Speciale Storica n°20 - Grandi Donne

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SPECIALE

numero 20 € 9,90

GRANDI DONNE IL POTERE NASCOSTO DA CLEOPATRA A LIVIA, DA ANNA BOLENA A CATERINA DE' MEDICI, 13 PERSONAGGI FEMMINILI CHE HANNO RETTO LE SORTI DELLE LORO NAZIONI IN MODO OCCULTO O PALESE, CON RIGORE O CON SPREGIUDICATEZZA


bridgeman / aci

la famiglia reale spagnola Ritratto della famiglia di Filippo V di Spagna, opera del 1743 di Louis Michel van Loo. Tra le donne si riconoscono (da sinistra a destra): Maria Anna Vittoria, regina del Portogallo; Barbara di Braganza, futura regina di Spagna. Elisabetta Farnese, seduta al centro accanto al consorte Filippo V, è al tempo del dipinto la sovrana di Spagna. Prado, Madrid.


GRANDI DONNE IL POTERE NASCOSTO


LA REGGIA dI schÖnbRunn La reggia imperiale di Vienna sorse nell’area di una riserva di caccia dell’imperatore Massimiliano II. La parte centrale fu costruita tra il 1696 e il 1700, ma alla morte di Giuseppe I i lavori si fermarono, fino a quando Maria Teresa dette incarico di elaborare un nuovo progetto e continuare i lavori che terminarono nel 1749.

tredici donne che in molti casi, pur non avendo un potere legittimato, lo hanno esercitato con una intensità e una determinazione superiore a quella di molti uomini.

10 La donna che fu faraone Figlia e sposa di sovrani, Hatshepsut dal ruolo di reggente arrivò ad accentrare in sé il potere e a regnare, da faraone, sulle terre del Nilo

20 Olimpiade Ripudiata da Filippo II, ebbe un ruolo di protagonista nei complotti che portarono all’eliminazione dei rivali di Alessandro al trono

30 Cleopatra, l’amore e il potere Sedusse Giulio Cesare e Marco Antonio, entrando nel mito. Il suo obiettivo, tuttavia, era salvare il regno d’Egitto dal declino definitivo

44 Livia, imperatrice di fatto Dopo aver dato scandalo in gioventù, divenuta moglie di Augusto gestì nell’ombra l’immenso potere del marito

54 Zenobia Colta, astuta, pragmatica e volitiva, divenne, alla morte del marito, la sovrana di Palmira, minacciando il dominio di Roma in tutta l’area

66 Galla Placidia Figlia, moglie e madre di imperatori, assunse la guida dell’Impero d’Occidente in veste di reggente negli ultimi, drammatici decenni 4 storica national geographic


JOSeF mÜLLeK / age FOtOStOcK

76 Teodora Abile consigliera di Giustiniano nelle sue riforme sociopolitiche, si adoperò per l’indipendenza delle donne e per il Cristianesimo

88 Eleonora d’Aquitania Manipolatrice e vittima dei potenti del suo tempo, ebbe un ruolo centrale nelle vicende politiche di Francia e Inghilterra, di cui fu regina

102 Isabella la Cattolica La sua determinazione le permise di conquistare il trono. Esercitò da sola il potere e portò il regno di Castiglia al massimo del suo prestigio

114 Anna Bolena Conquistò il re Enrico VIII, che per sposarla diede il via allo Scisma anglicano. Ma l’ostilità che subì a Corte le sarebbe costata la vita

ANNA BOLENA, DIPINTO A OLIO DI FRANS POURBUS IL GIOVANE (1569-1622). CIVICHE RACCOLTE D’ARTE, PAVIA. Foto: art archive

122 Caterina de’ Medici Alla corte di Francia visse in un’epoca di complotti e massacri religiosi, tenendo le redini della politica francese per 30 anni

138 Elisabetta Farnese Astuta, fiera, volitiva e tenace, la regina di Spagna fu un’abile tessitrice di intrighi politici, primo consigliere e moglie devota di Filippo V

146 Maria Teresa d’Austria Orgogliosa e determinata, riuscì a tenere le redini di un Impero plurinazionale, facendo di Vienna la capitale della Felix Austria storica national geographic

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scala, firenze

LA REGInA nERA dI fRAncIA ritratto di caterina de’ Medici, regina di Francia. olio su tavola di santi di tito (15361603). appassionata dell’occulto, tanto da essere definita regina nera di Francia, caterina fu non solo un’abile politica ma anche donna di grande cultura. Uffizi, Firenze.


INCIDENTI DI PERCORSO

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er millenni, vedere una donna su un trono ha rappresentato un incidente di percorso di cui sbarazzarsi al più presto. O una calamità globale per evitare la quale non sono state risparmiate guerre (come nel caso di Maria Teresa d’Austria). Come sottolinea Cesarina Casanova dell’Università di Bologna, nel suo libro Regine per caso (Laterza), «la trattatistica cinquecentesca argomentava l’inadeguatezza delle donne a esercitare il comando anche con la debolezza derivante dalla loro costituzione fisica e morale: se si pretendeva che l’imbecillitas sexus le rendesse per natura incapaci di comandare eserciti, la mendacia e l’incontrollata libidine che sarebbero state loro connaturate le rendevano altrettanto inadatte ad amministrare la giustizia». E difatti, molte delle regine che hanno governato a pieno titolo, più spesso come reggenti al trono dei figli, lo hanno fatto per motivi accidentali; per lo più per essere rimaste vedove dei legittimi occupanti del trono. Non serve dire che quando hanno avuto una tale opportunità hanno dimostrato di essere delle governanti migliori di tanti uomini: si sostituirebbe farisaicamente la denigrazione alla meraviglia, mentre la vera parità di genere si potrà raggiungere solo considerando il sesso di qualunque personaggio un aspetto ininfluente sulle sue capacità. Per questo stesso motivo, è giusto sottolineare che le donne di potere non erano tutte sante e illuminate: hanno agito talvolta con saggezza, determinazione e grandi capacità di governo, talvolta ricorrendo ai mezzi più illeciti, oppure vendendosi al miglior offerente (Cleopatra) sia pure per la ragion di Stato, non diversamente da quanto hanno fatto gli uomini con i differenti strumenti di persuasione che hanno a loro disposizione. Un capitolo a sé riguarda poi le donne che hanno governato di fatto dietro le quinte, manipolando in modo palese o nascosto i consorti (spesso di secondo matrimonio) e gli eventi senza risparmio di mezzi, il più delle volte per assicurare il trono alla propria discendenza primigenia (Olimpiade, Livia). La storia è lo specchio del mondo, anche di quello attuale: le vicende e le traversie delle donne di potere, sia manifesto sia occulto, si ritrovano esattamente nei nostri eventi quotidiani; anzi ci aiutano a leggerli meglio. Giorgio Rivieccio


PIETRO SCOZZARI / AgE fOTOSTOCk

IL mAusoLEo dI GALLA pLAcIdIA interno del mausoleo fatto edificare a ravenna (intorno al 425-450) da galla placidia, sorella dell’imperatore onorio. l’edificio tuttavia non fu mai utilizzato in tal senso in quanto galla placidia, morta a roma nel 450, fu sepolta in questa città.


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ALINIARI / CORDON PRESS

ARALDO DE LuCA

Sfinge di HatSHepSut Rinvenuta nel tempio di Deir el-Bahari, presso Luxor, la scultura in calcare raffigura Hatshepsut con gli attributi maschili propri dei faraoni egizi, come la barba posticcia. Museo Egizio, Il Cairo.


HatsHepsut sul trono d’egitto

la donna cHe fu faraone Figlia e sposa di sovrani, Hatshepsut governò l’Egitto per oltre un ventennio nella prima metà del XV secolo a.C. Dall’iniziale ruolo di reggente arrivò ad accentrare in sé tutto il potere e a regnare, da faraone, sulle terre del Nilo MERCÈ GAYA MONTSERRAT MEMBRO DELLA SOCIETAT CATALANA D’EGIpTOLOGÍA


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wERNER fORmAN / gtRES

ell’antico Egitto, il faraone era la massima autorità politica e religiosa. Non solo rappresentava l’emanazione della divinità, ma era anche l’unico in grado di mantenere l’ordine nel creato. Per questo, tradizionalmente, tale carica era riservata agli uomini, identificati con il dio Horus raffigurato come un essere umano con testa di falco.

i due doni della regina il dio egizio amon, protettore dei faraoni durante la XViii dinastia, riceve in dono due obelischi offerti da hatshepsut. Bassorilievo dalla cappella rossa di Karnak, costruita dalla stessa hatshepsut. 12 storica national geographic

Nella storia egizia, ci furono però donne che arrivarono a sedere sul trono reale. Tra loro, la più nota – a parte Cleopatra VII, vissuta nel I secolo a.C. – fu Hatshepsut, che divenne faraone agli inizi del periodo conosciuto come Nuovo Regno (1550-1075 a.C. circa). Hatshepsut era una delle due figlie di Thutmosis I, terzo sovrano della XVIII dinastia, fondata intorno al 1550 a.C. da Ahmose. La sorella morì in tenera età e così Hatshepsut restò l’unica erede riconosciuta del faraone. Thutmosis I, in verità, aveva anche tre figli maschi che però, almeno in teoria, erano esclusi dalla successione, in quanto concepiti con Mutnefert, una concubina dell’harem. Non sappiamo se la mancanza di un erede maschio indusse Thutmosis I a pensare che sua figlia Hatshepsut potesse succedergli. Resta però il fatto che lei era l’unica, tra i discendenti del faraone, a essere imparentata direttamente con la XVIII dinastia: sua madre era infatti Iahmes, figlia di Ahmose e della sua sposa e sorella Ahmes Nefertari. Hatshepsut, sin da bambina, ricevette un’educazione all’altezza del suo rango e fu avviata a svolgere le mansioni che spettavano alla figlia del faraone; non è escluso che aiutasse il padre nell’esercizio di alcune funzioni. In un’iscrizione rinvenuta nel tempio funerario di Hatshepsut, a Deir el-Bahari, presso Luxor, si loda la bellezza della giovane principessa: “Sua Maestà si è trasformata, è cresciuta e vederla è più bello di qualsiasi altra cosa. Il suo aspetto, il suo comportamento, il suo fulgore sono propri di una divinità”. Tuttavia, quando Thutmosis I morì, a succedergli fu Thutmosis II, uno dei figli avuti

con la concubina Mutnefert. Hatshepsut mantenne però un ruolo di primo piano: prima della morte del padre, infatti, si era sposata con il fratellastro, una pratica comune nell’antico Egitto per rinsaldare il potere delle famiglie reali. In questo modo, quando Thutmosis II ascese al trono, lei divenne Grande Sposa Reale e continuò a occupare una posizione di prestigio, restando a contatto con i centri del potere e affinando le sue conoscenze politiche e di amministrazione pubblica.

Da Grande Sposa Reale a reggente Thutmosis II morì dopo pochi anni di regno e l’Egitto si ritrovò nuovamente senza un erede maschio legittimo, in quanto Hatshepsut aveva generato con il marito solo due figlie. Il successore divenne allora Thutmosis III, nato dalla relazione tra il sovrano e Iside, una concubina di umili origini. Hatshepsut assistette così – per la seconda volta – all’interporsi di un maschio tra lei, primogenita del faraone, e il trono. E, ancora una volta, la madre del designato non era di sangue reale. La regina, che allora aveva circa 25 anni, rispettò la tradizione e assunse il governo finché il principe, allora ancora in tenera età, non fosse diventato maggiorenne. Dopo alcuni anni però – tra due e otto secondo gli storici – Hatshepsut non si limitò più a esercitare il potere come intermediaria del figliastro, ma si spinse oltre, adottando lei stessa titolo e funzioni di faraone. Infine, attorno al 1472 a.C., Hatshepsut si fece incoronare – lei, una donna – al cospetto dei sacerdoti di Amon, evento che non aveva precedenti in Egitto se non in epoche molto arcaiche.


ANDREw mCCONNELL / AgE fOtOStOCk

tempio di deir el-BaHari Hatshepsut affidò la costruzione del suo tempio funerario a Senenmut, architetto e consigliere reale. Il complesso, distribuito su tre terrazze, è collocato all’ingresso della Valle dei Re, nei pressi di Luxor. storica national geographic

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ERICh LESSINg / ALbum

la Spedizione nel paeSe di punt il rilievo del tempio di Deir el-Bahari raffigura una delle cinque navi che trasportarono hatshepsut a punt (forse in somalia), dove gli egizi acquistarono spezie e materie prime senza intermediazioni di paesi stranieri.

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A spingere Hatshepsut verso questa scelta non fu solo la sua indubbia ambizione; il senso del dovere, la formazione ricevuta, la consapevolezza di essere l’unica erede di una stirpe illustre dovettero essere stimoli altrettanto determinanti nel convincere la regina ad assumersi responsabilità di governo. Il Paese era stato da poco sottratto agli invasori Hyksos – un popolo semitico che aveva occupato il nord dell’Egitto verso il 1700 a.C.– e bisognava ancora consolidare l’impero di cui Thutmosis I aveva posto le basi. Per questo compito occorreva una guida forte, non un faraone bambino. Lo stesso, probabilmente, dovettero pensare la classe dirigente egizia e i potenti sacerdoti del clero di Amon, che diedero la loro approvazione all’inusuale ascesa di una donna al trono del Paese. Fu tuttavia necessaria una capillare opera di propaganda perché Hatshepsut venisse ri-

conosciuta come donna-faraone dal popolo. Con ogni probabilità, per sostenere la sua ascesa, la cerchia dei consiglieri di corte elaborò una precisa strategia, approvata anche dai sacerdoti del dio Amon e, in particolare, dal suo massimo rappresentante, il sommo sacerdote Hapuseneb, innalzato dalla regina all’ambita carica di Primo Profeta.

Cambio d’immagine Di questa strategia si coglie traccia nella progressiva trasformazione dell’immagine regale di Hatshepsut: se durante la reggenza le sculture e i dipinti che la raffigurano presentano ancora connotati femminili, da un certo punto in poi questi furono abbandonati e la regina iniziò a essere rappresentata come un uomo, con gli attributi maschili propri del faraone: la barba finta, il gonnellino e il nemes, il tipico copricapo dei sovrani egizi.


incoronata per volere degli dei

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atshepsut fu incoronata

faraone il giorno 16 di Akhet, la stagione dell’inondazione del Nilo. Con la cerimonia, la vedova di Thutmosis II, all’epoca reggente di Thutmosis III, divenne la nuova sovrana d’Egitto insieme al giovane re. Questo evento è ricordato dai rilievi dei templi di Deir el-Bahari e Karnak. In essi, Hatshepsut viene portata per ordine degli dei Amon e Hathor al cospetto della dea cobra Uadjet, protettrice della regalità, che proclama: “Mi ergo davanti a te, cresco con te, mi unisco a te”. Amon mette nove corone reali sulla testa della regina; l’ultima è la doppia corona pschent, che ne sancisce il potere sull’Alto e Basso Egitto.

bRIDgEmAN / ACI CLIvE NOLAN / bONNE ImAgES

PaRTICOLaRE DEI RILIEVI DELLA gRANDE SALA IPOStILA DEL tEmPIO DI kARNAk, COStRuItA NEL XIII SECOLO A.C. (XIX DINAStIA).

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suo grande tempio funerario: “Allora sua maestà disse loro: ‘Questa mia figlia, Hatshepsut, ho deciso che siederà sul mio trono dopo di me… lei potrà dirigere il popolo in ogni aspetto del lavoro di palazzo; essa infatti potrà condurvi. Ubbidite alle sue parole, unitevi tutti sotto il suo comando’”. Forse però l’argomentazione più efficace elaborata dai consiglieri di Hatshepsut per giustificare il suo diritto al trono fu quella della teogamia: l’idea, cioè, che la regina fosse nata dalla miracolosa unione di sua madre Iahmes con il dio Amon, presentatosi alla donna con le sembianze del marito Thutmosis I.

kENNEth gARREtt / gEtty ImAgES

La regina costruttrice

la Cappella roSSa di KarnaK Fatta edificare da hatshepsut per ospitare la barca sacra di amon, la cappella rossa di Karnak, presso luxor, fu demolita dai suoi successori. nel 1997 è stata parzialmente ricostruita nel museo all’aperto di Karnak.

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In linea con questo suo sforzo di legittimazione, Hatshepsut adottò anche i nomi che spettavano a tutti i faraoni egizi: Useret-kau, “La potenza di Ka” (il Ka è la forza vitale); Uadet-reneput, “Giovane negli anni”; Neteret-kau, “Divino nell’apparizione” e Maat Ka Ra, “Giusta è l’anima di Ra”. Per rafforzare ulteriormente il suo potere, Hatshepsut rivendicò il sostegno delle massime autorità a cui poteva appellarsi: il dio Amon, la principale divinità egizia sotto la XVIII dinastia, e il faraone Thutmosis I, suo padre. Sulle pareti di uno dei monumenti che la regina fece costruire, si legge, per esempio, questa invocazione di Amon: “Benvenuta mia dolce figlia, mia prediletta, il Re dell’Alto e del Basso Egitto, Hatshepsut. Assumi il ruolo di Signore, prendi possesso delle Due Terre”. Riguardo al consenso di suo padre, la regina fece incidere queste parole su una parete del

Una volta legittimato il suo potere, Hatshepsut si dedicò con energia al governo del Paese. La XVIII fu una dinastia di faraoni-costruttori e tra di essi Hatshepsut fu uno dei più attivi, sia nell’Alto (a sud) sia nel Basso Egitto (a nord). La regina fece erigere monumenti nel tempio di Karnak, presso Luxor, in gran parte andati distrutti: tra questi spiccava la Cappella Rossa, costruita per ospitare la barca sacra di Amon e sulle cui pareti erano stati incisi episodi significativi della vita della regina. Il monumento fu smantellato dai successori di Hatshepsut e ora è stato in parte ricostruito a Karnak recuperando blocchi originali. Ad Hatshepsut si deve la realizzazione di molte statue e obelischi, il più celebre dei quali, a Karnak, è il secondo più alto al mondo dopo l’Obelisco Lateranense di Roma. Tra gli edifici eretti nell’Alto Egitto si può ricordare il tempio di Pakhet, interessante anche per la presenza di un’iscrizione in cui la regina accusa gli Hyksos di aver oscurato la grande civiltà egizia; e soprattutto l’imponente tempio funerario di Deir el-Bahari, progettato dall’architetto Senenmut all’imbocco della Valle dei Re, là dove sarebbero stati sepolti tutti i sovrani della XVIII, XIX e XX dinastia successivi ad Hatshepsut. Per poter sostenere la sua intensa attività costruttiva, la regina dovette rilanciare l’economia dell’Egitto. A tale scopo, nel 1470 a.C., organizzò una spedizione commerciale nel paese di Punt (forse nell’attuale Somalia) per importare direttamente, senza pagare tasse a intermediari, prodotti provenienti dal Sud Africa quali oro, mirra, ebano e spezie.


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araldo de luca

le nozze divine di amon e iaHmes er regnare come faraone, Hatshepsut dovette afferma-

re la sua legittimità dinastica e a tale scopo incise la storia della sua origine divina sui portici del tempio funerario di Deir el-Bahari, dedicato ad Amon, alla dea Hathor e al culto del Ka (alito di vita) di Hatshepsut e di suo padre Thutmosis I. Le scene, accompagnate da testi esplicativi, si svolgono su una parete della seconda terrazza del tempio e illustrano la teogamia, cioè come Amon assunse le sembianze di Thutmosis I per sedurre la regina Iahmes e concepire con lei la sua divina figlia Hatshepsut. IL DIO amOn, padre divino di HaTSHepSuT, e a SiniSTra, la regina-faraone: effigi in calcare conServaTe riSpeTTivamenTe ai muSei di luxor e del cairo.

1 dopo essersi congiunto con Iahmes, il dio Amon ordina a Khnum, il vasaio divino, di foggiare Hatshepsut: “Vai! A modellare lei e il suo Ka. Vai! A modellarla meglio di ogni dio. Forma per me questa figlia che io stesso ho generato”.

Khnum

2 Khnum, con l’aiuto di Heket, la dea-rana protettrice dei parti, modella sul suo tornio di vasaio Hatshepsut e il suo Ka. A lavoro ultimato proclama: “Ti ho foggiata con le membra di Amon che regna a Karnak, ogni vita e ogni gioia di cuore con me!”.

3 thot, il dio lunare della sapienza, viene inviato da Amon ad annunciare alla regina Iahmes, sposa di Thutmosis I, che darà alla luce un erede divino. Il dio e la donna sono in piedi l’uno di fronte all’altra e Iahmes, immobile, appare sorpresa dall’annuncio di Thot.

4 la dea utero meskhenet,

la dea ippopotamo Tueris e il dio nano Bes assistono Iahmes durante il parto. Iahmes è seduta su un trono e il parto è raffigurato in modo non realistico. Ai piedi della regina quattro levatrici attendono la nascita di Hatshepsut.

Heket

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2 Bes Khnum

amon

thot

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tueris

iahmes

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nutrici testimoni

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geni

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geni

thot

5 amon riceve Hatshepsut

e il suo Ka dalle mani di Thot, ed esclama: “Gloriosa parte di me, re che prende per sempre le Due Terre sul trono di Horus”. È l’affermazione più esplicita dell’origine divina di Hatshepsut e della legittimità del suo potere.

6 Hatshepsut, rappresentata come un piccolo principe ereditario, viene accolta tra le braccia del suo padre divino Amon, che la riconosce come figlia e conferma così il suo buon diritto a governare come faraone sull’Alto e Basso Egitto.

7 la regina iahmes tiene

in braccio sua figlia, e una coppia di nutrici divine allatta due dei suoi Ka. Dodici geni benefici, accovacciati sul lato destro della scena, sorreggono ciascuno un’immagine infantile della futura regina-faraone.

8 il genio dell’Inondazione tiene in braccio Hatshepsut e il suo Ka, seguito dal genio del Latte. Entrambi la presentano al padre Amon di fronte a testimoni divini, affinché il dio possa eseguire la purificazione rituale della neonata. storica national geographic

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fonTe: edouard naville, THe Temple of deir el-baHari, vol. 2 londreS, eef. 1895

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I successori, tuttavia, non mostrarono particolare riguardo verso la memoria della regina. Lo stesso Thutmosis III, alla fine del suo regno, volle cancellare tutto ciò che ricordava l’esistenza della matrigna e ordinò di eliminare a colpi di martello la sua immagine ritratta nelle vesti di faraone da tutti i monumenti. Questa circostanza sembrerebbe avvalorare l’immagine di Hatshepsut tramandata dalla storiografia tradizionale, ovvero quella di una regina-matrigna che avrebbe tramato alle spalle dell’erede al trono, relegandolo nell’ombra per un ventennio. E la vendetta di Thutmosis III nei suoi confronti si tramutò in una damnatio memoriae a cui egli condannò l’ambiziosa regina.

DAgLI ORtI / ARt ARChIvE

Usurpatrice o grande sovrana?

il grande giuBileo regale hatshepsut con sembianze maschili celebra la festa sed, il giubileo regale che costituiva una sorta di rigenerazione rituale della forza vitale del faraone. rilievo dalla cappella rossa di Karnak, XV secolo a.c.

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Questa spedizione, composta da cinque navi lunghe ognuna oltre 20 metri, fu importante anche perché permise di ristabilire parte della rete di traffici commerciali smantellata dall’occupazione degli Hyksos. Oltre a spedizioni di carattere commerciale, all’inizio del suo regno la regina allestì anche campagne militari in Nubia, a sud dell’Egitto, in Siria e nel Levante. Non sono giunte però notizie di battaglie o guerre successive, motivo per cui il regno di Hatshepsut viene generalmente considerato dagli storici un periodo di sostanziale pace e stabilità. Hatshepsut regnò per più di due decenni. Secondo alcuni studiosi garantì la continuità della sua stirpe dando in sposa la figlia primogenita Neferure al suo figliastro e successore Thutmosis III. A ogni modo, creò le condizioni della straordinaria fioritura che il Paese del Nilo avrebbe conosciuto dopo la sua morte.

In realtà, questa interpretazione appare semplicistica e per molti versi inappropriata. Innanzitutto, sembra strano che Thutmosis III, che fu poi un energico faraone guerriero, accettasse, ben oltre la sua maggiore età, di restare nell’ombra di un’usurpatrice. Ma questo non fu vero solo per Thutmosis III, bensì anche per le élite del Paese: non risulta infatti nessun atto di ribellione contro la regina, che regnò incontrastata per oltre vent’anni. Un altro dettaglio altrettanto significativo è che Thutmosis III non distrusse i ritratti di Hatshepsut all’inizio del suo regno, come sarebbe stato logico, ma alla fine, quando la regina era morta da tempo e lui si era a sua volta distinto come faraone. Inoltre, Thutmosis III risparmiò tutte le immagini in cui la regina appariva come tale, senza gli attributi dei faraoni. Prende allora corpo un’altra spiegazione, più semplice: la damnatio memoriae perpetrata dal suo successore non fu un atto di vendetta, bensì un gesto di rafforzamento del proprio potere personale, suggerito dall’opportunismo politico e teso ad agevolare la successione di suo figlio Amenhotep II contro le pretese di altri membri della sua stirpe. Forse, quindi, né Thutmosis III né altri considerarono la regina un’usurpatrice e se rimase in carica sino alla morte, assicurando pace e stabilità all’Egitto per più di un ventennio, è probabile che Hatshepsut non fosse solo figlia (e sorellastra) di re, ma anche una donna avveduta e meritevole di governare.


neferure, l’erede mancata

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iglia primogenita di Thutmosis II e Hatshepsut, Neferure fu educata dai migliori maestri della sua epoca, tra i quali Senenmut, consigliere di fiducia di Hatshepsut e architetto del suo tempio funerario. Insignita con i titoli regali di “Signora delle due Terre” e “padrona dell’Alto e Basso Egitto”, ebbe probabilmente responsabilità pubbliche durante il regno della madre e, secondo alcuni studiosi, sposò il fratellastro e futuro faraone Thutmosis III. Di lei non si hanno più notizie dopo il diciassettesimo anno di regno della madre (1456 a.C.): è quindi probabile che sia morta giovane, quasi sicuramente prima dei trent’anni.

ARALDO DE LuCA

ThuTmOsIs III, PRObAbILE mARItO DI NEfERuRE, INCONtRA IL DIO AmON: AffRESCO DALLA CAPPELLA DI hAtOR, A DEIR EL-bAhARI.

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alessandro nella battaglia di isso Nel 333 a.C. condottiero affrontò nella città tra Cilicia e Siria il persiano Dario III, sconfiggendolo. Particolare da un mosaico romano del I secolo a.C. Museo Archeologico Nazionale, Napoli.

ALINIARI / CORDON PRESS Akg / ALbum

la regina olimpiade La madre di Alessandro Magno contribuì all’ascesa del figlio e dopo la sua morte divenne regina di Macedonia. Bassorilievo seicentesco. Palazzo imperiale di Pavlovsk, San Pietroburgo.


contacto photo

LA MADRE DI ALESSANDRO MAGNO

OLIMpIADE Dopo essere stata ripudiata da filippo II di Macedonia, ebbe, secondo gli storici, un ruolo di protagonista nella serie di complotti che portarono alla morte del sovrano e in seguito all’eliminazione dei rivali di Alessandro al trono JUAN CARLOS CHIRINOS BIOgRAfO e SCRIttORe


ARthuS-bERtRAND / CORbIS / CORDON PRESS

le rovine di olimpia nella città peloponnesiaca sede dei celebri giochi, Filippo ii fece erigere il philippeion, un tempietto celebrativo dei suo trionfo militare sulle altre poleis greche.

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ccessiva, selvaggia, passionale, astuta: così viene descritta Olimpiade dagli storici antichi, primo fra tutti il greco Plutarco (46-125 d.C.), la maggior fonte di notizie riguardo la sua vita. Una descrizione che ben spiega le ragioni del fascino esercitato sui contemporanei da Olimpiade, regina indubbiamente magnetica, posseduta dalla stessa volontà di potenza che avrebbe animato il figlio Alessandro. Ma questo stesso ritratto permette anche di intuire le ragioni dell’odio che spesso Olimpiade attirò, generando quella leggenda nera per la quale, di volta in volta, fu descritta come una barbara, una manipolatrice, una strega. Devota di Dioniso, Olimpiade nacque, probabilmente nel 375 a.C., in Epiro, regione di confine tra le attuali Grecia e Albania, alla

periferia del mondo ellenico. Terra dal cuore arcaico e misterioso – vi si trovava, tra l’altro, il più antico oracolo greco, quello di Dodona – l’Epiro, all’epoca di Olimpiade, era governato dall’antica stirpe dei Molossi, che rivendicava la propria discendenza dall’eroe omerico Achille. Ad essa apparteneva anche Neottolemo I, padre di Olimpiade, la cui morte prematura spinse sul trono il fratello Arybas, che già spartiva il potere con lui. Fu proprio Arybas, nelle vesti di sovrano, ad assumere la tutela della nipote Olimpiade, che tenne con sé fino ai sedici anni, età in cui la giovane conobbe il re macedone Filippo II. Secondo Plutarco, che racconta questi eventi nelle Vite parallele, i due si incontrarono a Samotracia, nel Mar Egeo, in occasione dei culti misterici che si celebravano nel tempio dell’isola. Olimpiade, come d’uso in Grecia,


re d’Epiro un alleato contro eventuali attacchi illirici lungo i confini settentrionali del regno. Secondo Plutarco,mai avaro di dettagli romanzeschi, le nozze tra Filippo II e Olimpiade furono accompagnate da auspici favorevoli. La notte stessa della festa nuziale, la sposa credette di vedere una folgore, simbolo di Zeus, colpirla al ventre, dal quale divampò un grande incendio. In seguito Filippo sognò di apporre sul pube della moglie un sigillo a testa di leone, visione che l’indovino Aristandro interpretò come il segno che Olimpiade stava per generare un neonato dal coraggio leonino.

la madre e il figlio alessandro Magno non si fece influenzare dal suo rapporto con la madre e affidò la reggenza al generale antipatro. cammeo del iV secolo a.c. Museo archeologico nazionale. Firenze.

La nascita di Alessandro Dopo il matrimonio, gli sposi si trasferirono a Pella, la capitale della Macedonia, dove inizialmente Olimpiade monopolizzò i favori del sovrano, mettendo in ombra le altre spo-

PhOtOAISA

era stata iniziata sin da giovane ai misteri, che praticava con particolare devozione, tanto da lasciarsi trasportare, come dice Plutarco – “nel modo più barbaro dai deliri ispirati dalla divinità”. Addirittura, secondo alcuni, la futura regina macedone amava portare con sé, durante le cerimonie, serpenti addomesticati che le strisciavano sulle braccia o si avvolgevano ai tirsi delle ancelle che la accompagnavano. Olimpiade non passò inosservata agli occhi di Filippo II, allora poco più che ventenne. Bellissima e sensuale, la nipote di Arybas colpì a prima vista il sovrano, che subito progettò di aggiungerla al suo già nutrito harem di spose. Il matrimonio, per di più, si prospettava assai vantaggioso politicamente, perché consentiva ad Arybas di imparentarsi con un sovrano in piena ascesa, mentre Filippo II trovava nel

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lcuni anni fa, un’équipe

ERIch LESSInG / aLbuM

dell’Università di Manchester guidata dal medico e illustratore Richard Neave fece una vivida ricostruzione del viso di filippo, con un’impressionante ferita all’occhio destro, perso durante la battaglia di Metone, nel 354 a.C., che gli conferiva un aspetto da feroce guerriero. La leggenda narra che la causa di quella lesione fu che, una notte, filippo vide la moglie che giaceva con un enorme serpente. Preoccupato, inviò un messaggero a consultare l’oracolo di Delfi, che gli mandò il seguente messaggio: “Devi

venerare Zeus-Amon più di tutti gli altri dei. Inoltre, per averli spiati perderai l’occhio col quale commettesti il misfatto”. Da regina e dio nacque Alessandro e la supposta origine divina venne utilizzata dal conquistatore macedone come e quando gli fece comodo. La sua “divinizzazione”, però, in egitto e Persia gli avrebbe portato disaccordo coi compagni, poco disposti a vedere in lui altro che il re che li avrebbe condotti per terre sconosciute in cerca di avventure e ricchezze. Il matrimonio mistico di Olimpiade generò una favolosa tradizione che ha il suo culmine nel Romanzo di Alessandro, opera del secolo III d.C. attribuita allo Pseudo Callistene. Qui l’origine di Alessandro è collegata alla figura di un faraone esiliato, Nectanebo, che si guadagna la fiducia di Olimpiade finché, travestito da dio Amon, concepisce dentro di lei il figlio che un giorno dovrà tornare a prendere possesso dell’egitto, perduto dal padre. zeus seduce olimpiade, AffRESCO DI gIuLIO ROmANO. PALAzzO tE, 1526-1534. mANtOvA.

se. Poi, però, iniziarono le incomprensioni, sia per i continui tradimenti di Filippo sia perché la presenza a corte di una moglie barbara, per di più in procinto di dare al sovrano il suo legittimo erede, era malvista dall’aristocrazia macedone. Furiosa nel sentirsi emarginata, Olimpiade, nell’autunno del 357 a.C., decise di tornare in Epiro, dove però lo zio Arybas la convinse (o forse costrinse) a riprendere il suo posto accanto a Filippo. Così Olimpiade ripartì per Pella e lì, nel luglio del 356 a.C., diede alla luce l’attesissimo erede, Alessandro. Vuole la leggenda che, sin dai primi vagiti del neonato, Olimpiade facesse di tutto per accreditare l’idea che egli fosse figlio non di Filippo II, ma di Zeus stesso, forse nel tentativo di legittimare la regalità di Alessandro, a cui molti rinfacciavano le origini non macedoni. Plutarco, però, smentisce questa 24 storica national geographic

R. MaRtIna / aGE FotoStocK

LA GRAvIDANzA DI OLIMpIADE: DAL pEttEGOLEzzO AL MItO

ipotesi, affermando che Olimpiade mal sopportava le dicerie sulla sua presunta unione con Zeus, poiché mettevano in dubbio la sua fedeltà di moglie. A tale proposito, lo storico cita anche una lettera della regina, nella quale ella rimprovera il figlio scrivendogli che, a furia di menar vanto delle proprie origini divine, egli finirà per metterla nei guai con Era, la moglie di Zeus, che prima o poi “mi colpirà con grandi mali, perché vai dicendo che sono sua rivale”. Dopo la nascita di Alessandro, i rapporti tra Olimpiade e Filippo II andarono progressivamente raffreddandosi, logorati dalla patologica infedeltà di Filippo II, ma anche dalla possessività di Olimpiade, che sembrava considerare il figlio cosa propria, allontanandolo dal padre. Ciononostante, Olimpiade restò potentissima a corte almeno fino al 338 a.C., quando il sovrano annunciò le sue nozze con Cleo-


patra Euridice, nipote di un nobile macedone, Attalo. Quest’ultimo non nascondeva di voler imporre, attraverso il matrimonio, un proprio discendente sul trono. Tutto ciò rese assai precaria la posizione a corte di Olimpiade, cui non giovarono neppure le incomprensioni tra il diciottenne Alessandro e il padre Filippo che, durante il banchetto di nozze in onore di Cleopatra, giunsero a un passo dal duellare tra loro. Dopo questo alterco, Olimpiade e Alessandro si allontanarono dalla corte, sia perché esiliati da Filippo, sia perché, con l’ascesa di Attalo, non si sentivano più sicuri. La lontananza da Pella, tuttavia, durò poco: nel 336 a.C., infatti, quando già Alessandro era rientrato a corte, Filippo II fu assassinato da Pausania, un suo ex amante geloso (in Macedonia, come in tutta la Grecia, le relazioni omosessuali erano abituali); e Olimpiade, da

regina decaduta, si trovò proiettata nel ruolo di potentissima madre del nuovo re macedone. Proprio i vantaggi garantiti da questa posizione, uniti alla fama d’intrigante che Olimpiade si era guadagnata negli anni, spinsero molti a considerarla la mente occulta dell’attentato a Filippo, progettato, secondo i suoi nemici, al fine di assicurare al figlio una successione ormai a rischio. L’ipotesi più plausibile, tuttavia, è che Olimpiade non abbia avuto parte nel regicidio, anche se certo non dovette dispiacersi del “delitto d’onore” compiuto da Pausania.

il teatro di dodona nella città natale di olimpiade, Dodona, in epiro, si trovava un oracolo dedicato a Zeus, secondo erodoto il più antico dell’ellade. a Dodona il re pirro, all’inizio del iii secolo a.c., fece erigere un teatro dedicato al dio.

