo di Roma, consultati gli atti sinodali, ne confermò la condanna. Fu nell’ambito di questa controversia che Leone produsse la sua lettera più nota, la cosiddetta Tomus ad Flavianum, indirizzata nel giugno del 449 al patriarca di Costantinopoli:


cOrBis / cOrDOn Press

i suoi contenuti risultarono determinanti per le formulazioni cristologiche del Concilio di Calcedonia, che due anni più tardi stroncò definitivamente il monofisismo di Eutiche. Certo, nella sua ferma opposizione alle diverse eresie – quali appunto l’eutichianesimo, il nestorianesimo, il pelagianesimo, il priscillianismo ecc. – Leone inventò poco o nulla, portando piuttosto avanti quanto espresso già dal Concilio di Nicea del 325: il suo merito, nell’economia del dibattito teologico, non muove dunque dall’originalità dei contenuti, quanto piuttosto dalla capacità di formularli nella maniera più chiara ed efficace possibile.

L’ambasceria presso Attila Il ruolo politico del pontificato di Leone si manifestò nel 452, quando il vescovo di Roma partecipò all’ambasceria imperiale che incontrò Attila, alla testa dell’esercito unno, presso

il fiume Mincio. Lo scopo di tale delegazione, a cui presero parte anche due esponenti di spicco dell’Impero romano d’Occidente, l’ex prefetto Trigezio e il console Avieno, era arrestare le razzie unne nel nord e scongiurare il possibile saccheggio di Roma. Il confronto si rivelò un successo per i Romani: gli Unni interruppero le ostilità, invertendo la propria marcia in direzione della Pannonia. Un simile risultato – apparentemente inspiegabile – ha portato gli storici a interrogarsi sui motivi alla base della campagna italiana di Attila, nonché sulla strategia politica, prima ancora che militare, da questi adottata. Risolvere la questione è arduo, tanto più se si considera che solo l’anno prima gli Unni erano stati affrontati da un esercito di Romani e Visigoti nella battaglia dei Campi Catalaunici, e si erano visti costretti a porre fine alla loro campagna in Gallia.

l’incontro con attila l’affresco di raffaello ritrae la versione dell’incontro secondo cui a fermare attila sarebbe stato papa leone aiutato dai santi pietro e paolo armati di spada. 1514. stanza di eliodoro nei palazzi pontifici, Vaticano.

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glI UnnI fra StorIa e leggenda

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hungarian natiOnal gallery

li unni coMpaiono sulla scena della storia nel 375, quando a est del fiume don sconfiggono gli alani prima e gli ostrogoti poi, dando così il via a una nuova, drammatica fase delle migrazioni barbariche. nei decenni successivi contingenti unni sono attestati in Pannonia, nell’area mesopotamica e in tracia. di quando in quando risultano al servizio dell’Impero romano d’occidente, funzionali al respingimento di altri barbari. raggiunta un’ampiezza considerevole in europa centro-orientale, sotto il comando di attila, il dominio unno si sgretola dopo la morte di questi nel 453. Sarà solo nei secoli successivi che la storiografia e la cultura popolare europee, e in particolare italiane, tenderanno ad attribuire agli Unni la loro proverbiale crudeltà, indicando attila come il flagello di dio; unica eccezione la cultura ungherese, che individuerà nel re unno un eroe nazionale.

banchetto di attila, dipintO dell’ungherese mÓr than (1870). galleria naziOnale di budapest.

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testa di teodosio ii imperatore romano d’oriente tra il 408 e il 450, teodosio ii dovette versare ingenti tributi per scongiurare l’invasione degli Unni. V secolo. parigi, louvre.

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La campagna in Italia, che aveva preso il via appunto nel 452 con la caduta di Aquileia, per poi interessare Padova, Milano, Pavia e Mantova, formalmente muoveva dalla volontà di Attila di liberare Onoria, sorella dell’imperatore Valentiniano III, che era tenuta in custodia a Roma perché non potesse esercitare i diritti di co-imperatrice che le erano conferiti dal suo titolo di Augusta. Nel 450 Onoria si era rivolta segretamente ad Attila, offrendogli in cambio di aiuto la prospettiva di un matrimonio con lei e, in virtù di esso, il dominio su metà dell’Impero romano d’Occidente. Quella che nelle intenzioni degli Unni avrebbe con ogni probabilità dovuto essere una sortita alla volta di Roma stava tuttavia assumendo i connotati di una guerra più lenta e logorante di quanto fosse per loro materialmente sostenibile: è allora forse ragionevole supporre che Attila asse-

condò le richieste dell’ambasceria sia sulla base di un’attenta valutazione delle forze in campo, sia magari in considerazione di un opportuno tributo offertogli. A ogni modo, la ritirata unna suggellò il fallimento del disegno politico di Attila, che consisteva nell’entrare per vie diplomatiche – se non matrimoniali – nei centri nevralgici dell’Impero. I dettagli riguardanti l’incontro sul Mincio fra Leone e Attila tendono a sfuggire. Le fonti coeve non precisano il luogo esatto in cui si svolse l’episodio; di contro, a seconda del rispettivo punto di vista, finiscono per attribuire il merito dell’accaduto a questo o a quel protagonista. Per esempio, la Cronaca di Prospero di Aquitania, vescovo e collaboratore di Leone, nel trattare la vicenda tende a sminuire il ruolo deterrente dell’esercito romano, agli ordini del generale Ezio, per esaltare all’opposto la persuasività del vescovo di Roma.


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PaPa leone i incontra attila La pala d’altare in marmo, opera dello scultore barocco alessandro algardi, offre un’altra raffigurazione dello storico incontro. 1646-1653. Vaticano, Basilica di San Pietro.

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Di altro avviso la Cronaca di Idazio, vescovo in Galizia, il quale attribuisce la ritirata di Attila – data evidentemente la volontà divina – al valore del solo Ezio: questi, forte dei rinforzi inviati dall’imperatore d’Oriente Marciano, sarebbe stato capace di impensierire l’esercito unno, del resto già indebolito da due anni di carestia e dall’epidemia di tifo – oppure malaria – che imperversava nella Pianura Padana; peraltro, la pressione esercitata dall’esercito di Marciano nell’area danubiana, cuore del dominio di Attila, avrebbe costituito per gli Unni un ulteriore incentivo a tornare sui propri passi. Curiosamente, sono alcune fonti più tarde a entrare nei dettagli dell’incontro presso il Mincio, facendo via via assumere a esso quel carattere leggendario fissatosi con il tempo nell’immaginario collettivo. È per esempio nella Storia dei Goti di Giordane, redatta intorno al 551, che per la prima volta è possibile rinvenire una precisa indicazione geografica: Leone e Attila si sarebbero incontrati ad Ambuleio, una località attualmente di difficile identificazione, collocata in secoli di storiografia ed erudizione nei pressi di Peschiera del Garda (Verona) o piuttosto di Governolo (Roncoferraro, Mantova). Più ancora che tale dato, va forse rilevato che è in Giordane che la figura di Attila comincia ad assumere quei connotati iperbolici che qualche secolo più tardi risulteranno proverbiali, il tutto evidentemente a vantaggio della figura di papa Leone, a mano a mano considerata sempre più miracolosamente salvifica. Sarà Paolo Diacono a consolidare l’ampliamento in chiave leggendaria dell’operato di Attila: nella sua Historia Romana, redatta intorno al 770, la campagna italiana dell’Unno avrebbe finito per coinvolgere non solo le città più a nord, ma anche le città emiliane. Non solo: Paolo spiegherà la ritirata degli Unni con il ricorso all’elemento miracolistico. 18 storica national geographic

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leone e attIla SI Sarebbero IncontratI tra mantoVa e Verona


leone magno e santi Il papa, raffigurato tra figure di santi, indossa la tiara, simbolo di sovranitĂ . Il dipinto di antonio Vassillacchi (1556-1629) si trova nella chiesa di San Zaccaria a Venezia.

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I VandalI e Il Sacco dI roma

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phOtOaisa

gEnsERico, re dei Vandali e uomo più potente dell’occidente, mancava solo la conquista di roma. Il pretesto per attaccare la Città eterna si verificò quando l’imperatore romano d’occidente, Valentiniano III, venne ucciso e a l suo posto fu eletto il presunto assassino, il senatore Petronio Massimo. Fu la stessa vedova di Valentiniano, Licinia eudossia, a chiedere l’intervento di Genserico, che con il suo esercito giunse alle porte dell’Urbe il 2 giugno del 455 d.C. Papa Leone I si presentò quindi, disarmato e senza scorta, al cospetto del re, per convincerlo a desistere dal suo proposito di saccheggiare roma. non riuscì nel suo intento, ma ottenne comunque la promessa che le vite degli abitanti della città sarebbero state risparmiate, così come edifici e chiese. Il sacco durò due settimane e i Vandali razziarono oro, opere d’arte e macchine belliche romane. cavaliere vandalo raffiguratO in un mOsaicO del V-Vi secOlO d.c. da bOrdj-el-djed. british museum, lOndra.

È proprio nel testo di Paolo Diacono infatti che per la prima volta troviamo indicato come ad Attila, nel corso dell’incontro con papa Leone, sarebbe apparsa una minacciosa figura celeste, in abito sacerdotale, che, pena la morte, gli avrebbe intimato di accogliere l’invito del vescovo di Roma a non proseguire oltre. Nel 455 papa Leone fu il protagonista di una seconda trattativa, non troppo dissimile dalla prima e tuttavia molto meno conosciuta: il suo interlocutore fu in quest’occasione Genserico, il quale era prossimo ad aggredire Roma al comando dei Vandali. Il confronto non si risolse nel migliore dei modi, giacché Roma venne saccheggiata per quindici giorni; Leone Magno ottenne tuttavia che l’Urbe non fosse data alle fiamme e che le persone e i luoghi di culto venissero risparmiati. Stando alle fonti, si può supporre che Leone morì il 10 novembre del 461. Il suo pontifi20 storica national geographic

cato, fra i più lunghi della storia della Chiesa, durò dunque oltre ventuno anni, e fu peraltro il primo che – beninteso a posteriori – vide attribuire al papa l’appellativo di “Magno”.

Leone I, dottore della Chiesa Nel corso dell’ampio periodo del suo papato, la sua interpretazione del ruolo di vescovo di Roma portò Leone a travalicare all’occorrenza l’ambito pastorale, per far valere il proprio spessore anche in quello civile e dunque in quello politico: in un certo senso, fu anche con Leone Magno che iniziarono a delinearsi quelle traiettorie che, nel corso del Medioevo, avrebbero portato la figura del papa a relazionarsi, non sempre pacificamente, tanto con sovrani e imperatori, quanto con l’ecumene cristiana. Nel 1754, con la bolla Militantis Ecclesiae, papa Benedetto XIV ha proclamato Leone “dottore della Chiesa”.


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la basilica di aquileia nella sua avanzata in Italia, nel 452 attila conquistò e devastò aquileia, allora metropoli di numerose diocesi. Secondo la tradizione, l’Unno sparse sale sulle rovine della città.


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LA CenA DeL POnTeFICe Questa tela del Veronese narra l’episodio di GesÚ che si unisce ai poveri ospitati da papa Gregorio, svelandosi nel corso del pranzo. 1572. Basilica di Monte Berico, Vicenza.


Il pontefIce dIplomatIco

GreGorIo maGno intellettuale di ampio respiro, divenuto papa suo malgrado, fu un saggio pastore di anime e un abile mediatore politico. ricoprendo contemporaneamente questi ruoli, Gregorio segnò un’ultima, decisiva cesura tra antichitĂ e Medioevo jacopo Mordenti Storico e Scrittore


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BAsILICA DI sAn vITALe con i celebri mosaici (metà del VI secolo). Ai tempi di papa Gregorio Magno, Ravenna aveva surclassato Roma ed era la capitale dell’esarcato d’Italia, una circoscrizione dell’Impero bizantino.

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L’avvio della sua carriera si colloca nei primi anni Settanta del secolo, peraltro in ambito non ecclesiastico, bensì civile: alla morte del padre Gordiano, intorno al 573, Gregorio stava ricoprendo la carica di prefetto di Roma. Per comprendere i compiti connessi a tale funzione pubblica, bisogna considerare la situazione storico-politica della Penisola italiana, come pure la specifica realtà di quella che era stata la capitale dell’Impero romano d’Occidente fino a un secolo prima. A quell’epoca, l’Italia era interessata dalla penetrazione longobarda da nord e dalla controffensiva bizantina da sud-est. Complici le devastazioni causate dalla cosiddetta Guerra greco-gotica (535-553) tra Impero bizantino e Ostrogoti, la Roma di allora aveva perso la centralità che occupava in passato, risultando da tempo surclassata da Costantinopoli e, per certi versi, da Ravenna. Il Senato della città, pure formalmente in funzione, versava in uno stato di crisi che l’esodo costante di famiglie senatorie verso Costantinopoli non aiutava a superare. Nonostante questo, Roma continuava a godere di uno statuto privilegiato rispetto al resto dell’Italia, statuto che fin dai tempi di Diocleziano (imperatore dal 284 al 305) si declinava proprio nella carica di prefetto della città. Tale carica, nella seconda metà del VI secolo, manteneva certe prerogative amministrative e giudiziarie. La figura del prefetto, in teoria, avrebbe dovuto inscriversi nel quadro di quel ducato romano che i Bizantini avevano istituito per fronteggiare l’invasione longobarda del 568. In pratica, però, questa figura era divenuta

espressione di quella romanità locale, tanto civile quanto ecclesiastica, che non apprezzava la romanità bizantina, connotata da tratti marcatamente militari.

La svolta monastica La morte del padre segnò una prima svolta nella vita di Gregorio: avuto accesso al patrimonio familiare, egli decise di assecondare una vocazione che si era fatta strada in lui già da tempo. Gregorio si era infatti dedicato anche a studi biblici e patristici, avvicinandosi soprattutto al pensiero di sant’Agostino. Si fece dunque monaco, entrando nella comunità di sant’Andrea e trasformando la residenza di famiglia sul colle Celio in un monastero dedicato a questo santo. Anche i cospicui possedimenti siciliani, probabilmente ereditati per parte di madre, furono da lui destinati alla Chiesa e divennero sedi monastiche, dal momento che egli vi fondò altri sei monasteri. In particolare, il monastero di sant’Andrea rispondeva alle esigenze culturali di Gregorio, nell’ottica di perpetuare una certa tradizione familiare. Dopo pochi, felici anni di vita monastica si vide tuttavia costretto a tornare a operare nella realtà secolare: all’indomani della sua elezione nel 579, il papa Pelagio II lo nominò infatti diacono e gli assegnò l’incarico di apocrisario (rappresentante diplomatico del pontefice) a Costantinopoli. Nella capitale imperiale Gregorio non solo costituì una nuova, piccola comunità monastica dalla spiccata sensibilità intellettuale, ma, grazie alla natura politica del suo incarico, imbastì un’ampia rete di conoscenze ad alti livelli.

RuOTA mIsTICA tempera su tavola del Beato angelico, 1451-1453. Museo di san Marco, Firenze. gregorio si era servito dell’immagine di una ruota dentro un’altra ruota per spiegare il rapporto tra antico e nuovo testamento.

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regorio nacque intorno alla metà del VI secolo da una famiglia dell’aristocrazia senatoriale romana che vantava antenati illustri, tra cui Felice III, papa dal 483 al 492. Aveva quindi ricevuto un’ottima formazione intellettuale e approfondito la conoscenza della retorica classica, del diritto e della scienza medica.


I complessI rapportI con GlI ebreI

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utto il pontificato di Gregorio Magno fu caratterizzato da una certa dialettica fra teoria e prassi. ciò è particolarmente evidente nel suo atteggiamento verso le comunità ebraiche. Registrum alla mano, in alcune lettere è molto drastico sul possesso di schiavi cristiani da parte di ebrei; molto più cauto risulta invece in altre in cui indica di riscattare dietro compenso gli schiavi cristiani di proprietà ebraica. da ricordare la lettera del 602 che Gregorio indirizzò ai cittadini romani, in cui trapela un problema inedito nei rapporti fra comunità cristiana ed ebraica: la commistione di pratiche religiose. Gregorio era polemico nei confronti di simili sincretismi, temendo che mettessero in discussione l’identità cristiana. La duttilità del papa nelle questioni pratiche non deve farci dimenticare come, sul piano teologico, avesse una posizione simile a quella di sant’agostino: gli ebrei erano tollerati, ma solo perché la loro sopravvivenza era ritenuta funzionale alla vera religione.

CuLTO In unA sInAgOgA nella bolla Sicut Iudaeis gregorio garantì protezione agli ebrei, in cambio della sottomissione e del rispetto delle vigenti leggi restrittive. Miniatura del XiV secolo. British library, londra.

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Entrò così in contatto diretto, fra gli altri, con gli imperatori Tiberio II (imperatore dal 578) e Maurizio (imperatore dal 582). Fu proprio a quest’ultimo che, nel 584, Gregorio presentò una richiesta urgente di sostegno militare per Roma: una relazione inviatagli da Pelagio II, infatti, precisava non solo come la pressione dei Longobardi fosse divenuta preoccupante, ma soprattutto come l’esarca bizantino, da Ravenna, avesse reso chiaro di non potere intervenire in difesa di Roma. Gregorio fu richiamato a Roma fra il 586 e il 587, probabilmente per aiutare Pelagio II ad affrontare una questione spinosa, con risvolti sia religiosi sia politici: lo scisma dei Tre Capitoli. La frattura, nata nell’ambito della riflessione teologica sulla natura del Cristo fra IV e V secolo, intorno alla metà del VI secolo aveva portato a uno scisma fra i vescovi di Milano e di Aquileia e il vescovo di Roma.

Con l’invasione longobarda del 568 la situazione dell’Italia settentrionale si era fatta persino più delicata: i Longobardi, nell’ottica di consolidare il proprio dominio, avevano infatti alimentato lo scisma. Non fu certamente un caso che a Roma ci si attivò per risolvere il dissidio proprio intorno al 585, mentre con i Longobardi era in corso una tregua. Fu Gregorio in prima persona, stando a quanto riporta una fonte dell’VIII secolo, lo storico longobardo Paolo Diacono, a mettere per iscritto la posizione assunta allora dalla Chiesa di Roma. Tre anni più tardi, una serie di concause sconvolse la vita di Gregorio, strappandolo definitivamente alla serenità della vita monastica: fra il 589 e il 590, Roma si trovò infatti a dover affrontare un’inondazione del Tevere e un’epidemia di peste, a causa della quale, il 7 febbraio 590, trovò la morte Pelagio II.


corbis / cordon Press

CAsTeL sAnT’AngeLO Secondo una leggenda, nel 590 Gregorio avrebbe visto l’arcangelo Michele in cima alla Mole adriana. da allora il monumento venne chiamato castel Sant’angelo.

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la leGGenda della messa “teoloGIca”

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el tardo medioevo si diffuse una leggenda legata a san Gregorio Magno e incentrata sulla dottrina teologica della transustanziazione. La storia narra che una donna, che aveva preparato quella stessa mattina il pane eucaristico, si mise a ridere sonoramente quando, al momento di ricevere l’eucaristia, si sentì dire che si trattava del corpo di Gesù cristo. San Gregorio, sdegnato, la rimproverò aspramente chiedendole la ragione di quell’atteggiamento, ritrasse la particola e si raccolse in preghiera implorando da dio che la illuminasse. Subito l’ostia consacrata divenne carne, sotto forma di un dito. La donna allora si inginocchiò e scoppiò in lacrime. L’iconografia di questa leggenda si diffuse tra XiV e XV secolo ed è qui presentata nella variante secondo cui la particola si sarebbe trasformata nell’intero corpo di Gesù. Una delle versioni più diffuse dell’evento è contenuta nella Legenda Aurea di jacopo da Varagine (Xiii secolo).

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1 Le particole consacrate il rito della comunione è stato interrotto dal comportamento sacrilego della donna e sull’altare è rimasta l’ostia a lei destinata, che assume per miracolo la forma del corpo di cristo.

2 II simboli del tradimento

e della crocifissione ai lati di Gesù si riconoscono i simboli tradizionali del suo tradimento e della crocifissione. tra questi, a destra vi sono i tre dadi, la spugna e la scala; a sinistra il volto di Giuda e la lancia.

3 L’apparizione miracolosa del Cristo Sull’altare si è materializzata una bara, da cui emerge il corpo di cristo. Sulla parte anteriore della bara stessa è visibile il velo della Veronica, su cui è rimasto impresso il volto di Gesù.

4 San Gregorio raccolto in preghiera il santo invoca un segno divino che faccia ricredere la donna malfidente e, secondo la leggenda, nel momento del miracolo stava pronunciando le parole rituali: “Questo è il mio corpo”.

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5 I testimoni del miracolo nell’impianto frontale del dipinto, la scena anteriore di destra è occupata dai santi pietro (a destra) e domenico, che assistono al miracolo insieme a un prelato, che si scorge in mezzo a loro. La messa DI san GreGorIo, del pittore thomaS burgkmair, 1496. deutScheS hiStoriScheS muSeum, berlino.

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GreGorIo non mIse maI In dIscussIone l’autorItà polItIca dell’Imperatore

shutterstock

statua DI san mIcheLe arcanGeLo. 1752. castel sant’angelo, roma.

Fu in questa atmosfera gravata dall’angoscia e dallo stato di emergenza che Gregorio venne scelto, per mezzo di una elezione di tipo plebiscitario, come nuovo pontefice.

L’ascesa al soglio di Pietro Secondo la prassi, l’elezione avrebbe dovuto ricevere il consenso dell’imperatore, al quale proprio Gregorio, stando al racconto di Gregorio di Tours, storico e vescovo contemporaneo ai fatti, avrebbe scritto immediatamente una lettera lamentando la propria inadeguatezza e pregandolo di non assecondare il popolo romano. La lettera sarebbe stata però intercettata dal prefetto della città – forse uno dei fratelli di Gregorio – distrutta e sostituita dall’annuncio del consenso popolare al nuovo pontefice. Ottenuto nell’arco di qualche mese l’avallo imperiale, Gregorio fu consacrato papa il 3 settembre 590. Risulta difficile stabilire quanto ci sia di autentico e quanto di retorico nelle parole accorate con le quali Gregorio, fin dall’inizio, si riferì alla propria carica: una missione tutt’altro che desiderata ma al contrario subita, per la quale non si riteneva all’altezza e della quale, tuttavia, dimostrava di conoscere perfettamente i compiti. Essi erano interpretati in maniera nuova, per così dire ampia, da Gregorio, al punto da far coincidere la Chiesa con la città di Roma. L’operato del nuovo pontefice travalicava di gran lunga, e del tutto esplicitamente, la semplice cura pastorale, affrontando subito, per esempio, i problemi connessi all’amministrazione e all’approvvigionamento alimentare dell’Urbe. L’amministrazione pontificia, in quanto veicolo delle disposizioni papali, subì un processo di clericalizzazione: i laici vennero via via esclusi da essa, a vantaggio di un personale qualificato da un punto di vista religioso e culturale, formatosi nelle cosiddette scholae, istituti specializzati nelle singole professio30 storica national geographic

ni. La progettualità organizzativa di Gregorio appare sorprendente ancora oggi: egli puntava al controllo diretto delle nuove leve, da un lato incardinandole nell’istituzione ecclesiastica, dall’altro formandole a tutto tondo. Era in effetti scegliendo fra coloro che godevano della sua più ampia fiducia che Gregorio individuava i rectores, gli amministratori del patrimonio della Chiesa di Roma. Il mandato affidato da Gregorio ai vari rectores, pur contemplando anche una certa attività assistenziale, nonché l’amministrazione della giustizia ecclesiastica, prevedeva in primo luogo il concorso all’approvvigionamento della città di Roma. Una preoccupazione costante di Gregorio fu proprio il sostentamento materiale dell’Urbe: assumendosene la responsabilità, il pontefice esautorò, di fatto, la rappresentanza cittadina dell’amministrazione imperiale. La declinazione in senso temporale del potere di Gregorio non deve però far ritenere che si stesse prefigurando uno scontro fra Chiesa di Roma e Impero. Quest’ultimo è escluso non tanto perché il papa soddisfaceva quelle ineludibili esigenze pratiche che i Bizantini non erano materialmente in grado di affrontare, ma soprattutto perché Gregorio non mise mai in discussione l’autorità politica dell’imperatore.

Diplomazia a tutto campo Fin dai primi anni del suo pontificato, Gregorio ampliò il raggio di intervento del vescovo di Roma anche al di fuori della realtà cittadina, disegnando una geografia politica nuova. Anche se non mise mai in discussione l’architettura patriarcale della Chiesa, che vedeva Roma sullo stesso piano di Costantinopoli, Gerusalemme, Alessandria e Antiochia, Gregorio fece sentire la propria voce presso varie sedi vescovili anche distanti da lui, affrontando questioni nelle quali il confine fra religione e politica era labile.


oronoz / album Scala, firenze

Il canto monodIco GreGorIano

sPARTITO DI CAnTO gRegORIAnO due pagine di un libro per il coro contenente canti gregoriani conservato presso la basilica di Santa croce a Firenze. il manoscritto presenta la cosiddetta “notazione quadrata”.

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l canto gregoriano, tuttora contemplato dalla liturgia cattolica, è un canto che fa perno sulla monodia, e che dunque prevede l’assenza di accompagnamento musicale o armonizzazione vocale. nonostante il nome rimandi a papa Gregorio Magno, la sua istituzione risale all’epoca carolingia, nell’ambito della più ampia riforma liturgica promossa da carlo Magno. era un tipo di canto con significati teologici profondi, poiché si riteneva che in esso la parola di dio e la voce dell’uomo venissero a coniugarsi. Quanto a Gregorio, egli sancì l’esclusione dal repertorio liturgico dei testi privi di origini bibliche o patristiche: tale riforma comportò di fatto la scomparsa dal repertorio romano degli inni composti nel iV secolo in oriente.

LA sTATuA DI mICHeLAngeLO La statua del pontefice è una delle quattro realizzate da Michelangelo Buonarroti per il monumentale altare piccolomini nel duomo di Siena. 1501-1504.

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le opere letterarIe del pontefIce

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papa Gregorio spicca il Registrum, la raccolta delle sue lettere conservata presso l’archivio del Laterano: una fonte straordinaria tanto sul piano formale quanto su quello contenutistico. il Registrum di Gregorio testimonia l’organizzazione e l’efficienza raggiunte dalla cancelleria romana sotto il suo pontificato. Si tratta complessivamente di 857 lettere, piuttosto varie fra loro sia per contenuto sia per destinatario; il confine fra disposizioni amministrative, raccomandazioni pastorali, interventi politici e consigli spirituali appare a tratti piuttosto sfumato. nel suo complesso, il Registrum costituisce un preziosissimo serbatoio di informazioni sulla vita di papa Gregorio. non meno preziosi risultano altri scritti del pontefice, capitoli imprescindibili di generi letterari quali l’esegetica e l’omiletica. rientrano fra tali composizioni il commento al Libro di Giobbe, le omelie sui Vangeli e sul Libro di Ezechiele, la Regula Pastoralis e i Dialogi.

mInIATuRA COn RITRATTO gregorio ritratto all’interno di una a, capolettera di un antifonario, libro in cui sono raccolte le antifone. opera di scuola francese per la consacrazione dell’abbazia di Vauclair. 1257. Bibliothèque Municipale, laon.

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Fra il 591 e il 596 intrattenne una fitta corrispondenza con i vescovi d’Africa. Intervenne anche sugli strascichi provocati dallo scisma donatista, avviato dopo le persecuzioni di Diocleziano, e fu critico tanto verso i cristiani che avevano abiurato per salvarsi la vita quanto verso l’Impero romano. Negli stessi anni tornò sullo scisma dei Tre Capitoli: nel 593 riconciliò Milano con Roma, mentre nei confronti di Aquileia si accontentò di promuovere un clima di dialogo. Nel 595 avviò un confronto polemico con il patriarca di Costantinopoli Giovanni il Digiunatore, reo di essersi attribuito il titolo di ecumenico. Pur non essendo riuscito a ottenere soddisfazione, Gregorio decise di non rompere i rapporti con Costantinopoli. L’alto grado di autonomia e intraprendenza di papa Gregorio sono dimostrati dai rapporti che il pontefice, un po’ in risposta al vuoto

politico bizantino, un po’ sulla scia della forte progettualità che caratterizzò il suo pontificato, imbastì con i regni cosiddetti barbari, spesso ariani – quando non addirittura pagani – piuttosto che cattolici.

La sua difesa di Roma I Longobardi, in questo senso, furono la prima, ricorrente preoccupazione del pontefice, anche perché, fra il 591 e il 594, sotto il comando del loro re Agilulfo e dei duchi Ariulfo e Arechi, avevano avviato una nuova fase offensiva lasciando intendere di poter marciare sulla città di Roma. La situazione era grave: la coordinazione fra le forze longobarde del nord, del centro e del sud Italia minacciava di sconvolgere il quadro della Penisola. Il pontefice si era impegnato in prima persona nella gestione della difesa reperendo e dislocando truppe alla bisogna.

scala, firenze

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ella produzione letteraria di


Scala, firenze

IL RITRATTO DI AnTOneLLO San Gregorio Magno in un’opera di antonello da Messina. La tavola trasportata su tela fa parte del cosiddetto polittico dei dottori della chiesa. 1472-1473 circa. Galleria regionale della Sicilia, palazzo abatellis, palermo. storica national geographic

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Non solo: nel 595 egli si era spinto a patteggiare, in nome dell’imperatore e dunque al posto dell’esarca bizantino, la ritirata del duca Ariulfo dalle porte di Roma. E in tale occasione non aveva esitato a mettere sul piatto una contropartita in denaro. Anche altri regni occidentali divennero oggetto delle attenzioni religiose e politiche di Gregorio, che svolse un ruolo di mediazione fra di essi e l’Impero. Questo successe con la Spagna visigota, con i regni franchi di Austrasia, Burgundia e Aquitania e, soprattutto, con l’Inghilterra, dove Gregorio promosse un ampio progetto di missione. Quest’ultimo, affidato al monaco romano Agostino (534-604) e alla sua comunità, mise radici nel Kent già nel 597: nel 601 Agostino fu nominato primo arcivescovo di Canterbury, a conferma di un ruolo di assoluto rilievo nell’evangelizzazione dell’isola. Non è possibile escludere che fra l’osservanza romana e quella irlandese, risalente a una precedente ondata cristianizzatrice, fosse venuto a crearsi un certo attrito, e tuttavia era proprio un Cristianesimo prossimo a quello di Roma il tipo di culto che il pontefice Gregorio I Magno, pur nella duttilità pastorale che lo caratterizzava, aveva voluto evidentemente impiantare in Inghilterra. Papa Gregorio morì il 12 marzo 604: si chiuse così un pontificato che, nel corso dei suoi quattordici anni, aveva tracciato alcune delle fondamentali linee spirituali e politiche destinate a svilupparsi nei secoli seguenti. Il corpo del pontefice venne sepolto di fronte all’antica sacrestia di quella che era la basilica di San Pietro: una sepoltura in linea con quella dei papi suoi predecessori. Nell’epitaffio egli venne definito “console di Dio”. Alla sua morte non seguì immediatamente l’avvio di un culto ufficiale, ma oggi Gregorio I Magno è venerato dai cattolici come dottore della Chiesa e come santo. 34 storica national geographic

Pietro canali / fototeca 9x12

nell’epItaffIo papa GreGorIo maGno venne defInIto Il “console dI dIo”


LA CATTeDRALe DI sPOLeTO Gregorio svolse un ruolo di mediatore tra l’esarcato di ravenna e i Longobardi che si stavano espandendo in italia a danno dei Bizantini. tra i nuovi domini longobardi vi fu il ducato di Spoleto.

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Consigliere imperiale Silvestro II in un’incisione francese di Edouard Pingret (1844): prima di diventare papa, Silvestro II era stato precettore dell’imperatore Ottone III e suo consigliere politico.

art archive

la Corona di santo stefano Secondo la tradizione, sarebbe la corona che Silvestro II donò nel 1000 d.C. al primo re d’Ungheria Stefano I (poi proclamato santo) come segno di legittimazione della sua autorità.


