Storica National Geographic - novembre 2019

Page 1

L’EMBLEMA DI UN’ANTICA CIVILTÀ

90129

IL CORSARO DELLA REGINA

VIAGGI IMMAGINARI SULLA LUNA CATTEDRALI ROMANICHE

L’ARTE DEL RISVEGLIO EUROPEO

- esce il 18/10/2019 - poste italiane s.p.a spedizione in abbonamento postale d.l. 353/2003 (conv. in l. 27/02/2004 n° 46) 1 comma 1 - lo/mi. germania 12 € - svizzera c. ticino 10,20 chf - svizzera 10,50 chf - belgio 9,50 €

aut. mbpa/lo-no/063/a.p./2018 art.

FRANCIS DRAKE

9 772035 878008

periodicità mensile

I NURAGHI

N. 129 • NOVEMBRE 2019 • 4,95 E

storicang.it

LE ARTERIE DELL’IMPERO

STRADE ROMANE




Un viaggio in Giordania in esclusiva per i lettori di Storica, un’esperienza in un paese che racchiude bellezze archeologiche, naturalistiche, storiche e religiose. Oltre alla mitica Petra, la città rosa scavata nella roccia, si visitano altri Patrimoni Unesco, come i mosaici di Umm alRasas e il deserto del Wadi Rum. Imperdibili le tappe bibliche: la fortezza di Macheronte, dove Erode Antipa fece decapitare Giovanni Battista, e Gadara, dove è avvenuto il miracolo della guarigione dell’indemoniato.

PARTENZA ESCLUSIVA PER I LETTORI DI STORICA 29 DICEMBRE PREZZO FINITO VOLI INCLUSI € 2.450

RICCARDO BESANA

Profondamente attratto, sin da giovanissimo, dall'archeologia del Vicino Oriente, ha svolto attività di ricerca presso importanti siti in Siria e Turchia ed ha conseguito il dottorato in Scienze dell'Antichità. In particolare, si è interessato allo studio delle attività artigianali antiche, rapportandole al Vicino Oriente contemporaneo e moderno. Si è occupato di divulgazione archeologica collaborando alla riedizione della collana “Le Grandi Civiltà”, curando la stesura di guide specializzate.

COSA INCLUDE?

COSA NON INCLUDE?

▪ volo da Malpensa e tasse aeroportuali

▪ supplemento singola € 480

▪ esperto archeologo accompagnatore dall’Italia

▪ assicurazione annullamento

▪ guida locale parlante italiano ▪ pernottamento in hotel 4 e 5 ▪ trattamento di pensione completa ▪ assicurazione medico bagaglio ▪ visto giordano ▪ ingressi

▪ bevande ai pasti ▪ mance

INFO E PRENOTAZIONI

DAL TUO CONSULENTE VIAGGI DI FIDUCIA O SU PAREXTOUR.IT TEL. 02 92853305


EDITORIALE

CHI ARRIVA per la prima volta in Sardegna rimane spesso sorpreso di

trovarsi di fronte, quasi ovunque si giri a guardare, dei peculiari edifici in pietra, simili a torri ma dalla forma conica. Per molti, stranieri e non, la successiva sorpresa è rendersi conto di non saperne praticamente nulla. I nuraghi sono gli emblemi di una civiltà sviluppatasi nell’Età del bronzo e contemporanea a quella cretese, o minoica, ben più nota e studiata. Viene da chiedersi come mai la cultura nuragica non lo sia altrettanto, neppure nelle scuole sarde, soprattutto se si considerano alcune sue caratteristiche. Difatti nel complesso la civiltà nuragica ebbe una vita molto lunga (oltre un millennio) e ha lasciato numerosi reperti archeologici. Questi danno prova di un popolo ben organizzato che viaggiava per mare, commerciava e combatteva in difesa della sua gente e del suo territorio. Solo una parte di tali testimonianze sono giunte fino a noi: molti siti non sono stati ancora studiati per bene, spesso per mancanza di fondi. Tale carenza è purtroppo generalizzata quando si parla di patrimonio archeologico, in Italia ma non solo. Affinché i beni archeologici vengano conservati e valorizzati è fondamentale conoscerli. Negli ultimi anni i mezzi di comunicazione italiani e stranieri hanno iniziato a mostrare interesse nei confronti della Sardegna antica, specialmente grazie al recente progetto di conservazione dei “Giganti” di Mont’e Prama, anch’essi figli della civiltà nuragica. L’équipe di Storica è orgogliosa di poter contribuire alla conoscenza di questo patrimonio così vicino e così importante dedicandogli finalmente lo spazio che merita. ELENA LEDDA Vicedirettrice editoriale


12

9 ATTUALITÀ 10 GRANDI INVENZIONI La matita

Le prime matite assunsero la loro forma attuale a fine XVIII secolo.

12 PERSONAGGI STRAORDINARI I fratelli Grimm

30

Miele e cera erano indispensabili per i romani, che ammiravano l’organizzazione degli alveari.

32 VITA QUOTIDIANA

L’avvento del cinema

La loro antologia di fiabe avrebbe reso celebri Biancaneve, Hänsel e Gretel e Cappuccetto Rosso.

L’invenzione del cinematografo nel 1895 portò alla creazione di sale commerciali adatte a ogni tipo di pubblico.

18 DATO STORICO

36 FOTO DEL MESE

Il calcio nella Firenze del Rinascimento Il calcio si giocava già in epoca rinascimentale in piazza Santa Croce a Firenze.

20 EVENTO STORICO

1842, l’anno del disastro in Afganistan

28 OPERA D’ARTE Gargantua

La caricatura del re costò a Daumier sei mesi di prigione. 6 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

30 ANIMALI NELLA STORIA

Le api a Roma

Ristorante automatico Una delle realtà più caratteristiche della New York degli anni trenta del secolo scorso.

118 GRANDI ENIGMI

Il fantasma dell’Opera, mito del feuilleton

122 GRANDI SCOPERTE

Xochicalco, simbolo del Messico preispanico

128 MOSTRE


38 I NURAGHI, L’EMBLEMA DI UN’ANTICA CIVILTÀ OLTRE SETTEMILA edifici

in pietra punteggiano il panorama della Sardegna. Sono i nuraghi. Costruiti tra tra il XVI e il IX secolo a.C. e innalzati in punti strategici dell’isola sono il monumento più rappresentativo di una civiltà e di un popolo dotato di precise abilità architettoniche e organizzato in una società articolata che riusciva a sfruttare al meglio le risorse del territorio. DI ELISABETTA ALBA

NURAGHE LOSA. LA TORRE CENTRALE MISURA ATTUALMENTE 13 METRI, MA IN ORIGINE ERA PIÙ ALTA.