La consigliera occulta Dopo la morte del marito Filippo, Olimpiade parve fare di tutto per delegittimare le critiche di quanti vedevano in lei solo una cinica arrampicatrice sociale. Anziché restarsene, almeno inizialmente, in storica national geographic

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OLIMpIADE E ALESSANDRO

coRdon pRESS

RMn-GRand paLaIS

intorno all’anno Mille, il romanzo di alessandro, la raccolta Di leggenDe sul re

Regina

Incinta

olimpiade ACCOgLIE NECtANEbO ALLA SuA CORtE. mINIAtuRA DI uN CODICE DEL 14701475. bIbLIOtECA NAzIONALE, PARIgI.

un drago, tRAvEStImENtO DI NECtANEbO, bACIA OLImPIADE. mINIAtuRA DEgLI INIzI DEL SECOLO Xv. bIbLIOtECA NAzIONALE, PARIgI.

l’immenso prestigio della figura di alessandro Magno fu all’origine di una versione leggendaria della sua vita, e nel Medioevo ebbe grande diffusione il romanzo di alessandro, opera del iii secolo a.c. il racconto inizia introducendo un faraone d’egitto, nectanebo. Quando il suo paese venne invaso, questi fuggì in Macedonia, dove venne accolto da olimpiade, appena incoronata regina, che rimase colpita dalle sue arti divinatorie.

olimpiade, certa che Filippo stesse progettando di assassinarla, confidò a nectanebo i suoi timori. l’egizio le offrì la sua protezione e contemporaneamente le profetizzò che avrebbe avuto un figlio dal dio amon (l’equivalente egizio di Zeus), che le si sarebbe presentato sotto forma di drago. Fu nectanebo stesso, però, a prendere quelle sembianze per ingravidare la regina, dandole un bacio durante un banchetto.

disparte, ella infatti assunse un ruolo di primo piano accanto al figlio, che sostenne nell’opera di epurazione di tutti i suoi avversari. Non solo, Olimpiade rivendicò per sé il diritto di punire in prima persona la rivale Cleopatra Euridice, alla quale, secondo alcuni, ordinò di impiccarsi dopo averla obbligata ad assistere allo strangolamento della giovanissima figlia. Una volta partito Alessandro per le campagne d’Oriente, Olimpiade mantenne comunque un ruolo di rilievo a corte, anche se non le fu concesso quel titolo di reggente a cui, in cuor suo, probabilmente ambiva. Tuttavia Alessandro non si fece influenzare dai legami di sangue: lo stratega era soprattutto un politico accorto. Comprese infatti che mai i Macedoni avrebbero accettato di essere governati da una donna, per di più barbara, e dunque affidò l’incarico di sosti26 storica national geographic

tuirlo al fedele amico Antipatro, un generale macedone che lo aveva sostenuto nella sua fulgida ascesa al potere. Emarginata dal cuore del potere, Olimpiade si riciclò diventando una sorta di consigliera occulta di Alessandro, con il quale avviò un regolare scambio epistolare che le permise di influenzare, almeno in parte, le scelte di governo del figlio. Alcune di queste lettere, citate da Plutarco, ci mostrano un’Olimpiade impegnata di volta in volta a mettere in guardia il figlio da possibili tradimenti, a consigliarlo sulle strategie da seguire oppure a lamentarsi dei torti subiti dall’odiato Antipatro. Talvolta, invece, alle preoccupazioni squisitamente politiche sembrano subentrare toni più materni, più affettuosi, come quando in una lettera esorta Alessandro a non essere così generoso nel distribuire ricchezze ai


NELL’ARtE MEDIEvALE

aRt aRchIvE

aKG / aLbuM

MaceDone, DiFFuse in tutta europa un’aFFascinante Versione Del Mito

Madre

Giustiziata

nascita DI ALESSANDRO mAgNO. mINIAtuRA fIAmmINgA DELLA fINE DEL Xv SECOLO. bRItISh LIbRARy, LONDRA.

olimpiade vIENE gIuStIzIAtA DAI SOLDAtI INvIAtI DA CASSANDRO. mINIAtuRA DEL Xv SECOLO DA LE mIROIR Du mONDE. bODLEIAN LIbRARy, OXfORD.

suoi alleati: “Cerca un modo diverso”, scrive Olimpiade, “di beneficiare gli amici; ora, li fai simili a re e procuri loro amicizie, ma condanni te stesso alla solitudine”.

La reggenza d’Epiro Questo duplice ruolo, di oppositrice di Antipatro e di consigliera di Alessandro, si protrasse sino al 331 a.C., anno in cui Olimpiade, ormai in rotta con il reggente, scelse di tornare in Epiro. Lì, dopo la morte del fratello Alessandro il Molosso, sposato con sua figlia Cleopatra, si era creato un vuoto di potere, che Olimpiade occupò prontamente assumendo (a spese di Cleopatra) la reggenza per conto del nipote Neottolemo. Sembrò finalmente che le inquietudini politiche di Olimpiade potessero placarsi, ma l’inattesa morte di Alessandro, nel 323 a.C., scompaginò di nuovo i piani della regina che,

la leggenda del romanzo di alessandro, dopo aver illustrato le vicende legate all’assassinio di Filippo, racconta anche i fatti successivi alla morte di alessandro Magno, e in particolare il destino di olimpiade. sconfitta da cassandro, questi la sottopose a giudizio e la fece condannare a morte. alcune versioni sostengono che i soldati incaricati dell’esecuzione si spaventarono al solo guardarla negli occhi, ma la sentenza venne eseguita.

senza la protezione del figlio, rischiava di ritrovarsi in balia dei suoi nemici, primo fra tutti Antipatro. Olimpiade decise perciò di riavvicinarsi a Cleopatra, con la quale aveva tagliato i ponti dopo lo scontro per la reggenza, e dal suo regno iniziò a tessere le proprie trame. L’obiettivo era far sì che il trono di Macedonia restasse in famiglia: o il legittimo erede di Alessandro Magno, il piccolo Alessandro, nato dalle nozze del condottiero con la principessa persiana Rossane, oppure la figlia Cleopatra, che Olimpiade tentò invano di affibbiare in moglie a Leonnato e Perdicca, due dei generali macedoni in lotta per la successione. Ma i suoi piani non andarono a buon fine, e allora la cinquantenne Olimpiade scese personalmente in campo, inserendosi nella guerra tra i due più seri candidati al trono di Pella: Poliperconte, nomina-

tetradracma di filippo ii il sovrano viene rappresentato a cavallo, con causia (cappello di feltro) e clamide (mantello) che svolazza dietro la schiena, entrambi molto diffusi tra i Macedoni.

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Durante la gravidanza di olimpiade, nectanebo vegliò sulla sorte del futuro conquistatore. convinse olimpiade a ritardare il parto finché il pianeta giove non avesse raggiunto il suo zenit. alcune aquile nel frattempo avrebbero protetto il tetto del palazzo. Quando nacque, alessandro aveva i capelli d’oro e ricci, come quelli di un leone, il viso era allegro e gli occhi vispi: sicuri presagi del suo destino da conquistatore.

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LA LEGGENDA NERA DELLA REGINA DI MAcEDONIA

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confitta nelle lotte per il

aRt aRchIvE

potere, il ricordo postumo di Olimpiade si tinse di aspetti oscuri. Cassandro, il suo avversario, dopo averla sconfitta sul campo di battaglia, la fece giustiziare, rifiutandosi perfino di dare sepoltura al suo corpo, che fu abbandonato e diventò cibo per animali. Condannò Olimpiade, inoltre, anche a passare alla storia come emblema di donna violenta e vendicativa, irrazionale e freneticamente mistica. gli storici presto si incaricarono di diffondere questa visione negativa della regina epirota, ed è così che la figura della

madre di Alessandro è giunta fino a noi. fu descritta come possessiva, tanto da inculcare nel figlio un acuto complesso di edipo, e fu sempre lei ad allontanarlo dal padre. L’assassinio di quest’ultimo, naturalmente, sarebbe stato orchestrato dalla sua crudele sposa, che avrebbe poi concluso la propria vendetta per essere stata ripudiata uccidendo l’ultima sposa di filippo, Cleopatra, e il suo figlioletto, oltre che altri numerosi oppositori politici. Non c’è dubbio che Olimpiade volle influenzare la politica del momento, prima attraverso il figlio Alessandro e, dopo la sua morte, difendendo con i propri mezzi ciò che considerava suo di diritto. tuttavia, anche se per farlo utilizzò metodi certamente crudeli, non lo furono più di quelli adoperati dai suoi contemporanei. La leggenda nera di Olimpiade ha quindi in realtà un’altra origine: il pregiudizio dell’epoca contro le donne che decidevano di fare politica. il corpo di olimpiade AbbANDONAtO DOPO L’ESECuzIONE. mINIAtuRA DEL SEC. Xv. bODLEIAN LIbRARy.

to reggente succeduto ad Antipatro, e il figlio di quest’ultimo, Cassandro. Convinta che Poliperconte potesse più facilmente assecondarla nelle sue mire dinastiche, Olimpia si schierò dalla sua parte, decisione che le valse l’immediata ostilità non solo di Cassandro ma anche della sua alleata Euridice, moglie del fratellastro semidemente di Alessandro Magno, Filippo Arrideo, sostenuto da parte dell’esercito macedone. Non meno spregiudicata di Olimpiade, Euridice era riuscita a ottenere da Antipatro, poco prima della sua morte, la nomina a tutrice del piccolo Alessandro, che viveva con lei in Macedonia. Ciò la rendeva agli occhi di Olimpiade una rivale temibilissima, che avrebbe potuto in qualsiasi momento uccidere il piccolo, togliendo a Olimpiade, sua nonna, il principale argomento a favore delle proprie rivendicazioni dinastiche. Eliminare 28 storica national geographic

Euridice era dunque una priorità per Olimpiade, che difatti non perse tempo: allestito un grande esercito, scese con le sue truppe fino ad Atene e scacciò dal Pireo Nicanore, generale di Cassandro. Poi, con l’appoggio di Poliperconte, si diresse verso Pella, decisa a sottrarre Alessandro alla tutela di Euridice. La resa dei conti avvenne ai confini tra la Grecia e la Macedonia ed ebbe, se si presta fede ai resoconti, un che di hollywoodiano: le due rivali si schierarono l’una di fronte all’altra, alla testa dei rispettivi eserciti: la più giovane, Euridice, armata come un’amazzone macedone, l’altra, Olimpiade, nei panni di una sacerdotessa di Dioniso, con tralci di vite nei capelli e le consuete serpi attorno alle braccia. Lo scontro, tuttavia, fu molto meno epico delle sue premesse, in realtà, anzi, non ebbe neppure luogo: prima ancora che i combattimenti entrassero nel vivo, Olimpiade prese


aLaMy / acI

infatti la parola, rivolgendosi ai soldati macedoni arruolati da Euridice. Non si sa di preciso che cosa disse loro, ma probabilmente ricordò di essere la madre di Alessandro Magno, l’uomo che li aveva resi padroni dell’Asia e del mondo intero. E tanto bastò perché quei veterani, che mai avevano dimenticato il defunto sovrano, deponessero le armi, consegnando a Olimpiade la vittoria.

Una fine da regina La vera violenza si scatenò più tardi, quando Olimpiade, ormai padrona della Macedonia, iniziò l’epurazione sistematica di tutti i suoi avversari: fece eliminare prima Filippo Arrideo ed Euridice, poi Nicanore, fratello di Cassandro, infine un centinaio di altri nobili macedoni. Una spietatezza che, tuttavia, le si ritorse contro, perché finì con l’inimicarle i suoi stessi alleati. Così quando Cassandro,

che nel frattempo aveva conquistato gran parte della Grecia, decise di marciare sulla Macedonia, non trovò in pratica ostacoli sul suo cammino. La regina, in difficoltà, si rifugiò a Pidna, città costiera macedone, sperando di ricevere rinforzi dall’Epiro e da Poliperconte; ma Cassandro corruppe chiunque potesse ostacolarlo e, raggiunta Pidna, la chiuse in una morsa senza scampo. Dopo un terribile assedio, nel corso del quale in città si verificarono persino episodi di cannibalismo, Olimpiade si arrese. Sottoposta a un processo-farsa, fu condannata a morte da una giuria quasi interamente composta da parenti delle sue vittime. All’esecuzione, forse per lapidazione, Olimpiade si presentò vestita dei suoi migliori gioielli, e con una lunga tunica che ne sottolineava la dignità. Una regina che, anche in punto di morte, si rifiutava di abdicare.

corinto, tempio di apollo realizzato intorno al 540 a.c. in sostituzione di un edificio del Vii secolo a.c., a corinto aveva sede la lega corinzia, l’alleanza panellenica siglata da Filippo che sanciva il primato della Macedonia su tutta l’ellade.

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Statua in baSalto nero Sul copricapo di Cleopatra sono raffigurati tre urei, i cobra divini cari alla dea Uadjet e protettori della monarchia egizia. I secolo a.C., Museo dell’Ermitage, San Pietroburgo.

sandro vannini / de agostini

l’aquila tolemaica Sul verso di questa moneta in bronzo coniata durante il regno di Cleopatra compare un’aquila sopra un fulmine, simbolo regale della dinastia tolemaica. I secolo a.C., British Museum, Londra.


scala, firenze

L’uLtima regina d’egitto

CLeopatra, L’amore e iL potere Sedusse i due uomini più potenti di roma, giulio Cesare e Marco Antonio, entrando nel mito come la donna più sensuale e irresistibile dell’antichità. Il suo obiettivo, tuttavia, era uno solo: salvare il regno d’Egitto dal declino definitivo AntonIo AgUILErA ProfESSorE dI StorIA AntICA PrESSo L’UnIvErSItÀ dI BArCELLonA


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erfida, insaziabile, donna fatale… Le leggende sul fascino e l’immoralità di Cleopatra si fondano, più che sui fatti storici, sulla campagna denigratoria scatenata contro di lei da Ottaviano quando, prima di diventare imperatore, lottava con Marco Antonio (amante della regina egizia) per conquistare il potere assoluto a Roma.

oronoz / album

Autori come Properzio, Orazio o Virgilio, che frequentavano il circolo letterario di Mecenate, grande sostenitore di Ottaviano, contribuirono a questa opera di discredito, additando Cleopatra come causa del conflitto tra i due triunviri: un contrasto che non avrebbe provocato solo una guerra civile a Roma, ma coinvolto buona parte del Mediterraneo. Inoltre, gli avversari di Marco Antonio attribuirono alla “negativa” influenza di Cleopatra la disfatta del triunviro. Cleopatra ha affascinato, e diviso, anche gli storici moderni. Alcuni hanno visto nel suo modo d’agire i capricci dell’ultima rappresentante di una monarchia corrotta, le bizze di una donna capace di manipolare gli uomini con l’arma della seduzione; altri l’hanno ritenuta, invece, solo una pedina nella partita a scacchi giocata dai due triunviri romani. Di recente, però, si è fatta strada una terza ipotesi, più favorevole a Cleopatra: secondo questa lettura dei fatti, la regina avrebbe usato le sue capacità seduttive nel tentativo di evitare la scomparsa dell’Egitto come Stato indipendente, durante il periodo in cui Roma ascese a capitale del Mediterraneo. il conquiStatore dell’egitto ottaviano nelle vesti di pontefice massimo: con il trionfo nella battaglia di azio (31 a.c.) su Marco antonio e cleopatra, ottaviano assoggettò l’egitto a roma. Busto del i secolo a.c., Merida.

32 storica national geographic

Il generale di Alessandro Cleopatra VII apparteneva alla dinastia dei Tolomei o Lagidi, fondata da Tolomeo, generale di Alessandro Magno. Alla morte del conquistatore macedone, nel 323 a.C., il suo impero fu spartito tra i diadochi e l’Egitto divenne una provincia greca nelle mani di Tolomeo, che nel 304 si proclamò re con il nome di Tolomeo I Sotere (“il salvatore”). Si aprì così l’era dell’Egitto ellenistico, durante la

quale Alessandria, capitale del regno, divenne una delle più splendide città del suo tempo. L’Egitto in cui, quasi tre secoli dopo, nacque Cleopatra VII, era uno Stato indebolito, molto diverso da quello dell’epoca di Tolomeo I. La sua decadenza non era stata repentina: già nel 170 a.C., e poi nel 168, il regno era stato invaso dal re Antioco IV di Siria, e solo l’intervento di Roma aveva salvato il Paese dalla sottomissione. Da quel momento l’Egitto, pur indipendente, divenne in pratica un protettorato di Roma, che vi agiva da arbitro nelle dispute dinastiche interne. La situazione peggiorò nell’80 a.C., allorché il re Tolomeo XI morì senza eredi legittimi, circostanza che, secondo il suo stesso testamento, legittimava Roma a rivendicare il possesso del regno. Gli Egizi reagirono insediando sul trono un parente illegittimo, Tolomeo XII, padre di Cleopatra VII. I Romani inizialmente non riconobbero il nuovo sovrano, ma quando la regina di Siria, Cleopatra Selene, figlia di Tolomeo VIII e unica discendente dei Lagidi, rivendicò la corona d’Egitto, Roma ritenne conveniente sostenere Tolomeo XII piuttosto che lasciar spazio a un’erede legittima che avrebbe potuto unificare i regni di Siria ed Egitto. Tolomeo XII cercò di mantenere la pace attraverso una politica di alleanza con Roma, il che non le impedì, nel 59 a.C., di occupare Cipro. Tolomeo, per salvare la propria corona, non reagì; ma la sua remissività provocò una rivolta ad Alessandria, con conseguente cacciata del sovrano e ascesa al trono della figlia Berenice IV, che però nel 55 a.C. venne detronizzata dal padre, sostenuto da Roma.


arthus-bertrand / corbis / cordon press

il tempio Sull’iSola di file Il tempio di Iside, costruito nel mezzo del nilo, e successivamente smontato e trasferito nel 1977 nella vicina isola di Agilkia, costituiva il principale centro di culto egizio all’epoca di Cleopatra.

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L’egitto, iL granaio strategiCo deLL’urbe importanza dell’egitto

per roma derivava dalle sue provviste di grano, e giulio Cesare comprese subito quanto fosse decisivo controllarle. In realtà, tutti i protagonisti della fase finale della repubblica avevano capito che, per garantirsi l’appoggio del popolo, occorreva soddisfarne le esigenze alimentari. Così, sia Pompeo sia Cesare si assunsero l’onere della cura annonae, la fornitura di grano a basso prezzo alla plebe romana. Una volta vinta la guerra civile, ottaviano sottomise l’Egitto al suo comando, affidando la carica di governatore solo a personalità di rango equestre, e proibendo ai senatori, potenziali rivali politici, l’accesso al Paese del nilo. non fu certo un caso che tiberio ordinasse di assassinare il nipote germanico dopo che questi aveva visitato l’Egitto nel 19 a.C., anno di una grave carestia. Un altro caso significativo è quello di vespasiano che, proclamato imperatore dall’e-

de agostini

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scoppiata contro il suo rivale Giulio Cesare. I tutori di Tolomeo XIII reagirono provocando la ribellione di Alessandria e Cleopatra fuggì alla volta della Siria. Quasi in contemporanea, nell’agosto del 48 a.C., Cesare sconfisse Pompeo a Farsalo, in Grecia, e questi fuggì in Egitto cercando rifugio dagli eredi del suo protetto, Tolomeo XII. Ma ancor prima di sbarcare venne ucciso dai seguaci di Tolomeo XIII, convinti in tal modo di far cosa gradita a Cesare e di assestare il colpo finale a Cleopatra, privandola del suo sostenitore a Roma.

sercito dopo la morte di nerone, non marciò direttamente su roma, in preda alla guerra civile, ma si limitò a occupare l’Egitto e ad aspettare che a roma finissero le scorte di grano. A quel punto si presentò nella capitale, accompagnato da un esercito e da una flotta che trasportava il grano dell’Egitto. nessuno, ovviamente, osò mettere in discussione il suo potere. LA MIETITURA DEL FRUMENTO, aFFresco dalla tomba dello scriba unsu nella necropoli di tebe (oggi luXor). Xv secolo a.c., louvre, parigi.

Cleopatra VII, nata Cleopatra Thea Filopatore nel 69 a.C., crebbe in questo contesto d’incertezza politica e dinastica. Alla morte del padre, nel 51 a.C., salì sul trono e, seguendo il costume egizio, si sposò con il fratello minore Tolomeo XIII, di appena 10 anni. Cleopatra si distinse subito dal resto della sua famiglia: fu l’unica della dinastia tolemaica a imparare la lingua egizia, oltre al greco e al latino, e volle subito conferire al suo governo il carattere faraonico proprio dell’antico Egitto. Tentò, inoltre, di regnare da sola, svincolandosi dal fratello, per cui si trovò più volte in conflitto con i tutori del piccolo Tolomeo. Presto comprese che, se voleva raggiungere il suo scopo, doveva garantirsi l’appoggio di uno degli uomini forti di Roma, perciò si schierò dalla parte di Pompeo Magno, il benefattore di suo padre, a cui inviò viveri e truppe per sostenerlo nella guerra civile nel frattempo 34 storica national geographic

L’incontro con Cesare La reazione di Cesare non fu però quella sperata da Tolomeo XIII. Al suo arrivo ad Alessandria, scrive Plutarco, quando gli fu presentata la testa di Pompeo “si girò via con ripugnanza; e quando ricevette l’anello con il sigillo di Pompeo scoppiò in lacrime”. Cesare fece uccidere gli assassini e ordinò a Cleopatra e al fratello di presentarsi al suo cospetto, per mediare tra loro. Cleopatra ebbe difficoltà a onorare l’invito, perché i seguaci di Tolomeo XIII controllavano gli accessi al palazzo. Così si nascose in un sacco da coperte che un servo introdusse nella reggia. Sembra che Cesare e Cleopatra trascorsero assieme già quella stessa notte, cosa che, tuttavia, non impedì al condottiero romano di mostrarsi imparziale tra i due fratelli, e di ristabilire il governo congiunto di entrambi. I seguaci di Tolomeo XIII tentarono allora un colpo di mano: sollevarono nuovamente la popolazione della città, e accerchiarono i 4000 uomini di Cesare all’interno del palazzo, grazie ai 20.000 soldati che avevano a disposizione. L’assedio durò fino a che non sopraggiunsero i rinforzi di Cesare, e Tolomeo XIII fu sconfitto e ucciso. Cleopatra, seguendo ancora la tradizione egizia, si sposò con un altro fratello minore, Tolomeo XIV. Dopo questi eventi, le fonti storiche ci informano che Cesare rimase in Egitto, navigando sul Nilo per tre mesi, fino ad aprile, in compagnia della seducente Cleopatra e al comando di quattrocento imbarcazioni. I motivi per cui Cesare non ripartì immediatamente, malgrado il rischio rappresentato dai potenti seguaci di Pompeo, non sono chiari, e la circostanza viene in genere attribuita al fascino esercitato da Cleopatra sul condottiero.


sandro vannini / corbis / cordon press

la dimora di iSide rilievi dal tempio di Iside, sull’isola di file: il tempio, iniziato da tolomeo II (308-246 a.C.), fu continuato dai suoi successori e concluso solo in epoca imperiale romana. storica national geographic

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werner Forman / gtres

il tempietto rotondo di VeSta situato nel Foro romano, questo tholos era unito alla casa delle Vestali, nella quale giulio cesare depose il suo testamento: in esso cleopatra e suo figlio cesarione non erano mai citati.

36 storica national geographic

In realtà, la ragione fu probabilmente più prosaica. In Egitto, aprile è il mese della raccolta del grano, così Cesare poté riempire le stive delle sue quattrocento navi con il prezioso cereale. Tale provvista era necessaria a rifornire Roma e il suo esercito, giacché Tunisi, l’altra provincia d’Africa che costituiva il granaio di Roma, era sotto il controllo dei pompeiani. Ciò spiegherebbe anche gli sforzi di Cesare per riconciliare Cleopatra con il fratello: desiderava evitare una guerra civile in Egitto, situazione che avrebbe messo a rischio i suoi interessi sulla raccolta del grano. Nell’aprile del 47 a.C., Cesare partì dall’Egitto lasciandovi tre legioni per proteggere il grano e la regina, che era in attesa di suo figlio Cesarione. Il bambino rappresentava un vantaggio per entrambi, poiché Cesare diveniva di fatto padrone dell’Egitto senza dover rendere conto a Roma, e Cleopatra consolidava il suo potere.

Non solo: la sovrana poteva addirittura sperare di veder insediarsi Cesarione alla guida di un impero pari a quello di Alessandro Magno. Una volta sconfitti i pompeiani nel 45 a.C., Cesare ricevette il titolo di dictator e il diritto d’indossare la veste trionfale e il diadema d’oro com’era tradizione dei re di Roma (ma sappiamo che rifiutò, insistendo nel voler essere chiamato Cesare e non re). Nel frattempo, nel 46 a.C., Cleopatra era giunta a Roma con il figlio Cesarione appena nato, e Cesare, che era certo di poter fronteggiare lo scandalo suscitato dalla sua relazione con una regina straniera, riconobbe Cesarione come proprio figlio, pur non intendendo sposare Cleopatra: aveva infatti già contratto il suo terzo matrimonio con la romana Calpurnia, dalla quale non aveva avuto eredi. Il potere ormai assoluto conquistato da Cesare spinse la nobilitas romana a organizzare la famosa congiura anticesariana che culminò, nelle Idi di marzo del 44 a.C., nell’assassinio del dictator proprio sotto la statua di Pompeo e prima di un’assemblea del Senato. Una volta morto Cesare, e aperto il suo testamento, Cleopatra scoprì che il dittatore aveva nominato suo erede il pronipote Ottaviano. Forse Cesarione sarebbe stato contemplato nei progetti del padre, ma ciò sarebbe avvenuto in prospettiva, quando la sua posizione politica si fosse consolidata. È la conclusione a cui sono giunti gli storici, in ogni caso basandosi su congetture, poiché di fatto Cesare portò i suoi progetti con sé nella tomba.

Il ritorno ad Alessandria Cleopatra tornò allora in Egitto da Tolomeo XIV, che morì poco dopo, forse avvelenato dalla stessa regina. Ella insediò subito Cesarione, che aveva tre anni, come coreggente. Nel frattempo a Roma i triunviri Ottaviano, Marco Antonio e Lepido cominciavano la loro guerra agli assassini di Cesare. L’Egitto, a questo punto, meno pressato da parte di Roma, ricominciò a prosperare. La regina poté mostrare le sue capacità di governo, prendendo atto di quanto fosse urgente modernizzare la macchina amministrativa e interrompere l’autarchia economica del Paese. A tal fine, si oppose, per la prima volta in maniera effettiva, ai privilegi che i nobili e i sacerdoti pretendevano di mantenere.


i toLomei: tre seCoLi di dinastia

P

er quasi tre secoli, Alessandria d’Egitto fu capitale di un regno che, al suo apice, includeva la valle del nilo, la Cirenaica libica, Cipro e vari domini in Asia Minore e Siria. Il suo fondatore era uno dei generali di Alessandro Magno, tolomeo, capostipite della dinastia dei tolomei. A questa casata appartennero una ventina di sovrani (compresi i coreggenti): gli ultimi due furono Cleopatra e il figlio Cesarione, deposti da Augusto.

305-283 a.C. tolomeo i (sotere) art archive

283-246 a.C. tolomeo ii (Filadelfo) 246-221 a.C. tolomeo iii (evergete i) 221-203 a.C. tolomeo iV (Filopatore) 203-181 a.C. tolomeo V (epifane)

L’EFFIGIE DI TOLOMEO I SOTERE sul dritto di una tetradracma in argento coniata durante i suoi oltre vent’anni di regno.

181-145 a.C. tolomeo Vi (Filometore) 145-144a.C. tolomeo Vii (neo Filopatore)

STATUA IN MARMO di cleopatra vii che regge una cornucopia. i secolo a.c., metropolitan museum oF art, new york.

170-163; 145-131; 128-116 a.C. tolomeo Viii (evergete ii) 173-128; 125-115 a.C. cleopatra ii (coreggente)

de agostini

116-107; 88-80 a.C. tolomeo iX (sotere latiro) 107-88 a.C. tolomeo X (alessandro i) 80 a.C. tolomeo Xi (alessandro ii) 80-58; 55-51 a.C. tolomeo Xii (neo Dioniso aulete) 58-55 a.C. Berenice iV (coreggente)

TESTA IN DIORITE DI TOLOMEO VIII, re d’egitto, in tre tempi diversi, per 54 anni. ii secolo a.c., musées royauX d’art et d’histoire, bruXelles.

51-30 a.C. cleopatra Vii (Filopatore)

47-44 a.C. tolomeo XiV (coreggente)

CLEOpATRA VII CON IL FIGLIO CESARIONE, che Fu nominato coreggente del trono d’egitto a soli tre anni. rilievo dal tempio di hathor, a dendera.

44-30 a.C. tolomeo XV (cesarione)

album

sandro vannini / de agostini

51-47 a.C. tolomeo Xiii (coreggente)

storica national geographic

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iL tragiCo destino dei figLi di CLeopatra

i

giulio Cesare e Marco Antonio conobbero destini tragici. Il maggiore, Cesarione, nato dalla relazione con Cesare, a soli tre anni era stato nominato coreggente dalla madre. Quando ottaviano invase l’Egitto, la regina tentò di inviarlo in India, ma egli fu tradito e consegnato al futuro imperatore, che lo fece strangolare. Infatti, poiché le sue mire dinastiche si fondavano sul fatto di essere figlio adottivo di Cesare, ottaviano non poteva permettere che esistesse un figlio naturale di quest’ultimo. da Marco Antonio, Cleopatra ebbe tre figli: Alessandro Helios, Cleopatra Selene e tolomeo filadelfo. Alla morte dei genitori, essi furono trasferiti a roma e allevati da ottavia, sorella di ottaviano e moglie legittima di Marco Antonio. La scelta di questa protezione sembra rispondere a un preciso disegno politico: infatti, avendo a disposizione i figli di due famiglie importanti, una egizia (i tolomei) e l’altra romana (quella di Marco An-

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figli che cleopatra ebbe da

tonio), ottavia poté stabilire alleanze matrimoniali con alcuni re berberi. Cleopatra Selene sposò il re giuba II di Mauretania e il loro figlio, tolomeo, ne ereditò il regno. Chiamato a roma dal cugino Caligola, fu eliminato per ordine dell’imperatore, e il suo regno divenne una provincia romana. non si conosce invece il destino di Alessandro Helios e tolomeo filadelfo, dei quali si persero presto le tracce. GIULIO CESARE, padre di cesarione, in un busto del i secolo d.c. museo archeologico, napoli.

La tranquillità del regno, tuttavia, fu breve. Nell’ottobre del 42 a.C. i triunviri sconfissero i repubblicani a Filippi, spartendosi l’Impero. Marco Antonio avrebbe governato l’Oriente e, in qualità di suo luogotenente, si propose di portare a termine gli obiettivi di Cesare, cioè la conquista di tutto l’Oriente. Ripetendo quanto fatto da Cesare quando era giunto ad Alessandria, Marco Antonio s’insediò pertanto a Tarso (capitale della provincia romana della Cilicia, nell’odierna Turchia) e nel 41 a.C. convocò Cleopatra. La regina, consapevole dell’urgente necessità di ricchezze di Marco Antonio, comparve su un’imbarcazione dalla poppa d’oro e dai remi d’argento, rappresentandosi come la soluzione ai suoi problemi. Divenuti amanti, Marco Antonio e Cleopatra trascorsero l’inverno ad Alessandria fondando la società dei “Viventi inimitabili” (Amimetòbioi), finalizzata a orga38 storica national geographic

nizzare divertimenti esclusivi e costosissimi per marcare il distacco dai comuni mortali. Nella primavera del 40 a.C., Marco Antonio dovette lasciare Alessandria – e Cleopatra che attendeva un figlio da lui – per preparare la spedizione contro i Parti. Al tempo stesso, sua moglie Fulvia organizzava in Italia (con l’aiuto del fratello del marito, Lucio Antonio) un esercito, per strappare a Ottaviano il potere su Roma. Dopo che Fulvia fu costretta a fuggire da Perugia assediata da Ottaviano, si incontrò con Marco Antonio ad Atene. Quest’ultimo, irritato per la guerra civile scatenata dalla moglie, la lasciò ammalata a Sicione, nel Peloponneso, dove la donna morì.