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l’oscura leggenda di silvestro ii

il papa “mago”

Esperto di matematica e astronomia, geniale inventore, il francese Gerberto d’Aurillac raggiunse grande fama in tutta Europa, fino a essere eletto papa nel 999. Ma dopo la morte fu accusato di avere stretto un patto con il diavolo covadonga valdaliso storica


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ella basilica di San Giovanni in Laterano, a Roma, un cenotafio di marmo ricorda il luogo in cui, per sei secoli, riposarono le spoglie di papa Silvestro II. Malgrado la brevità del suo pontificato – venne eletto il 2 aprile del 999 e morì il 12 maggio del 1003 – Silvestro II fu un papa leggendario, ammirato, temuto ed esecrato in uguale misura. Da una parte, infatti, egli fu il papa dell’Anno mille, periodo segnato, in Europa, dal terrore dell’Apocalisse; dall’altra, fu una delle menti scientifiche più geniali del Medioevo. La sua figura alimentò tuttavia anche molte superstizioni, perlopiù dettate dall’ignoranza. La sua sapienza fuori dal comune venne infatti interpretata come opera del demonio e, dopo la sua morte, si diffuse la credenza che il suo sepolcro avesse poteri magici e che, all’approssimarsi della fine di un pontefice, trasudasse acqua attraverso il marmo.

e. LeSSing / aLbUm

Monaco e matematico

astrolabio italiano A Gerberto d’Aurillac è attribuito il merito di aver diffuso in Europa l’astrolabio, strumento nautico usato già dagli Arabi per calcolare la posizione degli astri. XIV secolo, Castello Sforzesco, Milano.

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Il vero nome di Silvestro II era Gerberto. Nacque attorno al 949 nella regione francese dell’Alvernia, nell’area del Massiccio Centrale, ed entrò da adolescente nel monastero benedettino di Saint Géraud d’Aurillac, al quale deve il nome con cui è noto: Gerberto d’Aurillac. Nel 967, si trasferì alla corte del conte Borrell II di Barcellona, dove divenne un protetto del vescovo catalano Attone di Vich. Rimase in Spagna per tre anni, durante i quali si pensa abbia visitato Cordova e Siviglia, entrando in contatto con la cultura islamica. Le ricche biblioteche monastiche delle contee catalane, in particolare quella di Santa Maria di Ripoll, permisero a Gerberto d’Aurillac di ampliare le proprie conoscenze in svariate discipline, dalla matematica alla filosofia fino alla teologia. Dopo un soggiorno a Roma, fece ritorno in Francia, e vi ricevette l’incarico di professore nel collegio episcopale di Reims, conquistando la fiducia dell’arcivescovo Adalberone e consolidando la sua fama di intellettuale.

Gerberto fu presto riconosciuto come “l’uomo più dotto del suo tempo”, e i suoi contributi alla matematica e alla scienza ne fecero una figura semileggendaria. In campo algebrico, si deve al futuro papa la proposta di sostituire il sistema di numerazione romano con quello arabo, decisamente più adatto al calcolo matematico. Egli cercò anche di diffondere l’uso dello zero e il sistema decimale. Gerberto conquistò poi la fama di “inventore”: a lui furono attribuite la diffusione del pendolo e dell’astrolabio e l’ideazione di un tipo speciale di abaco, una sorta di pallottoliere nel quale un solo gettone, sul quale era incisa una cifra, sostituiva un numero di gettoni corrispondente alla cifra stessa. Progettò anche un organo a vapore per la cattedrale di Reims, così come un orologio meccanico a ruote dentate.

L’incontro decisivo Le sue straordinarie conoscenze permisero a Gerberto di frequentare le figure più influenti del suo tempo: conti, re, papi e imperatori. Nel 969 accompagnò il conte Borrell a Roma, dove incontrò l’allora pontefice Giovanni XIII. Un cronista d’epoca posteriore racconta così l’effetto che il giovane monaco fece sul papa: “A Giovanni XIII non sfuggirono né l’intelligenza del giovane né la sua volontà d’apprendere, e poiché la musica e l’astronomia erano all’epoca ignorate in Italia, il papa avvisò subito Ottone I, re di Germania e Italia, dell’arrivo di questo giovane, tanto esperto in questi campi e tanto desideroso di insegnarli”. Giovanni XIII presentò Gerberto all’imperatore tedesco Ottone I, che subito decise di affidargli la tutela del figlio Ottone II.


oronoz

Città assalita dai mostri la fine del mondo in una miniatura del Xv secolo: silvestro ii fu il papa dell’anno mille, quando in Europa si diffuse il terrore di una prossima apocalisse.

StOrICA nAtIOnAl GEOGrAPhIC

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gerberto teorizzò la creazione di un grande impero cristiano esteso all’intera europa

akg / aLbUm

Ugo capeto di Francia in Un’inciSione di nicoLaS iii de LarmeSSin (1679).

Fu l’inizio di un’esperienza nella quale Gerberto dimostrò una straordinaria lungimiranza politica ed esercitò grande influenza sui suoi contemporanei. Dopo un periodo trascorso a inventariare il celebre scriptorium dell’abbazia di San Colombano, a Bobbio (Piacenza), il dotto monaco si trasferì a Reims, nella Francia settentrionale, dove fu coinvolto nella disputa per il trono tra gli esponenti delle dinastie carolingia e capetingia. Egli non esitò ad appoggiare la candidatura di Ugo Capeto, proclamato re di Francia nel 987. Come dimostrazione di fiducia, Capeto lo nominò precettore dei suoi figli e poi favorì la sua ascesa ad arcivescovo di Reims, anche se nel 996 Gerberto dovette lasciare l’incarico per l’opposizione del nuovo pontefice Giovanni XV.

Il sogno di un impero cristiano Gerberto d’Aurillac si ritirò allora presso la corte di Ottone III, appena incoronato imperatore del Sacro Romano Impero a soli sedici anni. Divenuto precettore del giovane sovrano, incoraggiò la politica imperiale di unificazione dei territori europei, seguendo il modello già perseguito da Carlo Magno. Il progetto mirava a restituire a Roma il ruolo di capitale imperiale. Al tempo stesso, Gerberto e Ottone speravano di espandere i confini dell’Europa cristiana, mettendo sotto la tutela del papa e dell’imperatore i territori centrali del continente. Entrambe le idee non erano una novità, poiché già Ottone I aveva cercato di realizzarle, ma la politica di Ottone III e del suo maestro contribuì in modo fondamentale alla formazione dell’identità europea. Ottone III si spese molto per elevare Gerberto ai livelli più alti della gerarchia ecclesiastica. Nel 998, il monaco fu nominato arcivescovo di Ravenna e l’anno dopo venne eletto papa, succedendo a Gregorio V. Gerberto decise di adottare il nome di Silvestro II, stabilendo un parallelismo con il pontefice che governa40 StOrICA nAtIOnAl GEOGrAPhIC

va la Chiesa all’epoca di Costantino I, l’imperatore romano che aveva reso il culto cristiano religione ufficiale dell’Impero. Silvestro II si stabilì con Ottone III a Roma, da dove i due tentarono insieme di riunire la cristianità e di diffonderla, trasformando la Polonia e l’Ungheria in regni cristiani. L’Urbe tuttavia era un focolaio di rivolte continue, cosicché nel 1001 il papa e l’imperatore fuggirono a Ravenna.

Il pontefice e la sua leggenda Ottone III morì nel 1002; Silvestro II tornò a Roma e morì l’anno dopo: fu papa per soli quattro anni, ma ebbe un’influenza enorme, dal punto di vista politico e culturale. Nel corso della sua esistenza, papa Silvestro II aveva goduto di grande prestigio per la sua attività scientifica e per il suo ascendente sugli imperatori, ma dopo la morte la sua fama acquisì tinte leggendarie. Se in vita Gerberto era stato celebrato come un Leonardo da Vinci dell’Anno mille, alcuni decenni dopo la sua scomparsa divenne un Dottor Faust ante litteram. Si attribuiva al pontefice un patto col diavolo, da cui sarebbero derivate le sue conoscenze; e proprio il diavolo, al momento della morte, sarebbe andato a cercarlo per condurlo con sé negli inferi. La credenza popolare riteneva che Silvestro II, per espiare le sue colpe, avesse ordinato allora ai cardinali di troncargli mani e lingua, perché con esse, sacrificando al diavolo, aveva disonorato Dio. Le voci sulla maledizione di Silvestro II continuarono nel corso dei secoli e si rafforzarono nel 1648, quando si decise di aprirne il sepolcro in San Giovanni in Laterano, a Roma. Il corpo, integro, fu visibile per alcuni istanti, dopodiché, davanti allo sguardo attonito dei presenti, si dissolse in cenere e per tutta la chiesa si diffuse un odore acre e dolciastro. Rimase intatto solo il suo anello papale che recava incisa la scritta Sic transit gloria mundi, “Così passa la gloria di questo mondo”.


la “testa parlante” del papa mago

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na delle fonti che maggiormente hanno contribuito alla nascita della leggenda di silvestro ii è una cronaca inglese del Xii secolo, scritta dal monaco benedettino guglielmo di Malmesbury. il racconto che suscitò maggior clamore fu quello relativo alla “testa parlante”, un artefatto che sarebbe stato costruito dallo stesso silvestro e che era in grado, secondo il raccon-

to del monaco, di rispondere sì o no alle domande che gli venivano poste, predicendo così il futuro: si riteneva che silvestro, attingendo ai segreti più reconditi della negromanzia, avesse rinchiuso al suo interno lo spirito di un demone. la veridicità di aneddoti come questo fu confutata già nel corso del Xvi secolo, ma i sospetti su quello che sarebbe passato alla storia come il “Papa Mago” restarono vivi ancora a lungo.

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il monastero di maria di ripoll, in Spagna, ceLebre per La SUa bibLioteca freqUentata da SiLveStro ii.


ORONOZ / ALBUM

L’umiLiazione di canossa L’imperatore Enrico IV, in vesti da penitente, incontra Gregorio VII a Canossa per ottenere l’assoluzione dalla scomunica che lo ha colpito. Olio su tela di Aldo Petri, XIX secolo, duomo di Pitigliano, Grosseto.


sfida all’imperatore

gregorio Vii Asceso al soglio pontificio nel 1073, riformò profondamente una Chiesa in decadenza e affermò con forza la superiorità del papato su ogni autorità terrena, compresa quella imperiale, aprendo il periodo della lotta per le investiture FrAnCO CArdInI PrOFEssOrE OrdInArIO dI stOrIA mEdIEVALE PrEssO L’IstItutO ItALIAnO dI sCIEnzE umAnE E sCrIttOrE


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el periodo che intercorre tra il X e l’XI secolo, la situazione del papato e di tutta la Chiesa “latina” era quanto mai complessa e problematica. Nel mondo uscito dalla polverizzazione del vecchio ordine carolingio, l’autorità ecclesiale era venuta a trovarsi soggetta all’arbitrio di poteri laici, a loro volta spesso violenti e disordinati.

Age fOtOstOck

I vescovi e i capi delle grandi organizzazioni monastiche (gli abati) si trovavano spesso a coprire incarichi e responsabilità inerenti la pubblica amministrazione, per i quali erano di solito tra i pochi idonei per cultura e per autorevolezza. Il che significa che essi uscivano di solito dalle grandi famiglie aristocratiche, le quali egemonizzavano la vita ecclesiale piegandola ai loro voleri e interessi. Intanto il basso clero vegetava nell’ignoranza e nell’indigenza, e la vita spirituale e pastorale comunitaria era ridotta a livelli miserabili. I vescovi di Roma, in tutto ciò, non erano in grado di esercitare alcuna autorità: anzi la stessa funzione papale, che in quanto funzione episcopale avrebbe dovuto essere affidata a personaggi liberamente eletti dal clero e dal popolo della loro diocesi, o da una qualificata rappresentanza dell’uno e dell’altro, era di fatto caduta nelle mani delle cosche aristocratiche padrone di Roma e della “campagna” circostante, quali i Crescenzi e i conti di Tuscolo.

Custodi, non padroni

La LasTRa di soVana Bassorilievo romanico in pietra su una lastra del duomo di sovana, paese natale di papa gregorio Vii: i pavoni che si dissetano a una fonte simboleggiano l’immortalità dell’anima consacrata a Dio.

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Tuttavia, nella seconda metà del X secolo, le incerte compagini istituzionali nate dal naufragio dell’esperienza carolingia si erano andate riassestando attorno al Regno di Germania, nato dal pur problematico accordo tra i duces, i capi politico-militari delle differenti etnie germaniche conosciute all’epoca come i Franchi orientali (si trattava, in pratica, dei popoli francone, sassone, svevo-alamanno e bavaro). Questi duces, insieme, avevano dato vita al Regnum Teutonicum, sul trono del quale le loro famiglie si sarebbero alternate su una base elettiva che da allora avrebbe costituito

il fondamento di quello che sarebbe stato definito “Impero Romano-Germanico”. Nel 919 la Corona germanica era stata assunta da Enrico I duca di Sassonia, detto “l’Uccellatore”, che l’aveva trasmessa nel 936 al figlio Ottone I , il quale nel 951 era divenuto anche re d’Italia (un’altra delle compagini istituzionali nate dal frammentarsi dell’impero di Carlo Magno) e nel 962 aveva indotto papa Giovanni XII a cingerlo della stessa corona imperiale di cui, fino dall’età carolingia, i papi erano considerati non già padroni bensì custodi, in quanto vescovi del Caput Mundi.

La falsa donazione Per la verità, i papi dell’epoca si consideravano “pontefici massimi” (antico ufficio della Roma pagana, la cui denominazione era passata a significare l’autorità e la potestà su tutti i vescovi cristiani) e detentori legittimi delle insegne imperiali, del dominio politico sulla città di Roma e su tutta la Pars Occidentis dell’Impero in seguito al Constitutum Constantini, di solito conosciuto come “Donazione di Costantino”: con esso l’imperatore Costantino, trasferendosi nella Nova Roma da lui fondata sull’insediamento della vecchia Bisanzio, in riva al Bosforo, avrebbe ceduto al vescovo dell’Urbe tali poteri e prerogative. Oggi sappiamo – come ha irreversibilmente dimostrato, nel Quattrocento, il filologo Lorenzo Valla – che quel documento fu elaborato in realtà dalla cancelleria pontificia, presumibilmente all’epoca di papa Paolo I (757-767), per contrastare il potere longobardo: ma fin dai tempi di Carlo Magno esso era stato ritenuto autentico in tutto l’Occidente.


RIccARDO sPILA / fOtOtecA 9X12

ciboRio pReRomanico Il ciborio in pietra della chiesa di santa maria maggiore, a sovana (Grosseto): risalente al IX secolo, è un insolito esempio di arte preromanica in toscana.


una riforma partita da cluny

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age fotostock

li imperatori romano-germanici debbono essere considerati gli autentici promotori di quella “riforma della Chiesa” che trovò i suoi centri di propagazione in alcune diocesi renane, governate da parenti o da stretti collaboratori, nonché nella grande abbazia benedettina di Cluny, in Borgogna, fondata ai primi del X secolo, posta sotto la diretta autorità del sommo pontefice e divenuta la sede principale di una formidabile congregazione monastica, detta appunto “cluniacense”. A Cluny, attorno alla quale si creò anche una concentrazione di possessi fondiari adatta a sostenerne gli ingentissimi costi, s’impiantarono una nuova scuola liturgica e musicale, un nuovo stile artistico fondamentale nella nascita del romanico, uno scriptorium famoso in tutta la Cristianità. E molti importanti monasteri si affiliarono alla congregazione di cui Cluny era il centro.

la potente abbazia di cluny, fONDAtA NeL 909 e seMIDIstRUttA ALL’ePOcA DeLLA RIvOLUZIONe fRANcese.

Ottone I – una volta stabilito il principio del rapporto d’inscindibilità tra Regno di Germania, Regno d’Italia e Impero Romano-Germanico – non contestò minimamente né la lettera né lo spirito del Constitutum Constantini: ma per gestirne gli effetti aveva dalla sua la forza del potere politico e l’esperienza di governo. Ponendo sotto la sua tutela la Chiesa di Germania, ne aveva imposto la moralizzazione e la rinascita: egli propose lo stesso al papa, liberandolo con un’azione risoluta dalla tutela dei violenti e corrotti nobili romani.

Il “Privilegio di Ottone” La nuova situazione venne formalizzata dal Privilegium Othonis, istituito nel 962, con il quale l’imperatore si aggiudicava il diritto di ratificare le elezioni pontificie in modo da evitare che figure indegne o inadeguate ascendessero al soglio di Pietro, com’era in 46 storica national geographic

tempi recenti accaduto. Pari sorveglianza fu applicata alle sedi episcopali e abbaziali, dalle quali vennero rimossi i prelati espressione dell’arbitrio aristocratico sostituendoli con personaggi fedeli sì al sovrano, ma anche dotati delle necessarie virtù culturali ed etiche: a essi, talora, si affidarono anche uffici di governo temporale, che rimanevano tuttavia distinti dalle funzioni ecclesiali. L’opera di moralizzazione e ridefinizione istituzionale della Chiesa latina, avviata da Ottone I, fu continuata dai sovrani di quello che, fra il X e l’XI secolo, si sarebbe ordinariamente definito l’Impero Romano-Germanico (a esso si aggregava, nel 1033, anche il Regno di Borgogna, poi conosciuto come “di Arles”). Il progetto imperiale di una riforma che salvaguardasse il carattere della gerarchia ecclesiastica quale strumento e istituzione di governo non poteva per sua natura fermarsi


scALA, fIReNZe

ai vescovi; esso doveva porsi definitivamente anche il problema del papato, che continuava nonostante tutto a esser conteso tra le grandi famiglie romane. Per questo l’imperatore Enrico III di Franconia, giunto al potere nel 1039, sette anni dopo, nel 1046, scese in Italia: formalmente, per cingere in Roma la corona imperiale come voleva la tradizione; ma anche in quanto patricius Romanorum, moderatore e garante della città di Roma e responsabile della sicurezza dell’elezione del suo vescovo.

Vuoto di potere Tre candidati, in quel 1046, si contendevano il soglio di Pietro: in un sinodo convocato a Sutri, presso Roma, l’imperatore li depose tutti e impose l’elezione del suo candidato, il vescovo di Bamberga, che assunse il nome di Clemente II. Il programma di riforma imperiale, tuttavia, cominciava a quel punto a

non esser più troppo bene accetto ai rigoristi. A Sutri, infatti, Enrico III non si era limitato a esercitare il vecchio Privilegium Othonis: aveva direttamente indicato il suo candidato. E tuttavia, il cammino dell’indipendenza del papato nei confronti del potere imperiale prese avvio proprio da quel sovrano. Nel 1049 egli aveva difatti innalzato al soglio pontificio, con il nome di Leone IX, il vescovo di Toul, membro di un circolo rigoristico assai austero. Questi accettò la designazione imperiale, ma restaurò poi il principio dell’elezione canonica e iniziò a contornarsi di collaboratori noti per la volontà di riformare la Chiesa. Enrico III morì nel 1056, lasciando un figlio bambino sotto la reggenza della moglie Agnese. Di questo vuoto di potere approfittarono i riformatori, il programma dei quali era sempre più rigorosamente ispirato da monaci formatisi a Cluny o nelle abbazie a essa affiliate.

donazione aLLa chiesa Matilde di canossa, signora di un feudo esteso dall’emilia romagna ai territori pontifici, dona i propri beni alla chiesa. arazzo seicentesco della Manifattura Barberini, Musei Vaticani, roma.

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papa niccolÒ ii dettÒ lo statuto di una chiesa riformata, non più soggetta al potere imperiale Akg / ALBUM

Soldati normanni sU UN cAPIteLLO DeL cHIOstRO DeL DUOMO DI MONReALe, XII secOLO.

Sfruttando la vacanza del potere imperiale, essi riuscirono nel 1057 a far eleggere papa Federico, fratello di Goffredo duca di Lorena, con il nome di Stefano IX. L’altissimo rango nobiliare del nuovo papa sarebbe bastato – confidavano i riformatori – a far sì che la reggente Agnese e i suoi consiglieri ne approvassero l’elezione. A tale scopo era stato inviato in Germania un messaggero che conosceva bene tanto l’ambiente romano quanto quello tedesco: il monaco cluniacense Ildebrando di Soana, dell’abbazia di Santa Maria sull’Aventino, antico collaboratore di quel Giovanni Graziano che, papa con il nome di Gregorio VI, era stato deposto da Enrico III nel sinodo di Sutri del 1046 ed esiliato a Colonia.

Obbligo di celibato Ildebrando, fedele collaboratore di Gregorio VI, lo aveva seguito nell’esilio renano, prima di tornare a Roma dove, per circa un ventennio, era stato l’appartato ma ascoltatissimo consigliere dei pontefici decisi a proseguire nel cammino della riforma. Venuto presto a mancare Stefano IX, nel 1058 i riformatori scelsero come pontefice Gerardo di Borgogna, vescovo di Firenze, che nella sua diocesi, coadiuvato dalla nuova congregazione benedettina dei Vallombrosani, aveva combattuto con decisione quelli che venivano considerati i due principali vizi del clero e i maggiori ostacoli alla riforma: la “simonia”, compravendita venale degli uffici ecclesiastici, e il “nicolaismo”, cioè tanto il matrimonio quanto le pratiche concubinarie diffuse nel clero. Il nuovo papa, assunto il nome di Niccolò II, dettò nel Concilio lateranense del 1059 lo statuto di una Chiesa riformata, la quale non sembrava ormai avere più bisogno dell’appoggio imperiale, in quel momento vacante. Da allora in poi il papa (in quanto vescovo di Roma) sarebbe stato scelto secondo gli antichi canoni – dai quali veniva tuttavia emarginato 48 storica national geographic

l’apporto della volontà popolare, formalizzata nell’acclamatio - dai soli preti e diaconi di Roma e dai vescovi delle diocesi suburbicarie (i “cardinali”); nessun ecclesiastico avrebbe più potuto accettare cariche da un laico (imperatore compreso); il celibato ecclesiastico sarebbe diventato obbligatorio. Il secondo di questi tre punti era gravissimo. In realtà, non solo danneggiava l’imperatore, ma indicava in lui la causa prima della simonia dei prelati: applicato retrospettivamente, veniva in pratica a condannare l’intera Chiesa uscita dalla pur benemerita riforma avviata circa un secolo prima da Ottone I. A Niccolò tenne seguito Anselmo da Baggio, monaco di Le Bec che era stato vescovo di Lucca e, in quanto legato pontifico, aveva fortemente sostenuto un movimento laico dai marcati contenuti pauperistici, la pataria milanese. Asceso al soglio pontificio con il nome di Alessandro II, fu papa dal 1061 al 1073, incoraggiando tra l’altro la lotta contro i musulmani insediati nella Penisola iberica.

L’enigma Ildebrando Il suo programma fu ripreso e perfezionato nel 1073 da colui che aveva del resto contribuito a formularlo: il monaco cluniacense Ildebrando, divenuto papa con il nome di Gregorio VII. Delle forse modeste origini di questo personaggio, sappiamo poco. Nato a Soana (oggi Sovana), nella Toscana meridionale, intorno al 1020, entrato giovane nella congregazione cluniacense, era poi stato in Germania e quindi, come legato pontificio, in Francia. È un mistero quale fosse il suo autentico sentire nei confronti del maestro Gregorio VI, il cui nome aveva assunto ascendendo al soglio pontificio. Era stata simbolica, se non programmatica, quella scelta? Implicava un persistente rancore nei confronti della dinastia imperiale di Franconia, dal momento che quel papa era stato deposto proprio da Enrico III?


foto scala, firenze

L’aLLeaTa piÚ fedeLe matilde di Canossa ritratta a cavallo da Orazio Farinati (1559-1616): la potente contessa sostenne Gregorio VII nella lotta contro Enrico IV. 1587, san Benedetto Po, mantova. storica national geographic

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ORONOZ / ALBUM

mai, prima di gregorio, un papa aVeVa osato colpire l’imperatore con la scomunica Statua in legno DI gRegORIO vII, XvII secOLO, MONfORte De LeMOs (sPAgNA).

Anche dopo l’ascesa di Ildebrando al soglio di san Pietro, le notizie strettamente biografiche su di lui in nostro possesso restano decisamente poche, per quanto in una modesta misura compensate dalle 438 lettere del suo ricchissimo epistolario. All’indomani dell’elezione, Gregorio VII comprese ch’era giunto il momento di portare a fondo, attraverso una formalizzazione anche giuridica, l’attacco contro le prerogative imperiali avviato da Nicolò II. Nel 1075 vietò a tutti i laici, pena la scomunica, d’investire di qualunque prerogativa o bene mondano un qualunque ecclesiastico. Nel 1078 formulò in 27 proposizioni stringate, il Dictatus Papae, la sua concezione del papato, secondo la quale il pontefice aveva in terra potere assoluto ed era in grado di deporre gli stessi sovrani laici.

Enrico IV scomunicato Resta tuttavia sconosciuto, e pertanto ambiguo, il ruolo formale di quel documento: vero e proprio programma esplicito e ufficiale, o semplice appunto atto a servire da traccia per una lenta riforma giuridico-istituzionale? Tuttavia, mentre Gregorio VII formulava il Dictatus Papae, il giovane imperatore Enrico IV, che aveva assunto il governo a soli sedici anni nel 1066, era già passato al contrattacco. In un sinodo riunito nel gennaio del 1076 a Worms, in Renania, i convenuti – tra cui molti prelati convinti della necessità di mantenere le prerogative imperiali sulla Chiesa – dichiararono di non accettare più l’obbedienza nei confronti di Gregorio VII: su questa base Enrico IV dichiarò deposto il pontefice. Gregorio, tuttavia, rispose a sua volta energicamente, scomunicando e deponendo lo stesso imperatore. Ciò comportava lo scioglimento dei suoi sudditi dal dovere di fedeltà. 50 storica national geographic

Mai prima di allora si era osato scomunicare un imperatore, o pensare che ciò fosse possibile: al contrario, la sua persona – com’era esplicitato dal rito religioso che accompagnava l’incoronazione – era considerata sacra. Gregorio VII dovette difendere dinanzi a tutta la cristianità le sue scelte, e lo fece ribadendo l’intrinseca inferiorità dei poteri temporali rispetto a quelli spirituali. D’altronde, egli sapeva che in Germania la situazione politica era contraddistinta da una forte rivalità tra l’alta nobiltà feudale da una parte, la piccola feudalità e i centri urbani dall’altra. Enrico IV, favorendo i secondi, si era inimicata la prima, che adesso prendeva la sua scomunica a pretesto per negargli obbedienza. L’aristocrazia sassone, in particolare, approfittò dell’occasione per rinfocolare una ribellione già in atto nella regione. In un simile contesto i principi si incontrarono nell’ottobre del 1076 a Treviri


alDo PaVan / corBis / coroDn Press

i principi della riforma gregoriana

f

ra i 27 artiColi che compongono il Dictatus Papae, leggiamo “che il pontefice romano è l’unico che può essere giustamente chiamato universale”; “che egli solo può deporre o riammettere i vescovi”; “che ad Egli solo è legittimo, secondo i bisogni del momento, fare nuove leggi, riunire nuove congregazioni, fondare abbazie”; “che egli solo può usare le insegne imperiali”; “che solo al papa tutti i principi devono baciare il piede”; “che gli è permesso deporre gli imperatori”; “che una sua sentenza non possa essere riformata da alcuno; al contrario, Egli può riformare qualsiasi sentenza emanata da altri”; “che egli non possa essere giudicato da alcuno”; “che la Chiesa romana non ha mai errato; né, secondo la testimonianza delle scritture, mai errerà”; “che egli possa liberare i sudditi dall’obbligo di obbedienza ai principi che hanno imposto il loro potere con la forza”. il duomo di WormS (XII secOLO): LA cIttà teDescA OsPItò NeL 1076 IL sINODO RIUNItO DA eNRIcO Iv PeR DePORRe gRegORIO vII.

per eleggere il nuovo re di Germania, ma fortunatamente per Enrico non si accordarono sul nome del successore. La decisione, però, era solo rinviata, a meno che il sovrano non trovasse un accordo con il papa.

In ginocchio nella neve Dinnanzi al pericolo di una ribellione interna, il sovrano comprese che non c’era altro da fare se non seguire la strada di una conciliazione che passava per una provvisoria sconfitta. E lo fece in maniera teatrale: incontrandosi con il papa nell’inverno del 1077 alla rocca di Canossa, sugli Appennini tosco-emiliani, dove Gregorio era ospite della sua fedele alleata, la contessa Matilde, marchesa di un ampio territorio che, inglobando la Toscana, andava dall’Emilia sino alle terre pontificie. Lì, in abito penitenziale e inginocchiato nella neve, Enrico attese a lungo implorando di essere

ricevuto e perdonato. Era un’umiliazione straordinaria: ma, nella mentalità dell’epoca, essa al tempo stesso glorificava sia il papa, obiettivo di tale gesto, sia l’imperatore che – pur rappresentando al più alto grado la potenza terrena – aveva seguito nell’umiltà l’esempio di Cristo. A questo punto, Gregorio, pur cosciente delle possibili conseguenze della sua decisione, non poté astenersi dal perdonare il sovrano. Non si arrivò insomma a un sistematico accordo, impossibile data la distanza fra le posizioni: ma la scomunica era revocata. Enrico spiazzò così i suoi avversari tedeschi, che pure gli opposero come “anti-re” Rodolfo di Svevia. La guerra tra le due fazioni si trascinò fino al 1080, quando Gregorio VII – che aveva accumulato nuovi motivi di sfiducia nei confronti dell’imperatore – decise di rompere gli indugi e di riconoscere come sovrano Rodolfo, di nuovo scomunicando Enrico IV. In storica national geographic

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scALA, fIReNZe

assediato per tre anni in castel sant’angelo, il papa fu liberato da roberto il guiscardo il batteSimo di geSÙ, PANNeLLO IN AvORIO DecORAtO DeL XII secOLO, sALeRNO.

questa circostanza fu, però, probabilmente mal consigliato: i sostenitori del principe svevo non erano in grado di assumere il controllo della situazione politica e militare, mentre l’ingerenza pontificia nelle questioni tedesche dispiacque a larga parte dell’aristocrazia di quel regno, che si strinse attorno al legittimo sovrano; per di più, morto nel 1080 Rodolfo di Svevia, la sua fazione si trovò decapitata.

L’esilio a Salerno Da questa ritrovata posizione di forza, Enrico rispose alla seconda scomunica facendo indire nel 1080 a Bressanone un concilio dai vescovi a lui fedeli, che addossarono al “falso monaco Ildebrando” la responsabilità di tutti i mali della cristianità, lo deposero ed elessero in sua vece un altro papa, Guiberto arcivescovo di Ravenna, che assunse il nome di Clemente III. Vista la piega presa dagli eventi, tredici cardinali si schierarono contro Gregorio. In quel momento, fra l’altro, il pontefice non poteva contare neppure sui suoi alleati, i Normanni dell’Italia meridionale, poiché il loro capo, Roberto il Guiscardo, era impegnato nell’assedio del porto bizantino di Durazzo. Anche Matilde di Toscana aveva scarse possibilità di aiutarlo. Enrico IV poté così giungere a Roma, entrarvi senza trovare resistenza e far consacrare papa Clemente III. Ildebrando si trincerò in Castel Sant’Angelo, da dove, mentre trattava con Enrico, reiterò l’appello a Roberto il Guiscardo: nel maggio del 1084 questi riuscì a sua volta a entrare a Roma, prelevando il papa e mettendolo al sicuro. Tuttavia, nell’occasione, i Normanni saccheggiarono la città; oltre alle ruberie, le distruzioni condussero una parte della popolazione a spostarsi nella zona di Campo Marzio, abbandonando altri quartieri cittadini; senza contare che anche le aree monumentali antiche subirono gravi danni. Un altro colpo su una città che ormai era l’ombra di se stessa. 52 storica national geographic

La popolazione romana ormai non poteva fare a meno di addossare la responsabilità di questa catastrofe a Gregorio VII, colpevole dell’alleanza con i Normanni. Insieme a loro, seguendone poco onorevolmente la ritirata, il papa dovette raggiungere Salerno, dove visse un breve esilio. Morì il 25 maggio del 1085. I riformatori continuarono comunque la loro lotta in suo nome. Tuttavia, nel giro di pochi anni andò facendosi strada la sensazione che si dovesse trovare un accordo tra le esigenze della riforma, ormai condivise da larga parte del clero e dei fedeli laici, e quelle della continuità nella vita istituzionale della Chiesa. Si ebbe così un graduale abbandono della causa di Enrico IV e un avvicinamento a quella di un papato che ormai aveva consolidato le sue posizioni di guida d’una Chiesa dal controllo della quale i laici erano stati allontanati, ma che era disposto anche al compromesso.

I penitenti della Prima crociata Il successore di Gregorio VII, l’abile Oddone di Lagery, divenuto papa Urbano II, si adoperò a rafforzare il potere dei vescovi, che nella fase più dura della riforma era stato travolto, e a restaurarne addirittura alcuni, ex “enriciani”, sulla loro antica cattedra. Si può dire insomma che, se Gregorio VII non concluse felicemente il suo pontificato, l’eredità del Dictatus Papae (che restò un documento programmatico, senza però divenire parte del diritto canonico) avrebbe pesato sulla storia e le prerogative del papato dei secoli successivi. La spedizione più tardi chiamata Prima crociata, un pellegrinaggio armato sulla via della Terrasanta, fu appunto proclamata da Urbano II e segnò il “ritorno all’ordine” nella Chiesa. In essa, non a caso, si distinsero alcuni vecchi sostenitori di Enrico IV, come Goffredo di Buglione, duca della bassa Lorena: un po’ eroi della fede, un po’ pellegrini penitenti che scontavano così la loro militanza “dalla parte sbagliata”.