54 Strade romane, le arterie dell’impero Nel II secolo d.C. Roma poteva contare su 400mila chilometri di vie che attraversavano l’impero in tutte le direzioni e che furono uno strumento essenziale per la coesione di un territorio così esteso e di una struttura politica di tali dimensioni. L’impero era infatti costituito da una rete di città che si estendeva in Europa, Africa e Asia. I romani dedicarono pertanto sforzi considerevoli alla costruzione delle vie di collegamento. DI JESÚS RODRÍGUEZ MORALES

70 Cattedrali romaniche A partire dall’XI secolo nell’Europa occidentale ci fu un aumento esponenziale nella costruzione delle chiese. Tutte appartenevano allo stesso stile architettonico, il Romanico, caratterizzato dall’utilizzo dell’arco a tutto sesto e della volta a botte. DI INÉS MONTEIRA ARIAS

90 Drake, corsaro della regina Nel cinquecento la flotta della corona spagnola dominava i mari. L’Inghilterra cercò di contrastarne la supremazia grazie all’impiego di pirati provvisti di licenze per saccheggiare. Il più famoso di tutti fu senza dubbio Francis Drake. Le sue campagne di razzie seminarono il terrore nelle città delle coste iberiche. DI L. REGUEIRA Y MANUEL POGGIO

104 Viaggi sulla luna Da quando nel 1610 Galileo descrisse la luna grazie al telescopio, scienziati e scrittori iniziarono a fantasticare sulla possibilità di viaggiare fino al satellite e d’incontrarne gli abitanti. Il primo viaggio immaginario sulla luna porta una firma illustre: quella di Keplero. DI JAVIER ORDOÑEZ

OROLOGIO CON IL QUADRANTE CHE INDICA LE FASI LUNARI. XVII SECOLO. BRITISH MUSEUM.

STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

7


Licenciataria de NATIONAL GEOGRAPHIC SOCIETY, NATIONAL GEOGRAPHIC TELEVISION

storicang.it

LE ARTERIE DELL’IMPERO STRADE ROMANE

FRANCIS DRAKE

Pubblicazione periodica mensile - Anno XI - n. 129

VIAGGI IMMAGINARI SULLA LUNA CATTEDRALI ROMANICHE

L’ARTE DEL RISVEGLIO EUROPEO

I NURAGHI

L’EMBLEMA DI UN’ANTICA CIVILTÀ

NURAGHE DI SANTU ANTINE, TORRALBA (SASSARI). FUNKYSTOCK / AGE FOTOSTOCK

www.storicang.it E-mail: storica@storicang.it Esce il 20 di ogni mese

Segui Storica su Facebook. News ed eventi quotidiani anche su social network: www.facebook.com/storicang

PRESIDENTE

RICARDO RODRIGO

IL CORSARO DELLA REGINA

Editore: RBA ITALIA SRL via Gustavo Fara, 35 20124 Milano

Direttore generale: ANDREA FERDEGHINI

CONSEJERO DELEGADO

ENRIQUE IGLESIAS DIRECTORAS GENERALES

ANA RODRIGO, MARI CARMEN CORONAS

Vicedirettrice editoriale: ELENA LEDDA Grafica: MIREIA TREPAT Coordinatrice: ANNA FRANCHINI Collaboratori: LUIGI COJAZZI; MATTEO DALENA;

DIRECTOR GENERAL PLANIFICACIÓN Y CONTROL

ALESSANDRA PAGANO; ANNALISA PALUMBO AMARANTA SBARDELLA; MARTINA TOMMASI

DIRECTORA CREATIVA

Consulenti: VÍCTOR LLORET BLACKBURN (Consulente editoriale) MÒNICA ARTIGAS (Coordinamento editoriale) JOSEP MARIA CASALS (Direttore, rivista Historia) IÑAKI DE LA FUENTE (Direttore artistico, Historia)

IGNACIO LÓPEZ DIRECTORA EDITORIAL INTERNACIONAL

AUREA DÍAZ DIRECTORA MARKETING

BERTA CASTELLET JORDINA SALVANY DIRECTOR DE CIRCULACIÓN

JOSÉ ORTEGA DIRECTOR DE PRODUCCIÓN

RICARD ARGILÉS Difusión controlada por

Redazione e amministrazione: RBA ITALIA SRL via Gustavo Fara, 35 20124 Milano tel. 0200696352 e-mail: storica@storicang.it

Stampatore: N.I.I.A.G. S.p.A. Via Zanica, 92 24126 Bergamo

Distribuzione: PRESS-DI DISTRIBUZIONE STAMPA & MULTIMEDIA via Mondadori, 1 - 20090 Segrate (MI)

Pubblicità: Rita Cusani tel. 3358437534 e-mail: cusanimedia@gmail.com Registrazione presso il Tribunale di Milano n. 31 del 22/01/2009 ISSN: 2035-8784 © 2019 RBA ITALIA S.L. Questa edizione è stata pubblicata da RBA Revistas, S.A., 2019 National Geographic e la cornice gialla sono marchi registrati National Geographic Society. Tutti i diritti riservati. Direttore responsabile: Simone Bedetti

Servizio abbonamenti: Volete sottoscrivere un abbonamento a Storica? Oppure dovete segnalare un eventuale disservizio? Chiamate il numero 02 7542 9001 per tutta Italia. Il servizio è attivo da lunedì a venerdì, dalle 9.00 alle 19.00. Altrimenti inviate un fax al numero 030 7772387. Oppure inviate una mail ad abbonamenti@ mondadori.it, o scrivete a Ufficio Abbonamenti c/o CMP Brescia, 25126 Brescia.

Servizio arretrati: Avete perso un numero di Storica o un numero di Speciale di Storica? Ecco come richiederlo. Chiamate il numero 02 86896172 Altrimenti inviate una mail a collez@mondadori.it. Oppure un fax al numero 045.8884378. O scrivete a Press-di Servizio Collezionisti casella postale 1879, 20101 Milano.

NATIONAL GEOGRAPHIC SOCIETY “Suscitando interesse per l’esplorazione e la protezione del pianeta” National Geographic Society è un’istituzione scientifica ed educativa senza fini di lucro fondata a Washington nel 1888 e impegnata nell’esplorazione e nella salvaguardia del pianeta.

Interim President and CEO: TRACY R. WOLSTENCROFT BOARD OF TRUSTEES

Chairman: JEAN M. CASE Vice chairman: TRACY R. WOLSTENCROFT BRENDAN P. BECHTEL, MICHAEL R. BONSIGNORE,KATHERINE BRADLEY, ÁNGEL CABRERA, ELIZABETH (BETH) COMSTOCK, JACK DANGERMOND, ALEXANDRA GROSVENOR ELLER, JANE LUBCHENCO, MARK C.MOORE, GEORGE MUÑOZ, NANCY E. PFUND, PETER H. RAVEN, LYNDON RIVE, EDWARD P. ROSKI, JR.,FREDERICK J. RYAN, JR., ANTHONY A. WILLIAMS RESEARCH AND EXPLORATION COMMITTEE

Chairman: PETER H. RAVEN KAMAL BAWA, JUSTIN BRASHARES, RUTH DEFRIES,MARGARET HONEY, ANTHONY JACKSON, GARY KNIGHT, STEVEN R. PALUMBI, ANDREW REVKIN, JERRY A. SABLOFF, ELEANOR STERLING NATIONAL GEOGRAPHIC PARTNERS CEO GARY E. KNELL SENIOR MANAGEMENT

Chief Marketing Officer: JILL CRESS Editorial Director: SUSAN GOLDBERG General Manager NG Media: DAVID E. MILLER Global Networks CEO: COURTENEY MONROE EVP Sales and Partnerships: BRENDAN RIPP EVP Business and Legal Affairs: JEFF SCHNEIDER Head of Travel and Tour Operations: NANCY SCHUMACHER Chief Financial Officer: AKILESH SRIDHARAN BOARD OF DIRECTORS

RAVI AHUJA, JEAN M.CASE, BOB CHAPEK, NANCY LEE, KEVIN J.MARONI, PETER RICE, FREDERICK J.RYAN, JR., TRACY R. WOLSTENCROFT INTERNATIONAL PUBLISHING

Senior Vice President: YULIA PETROSSIAN BOYLE ARIEL DEIACO-LOHR, GORDON FOURNIER, ROSS GOLDBERG, KELLY HOOVER, JENNIFER JONES, JENNIFER LIU, ROSSANA STELLA

8 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC


AT T UA L I T À

GLI ARCHEOLOGI

ZUMAPRESS / CORDON PRESS

lavorano sui recipienti con i resti dei lieviti che, una volta recuperati, hanno permesso di ricreare la birra.