L’unione con Marco Antonio Marco Antonio avanzò con una flotta e un esercito per affrontare Ottaviano. Lo scontro aperto, tuttavia, non scoppiò, poiché i due firmarono un accordo a Brindisi (40 a.C.). Il trattato prevedeva il matrimonio di Marco Antonio con Ottavia Minore, sorella di Ottaviano, e gli sposi si stabilirono ad Atene, dove ebbero due figlie. Dalla città greca, Marco Antonio preparò l’invasione del regno dei Parti, sapendo che, in caso di vittoria, egli avrebbe potuto presentarsi a Roma come successore di Cesare. Con il pretesto dei pericoli della guerra, inviò Ottavia nell’Urbe e tornò ad Alessandria. Nel frattempo, Cleopatra aveva partorito due gemelli, figli di Marco Antonio: Alessandro Helios e Cleopatra Selene. La campagna militare di Marco Antonio contro i Parti, nel 36 a.C., si risolse in un disastro, provocato dal tradimento del re dell’Armenia Artavaside II. Intanto Ottaviano aveva esautorato Lepido, il terzo membro del triunvirato, ed era rimasto padrone incontrastato di Roma. In seguito, egli non mantenne la promessa di inviare rinforzi militari a Marco Antonio, per permettergli di continuare la guerra con i Parti, ma gli inviò invece Ottavia. Risentito, Marco Antonio rimandò la moglie dal fratello, fornendo a costui il pretesto per accusarlo di essere manipolato dall’amante egizia. Lo scoppio della guerra civile era ormai solo questione di tempo. Nel 34 a.C., Marco Antonio attaccò e sconfisse Artavaside II grazie anche al contributo finanziario di Cleopatra, ma, invece di festeggiare il trionfo a Roma, lo fece ad Alessandria.


ian mckinnell / getty images

Sala ipoStila del tempio di hathor nella sua forma attuale il tempio di Hathor, che sorge sulle rive del nilo presso dendera, a nord della città di Qena, risale all’ultima fase dell’era tolemaica, tra i regni di tolomeo XII e Cleopatra vII. storica national geographic

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La regina d’egitto oLtre La Leggenda

C

leopatra è una figura storica controversa, anche perché degli anni finali della dinastia tolemaica ci sono giunte poche testimonianze, per di più inficiate dalla campagna di discredito scatenata da ottaviano contro l’amante del rivale Marco Antonio. Se da un lato alle azioni dell’affascinante regina si può dare un’interpretazione romantica e

sentimentale, legata soprattutto alla sua tragica fine, dall’altro si può tentare di offrire una spiegazione più razionale e “politica” dei fatti. Cleopatra era l’ultima regina di un regno in declino, che un tempo era stato ricchissimo e potente. non è quindi difficile ipotizzare che l’opera di seduzione messa in atto prima su giulio Cesare e poi su Marco Antonio fosse finalizzata a restituire potere e prestigio all’Egitto.

Il lusso

de agostini

il lusso di cui si circondavano i sovrani orientali era uno degli aspetti più vistosi e, al tempo stesso, deprecabili agli occhi dell’austera tradizione repubblicana romana. tuttavia, la regina e Marco antonio, consci dell’importanza di questa usanza in oriente, per consolidare il loro potere arrivarono addirittura a esasperarla, creando la società dei “Viventi inimitabili” (Amimetòbioi): un gruppo di amici che si dedicavano a feste esclusive e banchetti inimmaginabili per i comuni mortali. Dopo la sconfitta di Marco antonio e cleopatra ad azio, la società, secondo plutarco, mutò nome in Synapothanùmenoi (“compagni di morte”). CLEOpATRA SULLA TERRAzzA DEL TEMpIO DI FILE, dipinto di Frederick arthur bridgman. 1896, dahesh museum oF art, new york,.

corbis / cordon press

La crudeltà

la crudeltà del modo di agire di cleopatra non fu molto diversa da quella sfoderata da altri personaggi suoi contemporanei (e non solo) per arrivare al potere o per conservarlo. non sappiamo, tuttavia, se è vera l’affermazione di plutarco riguardo alla scelta del veleno impiegato per suicidarsi. lo storico greco, vissuto circa un secolo dopo la regina (46-125 d.c.), scrive infatti nelle sue Vite parallele che “cleopatra mescolò vari tipi di veleni mortali; e per valutare il grado di dolore che ciascuno di essi provocava nel dare la morte, li fece provare ai prigionieri condannati alla pena capitale”. CLEOpATRA SpERIMENTA I VELENI sui condannati a morte, dipinto di a. cabanel. 1887, koninklijk museum voor schone kunsten, anversa.

corbis / cordon press

La seduzione

40 storica national geographic

le sue relazioni amorose fecero scandalo tra i contemporanei e catturarono l’immaginazione dei posteri, meravigliati del fatto che una donna riuscisse, per due volte, a far innamorare di sé il primo uomo di roma. in realtà, lo stesso plutarco, pur paragonando la sua seduzione al “colpo di un pungiglione penetrante”, la descrive anche come una donna coltissima (parlava sette lingue) e intelligente, capace di una conversazione irresistibile: la sua, dice lo storico, era anche “la seduzione della parola”. Quanto al suo aspetto, molte fonti la descrivono come una donna minuta, spesso raffigurata con un naso adunco.

L’INCONTRO TRA MARCO ANTONIO E CLEOpATRA nel 41 a.c., olio su tela di lawrence alma tadema. 1885, collezione privata.


bridgeman / aci

Il suicidio

così lo racconta plutarco: “incoronò di fiori la tomba [di Marco antonio]; poi ordinò che le si preparasse un bagno. consumò un pasto sontuoso. intanto arrivò un uomo dalla campagna con un cesto; quando le guardie gli chiesero che cosa contenesse, egli mostrò che il recipiente era pieno di fichi. Dopo pranzo cleopatra prese una tavoletta e la mandò a ottaviano. Questi, come aprì la tavoletta e vi trovò preghiere e lamenti di lei, che chiedeva di essere sepolta con antonio, comprese l’accaduto. il dramma si era svolto in modo rapido. infatti gli inviati, aperta la porta, la trovarono morta, sdraiata su un letto d’oro, abbigliata in abiti regali. alcuni sostengono che sul braccio di cleopatra furono osservate due punture leggere e pressoché impercettibili”. LA MORTE DI CLEOpATRA, olio su tela del pittore inglese john collier (1850-1934). gallery oldham, manchester.

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La campagna denigratoria di Ottaviano lavorava intanto a pieno ritmo: Roma, si diceva, sarebbe diventata uno Stato dipendente da quell’Impero orientale, e i Romani schiavi degli eunuchi d’Oriente e della loro regina meretrice, “l’egizia”. Ottaviano riuscì così ad avere la meglio sui seguaci di Marco Antonio in Senato e, con nuovi senatori nominati a suo capriccio, annullò i poteri del rivale e dichiarò guerra a Cleopatra. Lasciò abilmente che fosse Marco Antonio a schierarsi dalla parte della regina egizia, poiché, così facendo, sarebbe divenuto un traditore della patria.

bridgeman / aci

La sconfitta e la morte

il faro di aleSSandria considerato una delle sette Meraviglie del mondo antico, dominava il porto di alessandria d’egitto, città che, all’epoca di cleopatra, era ancora una delle grandi capitali del Mediterraneo.

42 storica national geographic

La circostanza, oltre al ripudio della moglie Ottavia e al matrimonio con Cleopatra secondo il rito egizio, fece perdere al triunviro ogni popolarità nella capitale. Poco tempo dopo, in una solenne cerimonia ad Alessandria, Cleopatra comparve vestita come Iside e Marco Antonio come Dioniso, per proclamare Cleopatra “regina dei re” e Cesarione “re dei re”, titolo usato dagli antichi re persiani. I figli della coppia, Alessandro Helios e Cleopatra Selene, furono incoronati re di territori quali Armenia, Cirenaica, Media e Partia, alcuni dei quali ancora da conquistare. Cleopatra e Cesarione avrebbero regnato sull’Egitto e Cipro. Stava perciò sorgendo in Oriente un nuovo ordine, che coniugava la tradizione dell’antico Impero persiano con la monarchia faraonica, e tale nuovo impero avrebbe avuto come centro l’Egitto, anche se, per il momento, il Paese era vassallo di Roma.

La guerra si concluse con la battaglia navale di Azio nel 31 a.C. È quasi certo che la flotta e l’esercito romano passarono in massa dalla parte di Ottaviano senza combattere, poiché molti dei seguaci di Marco Antonio non approvavano il crescente potere decisionale di Cleopatra: a lei apparteneva infatti gran parte del contingente militare. Furono perciò gli Egizi i soli a usare le armi, finché, sopraffatti, decisero di ritirarsi. La versione di Ottaviano fu, comunque, che la battaglia si era decisa quando Cleopatra era fuggita con la sua flotta, seguita poco dopo da un Marco Antonio completamente succube dell’amante. Dopo la sconfitta, Marco Antonio e Cleopatra attesero la fine ad Alessandria. Sembra che in quegli ultimi mesi la regina si dedicasse a sperimentare i veleni più dolci e più letali sui condannati a morte. Ma non ebbe molto tempo, poiché all’inizio del 30 a.C. Ottaviano arrivò in Egitto. Cleopatra, in uno strenuo tentativo di salvarsi, gli inviò il suo scettro; nel frattempo, Marco Antonio cercò di trattenere militarmente l’avanzata del rivale, ma, di nuovo sconfitto, si suicidò. Infine, Ottaviano entrò ad Alessandria e catturò Cleopatra, con l’intenzione di portarla a Roma per celebrare il suo trionfo. Ma la regina era troppo orgogliosa per rischiare un tale affronto e, malgrado fosse sorvegliata dalle guardie di Ottaviano, pose fine ai suoi giorni facendosi mordere, secondo la tradizione, da un aspide che le venne recapitato nascosto in una cesta di fichi. Su un braccio della regina furono rinvenute due punture; tuttavia, non fu mai trovato alcun serpente, né i medici riscontrarono alcuna traccia di veleno.


kenneth garrett / ngs

omaggi regali alla diVinitĂ Cleopatra e il figlio Cesarione, qui raffigurato nei panni di coreggente, officiano riti in onore di Hathor. rilievo dal muro posteriore del tempio di dendera consacrato alla dea.

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RITRATTo IN VESTE DI DEA L’imperatrice Livia raffigurata con gli attributi iconografici della dea della fertilità Cerere, con spighe di grano e cornucopia. Scultura romana, I secolo d.C. Louvre, Parigi.

DAGLI ORTI / ART ARChIvE ALINIARI / CORDON PRESS

GRAN cAmmEo DI fRANcIA Al centro del monile, realizzato nel I secolo d.C. in onice, si riconoscono Tiberio e la madre Livia. Cabinet des médailles, Bibliothèque Nationale, Parigi.


art archive

LA POTENTE mOgLiE di AugusTO

LiviA , imPErATricE di fATTO dopo aver dato scandalo in gioventù, divenuta moglie di Augusto gestì nell’ombra l’immenso potere del marito, pilotando con ogni mezzo la sua successione a favore di suo figlio Tiberio, avuto dal primo matrimonio JuAn LuíS PoSAdAS RICeRCAToRe dI SToRIA AnTICA


GUIDO COZZI / fOTOTECA 9x12

Il TEmpIo DI SATuRNo edificato nel Foro romano attorno al V secolo a.c., era il più antico luogo sacro della città e l’emblema di quei valori della roma antica che l’imperatore augusto, anche tramite la figura di livia, intendeva far rivivere.

46 storica NatioNal geograPhic

I

nfranse schemi e convenzioni della sua epoca; con il suo comportamento destò scandalo ma anche ammirazione: Livia Drusilla, divenuta Livia Augusta in seguito al matrimonio con Ottaviano, è senz’altro una delle grandi protagoniste della storia antica di Roma. Su di lei gli storici antichi hanno scritto molto, senza tuttavia riuscire a dissipare le nebbie che occultano, in parte, la sua personalità. Tacito e Svetonio, per esempio, la presentano come una donna intrigante e senza scrupoli, offrendone la visione poi ripresa dal romanzo Io, Claudio di Robert Graves (1895-1985); ma i loro testi rispondono a un chiaro intento politico: opporsi al Principato, che aveva cancellato l’antica libertas repubblicana. Occorre perciò sfrondare le fonti antiche dai loro pregiudizi per riuscire a capire chi

fu davvero Livia, una donna tanto influente da convincere il marito Augusto a scegliere come erede uno dei suoi figli, a scapito della stessa discendenza diretta dell’imperatore.

Il divorzio e le nozze con Augusto Livia proveniva da due delle famiglie più in vista di Roma. Il padre, Appio Claudio Pulcro, acquisì in seguito il nome di Marco Livio Druso Claudiano, essendo stato adottato da un tribuno amico del padre defunto. I Claudii e i Livii erano stati protagonisti della storia della Roma repubblicana per secoli. La madre, Alfidia, apparteneva a una famiglia laziale di minore lignaggio, ma ugualmente facoltosa. Da tale commistione di nobiltà e denaro, di orgoglio e pragmatismo, sarebbe nata la donna che avrebbe insegnato a generazioni di imperatrici come fare politica nell’ombra.


seguace di Antonio destò scandalo. Lo sconcerto aumentò quando Ottaviano divorziò dalla moglie Scribonia, nel giorno stesso in cui lei dava alla luce la sua unica figlia, Giulia. L’intenzione di Ottaviano era quella di sposare subito Livia, cosicché dovette chiedere un parere al collegio dei pontefici in merito alla possibilità di contrarre matrimonio con una donna gravida. Il collegio decise a favore del governante, ma stabilì che il nascituro fosse riconosciuto figlio legittimo di Tiberio Claudio Nerone, anche se tutti sospettavano che il vero padre fosse Ottaviano. Alcuni mesi dopo, nato Druso, la coppia si sposò con una cerimonia sontuosa. Tiberio Claudio morì opportunamente nel 33 a.C., e da quel momento i due figli vissero con Livia e Ottaviano, nominato loro tutore legale.

l’ImpERAToRE clAuDIo statua dell’imperatore claudio nei panni di giove: claudio era uno dei nipoti di livia, che nel 41 d.c. la fece divinizzare. i secolo d.c., Musei Vaticani.

SCALA, fIRENZE

Livia nacque il 30 gennaio dell’anno 58 a.C. A 16 anni si sposò con Tiberio Claudio Nerone, senatore di basso rango. Nelle guerre civili che seguirono alla morte di Giulio Cesare (44 a.C.), suo padre e suo marito presero le parti della fazione repubblicana, costituita dai “liberatori” (gli autori del complotto per assassinare Cesare) e da Marco Antonio. Entrambi ebbero cattiva sorte. Il padre si suicidò dopo la battaglia di Filippi (42 a.C.), invece il marito dovette fuggire da Roma insieme con Livia e il piccolo Tiberio. Sarebbe rientrato in città solo nel 39 a.C. A Roma Livia, incinta del suo secondo figlio, Druso, avviò una relazione con il peggior nemico di suo marito: Ottaviano, il futuro Augusto. In quei giorni di tumulti sociali, il fatto che l’erede di Cesare vivesse un’avventura adulterina con la moglie incinta di un

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A

ncora oggi è possibile

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visitare i resti della casa di Livia sul Palatino, a Roma. La domus consiste in una serie di sale disposte intorno a un cortile coperto, con due colonne al centro. un corridoio conduce al peristilio a cielo aperto, circondato da vari cubicoli. Si ritiene che appartenesse a Livia poiché vi sono state rinvenute alcune tubature in piombo con l’iscrizione “Iulia Augusta”. La casa dovrebbe risalire all’inizio del I secolo a.C., e i dipinti sulle pareti sembrano seguire il cosiddetto secondo stile pompeiano, la moda pittorica degli anni 35-20 a.C.

Secondo gli studiosi la casa fu acquistata da ottaviano durante il triunvirato, e poi ceduta alla moglie quando l’imperatore stabilì la sua residenza ufficiale in un edificio adiacente sul colle. Gli elementi più significativi della residenza sono i dipinti sulle pareti del tablinum (studio) e del triclinium (sala da pranzo), dove è rappresentata una bella scena mitologica: la sacerdotessa sorvegliata da Mercurio e Argo, forse copia di un originale affresco di nicia, pittore greco del IV secolo a.C. L’altra villa di Livia è situata a Prima Porta, alla periferia nord di Roma. È probabile che Livia l’avesse ereditata da suo padre dopo che era stata confiscata nel 43 a.C., e che le fosse stata restituita come dote nuziale dopo il divorzio dal primo marito, Tiberio Claudio nerone. Abbarbicata su una collinetta, di essa è rimasto un padiglione con un vestibolo a volta, decorato con affreschi. Altri affreschi sono stati trasferiti al Museo nazionale Romano. Livia DrusiLLa IN UNA DELLE SUE vILLE, AffRESCO OTTOCENTESCO DAL CASTELLO DI MIRAMARE, TRIESTE.

La coppia formata da Livia e Ottaviano non fece più parlare di sé per i restanti 52 anni del matrimonio. Tutti gli storici antichi concordano sul fatto che Livia fu una moglie esemplare, virtuosa e fedele. Ecco per esempio come Tacito, pur senza celare l’antipatia nei suoi confronti, descrive l’imperatrice: “Di una moralità d’antico costume, amabile al di là di quanto si reputava naturale nelle donne d’altri tempi, madre dominatrice, sposa compiacente, in sintonia con le astuzie del marito e con le dissimulazioni del figlio”.

Santificata in vita All’epoca delle nozze tra Ottaviano e Livia, il regime del triunvirato, formato dallo stesso Ottaviano, da Marco Antonio e da Lepido, si stava incrinando. Stanziatosi a Roma, Ottaviano diffuse l’immagine di una città virtuosa e conservatrice, in contrasto con la vita 48 storica NatioNal geograPhic

sabine Lubenow / fototeca 9x12

AffrEschi, cOrTiLi, cOLONNE: LE sPLENdidE viLLE di LiviA

dissoluta che conduceva Marco Antonio ad Alessandria. In questa immagine speculare della virtù romana e del vizio alessandrino, le donne giocavano un ruolo cruciale, e per questo alla sensuale Cleopatra Ottaviano volle contrapporre due figure femminili “all’antica”, incarnazioni delle virtù delle matrone romane: sua moglie Livia, appunto, e sua sorella Ottavia, che Antonio aveva lasciato a Roma per andarsene in Egitto. Nel 35 a.C. Livia e Ottavia ricevettero dunque la sanctissima tribunicia, una sorta di santificazione in vita, con la protezione del potere statale. Non si poteva infliggere loro alcun danno, neanche uno sgarbo, pena l’accusa di attacco allo Stato. Tale privilegio, di cui nessun’altra donna nella storia di Roma sarebbe stata insignita, fu concesso da Ottaviano con un duplice obiettivo: proteggere Ottavia dall’eventuale richiesta di divorzio di suo


marito Antonio e garantirsi un pretesto per dichiarare guerra all’Egitto. Inoltre, egli voleva rimarcare la virtù della moglie di un triunviro, Livia, al confronto con la corruzione dell’amante di un altro triunviro, Cleopatra, e santificare conseguentemente tutte le donne romane rispetto a quelle di Alessandria. Infine, la sanctissima tribunicia garantiva a Ottavia e Livia la possibilità di disporre liberamente del proprio patrimonio, un diritto negato alle altre donne romane che non potevano vendere o comprare beni senza il consenso di un tutore legale (marito, padre ecc). Tale privilegio avrebbe reso Livia una delle donne più ricche dell’Impero, con proprietà in varie province e un patrimonio di almeno 68 milioni di sesterzi (lo stipendio di un legionario si aggirava sui 300 sesterzi all’anno). Oltre a queste concessioni particolari, le cosiddette Leges Iuliae, emanate tra il 18 a.C. e

il 9 d.C., garantirono a Livia l’esenzione da qualsiasi tutela maschile (patria potestas), facendole acquisire, dal punto di vista legale, quasi gli stessi diritti di un uomo.

Potere nell’ombra Il matrimonio di Livia con Ottaviano, che nel 27 a.C. acquisì il titolo di Augusto, fu, a giudicare dalle fonti storiche, felice: Livia divenne un autentico alter ego dell’imperatore. Discuteva con lui di questioni di Stato, in particolare di politica interna, e grazie alla sua influenza molti dei suoi protetti ottennero posti di rilievo nel governo. Livia era inoltre colei che muoveva i fili della politica dinastica, concertando matrimoni e divorzi. Dietro suo ordine furono compiute anche alcune delle esecuzioni che servirono a sfrondare i rami della dinastia Giulio-Claudia, favorendo l’ascesa al trono di suo figlio Tiberio.

lA poRTA NIGRA DI TREVIRI costruita in arenaria grigia tra il 180 e il 200 d.c., è il monumentosimbolo della città tedesca fondata da augusto negli stessi anni in cui promulgava le Leges Iuliae (18 a.c.9 d.c.) a favore di livia.

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TibEriO imPErATOrE: uNA la MaNo di liVia e quella di suo Figlio tiBerio NoN ParVero estraNee alle Morti

de agostini

1 Marcello

2 Druso Maggiore

(† 23 a.c.) NiPote e geNero di augusto Figlio di ottavia Minore, sorella di augusto, fu il primo marito della figlia dell’imperatore giulia, da cui non ebbe figli. Morì a 19 anni di una malattia fulminante, forse un’epidemia. i sospetti caddero su livia, “accusata di aver provocato la morte di Marcello poiché augusto lo aveva preferito ai suoi figli”, secondo quanto racconta nella sua Storia Romana (230 d.c.) cassio dione.

(† 9 a.c.) secoNdogeNito di liVia secondo figlio di livia e del primo marito tiberio claudio Nerone, venne educato con il fratello maggiore tiberio da augusto, che nutriva per lui una predilezione. sposò antonia Minore, figlia di Marco antonio e di ottavia Minore (sorella di augusto), da cui ebbe molti figli. solo tre, però, gli sopravvissero: germanico, il futuro imperatore claudio e claudia livilla. Morì in germania cadendo da cavallo.

3 Gaio Cesare

4 Lucio Cesare

(† 4 d.c.) NiPote di augusto Figlio maggiore di giulia e Marco Vipsanio agrippa, dopo l’adozione da parte di augusto fu considerato il successore dell’imperatore insieme con il fratello minore lucio. Morì a 24 anni in licia (turchia), in seguito a una ferita subita combattendo ad artagira, in armenia. si sospettò che livia l’avesse fatto avvelenare con l’aiuto di un medico al suo servizio, ma oggi l’ipotesi è ritenuta improbabile.

(† 2 d.c.) NiPote di augusto secondogenito di giulia e agrippa, come il fratello maggiore fu adottato da augusto e considerato un possibile successore al trono. Nominato console a soli 15 anni, morì a Massilia (Marsiglia), in gallia, quattro anni dopo, a seguito di una malattia. oggi gli storici respingono l’ipotesi, avanzata da tacito, che la sua morte possa essere stata progettata da livia per spianare la strada a tiberio.

OttavianO augustO, BUSTO IN MARMO DEL I SECOLO A.C. MUSEI CAPITOLINI, SALA DEGLI IMPERATORI, ROMA.

MOrte Di gerManicO, DIPINTO DI GéRARD DE LAIRESSE. 1680. GEMäLDEGALERIE ALTE MEISTER, KASSEL (GERMANIA).

Le cronache le attribuiscono con sicurezza la morte di Agrippa Postumo (nipote di Ottaviano, figlio di Giulia e di Agrippa) e, forse, quella di Marcello (il primogenito di Ottavia). Ma non tutto in Livia fu negativo: persino i suoi nemici le riconoscevano, per esempio, la dote di non abbandonare mai i familiari e gli amici in disgrazia. Anche la figlia di Augusto, Giulia, mandata in esilio nell’isola laziale di Pandataria (Ventotene) con l’accusa di adulterio e di complotto contro l’Impero, godette della protezione di Livia, che in fin dei conti era sua suocera (Giulia infatti, dopo Agrippa, aveva sposato il fratellastro Tiberio su ordine dello stesso Augusto). Nella gestione dei rapporti sociali, Livia mostrò chiaramente la sua volontà di diventare la “grande matrona di Roma”. Estese infatti la sua rete di conoscenze a parenti, amici e clienti in tutto il territorio dell’Impero ro50 storica NatioNal geograPhic

mano, dall’Europa all’Asia fino all’Africa. Tra i suoi protetti c’erano Salomè, sorella di Erode il Grande; Tolomeo di Mauritania e anche Urgulania, figlia di un console la cui nipote, Plauzia Urgulanilla, si sarebbe sposata con il futuro imperatore Claudio. Anche Servio Sulpicio Galba, imperatore tra il 68 e il 69 d.C., e Sesto Afranio Burro, prefetto pretoriano di Nerone, godettero del suo favore. Il capolavoro di Livia fu, tuttavia, quello di far succedere ad Augusto il proprio figlio maggiore, Tiberio. L’imperatrice approfittò della morte di Agrippa, marito di Giulia, avvenuta nel 12 a.C., per proporre che suo figlio Tiberio, dopo il divorzio dalla moglie, sposasse la figlia di Augusto. Tale unione appariva appropriata e anche vantaggiosa, poiché evitava che Giulia divenisse una vedova dai costumi dissoluti, e garantiva una figura paterna ai cinque figli di Agrippa, finché fossero giunti


AscEsA cON mOLTE OmbrE PreMature di BeN sei PossiBili eredi al troNo iMPeriale di ottaViaNo augusto.

5 Agrippa Postumo

(† 14 d.c.) NiPote di augusto Fu il quinto e ultimo figlio di giulia e Marco Vipsanio agrippa. di carattere instabile e violento, fu giustiziato all’età di 26 anni, subito dopo la morte di augusto, sull’isola di Pianosa dove era recluso. l’esecuzione fu presentata come un ordine postumo dell’imperatore defunto, ma livia fu accusata di aver falsificato tale ordine, nascondendo il fatto che augusto e il nipote si erano riconciliati.

6 Germanico

bridgeman / aci

all’età di accedere al trono. Tuttavia, sia per il comportamento libertino di Giulia, sia per il carattere di Tiberio, persona fredda e incline alla malinconia, il matrimonio non funzionò.

La successione di Tiberio Tiberio ricevette da Augusto innumerevoli poteri e varie deleghe. Le qualità di Tiberio, che erano molte, non ebbero però nulla a che vedere con questi incarichi. Il suo ruolo era importante solo in quanto genero/figliastro di Augusto e protettore dei suoi discendenti. Nel 6 a.C., egli ricevette la potestà tribunizia (tribunicia potestas), primo passo verso la successione: la carica rendeva infatti sacra e inviolabile la persona di Tiberio, e gli conferiva inoltre il diritto di veto. Ma Tiberio, stanco della moglie, e probabilmente anche della madre, chiese ad Augusto il permesso di ritirarsi sull’isola di Rodi. Forse

bridgeman / aci

(† 19 d.c.) NiPote di liVia era figlio di druso Maggiore, fratello di tiberio, che lo adottò nel 4 d.c. come successore su ordine di augusto. Molto amato dal popolo per il suo valore e le sue imprese militari in germania (14-16 d.c.), morì a 34 anni ad antiochia, nell’odierna siria, forse avvelenato dal rivale gneo calpurnio Pisone su ordine di tiberio e livia, timorosi della sua crescente popolarità. L’iMperatOre tiberiO, BUSTO IN MARMO DEL I SECOLO D.C. MUSéE SAINT-RAyMOND, TOLOSA (fRANCIA).

a Tiberio andava stretto il suo ruolo di successore provvisorio, in attesa che i nipoti di Augusto raggiungessero la maggiore età. E, di sicuro, non sopportava lo scomodo ruolo del marito tradito, dato che le infedeltà di Giulia erano note a tutti, tanto che Augusto definì la figlia come “un cancro”. Di fatto, la sua richiesta di andare a Rodi fu accettata, ma Augusto non perdonò al genero questa offesa e l’oltraggio inferto a sua figlia. Cosicché, quando Tiberio chiese di ritornare e Livia appoggiò la sua richiesta, Augusto gli negò il permesso. Tiberio doveva rimanere a Rodi finché i nipoti fossero divenuti abbastanza adulti per succedere all’imperatore. Augusto riteneva Tiberio responsabile anche dell’immoralità di Giulia, che aveva mandato in esilio per adulterio, anche se l’accusa probabilmente celava una grande congiura aristocratica ai danni dell’imperatore. storica NatioNal geograPhic

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ivia drusilla avrebbe dovuto essere l’esempio della casta matrona romana, che, china sul telaio, non si intromette mai nelle questioni maschili. Ma l’imperatrice non era fatta così. Questo spiega perché i grandi poeti romani dell’età aurea, come orazio o Virgilio, evitano di menzionarla nelle loro opere, di forte impronta conservatrice. Per lo stesso motivo, quando Virgilio lesse l’Eneide al cospetto di Augusto, Livia e ottavia, la tradizione racconta unicamente l’emozione provata dall’imperatore, senza neanche nominare la moglie e la sorella.

In ovidio, invece, sono frequenti i passaggi dedicati a Livia, amica di una parente di Fabia, la terza moglie del poeta e la più amata da lui. ovidio fa riferimento all’imperatrice in varie occasioni, specie dopo essere stato esiliato da Augusto a Tomi, sul Mar nero, nell’anno 8 d.C., sia a causa della sua Ars amatoria, sia forse perché accusato di correità nell’adulterio della figlia dell’imperatore, Giulia. Il poeta parla dell’imperatrice sempre in termini lusinghieri, nella speranza di ottenere da lei il permesso di ritornare a Roma, ma queste blandizie non sortirono l’effetto desiderato. livia fu resa celebre anche dai grandi monumenti pubblici che le vennero consacrati. oltre al portico sull’esquilino dedicatole da Augusto, la stessa Livia spinse Tiberio a restaurare il Tempio della Concordia, nel Foro, e quello della Bona dea, sull’Aventino. Anche nelle province furono edificati vari edifici in suo onore. virgiLiO Legge L’eneiDe AD AUGUSTO, LIvIA E OTTAvIA, OLIO SU TELA DI J.-A.-D. INGRES, 1812, TOLOSA.

Tiberio in esilio poteva però contare sull’appoggio di sua madre. Il nipote minore di Augusto, Lucio Cesare (figlio di Giulia e del primo marito Marco Vipsanio Agrippa), morì in Gallia nel 2 d.C., in seguito a una malattia nella quale molti videro la mano della “malvagia matrigna” (infatti Augusto aveva adottato come figli i propri nipoti). In tali circostanze, sembrò opportuno che Tiberio, in fin dei conti persona di grandi capacità militari e politiche, tornasse a Roma per aiutare Augusto, ormai sessantacinquenne. Il trionfo di Livia fu completo quando poco dopo, nel 4 d.C., anche l’altro nipote Gaio Cesare, fratello di Lucio Cesare, morì in Licia a causa di una ferita forse avvelenata, e il terzo nipote, Agrippa Postumo, fu allontanato per la sua condotta mentalmente instabile. Nel 4 d.C. Tiberio venne adottato come figlio e nominato successore dall’anziano Augusto, 52 storica NatioNal geograPhic

GIOvANNI SIMEONE / fOTOTECA 9x12

i siLENzi di virgiLiO, LE AduLAziONi di OvidiO

alla cui morte, nel 14 d.C., seguì l’immediata proclamazione di Tiberio imperatore e l’assassinio di Postumo, per mano di sicari inviati dal nuovo sovrano. Nel testamento di suo marito, Livia veniva adottata da Augusto come figlia, acquisendo il titolo di Livia Augusta, il che significava che ella sarebbe stata considerata sia vedova sia orfana dell’imperatore defunto. Come se non bastasse, secondo le ultime volontà del marito avrebbe ricevuto un terzo dell’eredità. Augusto, pertanto, disponeva che Livia fosse trattata da imperatrice, quasi sullo stesso piano del figlio. E il Senato assecondò appieno i desideri del fondatore dell’Impero, deliberando la concessione di innumerevoli titoli alla stessa Livia, finché proprio Tiberio non si oppose sostenendo che occorresse “mettere un limite agli onori concessi alle donne”. Egli non poté tuttavia impedire l’esecuzione


del testamento, in base al quale fu votata un’eccezione alla Lex Voconia, che limitava i diritti femminili all’eredità, né tantomeno che sua madre fosse nominata sacerdotessa del culto al nuovo “dio Augusto”.

L’imperatrice divinizzata Per alcuni anni, Tiberio e Livia condivisero il potere mostrando in pubblico grande correttezza reciproca, anche se il figlio non sopportava più la madre. E i rapporti si deteriorarono ulteriormente dopo la morte del nipote di Livia, il generale Germanico, deceduto in circostanze sospette in Siria. A Roma si vociferava che Livia avesse istruito il governatore del Paese, Gneo Calpurnio Pisone, e sua moglie Plancina, affinché avvelenassero Germanico, che rappresentava un pericolo per il potere di Tiberio. Livia manovrò poi perché, nel processo intentato contro Pisone, la sua amica

Plancina fosse assolta, indispettendo Tiberio. Alcuni anni più tardi, Tiberio si ritirò sull’isola di Capri; secondo Tacito, per sfuggire all’influenza materna. Non tornò più a trovare Livia, tranne che in un’occasione. L’imperatrice morì nel 29 d.C., a ottantasei anni. Tiberio non assistette ai funerali della madre e si rifiutò di divinizzarla, come ella aveva desiderato. Fu solo con i principati di Caligola e di Claudio, rispettivamente pronipote e nipote di Livia, che si compì il sogno dell’imperatrice di ascendere all’Olimpo degli dei. A quanto ci è dato sapere, Livia fu venerata come dea soprattutto nelle province asiatiche e in Egitto. Ancora nel IV secolo, un poeta cristiano, Prudenzio, la cita come esempio di donna di scarsa moralità divinizzata dai pagani. Ma ciò avvenne solo perché il nome di Livia era ancora usato come sinonimo di buona fortuna, specie nei matrimoni.

Il pANTHEoN ADRIANEo eretto a roma nel ii secolo d.c. per ordine dall’imperatore adriano, sorse sui resti di un precedente pantheon costruito nel 27 a.c. da Marco Vipsanio agrippa, genero di augusto.

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arco monumentale Risalente al III secolo d.C., si ergeva all’ingresso di Palmira. Fiorente sotto il dominio romano grazie al commercio carovaniero con l’Oriente, Palmira entrò in decadenza dopo la sconfitta di Zenobia nel 272.


LA SOVRANA CHE VOLLE SFIDARE ROMA

ZENOBIA Colta, astuta, pragmatica e volitiva, divenne, alla morte del marito, la sovrana di Palmira, la splendida città crocevia dell’Oriente, e con l’aiuto del filosofo greco Cassio longino minacciò a lungo il dominio di Roma in tutta l’area davId heRnÁndeZ de la Fuente SCRIttORe e PROFeSSORe all’unIveRSItà naZIOnale dI FORmaZIOne a dIStanZa dI madRId


MIcheLe faLzone / aGe fotostock

Il teatro rIScoPerto Risalente al II secolo d.C., fu sepolto dalla sabbia fino agli anni Cinquanta del novecento. l’edificio contenente la scena, ben conservato, era lungo 48 metri e poteva ospitare fino a 4000 spettatori.