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L’uLTimo Rifugio deL ponTefice La facciata e il portico del duomo di salerno (XI secolo), ultimo rifugio di Gregorio VII dopo la fuga da roma al seguito dell’esercito normanno (1084).

storica national geographic

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Il papa all’Inferno Dante e Virgilio nella bolgia infernale dei simoniaci, tra i quali figura anche Bonifacio VIII. I colpevoli sono condannati a stare a testa in giù. Incisione colorizzata. Gustave Doré. 1885. Collezione privata.

bridgeman / index

Busto dI BonIfacIo VIII Il pontefice indossa la mitra e il manto papale e regge le chiavi del regno dei cieli. Scultura gotica opera di Arnolfo di Cambio (circa 12451302). Appartamenti Pontifici, Città del Vaticano.


scala, firenze

In dIfesa della teocrazIa papale

BonIfacIo vIII Abile politico, fine teologo e strenuo sostenitore della supremazia della Chiesa su ogni altra autorità, ebbe un pontificato segnato da forti conflitti e contrasti, specie con il re di francia, che con l’offesa di Anagni ne segnò la fine MArInA MonteSAno ProfeSSore DI StorIA MeDIeVAle UnIVerSItà DI MeSSInA e UnIVerSItà VItA-SAlUte SAn rAffAele DI MIlAno


N

el Duecento, lo scontro fra papato e Impero aveva visto il primo trionfare, almeno in apparenza. Ma, all’inizio del secolo successivo, anche le mire egemoniche e universalistiche del papato subirono un colpo, messe in crisi da quelle stesse forze che esso aveva favorito: prima fra tutte, il regno di Francia.

Dopo il trionfo di Carlo I d’Angiò nel regno di Napoli e la scomparsa del re di Francia Luigi IX, i rapporti fra Chiesa e potenza angioina si erano fatti difficili. In linea teorica, gli Angiò erano, in quanto re di Napoli, vassalli della Santa Sede; ma Carlo I si era assunto anche il compito politico di difensore dell’autorità pontificia contro il “pericolo” ghibellino, e la sua protezione si era gradualmente mutata in ricatto a mano a mano che nel corso degli anni Settanta del secolo – mentre l’Impero era preda di un lungo interregno – andava chiarendosi a tutti che tale pericolo non esisteva più. L’alternarsi sul soglio pontificio, tra il 1266 e il 1294, di papi “filoangioini” e papi “antiangioini”, rivelò quanto profondo fosse, nella gerarchia ecclesiastica, il disorientamento dovuto al progressivo assoggettamento del papato alla politica franco-angioina. Papa Niccolò IV era morto nel 1292, e per due anni il conclave non riuscì a esprimere un suo successore. Allora un eremita abruzzese, Pietro da Morrone, il quale da molti decenni aveva fondato sulla Maiella una comunità religiosa dedita al più severo ascetismo, profetizzò che gravi sciagure si sarebbero abbattute sulla Chiesa se la crisi non si fosse risolta. Era tanta l’autorità morale dell’eremita, che il conclave rispose eleggendolo papa il 5 luglio 1294. Tale scelta parve avviare una fase di autentico rinnovamento della Chiesa. Ne furono entusiasti soprattutto i francescani “spirituali”, come il poeta Iacopone da Todi. 56 storica national geographic

scala, firenze

Il papato filoangioino


crIpta del duomo dI anagnI la città laziale ha ottenuto l’appellativo di “città dei papi” per aver dato i natali, oltre che a Bonifacio VIII, ad altri tre pontefici: Innocenzo III, Alessandro IV e Gregorio IX.


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dotato dI un alto concetto dell’ autorItà papale e dI sé , sI accInse a un compIto arduo Sigillo di Bonifacio viii. 1295. scuola francese, Parigi.

L’esperimento pontificio di Pietro da Morrone, che aveva assunto il nome di Celestino V, si rivelò a ogni modo fallimentare. Il nuovo papa non possedeva nessuna competenza né teologica, né politica, né giuridica: in un primo tempo si lasciò irretire dai cardinali fedeli a Carlo II d’Angiò; successivamente venne costretto dai prelati dell’opposta fazione ad abbandonare la tiara papale.

Benedetto Caetani Fu allora, nel dicembre 1294, che al soglio papale ascese il cardinale Benedetto Caetani con il nome di Bonifacio VIII. Nato ad Anagni intorno al 1235 da una nobile famiglia che disponeva di grandi feudi nella campagna romana, aveva accumulato in gioventù una grande esperienza diplomatica in Francia e in Inghilterra, divenendo cardinale nel 1281. Di lui era apprezzata l’abilità politica e diplomatica, in un momento in cui la Chiesa era oggetto al suo stesso interno di forti contrasti. I suoi avversari sostennero poi che aveva fatto di tutto, e con ogni mezzo, per indurre Celestino ad abdicare. Comunque, è certo che lo confinò nel castello di Fumone, dove l’eremita abruzzese si sarebbe spento nel 1296. Grande aristocratico, giurista e canonista di profonda competenza, dotato di un alto concetto dell’autorità papale e di se stesso, il nuovo pontefice si accinse a un compito arduo. Il potere papale era contestato nella stessa Roma e nei territori del “Patrimonio di san Pietro”; era bersaglio di critiche e motivo di passioni politiche nell’Italia divisa tra guelfi e ghibellini, dove bisognava appoggiare i primi senza però consentire che ciò andasse a vantaggio esclusivo degli angioini. Nel contempo era necessario risolvere la crisi della Sicilia, contesa tra angioini e aragonesi, riaffermando l’alta sovranità papale sull’isola; infine, occorreva riprendere il programma d’Innocenzo III, consistente nell’affermare l’egemonia del58 storica national geographic

la monarchia papale su tutte quelle terrene. A Roma e nell’entroterra romano, i grandi avversari di Bonifacio erano i Colonna, potente famiglia che contava anche cardinali e che contestava la validità dell’elezione papale di Bonifacio. A questa si erano appoggiati i francescani “spirituali”, che nel nuovo pontefice identificavano il più aspro nemico della loro vocazione alla povertà e al rifiuto del potere. Ma il papa batté i Colonna espugnandone nel 1298 la rocca di Palestrina, e perseguitò con durezza i francescani “spirituali”. Riguardo alla questione siciliana, Bonifacio impose nel 1295, con il trattato di Anagni, il ritorno della Sicilia agli angioini; ma i Siciliani non accettarono tale soluzione e continuarono a combattere. Ciò rese necessario per il papa collegarsi più strettamente sia alla dinastia angioina sia al regno di Francia, e chiedere anche il soccorso economico dei banchieri fiorentini che erano tradizionalmente alleati della Chiesa e partigiani della fazione guelfa. A Firenze, però, i guelfi erano divisi in “neri”, intransigenti, e “bianchi”, che sostenevano invece una politica di pacificazione con i ghibellini e di cautela nei confronti del papato. Al fine di spazzare via la resistenza dei “bianchi” e di sottomettere i siciliani riluttanti ad accettare le risoluzioni di Anagni, Bonifacio si appellò a Carlo di Valois, fratello del re di Francia Filippo IV il Bello. Il principe francese avrebbe dovuto svolgere in Italia le funzioni di “pacificatore”; invece, con l’inganno e con la violenza, favorì ovunque i partigiani del papa. A Firenze, la sua venuta coincise nel 1301 con l’esilio dei guelfi “bianchi”, tra i quali si trovava anche Dante Alighieri.

Il Giubileo del 1300 Il Giubileo ebraico è una tradizione che la Bibbia fa risalire a Mosè e si fonda sulla remissione di alcune condanne da accordarsi sulla base di un preciso calendario ciclico.


DEA / Art ArchivE

la leggenda della pIa veronIca

BonIfacIo VIII con due chIerIcI Il pontefice annuncia ai fedeli per il 1300 il primo Giubileo, da lui stesso istituito. Affresco di Giotto nell’arcibasilica di San Giovanni in laterano, roma. XIV secolo.

scAlA, firEnzE

n

ei vangeli si narra l’episodio della “emorroissa”, la donna afflitta da una grave emorragia, che toccando la veste di Gesù guarisce miracolosamente. nel tempo tale racconto si intrecciò con quello narrato dagli Apocrifi a proposito di una donna, Veronica: il nome è una corruzione del greco Pherenìke/Berenìke, “portatrice di vittoria”, associato in latino a vera icon, “vera immagine”; in occidente si diffuse infatti la leggenda di una donna che avrebbe seguito la passione del Cristo tergendone sangue e sudore con un panno di lino, sul quale il volto del Signore sarebbe rimasto impresso. Il possesso della reliquia è rivendicato da molte chiese; quella romana fu mostrata durante il Giubileo di Bonifacio VIII.

VeronIca con Il Velo la “pia donna” che secondo la leggenda avrebbe deterso il viso di Gesù nella dolorosa salita al Calvario. Hans Memling (circa 1430-1494). Memling Museum, Bruges.


la tIara pontIfIcIa o trIregno

I

Pontefici altomedievali indossavano

Art ArchivE

copricapi molto semplici. la tiara di forma conica, di derivazione persiana, cominciò a essere adottata dai vescovi occidentali intorno al X secolo in concomitanza con l’accrescersi delle loro funzioni temporali. In particolare, la tiara pontificia si arricchì di pietre preziose sul modello di una corona per sottolineare, soprattutto dopo l’XI secolo e dopo la riforma patrocinata da Gregorio VII, la supremazia del papa rispetto all’imperatore e ai sovrani d’europa. fu Bonifacio VIII ad aggiungere una seconda corona, a mo’ di fascia, quale simbolo della doppia condizione di sovranità spirituale e temporale del pontefice. nel 1342, durante la cattività avignonese, Benedetto XII impose la terza corona, forse come segno della sovranità sulla Chiesa universale: ma la simbologia del cosiddetto triregno è ancora oggi tema di discussione.

San pietro con la tiara nel trittico della cattedrale di moulins. diPinto di jean hey (1475-1505 circa).

art archive

Bolla dI BonIfacIo VIII con tale documento il pontefice decretò il divieto per gli esuli dal regno di sicilia di entrare a Benevento. l’atto seguiva alla distinzione tra regno angioino e aragonese. 1295. Museo del sannio, Benevento.

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Il termine deriva dall’ebraico yobel, che letteralmente significa “capro” poiché tale festività era annunciata con il suono di un corno di capro. Nell’ebraismo biblico essa ricorreva al termine di un ciclo di 49 anni; il cinquantesimo veniva santificata con il riposo della terra, e dunque con il divieto di attività quali la semina e il raccolto, con la liberazione degli schiavi e con altre misure di magnanimità. Dopo la caduta di Acri, ultima roccaforte dei Latini nel vicino Oriente, Gerusalemme e tutta la Terrasanta erano ormai saldamente nelle mani dei musulmani. I pellegrinaggi al Santo Sepolcro continuavano comunque, ma Bonifacio VIII prese atto che la crociata era ormai nella pratica improponibile, e decise di

proporre il pellegrinaggio giubilare romano quale piena sostituzione di quello gerosolimitano, con adeguata remunerazione in termini d’indulgenza plenaria. La volontà pontificia fu tradotta in termini concettualmente chiari da un trattato redatto proprio nel 1300 dal cardinale Jacopo Stefaneschi, il De centesimo seu iubileo anno. Anche sotto questo aspetto Bonifacio VIII fu il grande erede del programma ierocratico di Gregorio VII e d’Innocenzo III. Con il Giubileo, Roma venne a occupare definitivamente quel posto centrale nell’immaginario e nel sistema giuridico e sacrale della Chiesa latina che fino ad allora era spettato a Gerusalemme. L’innovazione bonifaciana s’inserì nel clima di attese apocalittiche caratteristico della fine del XIII secolo e dell’inizio del XIV: ormai da tempo si moltiplicavano i penitenti e i flagellanti, in un clima di forte tensione spirituale.


Elio lombArDo / AgE fotostock

Il 17 gennaio del 1300 il pontefice presenziò a una grande processione in onore della Veronica (da vera icon, celebre reliquia che, secondo la tradizione, recava impressa l’immagine del volto di Cristo), che venne poi rinnovata ogni settimana per tutto quell’anno. Il Giubileo nacque dunque dal convergere di una situazione storica segnata dalla crisi dell’idea di crociata, di una forte e profonda religiosità popolare indirizzata alle pratiche del pellegrinaggio e del culto delle reliquie e dalla volontà di un grande papa che seppe tradurre in termini istituzionali, ma anche propriamente religiosi, le istanze del suo tempo. Inizialmente l’anno giubilare cadeva ogni 50 anni, poi dal 1450 cadde ogni 25. I fedeli che si fossero recati in pellegrinaggio a Roma, compiendo particolari pratiche religiose, ricevevano l’indulgenza plenaria. Il successo del Giubileo e il massiccio afflusso di cittadini

erano anche una risorsa economica non indifferente per la città e il papato. Tuttavia, se il Giubileo aveva rappresentato un successo, non tutti i problemi erano risolti.

Filippo il Bello Gli avvenimenti del 1295-1301 avevano legato fin troppo la causa di Bonifacio al prestigio del re francese, che allora perseguiva a sua volta una forte politica di accentramento regio all’interno del suo Paese, e di egemonia al di fuori di esso. Nel 1296 Bonifacio VIII aveva condannato le scelte di Filippo IV il Bello e di Edoardo I d’Inghilterra che, in guerra tra loro, avevano violato i privilegi fiscali del clero. Alla condanna pontificia, Filippo IV aveva risposto vietando che i proventi delle decime lasciassero la Francia per raggiungere Roma. Si giunse a un accordo soltanto nel 1298, quando i re di Francia e d’Inghilterra deposero le armi.

san paolo fuorI le mura con l’istituzione del giubileo, Bonifacio garantì l’indulgenza plenaria, la remissione di tutti i peccati, ai fedeli che in quell’anno si fossero recati a roma a visitare le basiliche di s. pietro e s. paolo fuori le mura.

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corbis / cordon Press

bridgeman / index

Il processo al papa POST MORTEM

p

er liberarsi non soltanto fisicamente del suo avversario,

Bonifacio VIII, ma anche della sua memoria, il re di francia si servì dei suoi alleati (Guillaume de Plaisians prima, Pietro Colonna poi) per costruire un castello di insinuazioni contro il pontefice. tra queste, le accuse di commercio con il demonio occupano un posto di rilievo: Bonifacio avrebbe avuto un “familiare” (termine con cui si indicava un demonio personale, parallelo e inversione satanica dell’angelo custode). Il papa sarebbe stato iniziato alla negromanzia da Bonifacio il lombardo, un negromante vicentino. Il processo post mortem si trascinò fino al 1313; una condanna vera e propria non vi fu mai, tuttavia la memoria di Bonifacio risultò infangata; nel frattempo il re di francia poté servirsi dei medesimi capi d’accusa per avviare la persecuzione contro i templari.

la Morte di Bonifacio viii, riverso sul soglio Pontificio. olio su tela di nicolò barabino (1832-1891). usher gallery, lincolnshire county council, lincoln.

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La situazione tornò a riproporsi nel 1301. Filippo IV, appoggiato dai suoi funzionari che avevano elaborato per lui una serie di tesi politiche “regalistiche”, in base alle quali il sovrano non riconosceva sul proprio territorio alcuna autorità superiore alla propria, né imperiale né pontificia, era ben deciso a combattere la presenza politica ed economica della Chiesa nel suo regno. Rompendo definitivamente con la tradizione cristiana, corroborata dal diritto romano, che voleva la cristianità riunita in un solo corpo sociopolitico, il regalismo afferma che i re non riconoscono alcun superiore al di sopra di loro, quindi neppure l’imperatore romano-germanico. Ne consegue che i poteri imperiali, cioè le prerogative che dell’imperatore facevano la fonte unica del diritto, appartengono in effetti al re all’interno del territorio del suo regno. In questo modo, si denuncia definitivamente


il contenuto ecumenico del pensiero politico medievale e ci si avvia alla concezione moderna dello Stato assoluto. Naturalmente, le teorie dei giuristi francesi poterono trovare terreno fertile in quanto al tempo delle sue contese con il pontefice, Filippo IV aveva già avviato un’accorta politica in patria. Diffidente di quella aristocrazia feudale che aveva sempre limitato e spesso combattuto le prerogative della corona, egli preferì circondarsi di una nuova nobiltà proveniente dal ceto dei giuristi e dai funzionari di corte di estrazione borghese: la noblesse de robe (“nobiltà di toga”). Questi nuovi nobili non avevano alle spalle illustri lignaggi; dovevano la loro fortuna al sovrano, e gli erano fedeli in quanto il loro prestigio era legato direttamente a lui. Forte di questa situazione, Filippo il Bello convocò gli Stati Generali e ottenne il loro appoggio per un disegno fiscale

che comprendeva la tassazione del clero. Bonifacio rispose a queste pretese prima con la bolla Ausculta fili, nella quale ribadiva il diritto della Chiesa a godere di speciali prerogative, poi con quella Unam Sanctam (1302) che – sulla linea delle affermazioni già avanzate dai papi Gregorio VII e Innocenzo III – fondava una vera e propria teoria generale del diritto dei pontefici a porre il loro primato su qualunque potere della Terra. La Chiesa è il Corpo mistico del Cristo; il Cristo stesso ne è il capo, e al pontefice romano, come suo vicario in Terra, spettano le “due spade”: quella spirituale che egli usa direttamente e quella temporale che egli manovra delegandola ai sovrani del mondo. La ferma dichiarazione dell’Unam Sanctam avrebbe potuto davvero essere uscita dalla cancelleria di un papa di uno o due secoli prima: in tal senso era “anacronistica”, dal

carlo dI ValoIs a fIrenze l’ingresso trionfale del sovrano francese coincise con l’espulsione dalla città dei guelfi “bianchi”, sostenitori di Bonifacio Viii. Dipinto di Francesco granacci, 1515-1520. galleria degli Uffizi, Firenze.

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guido alberto rossi / age fotostock

panorama dI sermoneta alla fine del Xiii secolo il comune laziale divenne uno dei territori dominati della antica e potente famiglia nobiliare dei caetani. Di questa fecero parte ben due pontefici: gelasio ii e Bonifacio Viii.

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momento che, mentre un Gregorio VII o un Innocenzo III disponevano di una forza politica e contrattuale concreta sulla quale fondare le loro pretese, Bonifacio VIII era ormai, nella politica del suo tempo, un isolato.

Verso il declino Se i papi del Duecento avevano vinto la loro battaglia contro l’Impero appoggiandosi alle monarchie francese e angioina e sfruttando gli entusiasmi di una vasta base cristiana desiderosa di riforme spirituali (per esempio i vari movimenti legati al Francescanesimo), Bonifacio si accorgeva ora di essere circondato da nemici da qualunque parte si volgesse: si era messo in urto proprio con la tradizionale alleata del papato duecentesco, la Corona francese, mentre quanti attendevano pieni di speranza il ritorno della Chiesa alla purezza delle origini e l’avvento del “papa angelico”

lo detestavano perché vedevano in lui l’esatto contrario delle loro aspirazioni, il pontefice corrotto e assetato di potere. Il re di Francia non si lasciò intimidire dal testo dell’Unam Sanctam: al contrario, riunì nel giugno 1303 un’assemblea di avversari del papa nella quale questi fu dichiarato scismatico, eretico e simoniaco, riprendendo fra l’altro le dicerie relative all’irregolarità della sua elezione pontificia. Un consigliere del re, Guglielmo di Nogaret, fu inviato in Italia con l’incarico di catturare il “falso papa” e, con l’appoggio dei nemici romani del Caetani, poté così imprigionare in Anagni il pontefice e umiliarlo. Anagni era però fedele al papato: il popolo della cittadina laziale insorse, liberò il pontefice e scacciò i suoi aggressori. Bonifacio tornò così a Roma, libero ma ormai distrutto dall’accaduto. Morì poco dopo: l’11 ottobre 1303.


scala, firenze

Il prImo gIuBIleo nella miniatura Bonifacio VIII dà l’avvio al primo anno giubilare affacciandosi dalla loggia delle Benedizioni del Palazzo del laterano. Biblioteca Ambrosiana, Milano.

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shutterstock

age fotostock

Il palazzo deI papI Il complesso, che si estende su un’area di 15.000 metri quadrati, fu edificato tra il 1335 e il 1364. In primo piano il Ponte di SaintBÊnezet completato nel 1185 ma piÚ volte ricostruito.


Il papato ad avIgnone

la chIesa In esIlIo Per quasi settant’anni, la Santa Sede rimase nella città di Avignone. Qui i pontefici che si successero sul trono di Pietro allestirono una delle corti più brillanti del Medioevo OrIOl lujÁn felIu StOrIcO


A

erIch LessINg / aLbum

gli inizi del XIV secolo, Avignone era una modesta cittadina affacciata sulla riva sinistra del Rodano. Contava tra i cinquemila e i seimila abitanti, era la sede di una piccola diocesi e disponeva di un’università istituita non molto tempo prima. Tuttavia la sua fisionomia era destinata a cambiare radicalmente nel corso di pochi decenni.

RelIquIaRIo dI uRbano V il prezioso oggetto appartenuto al pontefice conteneva frammenti del velo insanguinato di cristo donato all’imperatore carlo iV da Urbano ii. XiV secolo. chiesa di San gallo, Praga.

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Alla fine del secolo Avignone ospitava una popolazione di oltre 30.000 persone, equivalente a quella di città come Firenze o Napoli e inferiore solo a quella di Parigi. Inoltre, per le sue vie si potevano ormai incontrare alti prelati, principi e sovrani. Questa trasformazione si verificò grazie ai sette papi che risiedettero ad Avignone tra il 1309 e il 1377 e fecero di essa la nuova capitale della cristianità. Il primo pontefice a trasferirsi nella città provenzale fu Clemente V, papa dal 1305 al 1314, che era di origine francese ed era stato arcivescovo di Bordeaux. Eletto in un conclave riunito a Perugia, Clemente non si recò mai a Roma per prendere possesso del trono di san Pietro, ma fu incoronato pontefice a Lione e, dopo essersi fermato presso diverse città francesi (Cluny, Nevers, Bordeaux, Poitiers), giunse ad Avignone il 9 marzo del 1309. Qui si stabilì in un austero convento di domenicani. Di fatto, da tempo i papi cercavano di evitare Roma, ridotta a essere lo scenario delle interminabili lotte tra le grandi famiglie aristocratiche. Oltre a offrire tranquillità al capo della Chiesa, Avignone era per il pontefice il luogo ideale in cui attendere l’apertura dell’importante concilio ecumenico che era stato indetto a Vienne, un’altra città della Provenza.

All’ombra della Francia Avignone non era propriamente una località francese: si trovava nel Contado Venassino, una regione della Provenza di cui erano signori gli Angiò, vassalli del papa. Per il papato non si trattava, quindi, di una terra estranea, anche se l’insediamento dei pontefici ad Avignone costituì di fatto un sim-

bolo della tutela che il sovrano francese Filippo IV il Bello esercitava allora su di loro. Una tutela che ebbe modo di manifestarsi nello scioglimento dell’ordine dei Templari, decretato da Clemente V sotto la pressione del re nel 1312, durante il Concilio di Vienne. La soppressione del Tempio è uno degli episodi che hanno creato l’immagine di un papato sottomesso ai disegni della Francia, ma questo quadro deve essere in qualche modo sfumato: Clemente V, per esempio, non arrivò a istruire, come voleva il re francese, un processo contro Bonifacio VIII, un papa con cui Filippo IV aveva avuto rapporti ostili. Certamente, dopo la morte di questo monarca l’influenza dei sovrani francesi sul papato si affievolì, anche se, in linea generale, i pontefici si mostrarono favorevoli alla Francia nel conflitto che dal 1337 la vide opporsi all’Inghilterra: la Guerra dei Cent’Anni. È vero che tutti i papi di Avignone furono di origine francese, così come 111 dei 134 prelati promossi alla porpora cardinalizia fino al 1378. Tuttavia è altrettanto vero che durante la permanenza del papato in Italia, per la maggior parte i prelati erano italiani, e che sul soglio pontificio si erano succeduti papi italiani. L’insediamento del papato ad Avignone sembrò, all’inizio, una circostanza transitoria. Tuttavia Giovanni XXII, papa dal 1316 al 1334, il successore di Clemente V, visse lì per tutto il suo pontificato, e Benedetto XII, papa dal 1334 al 1342, iniziò la costruzione di un palazzo pontificio, poi ulteriormente ingrandito dal papa seguente, Clemente VI (1342-1352). Era una residenza splendida, degna di un re. La magnificenza dell’edificio corrispondeva a


akg / aLbum

MInIatuRa dI aVIgnone Il Palazzo dei papi, il Ponte di SaintBĂŠnezet sul rodano e il Rocher des Domes, il colle che domina il fiume. Miniatura francese del 1409.

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Il concIlIo dI VIenne Su pressione di Filippo il Bello, clemente V convocò nella località francese il XV concilio ecumenico (13111312) che decretò la soppressione dei templari. cesare nebbia (1536-1614). Biblioteca Vaticana.

quella del papato. Nel 1347 Clemente V spese 1278 fiorini per acquistare lenzuola di damasco tessute con fili d’oro, mentre destinava al suo guardaroba 1800 pellicce di ermellino. Intorno al pontefice, la stella di Avignone, orbitavano numerosi cardinali, i quali mantenevano corti principesche e si dedicavano a una vita lussuosa nella quale non mancavano i germi della dissipazione e della corruzione.

Prigionieri a Babilonia? Questo lusso esagerato venne percepito come un segno di decadenza morale e suscitò l’irritazione di intellettuali come Francesco Petrarca, il quale trascorse un periodo ad Avignone occupandosi di questioni diplomatiche. Il poeta, che rifiutò un vescovado e il posto di segretario pontificio offertogli da Clemente VI, redasse diciannove epistole nelle quali criticò lo stile di vita dei papi di Avignone. Nel

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1358 scriveva all’amico Francesco Nelli: “In quel luogo ogni bene si perde: per prima, la virtù, e, poi, successivamente, la tranquillità, la gioia, la fede, la carità e l’anima, perdite terribili! Tuttavia in quel regno di avidità esse non vengono considerate tali perché non riguardano il denaro… Ahimè, la verità è follia; la moderazione, rozzezza; il pudore, grave obbrobrio; e la sfrenatezza quanto più viziosa, tanto più illustre…! O città perversa collocata sulle rive selvagge del Rodano, nemica dei buoni, rifugio e asilo per i malvagi, e meretrice, non so dire se famosa o miserabile, che si è prostituita di fronte ai re di questo mondo!”. Petrarca alimentava così il luogo comune che paragonava il soggiorno dei pontefici ad Avignone a una “seconda cattività a Babilonia”, la città nella quale il re Nabucodonosor II esiliò gli Ebrei e il cui nome nella Bibbia costituiva il compendio di tutti i peccati. Ecco in qua-


brIdgemaN / INdex

la tURBolenta RoMa Nella ROMa cONvulsa da cui si erano allontanati i papi di Avignone,

photoaIsa

nel 1347 salì al potere cola di rienzo, un tribuno di umili origini. Sostenitore di un egualitarismo sociale di tipo messianico, si scontrò con la nobiltà e la chiesa, che lo scomunicò. nel 1354 però Innocenzo VI lo nominò governatore della città. Qui morì assassinato in una rivolta.

li termini essa viene descritta nell’Apocalisse di Giovanni (17, 5-6): “Babilonia la grande, la madre delle meretrici e delle abominazioni della terra. E vidi la donna ebbra del sangue dei santi e del sangue dei martiri di Gesù”. Nella prima quartina del sonetto 114 del Canzoniere, riferendosi al suo allontanamento dalla corrotta sede papale, Petrarca opera poi una totale identificazione di Avignone con l’antica città mesopotamica: “De l’empia Babilonia, ond’è fuggita / ogni vergogna, ond’ogni bene è fori, / albergo di dolor, madre d’errori, / son fuggito io per allungar la vita.” Tuttavia, è certo che i pontefici non erano affatto prigionieri dei sovrani francesi e anzi si trovavano molto a loro agio ad Avignone, fino al punto che Clemente VI comprò la città da Giovanna d’Angiò nel 1348, con il Contado Venassino, per 80.000 fiorini d’oro. I pontefici ad Avignone non solo godevano di

Mappa di ROMa. Bassorilievo sulla facciata di santa Maria del giglio, venezia.

maggiore tranquillità rispetto alla turbolenta Roma, ma si trovavano anche nel luogo ideale per dirigere un’istituzione che non era romana, né italiana e nemmeno mediterranea, bensì europea. Uno scrittore francese rispondeva alle critiche di Petrarca sostenendo che “la scelta di Avignone si giustifica con la situazione stessa del luogo che è più equidistante dalle frontiere moderne della Chiesa cattolica, così che nostro signore il papa potrà sempre somministrare ai fedeli cristiani la loro medicina spirituale con più facilità ed equità”.

Un fiume d’oro Il denaro che si riversava nella città provenzale, e che tanto ripugnava alla sensibilità di Petrarca, era la prova che i papi di Avignone erano riusciti a mettere in piedi una fiscalità efficiente con la quale affrontare le immense spese che erano costretti a sostenere. StoricA nAtionAl geogrAPhic

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La Tour de la Campane Situata nell’ala nord-ovest, la torre deve il suo nome alla campana che scandiva le attività quotidiane nel palazzo. Si affaccia su un chiostro.

La Tour de la Gâche eretta durante il pontificato di innocenzo Vi, questa torre costituisce il punto di osservazione più elevato dell’intero palazzo.

La Porte des Champeaux ingresso, cui si accede tramite una scalinata realizzata nel XiX secolo. Sormontato da due piccole torri in stile neogotico, introduce nel cortile principale.

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La Grande Chapelle conosciuta anche come chapelle clementine (era la cappella privata di clemente Vi), misura 20 metri di altezza, 52 di lunghezza e 15 di larghezza.


Il palazzo deI papI

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RasfeRitO il papatO ad avigNONe, clemente V si stabilì nel locale convento dei domenicani, un edificio ampio e austero. fu il suo successore, Giovanni XXII, ex vescovo della città, a collocare la Santa Sede in quello che oggi conosciamo come Palazzo dei papi, ingrandendo e ristrutturando il vecchio palazzo episcopale. Ma le principali fasi edilizie del complesso si devono a Benedetto XII, clemente VI e urbano V: il primo abbatté dalle fondamenta la precedente costruzione ed eresse il Palais Vieux (Palazzo Vecchio), impartendo precise istruzioni all’architetto Pierre Poisson perché il nuovo edificio avesse le caratteristiche di una fortezza. clemente VI e urbano V edificarono invece quello che viene chiamato Palais neuf (Palazzo nuovo): in particolare, il primo fece costruire la Grande chapelle; il secondo il cortile principale. Dopo il ritorno dei papi a roma, il Palazzo conobbe alterne vicende: sede degli antipapi clemente VII e Benedetto XIII, nel 1433 tornò sotto il controllo papale e vi rimase fino allo scoppio della rivoluzione francese. nel periodo napoleonico venne adibito a caserma e a luogo di detenzione. Museo nazionale dal 1906, dal 1995 fa parte dei Patrimoni Mondiali dell’umanità.

La Sala della Grande Udienza l’ambiente, diviso in due navate da una fila di cinque colonne con capitelli scolpiti, presenta dimensioni imponenti: 52 metri di lunghezza per 15 di altezza.

dk Images

La Tour des Anges Al primo piano di questa torre si trova la camera papale, decorata con motivi floreali; le travi che reggono il soffitto sono originali, il pavimento è recente.

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SacReStIa noRd Adiacente alla cappella, era usata dai papi per cambiarsi d’abito nelle cerimonie religiose. in primo piano, le sculture funerarie di luigi ii di Borbone (13371410) e della moglie Anna d’Alvernia.

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Spese che andavano dalla protezione dei difensori del potere papale in Italia, i guelfi, alla costruzione del palazzo di Avignone, dalla gestione della complessa macchina burocratica al mantenimento della fastosa corte pontificia, dal mecenatismo nei confronti di artisti e di intellettuali (un’attività che richiese l’impiego di circa il quattro per cento del denaro presente nelle casse papali) alle campagne di pacificazione condotte dal cardinale spagnolo Gil de Albornoz all’interno dello Stato della Chiesa e per l’assunzione di condottieri ingaggiati con il medesimo scopo. Le rendite papali arrivarono a essere così alte che, in Europa occidentale, erano superate solo da quelle della Francia, dell’Inghilterra e del Regno di Napoli. In pratica la metà delle entrate proveniva dal conferimento di benefici: chi veniva designato titolare di un beneficio ecclesiastico (un’abbazia, un vescovado) do-

veva infatti versare al papato una parte delle entrate che dal beneficio stesso egli ricavava. Il lungo braccio della fiscalità pontificia raggiungeva poi anche le cosiddette “spoglie” (ovvero, i beni dei chierici defunti) e i benefici “vacanti” (finché un beneficio non veniva assegnato, tutte le entrate da esso derivanti spettavano al pontefice). Molti contemporanei criticarono questo orientamento della Santa Sede, attribuendolo alla smisurata ambizione dei papi e alla loro avidità, a cui alludeva nei suoi sonetti Petrarca. Tuttavia con le risorse così ottenute i pontefici riuscirono a costruire la macchina amministrativa più complessa d’Europa (la Curia arrivò ad avere cinquecento membri) e poterono tornare in una Roma già pacificata secondo quanto richiesto e profetizzato da santa Caterina da Siena a Gregorio XI, il papa che prese tale decisione di vitale importanza.