ANTICO EGITTO

Ricreata la birra egizia

DUE UOMINI INTENTI A PRODURRE LA BIRRA. MASTABA DI KAEMREHU, SAQQARA.

A

lcuni archeologi di The Hebrew University of Jerusalem sono riusciti a riprodurre la birra che bevevano gli antichi egizi, come hanno poi spiegato in un articolo pubblicato sulla rivista scientifica mBio. Sono riusciti a ricreare il processo di fermentazione dopo aver estratto e coltivato dei lieviti che erano sopravvissuti miracolosamente in antichissimi recipienti, allora usati per preparare e conservare la birra. È un traguardo unico nel campo

dell’archeologia sperimentale, perché è la prima volta che si ottiene l’alcool da lieviti del passato. Per portare a termine il laborioso processo di recupero dei lieviti, i ricercatori si sono avvalsi della collaborazione di esperti di un’azienda specializzata nella vinificazione in contenitori di terracotta. Oltre a ciò, per la produzione della birra egizia è stato necessario l’aiuto di un altro specialista che ha collaborato con gli archeologi nella creazione di una bevanda adatta al consumo umano.

AKG / ALBUM

Un gruppo di studiosi ha riprodotto la bevanda a partire da lieviti millenari

LA SCOPERTA DELLA BIRRA era connessa ai primi insediamenti e alle prime civiltà. Le più antiche tracce della sua lavorazione, rinvenute nel Mediterraneo orientale, risalirebbero a circa 13mila anni fa, cioè prima della nascita dell’agricoltura. In Mesopotamia si beveva birra già quattromila anni fa e in Egitto era presente perlomeno cinquemila anni fa. Nel Paese del Nilo era un elemento chiave della dieta quotidiana e le venivano attribuite funzioni terapeutiche. Finora, però, il suo sapore era rimasto un mistero.

STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

9


GRANDI INVENZIONI

La matita, una penna cancellabile 1795

ALAM

N

RDON

PRES

S

GETT

La scoperta della grafite propiziò l’elaborazione delle prime matite, che assunsero la loro forma attuale a fine XVIII secolo el 1564 una tempesta abbatté un albero nella parrocchia di Borrowdale, nell’Inghilterra settentrionale. Tra le sue radici comparve una sostanza nera, estremamente dura e fuligginosa. I pastori del luogo capirono che il materiale era ideale per marchiare le pecore. Iniziarono quindi a usarlo tagliato in blocchetti e avvolto nella stoffa o nella corda, che venivano poi svolte a mano a mano che la sostanza si consumava. La scoperta casuale della matita da parte di un semplice pastore è senz’altro una leggenda, anche se contiene un fondo di verità. Si sa infatti che attorno al

Y / CO

Y IM

AG E

S

SOPRA, L’UTENSILE PER LA SCRITTURA EVOCATO DA GESNER NEL 1656. SOTTO, IL PIÙ ANTICO ESEMPLARE DI MATITA OGGI CONSERVATO, RISALENTE AL XVII SECOLO.

1560 venne trovato a Borrowdale un giacimento di grafite incredibilmente ricco. All’inizio si credette che fosse un particolare tipo di piombo, e il materiale venne chiamato “plumbago” o “piombo nero”. In latino prese la denominazione di lapis plumbarius (pietra plumbea): da lì il termine “lapis”. Matita, invece, viene da lapis haematites (pietra di ematite), perché prima della grafite venivano usati bastoncini di carbone o di ematite. Alla fine del XVIII secolo si scoprì la vera natura di questo materiale e si coniò il termine “grafite” a partire dal greco grafein, scrivere. Gli inglesi si accorsero ben presto che le barrette

di grafite costituivano lo strumento ideale per il disegno e la scrittura, per questo le esportarono rapidamente in tutta l’Europa. Nel 1565 l’erudito svizzero Konrad von Gesner già si riferiva a «una specie di piombo che alcuni chiamano antimonio inglese» e che si usava per scrivere. Resistente, pulito e maneggevole, costitutiva il supporto perfetto per tracciare segni su carta, perché permetteva inoltre di correggere (la gomma del tempo erano le molliche del pane). All’inizio del XVII secolo il plumbago era venduto regolarmente per le strade di Londra ed era sempre più richiesto su tutto il continente.

MINIERE DI GRAFITE NELLA SIBERIA DEL XIX SECOLO. INCISIONE COLORIZZATA.

10 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

SPL / AGE FOTOSTOCK

Carpentieri e chimici Tuttavia, bisogna distinguere tra la grafite e la matita. Già nel 1565 Gesner aveva descritto uno strumento composto da un manico di legno alla cui estremità s’inseriva una punta di grafite. Presto, però, s’iniziò a cercare una soluzione che combinasse meglio la grafite e il sostegno ligneo. I modelli più antichi di nostra conoscenza, risalenti al XVII secolo, consistevano di una colonnina quadrata in legno nella quale veniva praticata un’apertura, un solco, per incastrarvi un’anima di grafite dalla sezione rettangolare. Pian piano, anche per risparmiare sulla costosa grafite inglese, quest’ultima venne tagliata in


MANO INTENTA A SCRIVERE. XVI SEC. H. HOLBEIN IL GIOVANE. MICHÈLE BELLOT / RMN-GRAND PALAIS

RIVOLUZIONE DELLA GRAFITE 1560 Circa Nel nord dell’Inghilterra si scopre un giacimento di grafite di ottima qualità che consente di scrivere e disegnare.

OXFORD SCIENCE / ALBUM. COLORE: JOSÉ LUIS RODRÍGUEZ

1683

OPERAIO di una fabbrica di matite del XIX secolo.

lamine sottili fino a ottenere quelle che oggi chiamiamo mine. La tecnica si sviluppò in diverse regioni d’Europa grazie agli artigiani che alla metà del XVII secolo avevano creato una fiorente industria. Per esempio, nel 1662 era già conosciuto a Norimberga un fabbricante di matite di nome Friedrich Staedtler, avo del fondatore del famoso marchio. Tuttavia ciò che permise l’espansione di questa industria fu la scoperta di un’alternativa alla grafite inglese. In seguito ad alcuni esperimenti avvenuti alla metà del XVII secolo, nel 1795 il chimico francese Nicolas-Jacques Conté inventò un procedimento rivoluzionario: s’im-

pastava la grafite con polvere, argilla e acqua, si versava l’impasto umido in minuti stampi rettangolari e, una volta seccato, si cuoceva in un forno ad alta temperatura. Il risultato era un materiale migliore della grafite di Borrowdale. Conté scoprì inoltre che variando le percentuali di argilla o aggiungendo la cera poteva ottenere mine più o meno dure, compensando così la porosità dell’impasto. Il metodo, perfezionato dal ceco Hardtmuth e dallo statunitense Munroe, è l’atto di nascita della matita che continuiamo a usare ancora oggi.