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Zenobia si proclamava erede della prestigiosa dinastia seleucide, che aveva governato la Siria nell’età ellenistica, e la sua famiglia aveva ottenuto la cittadinanza romana da una generazione. L’immagine di regina astuta e pragmatica, che con l’aiuto del filosofo greco Cassio Longino a lungo minacciò la sovranità di Roma sull’Oriente, resterà eternamente avvolta nella leggenda. Palmira, la città di Zenobia, nel centro della Siria, fu per oltre un millennio il crocevia più importante tra Occidente e Oriente, punto di incontro tra diverse civiltà che assorbì e fuse armoniosamente insieme. Annessa all’Impero romano nel I secolo d.C., Palmira divenne un fiorente centro commerciale: la “perla del deserto”, come la chiamavano gli antichi viaggiatori, era una tappa obbligata sulla rotta delle carovane che giungevano da est. Sorta intorno a un’oasi, Palmira era impreziosita da magnifici edifici, come il tempio di Bel, la principale divinità del pantheon palmireno, o il grandioso teatro romano, molti dei quali sono sopravvissuti al trascorrere dei secoli. La stessa regina Zenobia, il cui nome in aramaico era Bat Zabbai, sembrava incarnare il pluralismo culturale che caratterizzava la Città delle palme. Figlia di Giulio Aurelio Zenobio (che aveva acquisito la cittadinanza romana), nel 260 d.C. sposò Settimio Odenato, il Signore di Palmira, di origine araba, che si avviava a prendere il controllo della parte orientale dell’Impero romano, in quel momento profondamente indebolito da una crisi interna ed esterna. In Oriente infatti si faceva sempre più minacciosa una grande potenza rivale: l’Impero

persiano della dinastia dei Sasanidi. Il loro re, Sapore (Shapur) I, dopo aver conquistato la Mesopotamia invase la Siria e, a Edessa, in Assiria, nel 260 d.C., catturò addirittura l’imperatore Valeriano.

Il sogno di un impero orientale A risolvere la situazione intervenne nel 262 d.C. proprio Odenato che, nominato dux romanorum e corrector totius Orientis dal nuovo imperatore Gallieno, succeduto al padre Valeriano nel 260 d.C., sconfisse Sapore I e riconquistò la Mesopotamia, vendicando così l’umiliazione subita da Roma. Fu presto chiaro però che le sue mosse erano dettate da un’ambizione del tutto personale: acquisire il controllo completo dell’Oriente romano e regnare solo e incontrastato dalla sua fastosa capitale: Palmira. Le aspirazioni di Odenato furono tuttavia stroncate a pochi anni di distanza da un banale intrigo di palazzo. Il trionfatore palmireno morì infatti assassinato nel 267 d.C., forse proprio per ordine della sua seconda moglie, la regina Zenobia. Quest’ultima fu nominata reggente fino alla maggiore età del figlio che aveva avuto da Odenato, Vaballato. Sotto il governo della regina rimanevano dunque Palmira e i domini appena conquistati in Oriente, territori che andavano dall’Eufrate alle frontiere della Bitinia. Zenobia diede avvio a una politica espansionistica, tesa a costituire un forte Stato orientale indipendente da Roma. A poco a poco, attraverso un’intelligente politica di alleanze con i vicini Stati dell’Armenia e della Persia, che temevano la sua inimicizia, e consigliata

BRIDGEMAN / ACI

elle ambrata e occhi penetranti, una straordinaria bellezza unita a un’intelligenza acuta e sottile. In questo modo le fonti antiche ritraggono la volitiva Zenobia, regina di Palmira, una donna colta che parlava fluentemente il greco e l’egizio, così come l’aramaico, e conosceva il latino, pur senza padroneggiarlo completamente. tetradracma dI zenobIa “siamo veramente al fondo della vergogna [...] perfino le donne governavano ottimamente, e per di più quelle straniere. Una straniera infatti, di nome Zenobia [...] dopo la morte del marito odenato [...] presasi sulle spalle il manto imperiale, [...] resse il potere”, dalla Historia Augusta, iV secolo d.c.

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LE TOMBE DI PALMIRA LA VALLE DELLE TOMBE è una delle necropoli di Palmira. È costituita da torri funerarie e ipogei scavati nella roccia, autentici mausolei per centinaia di defunti. Gli interni erano decorati con dipinti, rilievi e sculture. la tomba dei tre Fratelli, risalente al 140 d.C., è parzialmente restaurata e ricca di pitture murali con scene tratte dall’Iliade. ipogeo DEI tRE fRAtEllI, NEllA vAllE DEllE toMBE DI pAlMIRA. II sEColo D.C.

cammeo dI valerIano l’imperatore romano venne catturato dal sasanide sapore i nel 260 d.c. cammeo risalente al iV secolo. Bibliothèque nationale, parigi.

dal filosofo Cassio Longino, Zenobia sottomise i territori della Siria e proseguì fino a conquistare Arabia, Palestina, Cappadocia e Bitinia. L’ambiziosa sovrana si impossessò perfino dell’Egitto, la più ricca tra le province dell’Impero romano, proclamandosi discendente di Cleopatra, colei che “aveva preferito la morte alla sottomissione”.

L’implacabile Aureliano

E. lEssING / AlBUM

Zenobia seppe approfittare del momento di crisi che attraversava l’Impero, sottoposto a forti tensioni territoriali, dalla lontana Hispania fino all’Eufrate. La regina sfidò Gallieno e respinse con forza i suoi generali; e l’imperatore successivo, Claudio II il Gotico, impegnato in un sanguinoso conflitto contro i Goti che premevano alle frontiere settentrionali dell’Impero, 58 storica national geographic

non poté contrastare né arginare le sue mire espansionistiche. Tuttavia Zenobia avrebbe presto dovuto affrontare un avversario più temibile dei precedenti: Lucio Domizio Aureliano, il generale proclamato imperatore dalle truppe nel 270 d.C. All’acume e alla cultura della regina orientale, Aureliano contrapponeva un’astuzia innata e una rigida disciplina militare, temprata sulle fredde frontiere del Danubio e dell’Illiria. La sua audacia nei combattimenti era proverbiale: le fonti antiche riferiscono che egli uccise con le sue mani quarantotto Sarmati in un solo giorno e quasi mille nemici nelle battaglie seguenti. Il suo valore fu lodato dai soldati e celebrato in rozze canzoni, il cui ritornello recitava: “Mille, mille, mille occidit”. Nei cinque anni del suo regno, Aureliano si dedicò con energia alla salvezza dell’Impero minacciato dai barbari e minato da rivolte interne. Non solo ricacciò i Goti oltre il confine del Danubio e respinse gli Iutungi e gli Alemanni calati nella Penisola italiana, ma nel 273 d.C. riaffermò l’autorità di Roma sulla Gallia, che dal 270 d.C.si trovava sotto il controllo dell’usurpatore romano Esuvio Tetrico, annoverato peraltro fra i Trenta tiranni nella Historia Augusta, una raccolta di biografie del IV secolo d.C. che comprendeva le vite di imperatori, Cesari, pretendenti e usurpatori da Adriano a Numeriano (dal 244 al 253). L’imperatore Aureliano ristabilì l’ordine e la disciplina delle legioni romane, imponendo un severo codice di condotta che proibiva il gioco e le pratiche divinatorie. Le punizioni per chi disobbediva erano talmente dure che non si correva il pericolo che qualcuno commettesse una seconda volta la stessa colpa. Aureliano si compiaceva di essere più temuto dai suoi stessi soldati che dai suoi nemici. Era dunque chiaro che l’affronto di Zenobia, che insieme al figlio Vaballato aveva disconosciuto la sovranità di Roma, autoproclamandosi Augusta nel 272 d.C., non sarebbe rimasto a lungo impunito. Aureliano in persona marciò verso Oriente alla testa di un possente esercito, per sottomettere la fiera sovrana della Città delle palme. La regina Zenobia venne privata dei suoi domini territoriali, che caddero l’uno dopo l’altro, e perse i suoi alleati, che le voltarono le spalle, a mano a mano che le legioni


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Il tetraPIlo dI PalmIra Ăˆ una struttura monumentale del II secolo d.C. formata da quattro gruppi di quattro colonne di granito rosa. Ricostruito recentemente, conserva una sola colonna originale.


IVan VDoVIn / aGe fotostock

IL NEMICO ALLE PORTE LA NASCITA DELL’IMpErO sasanide, nel 226 d.C., fu seguita da campagne di conquista in Siria condotte da ardashir I e Sapore I. varie città furono distrutte e altre rinforzarono le proprie difese, come apamea o Bosra. Odenato di Palmira, lo sposo di Zenobia, intervenne militarmente contro i Persiani, prima in nome di Roma, e poi con la pretesa di creare un impero indipendente. ardashir i RICEvE Il DIADEMA DEllA REGAlItà DAl DIo AHURA MAZDA. NAQsH-E RostAM, IRAN.

DAGlI oRtI / DEA / AlBUM

teSta bronzea dI aurelIano l’imperatore romano lamentava che il suo popolo parlasse con disprezzo della guerra che combatteva contro una donna, ignorando le qualità della regina Zenobia.

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romane avanzavano inarrestabili. Sconfitta ad Antiochia e a Emesa, alla regina non restò che mettersi in salvo dietro le mura della sua splendida capitale.

Il lungo assedio Non fu una campagna facile per Aureliano, che dovette attraversare il deserto siriano, tormentato dai continui attacchi degli uomini di Zenobia, che agivano con tattiche di guerriglia. Il Romano non sottovalutò la rivale, nonostante il disprezzo dei suoi soldati per un esercito comandato da una donna. Quando finalmente giunse davanti alle mura di Palmira, propose alla regina di arrendersi a condizioni di favore. Ma Zenobia rifiutò sprezzante la resa. Cominciò quindi il lungo assedio. La sovrana si aspettava che i Romani sarebbero stati piegati dalla fame e dal duro clima desertico,

ma Aureliano era prima di tutto un efficiente militare e organizzò efficacemente l’approvvigionamento delle sue truppe, privando nel contempo Palmira di qualsiasi tipo di rifornimento o aiuto esterno. Nel frattempo il suo fidato generale Marco Aurelio Probo portava a termine la sanguinosa riconquista dell’Egitto, durante la quale andò distrutta gran parte della celebre biblioteca di Alessandria. I soccorsi inviati a Palmira dai popoli alleati come Saraceni e Armeni furono intercettati, e la regina, ormai disperata, tentò di fuggire a dorso di un dromedario verso la Persia, ma venne catturata mentre cercava di attraversare il fiume Eufrate. La Città delle palme non tardò ad arrendersi, lasciando tutti i suoi tesori nelle mani dei Romani.

Esibita come bottino di guerra Lo scontro tra Zenobia e Aureliano si concluse con il pieno trionfo dell’imperatore romano e la scena della resa della regina viene narrata nella Historia Augusta. Pare che la fiera regina si prostrò davanti al vincitore e quando Aureliano le chiese come avesse osato opporsi così insolentemente a Roma, lei rispose abilmente: “Riconosco come imperatore te che mi vinci”, facendo capire che al contrario gli imperatori precedenti erano stati indegni della sua obbedienza. Secondo la leggenda, Zenobia fu trasportata a Roma perché sfilasse, legata in catene d’oro, insieme all’usurpatore Esuvio Tetrico, nel trionfo celebrato in onore di Aureliano. Sulla sua sorte vi sono però versioni contrastanti. Secondo alcune fonti morì con tutti i membri della sua famiglia poco dopo il suo arrivo nell’Urbe, per malattia o per decapitazione. Altri storici riferiscono invece che l’imperatore Aureliano, colpito dalla bellezza della regina, la perdonò e le concesse un esilio dorato in una villa di Tivoli, vicino Roma, dove visse nel lusso fino alla morte, nel 275 d.C. Sembra addirittura che la sua discendenza continuò a sopravvivere tra le famiglie aristocratiche romane. In ogni caso, qualunque sia la verità, la figura di Zenobia era destinata a catturare l’immaginazione di storici, artisti e letterati, che per secoli avrebbero evocato la vicenda dell’ambiziosa e altera regina orientale che aveva osato sfidare la potente Roma.


DaGLI oRtI / Dea / aLBUM

altorIlIevo funebre le tombe dei ricchi mercanti di Palmira erano decorate con magnifici rilievi, come questo, che raffigura Zenobia con una dama di compagnia. museo nazionale, damasco. storica national geographic

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eD kashI / nGs

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area arcHeoloGIca dI PalmIra Si osserva la via colonnata che attraversava la cittĂ da nord a sud, affiancata da diversi edifici monumentali come il teatro e il tetrapilo e, in alto a destra, la valle delle tombe. storica national geographic

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UNA FIORENTE CITTà DI

U

N CrOCEVIA frA OrIENTE E OCCIDENTE

Prima di essere annessa all’Impero romano, tadmor ¬ questo era il nome ebraico e arabo di Palmira ¬ era una tipica città orientale, dalle vie sinuose. a poco a poco i governatori romani ne trasformarono la fisionomia conferendole un carattere sempre più monumentale, senza però cancellarne del tutto l’antico aspetto. Così, fu costruita un’ampia via colonnata lunga 1200 metri che percorreva l’intera città; al centro fu innalzato un ingresso monumentale a quattro porte, il tetrapilo, nelle cui vicinanze si trovava il Foro. a Palmira furono edificati anche un teatro e le terme, oltre a vari templi, che avevano tutti una pianta greco-romana, ma erano dedicati a divinità semitiche.

arco monumentale Fu eretto sopra una pianta triangolare lungo la via che conduceva al tempio di Bel.

temPIo dI nebo Collocato su un basamento di grandi pietre squadrate, era consacrato al dio mesopotamico della saggezza e della scrittura.

vIa colonnata È la spina dorsale di Palmira. lunga 1200 metri, era fiancheggiata da più di duecento colonne corinzie.

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foro era il centro della vita pubblica. I portici che lo delimitavano erano ornati di statue.

teatro Costruito nel II secolo d.C., aveva la cavea composta da circa 30 file; la scena era delimitata da nicchie rettangolari e semicircolari.

terme dI dIoclezIano Si pensa che le fondamenta di questo complesso termale appartenessero al palazzo di Zenobia.


COMMERCI CON L’EST valle delle tombe In questa grande necropoli posta a ovest della città, si ergono numerose torri funerarie del I e del II secolo d.C.

camPo dI dIoclezIano Complesso elevato in età tetrarchica come sede della legione che presidiava il limes.

temPIo dI baal-SHamIn Questo tempio del II secolo d.C. era dedicato a una divinità fenicia che formava una triade con aglibol e Yarhibol.

PIazza ovale di essa è rimasto soltanto un colonnato arcuato con capitelli corinzi. da questa piazza aveva inizio la via colonnata.

ACQUEREllo DI JEAN-ClAUDE GolvIN. MUsÉE DÉpARtEMENtAl ARlEs ANtIQUE. © ÉDItIoNs ERRANCE

tetraPIlo era formato da quattro piedistalli che reggevano quattro colonne in granito rosa, provenienti dall’egitto.

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Moneta d’oro bizantina L’effigie di Galla Placidia in una moneta d’oro del V secolo d.C. Anche dopo che il figlio Valentiniano III raggiunse la maggiore età (437 d.C.), Galla conservò una forte influenza a corte.

scala, firenze

CaPoLaVoro d’arte MUSiVa Intorno al 425 d.C. Galla Placidia fece costruire a Ravenna, capitale dell’Impero d’Occidente, il mausoleo imperiale a croce greca e rivestito da eccezionali mosaici in stile bizantino.


de agostini

FIGLIA, MOGLIE E MADRE DI IMPERATORI

GALLA PLACIDIA

figlia dell’imperatore teodosio I, fu catturata dai Visigoti nel sacco di Roma e presa in moglie dal re Ataulfo. Più tardi sposò l’imperatore Costanzo III, alla cui morte assunse la guida dell’Impero d’Occidente in veste di reggente juAn mAnueL CORtÉs COPete PROfessORe dI stORIA AntICA ALL’unIVeRsItà PAbLO de OLAVIde dI sIVIGLIA


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el 392 d.C., la città di Costantinopoli visse mesi di grande agitazione. L’imperatore romano Teodosio I stava progettando una grande spedizione militare in Occidente, per liquidare l’usurpatore del trono Flavio Eugenio. Nel frattempo, a corte, l’imperatrice Galla, seconda moglie di Teodosio I, si accingeva a un nuovo parto.

iL MiSSorio di teodoSio i piatto cerimoniale raffigurante teodosio i mentre consegna un codice a un funzionario imperiale: al suo fianco i due figli onorio e arcadio. 393 d.c. circa, real academia de la historia, Madrid.

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L’imperatrice, dopo la perdita prematura del primogenito Graziano, stavolta diede alla luce una bambina, battezzata Elia Galla Placidia. La nascita della piccola coincise con un periodo di profonda crisi dell’Impero, indebolito dall’instabilità politica e dalle divisioni interne. Un declino a cui gli Augusti avevano provato a reagire da un lato esasperando il controllo amministrativo sul territorio, attraverso una proliferazione di tasse, leggi e funzionari; dall’altro promuovendo il Cristianesimo come fattore di coesione politica e sociale. Inoltre, a partire da Diocleziano (284-305 d.C.), gli Augusti accentuarono sempre più i caratteri sacrali del proprio potere, simbolo tangibile dell’unità dell’Impero. I risultati, tuttavia, furono inferiori alle attese; se infatti la maggior pressione fiscale aveva generato un diffuso sentimento antiromano, la scelta del Cristianesimo come religione di Stato si confermò sì un fattore stabilizzante, ma introdusse anche nel corpo dell’Impero nuovi germi di divisione, veicolati dalle eresie. La scelta di sacralizzare la figura dell’imperatore, infine, tradendo il classico modello del sovrano-cittadino, finì per isolare l’Augusto dal suo popolo, lasciandolo in ostaggio di una corte vorace e onnipotente. A tutto questo si aggiunse la pressione dei barbari: le esose richieste di terre e denaro, la trasformazione in aristocrazia militare, il rifiuto di abbracciare il Cristianesimo minavano i meccanismi stessi di rafforzamento messi a punto dal potere centrale, acutizzando l’instabilità politica. In una situazione così compromessa, l’unifi-

cazione imperiale conseguita da Teodosio I si rivelò effimera. Alla sua morte (395), infatti, l’Impero tornò a spezzarsi: da un lato l’Oriente, nelle mani del primogenito dell’imperatore Arcadio; dall’altro l’Occidente, affidato al piccolo Onorio, secondogenito di Teodosio. Per affiancarlo fino alla maggiore età, l’imperatore aveva scelto come reggente Stilicone, un generale legato alla famiglia regnante tramite il matrimonio con Serena, nipote di Teodosio. In seguito Stilicone avrebbe rinsaldato i suoi vincoli con la dinastia dando in sposa la figlia Maria a Onorio, mentre la piccola Galla Placidia veniva promessa in moglie all’unico figlio maschio del generale, Eucherio.

Prigioniera di Alarico Dopo la morte di Teodosio, tuttavia, gli eventi in Occidente precipitarono rapidamente: nel 401 d.C. i Visigoti di Alarico comparvero nel nord Italia, chiedendo terre, alimenti e sussidi; quattro anni dopo fu la volta degli Ostrogoti di invadere i territori imperiali, seguiti nel 406 da Svevi, Vandali e Alani. Stilicone, vittima di una congiura di palazzo, fu imprigionato e giustiziato nel 408, e i matrimoni da lui concordati vennero annullati. In tal modo Galla Placidia, libera da impegni matrimoniali, tornava a essere un utile strumento nelle mani della corte di Ravenna per stringere nuove alleanze dinastiche. Nel frattempo Alarico, affamato di bottino, aveva deciso di marciare su Roma. Dopo un primo assedio conclusosi pacificamente, nel 409 tornò ad attaccare la città, imponendo al Senato di proclamare imperatore un suo uomo di fiducia, il prefetto Prisco Attalo.


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iL foro roMano daL CaMPidogLio una veduta aerea del foro Romano: all’epoca di Galla Placidia, Roma non era più da tempo la capitale dell’Impero, soppiantata a Oriente da Costantinopoli e a Occidente da Ravenna. storica national geographic

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i Corridoi di Porta nigra edificata attorno al 200 d.c., la porta nigra costituiva l’accesso nord alla città romana di treviri, in germania, sede imperiale all’epoca di costantino i e poi più volte attaccata dai barbari nel iV secolo.

Pose quindi inutilmente sotto assedio Ravenna, sede della corte imperiale, dopodiché marciò per la terza volta su Roma. Al termine di un terribile assedio, la notte del 24 agosto, i Visigoti penetrarono nella città, che razziarono per tre giorni. Del loro bottino faceva parte anche Galla Placidia, presa in ostaggio dal re goto nella speranza di utilizzarla come moneta di scambio nelle trattative con Onorio.

Due matrimoni in tre anni Poco dopo, tuttavia, nel 410 Alarico morì, e il suo successore Ataulfo preferì ritirarsi in Gallia, da dove riprese i negoziati con Onorio. Proprio in vista di tali trattative, ritenne opportuno sposare Galla Placidia, così da imparentarsi con la famiglia imperiale: il matrimonio fu celebrato nel 414 a Narbona, in Francia, e l’anno dopo, a Barcellona, Galla diede alla luce il suo primo figlio, Teodosio.

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Ataulfo aveva ora di che nutrire le sue ambizioni, dato che Onorio non aveva eredi diretti; ma la morte improvvisa del neonato, e poi quella dello stesso Ataulfo pugnalato da un rivale nel 415, vanificarono i piani del re barbaro. Dopo la scomparsa del marito, Galla Placidia riebbe la libertà, nell’ambito di un accordo che assegnava ai Visigoti, ora federati all’Impero, l’Aquitania francese. La principessa poté così rientrare a Ravenna nel 417, dove però l’attendeva un altro matrimonio combinato: quello con il generale Flavio Costanzo, vero padrone della corte ravennate. Dalle nozze nacquero presto due figli: Onoria e, nel 419, Valentiniano, l’agognato erede maschio. Questa nascita inasprì i rapporti tra Ravenna e Costantinopoli, in quanto l’imperatore d’Oriente Teodosio II aspirava a riunificare l’Impero, e vedeva nel figlio di Galla Placidia un potenziale ostacolo


LA DInAsTIA DI TEODOsIO I

ispanica, teodosio, dopo una brillante carriera militare, fu associato al trono nel 379 dall’imperatore graziano, che gli affidò la parte orientale dell’impero. in seguito sposò in seconde nozze la sorellastra di graziano, galla, dalla quale ebbe galla placidia. Dopo la morte di graziano, teodosio riunificò sotto di sé tutti i territori dell’impero, dan-

Imperatore di Roma

do vita a una propria dinastia. i figli del suo primo matrimonio, arcadio e onorio, si suddivisero l’impero d’oriente e occidente; al primo succedette teodosio ii, mentre onorio, morto senza eredi, lasciò il trono al figlio di galla placidia, Valentiniano iii. l’assassinio di quest’ultimo, nel 455, segnò la fine della dinastia teodosiana.

josep cabello

F

IgLIO DI UN generale di origine

bassorilievo dall’obelisco di teodosio i, a istanbul: alto 19 metri, raffigura l’imperatore all’ippodromo

teRmAnZIA mAGGIORe

fLAVIO teOdOsIO

Legami matrimoniali photoaisa

figli

teOdOsIO I – Imperatore d’Oriente e Occidente (379-395)

GALLA

eLIA fLACCILLA

photoaisa

scala, firenze

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PuLCHeRIA

fLAVIO ARCAdIO – Imperatore d’Oriente (395-408)

fLAVIO OnORIO – Imperatore d’Occidente (393-423)

AtAuLfO – Re dei Visigoti (410-415)

COstAnZO III Imperatore d’Occidente (421)

teOdOsIO

GIustA GRAtA OnORIA

scala, firenze

GALLA PLACIdIA – Reggente dell’Impero d’Occidente

VALentInIAnO III – Imperatore d’Occidente (425-455)

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L’EDUCAZIOnE DI UnA PRInCIPEssA

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OME ERA AbItUALE nelle famiglie

bridgeman / aci

della nobiltà latina, alla nascita Galla Placidia fu affidata alle cure della nutrice di corte, una liberta di origine greca chiamata elpidia. fu lei che si occupò di educare la piccola alle rigide regole del protocollo di palazzo. Più tardi, un pedagogo le insegnò a leggere e scrivere. Il suo repertorio di letture era formato da alcuni classici ma, soprattutto, da testi edificanti. A dodici anni Galla fu affidata alle cure di serena, nipote di teodosio I e moglie del generale stilicone, che si assunse in prima persona l’onere di educare la sua pupilla. fu in questa fase che Galla approfondì i suoi interessi culturali, pur senza affrontare lo studio della retorica, per tradizione preclusa alle donne. e sempre in questi stessi anni la futura imperatrice si appassionò ai trattati religiosi, prendendo l’abitudine di svegliarsi ogni mattina all’alba per pregare.

Dittico in avorio con il generale stilicone affiancato dalla moglie serena e dal figlio eucherio. 400 d.c., monza.

ai suoi progetti. Intanto, per l’Impero d’Occidente, la situazione si stava facendo sempre più critica: la frontiera del Reno era ormai persa, i Vandali spadroneggiavano in Spagna, nelle province scoppiavano continue rivolte contadine. Inoltre il diffondersi del Pelagianesimo – un’eresia che negava il peccato originale – creava ulteriori motivi di attrito. In quelle terribili circostanze, morirono, uno dopo l’altro, Flavio Costanzo e Onorio: il primo nel 421, poco dopo essere stato associato al trono come Costanzo III, il secondo nel 423. Teodosio II cercò di approfittare della situazione per attuare i suoi piani di unificazione, ma si scontrò con la resistenza degli eserciti d’Occidente, riluttanti ad accettare l’autorità di Costantinopoli. Inoltre, in assenza di eredi legittimi, si erano moltiplicate le candidature al trono imperiale, tra cui quella di Giovanni Primicerio, sostenuto da un generale, Ezio, 72 storica national geographic

che si era garantito l’appoggio degli Unni. In difficoltà, Teodosio II cambiò allora strategia e proclamò imperatore il figlio di Galla Placidia, Valentiniano III, all’epoca di soli quattro anni. In tal modo diede scacco matto a Giovanni Primicerio, ma, di fatto, consegnò le chiavi dell’Occidente nelle mani di Galla Placidia, nominata reggente dell’imperatore.

Gli anni della reggenza Sin dal primo giorno di reggenza, Galla Placidia mostrò di aver compreso quanto fosse indispensabile avere il sostegno di generali esperti, in grado di supportarla militarmente. L’imperatrice, tuttavia, era anche consapevole che, se avesse concesso troppo potere a un uomo solo, questi, presto o tardi, avrebbe tentato di usurpare il trono di Valentiniano. Decise perciò di servirsi di tre generali diversi, mettendoli abilmente l’uno contro l’altro.


massimo ripani / fototeca 9x12

La baSiLiCa di Sant’aMbrogio Venne consacrata dal vescovo di milano Ambrogio nel 386 d.C., otto anni prima che Galla Placidia, con il fratellastro Onorio, si trasferisse nella città lombarda al seguito del padre teodosio I.

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Un REGnO vIsIGOTO In FRAnCIA

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EL 410 D.C., morto Alarico, il

cognato Ataulfo divenne re dei Visigoti. Così come il suo predecessore, il nuovo sovrano si preoccupò subito di definire i rapporti con l’Impero. secondo lo storico Paolo Orosio (375-420), all’inizio Ataulfo avrebbe voluto “cancellare Roma e trasformare i suoi territori in un impero goto”. ma poi comprese che la frammentarietà della società gota non avrebbe mai garantito la stessa governabilità dello stato romano. di qui le sue nozze con Galla Placidia, celebrate nel 414 per imparentarsi con l’imperatore. Il bambino nato dalla coppia, tuttavia, morì in fasce, e lo stesso Ataulfo fu assassinato a barcellona nel 415. Il suo successore, Vallia, firmò nel 418 un trattato che diede origine, nel sud della francia, a un regno visigoto federato con l’Impero. un secolo dopo i Visigoti, sconfitti dai franchi, sarebbero tornati in spagna per fondarvi il regno di toledo. i re visiGoti alarico e ataulfo (a destra) in una miniatura tratta dal codice semblanza de reYes, Xi secolo, madrid.

I prescelti furono Felice, comandante supremo dell’esercito imperiale, Bonifacio, governatore della diocesi d’Africa, ed Ezio, a capo delle truppe stanziate in Gallia. Tutto funzionò bene fino a che Bonifacio, in conflitto con Ravenna, non iniziò a sostenere l’eresia ariana, nella speranza di indebolire il potente arcivescovato africano, schierato con l’imperatrice. Galla inviò allora un esercito per schiacciare il generale ribelle, ma questi si accordò con i Vandali di Genserico, stanziati in Spagna, “invitandoli” a trasferirsi in Africa. Minò così il controllo dell’Impero d’Occidente sulla sua provincia più ricca, quella da cui traeva le risorse per mantenere i suoi eserciti. Pur spiazzata dagli eventi, Galla Placidia non si arrese alla perdita dell’Africa, e nel 435 costrinse Genserico a un trattato di pace che assicurava a Ravenna il controllo di buona parte della provincia. Nel frattempo Valentiniano 74 storica national geographic

aveva raggiunto la maggiore età, e nel 437 sposò Licinia Eudossia, figlia di Teodosio II. Ora che suo figlio era diventato imperatore, Galla Placidia si ritirò dalla vita politica. Negli anni seguenti, l’imperatrice si dedicò alle pratiche devozionali e investì tutte le sue energie nella difesa del papato e della vera fede cristiana, minacciata dal Monofisismo, un’eresia secondo la quale la natura umana di Gesù era assorbita da quella divina. Come sempre, non si trattava solo di una questione religiosa: per Galla, la sopravvivenza dell’Impero poteva essere garantita solo dal cemento di una fede condivisa, e quindi ogni eresia costituiva una ferita all’integrità del corpo imperiale. Ciò che Galla Placidia non poteva sapere era che la sua battaglia in difesa dell’ortodossia religiosa e del primato del vescovo di Roma stava gettando le basi di una nuova era: il Medioevo cristiano.


prisma archivo

La barCeLLona MedieVaLe Il quartiere medievale di barcellona, con le mura di origine romana e, sulla destra, la cattedrale gotica: la cittĂ fu occupata dal sovrano visigoto Ataulfo, marito di Galla Placidia, nel 415.

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il corteo dell’imperatrice Teodora, circondata dalla corte, indossa un manto color porpora (il colore imperiale) con in basso un ricamo d’oro raffigurante i tre Re Magi che portano i doni a Gesù Cristo. Basilica di San Vitale, Ravenna.

Diocesi Di Ravenna-ceRvia / scala, FiRenze

moNeta imperiale Teodora e Giustiniano, su un aureo del VI sec. Sotto Giustiniano l’espansione dei confini dell’Impero fece risorgere numerose zecche, che giunsero così a 11 dalle 5 che erano durante il regno di Giustino I, suo predecessore.


coRbis / coRDon pRess

LA BASILISSA AL FIANCO DI GIUSTINIANO

TEODORA Bellissima e determinata, oggetto di denigrazioni e calunnie, abile consigliera dell’imperatore bizantino nelle sue riforme sociopolitiche, si adoperò per l’indipendenza delle donne e per la stabilizzazione del cristianesimo jacopo mordenti storico e scrittore


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l 18 gennaio 532 Costantinopoli è nel caos: un violento tumulto, che passerà alla storia con il nome di Nika, ha confinato nel Palazzo l’imperatore Giustiniano e la sua corte. Il sovrano, da cinque anni sul trono, è incerto sul da farsi, fino al punto di concepire l’idea di abbandonare Costantinopoli per fare vela verso il Ponto Eusino, da dove eventualmente pianificare un’operazione di recupero. È a questo punto che, fra i presenti, si leva una voce sferzante: “Se è vero che ogni uomo venuto al mondo non può sottrarsi all’ora della morte, è vero anche che l’uomo un tempo imperatore non potrà tollerare una vita in esilio. Io, per quanto mi riguarda, mai vorrò privarmi di questa porpora […], rimanendo fedele all’antico detto: ‘Il potere è uno splendido sudario’”. A parlare, infondendo coraggio e orgoglio alla corte, è stata una donna: l’imperatrice Teodora.

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L’ippodromo e il palcoscenico

la medaglia di giustiNiaNo Verso di una medaglia in oro di giustiniano a cavallo, realizzata intorno al 534 e proveniente da cesarea di cappadocia. Fitzwilliam Museum, Università di cambridge. 78 storica national geographic

Teodora: letteralmente “dono di Dio”; imperatrice assiduamente a fianco di Giustiniano, ma anche irresistibile donna di spettacolo. Ricostruirne con esattezza la vicenda, tanto più per quanto concerne gli anni dell’infanzia e della giovinezza, è relativamente arduo, poiché le fonti che trattano di Teodora sono esigue e viziate dal punto di vista dei rispettivi autori. A entrare nel dettaglio di Teodora, fin dai suoi primissimi anni di età, sono in primo luogo gli Anekdota di Procopio di Cesarea (490 ca–565 ca), noti anche con il più suggestivo nome di Storie segrete: si tratta di un’opera insostituibile per la quantità di informazioni che fornisce, e che tuttavia richiede prudenza. Compilati intorno al 550 ma pubblicati postumi, gli Anekdota si inseriscono infatti nel genere dell’ingiuria, prefiggendosi di presentare tanto Giustiniano quanto Teodora come i colpevoli e perfino grotteschi artefici della rovina dell’Impero romano. Paradossalmente, è proprio a questa distorta impostazione della fonte, pressoché ignorata fra Medioevo

e Rinascimento, che si deve la fortuna letteraria in Età moderna e contemporanea della figura di Teodora. Secondo il racconto di Procopio, si può supporre che ella nacque intorno al 500. Non c’è modo di sapere se sia stata Costantinopoli la sua città d’origine, ma a ogni modo fu la capitale dell’Impero, forte in quegli anni di una popolazione fra i cinque e i seicentomila abitanti, a fare da scenario ai suoi primi anni di vita. La famiglia di Teodora era evidentemente modesta, e orbitava intorno al variopinto mondo dell’ippodromo: suo padre Acacio era il guardiano degli orsi dei cosiddetti Verdi, una delle due fazioni che dell’ippodromo animavano e gestivano tanto gli spettacoli quanto il relativo tifo. L’improvvisa morte di Acacio, nei primi anni del secolo, dovette far piombare la famiglia di Teodora nell’incertezza: è probabilmente pensando al sostentamento delle sue tre figlie (Comitò la più grande, Anastasia la più piccola, e appunto Teodora in mezzo) che la vedova di Acacio si riaccompagnò in breve con un uomo in grado di sostituire il defunto marito nella cura delle belve. Nel volgere di poco, tuttavia, l’uomo venne rimosso dall’incarico: umiliata pubblicamente dalla fazione dei Verdi, la famiglia di Teodora riuscì a trovare il sostegno dell’altra fazione dell’ippodromo, quella degli Azzurri, che mise a disposizione un nuovo posto da guardiano degli orsi. Intorno agli anni Dieci le tre orfane di Acacio vennero via via instradate dalla madre verso il mondo degli spettacoli teatrali: un mondo che, al pari di quello dell’ippodromo, riscuoteva il biasimo un po’ ipocrita della morale


Funkystock / age Fotostock

l’obelisco dell’ippodromo L’obelisco del faraone thutmosis iii (XV secolo a.c.) fu portato a costantinopoli nel 357 per decorare la spina dell’ippodromo. La base è rivestita da un bassorilievo in cui teodosio i offre al vincitore della corsa la corona d’alloro.