RItoRno nella cIttÀ santa

pre a ristabilire la Santa Sede a roma. urbano V cercò di tornarvi nel 1367, ma il suo tentativo fallì. Vi riuscì invece, il 17 gennaio del 1377, Gregorio XI: questi rientrò nell’urbe, precedentemente pacificata dal cardinale spagnolo Gil de Albornoz, dopo aver vinto la resistenza della maggior parte dei cardinali, i quali temevano che le pressio-

ni del popolo e le lotte tra le famiglie nobiliari romane facessero loro perdere la libertà di cui godevano ad Avignone. Il ritorno del pontefice nella città eterna è raffigurato nell’affresco di Giorgio Vasari (1511-1574) qui sotto , collocato nel Palazzo Apostolico in Vaticano.

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pONtefici di avigNONe aspirarono sem-

FilippO iv il bellO coN sua mogLIe gIovaNNa dI Navarra. coperchIo dI uNa scatoLa IN avorIo destINata a coNteNere uNo specchIo. xIv secoLo. musée NatIoNaL du moyeN Âge, parIgI.

4

5

3

1

1 L’Italia incede verso il papa

il pittore ritrae l’italia nella figura di una giovane con indosso una corazza. ella va incontro al papa con uno scettro in una mano e il globo terrestre nell’altra. Ai suoi piedi 2 la personificazione del fiume tevere.

scaLa, fIreNze

scaLa

2

3 Caterina da Siena

la santa che esortò gregorio Xi a tornare a roma gli indica con una mano la via del ritorno, secondo quanto ella stessa gli profetizzò. Sopra di lei gli apostoli Pietro e Paolo 4 scortano il papa nel suo rientro.

5 Gregorio XI

il pontefice benedice il popolo romano stando seduto sopra la sedia gestatoria, ossia il trono mobile sul quale veniva portato a spalla per essere meglio visibile ai fedeli, qui prostrati ai suoi piedi. StoricA nAtionAl geogrAPhic

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cattedra deL Xii secoLo Trono papale in marmo decorato sotto il bracciolo destro con l’immagine di un leone, simbolo dell’evangelista Marco. XII secolo, Cattedrale di Notre-Dame des Doms, Avignone.

scala, firenze

Le chiavi deLLa chiesa Presunto ritratto di Benedetto XIII, soprannominato dagli Spagnoli “Papa Luna”, in una tavola aragonese del XV secolo. Museu Nacional d’Art de Catalunya, Barcellona.


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benedetto xiii l’antipapa scismatico Lo spagnolo Pedro de Luna fu il secondo antipapa della storia. Con lui si consolidò lo Scisma d’Occidente, che tra il 1378 e il 1417 causò la presenza contemporanea di due pontefici: quello legittimo a Roma e quello scismatico ad Avignone CoVADoNgA VALDALISo STorICA


leonid serebrennikov / age fotostock

Una fortezza teMPLare Arroccato su un promontorio roccioso a nord di Valencia, l’ex castello templare di Peñíscola divenne il rifugio di Benedetto Xiii dopo la fuga da Avignone e la sede della sua collezione di libri e opere d’arte.

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sistono varie leggende sull’antipapa spagnolo Pedro Martínez de Luna, soprannominato “Papa Luna”: si racconta che fosse in grado di volare; che una notte, volendo lasciare di nascosto il suo rifugio nel castello templare di Peñíscola, presso Valencia, avesse come per magia fatto sorgere una scala di pietra che raggiungeva la sua nave, la Santa Ventura, ormeggiata nel porto. O anche che, durante quello stesso viaggio, avesse steso il suo mantello sulle acque del Mediterraneo come un tappeto volante e lo avesse utilizzato per ritornare in Spagna dall’Italia. In quell’occasione, si racconta, avrebbe perso il suo anello papale, che da allora giace sepolto in un punto ignoto del Mediterraneo. Tali leggende si diffusero tutte dopo la morte dell’antipapa Benedetto XIII, avvenuta in tar-

da età (oltre i novant’anni) nel 1423, in un’epoca nella quale la Chiesa romana, dopo oltre quattro decenni di lotta, stava cercando di riaversi dalle lacerazioni e dalle ferite provocate ai suoi vertici dallo Scisma d’Occidente. L’origine remota di tale scisma risale agli inizi del XIV secolo, quando il re di Francia Filippo il Bello riuscì a far spostare la sede papale da Roma ad Avignone, per tenere maggiormente sotto controllo l’operato dei pontefici. Nel 1342 venne eletto papa Clemente VI il quale, con il suo comportamento dissoluto, rese ancor più radicato in parte dei cardinali il desiderio di riportare a Roma la sede pontificia. L’effettivo ritorno del papa in Italia avvenne tuttavia solo nel 1377, quando il francese Pierre Roger de Beaufort, divenuto pontefice con il nome di Gregorio XI, cedette alle esortazioni di Santa Caterina da Siena e alle pres-


Protagonista del conclave Nato a Illueca, presso Saragozza, Pedro de Luna apparteneva a una delle più nobili famiglie aragonesi. Indirizzato sin da bambino alla vita religiosa, studiò diritto all’Università di Montpellier, in Francia, dove rimase poi in veste di professore. Quando Gregorio XI lo fece cardinale, si trasferì a Roma, divenendo uno dei più fidati collaboratori del pontefice. Nel 1378, alla morte di Gregorio XI, Pedro fu tra i protagonisti del concitato conclave che condusse sul soglio pontificio Bartolomeo Prignano, papa Urbano VI. Questa elezione fu

la causa scatenante di una serie di eventi che sfociarono nello Scisma d’Occidente. Poco dopo, infatti, il Collegio cardinalizio cambiò idea sulla propria scelta: Urbano VI aveva iniziato a manifestare un carattere autoritario, tanto da apparire pazzo, ma soprattutto si accingeva a introdurre una serie di riforme che avrebbero tolto potere al Collegio cardinalizio. Alcuni mesi più tardi, i cardinali francesi e Pedro de Luna si riunirono ad Anagni, nel Lazio, e dichiararono nulla l’elezione di Urbano, poiché avvenuta sotto la pressione popolare. Poi elessero papa Roberto di Ginevra, con il nome di Clemente VII, il quale si insediò ad Avignone. Urbano VI si rifiutò naturalmente di abdicare, e nominò nuovi cardinali. Pedro de Luna, invece, restò fedele a Clemente VII e, in qualità di legato pontificio, convinse il re d’Aragona a riconoscere il papa avignonese.

iL segno deL coMando Pastorale in argento dorato e smalto traslucido realizzato nel XiV secolo per l’antipapa Clemente Vi, e poi rimodellato per Benedetto Xiii. Museo Arqueológico nacional, Madrid.

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oronoz

sioni della Curia romana e decise di tornare a stabilirsi nella città capitolina. Con lui giunse a Roma anche il suo seguito, del quale faceva parte il cardinale Pedro Martínez de Luna, il futuro antipapa Benedetto XIII.


ramon manent

a causa dei suoi stretti legami con la spagna, papa luna entrò in urto con il re di francia

SIGILLO DI FERDINANDO I, re d’aragona all’epoca di benedetto Xiii.

Questa attività diplomatica fece crescere la fama di Pedro de Luna, che intraprese una seconda missione in Francia, Inghilterra e nei Paesi Bassi, dove si rese conto che sempre più le questioni nazionali si sovrapponevano a quelle religiose. Nel settembre del 1394, mentre si trovava in Catalogna, gli giunse la notizia della morte di Clemente VII. Su consiglio dei giuristi della Sorbona di Parigi, i cardinali avignonesi parvero dapprima propensi a eleggere il nuovo pontefice solo dopo aver vagliato tutte le possibilità di riconciliazione con Roma; ma poi cambiarono idea, e il 28 settembre proclamarono papa Pedro de Luna, che prese il nome di Benedetto XIII.

Malgrado l’ampio consenso con cui era stato eletto (21 voti su 22), Papa Luna si ritrovò presto isolato. Se da un lato in Spagna si respirava un clima di soddisfazione, dall’altro i suoi legami con la Corona d’Aragona lo rendevano inviso al sovrano francese Carlo VI. Nel corso dei tre decenni in cui occupò il soglio pontificio, Benedetto XIII venne riconosciuto papa solo dai Regni di Aragona, Castiglia, Navarra e Scozia, mentre la maggior parte dei Paesi cattolici disconobbe la sua elezione, considerandolo un antipapa. Gli stessi cardinali francesi, che inizialmente lo avevano appoggiato, finirono per abbandonarlo, e in molti cominciarono ad additarlo come eretico. Nel frattempo, a Roma era stato eletto pontefice il napoletano Perrino (Pietro) Tomacelli, con il nome di Bonifacio IX. Nel maggio del 1395 il re di Francia chiese a Benedetto di rinunciare al suo incarico e, dinnanzi al rifiuto del papa, ritirò l’obbedienza e obbligò i cardinali francesi a lasciare Avignone, minacciandoli in caso contrario della perdita dei benefici. Sostenuto solo da cinque 80 StORiCA nAtiOnAL geOgRAPhiC

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Prigioniero ad Avignone

porporati, Benedetto XIII rimase di fatto prigioniero per cinque anni nel Palazzo dei Papi ad Avignone, posto sotto assedio dalle truppe guidate da Geoffroy Boucicaut. Solo nel 1403 una flotta aragonese riuscì a liberarlo e a condurlo a Château-Renard, località sotto la giurisdizione del conte di Provenza Luigi II d’Angiò, quindi indipendente dalla Corona. Seguì un periodo nel quale Benedetto XIII si sforzò di riconciliarsi con il re di Francia e con i cardinali che lo avevano abbandonato, e a tale scopo organizzò senza successo un incontro prima con Bonifacio IX e poi con i suoi successori Innocenzo VII e Gregorio XII. Ogni tentativo di compromesso si rivelò tuttavia impraticabile e così nel 1408 Carlo VI, spazientito, spedì ai due papi un ultimatum con il quale chiedeva loro di adoperarsi per superare le divisioni e far rientrare lo scisma. La richiesta fu però disattesa e pertanto, nel


la bolla che cambiò la storia

b

enedetto XIII ebbe un ruolo chiave nell’insediamento sul trono d’Aragona del principe castigliano Ferdinando di Trastámara, ovvero Ferdinando I. Dopo la morte senza eredi di Martino I (1410), si era aperta nel regno d’Aragona una violenta contesa dinastica tra due candidati al trono: Ferdinando de Antequera, della dinastia dei Trastámara, e giacomo de Urgel, sostenuto dalla nobiltà locale. In una situazione di grande tensione, Benedetto XIII si pose come mediatore, emanando una bolla nella quale assegnava a nove saggi il compito di decidere il nuovo sovrano. Con il Compromesso di Caspe del 1412, fu infine proclamato re d’Aragona Ferdinando I, che ebbe dal papa anche i regni di Sicilia, Sardegna e Corsica. Un’investitura di notevole significato storico, poiché avviò quel processo di unificazione tra i troni di Castiglia e d’Aragona destinato a compiersi nel 1469 con le nozze tra Ferdinando II e Isabella di Castiglia, i re Cattolici.

FERDINANDO DI TRASTÁmARA viene proclamato re d’aragona a caspe, nel 1412. dipinto di t. p. tolÍn, 1867.

1409, venne convocato il Concilio di Pisa, che dichiarò sia Benedetto sia Gregorio XII scismatici e procedette all’elezione di un nuovo papa: Alessandro V. A questo punto la Chiesa era governata da tre pontefici contemporaneamente, due a Roma e uno ad Avignone.

Il Concilio di Costanza Nel 1415, per rafforzare i rapporti con la Corona d’Aragona, l’unica alleata che gli era rimasta, Benedetto XIII si stabilì a Peñíscola, presso Valencia, in un antico castello templare. Circondato da reliquie e opere d’arte, creò una delle più ricche biblioteche dell’epoca, arrivando a raccogliere di più di millecinquecento volumi. Vi figuravano trattati di medicina, teologia, diritto, astronomia, arte bellica, oltre a decine di libri sulle scienze occulte che causarono al papa l’accusa di stregoneria. Benedetto XIII possedeva, inoltre, molti testi

sulla religione ebraica, verso la quale, peraltro, si mostrò tutt’altro che accomodante. Nel 1414 l’imperatore Sigismondo del Lussemburgo convocò in Germania, a Costanza, un concilio ecumenico per porre fine allo Scisma d’Occidente. All’epoca i papi erano ancora tre: il romano Gregorio XII e gli antipapi Benedetto XIII e Giovanni XXIII, succeduto ad Alessandro V. Dopo tre anni di discussioni, nel 1417 il concilio depose Benedetto XIII e Giovanni XXIII; inoltre costrinse Gregorio XII ad abdicare. Quindi elesse come nuovo, e unico pontefice, il romano Martino V. Benedetto, tuttavia, non accettò mai la sentenza e trascorse gli ultimi anni di vita in solitudine, continuando a considerarsi un papa legittimo. Morì il 17 maggio del 1423, dopo aver ordinato ai cardinali che gli erano rimasti vicini di dargli un successore. Si narra che le sue ultime parole furono: “Papa sum”. StORiCA nAtiOnAL geOgRAPhiC

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Il sole egIzIo dI osIrIde L’emblema di papa Borgia sulla volta della Sala delle Arti Liberali, nell’Appartamento Borgia: i simboli papali sono inseriti in un sole fiammeggiante che allude, forse, ai poteri del dio civilizzatore egizio Osiride.

akg / album

AlessAndro VI In preghIerA Papa Borgia assorto in preghiera in uno degli affreschi che Pinturicchio realizzò tra il 1492 e il 1494 per le sei stanze dell’Appartamento Borgia, nei Palazzi Apostolici (oggi inclusi nei Musei Vaticani).


scala, firenze

la fama sinistra DEl POntEfiCE sPaGnOlO

alEssanDrO Vi E i bOrGia Nel 1492 un ambiziosissimo cardinale iberico veniva eletto papa con il nome di Alessandro VI. Si chiamava Rodrigo Borgia e per i suoi nemici sarebbe divenuto il simbolo della corruzione della Chiesa. Forse anche oltre i suoi demeriti jOSeP PALAu OrtA StOricO e ScrittOre


guiDO cOzzi / fOTOTeca 9X12

Il fulcro dellA cIttà IdeAle Il duomo di pienza, in provincia di Siena: costruito tra il 1459 e il 1462 da Bernardo Rossellino, doveva costituire il fulcro della città ideale in cui il “papa umanista” pio II intendeva trasformare il proprio borgo natale.

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ella sala dei Santi dell’Appartamento Borgia, all’interno dei Palazzi Apostolici del Vaticano, le volte del soffitto sono ricoperte di insoliti affreschi. Si tratta di una versione rivista (e simbolica) del mito egizio del dio Osiride, i cui discendenti, giunti dalla Spagna, avrebbero liberato l’Etruria dall’assedio dei giganti. In questi dipinti, l’Etruria appare rappresentata come lo Stato Pontificio, i giganti simboleggiano le varie famiglie in lotta per l’Italia e Osiride e i suoi discendenti sono incarnati dall’immagine del bue, simbolo araldico della famiglia Borgia, giunta proprio dalla Spagna e poi divenuta, grazie a Rodrigo Borgia, papa Alessandro VI, padrona indiscussa della Penisola. L’ascesa di questo pontefice era iniziata nel

1437 quando sua madre, Isabella Borja, si era presentata al palazzo vescovile di Valencia accompagnata dai suoi cinque figli: Pedro Luis, Tecla, Giovanna, Beatrice e, appunto, Rodrigo. Da poco vedova del marito Jofré, aveva scelto di trasferirsi nella casa del fratello Alonso Borja, che all’epoca era vescovo di Valencia. Il prelato nutriva grandi ambizioni per i suoi nipoti, e in particolare per i due più grandi: Pedro Luis, il primogenito, nato nel 1429 a Játiva (in provincia di Valencia), e Rodrigo, il secondogenito, nato nella stessa città nel 1431. I due fratelli furono quindi avviati, rispettivamente, alle carriere militare ed ecclesiastica. Nel 1445, un anno dopo essere diventato cardinale, Alonso ordinò che il quattordicenne Rodrigo ricevesse la tonsura e divenisse chierico. Poco dopo – forse nel 1449 – lo convocò insieme al fratello in Italia, dove egli si era


Alla corte di Callisto III A fine marzo era morto il papa Niccolò V, e ora occorreva trovare il suo successore al soglio pontificio. I contrasti e la reciproca diffidenza tra le grandi famiglie nobiliari italiane, uniti all’intromissione francese, esigevano una decisione salomonica. Rappresentando un candidato neutrale, che non risvegliava timori

particolari in alcuna delle casate in lotta, Alonso Borja si guadagnò il favore degli altri quattordici cardinali e, l’8 aprile del 1455, venne eletto papa con il nome di Callisto III. Aveva settantasette anni ed era il più anziano tra i porporati riuniti a Roma in conclave. Dopo la sua elezione, il pontefice italianizzò il cognome in Borgia e, nel timore di restare isolato a corte, si circondò di propri familiari e dei collaboratori più fedeli. Insediò pertanto i suoi nipoti nei posti strategici dell’amministrazione pontificia, e con essi trecento Catalani, termine con cui gli abitanti della Penisola erano soliti definire tutti i sudditi della Corona d’Aragona. Pedro Luis fu subito nominato capitano di Castel Sant’Angelo, principale fortezza papale a Roma, e installato al comando dell’esercito della Chiesa. Tali incarichi provocarono forti ri-

MonetA d’oro pontIfIcIA Dritto di una moneta d’oro coniata durante il lungo papato di Alessandro VI: eletto l’11 agosto del 1492 dopo cinque giorni di conclave, Rodrigo Borgia regnò sulla Chiesa per undici anni.

arT archive

trasferito nel 1442 al seguito di Alfonso V d’Aragona il Magnanimo, che aveva strappato il Regno di Napoli agli Angioini. Inizialmente i due giovani trascorsero solo brevi periodi nella residenza romana dello zio, presso il convento dei Quattro Coronati: Alonso, infatti, decise di mandarli a studiare giurisprudenza a Bologna, nella più prestigiosa tra le università italiane. Tutto però cambiò, improvvisamente, nei primi mesi del 1455.

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arT archive

il CarDinalE bOrGia fu ViCECanCElliErE DElla COrtE PaPalE sOttO quattrO DiVErsi POntEfiCi L’effigie di Lucrezia Borgia su una meDaglia in brOnzO fusO, 1502, bOlOgna.

sentimenti nella nobiltà romana, che si sentiva messa in un angolo, tanto più quando vennero seguiti da analoghi privilegi concessi all’altro nipote di Callisto III, Rodrigo. Già nel corso del 1455, questi divenne notaio della Sede apostolica e ricevette il decanato di Santa Maria di Játiva, oltre ad alcuni benefici della diocesi di Valencia. Una volta rientrato definitivamente da Bologna, nel febbraio del 1456, con il dottorato di Diritto Canonico in tasca, fu poi nominato cardinale e legato nella Marca d’Ancona, provincia pontificia corrispondente alle attuali Marche. Avendo dimostrato in tale incarico tutte le sue doti diplomatiche, Rodrigo fu promosso da Callisto III a vicecancelliere della Curia papale, ruolo che gli permetteva di gestire l’intera amministrazione pontificia, quindi abbazie, benefici, bolle, nomine e titoli. Il potere dei Borgia, poiché tale già poteva essere definito, cresceva di giorno in giorno, anche a causa del nepotismo papale. Ma quel favoritismo ben presto indispettì le famiglie nobili italiane, anche perché i due nipoti non erano certo personaggi da pacificare gli animi. Se Rodrigo era noto per la sua vita dissoluta, Pedro Luis era odiato per la sua crudeltà.

La morte di Pedro Luis Il 6 agosto del 1458, il cardinale Rodrigo rientrò a Roma in preda a una grave preoccupazione. Suo fratello Pedro Luis e gran parte dei sostenitori del papa erano fuggiti dalla città. I disordini politici scatenati contro i Borgia dai loro nemici (in special modo gli Orsini) lasciavano intravedere tempi duri per la famiglia valenciana, ma il giovane cardinale decise ugualmente di tornare in città per restare accanto allo zio Callisto III, ormai morente. Quando il papa spirò, dagli appartamenti pontifici Rodrigo ebbe modo di assistere al saccheggio e all’incendio, compiuti dalla folla, del suo palazzo cardinalizio recentemente restau86 StoRICA NAtIoNAl geogRAphIC

rato, e apprese nel contempo la triste notizia dell’assassinio del fratello Pedro Luis, ucciso a soli 26 anni sulla via per Civitavecchia. Gli anni gloriosi dei Borgia a Roma sembravano già volgere al termine, e il giovane cardinale si ritrovò senza appoggi né alleati in una città divenuta improvvisamente ostile. Tuttavia, l’astuto Rodrigo seppe ribaltare la situazione a proprio vantaggio. Le lotte di potere e le tensioni sorte tra le monarchie europee e le famiglie italiane Orsini, Sforza e Della Rovere gli permisero di rinforzare la propria posizione nella cancelleria papale. Il suo appoggio al cardinale Enea Silvio Piccolomini, nella terza sessione di votazioni del conclave convocato per eleggere il successore di Callisto III, fu decisivo. Il 19 agosto 1458, Enea Piccolomini accedeva al pontificato con il nome di Pio II, mentre Rodrigo veniva confermato vicecancelliere, carica che avrebbe rivestito per oltre tre decenni.

Un’amante, molti figli Durante i successivi pontificati di Paolo II, Sisto IV e Innocenzo VIII, il cardinale Rodrigo Borgia seppe sostenere saldamente le politiche papali e dare risalto al nome e al lignaggio dei vari pontefici. Nonostante l’imperante nepotismo all’interno della Curia, e sebbene in varie occasioni gli venisse rimproverata la sua condotta dissoluta, intorno al 1492 egli era riuscito a impossessarsi dell’opulenta abbazia di Subiaco (Roma), delle sedi vescovili di Cartagena, Valencia, Gerona, Maiorca, Albano, Porto-Santa Rufina (nel Lazio) e Agria (Eger, in Ungheria), oltre che di molte altre prebende e benefici ecclesiastici. Si fece costruire il primo grande palazzo rinascimentale di Roma, Palazzo Sforza Cesarini o della Cancelleria Vecchia, nel quale visse in compagnia di una composita corte di umanisti tra cui il tedesco Lorenz Beheim, il catalano Jeroni Pau e l’italiano Paolo Pompilio.


age fotostock

il POntEfiCE ChE ParlaVa CatalanO on Callisto iii e alessandro Vi, le lin-

gue della curia papale furono il latino per i documenti ufficiali e l’italiano per le conversazioni. i Borgia, tuttavia, usavano regolarmente anche la loro lingua natale, sicché il catalano fu assai presente nella vita della curia. Negli archivi vaticani sono custoditi documenti in questa lingua scritti di proprio pugno dal pontefice. il papa usava la lingua madre anche con i suoi familiari, a eccezione di Lucrezia, educata fin da bambina alla cultura italiana. Anche il castigliano ebbe una certa presenza nella curia di Alessandro Vi. Date tali premesse, non stupisce che, con il tempo, alcuni storici abbiano finito per vedere in papa Borgia un precursore del dominio spagnolo in italia.

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C

Il cAstello dI JÁtIVA costruito nel XV secolo su una preesistente fortezza araba, il castello domina la città natale di Alessandro Vi, játiva (in provincia di Valencia), dalle pendici del monte Bernisa.

l’oMAggIo dellA cIttà nAtAle Statua in bronzo di Alessandro Vi situata dinnanzi alla collegiata di játiva: malgrado la lunga permanenza a roma, il papa impose l’uso della sua lingua madre a tutta la curia.


un Clan tra amOri E POlitiCa scala, firenze

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1 Vannozza Cattanei

Amante ufficiale del cardinale Borgia. Dalla loro unione nacquero Cesare, giovanni, lucrezia e Jofré. Durante la sua relazione con il futuro papa, Vannozza ebbe quattro mariti, tutti scelti da Rodrigo: i primi tre morirono precocemente, mentre l’ultimo, il colto Carlo Canale, fu decisivo per l’educazione umanistica di lucrezia.

PhOTOaisa

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el Corso del suo papato, Alessandro Vi dedicò i maggiori sforzi a espandere i territori dello Stato Pontificio (i cosiddetti “domini di san Pietro”), a consolidare l’autorità papale sulle varie signorie feudali e ad accrescere il potere della propria famiglia. La sua disinvoltura nello stipulare e rompere alleanze lo rese inviso a molti, dentro e fuori dall’italia. il resto lo fecero il cinismo e la brutalità del figlio cesare, che insanguinò la Penisola con le sue campagne militari; i matrimoni politici in serie della figlia Lucrezia; le misteriose morti di familiari e parenti. tutti elementi che, uniti alla dissolutezza del pontefice – celebre per il gran numero di figli e l’ancora più nutrito stuolo di amanti – contribuirono a fare dei Borgia il simbolo stesso della decadenza morale della chiesa nel rinascimento.

5 Ferdinando II d’Aragona

rodrigo Borgia ritratto con il camauro papale e il mantello di velluto rosso da cristofano dell’altissimo (1525-1605). galleria vasariana, museo degli uffizi, firenze.

88 StoRICA NAtIoNAl geogRAphIC

Re d’Aragona, nel 1469 sposò Isabella di Castiglia unificando sotto di sé i territori spagnoli. Nel 1492 ricevette da Alessandro VI il titolo di Re Cattolico. Nel 1495 combatté al fianco del papa per scacciare i Francesi dall’Italia; ma il successivo avvicinamento di Cesare Borgia alla corona francese portò a una rottura dell’alleanza.


3 Lucrezia Borgia

6 Carlo VIII

Re di Francia dal 1483, fu il grande nemico di Alessandro VI. Invase l’Italia nel 1494 con l’appoggio di Milano, Firenze e del cardinale Della Rovere. Marciò su Roma, costringendo il papa a concedergli libero transito dagli Stati pontifici, e conquistò Napoli. Fu sconfitto nel 1495 dalla lega Santa guidata da Ferdinando d’Aragona e Alessandro VI.

4 Giulia Farnese

cOrbis / cOrDOn Press

Di bellezza straordinaria, a quindici anni andò in sposa a orsino, conte di Nola, e divenne la concubina di Rodrigo Borgia. la loro relazione proseguì anche dopo l’elezione a papa del cardinale, garantendo grandi benefici a tutti i Farnese. Dopo la morte di Alessandro VI, giulia diede in sposa la sua unica figlia a un nipote del nuovo papa, giulio II.

PhOTOaisa

Sin dal Rinascimento fu descritta, a seconda dei casi, come una moglie devota o una gelida manipolatrice. la girandola di alleanze politiche gestite dai Borgia la costrinsero, in pochi anni, a tre diversi matrimoni. Colta e amante delle arti, fu accusata dall’ex marito giovanni Sforza di relazioni incestuose con il padre e il fratello.

PhOTOaisa

Abile condottiero, soprannominato “il Valentino” dal titolo di duca di Valentinois conferitogli da luigi XII, perseguì una politica filofrancese che sfociò nelle nozze con la principessa Charlotte d’Albret. Alla morte del padre fuggì in Navarra, dove morì nel 1507 combattendo per il cognato giovanni III d’Albret sotto le mura di Viana.

De agOsTini

ullsTein bilD / cOrDOn Press

De agOsTini

2 Cesare Borgia

7 Girolamo Savonarola

Frate domenicano, divenne celebre per gli infuocati sermoni contro papa Alessandro VI e la corruzione della Chiesa. Con l’appoggio di Carlo VIII, nel 1494 instaurò a Firenze una repubblica teocratica. la cacciata dei Francesi dall’Italia provocò, nel 1497, la sua destituzione per ordine del papa. Morì sul rogo nel 1498.

8 Giuliano della Rovere

Nipote di Sisto IV e nemico dichiarato dei Borgia, cospirò con i Francesi per spodestare Alessandro VI. Alla morte di questi, nel 1503, divenne papa con il nome di giulio II. Sia prima sia dopo il suo pontificato, favorì il sorgere della fosca leggenda che avrebbe per sempre accompagnato Alessandro VI e i suoi familiari.

da sinistra in aLto: 1. Autore Anonimo, XVi secolo, romA. 2. Altobello melone, 1513 circA, bergAmo. 3. bArtolomeo Veneto (o VeneziAno), 1505, FrAncoForte. 4. rAFFAello sAnzio, 1505, romA. 5. Autore Anonimo, XVi-XVii secolo, spAgnA. 6. Autore di scuolA FrAncese, XVi secolo, cAstello di VersAilles. 7. FrA bArtolomeo (bAccio dellA portA), 1498, Firenze. 8. rAFFAello sAnzio, 1512, musei VAticAni.

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giOvanni rinalDi

PhOTOservice elecTa

un urbanista sul sOGliO Di PiEtrO

C

ome già da Cardinale, anche nel suo nuovo ruolo di pon-

tefice Alessandro Vi favorì importanti riforme urbanistiche e architettoniche, fortificando tra l’altro varie piazzeforti nei dintorni della capitale. continuò il restauro di castel Sant’Angelo, residenza estiva dei papi, e avviò il rifacimento di molte chiese e la sistemazione del cortile, della torre e dell’appartamento Borgia in Vaticano, tra la Biblioteca Apostolica e la cappella Sistina. Gli interventi più importanti, tuttavia, riguardarono il nucleo urbano di roma, che fu trasformata in una città moderna, in grado di accogliere le migliaia di pellegrini richiamate dal Giubileo dell’anno 1500. in particolare, egli avviò la costruzione della via Alessandrina (o via Borgo Nuovo), che congiungeva in linea retta castel Sant’Angelo alla vecchia basilica di San Pietro, costruita dall’imperatore costantino e fatta demolire (dopo la morte di Alessandro Vi) da Giulio ii per edificare l’attuale basilica.

Piazza san Pietro in un’incisiOne Della fine Del Xvi secOlO, QuanDO i lavOri Di rifacimenTO Della basilica e Del Piazzale anTisTanTe nOn eranO ancOra sTaTi cOmPleTaTi.

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A Palazzo Sforza Cesarini dimorava anche l’amante ufficiale di Rodrigo, Vannozza Cattanei, dalla quale il futuro pontefice ebbe i più celebri tra i suoi molti (forse nove o dieci) figli: Cesare, Giovanni, Lucrezia e Jofré. Rodrigo partecipò inoltre a numerose missioni e ambascerie papali di cruciale importanza politica. Una di esse lo condusse nel 1472 a visitare, in rappresentanza di Sisto IV, le corti spagnole di Aragona e Castiglia. Tale missione si concluse con l’autorizzazione papale al matrimonio tra Ferdinando d’Aragona e Isabella di Castiglia, ai quali in seguito sarebbe stato dato il titolo di Re Cattolici. Il potere del cardinale Borgia a Roma si accentuava nella misura in cui le varie famiglie italiane si contrapponevano in due blocchi inconciliabili. Fino a quel momento, la lega creatasi tra il Ducato di Milano, la Signoria di Firenze e il Regno di Napoli era riuscita a man-


tenere un relativo equilibrio politico. Ma questa precaria armonia si spezzò nel 1492 con la morte di Innocenzo VIII e l’ascesa al potere, nel Ducato di Milano, di Ludovico il Moro, che nella sua veste di reggente aveva di fatto soppiantato il nipote Gian Galeazzo Sforza.