John Pettus fa menzione di una matita «moderna, formata da un involucro di legno, molto più utile di penna e inchiostro».

1795 Nicolas-Jacques Conté studia un metodo per ottenere mine migliori dalla mescolanza di grafite e argilla.

1812 William Munroe inventa la matita esagonale e ne meccanizza la produzione. Nel 1858 Lipman brevetta la gomma incorporata. NICOLAS-JACQUES CONTÉ IN UN RITRATTO DEL XIX SECOLO.

—Juan José Sánchez Arreseigor BR

ID

GE

MA

N/

AC I


PERSONAGGI STRAORDINARI

I fratelli Grimm, collezionisti di fiabe Nel 1812 Jacob e Wilhelm Grimm pubblicarono un’antologia di fiabe che avrebbe reso celebri in tutto il mondo le storie di Biancaneve, Hänsel e Gretel e Cappuccetto Rosso

Una vita dedicata alla letteratura 1785 Jacob nasce a Hanau. Un anno dopo sarà la volta del fratello Wilhelm. Il padre è un funzionario del principato di Hesse.

1807 circa I fratelli Jacob e Wilhelm Grimm cominciano a raccogliere le fiabe e i racconti popolari tedeschi.

1812 Alla fine dell’anno pubblicano la loro antologia di racconti, ottenendo un grande successo di pubblico.

1837 Jacob e Wilhelm sono allontanati dal posto di professori a Gottinga per aver criticato il re Ernesto Augusto I di Hannover.

1863 Jacob muore a Berlino. Quattro anni prima si era spento nella stessa città il fratello minore Wilhelm. AKG / ALBUM

12 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

N

ei primi anni del XIX secolo gli scrittori tedeschi Clemens Brentano e Achim von Arnim decisero di elaborare una raccolta di poesie basate sui racconti popolari tedeschi. Tra il 1805 e il 1808 l’antologia sarebbe stata pubblicata in tre volumi con il titolo di Il corno magico del fanciullo (in tedesco Des Knaben Wundernhorn). Brentano e Arnim facevano parte del circolo romantico di Heidelberg ed erano fedeli seguaci delle teorie di Johann Gottfried Herder. Secondo quest’ultimo la poesia era l’anima o lo spirito del popolo, ed era quindi necessario riunire le testimonianze delle letterature popolari scomparse al fine di recuperare e capire quello spirito, diverso in ogni nazione. I due amici s’impegnarono quindi nel recuperare i tesori dell’antica poesia popolare tedesca, che si credevano perduti, per riscattarli dall’oblio e restituirli alla gente. Nel 1806 Brentano scrisse da Heidelberg al cognato, Friedrich Karl von Savigny, pro-

fessore all’Università di Marburgo, per chiedergli se a Kassel conoscesse qualcuno che poteva recarsi in biblioteca a trascrivere alcune poesie antiche. Savigny pensò subito a uno dei suoi studenti, un giovane di 21 anni di nome Jacob Grimm. Questi accettò l’incarico assieme al fratello Wilhelm, di un anno più giovane.

Salvati da una zia Jacob e Wilhelm erano nativi di Hanau, nell’Assia-Kassel. A circa dieci anni Jacob e Wilhelm avevano perso il padre, di professione funzionario. Tale circostanza aveva fatto sprofondare la numerosa famiglia (in tutto erano rimasti sei fratelli vivi) in gravi difficoltà economiche. I due giovani ebbero la possibilità di studiare grazie all’aiuto di una zia, che risiedeva a corte, e quindi nel 1802 si trasferirono a Marburgo per frequentare la facoltà di diritto. Non potevano immaginare che lì avrebbero scoperto la vocazione che avrebbe guidato la loro vita. In effetti l’incarico di Brentano avrebbe portato Jacob e Wilhelm a imbarcarsi in un progetto personale molto ambizioso: compilare un’antologia di fiabe popolari, alla quale avrebbero dato il nome di Racconti di

L’incarico spinse i due a lanciarsi in un progetto che li avrebbe impegnati per tutta la vita CLEMENS BRENTANO. RITRATTO DI EMILIE LINDNER. XIX SECOLO.


PROFESSORI ACCUSATI DI SOVVERSIONE i fratelli Grimm entrarono all’Università di Gottinga per godere della pacifica esistenza propria di un professore universitario tedesco. Ciononostante la calma s’interruppe nel 1837, quando i due firmarono una lettera di protesta contro il monarca di Hannover in seguito alla sua decisione di abolire il regime costituzionale approvato quattro anni prima. Jacob, Wilhelm e altri cinque docenti vennero allontanati dal territorio di Hannover. Nella rivoluzione del 1848 Jacob fu eletto deputato all’Assemblea nazionale di Francoforte. NEL 1829

I FRATELLI JACOB (IN PIEDI) E WILHELM GRIMM, NELLA MATURITÀ. DAGHERROTIPO. 1850 CA. AKG / ALBUM

bambini e del focolare (in tedesco Kinder-und Hausmärchen). Non appena i due fratelli iniziarono a occuparsi delle fiabe, capirono che si trattava di un lascito del passato tedesco da preservare. In un’occasione Jacob affermò che non avrebbe potuto lavorare con tanto zelo su testi apparentemente così semplici se non fosse stato sicuro della loro importanza per la comprensione della poesia, della mitologia e della storia tedesche. Alla fine del 1806, o forse agli inizi del 1807, i fratelli già si dedicavano alla

raccolta. In un primo momento si concentrarono sulle storie orali, perché in tal modo avrebbero ottenuto migliori risultati, e s’impegnarono a fondo nelle ricerche per trovare nuovi cantori, soprattutto anziane donne contadine. Ma scovarle e conoscere i tanto desiderati racconti rappresentava spesso un compito irto di ostacoli.

Donne narratrici Oggi sappiamo che non tutte le fiabe dei fratelli Grimm si basano su racconti orali. Alcune erano varianti orali

e scritte di antologie già pubblicate. È il caso di quelle raccolte da madame d’Aulnoy, Charles Perrault, Gianfrancesco Straparola, Giambattista Basile e del classico della letteratura araba Le mille e una notte, così come delle prime raccolte di narrazioni tedesche di Johann Karl August Musäus e Benedikte Naubert. A ogni modo, furono più di venti le persone che li aiutarono nel progetto. Tra loro figurano le sei figlie del farmacista Wild, vicino dei Grimm a Kassel (una di loro, Henriette Dorothea Wild, avrebSTORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

13


PERSONAGGI STRAORDINARI

PIAZZA DEL MUNICIPIO nella città

TEKA77 / GETTY IMAGES

tedesca di Hanau, luogo di nascita dei fratelli Grimm. Al centro della piazza, la statua che li ricorda.