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apolloNia iN cireNaica apollonia era l’antico porto della vicina città di cirene. nel Vi sec. fu fortificata durante la cosiddetta Ananeosis, la rinascita della cirenaica voluta da giustiniano. Fu una tappa di teodora nella peregrinazione che la portò ad alessandria, dove entrò in contatto con i monofisiti.

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romana tradizionale. Non a caso gli Anekdota, nel raccontare come fu Comitò a calcare per prima le scene, impiegando Teodora in veste di spalla, si prodigano nello specificare come quest’ultima avrebbe mostrato fin da subito una personale inclinazione verso le pratiche sessuali più immorali; qualsiasi considerazione di contorno, per esempio sulle eventuali difficoltà economiche alla base di una simile condotta, è ovviamente assente nel testo. Teodora emerse solo sullo scorcio degli anni Dieci, quando nel frattempo era divenuta madre di una bambina. Procopio precisa come raggiunse la notorietà in veste di mimo, apprezzata per il suo essere tanto spiritosa quanto disinibita nel mostrare la propria folgorante bellezza: il risentimento dello storiografo non può evitare di mettere in parallelo carriera teatrale, costume sessuale – sempre più malato e irresponsabile: da qui il riferimento ad aborti e

figli segreti – e, in prospettiva, ascesa sociale. Questa fu resa possibile dalle frequentazioni via via più altolocate di Teodora: non pochi ricchi commercianti e alti dignitari dell’Impero vennero stregati dal suo fascino.

La lunga strada verso casa Conscia del proprio potere di seduttrice, nel 518 Teodora arrivò vicinissima al traguardo della promozione sociale: si legò a Ecebolo di Tiro, seguendolo nel viaggio verso Apollonia, nell’attuale Libia. Ecebolo era stato insignito del governo della provincia della Pentapoli: un territorio di fatto ai confini dell’Impero, che tuttavia per Teodora doveva evidentemente rappresentare un più che degno scenario per un primo passo sulla strada dell’affermazione. Il tutto si risolse nel peggiore dei modi: nel volgere di poco il rapporto fra i due amanti si incrinò, finché il governatore cacciò Teodora


FotogRaFie: scala, FiRenze

L’IppODROmO E LE SUE FAzIONI

le quattro fazioNi del circo anche nell’antica roma esistevano fazioni che disputavano le gare nel circo: oltre a Verdi e azzurri vi erano Bianchi e rossi. mosaico del iii secolo d.c., dalla villa romana di Baccano, sulla cassia (roma). museo nazionale romano, roma.

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re il tifo all’ippodromo, ma gestivano il mondo dell’intrattenimento nella capitale e nelle grandi città dell’impero; le fazioni potevano occasionalmente acquisire una valenza politica (prima ancora di vestire la porpora, Giustiniano espresse la sua vicinanza a teodora anche lasciando impuniti alcuni crimini degli azzurri), così come l’ambiente dell’ippodromo poteva fungere da cassa di risonanza per istanze che nulla avevano di sportivo. Gli spalti dell’ippodromo erano interdetti alle donne di alto rango e agli uomini di chiesa. per la morale ufficiale, chi lavorava nello spettacolo si poneva ai margini della vita civile, il che non esclude – come nel caso di teodora – che non potesse godere di una cospicua celebrità.

aRt aRchive

verdi e gli azzurri non si limitavano ad anima-

la gara delle quadrighe Valva in avorio del dittico dei Lampadi, che nel registro inferiore presenta una gara del circo tra quattro quadrighe. museo civico dell’età cristiana, santa Giulia, Brescia. storica national geographic

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mosaici di san vitale, realizzati intorno al

547 con centinaia di migliaia di tessere, raffigurano, entro due pannelli sotto le lunette dell’ordine inferiore, teodora e Giustiniano e il loro seguito. Lo scopo della decorazione è politico e sottolinea la presenza dei governanti di costantinopoli nella città di ravenna da poco conquistata. secondo alcuni studi sarebbe una oblatio Augusti et Augustae, cioè l’offerta del calice (nelle mani di teodora, vedi immagine di apertura) e della patena (in quelle di Giustiniano) fatta dalla coppia alla chiesa in occasione della consacrazione di san Vitale. secondo un’altra interpretazione si tratta dell’offerta eucaristica della coppia imperiale compiuta durante la celebrazione della messa. in ogni caso è un omaggio degli imperatori a cristo cosmocrator, rappresentato nel catino absidale assiso su un Globo azzurro, tra due arcangeli. e verso cristo, infatti, gli imperatori si dirigono, per rafforzare il concetto che dal divino trae origine il loro potere. Le figure accanto a Giustiniano hanno sollevato molteplici ipotesi di attribuzione.

il corteo dell’imperatore giustiniano, mosaico parietale del 547 circa, basilica di san vitale, ravenna.

1 giustiNiaNo. L’imperatore è rigido e ieratico ed è raffigurato con l’aureola per sottolinearne il ruolo semidivino derivante dall’editto di costantino del 313. 2 giuliaNo l’argeNtario. il banchiere greco offrì 26.000 soldi per la costruzione della basilica di san Vitale e per questo è rappresentato accanto all’imperatore. 3 massimiaNo. È il primo arcivescovo di ravenna dal 546 al 557, l’unico personaggio di certa individuazione grazie all’epigrafe che corre sopra il suo capo e fidato amico di Giustiniano. 4 belisario e aNastasio. il primo con la barba scura caratteristica dell’uomo adulto, il secondo giovane e imberbe, sono forse il generale Belisario e il nipote di teodora anastasio. 5 i soldati. indossano un grosso collare dorato (maniakion); a coprire le gambe vi è uno scudo verde, decorato da un monogramma cristologico in oro e gemme azzurre e verdi. 6 la porpora. il mantello porpora è il simbolo della dignità imperiale: solo i più alti ranghi potevano indossare quel colore e chi osava farlo senza diritto poteva essere condannato a morte. 7 la pateNa aurea. L’imperatore regge fra le mani il piccolo piatto d’oro di forma circolare usato per posarvi l’ostia, elemento sacro per la consacrazione di san Vitale.

dal proprio seguito, privandola di qualunque sostegno economico. Costantinopoli era lontanissima, e le condizioni materiali in cui versava Teodora erano insufficienti per farvi ritorno. Alla ricerca di aiuto, si rivolse alla chiesa di Apollonia, grazie alla quale riuscì ad arrivare ad Alessandria: fu lì che Teodora entrò in contatto con quel Cristianesimo monofisita che il nuovo imperatore Giustino (450-527), succeduto nel 518 ad Anastasio (430 ca-518), aveva da subito osteggiato in ossequio al Cristianesimo duofisita di Roma. I buoni rapporti fra la futura imperatrice e i monofisiti si sarebbero rivelati determinanti nell’economia della politica religiosa dell’impero giustinianeo; ma nell’immediato dovette risultare più utile a Teodora il supporto degli Azzurri alessandrini, che le consentì di proseguire il proprio itinerario verso Costantinopoli. 82 storica national geographic

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IL mESSAGGIO pOLITICO DELLA COppIA ImpERIALE

Una tappa imprescindibile di tale itinerario fu Antiochia, dove Teodora fece la conoscenza di Macedonia: ballerina fra gli Azzurri, certo, ma anche informatrice riservata di uno fra gli uomini di spicco dell’Impero, quel Flavio Pietro Sabbazio che, nipote dell’imperatore e da questi adottato già anni prima, aveva assunto il nome ben più noto di Giustiniano.

Il legame con Giustiniano Segnalata da Macedonia a Giustiniano, Teodora rientrò a Costantinopoli intorno al 521. Impossibile stabilire quando avvenne l’incontro fatale: ciò che stupisce è la passione che Teodora fu evidentemente capace di suscitare nel futuro imperatore, quasi quarantenne e ben più noto fra i suoi contemporanei per la sua dedizione a progetti politici su larga scala – progetti che negli anni sarebbero stati incastonati nel disegno della cosiddetta re-


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stitutio – che non per la sua propensione alla compagnia femminile. Nel 522 il legame fra i due era conclamato, e suscitava non poche perplessità negli ambienti alti di Costantinopoli. Teodora – e di riflesso la sua famiglia, così come in senso lato la fazione degli Azzurri – venne via via più beneficiata dal nipote dell’imperatore, al punto che nel 523 ottenne il rango di patrizia e si trasferì stabilmente nella sua residenza. Sancire tale rapporto con il matrimonio sembrava tuttavia impossibile: la legge lo vietava, stante il rango senatorio dell’uno e gli equivoci trascorsi dell’altra. Inoltre, a opporsi alla prosecuzione del legame fra i due c’era l’imperatrice Eufemia (evidentemente immemore di come, con il nome di Lupicina, anni addietro fosse stata a sua volta prima schiava e poi concubina di Giustino): fu in effetti solo dopo la sua morte, tra il 523 e il 524, che su

suggerimento di Giustiniano l’imperatore promulgò la costituzione De nuptis, con la quale si sanciva la possibilità per un’attrice “pentita” di sposare un uomo di alto rango. Il matrimonio tra Teodora e Giustiniano venne probabilmente celebrato in forma discreta nel 525, ma di esso non si sa pressoché nulla. Non si sa pressoché nulla, del resto, nemmeno della cerimonia con la quale, due anni più tardi, un recalcitrante Giustino associò all’Impero il nipote, per poi morire pochi mesi dopo e lasciarlo solo al comando. Teodora – caso unico nella storia dell’Impero – venne da subito insignita del titolo di augusta: la “figlia dell’ippodromo” aveva espugnato Costantinopoli. I primi anni di regno videro Giustiniano oggetto di non poche critiche, più o meno velate: i suoi piani finivano per investire geopolitica, diritto, amministrazione, religione, e per trostorica national geographic

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ristabilimento dell’ordine, tanto comprando il favore degli Azzurri, quanto tornando a dispiegare le milizie a disposizione. Il prezzo, in termini di vite, fu elevatissimo: la rivolta si chiuse con un bilancio di circa quarantamila morti; Ipazio venne catturato e giustiziato.

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La politica del controllo

la tragica fiNe del geNerale Belisario chiede l’elemosina, dipinto del 1781 di Jacqueslouis David. secondo la leggenda, il generale bizantino concluse i suoi giorni da cieco e mendicante. Museo di Belle arti, lille (Francia).

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vare applicazione non potevano prescindere da un certo inasprimento fiscale. Nei primi giorni del 532, a questo latente malcoltento andò combinandosi il fermento dell’ippodromo, giacché uno dei tanti scontri fra Azzurri e Verdi aveva portato alla condanna a morte di quattro esponenti delle due fazioni: due di loro erano sopravvissuti all’impiccagione, e fu proprio il rifiuto della grazia da parte di Giustiniano a scatenare il tumulto. Complice l’inefficienza della milizia imperiale, al grido di Nika! (l’esclamazione greca che significa “vinci!”) esso dilagò in tutta Costantinopoli, e arrivò in breve ad assumere un connotato politico: all’imperatore venne opposto un ex generale, Ipazio. Asserragliato nel palazzo, Giustiniano era ormai prossimo alla fuga: furono appunto le parole di Teodora – riportate da Procopio in un’altra sua opera, le Guerre – a dare il via al

Il Nika non minò l’affiatamento di Giustiniano e Teodora, che al contrario via via promossero la percezione pubblica del loro agire di concerto; ciò ovviamente non impedì, da parte dell’uno o dell’altra, la definizione privata di alcuni personali ambiti di potere. Sostanzialmente estranea alle decisioni in merito alle operazioni belliche della restitutio giustinianea, nel corso degli anni Trenta l’imperatrice portò al massimo grado – ricorrendo se necessario a confische, esili e torture – la propria politica all’insegna del controllo: appena fuori Costantinopoli disponeva di un proprio palazzo, lo Heraion, presso il quale teneva una corte tanto discreta quanto parallela a quella ufficiale. Attingendo a un ampio patrimonio personale, costituito da proprietà in Bitinia, nel Ponto, in Cappadocia e in Paflagonia, finanziava una vera e propria rete di informatori personali; soprattutto, si serviva di persone di sua stretta fiducia per tenere sotto controllo chi, all’esterno come all’interno della corte, riteneva avrebbe potuto minare il suo potere. Fra tali collaboratori c’era in particolare Antonina: anche lei chiacchierata e proveniente dal mondo dell’ippodromo, fu fatta sposare al generale Belisario (500 ca – 565), così che Teodora potesse conoscere l’ambizione di questi via via che i successi sul campo di battaglia accrescevano il consenso intorno alla sua figura. Non è un caso se a Belisario – uomo chiave dell’esercito romano, più volte vincente fra gli anni Trenta, Quaranta e Cinquanta contro i Persiani in Oriente, i Vandali in Africa, i Goti in Italia – venne negli anni riservato un trattamento altalenante, fatto di trionfi e di rimozioni dall’incarico. Antonina venne impiegata anche per macchinare a danno di alcuni avversari: fu lei a mettere in moto la trappola che nel 541 portò all’esilio l’odiato prefetto del pretorio, Giovanni di Cappadocia; ed era stata sempre lei, nella Roma del 537 sotto il controllo di Belisa-


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l’avorio barberiNi il dittico in avorio del Vi secolo raffigura il tema classico dell’imperatore trionfante, qui probabilmente Giustiniano. Louvre, parigi. storica national geographic

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TEODORA SI SpESE pER LA CAUSA FEmmINILE, INCENTIvANDO L’INDIpENDENzA DELLE DONNE testa in marmo, detta di teodora. castello sforzesco, milano.

rio, la protagonista della forzosa sostituzione di papa Silverio (480 ca–537) con papa Vigilio (?–555), che Teodora si illudeva di potere meglio controllare nell’economia dell’irrisolta diatriba tra Duofisismo e Monofisimo. E proprio il supporto al Monofisismo rappresentò un altro dei tratti ricorrenti della politica dell’imperatrice. I contatti alessandrini della sua giovinezza valsero i tentativi di riaprire un dialogo fra le parti: persino più di Giustiniano, Teodora intuì quanto fosse profonda la valenza politica del Cristianesimo monofisita in Siria ed Egitto che, pur estranei alla restitutio giustinianea, sarebbero risultati vitali per la tenuta dell’Impero romano. Al netto dell’interesse a riavvicinare Costantinopoli a Roma, assecondando quando necessario le posizioni dell’Urbe, la mortificazione imperiale (quando non la persecuzione) dei monofisiti in Oriente rappresentava per Teodora una strategia autolesionista. Se i risultati immediati dei suoi sforzi furono relativamente modesti (il dialogo promosso nel 533 naufragò due anni dopo), sul lungo periodo essi si rivelarono eccezionali: è in effetti al sostegno ufficioso di Teodora alla causa monofisita che si deve il perdurare nei secoli della chiesa giacobita in Siria e della chiesa copta in Egitto, Nubia e Etiopia. L’imperatrice non prese parte alla mastodontica opera di collezione legislativa – nota come Corpus Juris Civilis – intrapresa dall’imperatore, e tuttavia dovette esercitare un qualche influsso sulle Novellae, le leggi imperiali più recenti emanate dallo stesso Giustiniano. Per esempio la Novella 14, la cosiddetta legge De lenonibus, aboliva le case di piacere: a questa – che forse rimase lettera morta – Teodora abbinò una rete assistenziale per il recupero sociale delle prostitute. Fu inoltre in quegli anni che il diritto all’eredità cessò di essere un’esclusiva dei figli maschi e venne esteso anche alle figlie femmine; ciò 86 storica national geographic

andava nella direzione, cara all’imperatrice, di rendere quanto più possibile autonome le donne, soprattutto in relazione a quelle proprietà – mobili e immobili – indipendenti dalla dote e ricevute appunto per il tramite di un’eredità o di una donazione o di una compravendita. Beninteso, questa sensibilità di Teodora non era episodica, ma si inseriva al contrario nel progetto più ampio di una nuova società cristiana basata sulla famiglia mononucleare, famiglia peraltro resa forzosamente stabile con l’abolizione del divorzio consensuale nel 542. I legami extrafamiliari, in primo luogo, paradossalmente, quelli correlati alla socialità dell’ippodromo e dei teatri, ne risultarono indeboliti.

La successione all’Impero Teodora morì il 28 giugno 548, probabilmente a causa di un tumore. Nel 542 si era trovata da sola al timone dell’Impero, mentre Giustiniano lottava fra la vita e la morte contro la peste che stava flagellando Costantinopoli; completamente ristabilitosi, sei anni più tardi l’anziano imperatore le sopravviveva, ancora sufficientemente in forze per affrontare altri ventitré anni di regno. Teodora e Giustiniano – complice un’orchite contratta da quest’ultimo nel 524 – non avevano avuto figli: nel 547, avvertendo probabilmente la sua prossima fine, l’imperatrice aveva bruciato le tappe di quel fidanzamento fra Anastasio, figlio di sua figlia, e Giovannina, figlia di Antonina e Belisario, che sin dal 543 doveva avere rappresentato la prima scelta di Teodora in fatto di successione; i suoi sforzi si rivelarono tuttavia vani, poiché dopo la sua morte Antonina ruppe il fidanzamento fra i due ragazzi. Nel 565 sarà un nipote di Giustiniano, Giustino, a indossare la porpora, avendo peraltro al suo fianco Sofia, figlia del generale Sitta e di Comitò, la sorella maggiore della compianta Teodora.


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L’EDILIzIA DI GIUSTINIANO E TEODORA

la basilica di saN vitale completato nel 547, l’edificio coniuga elementi architettonici romani (la cupola e le torri) con elementi bizantini (l’abside poligonale, l’uso dei mattoni e i capitelli).

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intervento urbanistico e artistico di Giustiniano e teodora in italia si concentrò su ravenna. La coppia non vi si recò mai, ma promosse la ristrutturazione dell’area portuale e la resa in termini monumentali del centro cittadino, di cui è testimonianza la basilica di san Vitale. di essa va precisato come la struttura fosse stata avviata già sotto i Goti; di contro, la costruzione fu ultimata tra il 546 e il 556, durante il vescovato di massimiano (forse vero protagonista dei noti mosaici). il ritratto di teodora si prefiggeva di evidenziarne i tratti morali più che fisiognomici: in effetti ella non appare minuta come la descrivono le fonti, né dal suo volto diafano trapela l’equivoca, ammaliante leggerezza imputatale da procopio.

i mosaici della basilica particolare del mosaico della teofania con cristo cosmocrator e due arcangeli. La scena fa parte della decorazione musiva del catino absidale della basilica.

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ELEONORA E LUIGI VII A SAINT-DENIS Luigi VII prende dal papa Eugenio III l’orifiamma (lo stendardo dei re francesi in guerra) prima di partire per la crociata, nel 1147 a Saint-Denis. Eleonora è accanto a lui. Opera di J.-B. Mauzaisse. Castello di Versailles.


SOVRANA di due RegNi

eleONORA d’AquitANiA Considerata un’astuta manipolatrice ma anche vittima dei potenti del suo tempo, ebbe in realtà un ruolo centrale nelle vicende politiche di francia e Inghilterra, di cui fu regina. Il suo mecenatismo fece rinascere la cultura cortese MarIna MOntESanO prOfESSOrE DI StOrIa MEDIEVaLE unIVErSItà DI MESSIna E unIVErSItà VIta-SaLutE San raffaELE DI MILanO


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L’AFFRESCO ENIGMATICO eleonora d’aquitania (con la corona) in un affresco del Xiii secolo dalla cappella di santa radegonda, a chinon. non è chiaro chi sia il personaggio accanto a lei sul cavallo: forse la nipote Bianca (futura regina) o la nuora isabella.

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ullo sfondo delle nascenti contese territoriali fra corona francese e corona inglese si staglia la figura della duchessa Eleonora d’Aquitania, uno dei grandi personaggi del XII secolo. Dalle sue scelte politiche dipesero molte delle vicende successive nella storia di Francia e Inghilterra, dal suo mecenatismo scaturirono i fondamenti della rinascita letteraria della cultura cortese. Allo stesso tempo, su Eleonora si è tramandata una leggenda nera che ha origine nelle dicerie del suoi contemporanei, ma che è approdata sino ai nostri giorni. II XII secolo era dominato in Francia, in Inghilterra, in Spagna, in Italia meridionale e nell’Oltremare latino (con il regno di Gerusalemme) da monarchie che andavano lentamente organizzando il proprio governo, ma

che dovevano tener conto del potere assunto all’interno dei loro regni dalle aristocrazie locali. Tale potere era particolarmente forte in Francia dove la dinastia capetingia poteva regnare veramente soltanto sui diretti possessi della corona, vale a dire su una ristretta porzione della Francia centrosettentrionale (la cosiddetta Île de France fra Senna e Loira). Il resto del regno era diviso in potenti ducati (Normandia, Bretagna, Aquitania) e in grandi contee (Fiandra, Angiò, Lorena, Champagne, Borgogna, Tolosa), qualcuna più vasta e ricca dei possessi regi medesimi. Inoltre, nel 1066 un vassallo dei capetingi, Guglielmo duca di Normandia, era divenuto re d’Inghilterra. Si era quindi creata una situazione paradossale: feudalmente soggetto al re di Francia per i suoi territori al di qua della Manica, il re d’Inghilterra era suo parigrado al di là del canale.


gret, era morto bambino nel 1130: così Eleonora si ritrovò erede dei vasti territori del ducato a soli tredici anni. Il re di Francia Luigi VI il Grosso versava in precarie condizioni di salute e difatti morì il 1° agosto del 1137, lasciando a sua volta un erede diciassettenne: il futuro Luigi VII. Non sappiamo in quali circostanze venne combinato il matrimonio fra i due ragazzi: forse già prima della morte del re, giocando la carta della tutela feudale che si esercita durante la minorità del figlio di un feudatario defunto; in ogni caso l’interesse della corte capetingia è chiaro: il matrimonio avrebbe consentito di mettere direttamente le mani sui territori più ricchi del regno, fino a quel momento fuori del controllo (se non puramente formale) dei capetingi. D’altro canto, il matrimonio medievale era

IL SIGILLO REALE retro del sigillo di enrico ii d’inghilterra, che mostra il sovrano a cavallo. scuola inglese, Xii secolo. centre historique des archives nationales, parigi.

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È in questo contesto che, nel 1124, nacque Aliénor/Eleonora: figlia di Guglielmo X duca d’Aquitania e di Aliénor, viscontessa di Châtelleraut, dalla quale prese il nome al tempo poco usuale. I territori sotto il controllo della famiglia comprendevano buona parte della Francia centro-occidentale: oltre all’Aquitania, il Poitou, la Guascogna, il Limosino, l’Alvernia. Alla corte dei duchi, il personaggio più noto sino a quel momento era stato suo nonno, Guglielmo IX, conosciuto come uno dei primi trovatori, autore di poemi d’amor cortese spesso assai spinti, secondo i contemporanei adultero incallito. Alla sua corte trovarono ospitalità i poeti dell’epoca, a partire dal celebre Marcabru. Guglielmo X scomparve prematuramente nel 1137, durante un pellegrinaggio a Santiago de Compostela; l’erede maschio, Guillaume Ai-

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IL MATRIMONIO CON LUIGI VII Miniatura dalle Chroniques de Saint-Denis (Xii-Xiii secolo), che raffigura il matrimonio tra eleonora e luigi Vii, a Bordeaux nel 1137. Musée condé, chantilly, Francia.

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essenzialmente una questione di rapporti tra famiglie e lignaggi; l’interesse della famiglia doveva prevalere sulla volontà dei singoli, il che comportava un’assenza di passione nelle unioni matrimoniali. Un dato, questo, che conterà nelle vicende successive.

L’incoronazione Il matrimonio fu celebrato a Bordeaux il 25 luglio 1137; l’8 agosto Luigi divenne duca d’Aquitania con una cerimonia a Poitiers; e nel Natale dello stesso anno Eleonora fu incoronata regina a Bourges. Tutto, insomma, sembrava perfetto, sebbene la vita alla corte capetingia non fosse completamente confacente alle attese e alle consuetudini della giovane sposa. La corte d’Aquitania era forse l’apice culturale dell’Europa del tempo; alla promozione della cultura trobadorica si devono aggiungere il

gusto per il lusso e una libertà dei costumi maggiore rispetto a quella dell’ambiente capetingio. Il poeta Marcabru, che l’aveva seguita, venne scacciato per i suoi motti troppo arditi. Non è difficile pensare che, alla sua età, Eleonora trovasse difficile adattarsi. Ma non c’erano soltanto i divari cultural-caratteriali a creare problemi; la giovane età di entrambi poteva condurre a scelte affrettate. Nel 1142 Petronilla, sorella minore di Eleonora, andò in sposa al senescalco di Francia Raoul di Vermandois, il quale arrivò al matrimonio ripudiando la prima moglie, della famiglia dei conti di Champagne. Luigi VII e Eleonora sembrerebbero esser stati dietro l’operazione, che non è di facile lettura: secondo alcuni, Petronilla si sarebbe invaghita del cavaliere più maturo e accasato, e la sorella maggiore l’avrebbe accontentata; ma non è escluso che dietro l’operazione vi fossero


c. nicHOLSOn / age fOtOStOck

il mitO di ARtù Al SeRViziO di uNA diNAStiA

LE ROVINE DI GLASTONbURy fondata nel 712, l’abbazia di Glastonbury venne identificata con la mitica avalon e secondo la leggenda vi sarebbero stati sepolti artù e Ginevra. L’abbazia venne chiusa nel 1539 da Enrico VIII.

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a dinastia anglo-francese di normanni e plantageneti cercò di fondare il proprio potere su una mitologia che competesse con le monarchie francesi e romano-germaniche. Le tradizioni arturiane, già note in Inghilterra, furono raccolte da Guglielmo di Malmesbury tra il 1135 e il 1137 nel De antiquitate Glastoniensis Ecclesiae. L’opera, presto tradotta nella lingua d’oïl, ebbe rapida circolazione: a essa s’ispirava nel 1155 il Roman de Brut di Wace, dedicato a Eleonora d’aquitania, nel quale si descriveva la tavola rotonda. per artù si creò anche un centro sacrale che rivaleggiasse con aquisgrana e Saint-Denis: l’abbazia di Glastonbury nel Somerset, dove nel 1191 furono “scoperte” le tombe di artù e di Ginevra e che fu identificata con la leggendaria terra di avalon.

IL CAVALIERE DELLA CARRETTA Miniatura da un manoscritto francese del 1344 che mostra l’episodio di Lancillotto sulla carretta, raccontato da Chrétien de troyes. Bibliothèque nationale, parigi.

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luigi Vii, fORSe peR fARe peNiteNzA, pARtì NellA cROciAtA peR lA teRRASANtA cON eleONORA reliquiario di santa valeria, cui eLeOnOra era devOta, reaLizzatO a LimOgeS neL xii SecOLO. ermitage, San pietrOburgO.

motivazioni ben più concrete, quali la volontà di rafforzare i legami fra la corona capetingia e l’Aquitania. Comunque sia, la vicenda avviò un conflitto armato fra Luigi e i conti di Champagne; solo l’intervento di Bernardo di Chiaravalle sembrò far trovare un accordo. Ma prima di questo intervento, nel gennaio del 1143, le truppe di Luigi avevano preso la cittadina di Vitry-en-Perthois, bruciandola e uccidendo così buona parte degli abitanti. Non era l’unica azione ad aver attirato gli strali della Chiesa di Francia sulla gestione della corona coppia, perché le mire espansionistiche della giovane avevano toccato anche Tolosa, che Eleonora rivendicava; mentre anche a Poitiers, che s’era data un governo comunale, si era sfiorata la carneficina, evitata dall’intervento dell’abate Sugerio di Saint-Denis, consigliere del giovane sovrano, ma secondo alcuni inviso a Eleonora.

La crociata Nel Vicino Oriente, intanto, il mondo musulmano si andava rioganizzando dopo le conquiste dei latini. La riscossa partì da Aleppo e da Mosul, governate da una dinastia di atabeg fondata da Imad ad-Din Zenqi. La caduta nel 1146 della città armena di Edessa (oggi Urfa) fu un segnale d’allarme per l’Europa e il papato. Zenqi avrebbe ambito a unificare sotto di lui tutti gli emirati della regione e guardava con ostilità al califfato sciita del Cairo. La nobiltà franco-siriaca formata dai discendenti della Prima crociata ormai radicati in Terrasanta conosceva bene questa situazione e sapeva che il rafforzarsi del potere di Zenqi stava costituendo un ampio fronte a lui ostile. Sarebbe stato sufficiente collegarsi ad esso in un’alleanza cristiano-musulmana per la quale esistevano tutte le condizioni e il regno sarebbe stato, almeno per il momento, al sicuro. Ma le cose, viste dalla sponda europea, si presentavano altrimenti. Della necessità d’una 94 storica national geographic

nuova grande spedizione tesa a tutelare le conquiste si convinse papa Eugenio III eil compito di partire toccò all’imperatore romano-germanico Corrado III, visto il suo ruolo di difensore della Cristianità. Tuttavia, alla spedizione decise di partecipare anche Luigi VII: forse spinto dalla Chiesa di Francia al fine di espiare le guerre intestine e le brutalità alle quali si era dato negli ultimi anni. Il re partì con la consorte Eleonora: pellegrinaggio e spedizione militare andavano di pari passo fin dagli inizi di quello che noi chiamiamo “movimento crociato”, e la presenza di donne non era inusuale, per quanto circondata, almeno in Europa, da diffidenza. Dopo il passaggio da Costantinopoli, dove la coppia incontrò il basileus Manuele Comneno, agli inizi del 1148 cominciarono le ostilità in Asia Minore: le prime battaglie furono un disastro per i Francesi e Luigi corse seri pericoli. Nel marzo dello stesso anno i due vennero accolti ad Antiochia da Raimondo di Poitiers, zio paterno di Eleonora. L’intesa fu scarsa: Raimondo avrebbe voluto impegnare subito le truppe in battaglia contro Zenqi, mentre Luigi voleva arrivare prima a Gerusalemme e, nonostante il parere contrario di Eleonora, che parteggiava per lo zio, la costrinse a seguirlo. È in questo contesto che cominciarono le dicerie sul conto della regina; molti cronisti, per coprire la povertà strategica delle scelte del re, accusarono Eleonora di incesto con lo zio. Di fatto, gli screzi nella coppia erano ormai seri. E si aggravarono quando il monarca capetingio si lasciò convincere ad assediare Damasco, il cui emiro sarebbe stato il naturale alleato dei Franchi contro Zenqui e che invece le scelte errate dei consiglieri di Luigi VII, abbagliati dal miraggio della conquista della ricca capitale della Siria, costrinsero all’alleanza con il suo naturale avversario. Dopo l’assedio alla città di Damasco le truppe


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LA SECONDA CROCIATA San Bernardo di Chiaravalle predica la Seconda crociata alla presenza di Luigi VII a Vézelay, nel 1146. Da Les passages faits Outremer di Sébastien Mamerot, miniatura di Jean Colombe. Bibliothèque nationale, parigi.

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rimogenita di eleonora, dopo il divorzio da Luigi VII, Maria di francia era rimasta presso il padre, che nel 1164 la diede in sposa a Enrico I e divenne contessa di Champagne. presso la sua corte Maria seppe trasferire qualcosa dello spirito materno. fu lei la mecenate dello scrittore e religioso andré le Chapelain e del celebre Chrétien de troyes, che cominciò a scrivere i suoi romanzi in versi proprio nella prima metà degli anni Sessanta del XII secolo. Sembra che Maria suggerisse al poeta francese certe trame, o quanto meno alcuni spunti: ed è molto probabile che Chrétien li sviluppasse basandosi in tutto o in parte sul retroterra folklorizzato di alcune leggende celtiche mantenutesi tanto nelle aree più etnicamente remote dell’Inghilterra, come in Cornovaglia e in Galles, quanto nell’antica armorica, cioè in Bretagna. a Maria, Chrétien dedicò il Lancelot, scritto fra 1176 e 1177. maria di francia intenta a Scrivere, miniatura da un’antOLOgia di pOemi franceSi deLLa fine deL xiii SecOLO. bibLiOtHèque de L’arSenaLe, parigi.

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OLaf prOtze / age fOtOStOck

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mARiA, meceNAte di fRANciA

giunte dall’Europa se ne andarono in un clima di discordie e di recriminazioni reciproche, mentre la lunga scia del rancore coinvolse anche i baroni “franco-siriaci” di Terrasanta e determinò la convinzione, tra i principi musulmani di tutta la regione, che fosse ormai giunto il momento di cacciare gli intrusi.

Il divorzio Il disastro della spedizione crociata era duplice: Luigi VII era rimasto lontano per due anni dal suo regno, spendendo cifre ingenti per una campagna militare che lo aveva visto umiliato; per di più, il suo matrimonio era ormai compromesso. I due tornarono separatamente in Europa per via di mare e si ritrovarono presso papa Eugenio III, che tentò di riconciliarli, minacciando la scomunica in caso di divorzio. Luigi ed Eleonora avevano avuto una prima


figlia, Maria, nel 1145; durante il periodo che ancora trascorsero insieme nacque Alice, presumibilmente nel 1151. In quello stesso anno morì Sugerio, che era stato un baluardo contro la separazione, e a quel punto ormai la decisione era presa. Il 21 marzo 1152 i vescovi riuniti a Beaugency dichiararono nullo il matrimonio fra Eleonora e Luigi; la causa addotta fu la consanguineità, ma giocò un ruolo ulteriore l’assenza di un erede maschio. Le due bambine restarono, secondo tradizione, presso il padre. Eleonora, con i suoi ventotto anni era ancora giovane, anche per i canoni del tempo, assai diversi dai nostri. Soprattutto, era nuovamente l’ereditiera del ducato d’Aquitania e dunque un partito molto ambito. Tentò infatti di rapirla a scopo matrimoniale il conte Tebaldo V di Blois, più giovane di lei di sei anni (che finirà per sposarne la figlia Alice). Ma poco

prima del divorzio, quando ancora si trovava presso la corte capetingia, Eleonora aveva incontrato Goffredo il Bello conte d’Anjou e suo figlio Enrico, di nove anni più giovane. Cronisti malevoli le attribuiranno un legame sentimentale anche con Goffredo, il quale non era un conte qualunque; se alla corte di Luigi si era recato per rendere l’omaggio feudale, nel 1128 aveva sposato l’imperatrice Matilde, figlia di Enrico I re d’Inghilterra e vedova dell’imperatore Enrico V. Ed egli già puntava alla corona inglese. Il 18 maggio 1152, poco più di due mesi dopo il divorzio, Eleonora convolò nuovamente a nozze con Enrico d’Anjou o Plantageneto, come veniva designata la sua famiglia dal ramo di ginestra che appare sul loro stemma. Gli stessi quattro gradi di consanguineità che legavano Luigi a Eleonora, legavano quest’ultima al nuovo consorte. Lo scacco per il re

IL CASTELLO DI DOVER edificato a partire dal Xii secolo, è il più grande d’inghilterra. enrico ii ne iniziò la costruzione (terminata da giovanni senza terra) sulle rovine di un edificio fatto erigere da guglielmo il conquistatore.