Un altro Borgia a San Pietro Il collegio cardinalizio che doveva eleggere il nuovo papa era diviso in due grandi fazioni, guidate rispettivamente dal cardinale Giulio Della Rovere, nipote di Sisto IV e acerrimo rivale di Rodrigo Borgia, e dal cardinale Ascanio Sforza, fratello di Ludovico il Moro. Poiché nessuno dei due partiti aveva a disposizione la maggioranza di voti indispensabile per salire sul trono di Pietro, occorreva trovare una figura di compromesso. E ancora una volta la scelta cadde su un Borgia. Il cardinale Ascanio Sforza promosse infatti la candida-

tura di Rodrigo; questi non solo aveva dimostrato la propria fedeltà svolgendo l’incarico di vicecancelliere per i precedenti ponte- fici, ma aveva anche affinato enormemente le sue già di per sé straordinarie doti politiche e diplomatiche, requisito indispensabile per fronteggiare il bramoso interesse di Carlo VIII di Francia verso i territori italiani, e in particolare verso il Regno di Napoli. Non vi è dubbio, peraltro, che nel trionfo della candidatura di Rodrigo ebbero un peso significativo i benefici e le rendite di cui egli disponeva, anche se l’accusa di aver comperato il voto dei cardinali incerti non trova conferma se non basandosi su notizie vaghe e dicerie. Comunque sia andata, l’11 agosto del 1492 il cardinale spagnolo ottenne l’unanime appoggio dei 23 cardinali riuniti in conclave. La mattina dopo, Rodrigo Borgia veniva eletto papa con il nome di Alessandro VI.

Il rIfugIo sul teVere Castel Sant’Angelo, sulla riva destra del tevere, servì da rifugio a papa Borgia alla fine del 1494, quando Carlo VIII di Francia entrò in Roma con le sue truppe con l’intento di spodestarlo.

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fIrenze cIttà neMIcA Il duomo di Firenze con l’imponente cupola progettata dal Brunelleschi: sin dai primi anni del papato di Alessandro VI, la città toscana si attivò per ostacolare l’espansione dei Borgia nel centro Italia.

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Secondo le testimonianze dell’epoca, la notizia dell’elezione del nuovo pontefice fu accolta a Roma con gioia. Del resto, Alessandro VI non era certo arrivato da poco nella capitale: a sessantuno anni, aveva vissuto più tempo in Italia che non nella sua città natale, per cui buona parte dei Romani non lo considerava in alcun modo un papa straniero. Il successivo afflusso in città di frotte di Catalani, che si spartirono incarichi e privilegi, trasformò tuttavia ben presto l’entusiasmo in malcontento. Inoltre, lo spagnolo divenne la lingua corrente del palazzo, dei servitori e perfino della corte vaticana, fatto che accrebbe il risentimento verso lo “straniero”. Le prime iniziative di Alessandro VI si orientarono verso una riforma dell’amministrazione pontificia. Il nuovo papa riorganizzò la gestione del tesoro vaticano e pose le basi per garantire un minimo controllo dell’ordine

pubblico e della giustizia in città. Finanziò inoltre la realizzazione di numerose opere d’arte, come la decorazione dell’Appartamento Borgia, nei Palazzi vaticani, la ricostruzione di Civita Castellana (Viterbo), la ristrutturazione di Castel Sant’Angelo e il restauro interno della basilica di Santa Maria Maggiore. Egli dedicò un interesse speciale a promuovere in tutta Roma le grandi riforme urbanistiche che ne segnarono la trasformazione da città medievale a centro pienamente rinascimentale.

La spartizione del Nuovo Mondo Durante il primo anno di pontificato, Alessandro VI fu protagonista di una serie di eventi significativi. Fu lui, infatti, a dare a Ferdinando d’Aragona e Isabella di Castiglia il titolo di Re Cattolici, e, poco dopo aver appreso la notizia della scoperta delle Indie da parte di Colombo, pubblicò le Bolle Alessandrine, con


De agOsTini

lEOnarDO E i bOrGia all’apiCe della sua fortuna, cesare Borgia si circondò di inventori

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incaricati di perfezionare l’armamento dei suoi eserciti. tra questi Leonardo da Vinci che, lasciata Milano, passò al servizio del giovane Borgia e lavorò per lui come ingegnere militare, ideando innovativi sistemi di difesa per le fortezze conquistate dal figlio del papa.

le quali riconosceva il diritto di occupare i territori appena scoperti ai regni di Castiglia e Portogallo, ponendo in tal modo le basi per la spartizione del Nuovo Mondo sancita dal trattato di Tordesillas (1494). Tuttavia, l’attenzione maggiore del suo pontificato fu volta a ottenere il predominio politico dello Stato pontificio sull’Italia e a incrementare il potere dei Borgia. I due obiettivi, incardinati tra loro, gli procurarono un gran numero di nemici e furono all’origine della pessima fama che, sin da quando era in vita, circondò la sua figura e quella dei suoi figli, in particolare Cesare e Lucrezia. Già nel 1492, appena asceso al soglio pontificio, papa Alessandro VI cominciò a subire le pressioni delle diverse casate nobiliari in lotta tra loro. Il patriarca della famiglia Orsini, molto vicino agli interessi francesi e fiorentini, acquisiva i castelli di Anguillara e Cervete-

Presunto ritratto di leonardo da vinci, Xvii secolo, galleria degli uffizi, firenze.

ri, tappe fondamentali sulla strada che da Roma conduceva a Firenze. Il denaro proveniva dalla famiglia fiorentina dei Medici ed era garantito dalle casseforti napoletane. L’accerchiamento dello Stato pontificio costrinse papa Borgia ad allearsi militarmente con Milano e Venezia, creando la Lega di San Marco. Le nozze, nel giugno del 1493, tra la tredicenne Lucrezia Borgia e Giovanni Sforza, signore di Pesaro, servirono a ratificare l’accordo.

Giochi di alleanze Nel frattempo, Alessandro VI cercava nuovi alleati. Nel 1493, il suo secondogenito Giovanni fu fatto sposare con la cugina di Ferdinando II d’Aragona. Gli accordi matrimoniali stabilivano che il re spagnolo avrebbe ricevuto una somma sostanziosa, mentre a Giovanni Borgia sarebbe stato assegnato in dote il ricco e potente ducato spagnolo di Gandía. StoRICA NAtIoNAl geogRAphIC

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alEssanDrO Vi COntrastò COn tutti i mEzzi lE mirE sull’italia DEl rE Di franCia CarlO Viii stemma di PaPa Borgia all’ingressO Di casTel sanT’angelO, rOma.

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Tra le righe dell’accordo si intravvedeva peraltro la necessità del pontefice di cautelarsi contro le ormai esplicite mire espansionistiche di Carlo VIII di Francia sulla Penisola. In effetti, nel settembre del 1494, Carlo VIII discese in Italia alla testa di un’armata di 30.000 uomini e, dopo aver occupato Firenze e fatto saccheggiare Roma, si impadronì del Regno di Napoli. Con notevole abilità diplomatica, Alessandro VI organizzò allora in gran segreto un’alleanza antifrancese – la cosiddetta Lega Santa del 1495 – guidata politicamente da Ferdinando II il Cattolico e militarmente dal Gran Capitano Gonzalo Fernández de Córdoba, che giunse in Italia con un esercito composto perlopiù da reduci della presa di Granada. Inoltre, il papa convocò il figlio Giovanni per nominarlo capitano generale e gonfaloniere dell’esercito pontificio.

L’assassinio di Giovanni Borgia Nel 1497, le truppe della Lega Santa conquistavano Ostia, piazzaforte laziale nella quale aveva trovato rifugio il cardinale filofrancese Giuliano Della Rovere, che riuscì a fuggire. Alessandro VI ottenne, con la sua influenza, anche di far inquisire e uccidere Girolamo Savonarola, il predicatore che, con l’appoggio francese, aveva instaurato nel 1494 una repubblica teocratica a Firenze. Poco dopo, venne annullata l’unione tra Lucrezia e Giovanni Sforza di Milano e si stipulò un nuovo accordo matrimoniale tra la stessa Lucrezia e il diciassettenne Alfonso d’Aragona, principe del casato di Napoli. Con queste acrobazie diplomatiche, Alessandro VI si sforzava di convertire alla propria causa il re di Napoli, creando i presupposti – in una situazione per la verità assai complessa e in perenne cambiamento – per l’affermarsi della supremazia papale sui territori italiani. Ricominciavano insomma a prendere sostanza i sogni e le ambizioni del pontefice. 94 StoRICA NAtIoNAl geogRAphIC

L’avvicinamento ai casati napoletano e aragonese diede ben presto i suoi frutti. In quello stesso 1497, Giovanni Borgia, duca di Gandía, fu investito anche del prestigioso titolo di duca di Benevento. E sebbene di lì a poco il suo cadavere venisse ritrovato nelle acque del Tevere, pugnalato da un misterioso assassino, i titoli che gli erano stati conferiti passarono al fratello Cesare, che così ereditò da lui il compito di affiancare il padre Alessandro VI nelle trame diplomatiche che stava tessendo.

Giravolta diplomatica La drammatica morte di Giovanni, seguita nel 1499 dalla discesa in Italia del nuovo re di Francia Luigi XII, indusse il papa Borgia all’ennesimo cambio di strategia. Con l’esercito francese stanziato nella Penisola, e il figlio Cesare insignito da Luigi XII del prestigioso titolo di duca di Valentinois, la precedente alleanza con la corona aragonese non aveva più senso. E il primo a comprenderlo fu Alfonso d’Aragona, marito di Lucrezia, il quale, temendo per la propria vita, nell’agosto del 1499 lasciò di nascosto Roma. Per qualche tempo soggiornò a Napoli, ma poi si lasciò convincere dal papa, e dalla moglie che gli aveva appena dato un erede, a rientrare nella capitale. Fu un errore fatale, poiché consentì a Cesare Borgia, deciso a usare la sorella come strumento matrimoniale delle proprie ambizioni, di far assassinare Alfonso da un sicario durante le feste per il Giubileo del 1500. Cesare Borgia si assunse di fatto tutte le responsabilità della nuova politica filofrancese perseguita dai Borgia. Per rafforzare l’alleanza con Luigi XII, sposò anche Charlotte d’Albret, sorella del re di Navarra e lontana parente del sovrano. Nel ricevere l’annuncio delle nozze, Alessandro VI diede ordine che in tutta la città si festeggiasse l’evento con grandi fuochi d’artificio, per celebrare le fortune della famiglia Borgia e i successi di suo figlio Cesare.


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il PrOGEttO fallitO Di saVOnarOla

lA predIcA A sAn MInIAto Girolamo Savonarola predica nella basilica di San Miniato, a Firenze, di fronte a un gruppo di fedeli. Olio su tela di Flandrin Hippolyte, 1840, Musée des Beaux-Arts, Lione.

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a breVe parabola di Girolamo Savonarola (1452-1498) iniziò quando, dopo la discesa in italia di carlo Viii (1494), i Medici furono cacciati da Firenze. Fu allora che il frate domenicano divenne il cardine della vita cittadina, istituendo una repubblica teocratica che sarebbe dovuta divenire il motore di un processo di rinnovamento destinato a investire l’intera italia (roma papale compresa). La cosa, ovviamente, non piacque ad Alessandro Vi, che nel 1497 scomunicò il frate. Per Savonarola fu l’iniziò della fine. tradito dagli stessi Fiorentini, egli tentò dapprima di reagire invocando un concilio che deponesse il papa corrotto; ma nell’aprile del 1498 fu arrestato e, dopo tre processi-farsa, messo a morte in Piazza della Signoria come eretico.

lo steMMA MedIceo L’arma dei Medici sulla facciata della loro villa estiva di Artimino, in provincia di Prato. Dopo il passaggio da Firenze di carlo Viii, il giovane Piero de’ Medici venne cacciato dalla città.

StoRICA NAtIoNAl geogRAphIC

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J. heselTine / cOrbis / cOrDOn Press

I gIArdInI prIVAtI deI pApI Nel 1660 Alessandro VI volle ampliare i giardini Vaticani (nella foto) creando sul gianicolo l’orto Botanico, che sarebbe divenuto in pochi decenni uno dei più grandi d’Italia.

96 StoRICA NAtIoNAl geogRAphIC

Nei tre anni che seguirono, il papa dovette spremere le casse pontificie, tramite prebende cardinalizie e indulgenze plenarie, per finanziare le imprese militari di suo figlio, divenuto luogotenente del re di Francia in Italia.

Una strage camuffata da banchetto Cesare non deluse le aspettative: conquistò Forlì, Imola, Pesaro, Rimini e il ducato di Urbino; occupò Napoli nel 1502, e riuscì a eliminare molti dei suoi nemici romani (tra cui gli Orsini) nell’eccidio di Senigallia, durante un banchetto camuffato da trattativa di pace. Tuttavia, la vittoria di Ferdinando II il Cattolico nella battaglia di Cerignola (1503), in Puglia, aprì nuovi scenari. Le truppe francesi erano state umiliate, e in tale contesto i Borgia si trovarono a valutare l’ennesimo cambio di alleanze. Sfortunatamente per loro, non ci fu tempo per questa nuova piroetta diplomatica.

Già Lucrezia si era congedata dal padre, diretta stavolta a Ferrara, dove gli interessi dinastici dei Borgia l’avevano destinata in sposa ad Alfonso I d’Este. Pochi mesi dopo, il 6 agosto del 1503, Alessandro VI fu colpito da febbri altissime. Un’epidemia di malaria si era abbattuta su Roma. Il 18 agosto il pontefice morì, forse di malaria o forse per avvelenamento, e tutti i suoi sostenitori caddero in disgrazia. Il saccheggio dei palazzi papali e la fuga di molti familiari da Roma non furono che la replica di quanto visto dopo la morte di Callisto III. Il corpo di Alessandro VI non subì oltraggi. Fu dapprima deposto, senza onori, nella basilica di San Pietro, poi traslato nella chiesa di Santa Maria della Febbre e infine sepolto, nel 1610,in Santa Maria di Monserrato. E lì, ancora oggi, riposa Alessandro VI, indifferente alla sinistra leggenda che continua ad aleggiare intorno al suo nome e all’intera famiglia Borgia.


De agOsTini

lA stAnchezzA del potere Gonfio, terreo, stanco: cosĂŹ appare Alessandro Vi in questo ritratto postumo eseguito nel 1586 dal pittore spagnolo juan de juanes. Museo della cattedrale, Valencia.

StoRICA NAtIoNAl geogRAphIC

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La qUercia Di faMiGLia L’emblema dei Della Rovere, la famiglia di Giulio II: una quercia che allude al cognome del casato ligure. Rilievo dalla balaustra della cappella Basso Della Rovere nella chiesa di Santa Maria del Popolo, a Roma.

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Un pontefice pensieroso Giulio II in un celebre ritratto di Raffaello Sanzio (1512). L’artista raffigura il papa anziano e pensieroso, con uno sguardo malinconico che pare smentire la fama di irascibilità che circondava il pontefice.


scala, firenze

giulio ii il papa guerriero Più simile a un principe rinascimentale che a un uomo di chiesa, antepose alla sua missione spirituale la lotta per liberare l’Italia dal dominio straniero. Politico accorto, guerriero coraggioso, fu però anche un grande mecenate joSeP PaLau oRta StoRIco e ScRIttoRe


JOHanna HUber / fOTOTeca 9x12

iL foro Di traiano saccheGGiato come altre aree archeologiche di roma, il Foro di traiano (qui visto dal campidoglio) fu sfruttato da giulio ii come cava di materiali pregiati da riutilizzare nel suo progetto di rinnovamento edilizio e artistico della città.

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C

ircondato da uno stuolo di soldati dall’aspetto sinistro, rivestito egli stesso da un’armatura insanguinata, il gesto minaccioso e l’espressione arrogante: così l’umanista Erasmo da Rotterdam (1466-1536) descrive papa Giulio II nel suo dialogo satirico Iulius exclusus e coelis (“Giulio cacciato dal cielo”), pubblicato in forma anonima poco dopo la morte del pontefice, nel 1513. E tali furono le caratteristiche che molti contemporanei colsero in questo papa dal temperamento collerico, che comandò eserciti, ordì alleanze politiche, celebrò le proprie vittorie con cortei trionfali, senza mai stancarsi di accumulare potere. Altri, tuttavia, individuarono in lui il difensore dell’indipendenza dell’Italia dagli invasori stranieri, nonché il grande mecenate

che chiamò a lavorare per lui i maggiori geni artistici della sua epoca, da Bramante a Raffaello fino a Michelangelo Buonarroti. Giuliano della Rovere nacque nel 1443 ad Albisola, in provincia di Savona. I suoi genitori, Raffaello e Teodora, erano di origini modeste; tuttavia suo zio Francesco fu protagonista di una scalata folgorante nell’ambito della Chiesa, che lo portò a diventare cardinale nel 1467 e pontefice nel 1471, con il nome di Sisto IV. Con la protezione dello zio, Giuliano intraprese a sua volta la carriera ecclesiastica. Divenne vescovo di Carpentras, in Francia, nel 1471, poco dopo la nomina dello zio a papa. Nello stesso anno fu nominato cardinale di San Pietro in Vincoli a Roma, da cui l’appellativo “Vincula”. Subito si fece notare per il carattere iroso; si vociferava, per esempio, che picchiasse chiunque osava contrariarlo.


dell’elezione di Innocenzo VIII, ma ben presto sorse tra loro una rivalità inconciliabile. A tal punto che, secondo quanto si narra, dinnanzi al letto di morte del pontefice i due cardinali giunsero a insultarsi, e Giuliano chiamò il Borgia “barbaro e sudicio Catalano!”.

Alla corte di Carlo VIII Dopo la scomparsa di Innocenzo, la dichiarata simpatia di Giuliano per la Francia e le esorbitanti prebende che i Borgia avevano distribuito tra i cardinali fecero inclinare la bilancia in favore di Rodrigo, che venne eletto papa nel conclave dell’11 agosto del 1492. Temendo per la propria incolumità, Giuliano fuggì da Roma per rifugiarsi nella suo castello fortificato di Ostia. Successivamente, nel luglio del 1493, abbandonò l’Italia per raggiungere la corte di Carlo VIII di Francia.

Lo schiavo Morente statua in marmo, opera di Michelangelo, destinata a ornare il mausoleo di giulio ii. 1513. louvre, parigi.

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Durante il papato di Sisto IV, il cardinale Giuliano svolse importanti missioni politiche e militari. Nel giugno del 1474, al comando dell’esercito papale, si recò in Umbria per reprimere la rivolta nelle città di Todi e Spoleto, compito che svolse con spietata efficienza. Nel 1476, in qualità di legato pontificio, fu inviato in Francia per quattro anni alla corte di Luigi XI, acquisendovi grande prestigio. Anche per questo, alla morte dello zio Sisto IV nel 1484, Giuliano ebbe una notevole influenza sulla scelta del nuovo papa, Innocenzo VIII, che nei primi anni del suo pontificato gli concesse grande credito, tanto che di lui si diceva: “È il papa e più che papa”. Sul cammino di Giuliano della Rovere s’interpose, tuttavia, un altro cardinale, non meno ambizioso: il valenciano Rodrigo Borgia. Entrambi, anni prima, si erano spesi in favore

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All’interno del conclave, era uno dei cardinali favoriti, ma Cesare Borgia (il Valentino), figlio di Alessandro VI, riuscì a far eleggere il cardinale senese Francesco Piccolomini. Sembra che lo stesso Giuliano ne appoggiò alla fine la candidatura, sapendo che il futuro papa era gravemente malato e, dunque, il suo pontificato sarebbe stato breve. In effetti, il nuovo papa, Pio III, morì dopo neanche un mese e il 31 ottobre si riunì un nuovo conclave. Stavolta Borgia, spinto dalla necessità di alleanze, cedette alle false promesse di Giuliano. Dopo una votazione durata appena qualche ora (fu tra i conclavi più brevi della storia), Giuliano venne eletto papa con 37 voti su 38, con il nome di Giulio II.

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La guerra contro Venezia

carLo viii entra a napoLi Quando era ancora cardinale, giuliano della rovere affiancò carlo Viii di Francia nella conquista del regno di napoli. olio su tela di eloi Firmin Féron, 1837, Museo del castello di Versailles.

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A Parigi, Giuliano incoraggiò il monarca francese a realizzare il suo ambizioso progetto d’invadere l’Italia, destituire Alessandro VI e conquistare il Regno di Napoli. Nel 1494 era al fianco di Carlo VIII quando questi, alla testa di un grande esercito, entrò in Firenze, proseguendo poi per Roma e Napoli. L’anno seguente, tuttavia, il re francese decise di lasciare la Penisola, intimorito dagli intrighi vaticani e dall’alleanza contro di lui dei maggiori regni italici. Giuliano ricevette garanzie che sarebbero stati rispettati il suo patrimonio e la sua persona, ma preferì lo stesso non restare a Roma. Malgrado si fosse momentaneamente rappacificato con Alessandro VI, trascorse vari anni tra la Savoia, la Liguria e Milano. L’esilio del cardinale terminò solo con la morte del papa Borgia, avvenuta il 18 agosto del 1503, quando Giuliano tornò a Roma per prendere parte all’elezione del nuovo pontefice.

Nonostante i limiti al potere papale stabiliti durante il conclave, l’impaziente Giulio II non impiegò molto tempo a dare sfogo alla sua ambizione. La minaccia più immediata era rappresentata da Cesare Borgia, che controllava personalmente il Ducato di Romagna, un territorio appartenente allo Stato Pontificio. Giulio fece catturare il giovane Borgia e lo tenne prigioniero a Castel Sant’Angelo. Dopo essere stato liberato, Borgia andò a Napoli per tentare di rimettere insieme un esercito, ma il papa ne informò il re aragonese Ferdinando II il Cattolico, all’epoca anche sovrano di Napoli, che lo deportò in Spagna. Successivamente, il papa lanciò il suo esercito all’assalto delle principali città del ducato, che dopo la cattura di Cesare Borgia erano tornate nelle mani dei precedenti governanti o cadute sotto il dominio di Venezia. Destando scandalo e sorpresa in molti dei suoi contemporanei, Giulio II non esitò a dirigere personalmente le operazioni militari. Perugia si arrese nel settembre del 1506, e Bologna capitolò dopo due mesi d’assedio, nel novembre dello stesso anno. Il fatto che egli partecipasse alla battaglia e che entrasse trionfalmente a Bologna, ostentando l’armatura sopra le sontuose vesti papali, gli valse i soprannomi di “papa guerriero” e “terribile pontefice”. Tuttavia, Giulio II non era ancora riuscito nel suo intento di consolidare il proprio dominio su tutti i territori dello Stato Pontificio, poiché la potente Repubblica di Venezia rifiutava di restituire le città conquistate.


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La facciata Di san pietro Poco dopo essere diventato papa, Giulio II ordinò la costruzione della basilica di San Pietro, in sostituzione della precedente chiesa voluta da costantino. I lavori, iniziati nel 1506, si protrassero per oltre un secolo.

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Malgrado l’età aVaNZata, giulio ii guidò persoNalMeNte la caMpagNa coNtro i fraNcesi

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Sigillo in cera roSSa di papa giUliO ii, 1505, bOrgO san lOrenzO (firenze).

Non essendo in grado di sconfiggere i Veneziani con il proprio esercito, Giulio II decise di cambiare strategia, rivolgendosi ai nemici di Venezia. Nel dicembre del 1508, riuscì a mettere insieme, nella Lega di Cambrai, l’imperatore Massimiliano I, Ferdinando II d’Aragona, Luigi XII di Francia, Alfonso I d’Este duca di Ferrara, Carlo III duca di Savoia e Francesco II Gonzaga marchese di Mantova. Cinque mesi dopo, nel maggio del 1509, gli eserciti coalizzati della Lega di Cambrai infliggevano una dura sconfitta ai Veneziani nella battaglia di Agnadello, presso Cremona. Di lì a poche settimane, la Repubblica di Venezia si arrese e restituì le città romagnole di Rimini e Faenza allo Stato Pontificio, trovandosi costretta a rinunciare anche a molti altri suoi possedimenti sulla terraferma.

Cambio di alleanze Il papa e i suoi alleati italiani, tuttavia, pagarono a carissimo prezzo la vittoria sui Veneziani, poiché aumentò in misura esponenziale la presenza di stranieri, Francesi e Spagnoli, sul territorio italiano. Giulio II, che tanto aveva fatto per spalancare le porte della Penisola alle potenze alleate, si erse dunque improvvisamente a loro nemico, decidendo di scendere ancora una volta in guerra al grido di “Fuori i barbari dall’Italia!”. La Francia, il cui sostegno era stato decisivo per l’elezione a pontefice del cardinale Giuliano della Rovere, fu la prima a farne le spese. Secondo quanto dichiarò Giulio II all’amico Prospero Colonna, “Luigi vuole che diventi il suo cappellano, ma piuttosto diventerò martire”. Così nel 1510, per arginare l’influenza di Luigi XII sull’Italia, il pontefice lasciò la Lega di Cambrai per allearsi con l’ex nemico, cioè Venezia. Il passo seguente fu scomunicare tutti i condottieri o principi italiani che avevano aiutato Luigi XII, come il duca Alfonso d’Este, il quale peraltro si era rifiutato di ade104 storica national geographic

rire alla pace stipulata tra Venezia e il papato. La risposta del re francese non si fece attendere. Nel settembre dello stesso anno convocò a Tours un sinodo dei vescovi francesi, che stabilì il diritto di tutti i principi di invadere lo Stato Pontificio e di ritirare l’obbedienza dei propri sudditi nei confronti del papa, se questi avesse attaccato i loro possedimenti. In quel momento, Giulio II era già al comando del suo esercito diretto a Bologna per difenderla dall’attacco dei Francesi, mentre una flotta pontificia tentava inutilmente di recuperare Genova. Giunto nella città emiliana, però, il papa fu colpito dalla malaria. Recuperò le forze alla fine del 1510, e intraprese allora, con le truppe veneziane e svizzere, l’attacco dei territori italiani sotto il controllo francese.

Assedio sotto la neve Nel corso dei rigidi mesi invernali, Giulio II guidò con tenacia la conquista di Concordia sulla Secchia, in provincia di Modena, e, soprattutto, il terribile assedio di Mirandola, roccaforte modenese che fece bombardare senza tregua fino alla sua resa, nel gennaio del 1511. Questo episodio consacrò definitivamente la sua fama di papa guerriero. Raccontano le cronache che, durante l’assedio, egli fu sul punto di essere colpito da una palla di cannone e che, caduta la città, fu il primo a entrarvi salendo con una scala di legno attraverso una crepa aperta nelle mura. L’ambasciatore veneziano avrebbe poi scritto in una lettera: “In tutte le storie del mondo è veramente degno d’attenzione che un papa sia venuto sul campo di battaglia, ancora malfermo a seguito di una malattia, con la neve e il freddo che c’è a gennaio”. Si trattava di Girolamo Lippomano, figura di rilievo della Serenissima, che scrisse ancora del papa: “Giulio II è comparso contro l’aspettazione di tutti. Da quanto pare è pienamente ristabilito: gira intorno al campo nel turbinio della neve.


le guerre iN italia tenne tuttavia il suo più grande successo nel 1512 quando, costituita la Lega Santa, riuscì a cacciare i Francesi dall’Italia e ad allargare al massimo i confini dello Stato Pontificio. Giulio sognava, a quell’epoca, di diventare il sovrano di fatto della Penisola italiana, ma la morte gli impedì di realizzare il suo progetto. arT arcHive

I

dieci anni di pontificato di Giulio ii

furono segnati da una catena ininterrotta di conflitti militari e di manovre diplomatiche. Ristabilita la propria autorità sui territori dello Stato Pontificio mediante la folgorante campagna militare nel 1506, il papa organizzò una grande alleanza internazionale contro Venezia, a cui riuscì a sottrarre gli ex possedimenti dello Stato Pontificio. ot-

effigie del papa giUliO ii sUl driTTO di Un dOppiO fiOrinO d’OrO cOniaTO dUranTe il sUO pOnTificaTO, xvi secOlO.

1 Perugia

1 Trento

REP

Agn Agnadello Ag n 1509

MILANO O

2 Bologna

conquistata Bologna nel 1506, il papa commissionò a Michelangelo una statua in bronzo che lo raffigurava. Ma nel 1511, all’ingresso dei Francesi in città, i Bolognesi abbatterono la scultura.

3 Venezia

nel 1509 le potenze della lega di cambrai invasero i territori della serenissima a nord del po, la cosiddetta “terraferma”. i Francesi avanzarono da ovest, l’esercito imperiale da nord, l’armata papale da sud.

4 Ravenna

Dopo aver conquistato Mirandola, giulio ii entrò a ravenna. nel 1512, i Francesi ottennero presso la città una grande vittoria, ma la morte del loro comandante gaston de Foix ne vanificò gli effetti.

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IA BBLI Bergamo CA DI VENEZ Vicenza Brescia

DUCATO DI MILANO

Verona

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P DI UBB GE LIC NO A VA

VENEZIA

Padova

DUCATO DI Piacenza MANTOVA

1509

Mantova 1511 Ferrara Polesella 1509 Parma Mirandola RA Modena

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1510

Ravenna

MODENA

Bologna

1 1512

Faenza Rimini

REPUBBLICA Lucca DI FIRENZE

LUCCA

Mar Ligure

Pisa

Urbino

FIRENZE

Volterra

SIENA

REPUBBLICA Perugia

Piombino DI SIENA Giulio II (1506) Giulio II (1509-1512) Alleati e forze di Giulio II (1509-1512) Offensiva antiveneziana (1509)

Mar Adriatico

115 1506

STATO DE EL CHIESA DELLA

Grosseto Orvieto

Stati pontifici dal 1513

5 Modena

grazie alla costituzione della lega santa, nell’ottobre del 1511, giulio ii annetté allo stato pontificio anche il Ducato di Modena e le signorie di reggio, parma e piacenza.

Annessioni di Giulio II nel 1512 Territori rivendicati da Giulio II

Tivoli Civitavecchia

Città prese e circondate Battaglia

ROMA carTOgrafia: eOsgis

nel 1506 giulio ii iniziò la sua avanzata verso la romagna occupando perugia, governata da gian paolo Baglioni. Machiavelli si stupì che quel feroce tiranno si sottomettesse al papa senza reagire.


il graNde MeceNate

giulio ii fu non soltanto un papa guerriero, ma rappresentò anche una delle maggiori incarnazioni dello spirito del rinascimento. protagonista delle guerre d’italia, fu anche committente e protettore dei più importanti architetti e artisti di quest’epoca irripetibile

OrOnOz

G

iulio ii appartiene a un’epoca,

il Rinascimento, nella quale la chiesa trascurò le sue preoccupazioni pastorali per dedicarsi alla lotta temporale. Intrighi politici a Roma e in europa, stretti legami con le casate nobiliari dell’epoca, accuse di corruzione: sono solo alcuni dei mali che afflissero il papato tra il XV e il XVI secolo. Giulio II non fu però solo moneta in argenTO cOn il riTraTTO di alessandrO vi bOrgia, rivale di giUliO ii ancHe nel mecenaTismO.

questo: più ancora del suo grande rivale alessandro VI, riuscì a rinnovare l’immagine della chiesa grazie a una serie di brillanti interventi artistici e architettonici affidati a geni quali Michelangelo, Raffaello, Bramante. Quale modo migliore di esaltare il papato se non abbellendo Roma con splendide opere d’arte, a partire dalla più imponente, la basilica di San Pietro, per finire con gli affreschi nella cappella Sistina? Ma Giulio II, che ordinò entrambe le opere, non riuscì a vederle completate, e fu questo, forse, uno dei maggiori crucci della sua vita. I lavori per la basilica di San Pietro iniziarono nel 1506. Del progetto fu incaricato Bramante, che disegnò una chiesa con pianta a croce greca sormontata da una gigantesca cupola emisferica. I lavori procedettero subito a rilento, bloccati

dalla morte di Giulio II e poi dello stesso Bramante (1514), al quale succedettero, modificando il progetto, Raffaello, Giuliano da Sangallo, antonio da Sangallo il Giovane e Baldassarre Peruzzi. Infine la direzione dei lavori passò nelle mani di Michelangelo, che nel 1546 cambiò di nuovo il disegno della basilica, completata solo nel 1626 sotto la supervisione di carlo Maderno. Sempre a Michelangelo, Giulio II commissionò nel 1508 gli affreschi per la cappella Sistina, fatta costruire dallo zio Sisto IV. In tutto, il lavoro occupò Michelangelo fino al 1541. anche la tomba del pontefice, ordinata sempre a Michelangelo, non venne mai realizzata. al suo posto, Michelangelo scolpì, nel 1545, il monumento funebre per la chiesa di San Pietro in Vincoli, dominato dalla figura centrale di Mosè.

pHOTOaisa

Bramante PreSenTA A GIulIO II Il PrOGeTTO dellA bASIlIcA dI SAn PIeTrO, OlIO Su TelA dI H. VerneT (1827), muSeO del lOuVre, PArIGI.

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La voLta DeLLa cappeLLa sistina Nel 1508 Giulio II incaricò Michelangelo di affrescare la volta della cappella Sistina, lavoro che l’artista concluse nel 1512. Il Giudizio Universale fu invece dipinto tra il 1535 e il 1541.