be poi sposato Wilhelm), come pure Friederike Mannel, figlia del pastore della vicina cittadina di Allendorf, le sorelle Hassenpflug, le sei figlie della famiglia von Haxthausen e anche le sorelle von Droste-Hülshoff. Una di queste ultime, Annette, sarebbe divenuta una delle poete tedesche più

importanti del XIX secolo. Tuttavia la donna che più aiutò i due fratelli fu senza dubbio Dorothea Viehmann (da nubile Pierson), figlia di un immigrante ugonotto, che risiedeva nei dintorni della città di Kassel. E quindi, tranne che per rare eccezioni, la materia prima delle fia-

DRASTICHE PUNIZIONI NELLA VERSIONE di Cenerentola del 1812, dietro il

volere della madre le sorellastre si tagliano le dita dei piedi e i talloni pur di farsi entrare la scarpetta. Inoltre, le colombe benefattrici di Cenerentola le colpiscono una all’ingresso e l’altra all’uscita della chiesa nel giorno delle nozze della ragazza, rendendole cieche a vita. COPERTINA DELL’EDIZIONE DI RACCONTI DEI GRIMM PUBBLICATA NEL 1865. NORTH WIND PICTURE / ALAMY / ACI

14 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

be giunse tramite le donne. Il dato è rilevante perché non dobbiamo dimenticare che molte di loro avevano ricevuto un’educazione alla francese, sia per la loro origine ugonotta sia perché allora era di moda educare le figlie delle classi più abbienti secondo lo stile francese. Non risulta perciò strano che alcune delle fiabe tramandate dalle donne fossero, in realtà, versioni dei racconti di fate francesi giunte in Germania attraverso diverse antologie, tra cui quella di madame d’Aulnoy. Queste versioni erano spesso utilizzate perché i bambini imparassero la lingua del vicino Paese. Ma ancor più importante è forse il fatto che le narratrici delle fiabe non fossero



PERSONAGGI STRAORDINARI

BRIDGEMAN / ACI

I FRATELLI GRIMM ascoltano Dorothea Viehmann mentre recita un racconto per bambini. Olio di Louis Katzenstein. XIX secolo.

vere e proprie contadine, bensì donne dell’alta borghesia dotate di una buona formazione. Alla fine del 1812 i Grimm pubblicarono la loro antologia grazie all’accordo raggiunto da Achim von Arnim con uno stampatore di Berlino. Il riconoscimento non si fece attendere, e il 14 ottobre dello stesso anno Wilhelm Grimm scriveva al fratello: «I racconti ci hanno reso famosi in tutto il mondo». Una ragione di tale successo risiede nella rigorosa fedeltà con cui i Grimm riprodussero le fiabe, senz’aggiungere nulla che non fosse già presente nella narrazione originale. I fratelli si sentivano al di sopra di filologi, collezionisti, novellatori e difensori di quel tesoro popolare, in contrasto perciò con i loro predecessori. Questi ultimi avevano infatti lavorato in modo molto libero sulle testimonianze della produzione 16 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

popolare dandogli una forma chiaramente letteraria, in accordo con le antologie di racconti italiani e francesi che circolavano per tutta la Germania.

Successo immediato Per circa quarant’anni continuarono a uscire varie edizioni dell’opera. Dal 1807 al 1810 fu Jacob a lavorare di più sui racconti e a cominciare a pubblicarli su riviste e almanacchi come testimonianza della sopravvivenza orale di antichi miti ed epopee teutonici. Tuttavia sarebbe stato Wilhelm a pubblicarli in un secondo momento su almanacchi per bambini, ponendo le basi per quello che sarebbe divenuto il loro pubblico principale. Wilhelm limò lo stile, e a volte ritoccò alcuni dettagli della storia che non sarebbero stati del tutto adatti ai giovani lettori. Per esempio, nella prima versione di Biancaneve la regina catti-

va non era la matrigna della bambina, bensì la madre, e nell’edizione del 1812 di Hänsel e Gretel era la madre e non la matrigna a mandare i bambini nel bosco perché vi morissero di stenti o divorati dalle belve. L’insieme della compilazione scientifica di Jacob e della rielaborazione stilistica di Wilhelm produsse la magnifica opera che tutti conosciamo e che occupa un posto così importante nella letteratura occidentale. Ed è così che le fiabe dei Grimm col tempo sono diventate l’opera tedesca più pubblicata e tradotta di tutti i tempi. —Isabel Hernández Per saperne di più

FIABE

Fiabe Jacob e Wilhelm Grimm. Rizzoli, Milano, 2017. Le più belle fiabe dei fratelli Grimm Gribaudo, Milano, 2019.


San Paolo Patrimonio celebra i 500 anni dalla morte di Raffaello con un’opera da collezione! Bellezza, equilibrio, armonia… Le magnifiche opere di Raffaello sono immortali! Ritratti di grande realismo, naturalezza dei colori, un equilibrio che tende alla perfezione… sono molte le cose che si possono cogliere ammirando i dipinti di Raffaello. La Madonna della seggiola, la Dama con liocorno, La scuola di Atene, L’incendio di Borgo… sono opere entrate di diritto nella storia dell’arte e che rendono Raffaello uno dei grandi artisti del Cinquecento. Il maestro che più di tutti ha ricercato la bellezza nell’arte e ci ha restituito opere perfette, indimenticabili, che potrai ammirare in questo splendido e unico volume!

EDIZIONE NUMERATA E LIMITATA

UN’ESCLUSIVA

Chiedi subito informazioni senza impegno!

PER TE IN REGALO

CARATTERISTICHE VOLUME ■ Solo 300 esemplari numerati con certificato notarile ■ 304 pagine - formato cm 25x33,5 ■ Rilegatura in piena pelle bordeaux con trance in oro a caldo ■ Bassorilievo in bronzo massiccio applicato sulla copertina ■ Espositore in plexiglass con snodo rotante

la stampa su tela di lino della Scuola di Atene

Regalo non condizionato all’acquisto

CHIEDI SUBITO INFORMAZIONI SENZA IMPEGNO!  800.669.899  clienti.spp@stpauls.it  propostespp.it/raffaello

INFORMATIVA PRIVACY - REGOLAMENTO EU 679/2016 La presente informativa è resa ai sensi dell’art. 13 del Regolamento EU 679/2016 da Editoriale San Paolo srl, con sede in Piazza San Paolo, 14, 12051 Alba (CN), titolare del trattamento e dalla contitolare San Paolo Patrimonio srl con sede legale Piazza Soncino 5, 20092 Cinisello Balsamo (Mi), al fine di dar corso alla tua richiesta di informazioni sui nostri prodotti editoriali e il loro eventuale acquisto e/o l’acquisto di quadri, oggettistica e/o abbonamenti alle riviste del Gruppo. Il trattamento dei tuoi dati personali si baserà giuridicamente sul rapporto contrattuale che verrà a crearsi tra te e il titolare del trattamento e/o contitolare e sarà condotto per l’intera durata, dalla presa in carico fino alla consegna, per un ulteriore periodo di tempo previsto da eventuali obblighi di legge. Il titolare del trattamento ha nominato un Data Protector Office (“DPO”) raggiungibile al seguente recapito email: dpo@stpauls.it . Potrai sempre contattare il titolare o contitolare del trattamento all’indirizzo e-mail privacy@stpauls.it nonché reperire la versione completa della presente informativa all’interno della sezione “Privacy” del sito www.sanpaolopatrimonio.it dove troverai tutte le informazioni sull’utilizzo dei tuoi dati personali, i canali di contatto, nonché tutte le ulteriori informazioni previste dal Regolamento ivi inclusi i tuoi diritti, il tempo di conservazione dei dati e le modalità per l’esercizio del diritto di revoca.