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OrOnOz / aLbum

IL MONUMENTO FUNEbRE Gisant (scultura funeraria raffigurante un personaggio supino) di eleonora d’aquitania, nell’abbazia di Fontevraud. accanto a lei riposa il marito, enrico ii d’inghilterra.

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di Francia fu grande, perché il matrimonio portava in dote al potente feudatario i vasti possedimenti di Eleonora.

Regina d’Inghilterra Ancor maggiore fu lo scacco quando, nel 1153, Enrico varcò la Manica con un pugno di mercenari e, con le armi e la diplomazia, riuscì a impossessarsi della corona d’Inghilterra. D’altro canto, era una questione interna al suo lignaggio, dal momento che suo cugino Stefano di Blois deteneva il titolo di duca di Normandia e di re d’Inghilterra. Il 19 dicembre 1154 Enrico (con il titolo di Enrico II) ed Eleonora furono incoronati a Westminster. In questo modo, Normandia, Aquitania, Angiò e altri importanti territori del regno di Francia venivano a dipendere dal re d’Inghilterra, che ne aveva la signoria in quanto vassallo del sovrano francese. Ne de-

rivò una lunga guerra che si sarebbe esaurita soltanto a metà del XV secolo. Nei primi anni di matrimonio la coppia fu affiatata nella gestione politica del regno e dei possedimenti francesi. Eleonora mise al mondo almeno nove figli, di cui due morti piccoli, tra 1153 e 1166, quindi fu costretta ad assentarsi dalla vita politica per periodi relativamente lunghi; ma una volta nati, i figli venivano affidati a nutrici: altro fattore che contribuirà alla leggenda nera di Eleonora, in realtà un costume diffuso a quel tempo. Presso la corte inglese, inoltre, Eleonora sembrò poter realizzare molto più pienamente che in Francia la sua attitudine al mecenatismo culturale; almeno quattro autori le dedicarono la propria opera letteraria. Tuttavia, verso la fine degli anni Sessanta, i rapporti tra i due sposi cominciarono a mutare. L’accompagnarsi a concubine era normale per i sovrani del tempo, ma in quegli anni Enrico s’innamorò di una giovane, Rosamund Cliff, di grande bellezza e poco più che ventenne. Una tradizione tarda e infondata attribuirà a Eleonora la morte della ragazza, avvenuta per cause non chiare nel 1176. Più che le vicende amorose, o insieme a esse, furono tuttavia i rapporti con i figli a dare una svolta definitiva, e negativa, ai rapporti tra i due: nel 1173 i possedimenti francesi e diversi baroni anglonormanni si ribellarono al re; erano capeggiati dai figli di Enrico e certamente appoggiati da Eleonora, che con il secondogenito Riccardo (poi detto Cuor di Leone) tirava le fila dai domini dell’Aquitania. Ma alla fine dell’anno il re sembrò avere la meglio ed Eleonora fu catturata mentre tentava di fuggire presso il primo marito, certo non estraneo ai piani di rivolta.

Gli anni difficili Seguirono anni molto duri per la regina, imprigionata in condizioni di vita difficili; nel 1183, alla morte del primogenito Enrico il Giovane, le sue condizioni migliorarono: il giovane aveva infatti chiesto al padre di liberarla. Ma si dovette attendere la morte di Enrico II, nel 1189, mentre infuriava la rivolta guidata ancora da Riccardo Cuor di Leone in accordo (che non durerà a lungo) con il re di Francia Filippo Augusto, perché Eleonora fosse davvero libera. Si potrebbe pensare che,


JameS brittain / age fOtOStOck

L’AbbAzIA DI wESTMINSTER Il 19 dicembre 1154, Eleonora venne qui incoronata regina d’Inghilterra. Luogo di incoronazione e di sepoltura di molti re inglesi, l’abbazia è stata consacrata il 28 dicembre 1065.

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a sessantacinque anni e con un passato tanto burrascoso, Eleonora fosse ormai doma, ma in realtà la regina continuò a seguire e spesso a gestire la vita politica delle sue terre; era d’altra parte una necessità, perché la pace restava un miraggio. Il suo interesse si incentrò sul figlio Riccardo, per il quale nel 1191 organizzò il matrimonio con Berengaria Sanchez di Navarra. Mentre questi era impegnato con la crociata per riconquistare Gerusalemme, suo fratello Giovanni (detto Senza Terra) tramava contro di lui; inoltre, accusato di aver ordito l’assassinio in Terrasanta di Corrado di Monferrato, Riccardo restò prigioniero dell’imperatore Enrico VI; Eleonora si rivolse allora al papa Celestino III per implorarne la liberazione, e al contempo organizzò il riscatto. La fine del secolo fu molto crudele: morirono le due figlie avute con Luigi VII e nel 1199 lo stesso Riccardo; Eleonora, che si era ritirata nell’abbazia di Fontevraud, pur restando laica, fu costretta a uscirne per appoggiare il figlio Giovanni, la cui successione era contestata da un nipote e certamente avversata da Filippo Augusto. Nel 1202, quasi ottuagenaria, Eleonora dovette resistere all’assedio dei ribelli nel donjon della città di Mirebeau. Due anni più tardi, a cavallo tra marzo e aprile, Eleonora si spense a Fontevraud, mentre la situazione del regno d’Inghilterra e dei suoi possedimenti francesi era lontana dall’esser risolta. Nel giudizio sulla sua figura molto hanno pesato le maldicenze dei contemporanei che, come già detto, le avevano costruito intorno la fama di manipolatrice. Allo stesso tempo, alcuni tentativi di riabilitazione in anni più recenti l’hanno trasformata in una vittima di guerre e strategie politiche unicamente maschili: e anche questa pare una forzatura che finisce per negare l’indubbia centralità di Eleonora d’Aquitania nella vita politica e culturale del XII secolo. 100 storica national geographic

riccardO SpiLa / fOtOteca 9x12

eleONORA mORì OttANteNNe Nell’AbbAziA di fONteVRAud


LA FORTEzzA DI ChINON Edificata sulle rive del fiume Vienne (affluente della Loira), divenne, sotto Enrico II, la principale residenza reale in francia. Qui il sovrano morirĂ nel 1189.

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Un ritratto idealizzato Questo particolare della Vergine della Mosca, opera attribuita alla scuola di Gerard David (1460-1523), ci offre un ritratto idealizzato di Isabella di Castiglia. Collegiata di Santa MarĂ­a la Mayor, Toro (Spagna).

ORONOz / ALbum ALINIARI / CORDON PRESS

la coppia reale sU moneta Le effigi di Ferdinando d’Aragona e Isabella di Castiglia, i Re Cattolici, si fronteggiano sul dritto di una moneta in oro emessa nella Spagna riunificata tra il 1474 e il 1516. Museo Archeologico, Nazionale, Napoli.


WHITE IMAGES / ScAlA, fIrEnzE

LA CONQUISTA DEL TRONO

ISABELLA DI CASTIGLIA Non era destinata a salire sul trono, ma la sua astuzia e la sua determinazione le permisero di conquistarlo. Una volta al potere, si dimostrò all’altezza della Corona, portando il regno di Castiglia al culmine del suo prestigio JoAN-LLUÍS PALoS PRoFeSSoRe DI SToRIA MoDeRNA PReSSo L’UNIveRSITà DI bARCeLLoNA


JOSÉ ANTONIO mORENO / FOTOTECA 9x12

l’alcázar di segovia costruita nel Xii secolo da alfonso Vi, questa splendida fortezza fu tra le residenze preferite da isabella i e una delle roccaforti-chiave per la difesa del regno di castiglia.

I

l 22 aprile del 1451, re Giovanni II di Castiglia annunciò alla corte la nascita della figlia Isabella: “La mia adorata moglie ha dato alla luce una Infante”, disse utilizzando una formula ambigua, dato che, trattandosi di una bambina, il termine corretto sarebbe stato “infanta”. Al momento, probabilmente nessuno fece caso al particolare, ma forse qualcuno se ne ricordò 23 anni dopo quando Isabella, inaspettatamente, divenne regina di Castiglia.

L’accordo con il fratello re Isabella non era destinata a salire sul trono; Giovanni II aveva già un figlio maschio, Enrico, nato dal suo primo matrimonio con Maria d’Aragona, e fu lui a succedere al padre quando questi, improvvisamente, nel 1454 morì. Subito dopo l’incoronazione, la piccola Isa104 storica national geographic

bella si trasferì insieme alla madre Isabella di Portogallo ad Arévalo, una località castigliana non lontana dal castello di Medina del Campo, in seguito molto amato dalla regina. Qui Isabella ricevette un’educazione accurata, degna del suo rango. Fin da piccola visse circondata da un gruppo di dame di compagnia e tutori scelti personalmente dal padre prima di morire: tra di essi alcune figure – come il futuro consigliere di corte Gutierre de Cárdenas – destinate a svolgere un ruolo di primo piano nel regno di Isabella. Da loro la principessa ricevette una formazione umanistica fondata sullo studio della grammatica, della retorica, delle arti e della filosofia. Nessuno sa con certezza per quali motivi Enrico IV, che mai si era occupato della sorellastra, nel 1462 decise di richiamarla a corte, poco prima della nascita della figlia Giovan-


na. Forse preferì tenerla vicino a sé , e quindi sotto controllo, in un momento di forte instabilità politica del regno, a causa dei contrasti che lo opponevano a una parte della nobiltà castigliana guidata dall’arcivescovo di Toledo Alfonso Carrillo de Acuña. Le tensioni culminarono nel 1465, quando i nobili ribelli inscenarono un processo-farsa contro Enrico IV – impersonato da un fantoccio – al termine del quale lo deposero simbolicamente e proclamarono nuovo re, Alfonso, fratello minore di Isabella. Seguirono tre anni di guerra civile fino a che nel 1468, morto prematuramente Alfonso, Enrico firmò un accordo – il Trattato dei Tori di Guisando – con il quale riconosceva Isabella come sua legittima erede, a patto che i suoi avversari gli riconoscessero a loro volta la sovranità sull’intero regno di Castiglia.

Alcuni consiglieri suggerirono a Isabella di forzare i tempi e prendersi subito il potere, ma la principessa, solo diciassettenne ma già politicamente accorta, decise di presentarsi come garante della pace ritrovata e di rispettare le condizioni dell’accordo.

Il matrimonio segreto In una sola cosa Isabella non rispettò i patti con Enrico IV: costui, nel Trattato dei Tori di Guisando, aveva inserito una clausola in base alla quale la sorellastra, prima di sposarsi, avrebbe dovuto avere il suo benestare circa il marito prescelto. Isabella, invece, fece di testa sua e, su suggerimento dell’arcivescovo Alfonso Carrillo de Acuña, scelse tra i numerosi pretendenti l’erede al trono d’Aragona, il diciassettenne Ferdinando di Trastámara. Tutto si svolse nel più impenetrabile segreto. storica national geographic

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mANuEL COhEN / ART ARChIvE

xxxxxxxxF ORONOz / ALbum

IL VERO VOLTO DI ISABELLA

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elle chiara, occhi azzurri, capelli biondi: così è stata spesso raffigurata Isabella di Castiglia. In realtà, è difficile sapere quale fosse il suo vero aspetto, dato che la maggior parte dei ritratti ne offre un’immagine idealizzata. I due più famosi, e forse anche i più aderenti al vero, sono opera del fiammingo Juan de Flandes. Il primo ci mostra una donna giovane, agghindata con un copricapo molto semplice secondo la moda castigliana, con un libro di preghiere nelle mani. L’effigie, su sfondo scuro, pare voler sottolineare l’incarnato chiaro della sovrana. Il secondo ritratto raffigura invece la regina nella sua maturità, con le occhiaie, il doppio mento e i lineamenti della bocca molto pronunciati. L’abbigliamento è più sofisticato, con un ampio copricapo che le copre buona parte della testa e una veste elaborata. I due ritratti hanno un punto in comune: lo sguardo riflessivo e determinato della sovrana. La giovane isabeLLa IN uN RITRATTO DI JuAN DE FLANDES: IL PITTORE DI gAND Fu uNO DEI TANTI ARTISTI FIAmmINghI ChIAmATI A CORTE DALLA REgINA. muSEO DEL PRADO, mADRID.

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Il 5 settembre del 1469, Ferdinando partì da Saragozza travestito da servo e con un seguito di sole sei persone. Il 12 ottobre arrivò a Valladolid. Due giorni dopo, la coppia si incontrò per la prima volta, e il 19 ottobre si sposò. I cronisti descrissero l’incontro tra i due principi come un vero colpo di fulmine, ma è più probabile che entrambi avessero calcolato attentamente i vantaggi dinastici derivanti dalla loro unione matrimoniale. Un dettaglio, in ogni caso, non sfuggì a nessuno dei presenti. I due sposi erano cugini di secondo grado e quindi, in base alla legge canonica, non avrebbero potuto sposarsi senza dispensa papale. Preoccupato dalle conseguenze politiche del matrimonio sugli equilibri della Spagna, papa Paolo II non la concesse. Per poter coronare la loro unione, Isabella e Ferdinando dovettero dunque produrre un documento falso, una bolla apocrifa


redatta con l’aiuto dell’arcivescovo di Toledo. In seguito, i due sposi sollecitarono più volte a Paolo II la dispensa, ma senza risultati. Solo nel 1471, grazie ai servigi del cardinale spagnolo Rodrigo Borgia (il futuro Alessandro VI), il nuovo pontefice Sisto IV soddisfò le richieste della coppia reale, firmando una bolla che conteneva anche l’assoluzione per coloro che avevano partecipato al matrimonio.

In lotta per la successione Prevedibilmente, Enrico IV non prese bene la notizia delle nozze segrete della sorellastra. A ragione, considerò violati i patti di Guisando, e decise quindi di negare a Isabella la successione. Al suo posto, nominò erede al trono Giovanna (detta la Beltraneja), la sua unica figlia, non senza aver prima giurato pubblicamente assieme alla moglie di esserne il padre legittimo: i suoi rivali, infatti, da tempo

avevano diffuso la voce che la piccola fosse in realtà figlia di Beltrán de la Cueva, presunto amante della regina. In una situazione tanto confusa, Isabella temporeggiò. E continuò a farlo fino al 12 dicembre 1474, quando all’Alcazar di Segovia, la fortezza dove la principessa risiedeva con il marito Ferdinando, giunse notizia della morte di Enrico IV. Il giorno seguente, Isabella si autoproclamò regina di Castiglia e chiese alle città del regno l’obbedienza. La mossa provocò l’ovvia controreazione di Giovanna, che a sua volta rivendicò il trono. Non solo: mentre perorava la propria causa, la dodicenne figlia di Enrico IV – guidata dalla madre Giovanna – si promise in sposa allo zio Alfonso V di Portogallo, chiamandolo in suo aiuto contro Isabella. Ebbe così inizio una guerra di successione che si sarebbe conclusa solo nel settembre del 1479, con i trattati di Alcáçovas e Moura.

l’Università di salamanca la splendida facciata di questa università, costruita in stile gotico da alfonso iX nel 1218, è ornata da un grandioso portale cinquecentesco con rilievi raffiguranti i re cattolici.

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mASSImO bORChI / FOTOTECA 9x12

ART ARChIvE

L’“INVINCIBILE LEONESSA” SUL TRONO

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el XV secolo, non era facile per una donna farsi accettare come sovrano. In un mondo scosso da continue lotte militari e dinastiche, tutte le classi sociali, dalla nobiltà al popolo, si aspettavano un’autorità forte, tradizionalmente associata a valori maschili. Per questo Ferdinando di Aragona era considerato in Castiglia molto più che un semplice re consorte. e per lo stesso motivo i cortigiani di Isabella insistevano nel metterne in risalto il carattere “virile”: “È forte, più forte dell’uomo più forte”, scriveva di lei lo storico Pietro Martire d’Anghiera. Un altro umanista, Lucio Marineo Siculo, annota invece che “né durante le doglie né durante il parto, cosa degna di grande ammirazione, mai nessuno vide Isabella lamentarsi”. e il poeta Juan del encina, in un dramma sulla presa di Granada, parla di Ferdinando come dell’impavido “leone di Spagna”, ma di Isabella come dell’invincibile “leonessa”. L’ingresso a granada DEI RE CATTOLICI, ACCOmPAgNATI DAL CARDINALE FRANCISCO JImÉNEz DE CISNEROS. bASSORILIEvO IN LEgNO DEL xv SECOLO, CAPPELLA REALE DI gRANADA.

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Isabella, vittoriosa, pretese che la rivale rompesse il matrimonio con Alfonso ed entrasse come clarissa nel convento di Coimbra; in tal modo intendeva assicurarsi che la rivale non avesse figli, nel timore che qualcuno di questi, in futuro, potesse rivendicare la corona.

I tradimenti di Ferdinando Se l’ascesa politica di Isabella fu trionfale, non altrettanto si può dire della sua vita familiare. È difficile giudicare con criteri odierni i sentimenti di Isabella per Ferdinando, dato che sin dall’inizio fu chiaro che il loro era un matrimonio politico. I cronisti dell’epoca, dal canto loro, insistono con forza sull’assoluta armonia tra i due sovrani: “Abbiamo un re e una regina”, scriveva lo storico Fernando del Pulgar “che non hanno bisogno di un segretario privato: infatti il segretario privato del re è la regina, e quello della regina è il re”.


Tuttavia, dietro tanta ostentata unità, è probabile che si celassero latenti dissidi privati. Ferdinando, infatti, non solo al momento delle nozze aveva già una figlia illegittima, ma anche una relazione appena avviata con la bella Aldonza Ruiz de Ivorra, una giovane catalana da cui, un anno dopo le nozze, avrebbe avuto un secondo figlio. Quello con Aldonza fu, peraltro, solo il primo dei tanti tradimenti che Isabella dovette patire dal marito. E, a peggiorare la situazione, si aggiunse la questione dell’erede al trono. Dopo la nascita della primogenita Isabella (1470), infatti, Ferdinando dovette attendere ben otto anni prima che la regina gli desse un figlio maschio, Giovanni. Un periodo nel quale la tensione tra i due sposi probabilmente si acuì, dato che nel regno d’Aragona, diversamente che in Castiglia, la legge non permetteva alle donne di accedere al trono. Più

tardi, la coppia reale avrebbe avuto altre tre figlie, Giovanna, Maria e Caterina. Delle tre, la sola Maria ebbe una vita serena, sposando in seconde nozze il re del Portogallo Manuele I. Giovanna, nota come “la Pazza”, sarebbe stata rinchiusa a vita per impedirle pretese al trono, mentre Caterina, prima moglie di Enrico VIII d’Inghilterra, sarebbe stata ripudiata dal marito a favore di Anna Bolena, cosa che diede inizio allo Scisma anglicano.

il palazzo reale di siviglia le sale dell’alcázar di siviglia, fortezza moresca più volte ampliata dopo la Reconquista: qui, nel 1478, isabella diede alla luce il suo unico figlio maschio, l’erede al trono giovanni.

Trame dinastiche Dopo la nascita di Giovanni, la regina concentrò le sue energie nell’educazione del figlio. Nel contempo avviò una proficua politica matrimoniale che portò alle nozze di Giovanni con Margherita, figlia dell’imperatore Massimiliano I d’Asburgo. Nell’accordo fu coinvolta anche Giovanna, la terza figlia di Isabella, data in sposa al primogenito di Masstorica national geographic

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LA PROTEzIONE DI mARIA in molti dipinti i re cattolici sono raffigurati in ginocchio dinnanzi alla Vergine:

il primo demonio Un diavolo scaglia frecce contro i peccatori, ma la vergine le blocca.

secondo demonio Porta sulle spalle i libri in cui sono elencati tutti i peccati degli uomini.

il cardinale mendoza era consigliere della regina e una delle figure più potenti della corte castigliana.

la famiglia reale Isabella e Ferdinando pregano la vergine insieme al principe Giovanni e a due delle loro figlie.

le monache del convento La badessa, con il pastorale, è circondata da sei monache nel tipico abito cistercense.

La Vergine della Misericordia Diego de la Cruz, un pittore spagnolo di origine fiamminga, realizzò questa tavola intorno al 1485. Rappresenta la vergine nell’atto di offrire misericordia e protezione ai Re Cattolici, con le braccia aperte e il manto steso. L’opera era destinata alla 110 storica national geographic

comunità di monache cistercensi di Santa María la Real de Las Huelgas, a burgos, un convento legato alla corona di Castiglia. È probabile che fosse offerta alle monache dal potente cardinale Mendoza, raffigurato accanto alla famiglia reale.

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incinta di gesù Le pieghe della tunica e la cintura aperta indicano che Maria è in attesa di Cristo.


SULLA fAmIGLIA REALE un’immagine Volta a rimarcare il faVore diVino Verso la monarchia regnante

san tommaso Regge un modellino del monastero. Alla sua destra, l’inquisitore Torquemada.

san domenico di guzmán Nelle mani tiene un libro aperto e il giglio, simboli a cui è spesso associato.

il sovrano e il principe Re Ferdinando I d’Aragona è in ginocchio, affiancato dall’erede al trono Giovanni.

la regina e l’infanta La regina è inginocchiata dinnanzi a un leggio; alla sua sinistra la figlia Isabella.

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la vergine in trono Avvolta in un manto rosso, tiene in braccio il piccolo Gesù, che mostra ai presenti.

La Madonna dei Re Cattolici La tavola, oggi al Museo del Prado di Madrid, decorava una sala del monastero domenicano di San Tommaso d’Aquino, ad Ávila. Gli abiti dei personaggi indicano che l’opera fu realizzata attorno al 1490. Non si conosce con certezza il nome dell’au-

tore del dipinto, anche se taluni lo attribuiscono a Fernando Gallego (1440-1507). In ogni caso, a giudicare dall’uso della prospettiva e dal paesaggio che si intravvede oltre le finestre laterali, dovrebbe trattarsi un pittore di formazione fiamminga. storica national geographic

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ORONOz / ALbum

AgE FOTOSTOCk

LA SUA AVVERSIONE PER fESTE E CORRIDE

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a leGGenda secondo la Quale Isabella di Castiglia avrebbe fatto voto di non cambiarsi mai d’abito finché la città di Granada non fosse stata strappata ai Mori è del tutto infondata. Di certo, però, la regina fu una donna austera, che non amava le feste e gli abiti di gala. Nel 1493, quando il suo confessore la riprese per essersi recata a una festa a Perpignan, nell’odierna Francia, Isabella gli assicurò di non aver preso parte al ballo: “Non mi passò neanche per la testa, non c’è nulla di più distante da me”. Negò anche il fatto che lei o le sue dame avessero indossato abiti lussuosi: “Tutto ciò che indossai era ciò che già avevo quando eravamo in Aragona”. Isabella non amava neppure gli spettacoli violenti: in gioventù aveva assistito a una corrida nella quale erano morti alcuni toreri e diversi cavalli, e da allora giurò “di non vederne mai più”. Si rifiutò tuttavia di vietarne lo svolgimento, “perché la cosa non riguarda solo me”. iL paLazzo-casteLLo DI mANzANARES EL REAL, A NORD DI mADRID: ERETTO NEL 1475, ERA DI PROPRIETà DELLA FAmIgLIA DEI mENDOzA, ASSAI INFLuENTE ALL’EPOCA DI ISAbELLA DI CASTIgLIA.

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similiano, Filippo il Bello. Secondo un cronista dell’epoca, Pietro Martire d’Anghiera, Isabella visse i negoziati dinastici con estrema ansia. Non solo perché era consapevole della loro importanza politica, ma anche per la salute precaria del figlio Giovanni, balbuziente e rachitico.

La “morte d’amore” Alla fine, comunque, il matrimonio di Giovanni andò in porto, e fu celebrato il 4 aprile 1497 a Burgos, nel nord della Spagna. Come già accaduto per Isabella e Ferdinando, i cronisti si sforzarono di descrivere l’incontro tra i due principi come un amore a prima vista; ma molti si domandarono anche se la passione che mostravano i due sposi fosse compatibile con il fisico debilitato di Giovanni. Le loro preoccupazioni si rivelarono fondate: il 4 ottobre del 1497, infatti, appena sei mesi


dopo le nozze, Giovanni morì all’improvviso, e pochi resistettero alla tentazione di definire la sua come una “morte d’amore”. A ogni modo, il complesso puzzle dinastico costruito da Isabella era andato totalmente in frantumi. Ora i troni di Aragona e Castiglia tornavano a far gola a molti pretendenti.

Il testamento Il lutto fece sprofondare Isabella in una profonda depressione, aggravata dai dissidi tra suo marito e il genero Filippo il Bello, che ambiva al trono di Castiglia. Quasi certamente, le ripetute disgrazie familiari (nel frattempo le era morta anche la primogenita Isabella) minarono la salute della regina Isabella, accelerandone la fine. Rinchiusa nel palazzo reale di Medina del Campo, la regina preparò con cura il suo ultimo viaggio. Il 12 ottobre del 1504 dettò un

testamento nel quale consigliava ai suoi eredi di arginare la moltiplicazione di cariche pubbliche, di limitare i privilegi della nobiltà e di proseguire l’espansione della Castiglia nel Nord Africa e verso le terre d’Oltreoceano appena scoperte da Cristoforo Colombo. Il testamento conteneva anche indicazioni precise circa il suo funerale. Isabella chiedeva di essere sepolta nel convento di San Francesco, all’interno dell’Alhambra di Granada, vestita con abiti francescani e in una tomba il più possibile semplice. I funerali si sarebbero dovuti celebrare con la massima sobrietà, e i soldi risparmiati avrebbero dovuto essere destinati ai poveri e alle fanciulle senza dote. Alle donne che la assistevano sul letto di morte, la regina chiese di “non pregare per lei ma per la salute della sua anima”. Il 26 novembre del 1504, infine, Isabella di Castiglia spirò: aveva solo 53 anni.

la liberazione di malaga isabella e ferdinando incontrano i prigionieri cristiani dopo la liberazione di malaga dagli arabi (1487). olio su tela del pittore spagnolo eduardo cano de la peña, XiX secolo, museo de Bellas artes, siviglia.

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ALINIARI / CORDON PRESS

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Sfinge il Sovrano di e HatSHepSut la Sua corte Enrico in calcare, VIIIche e Anna Bolena riproduce allalepresenza fattezze del della cardinale regina. Dal Wolsey etempio osservati di Deir da elCaterina. Bahari. Museo Dipinto Egizio, del 1870 Il Cairo. di Marcus Stone (1840-1921). Collezione Privata, Regno Unito.


dal trono d’InghIlterra al patIbolo

anna bolena

Bella e determinata, conquistò il re Enrico VIII, che per sposarla diede il via allo Scisma anglicano. Ma la mancanza di un erede maschio per il monarca e l’ostilità di cui si circondò a Corte le sarebbero costate la vita AntonIo FERnánDEz LUzón UnIVERSItà AUtonoMA DI BARCELLonA


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bRIDgEmAN / ACI

nna Bolena si inginocchiò accanto al sovrano, che la vestì di un mantello di velluto e le pose sul capo una corona d’oro, oltre a concederle mille sterline l’anno “per il mantenimento della sua posizione”. Il 1° settembre del 1532 Enrico VIII, re d’Inghilterra dal 1509, aveva compiuto un gesto insolito elevando una donna a Pari d’Inghilterra.

il blaSone dei tudor particolare dello stemma araldico di enrico Viii, da una vetrata di haddon hall (a Bakewell, nel Derbyshire), maniero di campagna che ha mantenuto intatto lo stile tudor. 116 storica national geographic

Fu così che ad Anna Bolena venne concesso di prendere parte alla vita politica del regno. Un pegno d’amore offerto come ricompensa per la dedizione di una dama che, dopo anni, aveva acconsentito a divenire l’amante del sovrano, che allora era sposato con Caterina d’Aragona, zia di Carlo V, re di Spagna e imperatore del Sacro Romano Impero. La coppia trascorse il Natale nella casa di campagna di Greenwich. Poco dopo, Anna capì di essere incinta. Il re aveva già deciso da anni di considerare nullo il suo matrimonio con Caterina d’Aragona, ma poiché l’autorizzazione da Roma non arrivava (e non sarebbe mai arrivata), non volendo che il figlio nascesse al di fuori di un’unione legale, il 25 gennaio 1533 la coppia venne unita segretamente in matrimonio da un cappellano. Chi era questa donna capace di soggiogare un potente monarca del Rinascimento, colto e dispotico? In che modo riuscì a divenire la regina consorte più ricordata d’Inghilterra? Nata probabilmente nella contea del Norfolk (Inghilterra orientale) tra il 1501 e il 1507, Anne Boleyn aveva avuto un’ottima formazione: prima alla corte di Margherita d’Austria e poi in Francia, dove era stata dama d’onore di Maria Tudor (sorella di Enrico VIII e moglie del re francese Luigi XII) e poi della regina Claudia, moglie di Francesco I. Al di là dei suoi modi raffinati e della sua cultura, alla corte di Francesco I aveva forse appreso anche altre arti più discutibili. All’inizio del XVI secolo, infatti, la corte francese era tra le più sfarzose e licenziose: alla ricchezza degli arredi facevano da contraltare gli abiti eleganti

dei cavalieri, mentre le donne, sempre avvolte in vesti sontuose, venivano addestrate alla sofisticata arte del corteggiamento. Non vi era nulla di superficiale in queste civetterie: si trattava di un comportamento passionale che derivava dalla tradizione cavalleresca del Medioevo, quando anche le donne, benché sottomesse, avevano la possibilità di agire con coraggio e senza timidezza. Ma altrove l’atteggiamento malizioso di Anna non era ben visto. Lo stesso Enrico VIII confessò all’ambasciatore spagnolo, nel 1536, che sua moglie era stata “corrotta” in Francia.

Un re ai suoi piedi Tornata in Inghilterra nel 1522, Anna diventò damigella d’onore di Caterina d’Aragona e non tardò ad attirare l’attenzione di suo marito, il re Enrico. Affascinante e intelligente, parlava il francese e conosceva il latino; eccelleva nella danza e vestiva sempre all’ultima moda. Dal canto suo, Caterina era già una donna di mezza età, la cui bellezza era ormai svanita; come se non bastasse, una serie sfortunata di gravidanze terminate con bambini nati morti o destinati a morire precocemente le aveva impedito di dare a suo marito quell’erede maschio che tanto desiderava. Enrico dichiarò ad Anna il suo amore nel 1526, ma lei rifiutò di essere la sua concubina perché sapeva “quanto il re si stancasse presto delle sue favorite”. In realtà, la donna aveva aspirazioni ben più ambiziose: voleva occupare il trono d’Inghilterra e per questo preferiva farsi desiderare dal sovrano. Fin dal 1528 Anna Bolena a corte si comportava già come se fosse la regina.


DAGLI ORTI / ART ARchIve

anna, la regina Simbolo del male La sovrana, secondo i suoi detrattori, portava con sÊ i segni del diavolo (un grosso neo sul collo e un presunto sesto dito alla mano sinistra, tipico delle streghe). olio di Frans Pourbus il Giovane (1569-1622). Civiche Raccolte d’Arte, Pavia.

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cORbIs / cORDOn pRess

la fazione dei Boleyn, che sarebbe divenuta presto la più potente di tutte ed era capeggiata dalla stessa Anna, da suo padre Thomas e da suo fratello George Boleyn.

Una sontuosa incoronazione

la torre di londra edificata nel Medioevo, fu nel tempo fortezza, polveriera, palazzo reale e prigione per detenuti di famiglie nobili, tra i quali, oltre ad anna Bolena, thomas More e Mary stuart.

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Nei banchetti reali sedeva al posto di Caterina d’Aragona e sfoggiava sontuosi abiti porpora, il colore della regalità. Ad Anna si rendeva omaggio più che a Caterina, sempre meno considerata oltre che dal marito dalla nobiltà. Ma questo, ad Anna, non bastava. Una sera, mentre Enrico stava cenando con la regina, gli esternò, molto adirata, le sue rimostranze per l’incomprensibile ritardo nello scioglimento del vincolo coniugale che lo legava a Caterina DdAragona. Il problema dell’annullamento del matrimonio da parte della Chiesa cattolica catalizzò l’attenzione della nobiltà inglese e scatenò un’accanita lotta per il potere. In quel momento vi erano tre fazioni alla corte di Enrico: i seguaci del cardinale Thomas Wolsey, Lord Cancelliere, che appoggiavano il sovrano; i conservatori, che sostenevano in modo discreto la regina Caterina; e infine

Totalmente dedita alla causa della Riforma protestante (Eustace Chapuys, ambasciatore di Carlo V, la descrisse come “più luterana dello stesso Lutero”), Anna riuscì a liberarsi del suo avversario, il cardinale Wolsey, colpevole agli occhi di Enrico di ritardare l’annullamento del suo matrimonio e di essere più fedele alla Chiesa che al re. La sua caduta, nell’ottobre 1529, propiziò l’ascesa di Thomas Cranmer: costui avrebbe sbloccato la spinosa questione del “divorzio” di Enrico e sarebbe stato ricompensato con la nomina ad arcivescovo di Canterbury. All’inizio del 1533, dopo il suo matrimonio segreto con Enrico, Anna era regina a tutti gli effetti tranne che nel nome; senza contare che sia l’imperatore Carlo V sia papa Clemente VII si opponevano alla sua unione con il sovrano inglese. Cranmer propose quindi misure drastiche per legalizzare la situazione. Nel mese di aprile fece approvare in Parlamento la “Legge della restrizione degli appelli” (Act in Absolute Restraint of Annates), la prima delle leggi che avrebbero determinato lo scisma inglese e la nascita della Chiesa anglicana. Con questo provvedimento, il papa veniva privato dell’autorità di giudicare la questione matrimoniale di Enrico, e Caterina non avrebbe più potuto fare appello al Vaticano contro le decisioni delle autorità religiose inglesi. Il 23 maggio Cranmer convocò un tribunale ecclesiastico che dichiarò nulla l’unione del re con Caterina e, cinque giorni dopo, sentenziò che il matrimonio tra Enrico e Anna era valido e legittimo. La grandiosa incoronazione di Anna Bolena superò per sfarzo tutte le precedenti. Il 31 maggio, vestita di stoffe dorate ed ermellino bianco, entrò a Londra. Gli archi trionfali e gli spettacoli organizzati in suo onore lodavano la nuova sovrana ed esprimevano la speranza che desse alla luce figli maschi che perpetuassero la dinastia Tudor. Ma il popolo non tardò a mostrare ostilità nei confronti di Anna, contrapponendole l’immagine della precedente regina, Caterina, simbolo di fedeltà


DAGLI ORTI / ART ARchIve

Un trono per la loro UnIca fIglIa lisabetta i, l’unica figlia nata dal ma-

trimonio di Enrico VIII e Anna Bolena, fu proclamata regina d’Inghilterra nel 1558 dopo la morte dei suoi fratellastri Edoardo VI e Maria I tudor, che erano succeduti al padre Enrico VIII. Fu l’ultima rappresentante della dinastia tudor, non si sposò mai e il suo regno, durato 45 anni, fu uno dei più prosperi nella storia dell’Inghilterra. Fu dichiaratamente favorevole alla Chiesa d’Inghilterra, fatto che, dopo i tentativi di restaurazione cattolica da parte della sorellastra Maria tudor, provocò forti tensioni religiose e scatenò contro di lei diversi tentativi di congiure. In una cospirazione fu coinvolta anche la cugina Mary Stuart, che ella fece giustiziare.

pRIsmA ARchIvO

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la regina condannata Anna Bolena ha un mancamento in una stanza della torre di Londra, quando apprende della sua condanna a morte. Dipinto di Pierre nolasque Bergeret (1814). Louvre, Parigi. la figlia eliSabetta i Elisabetta fu l’ultima regina della dinastia tudor. La sua epoca fu segnata da una straordinaria fioritura artistica: Shakespeare, Bacon e Marlowe sono solo alcuni dei nomi celebri del periodo.