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care per il 1° settembre del 1511 a Pisa un concilio generale di ecclesiastici contrari a Giulio II (incontro poi trasferito a Milano a causa dell’ostilità dei Pisani), per mettere un freno alla politica antifrancese del papa. Nel frattempo Giulio II si trovò ancora una volta costretto a letto da una ricaduta della malaria, ma recuperò le forze a fine agosto. La diplomazia vaticana, nel frattempo, aveva messo in moto una grande alleanza internazionale per cacciare dall’Italia i Francesi e ostacolare la riuscita del concilio (che infatti si rivelò un insuccesso). Fu chiamata Lega Santa e riunì le forze del papato, di Venezia, della Spagna, dei cantoni svizzeri e dell’Inghilterra di Enrico VIII (lo scisma non era ancora avvenuto). Ciò indusse l’imperatore Massimiliano ad abbandonare Luigi XII al suo destino.

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La cacciata dei “barbari”

ritratto Di cortiGiano raffaello sanzio, autore di questo olio su tavola che raffigura un giovane cortigiano, fu chiamato a roma nel 1509 da giulio ii per affrescare gli appartamenti papali. 1504, szépmuvészeti Múzeum, Budapest.

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Non teme né vento né pioggia, ha una tempra da gigante. Ieri e oggi ha nevicato senza interruzione; la neve arriva al ginocchio dei cavalli, pur tuttavia il papa sta nel campo”. Dopo la conquista di Mirandola, Giulio lanciò le sue truppe all’assalto di Ferrara, con la stessa determinazione mostrata in precedenza. “Voglio Ferrara; preferirei morire come un cane piuttosto che cedere questa roccaforte”, si racconta abbia detto in uno dei suoi innumerevoli sfoghi. Tuttavia, di fronte all’avanzata francese, dovette desistere dall’impresa, trasferendosi a Ravenna, e alcuni mesi dopo a Roma. A Modena si riunirono ambasciatori del papa e del re di Francia, per dare inizio alle consultazioni diplomatiche; ma Luigi XII dimostrò a quel punto che Giulio II non era il solo a sapersi muovere con destrezza fuori dal campo di battaglia. Con l’appoggio dell’imperatore Massimiliano I, egli riuscì a far convo-

La battaglia di Ravenna, nell’aprile del 1512, sancì il successo della strategia papale: la morte in combattimento del loro comandante Gaston de Foix, caduto a un passo dalla vittoria, sconvolse i Francesi, che scelsero di ritirarsi verso nord. Giulio II poté così annettere allo Stato Pontificio anche le città di Parma, Reggio Emilia e Piacenza, oltre al Ducato di Modena. I “barbari” erano stati espulsi, e il dominio papale in Italia pareva incontrastato. Quando il papa cominciava a pensare d’indirizzare i suoi sforzi contro i domini spagnoli nel Regno di Napoli, fu tradito dalla salute e all’inizio di febbraio si ammalò nuovamente. Stavolta, però, la sua pur straordinaria tempra non gli venne in aiuto e, nella notte tra il 20 e il 21 febbraio 1513, morì settantenne nel suo letto delle stanze vaticane. Giulio II non fu sepolto nella tomba grandiosa progettata da Michelangelo a San Pietro in Vincoli, e conclusa solo nel 1545, ma nella basilica di San Pietro, senza alcun monumento funebre. Tuttavia fu organizzata a Roma una sontuosa processione, per celebrare le conquiste del “pontefice massimo, liberatore dell’Italia, vincitore dello scisma”. Altri contemporanei si mostrarono meno entusiasti, come lo storico Francesco Guicciardini, secondo il quale i successi militari di Giulio II sarebbero stati “degni d’immensa gloria se egli fosse stato un principe secolare”, e non la massima autorità religiosa della cristianità.


la toMba di giulio ii uN progetto torMeNtato

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el 1505, Giulio ii commissionò a Michelangelo il progetto di un grande monumento funebre da collocarsi nella basilica di San Pietro. Il successivo disinteresse del papa e la sua morte nel 1513, oltre alla mancanza di fondi, spinsero Michelangelo a ridimensionare l’opera. Inizialmente l’artista aveva pensato a una gigantesca struttura piramidale su tre piani nella quale, intorno al sarcofago papale, trovassero posto quaranta statue. Dopo varie riduzioni e modifiche, il mausoleo, concluso solo nel 1545, si trasformò in una facciata alta dieci metri, con sei statue fra le quali il celebre Mosè, che fu installata nella chiesa di San Pietro in Vincoli, a Roma. Le spoglie di Giulio II non riposano però qui, ma a San Pietro in Vaticano, sotto una semplice lastra di marmo.

Il secondo progetto scomparso giulio ii, Michelangelo, in accordo con gli eredi, elaborò un nuovo progetto di mausoleo, di cui i bozzetti qui sotto documentano la fase d’ideazione. le maggiori novità sono le dimensioni ridotte del monumento e l’assenza della camera mortuaria.

La Vergine, gli angeli e il papa il nuovo progetto prevedeva che, sotto la grande statua della Vergine e del Bambino gesù 1, comparisse giulio ii, portato in cielo da due angeli 2. ancora sotto, una sibilla 3 e un profeta biblico 4 rappresentavano simbolicamente la mediazione tra mondo umano e divino.

Le statue dei “Prigioni” a reggere la base della tomba dovevano essere sei “schiavi”, detti “prigioni” 5. nel monumento finale, diverso anche da questa versione, Michelangelo eliminò le statue degli schiavi, già realizzate, e pose al centro quella del Mosè, fiancheggiata dalle figure bibliche di rachele e lia.

copie dei Bozzetti preparatori disegnaTi da micHelangelO per il maUsOleO fUnebre di giUliO ii, sTaaTlicHe mUseen, berlinO.

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Le stanze di RaffaeLLo Leone X ordinò a Raffaello affreschi celebrativi della sua figura e dei papi suoi omonimi: Leone III e Leone IV. A sinistra, la Battaglia di Ostia, a destra, l’Incendio di Borgo. 1514-1515. Musei Vaticani.


Il grande papa del rInascImento

leone x

Il papa Medici volle inaugurare a Roma una nuova età dell’oro, con il sigillo di artisti quali Raffaello e opere nuove come la basilica di san Pietro. Molti però criticarono gli sprechi e le corruzioni del suo pontificato josé enRIque RuIz-doMénec PRoFessoRe oRdInARIo dI sToRIA MedIeVALe deLL’unIVeRsITà AuTonoMA dI BARceLLonA


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Piazza san PietRo Disegnata da gian lorenzo Bernini nel 1656, incornicia la basilica la cui costruzione iniziò con giulio ii e leone X. la cupola è opera di Michelangelo Buonarroti e la facciata di carlo Maderno.

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ra il 3 e il 4 marzo del 1513, quasi due settimane dopo la morte di papa Giulio II, giunsero a Roma i cardinali che dovevano eleggere il suo successore al soglio pontificio. I 25 che si presentarono, dei 31 aventi diritto, per alcuni giorni si dedicarono alla stesura di un nuovo regolamento per l’elezione del papa. In particolare, approvarono la bolla emanata da Giulio II contro la simonia, ossia contro la compravendita di cariche ecclesiastiche. In questo modo, a differenza di quanto era accaduto in occasioni precedenti, per esempio nel corso dell’elezione di Alessandro VI Borgia, il papato non rischiava più di essere messo in vendita. I candidati con maggiori possibilità di successo erano italiani: il cardinale Raffaele Riario, rappresentante della “vec-

chia guardia” della Curia, e il figlio di Lorenzo il Magnifico, Giovanni de’ Medici, sostenuto dai cardinali più giovani. I due sapevano di dover trovare un accordo per evitare di prolungare a oltranza la durata del conclave. L’eventualità della nomina di un papa di transizione del resto non faceva parte delle opzioni plausibili, perché la Chiesa si trovava a dover affrontare molte sfide non più procrastinabili. Perciò la sera del 10 marzo i due cardinali cenarono seduti allo stesso tavolo, in disparte dagli altri, e lì presero accordi sulla votazione del giorno seguente. I dettagli di ciò che si dissero nel corso di quella cena rimangono avvolti nel mistero, ma subito si diffusero voci e commenti, e quella stessa notte per i corridoi del Palazzo Apostolico sul colle Vaticano già si bisbigliava il nome del beneficiario dell’accordo. Così, il giorno


e dei gusti della sua celebre e ricca famiglia, e come tale si presentò fin dal primo momento. L’11 aprile del 1511, un mese dopo l’elezione, ebbe luogo una fastosa processione trionfale, come quelle che spesso i Medici organizzavano a Firenze: il nuovo papa fu portato dal colle Vaticano fino alla basilica di San Giovanni in Laterano, dove venne incoronato. Lungo il percorso si ergevano archi trionfali di cartapesta in onore del nuovo papa, tra i quali spiccava quello fatto costruire dal banchiere Agostino Chigi all’entrata del suo palazzo. Vi si potevano leggere alcuni versi in latino che recitavano: “Venere regnò qui con Alessandro; Marte con Giulio; ora, con Leone, sale sul trono Atena”. Era un’allusione a quanto si aspettavano i fedeli dal nuovo pontificato fondato sul ruolo della cultura e dell’arte come propulsori del rinnovamento spirituale.

Cammeo Con PaPa Leone X il pontefice, il cui nome alla nascita era giovanni de’ Medici, ritratto su una gemma di scuola fiorentina. l’opera, risalente al XVi secolo, si trova nel Museo degli argenti, palazzo pitti, Firenze.

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dopo venne eletto all’unanimità il più giovane dei due, Giovanni, che avrebbe assunto il nome di Leone X. Sarebbe dunque stato un appartenente alla famiglia Medici a calzare i sandali del pescatore, ossia di san Pietro. I cardinali scelsero Giovanni de’ Medici ritenendo che con lui sarebbe finita l’epoca di sperperi e guerre incarnata dai due papi precedenti, Alessandro VI (1492-1503) e Giulio II (1503-1513). Così almeno credette Francesco Vettori, lo storico più acuto di quegli anni, che nel suo Sommario dell’Historia d’Italia racconta magistralmente le aspettative riposte nel nuovo papa, ma anche la rapida caduta della sua figura nel discredito generale. In effetti, l’elezione di Giovanni fu inizialmente una boccata di aria fresca. Con i suoi 38 anni, il nuovo pontefice, secondogenito di Lorenzo il Magnifico, era la sintesi dei valori

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leone x non badò a spese per IngaggIare I mIglIorI artIstI e letteratI del momento

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CaliCe mediCeo. museo degli argenti, palazzo pitti, firenze.

Un rinnovamento ormai reso necessario dalle inarrestabili critiche alla Chiesa che provenivano dalla Germania di Martin Lutero e che sarebbero sfociate nella Riforma protestante. Più tardi sarebbe giunta la delusione, quando apparve chiaro che la politica di Leone X mirava in realtà agli interessi di sempre; ma all’inizio nei suoi confronti ci furono aspettative piene della speranza che il suo pontificato avrebbe davvero rinnovato la Chiesa.

Eccessiva munificenza Leone X si mostrò subito al mondo come un papa colto, amante delle lettere e dell’arte, interessato sia alla poesia sia alla teologia. Egli volle unire in sé il carisma di Pio II (1458-1464), il grande Enea Silvio Piccolomini, il papa umanista per eccellenza, a un ruolo di mecenate della cultura che era caratteristico dei membri della famiglia Medici fin dai tempi della signoria di Cosimo il Vecchio (1434-1464). Non badò dunque a spese per ingaggiare i migliori artisti e letterati del momento, fino al punto che il cardinale Riario scrisse a Erasmo da Rotterdam nel 1515: “Uomini di lettere vengono di corsa da tutte le parti alla Città Eterna, che è la loro patria comune, il loro sostegno e la loro protettrice”. Tuttavia, la volontà di investire in ambito culturale risultava potenzialmente pericolosa per un pontefice. Per questo Leone X compensò le uscite con la distribuzione di 6000 ducati all’anno in beneficenza e con opere di carità a conventi, ospedali, soldati in pensione, studenti poveri, pellegrini, esiliati, disabili, ciechi e malati di ogni sorta. Una beneficenza che, comunque, aggravò la sua situazione finanziaria. Quindi, nel 1517, nominò 31 nuovi cardinali, in modo da ricevere dai nuovi prelati 500.000 ducati, una vera fortuna. A ogni modo, dalle casse della Chiesa uscivano più soldi di quanti ne entrassero. Per questo Vettori scrisse: “Per Leone X, ri114 storica national geographic

sparmiare mille ducati era come far volare un sasso in aria per spinta propria”. All’origine di tanta munificenza vi era il gusto squisitamente rinascimentale nei confronti del lusso e dei piaceri. Tanto prima quanto dopo la sua elezione, Leone X fu del resto avvezzo a ogni genere di divertimento. Per esempio, già papa, nel 1519 assistette alla rappresentazione del licenzioso Suppositi di Ludovico Ariosto, una commedia che raccontava la storia di un giovane che si travestiva per riuscire a entrare nella casa della dama che si proponeva di sedurre.

I fasti come obbligo Occorre rilevare che il fasto di cui Leone X si circondava era anche una strategia diplomatica per elevare il papato, in quanto Stato temporale con interessi politici propri, all’altezza delle potenti monarchie dell’epoca. La condotta di Leone X suscitò tra i sovrani europei posizioni antitetiche: alcuni ne subirono il fascino, come il portoghese Manuele I che inviò in dono a Roma un elefante bianco per non sfigurare nei confronti di un papa tanto amante del lusso. Altri re, invece, ne furono infastiditi. Inoltre, negli ambienti ecclesiastici, in nome di un Cristianesimo austero e più autentico, si intensificarono le accuse di sprechi e corruzione alla sua corte. Per contrastare queste critiche, Leone X fece proseguire i lavori per la basilica di San Pietro, il nuovo tempio della cristianità che stava sorgendo al posto della basilica costantiniana eretta nel IV secolo. I lavori, iniziati dal suo predecessore Giulio II, si interruppero però dopo la morte nel 1514 del Bramante, l’architetto scelto per la realizzazione dell’edificio. Poiché Michelangelo Buonarroti si trovava allora a Firenze per lavorare, tra l’altro, alle Cappelle Medicee, Leone X scelse come sostituto del Bramante un giovane artista urbinate, Raffaello Sanzio (1483-1520).


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Il messaggIo polItIco dI raFFaello

RitRatto di Leone X Il papa raffigurato da Raffaello tra i cardinali Giulio de’ Medici (il futuro clemente VII), a sinistra, e il cardinale Luigi de’ Rossi, a destra. 1518-19. Galleria degli uffizi, Firenze.

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l ritratto di raffaello, dedicato a Leone X e ai due suoi cugini cardinali, Giulio de’ Medici e Luigi de’ Rossi, è un vero e proprio documento storico con un preciso messaggio politico. Leone X lo commissionò nel 1518 per inviarlo a Firenze alle feste nuziali del nipote, Lorenzo di Piero de’ Medici, duca di urbino, con Madeleine de La Tour d’Auvergne, parente di Francesco I, re di Francia. Feste allietate dalla prima rappresentazione de La mandragola di Machiavelli. Il papa intendeva così confermare ai Francesi la politica medicea filofrancese. Prima che ai Francesi si rivolgeva però ai Fiorentini, per sottolineare che i Medici si avvalevano anche della parentela e del sostegno del re di Francia, per rafforzare il loro dominio sulla città.

niCCoLò maChiaveLLi celebre soprattutto per il suo trattato politico Il Principe, il Machiavelli scrittore fu anche autore di commedie. dipinto di santi di Tito (1536-1603), Palazzo Vecchio, Firenze. storica national geographic

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Il cantIere deI grandI arcHItettI

n

album

el XiV secolo i papi, la cui residenza

ufficiale fino ad allora era stata il Palazzo del Laterano, nella zona orientale di Roma, si trasferirono a ovest, sul colle Vaticano, dove sarebbe sorta la nuova basilica di san Pietro. dalla metà del XV secolo il Vaticano divenne una vera e propria residenza principesca, in linea con i canoni estetici rinascimentali. Architetti e artisti come il Pollaiolo, il Bramante e Raffaello vi progettarono palazzi e giardini, vi realizzarono superbe decorazioni e si gettarono nella grande impresa di costruirvi una nuova basilica simbolo del trionfo della chiesa: san Pietro. apollo del belvedere, copia romana di un originale greco del iV secolo a.c. musei Vaticani, roma.

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Il palazzetto del Belvedere

Papa Innocenzo VIII fece costruire intorno al 1487 un palazzetto chiamato Belvedere, come luogo di ritiro e ricreazione. disegnato da Antonio del Pollaiolo (circa 1433-1498), è stato successivamente inglobato nell’attuale struttura dei Musei Vaticani.

Il cortile del Belvedere

Per collegare il Belvedere e il Palazzo Apostolico, l’architetto donato Bramante, su richiesta del pontefice Giulio II, tracciò nel 1504-05 un lungo cortile circondato da due lunghi corridoi su tre livelli. Bramante e Giulio II morirono prima del termine dell’opera.


da quando divenne residenza ufficiale dei papi, il colle Vaticano si coprì di prati e giardini. I pontefici rinascimentali crearono nuovi cortili con giardini, sui quali disseminarono statue classiche che papa Adriano VI volle ritirare perché considerate “idoli”.

Gli appartamenti dei papi Intorno al cortile di san damaso sorsero a partire dalla fine del XIII secolo le costruzioni destinate alle residenze private dei pontefici. Lì erano ubicati gli appartamenti Borgia, decorati dal Pinturicchio, e le stanze di Raffaello, affrescate per Giulio II e Leone X.

La Cappella Sistina

Fu costruita tra il 1475 e il 1481 dove un tempo sorgeva la cappella Magna, su richiesta di papa sisto IV (da qui il nome). Fu decorata dai massimi artisti del Rinascimento: Michelangelo, Raffaello, Botticelli, Perugino, Pinturicchio, Ghirlandaio e signorelli.

La Cupola di San Pietro

Il dipinto mostra la cupola della basilica del Vaticano ancora in costruzione. Alla morte, nel 1564, di Michelangelo Buonarroti, che aveva ideato il progetto, i lavori si arrestarono. Verranno terminati nel 1590, durante il pontificato di sisto V.

fondation custodia, collection frits lugt, paris

I giardini del Vaticano

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Il papa sostenuto daI bancHIerI

I

proVerbiali eccessi di papa Leone X

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furono resi possibili dai prestiti a lui concessi dai banchieri che si riunivano a Roma, e in particolare dalla liquidità a lui messa a sua disposizione dal senese Agostino chigi. considerato l’uomo più ricco della sua epoca, questi non esitò a sfoggiare la propria fortuna nelle sue abitazioni, progettate e decorate dai più rinomati artisti del momento. chigi fece prestiti a tutti i principi d’Italia e fu tanto abile da guadagnarsi il favore di tre papi: il Borgia Alessandro VI, il della Rovere Giulio II e il Medici Leone X. quest’ultimo si distinse per aver impiegato i fondi di chigi meno per imprese militari e più in opere d’arte e feste in grande stile: banchetti, commedie, battute di caccia… Tra queste ultime si ricordò per molto tempo quella che il papa organizzò nella villa papale della Magliana, nel gennaio 1515, nel corso della quale furono uccisi 30 cervi e 9 cinghiali.

la loggia di psiChe di raffaello, a Villa farnesina, costruita dal banchiere agostino chigi (1466-1520).

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PastoRaLe di Leone X il pastorale o vincastro è il simbolo della funzione di guida dei fedeli affidata al vescovo (il papa è il vescovo di roma). il pastorale dell’immagine si trova presso le cappelle Medicee, a Firenze.

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Esperto in campo architettonico, Leone X era in grado di discutere nel dettaglio questioni tecniche con gli artisti che aveva al suo servizio. Intervenne, per esempio, in una decisione fondamentale sulla forma che avrebbe dovuto assumere proprio la nuova basilica, sostenendo che fosse opportuno cambiare la sua pianta: da croce greca a croce latina. Il papa Medici non voleva che il suo pontificato ricalcasse i precedenti, e per questo si presentò come un riformatore della tradizione. Non lo turbava affatto che Raffaello si allontanasse dal progetto del Bramante: il suo fine ultimo era condurre Roma verso una nuova età dell’oro. Sapeva tuttavia che un’opera colossale come la nuova basilica avrebbe richiesto risorse economiche quasi illimitate, e per questa ragione promosse la vendita di indulgenze senza preoccuparsi delle inevitabili reazioni a tale disposizione.

Leone X non esitò a lanciarsi personalmente sulla scena politica. Doveva brillare se voleva far recuperare al papato il suo prestigio. La prima cosa che fece in tale ambito fu sostenere la causa di suo fratello Giuliano come re di Napoli e quella di suo cugino Lorenzo a capo di uno Stato che risultasse dall’unione di Milano, Firenze, Urbino e Ferrara. Voleva che i Medici divenissero i padroni d’Italia. Il suo piano fallì a causa della morte di Giuliano e dell’impopolare guerra con Francesco Maria della Rovere governante di Urbino. Leone X intervenne attivamente anche sulla scena della politica europea. Alla fine del 1517 inviò un bando a tutti i principi cristiani per spronarli a partecipare a una crociata contro l’Impero ottomano, ma per la maggior parte le risposte furono negative. E poco dopo s’intromise nell’elezione del nuovo imperatore del Sacro Romano Impero Germanico.


age fotostock

Per conservare l’indipendenza della Santa Sede e la “libertà d’Italia”, dapprima propose al trono un principe elettore tedesco, ma non ebbe successo; poi appoggiò, con lo stesso esito fallimentare, Francesco I di Francia, che gli sembrava “il male minore”. Alla fine fu eletto Carlo V d’Asburgo, re di Castiglia e Aragona. Si trattava della peggiore eventualità possibile per il pontefice, ma questi si ingegnò per avvicinarsi al nuovo imperatore.

La fine di un’epoca Leone X morì il 1 dicembre del 1521, a soli 46 anni. Alcuni dissero che fu avvelenato, ma pare che in realtà morì di malaria. Al conclave, il collegio cardinalizio fu esposto a enormi pressioni da parte dei re che si disputavano la supremazia in Italia e Europa: Francesco I di Francia, appoggiato da Venezia, e l’imperatore Carlo V, che disponeva delle truppe

della Castiglia e della flotta di Aragona. Il conclave si protrasse per 12 giorni, tra intrighi e interminabili discussioni. Alla fine salì al soglio pontificio Adriano di Utrecht. I cardinali giustificarono la scelta appellandosi all’intervento insondabile dello Spirito Santo. Infatti l’eletto non solo era uno straniero – “un papa barbaro”, si disse di colui che sarebbe stato l’ultimo papa non italiano fino all’elezione del polacco Giovanni Paolo II nel 1978 –, ma era anche stato precettore di Carlo V ed era allora reggente di Spagna. Il nuovo papa adottò il nome di Adriano VI e il suo pontificato fu breve oltre che contrastato. Gli successe Clemente VII, cugino di Leone X, dunque un altro Medici. Fu sotto tale pontificato che avvenne il fatto che segnò la fine dell’epoca d’oro del Rinascimento in Italia: il sacco di Roma da parte dei Lanzichenecchi, al soldo di Carlo V, nel 1527.

inteRno di san PietRo alla morte di Bramante, leone X affidò a raffaello la direzione dei lavori per la realizzazione della basilica. tra il 1546 e il 1564 il ruolo fu svolto da Michelangelo. al centro, il baldacchino ideato dal Bernini.

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IL SACCO DI ROMA

CLEMENTE VII CONTRO CARLO V la volontà dell’imperatore di dominare sull’intera penisola italiana culminò nel 1527 con l’aggressione allo stato pontificio: si verificò così il terribile saccheggio della capitale da parte dei lanzichenecchi david alonso

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Università complUtense di madrid


Il sacco dI Roma le truppe dei lanzichenecchi, i soldati tedeschi al soldo di carlo v, accampati in una roma devastata. olio su tela. Johannes lingelbach (1622-1674). collezione privata.


akg / aLbUm

l’INcoRoNaZIoNE dI caRlo V il gruppo scultoreo raffigura clemente vii nell’atto di incoronare l’imperatore. la figura del papa si deve a Baccio Bandinelli; quella di carlo v a Giovanni Battista caccini. 1540. palazzo vecchio, Firenze.

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La responsabilità dell’affronto era da attribuirsi infatti all’imperatore del Sacro Romano Impero Carlo V di Asburgo. Il Sacco di Roma, espressione con cui l’evento è passato alla storia, è rimasto da allora impresso nella memoria collettiva, associato alla barbarie dei soldati mercenari e alla grave umiliazione di un papa, Clemente VII, assediato per mesi all’interno di Castel Sant’Angelo. Le radici dell’episodio risalgono ad almeno due anni prima, al 1525, anno della battaglia di Pavia, un episodio della prima guerra franco-asburgica (1521-1559) nella quale Francesco I, re di Francia, venne sconfitto e divenne prigioniero di Carlo V. Questa vittoria infatti fece dell’imperatore, che allora aveva solo 25 anni, il monarca più potente del suo tempo, suscitando nei suoi confronti l’odio degli altri sovrani europei. Soprattutto in Italia, dove Carlo V era già re di Napoli e, in seguito alla battaglia di Pavia, ormai di fatto signore anche di Milano. Francesco I poté uscire dalla prigione dell’Alcazar di Madrid, in cui era stato rinchiuso al termine della battaglia, solo dopo aver firmato con l’imperatore il Trattato di Madrid, che prevedeva la rinuncia ai possedimenti francesi nella Penisola italiana e in Borgogna, e la consegna dei propri figli in ostaggio fino al completo adempimento delle condizioni previste dal trattato. Un accordo che peraltro Francesco I non era affatto disposto a rispettare, tanto che subito si mise a capo di un’alleanza fra tutti gli Stati che volessero arginare il potere di Carlo V in Italia. Nel 1526 si formò così la Santa Lega di Cognac, che tra i firmatari vedeva la Francia, la Repub-

blica di Venezia, il Ducato di Milano e la Repubblica fiorentina, e che era rafforzata dalla neutralità dell’Inghilterra di Enrico VIII. Tra gli alleati della Lega era anche lo Stato Pontificio di Clemente VII, Giulio de’ Medici. Il pontefice aveva le sue buone ragioni per temere il progressivo potere che stava assumendo l’imperatore. Questi dominava già, infatti, sull’Italia meridionale, quale eredità della monarchia spagnola.

PEttoRalE dI clEmENtE VII Visione frontale di un ornamento del pettorale realizzato in oro e pietre preziose da Benvenuto cellini tra il 1523 e il 1534. acquerello su carta eseguito nel 1729 da John talman. British Museum, londra.

L’avanzata verso Roma Dopo un infruttuoso tentativo di accordo con il Papa, Carlo V mise così in campo un esercito di circa 20.000 uomini con l’obiettivo di spingere il pontefice ad abbandonare l’alleanza anti-imperiale. Si trattava di un contingente multinazionale, caratterizzato dalla presenza di Spagnoli, Italiani e Fiamminghi, oltre che di circa 12.000 temibili Lanzichenecchi. Questi ultimi erano mercenari tedeschi che, in buona parte, aderivano alla Riforma protestante di Lutero e quindi provavano un’avversione particolare nei confronti del papa, che consideravano l’Anticristo, e della sua città, da loro identificata con la corrotta Babilonia di biblica memoria. Al comando delle operazioni di guerra l’imperatore pose il connestabile francese, ossia l’alto dignitario con funzioni militari, Carlo III di Borbone-Montpensier, il quale dopo una serie di contrasti con Francesco I era pronto a passare dalla parte dei suoi avversari. Mentre le truppe imperiali muovevano dal Nord Italia in direzione di Roma, la fortuna iniziò a girare le spalle a Clemente VII. Il principale comandante delle truppe anti-impestorica national geographic

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el maggio del 1527 l’intera Europa rimase sconcertata da un evento inatteso. Roma, la sede del papato e la capitale della cristianità, era stata assalita e saccheggiata per giorni. E tutto ciò non era avvenuto, come si temeva, per mano dei Turchi, ma da parte del più importante sovrano cattolico dell’epoca.


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SOVRANI IN CONTRASTO pato e l’impero, clemente vii e carlo v non furono mai in buoni rapporti. neppure il dilagare del protestantesimo riuscì a unirli. né l’uno né l’altro erano guidati dai motivi spirituali, bensì da interessi di potere. dopo il sacco di roma del 1527, fu piuttosto la convenienza politica a determinare la riconciliazione che è riflessa nel dipinto di Giorgio vasari qui riprodotto. Clemente VII a ColloquIo Con Carlo V in Un dipinto reaLizzato da giorgio vasari (1511-1574) e dai sUoi assistenti. saLa di CLemente vii, paLazzo veCChio, Firenze.

riali, Giovanni dalle Bande Nere, venne ferito mortalmente nel primo scontro con l’esercito asburgico a Governolo, presso Mantova. Poi, quando l’esercito imperiale era giunto ad accamparsi di fronte alle mura di Roma, il suo comandante, il connestabile di Borbone, morì in seguito a un colpo di archibugio (secondo una versione non confermata, sparato dal grande scultore Benvenuto Cellini). I soldati persero così un comandante di riconosciuto valore che avrebbe potuto controllarne l’impeto; ma la sua morte finì per rinforzare, anziché indebolire, l’aggressività degli imperiali. Da ultimo le truppe del cardinale e condottiero Pompeo Colonna – alleato degli imperiali a causa del suo antagonismo con la famiglia romana degli Orsini, uno dei principali sostenitori di Clemente VII – stavano aspettando l’occasione giusta per ottenere 124 storica national geographic

d. marSiCO / COrbiS / COrdOn PreSS

RappResentanti delle due massime autorità dell’europa cristiana, il pa-

vendetta per gli affronti da loro subiti a causa del papa. L’obiettivo dell’esercito imperiale era prendere possesso di Roma per evitare di essere sorpreso dai contingenti della Lega di Cognac. La città contava su una guarnigione scarsa, ma aveva mura solide e ben difese. Il 6 maggio 1527 iniziò l’assalto.

Lunghi mesi di devastazione Dopo un’attenta perlustrazione delle mura, un piccolo gruppo di Spagnoli riuscì a servirsi di un ingresso sotterraneo di Palazzo Armellini (nell’attuale via della Conciliazione) per penetrare in città. Il contingente infiltrato si mise ad allargare l’accesso così che una parte dell’esercito imperiale riuscì a entrare a Roma. Altri soldati dovettero invece scalare le mura utilizzando rampini e scale. L’impeto dell’assalto fu spaventoso: non vi era alcuna pietà neppure per chi si arrendeva.


Clemente VII si rifugiò a Castel Sant’Angelo, dove fu assediato dall’esercito imperiale, poi appoggiato dalle truppe dei Colonna che giunsero a Roma pochi giorni dopo. Contemporaneamente iniziava uno dei più terribili saccheggi della storia. Le leggi marziali dell’epoca consentivano alle truppe tre giorni di saccheggio quando queste prendevano una città senza che si fosse arresa. Nel caso di Roma, i tre giorni divennero addirittura mesi; i soldati sarebbero usciti da Roma solo nel febbraio del 1528. Nei primi giorni morirono più di 5000 persone, ma a esse ne sarebbero seguite migliaia e migliaia. Condanne a morte non autorizzate, torture spietate, furti in case e chiese, incendi per ripicca e ogni tipo di malefatte provocate dalla mancanza di punizioni e dall’assenza di capi militari furono per i cittadini romani la nota dominante di quei mesi.

Le vittime preferite dei soldati, anche se non le uniche, furono i ricchi proprietari. Le loro case furono occupate, e loro stessi e i loro familiari vennero sequestrati e torturati fino a ottenerne riscatti estremamente onerosi. Il politico Luigi Guicciardini (fratello dello storiografo Francesco) ci ha lasciato un vivido racconto delle torture che venivano allora inflitte: “Molti erono tenuti più ore del giorno sospesi da terra per le braccia; molti tirati e legati stranamente per le parti vergognose; molti per un piè impiccati sopra le strade, o sopra l’acque, con minaccia di tagliare le corde; molti villanamente battuti e feriti; non pochi incesi con ferro affogato in più luoghi della persona; certi patirono estrema sete; altri insopportabile sonno; a chi, per più crudele ma più sicura pena, fu cavato de’ denti migliori; a chi fu dato mangiare i propri orecchi, o il naso, o i suoi testicoli arrostiti”.

INtERNo dI saN PEtRoNIo nella basilica bolognese il 24 febbraio del 1530 papa clemente Vii incoronò carlo V imperatore. Bologna fu preferita a roma, dove il ricordo del sacco di roma era ancora molto vivido.

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arChivi alinari

clEmENtE VII cElEbRa lE NoZZE il pontefice unisce in matrimonio nella cattedrale di Marsiglia la nipote caterina de’ Medici ed enrico d’orléans, figlio di Francesco i. Dipinto di Jacopo chimenti (1551-1640). Villa della petraia, Firenze.

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Si è calcolato che quanto fu estorto con tali espedienti dalle truppe ammontò a circa 10 o 12 milioni di ducati, una somma esorbitante. A tutto ciò si aggiunsero le distruzioni di innumerevoli opere d’arte e di chiese.