Tagliando richiesta informazioni Da spedire in busta chiusa a: San Paolo Patrimonio, via Masero, 55 - 10010, Scarmagno (TO)

Sì,

desidero ricevere, senza alcun impegno da parte mia, tutte le informazioni sull’opera Raffaello, il Principe delle Arti. Riceverò le informazioni e la stampa su tela di lino de La Scuola di Atene in regalo direttamente da un vostro incaricato (previo appuntamento telefonico).

Cognome Nome CAP Prov.

Località Tel.

Scrivere in stampatello

SAM

Firma ________________________________________________________________________________________________ L’offerta è valida fino al 31/12/2019. Ai sensi del Regolamento EU 679/2016, previa lettura dell’informativa riportata su www.sanpaolopatrimonio.it/privacy:  acconsento al trattamento dei miei dati personali  rilascio il consenso per informazioni pubblicitarie e/o offerte di vendita sui prodotti SAN PAOLO PATRIMONIO e di prodotti del Gruppo Editoriale, quali attività di marketing  rilascio il consenso per l’elaborazione di studi e statistiche e attività di profilazione a cura del Gruppo Editoriale San Paolo


DATO S TO R I CO

Il calcio nella Firenze del Rinascimento Il calcio si giocava già durante il Rinascimento per divertire nobili e popolo, e lo si faceva in uno stadio d’eccezione: piazza Santa Croce a Firenze.

I

l calcio moderno così come lo conosciamo è nato in Inghilterra verso la fine del XIX secolo, ma i giochi con la palla sono molto più antichi. Nelle differenti versioni che si sono succedute nei secoli, dalla Grecia classica al periodo romano, ce n’è una che seppe unire l’amore del pubblico con un’immagine di grande prestigio: il calcio fiorentino.

Le prime testimonianze a Firenze risalgono al XIV secolo, ma è nel XVI e nel XVII secolo che questo sport conobbe la sua più grande fortuna. Inizialmente veniva praticato un po’ dove capitava, nelle piazze e nelle strade della città però, a mano a mano che si affermava, trovò una collocazione stabile in piazza Santa Croce. Nello stesso periodo il calcio fiorentino codificava anche le sue regole. Le squadre erano composte da ventisette giocatori, che si muovevano in uno spazio appena più piccolo degli attuali campi da calcio ed erano suddivisi in ruoli definiti: ben quattro portieri (“datori indietro”), tre terzini (“datori innanzi”), cinque mediani (“sconciatori”) e, come piacerebbe ad alcuni allenatori moderni, addirittura quindici attaccanti (“innanzi”).

Il gioco dei calci Il giorno della partita i giocatori arrivavano in piazza Santa Croce verso metà pomeriggio per la presentazione al pubblico – pomposa, disciplinata e corredata di trombe e tamburi – e poi entravano in campo in base al loro ruolo nel gioco. Questa sfilata era parte integrante dell’evento, tanto che nel suo trattato sul calcio del 1580, Giovanni UN GIOCATORE DI CALCIO VENEZIANO CON LA SUA CARATTERISTICA UNIFORME ASSIEME A UN PALLONE. INCISIONE A COLORI. MUSEO CORRER, VENEZIA. SCALA, FIRENZE

LA SCA

, FI

RE

NZ

E

CERCHIO CHE SEGNAVA LA METÀ DEL CAMPO. PALAZZO DELL’ANTELLA, FIRENZE.

Bardi dedica quasi la metà delle regole all’organizzazione dell’ingresso in campo dei giocatori. I cinquantaquattro si affrontavano molto virilmente («ardito qual un tigro o leo», dirà il cronista dell’epoca Avellini) per poco meno di un’ora. L’obiettivo era cercare di portare la palla oltre una linea in fondo al campo avversario facendo così “caccia”, cioè gol. Secondo le regole, si poteva toccare il pallone con le mani, ma doveva essere lanciato coi piedi: da qui il nome “calcio”. Un ulteriore fallo oltre a quello laterale si verificava quando la palla veniva alzata «oltre l’ordinaria statura di un uomo». Ogni partita era un evento che richiamava un enorme pubblico di tifosi, tanto che il cronista Avellini annotava che al calcio d’inizio pareva che tremasse tutta la provincia. È giunta fino a noi anche un’incisione raffigurante una partita in cui, oltre alla folla che gremiva la piazza, vi erano anche molti tifosi appollaiati sui tetti dei palazzi adiacenti. Tuttavia, restava uno sport nobile, giocato spesso da aristocratici che ostentavano le loro lussuose uniformi nelle partite di “calcio in livrea”. Per quanto riguarda lo sfoggio di coraggio, brutalità e l’allenamento del corpo e dello spirito, ricordava i tornei medievali. Furono i Medici i grandi promotori di questa disciplina, coloro che si riservavano una tribuna d’onore nelle partite più importanti e


PARTITA DI CALCIO

disputata in piazza Santo Spirito a Firenze. Giorgio Vasari. XVI Secolo. Palazzo Vecchio, Firenze.

SCALA, FIRENZE

che inscenavano attraverso tale divertimento la rappresentazione del loro potere. Sembra che Piero de’ Medici fosse un appassionato giocatore. E non solo: Leonardo era un tifoso e Machiavelli lo praticava. Si diceva che pure diversi papi, come Clemente VII (che era anch’egli un Medici), Leone IX e Urbano VIII smettessero gli abiti sacri per giocare in Vaticano. Come succede con il calcio moderno, anche nel calcio fiorentino alcune partite sono entrate nella storia. Una fu giocata sull’Arno ghiacciato, un’altra fu indetta per festeggiare il matrimonio fra Ferdinando de’ Medici e Violante Beatrice di Baviera. Tuttavia

quella più famosa ebbe luogo nel 1530. Già da otto mesi Carlo V assediava la città e i fiorentini, affamati ed esausti, ebbero un moto d’orgoglio prima di capitolare. Organizzarono una grande partita in piazza Santa Croce e fecero squillare le trombe perché le armate asburgiche capissero che dentro le mura loro avevano ancora le forze per divertirsi. Nonostante i diversi colpi di cannone esplosi per farli smettere, gli assediati ebbero il coraggio di continuare a giocare e a suonare le trombe fino alla fine dell’incontro. Il calcio era un’occasione speciale per la nobiltà fiorentina al fine di rin-

forzare la propria coscienza di comunità chiusa che reggeva le sorti della città: il popolo veniva invitato come spettatore ma escluso poi dai banchetti e dai balli che seguivano. Questa messa in scena era particolarmente efficace anche davanti agli ospiti stranieri. Anziché alle più comuni rappresentazioni teatrali o alle sfilate militari, questi avevano la possibilità di assistere a un evento squisitamente fiorentino che sarebbe rimasto impresso nelle menti come parte delle tradizioni orgogliose di una città famosa in tutta Europa. —Giorgio Pirazzini STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

19


DATO S TO R I CO

1842, l’anno del disastro in Afghanistan La Prima guerra afgana fu un susseguirsi di errori da parte dei militari britannici che portò al massacro del loro esercito lungo la via tra Kabul e Jalalabad

I

l 13 gennaio 1842 sugli spalti della fortezza di Jalalabad le sentinelle inglesi avvistarono in lontananza un cavaliere solitario. Su due piedi non si scomposero più di tanto, pensando si trattasse di una staffetta. Poi però, a mano a mano che la distanza si riduceva, osservando il modo in cui l’uomo si teneva in sella compresero che c’era qualcosa di anomalo. Diedero l’allarme e una pattuglia a cavallo uscì dal forte per capire cosa stesse accadendo.