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AKg / ALbum

anna, accUsata dI adUlterIo e dI cospIrazIone, fU condannata a morte per decapItazIone Caterina d’aragona, PRImA mOgLIE DI ENRICO VIII. DIPINtO DI SCuOLA INgLESE DEL 1530. COLLEzIONE PRIVAtA.

coniugale e fede religiosa. Anna non si lasciò intimidire: si servì della propria influenza per promuovere i precetti della Riforma nella nascente Chiesa anglicana e determinò l’impostazione culturale della corte, favorendo gli eruditi legati all’Anglicanesimo. In pubblico Anna si mostrava con libri di devozione fra le mani e le sue dame portavano un libriccino di preghiere alla cintura.

La caduta in disgrazia Nell’estate del 1533 Anna era incinta di circa sei mesi e venne a sapere che Enrico aveva una liaison con una bella dama, evento abituale quando le sue mogli erano in stato interessante. A differenza di Caterina, ella gli rimproverò la sua condotta e il sovrano, furioso, le disse che doveva “sopportare come avevano fatto altre migliori di lei”, avvertendola che, come l’aveva portata in alto rapidamente, così altrettanto rapidamente avrebbe potuto rovinarla. Il 7 settembre, la nascita di una figlia (la futura Elisabetta I) e non dell’atteso erede maschio contribuì a incrinare ulteriormente il rapporto fra i coniugi. Come riferì un ambasciatore veneziano, “il re non ne poteva ormai più della sua nuova regina”. Nel frattempo, tuttavia, continuava la lotta politica per porre fine all’opposizione al matrimonio reale. Nel 1534, il Parlamento emanò l’Atto di Supremazia – che consacrava il re come capo supremo della Chiesa d’Inghilterra, spezzando definitivamente il legame tra Enrico VIII e Roma – e concesse poi il diritto di successione alla principessa Elisabetta a svantaggio di Maria Tudor, figlia di Caterina d’Aragona. Chiunque non avesse giurato su queste disposizioni poteva essere condannato a morte. Caddero così le teste di coloro che, come il Lord Cancelliere Thomas More (Tommaso Moro), vi si erano opposti. Dopo aver avuto un aborto, Anna Bolena venne messa sotto pressione. Enrico, fru120 storica national geographic

strato perché la moglie non riusciva a dargli il desiderato figlio maschio, si diede a “balli e donne più che mai”, si mostrava sempre più irritato davanti alle lamentele della regina e, alla fine del 1535, strinse una relazione con Jane Seymour, una dama di corte. La passione del re per sua moglie si era ormai spenta, ma soprattutto Anna Bolena si era trasformata in un problema politico sia all’interno, per via della sua impopolarità, sia all’esterno, dal momento che, dopo la morte di Caterina, la nuova regina costituiva un ostacolo a quel riavvicinamento tra Enrico VIII e l’imperatore Carlo V che era caldeggiato dal primo ministro Thomas Cromwell. Il 30 aprile 1536, mentre Anna, di nuovo incinta, si trovava a Greenwich Park, Cromwell le tese un tranello e presentò al re delle prove, apparentemente inconfutabili, del fatto che la regina avesse sedotto alcuni membri del suo Consiglio Privato, compreso il proprio fratello George Boleyn. E, peggio ancora, fu accusata di aver tramato un regicidio per sposare uno dei suoi amanti e governare come reggente del figlio che portava in grembo. La maggior parte degli storici considera infondate le 22 accuse di adulterio che furono mosse contro Anna Bolena ed è improbabile che la donna stesse cospirando contro il re, suo principale protettore nonché artefice del suo potere. Tuttavia, la sua reputazione di donna frivola, la predilezione per le compagnie maschili e l’atteggiamento sfrontato e malizioso fecero sì che il sovrano e molti altri la ritenessero colpevole. Il 2 maggio Anna fu imprigionata nella Torre di Londra. Un tribunale presieduto da suo zio, il duca di Norfolk, e in cui figurava lo stesso padre di Anna, la condannò a morte. Fu decapitata il 19 maggio del 1536, mentre, si disse, Enrico VIII faceva una partita a tennis nella residenza di Hampton Court. Dieci giorni dopo il re sposò Jane Seymour.


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enrico Viii, re dello scisma Grazie alla rottura con la Chiesa di Roma, rinsaldò il prestigio della monarchia e si sposò sei volte. Opera di Hans Holbein il Giovane, eseguita tra il 1539 e il 1541. storica national geographic

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il monilE dElla rEgina Cammeo in onice, oro e rubini che raffigura Caterina. Di scuola francese, fa parte della collezione di gemme dei Medici. Museo degli Argenti, Palazzo Pitti, Firenze.

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il matrimonio Con EnriCo ii Papa Clemente VII, zio di Caterina de’ Medici, celebra le nozze tra la nipote ed Enrico II di Francia. Dipinto di Jacopo Chimenti, 1600, Uffizi, Firenze.


SCALA, FIRENZE

L’itaLiana CHE GOVERnò La FRanCia

CatERina dE’ MEdiCi

Entrata alla corte di Francia grazie allo zio, papa Clemente VII, visse in un’epoca di complotti e massacri religiosi. Chiamata “Regina nera” per la passione dell’occulto, tenne le redini della politica francese per 30 anni come reggente dei suoi figli DINO CARPANETTO PROFESSORE DI STORIA MODERNA ALL’UNIVERSITÀ DI TORINO


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il giardino dEllE tUilEriES Fu voluto da caterina de’ Medici insieme all’omonimo palazzo reale, fatto costruire dalla regina dopo la morte del marito enrico ii (1559) e distrutto da un incendio nel 1871.

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a vita di Caterina fu influenzata dalle strategie politiche che la famiglia dei Medici dispiegò nel Cinquecento, quando irruppe sulla scena dell’Europa grazie alle abili mosse di papa Leone X. Signore del Rinascimento, Leone X concluse la triade dei papi votati alla politica, alla guerra, alla grandezza mondana, che aveva avuto in Alessandro VI Borgia e Giulio II Della Rovere i suoi precursori. Scrisse lo storico contemporaneo Francesco Guicciardini: “Esaltati dalla potenza terrena, deposta a poco a poco la memoria della salute delle anime e dei precetti divini, e voltati tutti i loro pensieri alla grandezza mondana, né usando più l’autorità spirituale se non per istrumento e ministerio della temporale, cominciarono a parere più tosto principi secolari che pontefici”.

Fu Leone X a chiedere in matrimonio per il nipote Lorenzo II de’ Medici, duca di Urbino, la duchessa di Bretagna, Madeleine de la Tour d’Auvergne, imparentata con la famiglia reale di Francia. Da questa unione, il 13 aprile 1519, nacque a Firenze Caterina. Seguendo l’usanza delle principali corti europee dell’epoca, un astrologo fu chiamato alla culla della neonata perché le predicesse il futuro. La profezia fu inequivocabile: Caterina avrebbe trascorso la vita fra inquietudini pubbliche e private. La morte della madre per parto, poco dopo la nascita della figlioletta, parve confermare la premonizione. Solo qualche settimana più tardi Caterina fu lasciata orfana anche dal padre Lorenzo II, duca di Urbino, stroncato dal male ignominioso, la sifilide, che allora cominciava il suo lugubre viaggio nelle paure del mondo occidentale.


Le trame del papa Altre prove impegnative attendevano l’inconsapevole Caterina, coinvolta nelle trame di potere che le monarchie europee stavano tessendo in Italia. Quando l’imperatore Carlo V scese nella Penisola e si alleò a Clemente VII, ansioso di restaurare il principato mediceo a Firenze e di abolire per sempre la repubblica, i repubblicani fiorentini si ricordarono di quella bambina chiusa in convento

e pensarono di sfogare su di lei la loro rabbia. Qualcuno propose di gettarla in pasto alla furia popolare; altri di esporla come scudo umano sulle mura della città per scongiurare il bombardamento da parte degli imperiali di Carlo V. Efferatezze predicate ma non praticate, anche perché il convento delle Murate, schierato con i Medici, godeva di vaste protezioni. Ma a dieci anni la bambinetta fu trasferita nel convento di Santa Lucia, che passava invece per essere filo-repubblicano. L’ingresso a Firenze delle truppe di Carlo V, nel 1530, liberò Caterina dalle angosce di una posizione difficile. Immediatamente portata a Roma, fu consegnata allo zio pontefice, che le preparò un destino all’altezza delle ambizioni della famiglia, ora ritornata saldamente in sella dopo le burrasche delle due repubbliche.

il pontEfiCE lEonE X Zio del padre di caterina lorenzo ii de’ Medici, ne propiziò l’ascesa a duca di Urbino. olio su tela di raffaello sanzio. 1518, Uffizi, Firenze.

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A prendersi cura della neonata non restava che lo zio, il cardinale Giulio de’ Medici, elevato al soglio pontificio nel 1523 con il nome di Clemente VII. Fu per sua decisione che in tenerissima età Caterina varcò la soglia del convento delle Murate, le monache di clausura che a Firenze accoglievano le giovinette dell’aristocrazia cittadina.

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la profEzia di noStradamUS il celebre astrologo, consultato più volte dalla regina, le avrebbe pronosticato la prematura morte dei figli e del marito. stampa del XVi secolo, Bibliothèque nationale, parigi.

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Da navigato uomo politico qual era, Clemente VII capì immediatamente che quella nipotina di appena undici anni poteva tornargli utile per frenare la potenza imperiale in Italia e per alleggerire la pressione sullo Stato della Chiesa dell’alleato asburgico.

Alla corte di Francia Occorreva mettere quell’aggraziato corpo adolescenziale sul braccio francese della bilancia con cui Clemente VII calibrava le sue alleanze. Il papa si orientò quindi verso la corte di Parigi. Lì si spalancarono le porte di un matrimonio reale, orchestrato da papa Medici, benedetto dall’imperatore e dal re di Francia, accompagnato dal consenso di uomini di Curia e principi d’Italia, celebrato alla fine del 1533, quando Caterina aveva quattordici anni. Venti galere accompagnarono Caterina da Porto Venere, in Liguria, a

Marsiglia, dove il papa in persona la unì in matrimonio con il coetaneo Enrico, duca di Orléans, figlio secondogenito del re Francesco I. Poi un fastoso corteo li scortò fino a Parigi. La distanza di rango tra i due sposi non era certo colmata dalla cospicua dote portata da Caterina. I castelli in Bretagna della madre, centomila scudi d’oro usciti dalle casse medicee e ancora bauli stracolmi di gioielli non annullavano agli occhi dei Francesi la distanza tra un rampollo della dinastia dei Valois e un’italiana, una Medici, per giunta di un ramo collaterale della famiglia fiorentina. Da questo scarto di qualità scaturì il disprezzo sociale con cui Caterina avrebbe dovuto confrontarsi per tutta la sua lunga esistenza. All’ambasciatore mediceo a Parigi, Filippo Strozzi, toccò ribattere alle accuse di spilorceria che i tesorieri della corona francese, una volta misurata la dote, osarono lanciargli.


PETER LANgER / AgE FOTOSTOCK

L’aRCHitEttuRa COME sEGnO dEL pOtERE ino al XV secolo, i re francesi non avevano

edificato altro che fortezze. Fu Francesco I il primo a costruire palazzi, castelli e giardini, cioè monumenti che esaltassero la magnificenza della monarchia. Caterina proseguì nell’opera: riprese i lavori per il nuovo palazzo del Louvre, chiamato Logis du roi, e fece edificare le Tuileries da Philibert de l’Orme, grande architetto rinascimentale. I lavori furono lunghi e dispendiosi, ma il palazzo sarebbe rimasto la residenza parigina dei sovrani fino al XIX secolo. Nelle vicinanze Caterina fece costruire il suo Logis de la reine, una dimora che richiamava l’architettura italiana. La regina possedeva inoltre una ricca collezione di smalti di Limoges, e fu appassionata di arte orientale e di pietre dure, che ordinava a Firenze.

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il CaStEllo di bloiS Presenta quattro diversi stili architettonici, legati ai gusti dei re e nobili che lo abitarono: Luigi XII (nella foto, l’ala da lui edificata), Francesco I, Enrico II e Gastone di Orléans.

franCESCo i di valoiS Fu il primo re francese a costruire in gran numero palazzi, castelli e giardini, simboli tangibili della sua autorità sul Paese. Ritratto di Jean Clouet, 1525, Louvre, Parigi.

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taCiti Odi attORnO aL RE MOREntE cese François Barthélemy Marius Abel (1832-1870), influenzato dalla moda ottocentesca dei dipinti di soggetto storico, decise di raffigurare la morte di Enrico II, spirato appena quarantenne nel 1559 a seguito delle ferite riportate in un torneo cavalleresco. In questa rappresentazione postuma dell’evento, il letto di morte del sovrano diventa lo scenario di un tacito scontro politico a cui partecipano i massimi protagonisti della vita pubblica francese di quel periodo: non solo Caterina de’ Medici e il figlio Francesco II di Valois, destinato a subentrare al padre sul trono di Francia, ma anche i capi delle due fazioni religiose che si sarebbero fronteggiate nei decenni successivi: il duca di Guisa, leader della componente più intransigente del “partito” cattolico, e l’ammiraglio Coligny, a capo della fazione ugonotta. La morte di enrico ii, olio Su Tela di franÇoiS barThÉlemY mariuS abel. XiX Secolo, muSeo del caSTello di bloiS.

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ART ARChIvE

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el XiX secolo, il pittore fran-

E con sottile astuzia finse sorpresa di fronte all’incompetenza di uomini di così elevata caratura internazionale, perché ignoravano i tre gioielli di valore inestimabile, concupiti dai sovrani di mezza Europa, che il papa si era impegnato ad aggiungere. Stupiti, i tesorieri chiesero di cosa si trattasse. Di Napoli, Milano e Genova, rispose Filippo Strozzi. Una battuta, la sua, ma che in parte corrispondeva al vero perché le tre città, roccaforti del potere spagnolo in Italia, erano pronte a cambiare casacca e a schierarsi con la Francia. Fu Francesco I a dare prova di magnanime lungimiranza verso la dinastia italiana. Il re di Francia non lesinò benefici e pensioni per i cardinali della Curia romana, concessioni ripagate dal papa con la nomina di quattro cardinali francesi. Commercio di cariche, questo, allora usuale nella conduzione di tutta la politica degli affari di Chiesa. 128 storica national geographic

In tal modo Caterina si insediò nella corte francese, inconsapevole messaggera di quella autentica passione per l’Italia che Francesco I coltivava, spinto tanto da progetti di conquista quanto dalla passione culturale per la patria del Rinascimento. Dell’italianizzazione della corte francese Caterina fu l’ultima e preziosa rappresentante.

Una catena di sospetti Nelle buie stanze del Louvre (all’epoca una delle residenze reali) o negli incantevoli castelli del re dove la giovane italiana seguiva il marito, fanatico della caccia, Caterina avvertì le inquietudini religiose esplose negli anni della Riforma protestante e che ormai lambivano gli ambienti di corte, tollerate se non promosse dal re medesimo. Avvertì anche lo spirito di rivincita che turbava l’animo di Francesco I e lo richiamava alla


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1 EnriCo ii. Al centro della scena, ma in secondo piano rispetto agli altri protagonisti, è circondato da cortigiani che però paiono ben poco interessati alla sorte del re. 2 dUCa di gUiSa. In abiti da cerimonia, Francesco I, secondo duca di Guisa, indica con la mano il sovrano morente, quasi a volerne raccogliere l’eredità politica. 3 CatErina dE’ mEdiCi. La regina, vestita a lutto e severa in volto, tiene la mano del duca di Guisa: un segno esplicito del suo favore verso la fazione cattolica.

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4 ammiraglio Coligny. Si dirige verso il duca di Guisa e Caterina de’ Medici, sfidandoli con lo sguardo mentre, con la sinistra, accarezza l’elsa della spada. 5 CardinalE di lorEna. Fratello del duca di Guisa e vera mente politica della famiglia, osserva l’ammiraglio Coligny con l’aria di chi trama oscuri complotti. 6 EnriCo di gUiSa. Dal suo sguardo traspare un odio indicibile verso il nuovo arrivato. Figlio di Francesco I, gli succedette a capo della fazione cattolica intransigente. 7 franCESCo ii di valoiS. In ginocchio dinnanzi a Enrico II, il giovane erede al trono (quindici anni) è l’unico che appare addolorato per la morte del padre.

guerra contro la Spagna. Sentì il mormorio delle fazioni che si muovevano nell’ombra di una corte, ricettacolo di tutte le ambizioni di potere che covavano nella nobiltà francese. Caterina era ancora troppo giovane per essere trascinata dall’uno o dall’altro partito; ma si trattò di una breve anticamera dopo la quale cominciarono ad aprirsi per lei le stanze tutt’altro che tranquille del potere. Un evento inatteso giunse a trasformare i destini di Caterina: la morte del delfino, suo cognato, nel 1536. L’inaspettata scomparsa del primogenito di Francesco I, avvenuta dopo una bevuta di acqua gelata, innescò una catena di sospetti che avrebbe accompagnato Caterina fino alla fine dei suoi giorni. Pettegolezzi di corte l’accusarono di essere stata lei ad avvelenare quel Valois, vanamente destinato a governare. Sospetti, questi, dai quali fu messa al riparo grazie all’affetto pub-

blicamente ostentato dal suocero Francesco I. Non fu certo la diffamazione il principale ostacolo che Caterina dovette affrontare in quegli anni. Fu, infatti, l’infertilità ad angustiarla, tanto più che il marito sentiva su di sé la pressione del fratello Carlo, ambizioso pretendente al trono, e un figlio lo avrebbe liberato dalla competizione interna alla famiglia. Caterina ricorse a medici, maghi e guaritori. Nulla da fare. Nel 1537 Enrico ebbe una figlia naturale da una giovane piemontese di nome Filippa Duci, originaria di Moncalieri, e questo fu visto come segno dell’incapacità di Caterina di dare al marito una discendenza. La sua posizione si fece ancor più difficile quando a corte apparve un’avversaria di celebrata avvenenza, Diana di Poitiers. La trentanovenne Diana di Poitiers divenne l’amante ufficiale del diciannovenne Enrico, nonostante il divario di età e di esperienza. storica national geographic

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hallÉ / age foToSTocK

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diana di pOitiERs, FasCinO E intRiGHi

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ltera e di splendida bellezza, Diana di Poitiers (14991566) fece una rapida carriera a corte. Fu Francesco I a chiederle di mettersi al servizio del figlio Enrico, i cui modi rudi gli parevano indegni di un principe. Diana doveva educarlo alle buone maniere e ai piaceri della cultura. Aveva 39 anni quando divenne l’amante del diciannovenne Enrico. Subito i cortigiani diffusero un pamphlet in cui si sottolineavano le sue qualità fisiche ma anche i suoi difetti: “Tre cose ha Diana. Tre cose bianche: la pelle, i denti, le mani. Tre cose rosse: le labbra, le guance, le unghie. Tre cose nere: gli occhi, le sopracciglia, le palpebre. Tre corte: i denti, le orecchie, i piedi. Tre grosse: le braccia, i polpacci, le cosce. Tre piccole: i seni, il naso, la testa”. Al culto della bellezza è legata anche la sua morte. Si narra infatti che Diana avesse cominciato a bere oro, mescolato a pozioni che gli alchimisti le somministravano per assicurarle l’elisir di eterna bellezza. diana di Poitiers riTraTTa nuda da gioVanni capaSSini: la faVoriTa di enrico ii È raffiguraTa come allegoria della pace. XVi Secolo, muSÉe graneT, aiX-en-proVence.

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Era intelligente, brillante, di alta nobiltà, amica di artisti e letterati, pienamente cosciente della propria influenza. Caterina sopportò l’umiliazione e addirittura arrivò ad accettare Diana: mostrarsi arrendevole fu per lei il male minore rispetto alla minaccia di venire sostituita da un’eventuale nuova moglie. Il rapporto a tre funzionò, arricchito dalla prudenza e dalla doppiezza che l’intima sensualità dell’amante e il devoto affetto della moglie garantivano al figlio del re. Diana di Poitiers spingeva spesso Enrico nel letto della moglie, mentre Caterina, donna riservata e accorta, sopportava le attenzioni del marito verso la rivale nella speranza di una futura maternità. Che fossero state le cure del medico Jean Fernel, il quale la sottopose a massicci quanto bislacchi trattamenti farmacologici, o che fossero state segrete ragioni nascoste sotto le lenzuola del letto regale, sta


di fatto che Caterina rimase incinta. L’evento provvidenziale si sarebbe ripetuto per altre nove volte nella sua vita. La dinastia era salva e con essa anche la posizione di Caterina. Per circa un decennio le vicende private tennero lontana Caterina dagli affari di corte, ancora più dell’ostracismo nei suoi confronti del potente ministro Anne de Montmorency.

Enrico II diventa re A trascinarla al centro della vita politica fu il passaggio dinastico. Le guerre contro Spagna e Inghilterra stavano volgendo al termine quando Francesco I soccombette alle febbri malariche che lo tormentavano da tempo. Era l’anno 1547. Il figlio Enrico salì al trono. Al suo fianco le due donne. Da un lato, la moglie Caterina, ormai madre dei suoi figli, e dall’altro Diana di Poitiers, quasi cinquantenne. Restava Diana la favorita nel cuore del

nuovo re, che l’aveva insignita anche del titolo di duchessa di Valentinois, e che non perdeva occasione per ostentarle alta stima. Non dimenticava peraltro che Diana era strumento del partito ultra-cattolico dei Guisa, a cui la potenza politica della Chiesa imponeva di riservare massima considerazione. Nel 1549, due anni dopo l’ascesa al trono di Enrico II, Caterina fu consacrata regina di Francia. Intanto i figli e i parenti della reale coppia divenivano i tramiti di una serie di alleanze internazionali che legarono i Valois alle teste coronate d’Europa. Nel 1558 il delfino, il primogenito Francesco, sposò la regina di Scozia, Maria Stuart; una sorella del re, Margherita, andò in sposa a Emanuele Filiberto, duca di Savoia; la figlia minore di Enrico e Caterina, Claudia, al duca di Lorena; mentre la maggiore, Elisabetta, a Filippo II, re di Spagna. All’improvviso la tragedia.

il lEtto di CatErina camera da letto di caterina de’ Medici nel castello di Blois, sulla loira. Qui la regina morì il 5 gennaio 1589, pochi mesi prima che suo figlio enrico iii fosse assassinato da un frate domenicano.

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le rivolte contadine, i vuoti nella successione determinarono un ciclo di instabilità che si protrasse fino all’incoronazione nel 1594 di Enrico IV di Borbone. Risucchiata nell’epicentro di quel terremoto politico e sociale, Caterina si trovò a fronteggiare logoranti prove, a partire dalla questione religiosa. Se Francesco I si era mostrato relativamente tollerante verso la minoranza protestante che si era costituita nel suo regno, il successore non si era risparmiato in persecuzioni. La morte di Enrico II, nel 1559, aprì il periodo delle guerre di religione. Il figlio Francesco, un adolescente di appena quindici anni, debole e malaticcio, nell’impossibilità di governare lasciò le redini del potere agli zii di sua moglie, Maria Stuart: il duca Francesco di Guisa e il cardinale di Lorena, ambedue decisi a continuare la politica di repressione del Protestantesimo. Intanto i fanatici delle due fedi religiose avevano già imboccato la via della violenza, con complotti, congiure, prese d’armi. Alla morte di Francesco, stroncato a sedici anni da emorragia cerebrale, successe il fratello Carlo IX di appena dieci anni. Fu a quel punto che i Guisa persero il potere, assunto dalla regina madre, Caterina.

la Coppia rEalE di Spagna Filippo ii di spagna ed elisabetta di Valois in una scultura di alonso Mena. Figlia di caterina de’ Medici, elisabetta, terza moglie del re spagnolo, morì di parto a soli ventitré anni, nel 1568. XVii secolo, granada.

Il 27 giugno 1559, durante un torneo che doveva celebrare le nozze di Elisabetta con Filippo II, Enrico II cadde colpito da un colpo di lancia che gli trafisse un occhio. Nonostante le cure del più grande medico francese dell’epoca, Ambroise Paré, e del celebre anatomista Andrea Vesalio, Enrico morì il 10 luglio. Si narra che le sue ultime parole siano state: “Me misero, che muoio senza gloria e non da vincitore in battaglia, come conviene a un re!”.

Gli anni della reggenza Nella seconda metà del Cinquecento la Francia, sconvolta dalle tensioni religiose conseguenti alla Riforma protestante e alla Controriforma cattolica, finì col precipitare in una spirale di crisi che ne mise in forse la stessa unità politica. Non solo le guerre di religione tra cattolici e ugonotti (i calvinisti francesi), ma anche gli attacchi della Spagna, 132 storica national geographic

Una nuova politica Proclamata reggente, Caterina diede inizio a una nuova politica, sostenuta dal cancelliere Michel de l’Hôpital, in favore della conciliazione fra cattolici e ugonotti. Di fronte agli Stati Generali (l’assemblea politica cui partecipavano i delegati dei tre ordini, clero, nobiltà e Terzo Stato, cioè borghesia, contadini e operai) riuniti a Pontoise nel 1561, si pronunziò a favore della libertà religiosa. Il 17 gennaio 1562, l’editto di Saint-Germain accordò ai riformati la libertà di coscienza, la libertà di culto al di fuori delle mura delle città e all’interno di queste la possibilità di celebrare i loro riti in privato. Queste misure suscitarono l’indignazione dei cattolici. Il connestabile di Montmorency, il maresciallo de Saint-André e il duca Francesco di Guisa si accordarono per dare vita a una sorta di triunvirato che mettesse in mora il potere della reggente e lanciasse una campagna di repressione degli ugonotti. Era il ritorno del vecchio gruppo ultra-cattolico, un tempo vicino a Diana di Poitiers e a Enrico II.


corbiS / cordon preSS

l’Ultimo ritiro dElla favorita Il Castello di Anet, fatto costruire da Enrico II per la sua amante Diana di Poitiers. Alla morte del sovrano nel 1559, Caterina de’ Medici costrinse Diana a ritirarvisi. storica national geographic

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La tERRibiLE stRaGE di san baRtOLOMEO

ORONOZ / ALbUm

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ulla andò come preVisto

nel piano segreto predisposto da Caterina nell’estate del 1572. Aveva architettato di fare uccidere l’ammiraglio Coligny, leader degli ugonotti francesi. Si attendeva diversi sviluppi dall’assassinio. Avrebbe riportato sotto il suo controllo il figlio Carlo IX, che subiva eccessivamente la personalità dell’ammiraglio sino a favorire la fazione protestante. Al tempo stesso si aspettava di liberarsi dei Guisa, ingombrante presenza ultra-cattolica che minava l’autorità della regina. Era certa che la responsabilità dell’attentato sarebbe ricaduta su di loro, e Caterina avrebbe raccolto i frutti di quell’attentato presentandosi come l’unica mediatrice in grado di riportare la pace tra le parti in lotta. Ma gli eventi andarono diversamente e sfuggirono al controllo di chi li aveva innescati. Charles de Louviers, il sicario assoldato, mancò il bersaglio. Il suo archibugio ferì l’ammiraglio, ma non lo uccise. Fu im-

Fu il segnale d’inizio delle guerre di religione che per tre decenni avrebbero insanguinato la Francia e trascinato la monarchia in un gorgo di conflitti che resero vani gli sforzi di mediazione, tentati più volte da Caterina.

Nella tempesta religiosa Per alcuni anni la regina riuscì ad allentare la morsa in cui l’avevano stretta i Guisa, mostrando il guanto di velluto alla minoranza riformata e contando sulla saggezza dei cattolici non intransigenti, favorevoli alla tolleranza e alla moderazione. Ma l’accordo tra le due fazioni restò sempre instabile. Il massacro di Wassy del 1 marzo 1562, compiuto dai soldati del duca di Guisa contro i protestanti, fece precipitare gli eventi. Tutto venne rimesso in discussione: il ruolo della monarchia, la convivenza delle opposte fedi, i beni della Chiesa. Caterina si destreggiò 134 storica national geographic

come poteva, oscillando tra l’appoggio ai cattolici fanatici e il sostegno ai moderati di entrambe le fazioni. Si fece vedere sotto le mura di Rouen a guidare l’attacco contro la città ugonotta, ma appena si aprì uno spiraglio di riconciliazione non si ritrasse. L’uscita di scena dei capi delle due fazioni la liberò dai personaggi più scomodi del regno. Il 19 marzo 1563 l’editto di Amboise pose fine alle ostilità, accordando la libertà di culto nei borghi di alcune circoscrizioni e nelle campagne nobiliari. Seguirono alcuni anni di pace, durante i quali Caterina fece compiere al figlio Carlo IX, ormai maggiorenne, un vero e proprio giro di pacificazione per la Francia. Ma un secondo ciclo di guerre esplose nel 1567 a seguito d’un fallito colpo di mano degli ugonotti nel tentativo di catturare la regina madre e il re, che si trovavano nel castello di Montceaux. La riconciliazione sembrava fal-


mediata la reazione ugonotta, e i sospetti si diressero subito su Caterina. La spirale dell’odio a quel punto prese il sopravvento. Per nascondere il suo piano agli occhi dei Francesi, Caterina decise di fare uccidere decine di capi protestanti che erano ancora a Parigi dopo i festeggiamenti per le nozze di Enrico di Borbone con la figlia della regina, Margherita di Valois. Sperava in tal modo di mettere a tacere quegli scomodi testimoni del suo misfatto. Il 24 agosto del 1572, tra le tre e le cinque del mattino, iniziò la notte di sangue. I soldati dei Guisa e le truppe regie uccisero Coligny e il fiore dell’aristocrazia ugonotta. All’alba la situazione precipitò. Artigiani, bottegai, piccoli malfattori si scatenarono in una spontanea caccia all’uomo, travolti da una incontrollabile furia omicida, quasi volessero ristabilire con la violenza la verità cattolica negata dagli ugonotti. Tra le 3000 e le 4000 persone furono vittime di quell’estrema fiammata di una intolleranza a lungo nutrita dalla Chiesa. La notte di san Bartolomeo avrebbe trascinato Caterina nel girone infernale di una memoria storica infamante, inaugurata già dagli uomini del tempo e resa popolare nell’Ottocento da Alexandre Dumas. iL massacro di san BartoLomeo in un dipinTo di franÇoiS duboiS. XVi Secolo. muSeo delle belle arTi, loSanna.

Torna la guerra civile L’incubo che la Francia passasse dalla parte protestante spinse Caterina all’intransigenza. Pur di spezzare le trame degli ugonotti e del loro leader, l’ammiraglio Coligny, imboccò la strada dell’assassinio in nome della ragion di Stato. Ordinò segretamente di togliere di mezzo Coligny. Ma nell’attentato il maresciallo rimase solo ferito. Il mancato assassinio fu l’origine del massacro della notte di

san Bartolomeo, tra il 23 e il 24 agosto 1572. Temendo che fosse scoperta la sua responsabilità, Caterina non trovò soluzione migliore che fare uccidere i capi della fazione protestante, riuniti a Parigi per le nozze di Enrico di Navarra con Margherita di Valois, figlia della regina. Le dimensioni del massacro furono superiori a quanto Caterina stessa si aspettava, poiché le milizie di Parigi, che odiavano i protestanti, si avventarono contro i riformati. La corte non seppe fornire dell’accaduto che spiegazioni confuse, così come furono confusi gli ordini inviati in provincia, tanto che in molte città si ripeterono i massacri. Si ritenne che il partito protestante fosse stato annientato, ma le cose non stavano così e le ostilità ripresero. Caterina de’ Medici si trovò così nuovamente su di uno stretto crinale, assediata da opposte strategie politiche.

la tEmUtiSSima “rEgina nEra” caterina de’ Medici, qui ritratta in abiti vedovili, era detta "la regina nera" per la sua passione per le arti occulte e i veleni. XVi secolo, louvre, parigi.

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lita. I capi dei protestanti, il principe di Condé e l’ammiraglio Coligny, poterono contare sull’intervento della regina di Navarra, Jeanne d’Albret, accompagnata dal giovane figlio Enrico, e sui rinforzi garantiti dai correligionari tedeschi. L’azione militare costrinse Caterina a intavolare negoziati conclusi dalla pace di Saint-Germain (8 agosto 1570), che concesse ulteriori vantaggi ai protestanti.

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L’asCEsa aL tROnO di EnRiCO iii nOn sMinuì iL RuOLO pOLitiCO di CatERina dE’ MEdiCi

Intanto altre e più pesanti responsabilità passavano nelle sue mani a seguito della morte di Carlo IX, deceduto per tubercolosi nel 1574. Il nuovo sovrano, Enrico III, quartogenito della regina, si apprestava a condividere con lei il trono, lasciandole ampio margine di azione.