La liberazione del papa Intanto a giugno gli assalitori raggiunsero un accordo con il pontefice, che accettò di versare un ingente riscatto, quattrocentomila ducati, per la sua liberazione, che sarebbe avvenutta solo al termine del versamento dell’intera somma. Inoltre si impegnò a cedere a Carlo V una buona parte dei territori settentrionali dello Stato Pontificio (cosa che però poi non avvenne). Le truppe imperiali iniziarono a ricevere monete d’oro e argento coniate per l’occasione grazie alla fusione di croci, vasi e candelabri, il che portò a una diminuzione degli omicidi. Tuttavia, non appena il

versamento del denaro si arrestava, ricominciava il saccheggio. Infine, nel novembre del 1527 venne firmato il trattato di pace tra Carlo V e Clemente VII con il quale questi rinunciava all’alleanza con Francesco I in cambio della sua libertà e di una riduzione dei versamenti alle truppe imperiali. La propaganda asburgica avrebbe successivamente proclamato che Carlo V non era al corrente della marcia delle sue truppe contro Roma e che il vero colpevole del saccheggio fu lo stesso Clemente VII, reo di avere sfidato il massimo difensore del Cattolicesimo. Tre anni dopo, però, arrivò il momento della riconciliazione: il 24 febbraio del 1530 Carlo V venne incoronato imperatore da parte dello stesso Clemente VII in una cerimonia che ebbe luogo a Bologna, non a Roma. Si sciolse anche la Lega di Cognac, lasciando Carlo V padrone quasi assoluto dell’Italia.


L’ASSEDIO A CASTEL SANT’ANgELO rifugiandosi entro le mura dell’edificio. l’accerchiamento del castello è raffigurato qui sotto in un’incisione di maarten van Heemskerck (14981574) conservata presso la Biblioteca nazionale di madrid.

arT arChive

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l 6 maggio 1527, di fronte al dilagare in città dei circa dodicimila lanzichenecchi al soldo di carlo v, clemente vii trovò rifugio a castel sant’angelo. Questi mercenari esigevano un ingente riscatto per la liberazione sua e degli altri circa tremila cittadini romani (in gran parte donne e bambini) che erano riusciti a mettersi in salvo

Clemente VII raffigUraTO COn il manTO PaPale, la Tiara e il PaSTOrale SU Una mOneTa d’OrO da dieCi dUCaTi.

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4

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OrOnOz

SCala

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1 L’accerchiamento

Diversi soldati tedeschi, armati e pronti all’attacco, sorvegliano il ponte che dà accesso a castel sant’angelo. al loro fianco due cannoni e le relative munizioni per l’assalto.

2 Offerta di resa

Un araldo avanza sul ponte per consegnare a clemente Vii la richiesta di riscatto avanzata dai lanzichenecchi per liberare il papa e gli altri romani rifugiatisi nel castello.

3 Il papa assediato

clemente Vii è affacciato alla loggia del castello. Da lì osserva inerme l’assedio e le distruzioni che nel frattempo le truppe imperiali stanno compiendo in città.

4 Lanzichenecchi

in primo piano, e perciò con dimensioni maggiori rispetto a quelle delle altre figure, due lanzichenecchi – un portastendardo e un soldato armato di picca – osservano la scena. storica national geographic

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SANT’IGNAZIO ACCOLTO IN CIELO L’affresco a trompel’œil di Andrea Pozzo raffigura l’apoteosi di Sant’Ignazio di Loyola, fondatore della Compagnia di Gesù, l’ordine simbolo della Controriforma. 1685, chiesa di Sant’Ignazio, Roma.


laREaZIONE al lUTERaNESIMO

cONTRORIfORMa Con il Concilio di trento, la Chiesa avviò una fase di profonda rigenerazione morale e spirituale, riaffermando il primato della dottrina cattolica sulle “eresie” protestanti e la centralità di Roma e del papato nell’europa postrinascimentale VIttoRIo H. beonIo-bRoCCHIeRI PRofeSSoRe dI StoRIA modeRnA ALL’unIVeRSItà deLLA CALAbRIA


L

a Controriforma non ha mai goduto di stampa favorevole, tanto che il termine, coniato non a caso in epoca illuminista, è diventato sinonimo di fanatismo e intolleranza religiosa. La sua storia è stata identificata con quella di istituzioni sinistre, come la Santa Inquisizione e l’Indice dei Libri Proibiti, redatto per la prima volta nel 1559 da Paolo IV, per mettere al riparo i fedeli cattolici da quei “libri avvelenati et pieni di heresie scritti in volgar lingua” che l’invenzione della stampa aveva contribuito a diffondere. Alla Controriforma è inoltre addebitata la colpa di aver ostacolato lo sviluppo culturale, civile e persino economico dell’Europa cattolica, e in particolare della Penisola italiana.

Il rogo di Giordano Bruno nel 1600 e il processo del 1633 contro Galileo Galilei, costretto ad abiurare le sue teorie astronomiche, sono diventati i momenti forti della “leggenda nera” che ha contrassegnato il secolo della Controriforma, compreso fra la metà del Cinquecento e la metà del Seicento. La realtà è però più complessa. La lotta per estirpare le dottrine degli eretici e il dissenso degli intellettuali è stata certamente un aspetto significativo di questo periodo storico; ma la Controriforma fu anche un intenso sforzo di rinnovamento spirituale e morale della Chiesa e lasciò un’impronta profonda nella cultura e nelle arti, basti pensare alla pittura e all’architettura barocche. Dopotutto l’età della Controriforma è stata anche l’epoca di artisti come Caravaggio, Rubens, Velázquez, Bernini. Inoltre questo secolo è stato anche quello dell’incontro fra la cristianità europea e le religioni delle altri parti del mondo, dai culti degli Indios americani alle complesse tradizioni spirituali dell’Asia orientale. Un incontro spesso drammatico, ma non privo di momenti di apertura e dialogo. 130 storica national geographic

SANDRA RACCANELLO / FOTOTECA 9X12

I due volti di un’epoca


LA CELEbrAZIONE dEL SACrO due capolavori romani dell’arte barocca: la chiesa di Sant’Agnese in Agone, opera del borromini, e la fontana dei Quattro fiumi, progettata da bernini. entrambe le opere sono in Piazza navona.

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UNa TEla “PROcESSaTa” PER ERESIa

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Cena a Casa di Levi. LA TELA, DipiNTA DAL vERONESE NEL 1571, È ALTA 5 mETRi E LARgA quASi 13. gALLERiA DELL’ACCADEmiA, vENEziA.

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IL rIfOrmATOrE dELLA CurIA l’effigie di sisto V sul dritto di una moneta d’oro del XVi secolo: papa dal 1585, nei cinque anni del suo pontificato sisto V si sforzò di riformare la curia e le strutture di governo della chiesa.

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el 1571 i domenicani della basilica dei Santi Giovanni e Paolo, a Venezia, commissionarono a Paolo Veronese un grande dipinto per il loro convento. Il tema doveva essere quello dell’Ultima cena, ma il Veronese lo illustrò in un’ottica così scenografica da insospettire il Sant’uffizio. Si era da poco concluso il Concilio di trento, che aveva ribadito il valore edificante dell’arte sacra, e il dipinto del Veronese, infarcito di nani, cani e giullari e soldati, pareva andare in tutt’altra direzione. L’artista fu perciò convocato dagli inquisitori e gli fu chiesto se davvero pensasse che l’ultima Cena si fosse svolta come l’aveva raffigurata. Il Veronese si difese sostenendo il diritto dell’artista di esprimersi senza vincoli, con la stessa libertà “che si pigliano i poeti e i matti”. Alla fine l’accusa di eresia fu ritirata, ma il Veronese dovette cambiare il titolo della tela in Cena a casa di Levi, episodio del Vangelo di Luca in cui Gesù Cristo incontra un ricco esattore.

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Per comprendere il fenomeno della Controriforma, è dunque bene partire dalle sue origini, cioè dalla gravissima crisi attraversata dalla Chiesa cattolica nei decenni centrali del Cinquecento. In seguito alla Riforma luterana e calvinista, molti Paesi europei si erano infatti definitivamente sottratti al controllo di Roma e del papato. Anche negli Stati rimasti cattolici, come la Spagna, la Francia e l’Italia, non mancavano focolai di eresia. In Italia, per esempio, personalità di spicco della società e della cultura, tra cui donne come la duchessa di Ferrara Renata di Francia o la poetessa Vittoria Colonna, non nascondevano la propria simpatia per la Riforma luterana. Nelle montagne del Piemonte e della Calabria, inoltre, intere comunità, che si rifacevano all’eresia medioevale di Pietro Valdo, avevano aderito con entusiasmo ai temi del Calvinismo.

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L’autorità spirituale del papa era ovunque messa in discussione e il prestigio politico dello Stato della Chiesa aveva subito un duro colpo con il terribile Sacco di Roma, perpetrato nel 1527 dai Lanzichenecchi al servizio dell’imperatore Carlo V d’Asburgo.

Le accuse di Erasmo In tutto il mondo cattolico era dunque fortemente sentita l’esigenza di una riforma che rimediasse agli abusi evidenti di una Chiesa che appariva troppo coinvolta nelle vicende mondane e troppo lontana dall’originaria vocazione evangelica. Si trattava di un’aspirazione che aveva preceduto lo strappo di Lutero, trovando in una figura di eccezionale prestigio, Erasmo da Rotterdam, il “principe degli umanisti”, il sostenitore più eloquente. Erasmo aveva rimproverato al clero di aver trasformato la fede cristiana nella mera ce-


1 Villa palladiana La scena evangelica è ambientata nello scenografico portico ad arcate di una villa veneta in stile palladiano. 2 Cristo e gli apostoli Gesù, al centro del banchetto, si volge verso Giovanni, che a sua volta guarda Pietro intento a tagliare il cibo.

3 Il cane in primo piano Veronese giustificò la presenza del cane in primo piano affermando che contribuiva all’armonia del dipinto.

4 Il giullare con pappagallo durante l’interrogatorio, l’artista rispose di aver inserito nel dipinto il giullare con il pappagallo per puro “ornamento”.

5 I due alabardieri tra gli oltre cinquanta personaggi che animano il dipinto, vi sono anche due alabardieri abbigliati alla tedesca.

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6 I servitori nel dipinto originale, uno dei servitori perdeva sangue dal naso: la scena fu modificata per volere del Sant’uffizio.

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7 Il titolo sulla balaustra Sui pilastrini delle balaustre fu aggiunta la scritta Fecit D[omino] Co[n]vi[vium] Magnu[m] Levi: “Cena in casa di Levi”.

lebrazione di riti e pratiche superstiziose, mentre pontefici come Alessandro VI Borgia e Giulio II della Rovere – il “papa guerriero” – sembravano occuparsi solo delle fortune della loro famiglia o del consolidamento politico e militare dello Stato della Chiesa. A metà Cinquecento questa ansia di rinnovamento animava molte personalità anche al vertice della gerarchia cattolica. Uomini come il cardinale inglese Reginald Pole o il veneziano Gasparo Contarini svolsero un ruolo di primo piano nel Concilio che si aprì a Trento il 13 dicembre 1545 per iniziativa di Paolo III.

Un rinnovamento possibile Trento era una città italiana, ma apparteneva politicamente al Sacro Romano Impero e quindi al mondo tedesco, dove era divampata la Riforma luterana. Per questo era stata scelta come sede del Concilio quando ancora l’im-

peratore Carlo V si illudeva che fosse possibile ricomporre la frattura della cristianità. Il conflitto religioso che lacerava la Chiesa costituiva infatti una minaccia gravissima per i suoi possedimenti, già insidiati dalle ambizioni della Francia, eterna rivale degli Asburgo, e dall’Impero ottomano, i cui eserciti erano giunti a pochi chilometri da Vienna. Fu tuttavia subito chiaro che gli spazi di compromesso erano ormai ristretti. I padri conciliari – alla seduta d’apertura erano presenti tre arcivescovi, ventuno vescovi e i generali di cinque ordini mendicanti – rappresentavano di fatto solo un cattolicesimo ferito, ma fermamente deciso a combattere. Dal punto di vista strettamente teologico, la questione che sin dal principio aveva causato i maggiori attriti con i protestanti era quella della giustificazione, vale a dire di come il cristiano potesse raggiungere la salvezza. storica national geographic

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cENTOVENTI aNNI DI laVORI

SaN PIETRO cOMPlETaTa gTRES

piazza SAN piETRO iN uN’iNCiSiONE Di giOvANNi B. piRANESi, Xviii SECOLO.

ra il 1506 e il 1626, tutti i

maggiori architetti italiani lavorarono alla costruzione della basilica di San Pietro: da donato bramante a michelangelo buonarroti, da Raffaello ad Antonio da Sangallo il Giovane, dal Vignola fino a Carlo maderno. fu però Gian Lorenzo bernini (1598-1680), celebre anche come scultore, a definire tra il 1626 e il 1679 la decorazione interna della basilica e a rivedere il progetto dell’antistante Piazza San Pietro. Quest’ultima fu pensata come il risultato della combinazione tra due spazi diversi: uno a forma di trapezio rovesciato e l’altro di ovale, congiunti tra loro da un

maestoso colonnato architravato. fu bernini stesso a spiegare il significato simbolico di questo suo progetto: “La basilica di San Pietro, quasi matrice di tutte le altre, doveva avere un portico che dimostrasse di ricevere a braccia aperte, maternamente, i cattolici per confermarli nella credenza, gli eretici per riunirli alla Chiesa e gli infedeli per illuminarli alla vera fede”. una soluzione che faceva di Piazza San Pietro il punto di raccordo tra la città di Roma e la sua basilica, e dell’ovale porticato un’anticamera alla chiesa vera e propria, fulcro dell’identità cattolica e dell’autorità spirituale del pontefice.

SCALA, FiRENzE

1 La cappella del SS. Sacramento nel 1674 Bernini realizzò il grandioso tabernacolo in bronzo dorato della cappella, commissionato da Urbano Viii nel 1629, e i due maestosi angeli che lo fiancheggiano. 134 storica national geographic

facciata monumentale

gTRES

T

BPk / scala, firenze

2 Il baldacchino di bronzo papa Urbano Viii lo ordinò al Bernini nel 1623. collocato sopra l’altare, e in corrispondenza della tomba di san pietro, è alto 28 metri e fu costruito con bronzi asportati dal pantheon.

3 La grande cupola Fu progettata da Michelangelo a partire dal 1546 e terminata, dopo la morte dell’artista, nel 1590. internamente ha un diametro di circa 41 metri e un’altezza di oltre 117 metri.


Sezione della cupola

Cupola minore

Altare della Confessione

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iLLuSTRAziONE: mALTiNgS pARTNERShip, DERBy, iNghiLTERRA / NgS

orologio

4

1

tomba di san Pietro

gTRES

gTRES

tomba di Alessandro VII

Colonnato del bernini

4 La nuova planimetria nel 1607 paolo V incaricò carlo Maderno di rivedere il progetto della basilica di san pietro, passando dalla pianta a croce greca (scelta dal Bramante) a quella a croce latina.

5 La cattedra di san Pietro in questo capolavoro del Bernini, l’antico seggio di san pietro è racchiuso in una struttura di bronzo circondata da statue e sovrastata da una vetrata con la colomba dello spirito santo. storica national geographic

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E. LESSiNg / ALBum

Il cONcIlIO DI TRENTO SaNcì la ROTTURa TRa chIESa caTTOlIca E MONDO PROTESTaNTE

Grazie alla sola fede, e indipendentemente dalle opere, come sostenevano i luterani, o anche in virtù delle opere, come volevano invece i cattolici e il pontefice? La discussione fu lunga e molto accesa, ma il decreto emanato il 13 gennaio del 1547 non concedeva quasi nulla alle posizioni dei protestanti. In questa occasione il cardinale Reginald Pole si finse malato pur di non sottoscrivere una decisione che non condivideva. Anche le successive conclusioni in materia dottrinale sancirono la rottura irrimediabile tra la Chiesa di Roma e il Protestantesimo. Venne infatti ribadito il valore della tradizione della Chiesa a fianco delle Sacre Scritture, alle quali invece i protestanti attribuivano un assoluto primato, e fu confermata la validità dei sette sacramenti e ribadito il dogma della transustanziazione, cioè della trasformazione reale del pane e del vino nel sangue e nel corpo di Cristo durante l’eucarestia.

La “guerra spirituale” Il vero punto di svolta fu però il conclave seguito alla morte, nel 1549, di Paolo III. Per un momento sembrò che potesse prevalere proprio Reginald Pole, uno dei rappresentanti più autorevoli del partito riformista. A sbarrargli la strada fu il dossier raccolto dal Sant’Uffizio dell’Inquisizione, l’istituzione creata nel 1542 per combattere l’eresia e guidata dal potentissimo Gian Pietro Carafa. Il dossier sollevava dubbi sull’ortodossia di Pole. Al soglio pontificio venne quindi eletto nel 1550 il cardinal Giovanni Maria de’ Ciocchi del Monte, che assunse il nome di Giulio III. All’interno della Chiesa prevalse quindi la linea dello scontro aperto, l’idea di una “guerra spirituale” da combattersi per “estirpar, annichilar et allontanar… con ogni rigor et asprezza” il “morbo” dell’eresia. Da questo 136 storica national geographic

SCALA, FiRENzE

ostensorio DEL Xvi SECOLO, SANTA mARiA DELLA viTTORiA, iNgOLSTADT.

momento possiamo far cominciare la Controriforma vera e propria. Per gli esponenti del partito moderato il clima si fece difficile. I suoi principali rappresentanti tra i quali, oltre al Pole, vi erano il cardinale milanese Giovanni Morone, il vescovo di Bergamo Vittore Soranzo e il patriarca di Aquileia Giovanni Grimani, vennero inquisiti e talvolta arrestati. Il Sant’Uffizio divenne così di fatto l’arbitro dei conclavi. Non è certo un caso se molti cardinali che avevano fatto parte di questa istituzione vennero in seguito eletti pontefici, come Marcello II, Pio V, Sisto V, oltre naturalmente all’implacabile Gian Pietro Carafa, che fu papa dal 1555 al 1559 con il nome di Paolo IV. Non solo ogni possibilità di accordo con i protestanti era ormai esclusa, ma venne ribadita con fermezza l’autorità del pontefice e degli organismi centrali della Curia. Anche


UN cONcIlIO lUNgO qUaSI VENT’aNNI

I

ndetto da paolo iii nel 1545 in risposta

alla sfida di Lutero, il Concilio di trento si articolò in tre fasi: la prima, iniziata il 13 dicembre 1545, durò quattro anni e si svolse in parte a trento e in parte a bologna, dove i vescovi si erano rifugiati nel 1547 per timore della peste. Al termine di questa prima fase, nella quale furono affrontate le maggiori questioni teologiche, il concilio fu sospeso a causa dei contrasti tra Paolo III e l’imperatore Carlo V. Riprese a trento nel 1551, per volontà di Giulio III, ma le guerre di religione scoppiate in europa imposero presto (1552) una nuova sospensione. Infine nel 1562, sotto Pio IV, prese il via l’ultima fase del concilio: i lavori si concentrarono stavolta sull’organizzazione interna della Chiesa e furono dichiarati chiusi il 4 dicembre 1563, dopo la XXV sessione. Il 30 giugno del 1564, con la bolla Benedictus Deus, Pio IV approvava i decreti conciliari e creava una commissione apposita per vigilare sulla loro corretta attuazione.

La XXiii sessione DEL CONCiLiO Di TRENTO, OLiO Su TELA ATTRiBuiTO A pAOLO FARiNATi (1524-1606). LOuvRE, pARigi.

per questo, il Concilio di Trento, sospeso nel 1552, non venne più riconvocato per un decennio, fino al 18 gennaio del 1562. Inoltre la competenza dei tribunali inquisitoriali fu estesa, oltre che alla repressione delle eresie, ai reati di bestemmia, sodomia e simonia. La “guerra spirituale” interessò anche gli Ebrei. Furono ordinate la confisca e la distruzione di tutte le copie del Talmud, testo fondamentale dell’ebraismo, e nel 1555, a soli due mesi dalla sua elezione, proprio Paolo IV ordinò, con la bolla Cum Nimis Absurdum, la reclusione in ghetti degli Ebrei che vivevano entro i confini dello Stato Pontificio. Se possibile, ancora più inflessibile del Carafa fu Pio V Ghisleri, papa dal 1566 al 1572: “Riconciliarsi mai: non mai pietà; sterminate chi si sottomette, e sterminate chi resiste; perseguitate a oltranza, uccidete, ardete, tutto vada a fuoco e a sangue”. Così scriveva il

papa in una lettera a Filippo II di Spagna. Tra i pontificati dei due grandi inquisitori si colloca però la parentesi moderata di un altro milanese, Pio IV Medici (1559-1565), che nel 1562 riconvocò a Trento il Concilio e lo portò a termine l’anno seguente.

La riorganizzazione interna Oltre che di questioni teologiche, il Concilio, nella sua ultima fase, si occupò della disciplina del clero e dell’organizzazione interna della Chiesa. In particolare i vescovi riuniti a Trento procedettero alla riforma delle istituzioni periferiche della Chiesa, ovvero della rete delle diocesi e delle parrocchie. Venne per esempio ribadito il dovere dei vescovi di risiedere nelle loro sedi, cosa tutt’altro che scontata all’epoca, dato che nel Rinascimento molto raramente il gregge aveva avuto il privilegio di conoscere il proprio pastore. storica national geographic

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la MISSIONE DEI gESUITI IN aSIa

N

BRiDgEmAN / iNDEX

el XVii secolo, la diffusione del Cattolicesimo aveva ormai raggiunto dimensioni planetarie. tuttavia, se nelle Americhe Spagnoli e Portoghesi avevano potuto imporre a forza la propria religione, in Asia, di fronte a civiltà prospere come quella cinese, ciò non era possibile. Per diffondere la fede, la Chiesa dovette quindi ricorrere al “modo soave” teorizzato dal gesuita Alessandro Valignano (1539-1606). occorreva persuadere, e per farlo bisognava prima comprendere le lingue e le culture dei popoli da convertire. ecco perché, in Cina come in India, i padri gesuiti adottarono gli abiti dei bramini hindu o dei bonzi buddhisti. ma soprattutto si dedicarono allo studio delle culture locali. Il missionario matteo Ricci (1552-1610), per esempio, tradusse in latino molte opere di Confucio, e anche così si guadagnò la fiducia delle élite locali e lo spazio per un’imponente azione evangelizzatrice.

phOTOAiSA

CArLO V d’ASburGO Moneta d’argento con il profilo di carlo V: l’imperatore si illuse, attraverso il concilio di trento, di poter superare la frattura tra cattolici e protestanti e imporre la propria egemonia politica su tutta l’europa cristiana.

138 storica national geographic

I vescovi per lo più si limitavano a incassare le ricche rendite del loro ufficio, affidando a un vicario la cura delle anime. Carlo Borromeo, nipote di Pio IV, che dal giorno del suo insediamento come arcivescovo di Milano nel 1560 si dedicò interamente al governo della sua diocesi, visitandone ogni più remota parrocchia e difendendo puntigliosamente i diritti della Chiesa anche contro i rappresentanti della politica, divenne il modello di questa nuova figura di vescovo “militante” proposta dal Concilio. A Trento venne anche sottolineata la necessità di separare più nettamente il clero dai laici e di innalzare il prestigio e la dignità dei sacerdoti. Per ottenere questo risultato occorreva tuttavia migliorare il livello morale e la preparazione culturale dei preti, che in genere non erano certo tali da conquistare il rispetto dei fedeli. Molti sa-

iL planisfero di fra mauro RAFFiguRA iL mONDO pRimA DELLA SCOpERTA DELL’AmERiCA, 1450 CiRCA, vENEziA.

cerdoti sapevano a malapena leggere e scrivere, erano quasi digiuni delle nozioni elementari di teologia, si dedicavano ad attività profane, come il gioco e la caccia, e non pochi vivevano apertamente more uxorio con donne dalle quali avevano figli. La soluzione per rimediare a questi abusi fu la creazione di seminari diocesani per la preparazione del clero. Anche in questo caso i risultati non furono sempre all’altezza delle aspettative, ma nel complesso si ebbero dei progressi.

Gli ordini religiosi La ristrutturazione del governo centrale della Chiesa a Roma fu invece il risultato dell’azione diretta dei papi. L’aspetto più importante fu la creazione, nel 1588, per iniziativa di Sisto V, di un apparato di governo fondato sulle congregazioni, ovvero organismi composti da cardinali, con funzioni ben precise.


ShuTTERSTOCk

Le congregazioni erano quindici, sei destinate al governo dello Stato Pontificio e nove al governo spirituale della cattolicità. Ai vertici del sistema era la Congregazione del Sant’Uffizio, presieduta dal papa e chiamata a difendere “l’integrità” della fede. La creazione di un apparato di governo più efficiente e moderno, forse il più moderno d’Europa, contribuì al rafforzamento del potere dei papi che dalla metà del Cinquecento fino al polacco Giovanni Paolo II (1978) furono tutti italiani. Lo Stato della Chiesa recuperò anche il controllo effettivo su territori come Ferrara o Urbino, che in precedenza si erano sottratti al suo potere diventando Stati indipendenti nelle mani di ambiziose famiglie aristocratiche quali gli Este e i Della Rovere. Accanto al rinnovamento del clero secolare, di vescovi e parroci, e al rafforzamento dell’apparato di governo centrale della Chiesa, lo

sviluppo degli ordini regolari, sia maschili sia femminili, fu il terzo versante del rinnovamento cattolico. Nel 1524 nacquero i Teatini, nel 1528 i Cappuccini, nel 1533 i Barnabiti e due anni dopo le Angeliche, nel 1540 i Somaschi e quello che sarebbe diventato l’ordine regolare simbolo della Controriforma, i Gesuiti, la Compagnia di Gesù, fondati dallo spagnolo Ignazio di Loyola. Tali ordini nacquero prima della Controriforma, nel clima di fermento spirituale della prima metà del Cinquecento, e furono guardati con sospetto dall’Inquisizione. L’insegnamento e l’evangelizzazione furono i compiti prevalenti affidati loro. I Gesuiti, in particolare, si specializzarono da un lato nella conquista spirituale delle élite europee, istituendo quei collegi dove nei secoli a venire sarebbero stati educati i giovani nobili, e dall’altro nell’attività missionaria.

IL bALdACChINO dI SAN pIETrO ispirato ai catafalchi processionali, il baldacchino creato dal Bernini per la basilica di san pietro si sviluppa su quattro colonne tortili sormontate da una copertura a dorso di delfino che culmina nella croce.

storica national geographic

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scala, firenze

la teatralizzazione dell’arte

l’ESTaSI DI SaNTa TERESa canonizzata nel 1622, santa teresa d’Ávila (1515-1582) fu una delle più grandi mistiche dell’epoca della Controriforma. Autrice di vari testi sacri e di un’autobiografia in cui descrive le sue estasi spirituali, nel 1647 il cardinale federico Cornaro le consacrò una cappella nella chiesa romana di Santa maria della Vittoria, affidando a Gian Lorenzo bernini (sopra, in un autoritratto) il compito di progettarla. L’opera fu conclusa nel 1652 e costituisce una delle più esplicite testimonianze dei compiti che la Chiesa postridentina assegnava all’arte: stupire i fedeli, sedurre il loro spirito, guidarli verso la vera fede.

1 L’edicola-teatro

4 L’angelo mistico

2 Palchi con spettatori

5 Un’attrice in scena

3 Effetti di luce

6 Sopra una nube

La scultura occupa il centro di un’edicola policroma che funge da palcoscenico; la balaustra davanti alla cappella sembra separare il pubblico dalla scena.

Ai lati dell’edicola ci sono due palchetti dai quali alcuni membri della famiglia Cornaro osservano come spettatori l’estasi di santa teresa.

da una finestra nascosta dietro l’edicola penetra la luce solare, rendendo più realistico l’effetto dei raggi in bronzo dorato che scendono sulla santa.

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L’angelo-putto di fronte a teresa impugna un dardo, la lancia “dalla punta di fuoco” che, nella visione mistica della santa, la ferì al cuore legandola a dio.

Come la protagonista di una scena-madre, teresa appare in piena estasi mistica, con il volto trasognato che esprime insieme dolcezza e dolore.

teresa è posata su una nuvola di marmo che la trasporta verso il cielo. nel teatro barocco, era abituale l’uso di macchine di scena per sollevare gli attori.

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Prisma archivo

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IN ITalIa, la TUTEla DEll’ORTODOSSIa caTTOlIca fU RITENUTa UNa gaRaNZIa DI ORDINE SOcIalE

ALAmy / ACi

Giordano Bruno iN uNA STATuA COmmEmORATivA Di ETTORE FERRARi, 1889, ROmA.

La Chiesa della fine del Cinquecento era quindi radicalmente diversa da quella che, fino a qualche decennio prima, sembrava sul punto di essere travolta dalla Riforma luterana. A Trento e a Roma il cattolicesimo aveva definito con chiarezza la sua dottrina e aveva riorganizzato le sue strutture. Anche in Europa la Chiesa e i principi cattolici avevano ripreso l’iniziativa e riguadagnato molto del terreno perduto. In Francia la conversione di Enrico IV (“Parigi val bene una Messa”) aveva ridimensionato la minaccia ugonotta, la Polonia era stata riconquistata e nei domini asburgici la presenza dei protestanti quasi interamente sradicata.

Il compromesso italiano In Italia, la minaccia rappresentata dalle simpatie protestanti di molti aristocratici era stata eliminata, non solo grazie alla spietata azione repressiva, ai processi e ai roghi, ma anche a un nuovo clima di collaborazione – o se si preferisce di complicità – fra la Chiesa e le élite degli Stati italiani. Le catastrofiche guerre di religione in Francia, culminate nel massacro di San Bartolomeo che, nella notte tra il 23 e il 24 agosto del 1572, era costato la vita a oltre tremila ugonotti parigini (i calvinisti francesi), avevano reso evidente a tutti come la diffusione dell’eresia potesse avere conseguenze fatali per l’ordine sociale e politico. I fatti avevano dimostrato come flirtare con le idee luterane e calviniste potesse comportare rischi mortali per lo Stato. La salvaguardia dell’ortodossia religiosa parve quindi ai ceti dominanti dell’Italia cinquecentesca la condizione migliore per garantire la stabilità dell’ordine sociale, anche se, come contropartita, le prerogative di cui godeva l’Inquisizione ponevano dei limiti alla sovranità dei vari regni italiani. Inoltre, il rafforzamento del potere centrale dei papi aveva fatto della Santa Sede un cen142 storica national geographic

tro di distribuzione di favori, prebende e possibilità di carriera. L’assegnazione di vescovati, canonicati, priorati e altre cariche ecclesiastiche dipendeva ormai strettamente dal favore e dagli appoggi di cui si poteva godere a Roma. E poiché avere uno zio se non papa, cardinale o anche solo inserito in una delle numerose congregazioni ecclesiali, poteva cambiare il destino sociale ed economico di una famiglia, tutti facevano bene attenzione a non porsi in urto con chi tali prerogative era in grado di assegnare e distribuire. La Roma barocca sembrava anche aver ritrovato quel ruolo di capitale artistica che aveva avuto nei decenni precedenti il Sacco del 1527. “Roma”, scriveva il cardinale Guido Bentivoglio a metà del Seicento nelle sue Memorie, “non è patria solamente di se medesima o della sola Italia; ma forma, per così dire, un mondo spirituale che la fa divenire patria comune di tutte le battezzate nazioni”.

“Le Indie di quaggiù” I nuovi e vecchi ordini religiosi, che furono protagonisti oltremare dell’allargamento dei confini della cristianità, trovarono anche nella vecchia Europa un campo d’azione impegnativo. Sul finire del Cinquecento, i confini confessionali che separavano l’Europa rimasta cattolica da quella protestante si erano ormai consolidati. Di conseguenza la priorità passò dalla lotta contro l’eresia a quella per il controllo del comportamento e della cultura delle popolazioni europee. I missionari, i vescovi, i parroci che uscivano dai nuovi seminari scoprirono infatti con sgomento come la cristianizzazione, soprattutto nelle zone più isolate come le montagne e le isole, fosse approssimativa e superficiale. Ai loro occhi i contadini e i montanari di molte aree nel cuore d’Europa apparivano non meno esotici e incomprensibili dei selvaggi e degli indigeni d’America e dell’Asia.


scala, firenze

LA NASCITA dEI GESuITI Ignazio di Loyola riceve da Paolo III la bolla con l’approvazione finale alla costituzione della Compagnia di Gesù: dipinto di Juan de Valdés Leal, XVII secolo, museo de bellas Artes, Siviglia. storica national geographic

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Del resto il culto di Satana, che si supponeva fosse celebrato nei sabba, era esso stesso giudicato un’eresia, anzi la più nefanda delle eresie. Nei secoli iniziali dell’Età moderna, sia nei territori rimasti cattolici sia in quelli passati al Protestantesimo, migliaia di donne e anche molti uomini vennero processati, condannati e talvolta giustiziati per stregoneria.