20 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

Quando i cavalleggeri giunsero a pochi metri di distanza si resero conto che si trattava di un militare inglese ferito e prossimo al collasso. Immediatamente soccorso, l’uomo fu portato in infermeria. Solo allora il dottor William Brydon – questo il nome dello sventurato – fu in grado di rivelare la sua identità e raccontare la sua esperienza. I presenti rimasero scioccati: era l’unico sopravvissuto di un’armata inglese che era stata massacrata da bande di guerrieri afgani.

Si trattava di una delle più gravi disfatte patite dal glorioso esercito di Sua maestà nel XIX secolo. L’evento rappresentò l’episodio chiave dell’invasione dell’Afghanistan da parte dell’esercito britannico. Conosciuta anche come Prima guerra afgana, si svolse tra il 1839 e il 1842 (la seconda e la terza ebbero luogo nel 1878-1880 e nel 1919). Il conflitto era a sua volta parte del processo di costruzione dell’impero britannico in Asia. Nei decenni precedenti praticamente l’intero subcontinente india-


DATO S TO R I CO I RESTI DI UN ESERCITO.

BRIDGEMAN / ACI

Così la pittrice Elizabeth Butler intitolò questo dipinto a olio che mostra l’arrivo di William Brydon a Jalalabad. 1879.

I DOMINI BRITANNICI IN INDIA NELLA SECONDA METÀ DEL XIX SECOLO.

SCONTRO FRA IMPERI

ALAMY / CORDON PRESS

GLI INGLESI finirono per chiamarlo “il grande gioco”, per i russi invece

no era passato in mano inglese, portando a crescenti tensioni con un altro impero emergente, quello russo. In tale ottica l’Afghanistan acquisì un valore strategico cruciale in quanto territorio di confine tra imperi. Il Paese era un regno indipendente che soffriva di un’instabilità politica cronica a causa delle lotte interne e delle interferenze esterne, in particolare quelle persiane. Per fare dell’Afghanistan un baluardo contro l’espansionismo degli zar, il cui vero fine era ottenere uno

era “il torneo delle ombre”. Due modi originali e all’apparenza innocui per definire l’aspro conflitto che opporrà l’impero britannico e quello zarista nel corso dell’intero XIX secolo, sia nel teatro mediorientale sia in Asia centrale. Una lotta che vide gli inglesi costantemente impegnati a impedire che i russi aprissero uno sbocco al mare e minacciassero così il loro monopolio in India, la gemma della corona britannica.

sbocco sull’oceano Indiano, nel 1839 il governatore generale dell’India, lord Auckland, prese una decisione avventata: inviare un contingente militare a Kabul. La missione era quella di rovesciare l’emiro regnante, Dost Mohammed Khan, e sostituirlo con un sovrano di sua fiducia, Shuja Shah, rimosso dal trono anni prima.

Dalla politica all’invasione Le operazioni militari, affidate alla cosiddetta “armata dell’Indo”, furono inizialmente coronate dal successo. La conquista di Kandahar prima e Ghazni poi aprirono le porte di Kabul, che fu

Gli inglesi volevano sostituire l’emiro afgano con qualcuno di loro fiducia DOST MOHAMMED KHAN. INCISIONE. A

LB

UM

abbandonata dall’emiro. Questi cercò di sollevare il suo popolo contro gli occupanti, ma nel novembre del 1840 fu catturato e mandato in esilio in India. Suo figlio Mohammed Akbar Khan tuttavia riuscì a rifugiarsi nel Turkestan, da dove incominciò a tramare contro gli odiati occupanti. Per gli inglesi la situazione a Kabul rimase alquanto instabile per poi degenerare a partire dall’autunno del 1841, complice la crisi economica in cui versava il Paese. Inoltre, i rapporti tra le truppe di occupazione e la popolazione erano pessimi a causa delle reiterate accuse ai soldati di non avere rispetto per le donne locali. Eppure Macnaghten, che era stato scelto come capo della missione, non sembrò dare peso a questi segnali. E non lo fece neppure quando, il 2 novembre, un’improvvisa rivolta culminò nell’assalto alla sede del reggente britannico Alexander Burnes, che fu STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

21


DATO S TO R I CO

linciato dalla folla insieme al fratello. Per quanto alla fine gli assalitori fossero stati respinti, né Macnaghten né il generale Elphinstone, che comandava l’Armata dell’Indo, presero alcun provvedimento per cercare di rasserenare gli animi. La situazione, in ogni caso, era insostenibile e i britannici si resero conto che dovevano uscire da quel

ALAMY / CORDON PRESS

UNA SESSANTINA di membri del 44° reggimento di fanteria britannico, circondati alla periferia del villaggio di Gandamak, si batterono fino a essere completamente massacrati. Olio di William B. Wollen. 1898.

ginepraio. Nel frattempo nel Paese era rientrato Akbar. Abile e crudele, il figlio di Dost Mohammed fomentò la ribellione agendo con doppiezza: da una parte garantì agli inglesi la possibilità di abbandonare Kabul in tutta sicurezza, dall’altra fece assassinare lo stesso Macnaghten nel corso di un incontro per trattare i termini della

ACCERCHIATI

Ritirata fatale

presa in ostaggio dagli afgani, lasciò un resoconto della ritirata inglese. «Era come una scena delle crociate», scrisse sottolineando il vantaggio degli afgani che li bersagliavano dalle alture circostanti. LADY SALE,

RITIRATA DEL 1842. LITOGRAFIA DEL XX SECOLO. BRIDGEMAN / ACI

22 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

ritirata. La situazione avrebbe potuto essere ancora risolta se, come suggerito dai suoi ufficiali, Elphinstone avesse ordinato di attaccare i ribelli, in quel momento ancora disuniti. Tuttavia il suggerimento non fu raccolto. Non solo: rassicurato di poter rientrare in India, il generale acconsentì a consegnare ai ribelli tutta l’artiglieria di cui disponeva. Un errore madornale visto che i cannoni erano l’unico deterrente per scongiurare possibili attacchi. Il 6 gennaio 1842 le forze inglesi lasciarono Kabul per mettersi in marcia verso Jalalabad, situata circa 120 chilometri più a est. A 4.500 militari si accodarono 12mila civili prima residenti in città. E a quel punto scattò la trappola. Fin da subito per la carovana fu un autentico supplizio: chi non morì di stenti dovette fare i conti con la de-