La svolta nei destini della Francia coincise con l’uscita di scena di Caterina. Nel dicembre del 1588 Enrico III fece assassinare a Blois il suo rivale, Enrico di Guisa. Il delitto mise tutti i cattolici contro di lui. La settantenne Caterina, ormai impotente, si spense di malattia dopo poche settimane, il 5 gennaio del 1589. Non vide così morire il figlio Enrico III, assassinato nell’agosto di quell’anno dal colpo di pugnale di un frate domenicano. Insieme con il re cadeva anche la dinastia dei Valois. Sul letto di morte, infatti, Enrico III aveva riconosciuto come suo successore il marito della sorella Margherita, Enrico di Navarra, ugonotto, figlio di Antonio di Borbone e di Jeanne d’Albret, con il quale aveva appena firmato un trattato di pace per concludere le guerre di religione. Enrico IV di Borbone saliva così al trono dopo avere giurato, sotto le mura di Parigi assediata, di convertirsi al Cattolicesimo in nome della ragione di Stato. La leggenda gli attribuisce in questa occasione la frase: “Parigi val bene una Messa!”. Anche la salma di Caterina subì i tormenti di quella stagione cruenta. Il corpo fu imbalsamato, ma non lo si poté trasferire nell’abbazia di Saint-Denis, sacrario dei re di Francia. I Parigini, furiosi per la morte dei Guisa, minacciarono una rivolta se si fosse proceduto alla traslazione. Solo nel 1610 avvenne il trasferimento del corpo, voluto da Diana di Francia, la figlia nata dalla relazione tra Enrico II e Filippa Ducci. Ma nel 1793 i rivoluzionari profanarono la sua e le altre tombe reali, gettando i resti di Caterina in fosse comuni. 136 storica national geographic

Scala, firenze

La fine della dinastia Valois


l’inContro Con il dUCa di gUiSa Re Enrico III, figlio di Caterina de’ Medici, riceve nel Castello di Blois il duca di Guisa, che farà assassinare poco dopo (1588). Dipinto di P. C. Comte, XIX secolo, Museo del Castello di Blois.

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MATRIMONIO PER PROCURA Il matrimonio per procura a Parma, il 16 settembre 1714, tra Elisabetta e il re Filippo V di Spagna. Opera del 1714 di scuola italiana. Galleria Nazionale, Parma.


il potere all’ombra del re

elisabetta Farnese Astuta, fiera, volitiva e tenace nel raggiungere i suoi obiettivi, la regina di Spagna fu un’abile tessitrice di manovre politiche, primo consigliere e al contempo moglie devota del marito Filippo V FErráN SáNchEz StOrIcO


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on ha sentito parlare d’altro che di religione e di ricamo”: il ritratto di moglie docile e tranquilla. Così l’abate piacentino Giulio Alberoni, agente consolare del Ducato di Parma alla corte di Spagna, proponeva la candidatura di Elisabetta Farnese a seconda moglie del re di Spagna Filippo V, vedovo di Maria Luisa di Savoia. A favore di Elisabetta, nata a Parma il 25 ottobre del 1692, si disse anche che, pur non essendo figlia di re e portando in dote solo dei lontani diritti sui ducati parmensi e piacentini e, indirettamente, sulla Toscana, apparteneva a una stirpe di governanti imparentati con varie case regnanti. Fu così che il 16 settembre 1714 si celebrarono a Parma le nozze per procura. Ben presto ci si sarebbe accorti che la giovane, appena ventiduenne, era qualcosa di più di una “timida fanciulla”.

photoaisa

Il misterioso incontro di Jadraque

FIlIPPO V dI sPAgNA nato a Versailles nel 1683, nipote di luigi XiV di Francia, il re sole, e di Maria teresa d’asburgo, fu il primo sovrano della dinastia Borbone in spagna.

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Elisabetta iniziò un viaggio singolarmente lungo per raggiungere il marito. Nel corso del tragitto in terra francese, incontrò il principe di Monaco, Antonio Grimaldi, il quale, facendone puntuale resoconto a Versailles, descrisse la giovane sovrana con celebri parole: “cuore di lombarda, animo di fiorentina, sa volere fortemente”. La principessa di Parma si recò quindi a far visita alla zia Maria Anna di Neuburg, al castello francese di Pau, nei Pirenei Atlantici. In quell’occasione la regina, vedova di Carlo II di Spagna, avvertì la nipote dell’enorme potere esercitato da Anne-Marie de la Trémoille de Noirmoutier, la principessa Orsini, alla corte di Filippo V. Quest’ultima, settantaduenne camarera mayor della defunta regina Maria Luisa, era una sorta di dama d’onore, cortigiana e agente segreto del re Luigi XIV; ben poco infatti succedeva a Madrid senza che a Versailles tutti ne fossero informati. Quando si seppe dell’arrivo della nuova regina, girò voce che la principessa Orsini, de-

cisa a mantenere il proprio potere, si stesse facendo allestire un sontuoso appartamento nell’Alcazar Reale di Madrid, dal quale la dama d’onore avrebbe potuto tenere sotto controllo la coppia reale. Il 23 dicembre 1714, la giovane regina Elisabetta giunse a Jadraque, in Castiglia-La Mancia, a 100 chilometri circa da Madrid. Qui ebbe luogo l’incontro tra la regina e la camarera mayor, che si era recata a incontrarla da sola, anticipando volutamente Filippo, che attendeva a Guadalajara. Non conosciamo con certezza quel che successe tra le due donne in quel rendez-vous privato e i commentatori dell’epoca ne diedero versioni contrastanti; sappiamo però che l’incontro finì in maniera tempestosa: vi fu infatti una violenta discussione durante la quale, secondo la principessa Orsini, la regina l’aveva apostrofata con parole spiacevoli, dandole della “insolente e impertinente”, e ordinando di condurla nelle sue stanze e di prepararle una carrozza con un seguito di cinquanta guardie, per portarla alla frontiera francese. Non le diedero il tempo neanche di raccogliere i suoi effetti personali: “Partii alle undici di sera”, si lamentò in seguito l’anziana principessa, “mentre nevicava, con un vento e un freddo spaventosi”. È probabile che la regina Elisabetta Farnese non sopportasse l’atteggiamento altero della dama d’onore Orsini, oltre alla sua “fretta di elargire consigli non richiesti”. L’ambasciatore genovese a Madrid riferì laconicamente, parlando del rapporto fra le due donne e del tumultuoso loro primo incontro: “… non ben si sa quanto passasse tra loro…”.


prisma arcHiVO

ElIsAbETTA FARNEsE Ultima discendente dei Farnese, nel 1710 contrasse il vaiolo e si temette per la sua vita. Sconfisse la malattia, ma rimase segnata da cicatrici sul volto e sulle braccia. Olio su tela di Jean ranc, 1723. Ministero degli Affari Esteri, Madrid.

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age fotostoCk

CapolaVoro italiano in spaGna

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a piccola versailles, altro no-

me con cui è noto il Palazzo reale della Granja de San Ildefonso, fu edificata per volere di Filippo V tra il 1721 e il 1739 a San Ildefonso, un piccolo comune in castiglia e León. Autori delle architetture furono gli italiani Andrea Procaccini, Sempronio Subissati e soprattutto Filippo Juvara (autore di Palazzo Madama a torino e della reggia di Stupinigi), fra i massimi esponenti del Barocco, che disegnò la facciata e diede un’impronta stilistica personale all’intera reggia. Gli interni del palazzo sono arredati in stile impero e ospitano il Museo degli arazzi, che conserva opere di artisti di tutta Europa. A ricordare Versailles sono però i giardini: le prospettive alberate e i viali campestri, i giochi d’acqua del bacino di Nettuno, i giardini arabi e la Nuova cascata o il getto delle 26 fontane scolpite su cui svetta quella della Fama.

La Granja di San iLdefonSo (Castiglia e león). eretta nel 1721, fu la meta preferita del re e di sua moglie

L’incontro tra re e regina avvenne il pomeriggio seguente, la vigilia di Natale, a Guadalajara. Dalla cappella dove il matrimonio venne celebrato, essi si recarono nella camera nuziale e ne uscirono per la Messa di mezzanotte. Lo scrittore francese Louis de Rouvroy de Saint-Simon (1675-1755), tra i detrattori più critici e aspri della Farnese, la descrisse di mediocre intelligenza e tuttavia furba e lontana dalle passioni intellettuali che le attribuiva il suo favorito Alberoni. Nelle sue Memorie, Saint-Simon racconta così le vicende che seguirono l’affaire che coinvolse Elisabetta e la Orsini: “Passato il Natale, il re e la regina, soli e nella stessa carrozza, seguiti da tutta la corte, partirono alla volta di Madrid, dove non si parlò mai più della principessa Orsini, come se il re di Spagna non l’avesse mai conosciuta”. Il re Filippo, dunque, aveva confermato il 142 storica national geographic

provvedimento di esilio e allo scontro fra le due donne seguì la caduta in disgrazia dell’anziana principessa e della sua “cricca” francese, che venne sostituita da cortigiani italiani, accuratamente selezionati dall’abate Alberoni.

Un matrimonio ben assortito Filippo V soffriva di un problema psichiatrico grave, una sorta di disturbo bipolare che si manifestava in alterazioni del sonno, perdita d’energia, problemi di concentrazione e mancanza di interesse per la vita. Onde evitare queste fasi depressive, il re si affidava costantemente alla compagnia della moglie, e non si separava da lei nemmeno un istante. Sempre Saint-Simon descrive il rapporto particolare, quasi simbiotico, tra i due sovrani, che “condividono le stesse camere, gli stessi oggetti per il medesimo scopo, la stessa tavola per qualunque attività, e svol-


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gono sempre insieme le medesime cose. Le udienze sono sempre congiunte ed essi non si separano mai, se non per questioni brevi e indispensabili, […] dormono nello stesso letto ed è successo anche che fossero entrambi affetti da febbre, senza che si sia riusciti a convincerli a dormire separati”. Questo contatto così stretto suscitò delle diffidenze, dovute all’influenza eccessiva che Elisabetta Farnese esercitava sul marito. Coloro che si sentivano messi in disparte dal re per la continua presenza della regina sostenevano che se egli comandava sulla Spagna, la regina comandava su di lui. A ben guardare, Elisabetta era tutt’altro che libera, come dimostra ciò che scrisse l’abate Alberoni: “si ritiene che sia padrona assoluta del regno, ma la sua condizione è quella di una schiava, poiché suo marito non vuole che si allontani da lui neanche un momento”.

Le critiche e le invidie nei confronti della regina avevano anche un altro motivo. L’affiatamento tra i due coniugi creò una copiosa discendenza, addirittura sette figli. Elisabetta, consapevole che i rampolli nati dal primo matrimonio del marito, Luigi e Ferdinando, avevano maggiore diritto di succedere al padre, si attivò alacremente, usando ogni genere d’intrighi, per sistemare i suoi discendenti su troni italiani. Fin da piccolissimi, i principini furono quindi oggetto delle precoci ansie dinastiche della madre. Alla regina, e al suo servizievole ministro Alberoni, venne attribuita la decisione di partecipare a varie guerre europee, quando ancora il Paese non si era ripreso dalla guerra di successione spagnola (1701-1714). Al termine della guerra per la successione polacca (1733-1735), il giovanissimo Carlo, figlio di Filippo ed Elisabetta, fu incoronato

lA bATTAglIA dI FONTENOy Fu un momento chiave della guerra di successione austriaca. al termine, nel 1748, Filippo i, figlio di elisabetta, ottenne il ducato di parma. olio su tela di l.n. van Blarenberghe, XViii secolo. Versailles.

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photoaisa

Vedendo in GioCo l’aVVenire dei FiGli, elisabetta si lanCiò in una FrenetiCa politiCa matrimoniale eLiSabetta farneSe Con un ritratto di filippo V. miguel JaCinto meléndez, 1727. biblioteCa nazionale, madrid.

re di Napoli e Sicilia, e alla fine della guerra di successione in Austria (1740-1748), all’infante Filippo furono attribuiti i ducati di Parma, Piacenza e Guastalla. A ciò vanno aggiunte le nozze di due delle figlie di Elisabetta con i re di Portogallo e di Savoia.

La minaccia di abdicazione Gli scrupoli di coscienza e la depressione di cui soffriva Filippo V lo portarono a prendere una drastica decisione. Per prepararsi a quella che sentiva come una morte prossima, scelse un luogo dove ritirarsi nella Sierra di Guadarrama, dove fece costruire un palazzo reale, ispirandosi a Versailles: la Granja di San Ildefonso. Il 14 gennaio 1724 annunciò solennemente che intendeva lasciare la corona al suo primogenito Luigi, per dedicarsi, insieme alla regina, alla salvezza della propria anima. Tuttavia, quando non era ancora trascorso il suo primo anno di regno, Luigi I morì di vaiolo. Elisabetta allora, temendo che i nobili del “partito spagnolo” facessero incoronare don Ferdinando (l’altro figlio del primo matrimonio di Filippo V), e gestissero il potere nel lungo periodo che mancava alla sua maggiore età, convinse il marito che Dio aveva manifestato chiaramente la sua volontà: Filippo doveva riprendersi la corona. Gli aristocratici filospagnoli consideravano Ferdinando l’erede legittimo e diffondevano voci che ritraevano la regina Farnese come un’intrigante arpia. Tale immagine uscì rafforzata quando Elisabetta assunse poteri di governo in seguito a una nuova crisi di Filippo V; il sovrano era sempre più affetto da malinconia e dava segni di manie di persecuzione: si feriva, non si cambiava d’abito sostenendo che la camicia da indossare fosse avvelenata, non si lasciava fare la pedicure e pertanto non riusciva a camminare. Nel maggio 1728, il re riuscì a ingannare la vigilanza e a far pervenire al governatore del Real y Supremo Consejo de 144 storica national geographic

Castilla (il Consiglio di Castiglia era la seconda istituzione della monarchia spagnola, dopo il re) una lettera, nella quale dava ordine di procedere all’incoronazione del principe delle Asturie, Ferdinando; soltanto la fedeltà del governatore verso Elisabetta riuscì a prevenire una nuova abdicazione. Secondo alcuni storici, questo episodio spiega la permanenza della corte a Siviglia tra il 1729 e il 1733: tenendo lontano il re dal Consiglio, la regina si assicurava che non compisse altri tentativi di rinuncia alla corona.

L’assistenza e la vedovanza Nel 1737, a causa di un nuovo attacco depressivo del re, la regina chiamò a corte il famoso cantante castrato Carlo Broschi, detto Farinelli, che trionfava in tutte le corti europee. Elisabetta volle fare una sorpresa a Filippo; si racconta che, un giorno in cui il re era in preda alla più profonda depressione, il volto del monarca si trasformò nell’udire la voce melodiosa dell’artista. Quando il re gli chiese che ricompensa desiderasse, Farinelli gli disse di lasciare il letto, di radersi e recarsi a lavorare nel suo studio. Da quel momento, Filippo gli fece promettere di restare alla corte di Spagna, corrispondendogli uno stipendio di 2000 ducati, con l’unica richiesta di non cantare più in pubblico. Fu così che Farinelli si presentò tutte le sere, per vari anni, per eseguire un concerto davanti ai sovrani di Spagna. Filippo V morì tra le braccia di sua moglie il 9 luglio 1746. Elisabetta ben presto manifestò la sua ostilità nei confronti della politica del figliastro, Ferdinando VI, che decise di allontanarla dalla corte. Stabilitasi a San Ildefonso, ritornò a Madrid nel 1759, quando il suo primogenito, Carlo, salì sul trono spagnolo. Ormai settantenne si ritirò nel palazzo di Aranjuez, dove morì l’11 luglio 1766. Venne sepolta nella Granja, accanto al suo sposo, così come lo era stata per tutta la vita.


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FIlIPPO V IN gUERRA ritratto equestre di Filippo V, realizzato dal pittore francese Jean ranc, che raffigura il sovrano durante la Guerra di successione spagnola. Prado, Madrid. storica national geographic

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La mano suLLa corona Maria Teresa d’Austria ritratta da Martin van Meytens, pittore di corte viennese. L’opera è del 1774: con la mano sinistra la sovrana indica la Sacra corona d’Ungheria, ricevuta nel 1740. Kunsthistorisches Museum, Vienna.

dagli orti / art archive

onorificenza imperiaLe Medaglia dell’Ordine militare di Maria Teresa, istituito nel 1757 per premiare gli atti di valore in battaglia degli ufficiali asburgici. La medaglia aveva la forma di una croce cinta da un anello.


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La donna che trasformò L’impero

maria teresa d’austria Orgogliosa e determinata, la sovrana riuscì a tenere le redini di un impero plurinazionale minacciato dalle altre potenze europee. con riforme amministrative e una politica culturale illuminata, fece di Vienna la capitale della Felix Austria MArÍA LArA MArTÍnez DOcenTe Di STOriA MODernA preSSO L’UniVerSiTà nAziOnALe Di eDUcAziOne A DiSTAnzA Di MADriD


L

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arciduchessa riflette con molta lucidità e acutezza e vuole avere un’idea precisa delle questioni di Stato. Ha uno spirito e una logica davvero implacabili”. È questo il lusinghiero ritratto che l’ambasciatore inglese a Vienna delinea dell’arciduchessa d’Austria Maria Teresa d’Asburgo, all’epoca solo sedicenne. Maria Teresa era nata a Vienna il 13 maggio 1717, secondogenita dell’imperatore Carlo VI d’Asburgo. Il fratello maggiore, Leopoldo Giovanni, era morto l’anno prima, quindi Maria Teresa era l’erede designata al trono. Nel 1713, infatti, con la Prammatica sanzione, Carlo VI aveva stabilito che i domini patrimoniali degli Asburgo (cioè quei territori, come l’ Austria, che appartenevano al casato per diritto ereditario, a differenza dei titoli di re d’Ungheria e Boemia, che erano elettivi) sarebbero stati indissolubili, e che in assenza di un erede maschio li avrebbero potuti ereditare le figlie o le nipoti dell’imperatore.

Per preparare Maria Teresa al ruolo di sovrana, dall’età di 14 anni Carlo VI le consentì di assistere alle sedute del Consiglio della Corona. Nel 1736 Maria Teresa sposò il duca Francesco Stefano di Lorena, e questo fece sperare chi non voleva una donna sul trono d’Austria che sarebbe stato il marito a essere designato re, pur lasciando il potere nelle mani degli Asburgo. Ma quando nel 1740 Carlo VI morì improvvisamente, fu Maria Teresa a presentarsi dinnanzi alla corte viennese. In piedi sotto il grande baldacchino della Sala dei Cavalieri, nella Hofburg, il palazzo imperiale di Vienna, dichiarò risoluta e con voce ferma: “Desidero essere la vostra generosa sovrana e la vostra madre fino alla morte”. Le prime difficoltà, tuttavia, giunsero presto. Alla morte di Carlo VI, infatti, l’Impero non stava certo vivendo un periodo favorevole. 148 storica national geographic

sandra raccanello / fototeca 9x12

Un’adolescente a corte


La dimora degLi asburgo residenza imperiale per oltre sei secoli, il maestoso complesso della Hofburg, nel cuore di Vienna, fu edificato come fortezza nel 1275 e poi progressivamente ampliato e abbellito.

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scala, firenze

Maria Teresa avviò un prograMMa di riforMe volTe a Modernizzare e rafforzare lo sTaTo ducato d’oro austriaco con ritratto di maria teresa d’austria.

Fu la stessa Maria Teresa, anni dopo, a confessarlo: “Non credo che la storia conosca il caso di una testa coronata che iniziò il suo regno in circostanze più angosciose. Le milizie, un tempo le migliori d’Europa, avevano perduto quasi del tutto il loro prestigio. La peste mieteva vittime nella maggior parte del territorio; le frontiere erano aperte da ogni lato. Tutto quello che ho trovato nelle casse dello Stato è stato qualche migliaio di fiorini. Le difficoltà sembravano insormontabili”. Questa situazione di debolezza, oltre al presunto diritto su parte dei territori asburgici rivendicato da alcuni sovrani europei, portò presto allo scontro. Federico II di Prussia lanciò nel 1740 un attacco a sorpresa e invase la Slesia, regione ricca di miniere. Era l’inizio della guerra di successione. La Francia, nel frattempo, aveva stretto un’alleanza con la Baviera, cosa che costrinse Maria Teresa, attaccata su più fronti, a cedere ai Prussiani la Bassa Slesia. Intanto, nel 1742, Carlo Alberto di Baviera veniva eletto imperatore del Sacro Romano Impero con il nome di Carlo VII: era il primo principe non di casa Asburgo da oltre tre secoli. Negli stessi mesi, la Francia si coalizzò con la Prussia, formando un esercito che nel 1742 occupò Praga. Fu questo il momento più critico per Maria Teresa, accerchiata da nemici decisi a spartirsi il suo regno. Ma la sovrana non si perse d’animo: aveva dalla sua parte la Gran Bretagna e l’Ungheria, e convinse anche l’Olanda e il Piemonte a sostenerla. Alla fine, Maria Teresa riuscì a evitare il disastro e nel 1748, ad Aquisgrana, negoziò un trattato di pace onorevole, che comportava per Vienna un’unica grave perdita territoriale: il ducato di Slesia, ceduto alla Prussia. L’Impero, intanto, era tornato in mani asburgiche: dopo la morte di Carlo VII (1745), infatti, la corona era stata assegnata a Francesco I di Lorena, il marito di Maria Teresa. 150 storica national geographic

Negli anni seguenti la sovrana, vera detentrice del potere imperiale, cercò invano di recuperare la Slesia, sfidando la Prussia nella guerra dei Sette anni (1756-1763); ma poi scelse di concentrarsi sui Balcani, conquistando la regione polacco-ucraina della Galizia e la Bucovina, oggi tra Romania e Ucraina. Il comportamento di Maria Teresa in queste guerre fu decisivo per consolidare il suo prestigio. Un diplomatico avrebbe ricordato che, durante i conflitti, “l’ingresso della regina nelle città, dritta sulla sua cavalla bianca, che saluta la folla, ha chiuso la bocca a quanti si lamentavano che la corona asburgica fosse finita nelle mani di una donna”.

Il Codex theresianus Mentre i suoi eserciti combattevano in tutta Europa, Maria Teresa avviò un ambizioso programma di riforme politiche e sociali. Per prima cosa si preoccupò di ridurre la frammentazione dell’Impero, un mosaico di popoli gelosi ciascuno della propria autonomia. Con l’aiuto del cancelliere von Kaunitz, Maria Teresa riorganizzò l’amministrazione statale, creando una rete di funzionari imperiali chiamati ad amministrare i vari Stati asburgici sotto la guida di Vienna. Inoltre, nel 1766, fu emanato il Codex theresianus, che unificava l’Impero anche dal punto di vista legislativo e giudiziario. Queste riforme ebbero come effetto la nascita di uno Stato assoluto burocratico e centralizzato, nel quale la borghesia si sostituiva ai ceti nobiliari, fortemente indeboliti nei loro privilegi. Nel 1774 Maria Teresa introdusse l’istruzione primaria obbligatoria, che finanziò con i beni requisiti alla Compagnia di Gesù, soppressa da papa Clemente XIV l’anno prima. In generale, pur essendo una fervente cattolica, si sforzò di diminuire i poteri della Chiesa, abolendo l’Inquisizione e trasferendone le competenze in materia di censura allo Stato.


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nuove cure sperimentate sui figLi

ritratto di famigLia Maria Teresa d’Austria con la sua famiglia: l’imperatrice ebbe dal marito sedici figli, tra cui la futura regina di Francia Maria Antonietta. Dipinto di van Meytens, Versailles.

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el suo sforzo di modernizzazione dell’impero, Maria Teresa d’Austria non ebbe timore a promuovere e sostenere la ricerca scientifica, anche contro il parere dei suoi consiglieri e delle stesse autorità ecclesiastiche. Fu lei per esempio, nel 1767, a volere che ai suoi due figli minori fosse praticata la “variolizzazione”, un nuovo metodo di protezione dal vaiolo basato sull’inoculazione di materiale prelevato da malati non gravi. La “vaccinazione” ebbe esiti positivi e Maria Teresa volle sperimentarla su più larga scala, facendo vaccinare 65 bambini di famiglie povere sospettati di aver contratto il virus. La “guarigione” dei piccoli pazienti fu celebrata nel castello di Schönbrunn con una grande festa a cui vennero invitati anche i genitori dei bambini vaccinati.

Lo scopritore deL vaccino ritratto di edward Jenner, olio su tela di charles Meynier. il medico britannico fu il primo a praticare la vaccinazione antivaiolosa. institut pasteur, parigi.

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matrimonio reaLe aLLa corte di vienna

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nel 1760 il primo figlio di Maria teresa d’austria, giuseppe ii, si sposò con la principessa isabella di Borbone-parma. il matrimonio fu un grande evento mondano; per organizzarlo l’imperatrice si indebitò con i banchieri italiani, dai quali ottenne un prestito per allestire le decine di feste, banchetti e spettacoli teatrali che precedettero l’evento. infine, il 6 ottobre 1760, ben 220 carrozze di gala accompagnarono la coppia alla chiesa degli agostiniani, dove vennero celebrate le nozze. seguì un banchetto, raffigurato in questo olio di van Meytens conservato al castello di schönbrunn.

1 Il posto a capotavola

dell’imperatrice Maria teresa, seduta a capotavola, presiede il banchetto nuziale accanto al marito Francesco i. alle spalle dei due imperatori si innalza un gigantesco baldacchino, emblema del loro potere e del primato gerarchico sugli altri ospiti. al tavolo dei sovrani siedono i due sposi e l’intera famiglia imperiale.

2 Pietanze studiate

per stupire la vista sulla tavola imbandita sono disposti decine di vassoi e di portavivande in oro massiccio, regalo della famiglia imperiale alla sposa. nei banchetti di gala venivano proposte pietanze costose e splendidamente decorate, studiate per stupire i commensali prima ancora che per essere consumate.

3 Nobili travestiti

da maggiordomi a portare in tavola le vivande non era la servitù di corte bensì membri dell’alta nobiltà asburgica, per i quali rappresentava un grande onore servire la famiglia imperiale in simili occasioni. Molti di questi maggiordomi di sangue blu indossano abiti di colore nero, come prescritto dall’etichetta spagnola.

4 Musiche da banchetto

e squilli di fanfare l’intero banchetto era allietato dall’esibizione dell’orchestra di corte, che interpretava brani di Tafelmusik, ovvero “musica da tavola”. l’ingresso degli invitati nella sala era accompagnato da uno squillo di fanfare, mentre la presentazione di ogni portata era annunciata da un tintinnio di timpani.

5 Una cerimonia

aperta a tutti i Viennesi i banchetti reali erano cerimonie pubbliche a cui chiunque, purché elegantemente vestito, poteva assistere. in genere bastavano poche guardie a garantire l’ordine e la sicurezza degli invitati. il pranzo di nozze tra giuseppe ii e isabella si tenne nella redoutensaal della hofburg, una sala per le feste costruita a partire dal 1705.

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iL BaGNo di diaNa, centrotavola in avorio, oro, argento, Quarzo e Pietre Preziose del tedesco Balthasar Permoser. 1704, dresda.

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con maria teresa vienna divenne La capitaLe deLLa cuLtura europea

Maria Teresa sostenne anche le arti e la letteratura e fece di Vienna la capitale culturale d’Europa, accogliendo a corte scrittori come Metastasio e Alfieri, e compositori quali Haydn, Gluck, Salieri e Mozart. Rese Vienna una città cosmopolita, aperta ai più diversi influssi artistici, creando il mito della Felix Austria, terra in cui le riforme economiche servivano ad accrescere il benessere non solo materiale ma anche spirituale dei cittadini.

Dopo molti anni felici, tuttavia, la buona sorte voltò le spalle all’imperatrice. Nel 1761 uno dei suoi figli, Carlo Giuseppe, morì di vaiolo a 16 anni. Maria Teresa cadde in un profondo stato di prostrazione, il che non le impedì di promuovere la “variolizzazione”, una forma primitiva di vaccinazione contro la malattia, per evitarne la diffusione nell’Impero. Un colpo più duro per lei fu la morte dell’amato marito Francesco I, nel 1765, in seguito a un ictus. Due anni dopo, la stessa Maria Teresa contrasse il vaiolo, ma sopravvisse. La sua salute, tuttavia, ne risentì: “Sono più grassa della mia defunta madre”, scriveva a un’amica. “I piedi, il petto e gli occhi sono ridotti male, ma non mi lamento. Ho goduto di buona salute per cinquant’anni; è giusto che anch’io senta qualche acciacco”. Nonostante la salute precaria, Maria Teresa non tralasciò mai gli affari di Stato. Dopo la morte del marito, il potere sarebbe dovuto passare al figlio, Giuseppe II, associato al trono fin dal 1765; ma in realtà Maria Teresa rimase saldamente alla guida dell’Impero fino alla morte, avvenuta a Vienna il 29 novembre 1780, all’età di 63 anni. Con lei si estinse la dinastia degli Asburgo, sostituita dagli Asburgo-Lorena. Il poeta tedesco Friedrich Klopstock così le rese omaggio: “Dormi un sonno gentile, o la più umana, e la più grande, della tua stirpe eletta!”. 154 storica national geographic

erich lessing / alBum

Il dolore per la morte del marito


La grande saLa dei baLLi di corte come buona parte del castello di SchĂśnbrunn, residenza estiva degli Asburgo, la Grande Galleria fu costruita durante il regno di Maria Teresa, che la adibĂŹ a sala per le feste e i balli di corte.

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Andre Lebrun / Age Fotostock

i mosaici di san vitale Capolavoro dell’arte paleocristiana e bizantina, la basilica di San Vitale, a Ravenna, è impreziosita da una straordinaria decorazione musiva. Celeberrime sono le scene dei due pannelli con Giustiniano e Teodora e i loro seguiti.



bridgeman / aci

anna bolena nella torre di londra Nel 1536 Anna Bolena fu decapitata nella Torre di Londra, dopo essere stata accusata da Enrico VIII di avere avuto relazioni con cinque uomini, tra i quali il suo stesso fratello, ragion per cui all’accusa di adulterio si univa quella di incesto. Dipinto di Edouard Cibot, 1835. Museo Rolin, Autun.


per saperne di più Matthew Dennison. Castelvecchi Editore, 2013.

SAGGI La civiltà egizia. Alan Gardiner. Einaudi, 2007.

La villa di Livia. Salvatore Settis. Mondadori Electa, 2008.

ROMANZI Hatshepsut la faraona. Violaine Vanoyeke. Seam, 1999.

olimpiade SAGGI Le donne di Alessandro Magno. Valeria Palumbo. Sonzogno, 2005.

cleopatra, l’amore e il potere SAGGI Cleopatra. Ernle Bradford. Bompiani, 2002. Cleopatra. Manfred Clauss. Carocci, 2002. Le storie di Antonio e Cleopatra. Giambattista Tiepolo e Girolamo Mengozzi Colonna a Palazzo Labia. Adriano Mariuz. Marsilio, 2004. ROMANZI Io, Cleopatra. Margaret George. Sperling & Kupfer, 1999.

livia, imperatrice di fatto SAGGI Livia. La First Lady dell’impero. Anthony A. Barrett. Edizioni dell’Altana, 2006. Livia. L’imperatrice di Roma.

ROMANZI Io, Claudio. Robert Graves. Corbaccio, 2010.

zenobia SAGGI Declino e caduta dell’impero romano. Edward Gibbon. Mondadori, 1998. ROMANZI Una regina contro Roma. La caduta di Palmira. Antoine B. Daniel. Cairo Publishing, 2007.

ROMANZO Londra. Edward Rutherfurd. Mondadori, 1999.

isabella di castiglia SAGGI Isabell. Isabella di Castiglia. (Affresco storico sul 1400 in Spagna e Napoli). Arturo Bascetta. ABE, 2007.

SAGGI Galla Placidia. Antonio Collaci. Ugo Mursia Editore, 2010.

Le sei mogli di Enrico VIII. Antonia Fraser. Mondadori, 1997.

Galla Placidia. La nobilissima. Vito A. Sirago. Jaca Book, 2003.

TESTO Lettere d’amore di Enrico VIII ad Anna Bolena. Nutrimenti, 2013.

SAGGI Teodora. Ascesa di un’imperatrice Paolo Cesaretti. Mondadori, 2003. Teodora imperatrice di Bisanzio. Charles Diehl. Castelvecchi, 2015.

eleonora d’aquitania SAGGI Eleonora d’Aquitania. Régine Pernoud. Jaca Book, 2012.

elisabetta farnese

anna bolena

galla placidia

SAGGI Elisabetta Farnese principessa di Parma e regina di Spagna. Gigliola Fragnito. Viella Libreria Editrice, 2011. Fascino e potere di una regina. Elisabetta Farnese sulla scena europea (1715-1759) Mirella Mafrici. Avagliano, 1999.

maria teresa d’austria

ROMANZI Anna Bolena, una questione di famiglia. Hilary Mantel. Fazi, 2013.

SAGGI Maria Teresa d’Austria. Jean Paul Bled. Il Mulino, 2003. Maria Teresa: il destino di una sovrana. Franz Herre. Mondadori, 2000.

caterina de’ medici SAGGI Caterina de’ Medici. Ivan Cloulas. Sansoni, 1980. moneta in oro dALLA spAgnA, deL xv secoLo. su di essA sono rAFFigurAti i re cAttoLici, isAbeLLA di cAstigLiA e FerdinAndo d’ArAgonA. Museo ArcheoLogico, nApoLi.

Caterina de’ Medici. Un’italiana sul trono di Francia. Jean Orieux. Mondadori, 1987 Caterina de’ Medici. Furst Henry, Nemi Orsola. Bompiani, 2000.

La regina diffamata. La verità su Isabella la Cattolica. Jean Dumont. SEI, 2003.

SAGGI Anna Bolena. Carolly Erickson. Mondadori, 2005.

teodora

Il mecenatismo di Caterina de’ Medici. Poesia, feste, musica, pittura, scultura, architettura. Sabine Frommel, Gerharrd Wolf. Marsilio, 2008.

foto scala, firenze

la donna che fu faraone


reinhard Schmid / Fototeca 9x12

il tempio di hatshepsut A Deir el-Bahari, lungo la riva est del Nilo, la regina Hatshepsut si fece costruire un tempio funerario, noto anche come DjeserDjeseru (“il più sacro tra i sacri”). Progettato dall’architetto Senenmut, è uno dei più grandi complessi templari dell’Egitto.



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VITToRIo BEoNIo BRoCCHIERI Professore di Storia moderna (Università degli Studi della Calabria); membro del collegio della scuola di dottorato Andre Gunder Frank. Autore di: Celti e Germani. L’europa e i suoi antenati Encyclomedia Publishers.

MARINA MoNTESANo Professore di Storia medievale, Università di Messina e VitaSalute San Raffaele, Milano; membro fondatore della International Society for Cultural History. Autrice di: Da Figline a Gerusalemme. Viaggio del prete Michele in Egitto e in Terrasanta (1489-1490), Viella.

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peTer H. raven Chairman joHn m. francis Vice Chairman paul a. Baker, kamalijiT s. Bawa, colin a. cHapman, keiTH clarke, j. emmeTT duffy, carol p. Harden, kirk joHnson, jonaTHan B. losos, joHn o’lougHlin, naomi e. pierce, jeremy a. saBloff, monica l. smiTH, THomas B. smiTH, wirT H. wills



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