BRiDgEmAN / iNDEX

Disciplinare la società

IL NEmICO dA SCONfIGGErE Martin lutero ritratto nel 1526 da lucas cranach il Vecchio. il padre della riforma protestante fu il primo, nel 1517, a invocare un concilio che superasse i contrasti tra lui e il papato. castello di Wartburg, eisenach.

144 storica national geographic

In questi termini il gesuita Silvestro Landini descriveva nel 1553 la situazione della Corsica: “Dubito che la maggior parte di quest’isola non sia idolatra: perché ancora non ho incontrato sacerdote che sappia la forma non dico dei sette sacramenti della Chiesa, ma del sacramento dell’altare”. Le campagne d’Europa erano insomma “le Indie di quaggiù”. Ovunque, appena al di sotto di una superficiale infarinatura cristiana, si scoprivano superstizioni antichissime, culti agrari millenari, credenze che nulla avevano di cristiano e che, allo sguardo deformante di missionari e inquisitori, apparivano come pratiche di certa ispirazione demoniaca. Modeste guaritrici di paese, levatrici ed esperte nell’uso delle erbe medicinali vennero considerate perfide streghe e perseguitate con la stessa spietata determinazione riservata agli eretici, agli ebrei e ai pagani.

Forse il lascito più importante della stagione della Controriforma fu proprio questo grande progetto di conquista culturale dell’Europa profonda. Non si trattò solo di combattere la superstizione e di diffondere la conoscenza della vera fede, ma di imporre alle popolazioni uno stretto controllo ecclesiale su ogni aspetto dell’esistenza. Molti comportamenti, che prima erano stati ritenuti legittimi o almeno tollerati, divennero sospetti e furono attivamente perseguiti. In quest’azione di “disciplinamento” della popolazione, l’istituto della Confessione – il “tribunale della coscienza” – si dimostrò persino più importante degli organi di tipo repressivo quali l’Inquisizione. Il matrimonio e la sessualità furono oggetto di particolare attenzione da parte della Chiesa. Prima del Concilio, il matrimonio riguardava essenzialmente la società laica e in primo luogo sanciva l’alleanza fra due famiglie. Esso era quindi il risultato di complesse strategie economiche e l’intervento del sacerdote era per lo più marginale. Anche se il matrimonio era già riconosciuto come sacramento, per i laici la sua validità prescindeva in fondo dall’intervento del clero. Una coppia si considerava sposata dal momento in cui vi era stato uno scambio formale di promesse. Dopo il Concilio, invece, il matrimonio divenne essenzialmente una cerimonia religiosa e il clero ne assunse il pieno controllo, rendendosi arbitro e garante di un aspetto fondante della vita individuale e collettiva. Come osservò acutamente il frate veneziano Paolo Sarpi, questa evoluzione fu “cosa di somma esaltazione dell’ordine ecclesiastico, poiché un’azione tanto principale nell’amministrazione politica ed economica che sino a quel tempo era stata sola in mano di chi toccava [cioè degli interessati: ndr] veniva interamente sottoposta al clero”.


giOvANNi RiNALDi

AffrESChI EdIfICANTI L’abside della chiesa di Sant’Ignazio di Loyola, a Roma: fu il pittore e scultore gesuita Andrea Pozzo a decorarla, tra il 1685 e il 1697, con affreschi ispirati alla vita del santo.

storica national geographic

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L’uLtimo papa-RE Pio IX in un ritratto dell’americano George P. A. Healy: il suo pontificato, il più lungo della storia (oltre 31 anni), sancì la fine del potere temporale della Chiesa. 1871, Museo Pio IX, Senigallia.

scala, firenze

L’EmBLEma dEL pontificato Rilievo dalla basilica romana di San Pietro con lo stemma pontificio di Pio IX: sotto la tiara papale, sono raffigurate le chiavi di san Pietro e l’emblema araldico della famiglia di Pio IX, i Mastai Ferretti.


PrisMa / albuM

la fine del potere temporale del papato

pio ix

dopo i moti del 1848, virò verso politiche conservatrici, volte alla difesa intransigente del potere temporale e spirituale del papato. e combatté fino all’ultimo la “sacrilega usurpazione” di Roma da parte dell’Italia finalmente unita VIttoRIo H. beonIo-bRoCCHIeRI PRoFeSSoRe dI StoRIA ModeRnA All’unIVeRSItà dellA CAlAbRIA


istockPhoto

La SEdE dEL pRimo paRLamEnto la facciata di palazzo carignano, a torino: l’edificio fu sede del primo parlamento italiano, nato da quelle istanze liberali e patriottiche che pio iX, fino ai moti del 1848, era parso (almeno in parte) condividere.

148 storica national geographic

I

l primo di giugno del 1846 moriva dopo quindici anni di regno Gregorio XVI – Mauro Cappellari – un pontefice considerato fortemente tradizionalista. L’attesa dell’elezione del suo successore fu quindi accompagnata da grandi speranze di rinnovamento. I Romani elevavano preghiere fervide –e ironiche – perché il loro nuovo signore, spirituale e temporale, si dimostrasse più aperto alle novità del mondo moderno, a cominciare da quelle tecniche: “Affinché ti degni di concederci la costruzione di ferrovie, noi ti preghiamo, ascoltaci o Signore”. L’ostilità verso la ferrovia – Vias ferreas – era infatti assurta a simbolo dell’irriducibile conservatorismo del papa scomparso, al quale veniva attribuita la frase “chemin de fer, chemin d’enfer” (“la ferrovia è la via per l’Inferno”).

Naturalmente le aspettative non riguardavano solo la costruzione di ferrovie. I sudditi del papa-re pregavano anche perché nello Stato Pontificio venissero introdotte le indispensabili riforme modernizzatrici e fosse concessa l’amnistia per i reati politici.

Un conclave lampo Se teniamo conto di questo clima, si può comprendere meglio l’entusiasmo con il quale venne accolta l’elezione a pontefice del nobiluomo marchigiano Giovanni Maria Mastai Ferretti, il 16 giugno dello stesso 1846, quindi dopo un conclave insolitamente breve. La candidatura di Mastai Ferretti aveva avuto successo, tuttavia, non perché si era imposta come una scelta di rottura, di apertura verso un papato più “liberale”, ma come una soluzione di mediazione. Il candidato dell’ala


infine il papa aveva acconsentito finalmente all’avvio della costruzione “delle portentose strade ferrate”, segno inequivocabile della volontà di avviarsi, certo con tutta la prudenza del caso, sulla strada del progresso.

Moderato di natura In verità, questi entusiasmi e l’apertura di credito dell’ala liberale nei confronti del papa poggiavano su basi fragili. Durante i moti rivoluzionari del 1831, come arcivescovo di Spoleto, Mastai Ferretti aveva dato prova di moderazione, specie dopo che l’ordine era stato ristabilito; ma la volontà di non infierire contro i rivoluzionari sconfitti non nasceva da motivazioni politiche, non era insomma indice di una simpatia nei confronti degli ideali liberali e patriottici.

San piEtRo in cattEdRa statua bronzea del Xiii secolo attribuita al senese arnolfo di cambio. Basilica di san pietro, roma.

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più progressista del Sacro Collegio era infatti Tommaso Pasquale Gizzi, quello del gruppo più conservatore era il Segretario di Stato di Gregorio XVI, Luigi Lambruschini. I primi passi del nuovo pontefice sembrarono comunque essere il compimento dei voti espressi nelle preghiere dai suoi sudditi. Innanzitutto ci fu l’agognata amnistia per i prigionieri politici, che suscitò grandi entusiasmi, e la nomina del “liberale” Gizzi a Segretario di Stato al posto dell’intransigente Lambruschini. Nel marzo del 1847 venne inoltre deciso un allentamento della censura, e questa misura permise la nascita di giornali liberali moderati come Il Felsineo di Bologna, diretto dal futuro primo ministro dell’Italia unita Marco Minghetti (1818-1886). Nell’aprile del 1846 venne creata la Consulta di Stato, sia pure con poteri molto limitati. E


le ottanta condanne del sillabo

i

l cosiddetto Sillabo, un documento

ORONOZ / ALBUM

allegato all’enciclica Quanta Cura del 1864, è un elenco di ottanta affermazioni giudicate false e incompatibili con la fede cattolica. tali affermazioni spaziano da questioni propriamente religiose, come il primato del pontefice o il valore sacramentale del matrimonio, ad aspetti sociali e politici. una condanna senza appello è riservata alla libertà religiosa, e all’affermazione secondo la quale “è libero ciascun uomo di abbracciare quella religione che, sulla scorta della ragione, avrà reputato essere vera”. Così come vengono colpiti “socialismo, comunismo, società segrete, società bibliche, società clerico-liberali”, definite senza mezzi termini “pestilenze”. Il senso del documento è riassunto nell’ottantesima e ultima proposizione condannata: “Il Pontefice può e deve riconciliarsi e venire a composizione col progresso, col liberalismo e con la moderna civiltà”.

juan donoso cortÉs, coautore del sillabo. ritratto di gerMÁn hernÁndez, xix secolo, Madrid.

iL pRimo RE dELL’itaLia unita il “padre della patria” Vittorio emanuele ii (1820-1878) ritratto in abiti militari dal toscano (ma nato a Berlino) luigi Mussini. olio su tela del XiX secolo. palazzo pubblico, siena.

Si trattava piuttosto di una questione di indole e di carattere, oltre che di semplice buon senso. Come in genere gli riconobbero anche gli avversari più accaniti, Pio IX era una persona di natura mite e generosa, alieno da ogni estremismo, anche in senso conservatore, e da ogni desiderio di vendetta. Inoltre creare martiri della causa liberale non era in fondo una buona strategia politica.

Fraintendimenti intenzionali? scala, firenze

Pio IX, però, di certo non poteva essere definito liberale. Anzi. Quali fossero le sue idee al riguardo, ce lo dicono le parole scritte in una lettera indirizzata all’amico Chiarissimo Falconieri, arcivescovo di Ravenna: “Odio e abomino fino al midollo delle ossa i pensieri e le operazioni dei liberali”. C’è da dire che le illusioni che alcuni circoli politici sembravano nutrire sul nuovo 150 storica national geographic

papa non erano sempre in buona fede. Certo, vi erano cattolici, come Vincenzo Gioberti o Antonio Rosmini, i cosiddetti neoguelfi, che si auguravano sinceramente un’evoluzione in senso liberale del papato, visto come il perno di un possibile processo di rinnovamento italiano: ma vi era anche chi, come Giuseppe Montanelli, faceva delle timide aperture di Pio IX un uso strumentale. La strategia che Montanelli prospettava consisteva nel “prendere queste riforme come acconti, lodarle più che non meritassero, tenere come virtualmente concesso ciò che non era nelle intenzioni del concedente, impegnarsi insomma a strappare quanta più libertà si poteva”. In poche parole, si trattava di forzare la mano a Pio IX e farne, suo malgrado, un simbolo di quelle idee nei confronti della quali Mastai Ferretti, come abbiamo visto, provava in realtà solo “abominio”.


scala, firenze

Il fraintendimento, più o meno consapevole, non era comunque destinato a durare a lungo. Quale che fosse la portata reale del progetto riformatore di Pio IX, in Europa e in Italia c’era chi aveva progetti molto più radicali. L’ironia della storia sta nel fatto che le prudenti riforme volute da Pio IX contribuirono a innescare una nuova ondata rivoluzionaria.

La benedizione sull’Italia Tra coloro che presero sul serio, e con preoccupazione, il “liberalismo” di Pio IX c’erano infatti gli Austriaci, i quali, nel luglio del 1847, per stroncare sul nascere ogni possibile deriva sovversiva in Italia, si appellarono al diritto loro riconosciuto dalle disposizioni del Congresso di Vienna (1814-15) e occuparono la città pontificia di Ferrara. Il presunto progressismo di Mastai ricevette così un’autorevole, anche se paradossale, conferma.

Dal gennaio 1848 gli eventi precipitarono. Le sollevazioni popolari costrinsero Ferdinando II a concedere la costituzione nel Regno delle Due Sicilie, e lo stesso fece poco dopo Carlo Alberto di Savoia, seguito da Pio IX che emanò anche un motu proprio nel quale invocava la benedizione celeste sull’Italia: “Perciò benedite, gran Dio, l’Italia, e conservatele sempre questo dono prezioso, la Fede! ”. Ancora una volta il senso dell’intervento del papa venne frainteso, in buona o cattiva fede. A un’invocazione che avrebbe voluto avere un significato puramente religioso, si attribuì invece un preciso valore politico. Il proclama fu letto come una legittimazione, da parte del pontefice, della lotta per l’indipendenza e l’unità d’Italia. Il papa sembrava dunque benedire il progetto politico neoguelfo che mirava a fare del papato il catalizzatore della liberazione e dell’unificazione d’Italia.

La caRica di poRta pia il 20 settembre 1870 i bersaglieri italiani entrarono in roma attraverso la breccia nelle mura aperta nei pressi di porta pia. Dipinto del campano Michele cammarano, 1871, Museo di capodimonte, napoli.

storica national geographic

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Gli ebrei e lo scandalo mortara

i

BRidgeMAN / iNdex

l rapporto con l’ebraismo è uno degli aspetti più controversi del pontificato di Pio IX. All’indomani della sua elezione, papa Mastai compì gesti innovativi: abolì per esempio il rito umiliante della processione degli ebrei in occasione dell’elezione del nuovo pontefice e soppresse l’obbligo della chiusura notturna del ghetto di Roma. Furono aperture significative, anche se certo non tese alla concessione della libertà religiosa. le ambiguità di Pio IX verso gli ebrei emersero però nel caso Mortara. Il piccolo edgardo Mortara, ebreo di bologna, era stato battezzato segretamente da una domestica cristiana mentre era in pericolo di vita. In base alla legge che imponeva di educare cristianamente ogni battezzato, nel 1858 il bambino fu dunque sottratto a forza alla famiglia e inviato a Roma, dove divenne poi sacerdote. Il caso fece scalpore in tutta europa, suscitando diffuse reazioni ostili verso la Chiesa cattolica.

via capocciuto, nel quartiere ebraico di roMa. acquerello di ettore roesler franz, 1886, Museo di roMa.

Nel frattempo la rivoluzione dilagava anche in Europa. In febbraio Parigi era in rivolta contro Luigi Filippo d’Orléans, in marzo il cancelliere asburgico Metternich, l’architetto della Restaurazione, fu costretto alla fuga. Venezia e Milano si ribellarono a Vienna e il 23 marzo Carlo Alberto dichiarò guerra all’Austria. Ai Piemontesi si affiancò un corpo di spedizione inviato dal Granduca di Toscana e anche Pio IX mandò suoi reparti, ma con l’ordine di limitarsi alla difesa dei confini.

Un solco che si allarga Di lì a poco, tuttavia, l’idillio fra il papa e l’opinione pubblica liberale e patriottica ebbe termine. Pio IX era preoccupato per le reazioni negative che una partecipazione diretta dello Stato Pontificio alla guerra avrebbe potuto avere sulle altre nazioni cattoliche. Il 29 aprile prese quindi decisamente le distan152 storica national geographic

ze dall’ipotesi di una guerra contro l’Austria. La delusione, a Roma e in Italia, fu enorme, tanto che il papa cercò di correre ai ripari con un nuovo intervento in cui ribadiva di essere favorevole al “sentimento di nazionalità” e a una non meglio definita “indipendenza” italiana, ma affermava anche che la sua missione universale non gli consentiva di dichiarare guerra a un altro Stato cattolico. A partire da questo momento, la distanza fra i liberali e i patrioti da una parte e Pio IX dall’altra si allargò sempre di più. Il sogno neoguelfo naufragò definitivamente, non solo perché si era scontrato con le ambiguità del papa o i suoi scrupoli teologici e pastorali, ma anche perché vi era un’incompatibilità evidente fra il progetto di unificazione nazionale e la sopravvivenza del potere temporale del papa, che Pio IX si considerava tenuto a difendere pur ritenendolo “una seccatura”.


dea Picture library

iL pLEBiScito dEL 1860 Vittorio emanuele II riceve i risultati del plebiscito indetto nel marzo del 1860 per sancire l’annessione della toscana al Regno d’Italia. dipinto del XIX secolo, Museo del Risorgimento, torino.

storica national geographic

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i

l palazzo del quirinale rappresentò, soprattutto a partire dal pontificato di Paolo V borghese (1552-1621), la residenza stabile del pontefice nella sua qualità di sovrano, complementare a quella del Vaticano, che costituiva invece la sede del papa in quanto vescovo. l’ultimo inquilino del palazzo fu proprio Pio IX, che lasciò traccia del suo pontificato facendo dipingere le volte di alcune stanze di quello che era stato l’appartamento di Paolo V. Pio IX in particolare commissionò all’artista faentino tommaso Minardi (1787-1871), pittore molto affermato nella Roma pontificia ed esperto di restauro, un dipinto per arricchire tematicamente la Sala degli Ambasciatori, detta anche del trono. l’opera è la Missione degli apostoli o la propagazione del Cristianesimo (1848), una celebrazione della missione apostolica di evangelizzazione, ricca di simboli e rimandi all’Antico e al nuovo testamento. la missione degli apostoli, di toMMaso Minardi. sala degli aMbasciatori, Palazzo del quirinale, roMa.

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monEta di napoLEonE iii l’emblema imperiale di napoleone iii sul verso di una moneta d’oro del 1852: fino alla sua caduta, il 2 settembre del 1870, l’imperatore francese inviò truppe a difesa dello stato pontificio.

154 storica national geographic

1 Cristo e la corte celeste

4 San Pietro

2 Le moltitudini celesti

5 San Paolo

3 Simboli cristologici

6 Gli Evangelisti

nel dipinto di tommaso Minardi, Gesù Cristo è raffigurato al centro, glorioso e circondato da angeli, che al suono di trombe si accingono a sconfiggere le forze del male. Ai suoi piedi sono inginocchiati i patriarchi biblici, Abramo e Mosè.

Ai lati di Cristo vi sono i 24 anziani citati nell’Apocalisse, che simboleggiano le 12 tribù di Israele (il Vecchio testamento) e i 12 Apostoli (il nuovo), che offrono incenso al Redentore. Più in basso vi è la moltitudine dei salvati, che rende lode a Cristo.

Gli agnelli simboleggiano i fedeli, oltre naturalmente a richiamare l’agnello pasquale, ovvero Cristo stesso, che ha versato il suo sangue per la salvezza dell’umanità. Anche il leone, simbolo di potenza e regalità, rimanda alla figura di Gesù Cristo.

A Roma i gruppi democratici e patriottici presero in mano la situazione. Il 15 novembre Pellegrino Rossi, primo ministro del governo pontificio, fu assassinato e nove giorni dopo Pio IX fuggì a Gaeta, nel Regno delle Due Sicilie, con l’aiuto dell’ambasciatore francese che simulò un’udienza, parlando da solo, mentre il papa abbandonava in incognito il Quirinale. Nel febbraio del 1849, i democratici, ormai padroni incontrastati della città, dichiararono decaduto il potere temporale dei papi e proclamarono la Repubblica Romana, affidandone il governo a un triunvirato composto da Giuseppe Mazzini, Aurelio Saffi e Carlo Armellini. Nel frattempo, tuttavia, la situazione europea e italiana si era modificata radicalmente. Il Piemonte era stato sconfitto e ovunque le for-

l’apostolo è riconoscibile dagli attributi iconografici classici, come la tunica azzurra (riferimento al suo incarico di guardiano celeste o alle sue origini di pescatore) e il mantello giallo, simbolo di santità. Pietro stringe a sé le chiavi del Paradiso.

Paolo di tarso, l’apostolo “dei Gentili”, si riconosce grazie alla spada, che riconduce al suo passato di persecutore e al martirio per decapitazione. Indossa una tunica verde e un mantello rosso, che richiamano le sue origini greco-romane.

Alla destra di Pietro vi sono Giovanni e Marco (ai loro piedi i rispettivi simboli, l’aquila e il leone); alla sinistra di Paolo vi sono luca (dietro il quale vi è un bue) e Matteo (al quale non è associato nulla, poiché il suo simbolo è una figura umana).

PALAZZO deL QUiRiNALe, ROMe, itALy / BRidgeMAN / iNdex

l’ultimo papa-re del quirinale

ze conservatrici avevano ripreso il sopravvento. Fu a queste forze che Pio IX si rivolse per restaurare il potere temporale. Contro l’attacco concentrico di Francesi, Austriaci e borbonici, a nulla valse la coraggiosa resistenza dell’esercito della Repubblica romana e dei volontari giunti da tutta Italia. Il 3 luglio i Francesi entrarono a Roma restituendola a Pio IX, che però vi tornò solo nell’aprile del 1850.

Il rilancio del culto mariano I due decenni che separano il ritorno di Pio IX a Roma dalla breccia di Porta Pia e la fine del potere temporale dei pontefici rappresentano uno spartiacque nella storia del Cattolicesimo. Non possono però essere visti solo come un malinconico e rancoroso tramonto. Da un lato è vero che molti degli esponenti della Curia erano consapevoli del fatto che quella loro offerta era solamente una pausa di


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respiro, una parentesi prima dell’inevitabile declino. Le parole del Segretario di Stato, il cardinale Giacomo Antonelli, sono esplicite: “Dacché dobbiamo finire, anziché cadere in camicia nella fossa, meglio è scomparire quali siamo, con i grandi ideali e con tutte le forme della nostra passata grandezza”. Ma se il potere temporale aveva i giorni contati, per Pio IX ciò che contava davvero era la sua missione spirituale, e da questo punto di vista non vi fu mai alcuna rassegnazione. Un momento importante fu la proclamazione, l’8 dicembre 1854, con l’enciclica Ineffabilis Deus, del dogma della Immacolata Concezione della Vergine, ovvero del suo concepimento libera dal peccato originale. Quattro anni dopo, nel 1858, in uno sperduto villaggio dei Pirenei francesi, una misteriosa signora appariva a una pastorella di nome Bernadette, affermando di essere appunto

5 6

l’Immacolata Concezione. Il riconoscimento ufficiale della veridicità delle apparizioni e del loro carattere miracoloso avvenne, con insolita rapidità, già nel 1862. La rinnovata enfasi posta sul culto di Maria era una delle risposte della Chiesa alla sfida del mondo moderno.

La “funestissima” rivoluzione Fu una risposta all’insegna della contrapposizione intransigente. Dopo l’ondata rivoluzionaria del 1848-49, delle speranze riposte in Pio IX come pontefice riformatore se non proprio liberale, e vicino agli ideali di unità e indipendenza, non rimaneva evidentemente più nulla. Papa Mastai appariva sempre più ostile alla “funestissima rivoluzione italiana”. L’annessione di parte dello Stato Pontificio al nuovo Regno d’Italia, nato nel 1861 dopo la Seconda guerra d’indipendenza, non fece che inasprire questa irriducibile ostilità. storica national geographic

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portavoce del popolo romano

a

ngelo brunetti, detto Ci-

scALA, fiReNZe

ceruacchio, “grassottello”, è stato uno dei pochi protagonisti di origine popolare del nostro Risorgimento. nato nel 1800, fu garzone, carrettiere e taverniere. Al momento dell’elezione di Pio IX, grazie alle sue capacità oratorie si era già conquistato il ruolo di capopopolo e interprete dei sentimenti profondi della Roma plebea. Inizialmente fu uno dei più entusiasti sostenitori di Pio IX, che però lo deluse tradendo nel 1848 la causa liberale. Ciceruacchio si schierò allora con la Repubblica romana, combattendo coraggiosamente contro i Francesi. Al momento della sconfitta, fuggì da Roma con Garibaldi. Catturato in Romagna dagli Austriaci mentre cercava di mettersi in salvo in barca, fu fucilato il 10 agosto 1849 insieme al figlio luigi, accusato di essere l’esecutore materiale dell’omicidio del capo del governo pontificio Pellegrino Rossi. ciceruacchio, ritratto attribuito a gerolaMo induno. xix secolo. galleria d’arte Moderna, firenze.

Non è un caso se nel 1864 venne emanata l’enciclica Quanta Cura, unitamente al Sillabo “dei principali errori dei tempi moderni”. Nel giugno del 1868, infine, Pio IX convocò il Concilio Vaticano I, il primo concilio ecumenico dai tempi di quello di Trento (15451563). Una scelta non casuale: nelle intenzioni di Pio IX, infatti, il concilio avrebbe dovuto rispondere alla crisi più grave attraversata dalla Chiesa cattolica dopo la ferita aperta nel XVI secolo dalla Riforma protestante.

Infallibile “ex cathedra” L’atto più significativo del Concilio fu la proclamazione di un nuovo dogma, quello dell’Infallibilità del pontefice quando si esprime ex cathedra su questioni dogmatiche e dottrinali. Una decisa riaffermazione, quindi, dell’autorità spirituale del papa, proprio alla vigilia della caduta del potere temporale. 156 storica national geographic

Il 20 settembre del 1870, infatti, i bersaglieri entrarono a Roma dalla breccia di Porta Pia. L’anno seguente quella che per oltre mille anni era stata la capitale dello Stato Pontificio divenne la nuova capitale d’Italia. La reazione di Pio IX alla “sacrilega usurpazione” da parte di quello che chiamava “il governo subalpino” è contenuta nell’enciclica Respicientes ea, del primo novembre, e fu una reazione durissima. Il papa si dichiarava “prigioniero” di un potere al quale non riconosceva alcuna legittimità e fulminava con la scomunica i vertici del nuovo Regno. Una posizione di intransigenza che non si ammorbidì neppure dopo l’approvazione della Legge delle Guarentigie, nel maggio del 1871, con la quale lo Stato italiano si proponeva di garantire la libertà della Chiesa cattolica. E su questa posizione Pio IX rimase inflessibile fino alla morte, avvenuta il 7 febbraio 1878.


deA / scALA, fiReNZe

iL miRacoLo dEL pontEficE Papa Pio IX ringrazia dio dopo essere miracolosamente sopravvissuto, insieme ai presenti, al crollo di una canonica. Affresco di domenico tojetti, 1858, Sant’Agnese fuori le Mura, Roma.


scala, firenze

monumento funebre di giulio ii Opera di Michelangelo, venne commissionata da papa Giulio II nel 1505 ed ebbe una lavorazione tormentata. Michelangelo non esitò a riferirsi a questo progetto come la “tragedia della sepolturaâ€?, un calvario che fino agli ultimi giorni della sua vita fu fonte di inesauribili accuse, tormenti e rimorsi. Chiesa di San Pietro in Vincoli, Roma.


per saperne di più opere generali SAGGI La grande storia dei papi. Eamon Duffy. Mondadori, 2001. Nuovo dizionario enciclopedico dei papi. Battista Mondin. Città Nuova, 2006. Storia dei papi. John W. O’Malley. Fazi, 2011. Il papato. Antichità, Medioevo, Rinascimento. Bernhard Schimmelpfennig. Viella, 2006.

leone i magno SAGGI Leone Magno. Il conflitto tra ortodossia ed eresia nel V secolo. Lucio Casula. Tielle Media, 2002. Attila e la caduta di Roma. Christopher Kelly. Bruno Mondadori, 2009.

gregorio magno SAGGI Gregorio Magno. Alle origini del Medioevo. Sophia Boesch Gajano. Viella, 2004. Gregorio Magno e il suo mondo. Robert A. Markus. Vita e Pensiero, 2001.

silvestro ii

benedetto xiii

leone x

SAGGI Gerberto d’Aurillac. Luca Montecchio. Graphe.it, 2011.

SAGGIO Gli antipapi del grande scisma d’Occidente. Antonio Galli. SugarCo, 2011.

SAGGI Leone X. Aspetti di un pontificato controverso. Mario Angeleri. Lampi di Stampa, 2014.

alessandro vi

Nello splendore mediceo. Papa Leone X e Firenze. Monica Bietti, Nicoletta Baldini. Sillabe, 2013.

Il numero e la croce: l’homo Novus da Aurillac. Flavio G. Nuvolone. Liguori, 2012.

gregorio vii SAGGI Il sole e la luna. La rivoluzione di Gregorio VII papa. Glauco M. Cantarella. Laterza, 2005. Papa Gregorio VII. Ildebrando da Sovana. Antonello Carrucoli, Marta Materni. Moroni, 2012.

bonifacio viii SAGGI Il giubileo di Bonifacio VIII. Arsenio Frugoni. Laterza, 2000.

SAGGI I Borgia. Ivan Cloulas. Salerno, 1988. La leggenda nera. I Borgia. Mario Dal Bello. Città Nuova, 2012. La saga dei Borgia. Antonio Spinosa. Mondadori, 2001. ROMANZI I Borgia. Alexandre Dumas. Newton Compton, 2011. Sangue e onore. I Borgia. Sarah Dunant. Neri Pozza, 2013

giulio ii

Bonifacio VIII. Agostino Paravicini Bagliani. Einaudi, 2003.

SAGGI Giulio II. Ivan Cloulas. Salerno Editrice, 1993.

Bonifacio VIII nella storia e nell’opera di Dante. Massimo Seriacopi. Libreria Chiari, 2003.

Architettura alla corte papale nel Rinascimento. Christoph L. Frommel. Mondadori Electa, 2003.

avignone

TESTI Papa Giulio II scacciato dai cieli. Erasmo da Rotterdam. Argo, 1998.

Storia del canto gregoriano. Alfredo Pellegrino Ernetti. Casa Musicale Eco, 2010.

SAGGI Storia della Chiesa. La crisi del Trecento e il papato avignonese. Diego Quaglioni (a cura di). San Paolo, 1994.

TESTO San Gregorio Magno. Lettere scelte. P. C. Olivieri (a cura di). Carabba, 2010.

Avignone e il Palazzo dei Papi. Dominique Vingtain, Claude Sauvageot. Jaca Book, 1999.

Leone X e la sua politica. Francesco Nitti. Il Mulino, 1998. TESTO Libertà del cristiano. Lettera a Leone X. Martin Lutero. Claudiana, 2004.

clemente vii SAGGI Il sacco di Roma. 1527. André Chastel. Einaudi, 2010. Clemente VII e la geopolitica dello Stato pontificio. Maurizio Gattoni. Archivio Segreto Vaticano, 2002.

controriforma SAGGIO La Controriforma. Ronnie Po-chia Hsia. Il Mulino, 2009.

pio ix

Storia d’Italia. Francesco Guicciardini. Garzanti, 2006.

SAGGIO Pio IX. L’ultimo papa-re. Andrea Tornielli. Mondadori, 2011.

ROMANZO Il tormento e l’estasi. Irving Stone. Corbaccio, 2011.

TESTO Il Sillabo di Pio IX. Luca Sandoni (a cura di). CLUEB, 2012. storica national geographic

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gli affreschi di papa borgia gli affreschi dell’appartamento Borgia, nel palazzo del Vaticano, furono eseguiti dal pinturicchio tra il 1492 e il 1494. nella foto, l’affresco della sala dei santi, con la rappresentazione della Disputa di santa Caterina, nella quale la santa compare probabilmente con le sembianze di lucrezia Borgia.


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National Geographic Society fu fondata a washington nel 1888. È una delle più importanti organizzazioni non profit in campo scientifico ed educativo al mondo. essa persegue la sua missione sostenendo gli studi scientifici, le esplorazioni, la salvaguardia del patrimonio naturale e culturale. John Fahey, Chairman and CEO

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eVA CANTAReLLA Professore di Istituzioni di Diritto Romano e di Diritto Greco Antico, Università Statale di Milano; global visiting professor New York University. autrice di: L’ambiguo malanno. Condizione e immagine della donna nel mondo greco e romano, Feltrinelli.

PAOLO MATThIAe Professore di Archeologia e Storia dell’Arte del Vicino Oriente antico, Università di Roma La Sapienza; direttore della Missione Archeologica Italiana a Ebla; membro dell’Accademia Nazionale dei Lincei. autore di: Ebla, un impero ritrovato, einaudi.

VITTORIO BeONIO BROCChIeRI Professore di Storia moderna (Università degli Studi della Calabria); membro del collegio della scuola di dottorato Andre Gunder Frank. autore di: Celti e Germani. L’europa e i suoi antenati encyclomedia publishers.

MARINA MONTeSANO Professore di Storia medievale, Università di Messina e VitaSalute San Raffaele, Milano; membro fondatore della International Society for Cultural History. autrice di: Da Figline a Gerusalemme. Viaggio del prete Michele in Egitto e in Terrasanta (1489-1490), Viella.

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numero 16

SPECIALE

numero 16

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GRANDI PONTEFICI Condottieri, santi, peccatori

GRANDI PONTEFICI S P E CIALE

condottieri, santi, peccatori: i papi che hanno trasformato la storia dell'occidente sotto l'aspetto politico, culturale e spirituale


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