DATO S TO R I CO

terminazione dei ribelli, intenzionati a prendersi la loro rivincita. La colonna fu soggetta a continue imboscate predisposte dalle tribù. Grazie ai loro micidiali fucili a canna lunga queste tempestarono di proiettili gli inglesi (che non disponevano di fucili con una gittata simile) senza correre alcun rischio di essere colpiti. Fu un vero e proprio tiro al bersaglio. Un disperato Elphinstone veniva costantemente rassicurato da Akbar sul fatto che stava facendo quanto in suo potere per tenere a freno le tribù, ma si trattava di una menzogna bella e buona. Alcuni testimoni riferirono di averlo udito ordinare ai suoi di risparmiare gli inglesi in persiano, per poi incitarli al massacro in pashtun, la lingua locale. Quando infine lo stesso generale inglese fu catturato a tradimento insieme a molti alti ufficiali (Elphinstone sarebbe morto nei mesi successivi), la 24 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

INSIGHTS / GETTY IMAGES

VISTA DI KABUL, che gli inglesi abbandonarono nel 1842 e ripresero l’anno successivo. In primo piano, mausoleo del sultano Mohammed Khan, fratello di Dost Mohammed.

ritirata assunse i caratteri di una rotta disperata. Se per i civili non c’era più possibilità, alcune unità militari cercarono di aprirsi una via di fuga combattendo. Fu il caso del 44° reggimento di fanteria, che riuscì ad arrivare al villaggio di Gandamak prima di essere massacrato fino all’ultimo uomo, quando ormai era a meno di cinquanta chilometri da Jalalabad. Stessa sorte per un drappello di cavalleggeri che fu attirato con la promessa di cibo nel villaggio di Fatehabad.

Un unico sopravvissuto Solo uno di loro riuscì a scampare all’eccidio e fu proprio Brydon. Come ricorda lo storico Peter Hopkirk, per molte notti «a Jalalabad fu tenuto acceso un gran fuoco presso la porta di Kabul […] per guidare eventuali sbandati che cercassero […] di raggiungere la città col favore delle tenebre». Nessuno

sarebbe mai arrivato. L’intera Inghilterra rimase impietrita di fronte alla portata del disastro. Da allora questo tragico evento sarebbe stato ricordato come Marcia della morte. Kabul venne riconquistata dagli inglesi solo nell’autunno successivo grazie all’invio di un potente esercito. Ma si trattava di una breve parentesi; la difficoltà di conservare un Paese così turbolento portò a giungere a patti con il deposto Dost Mohammed. Il quale, liberato dal suo esilio indiano, tornò in patria con tutti gli onori per riprendere il suo posto sul trono. —Nicola Bernardini Per saperne di più

SAGGI

Il Grande Gioco Peter Hopkirk. Adelphi, Milano, 2004. Pax Britannica James Morris. Rizzoli, Milano,1983.





AKG / ALBUM

O P E R A D ’A R T E

28 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC


honoré daumier

( 1 8 3 1)

Gargantua Approfittando della libertà di stampa in vigore in Francia dal 1830, Daumier realizzò una caricatura al vetriolo di re Luigi Filippo che gli costò sei mesi di prigione

D

eridere il potere è alla portata di tutti. Ma fare di questa trasgressione un’opera d’arte capace di attraversare i secoli senza perdere di attualità è un risultato che solo i grandi artisti possono raggiungere. Luigi Filippo di Borbone-Orléans, re di Francia dal 1830 al 1848, era già stato preso di mira da Charles Philipon sulle pagine della sua rivista, La Caricature. Qui il disegnatore aveva trasformato il volto paffuto del sovrano, con il classico toupet riccioluto e le lunghe basette, in una pera. Sarà però Honoré Daumier a esasperare il monarca con la sua eccezionale e spietata satira, pubblicata il 15

dicembre 1831. In essa l’artista ricorre a un’antica tradizione popolare, carnevalesca e scatologica per ritrarre il re con le sembianze di un grottesco Gargantua, il gigante protagonista del celebre romanzo di Rabelais. L’immenso e vorace sovrano-pera è raffigurato seduto su un trono-gabinetto, intento a ingurgitare le risorse della nazione per poi defecarle sotto forma di privilegi destinati alle grandi fortune. Se si osserva attentamente l’immagine, sulla destra si può scorgere un gruppo di cittadini stremati che s’inerpicano su una rampa per trasportare sacchi di denaro verso le insaziabili fauci del panciuto e avido monarca.

Le classi produttive, esauste, hanno a malapena le risorse per nutrire la prole, come dimostra la donna seduta con un bambino in braccio. Nel frattempo l’alta borghesia, vestita con grande sfarzo, controlla che nemmeno un franco sfugga alla presa della corona. La ricompensa è poter raccogliere a piene mani i regi escrementi, trasformati in privilegi ministeriali. Questo esempio di coraggio e impertinenza valse all’artista una condanna a sei mesi di carcere. Ma la sua illustrazione continuò a rappresentare un esempio di critica allo sperpero e all’ambizione dei potenti. —Roberto Fandiño

STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

29


ANIMALI NELLA STORIA

S

in dai tempi preistorici gli uomini hanno sempre preferito le api agli altri insetti in virtù dei due elementi che le api producono e immagazzinano negli alveari: il miele e la cera. Già nell’arte mesopotomica, in quella egizia e nell’antica Grecia compaiono diverse scene di raccolta del miele. Nel 1843 a Oliena, in Sardegna, fu rinvenuta una statuetta di 16 cm in bronzo raffigurante un uomo nudo con il corpo coperto di api. La sua datazione non è certa, ma è probabilmente anteriore alla conquista dell’isola da parte dei romani (238 a.C.). Tuttavia è a Roma che il rapporto tra uomini e api si fa

più stretto. La cera viene usata nella cosmetica e nelle tavolette per la scrittura; contemporaneamente assume grande importanza il consumo di miele. Non solo si usa come dolcificante, ma viene impiegato anche come ingrediente fondamentale di parecchi unguenti usati nella medicina popolare. Non a caso figura spesso nelle ricette attribuite al gastronomo Apicio. Non è perciò strano che Plinio il Vecchio affermi che fra tutti gli insetti il primato va alle api. Lo scrittore ne fornisce una lunga descrizione e ne riporta le abitudini nella sua Naturalis historiae, dove aggiunge che risvegliano una particolare ammirazione perché

AND -GR MN

/R

UX

Miele e cera erano indispensabili nella vita quotidiana dei romani, che ammiravano l’organizzazione delle api negli alveari, simili a piccole “città”

PALA IS

Le api, una benedizione per i romani FRA

NC

KR

A

INCISIONE DI UN’APE PROVENIENTE DA CARTAGINE. MUSÉE D’ARCHÉOLOGIE NATIONALE, PARIGI.

sono «le sole di questa specie generate a vantaggio degli uomini. Raccolgono il miele e il succo dolcissimo e delicatissimo e molto salutare, modellano i favi e le cere per i mille usi della vita, sopportano la fatica, compiono lavori, hanno uno stato, anche consigli in privato, ma capi nelle schiere e, cosa che è massimamente straordinaria, hanno abitudini al di là degli altri, non essendo né del genere domestico né selvatico». Plinio cita diversi trattati di apicoltura e descrive nel dettaglio le abitudini di questi insetti. Malgrado si sapesse molto sul comportamento sociale di questi insetti, gli autori antichi pensavano che l’ape regina fosse un maschio, errore che sarebbe stato confutato solo nel XVII secolo. Erroneamente credevano anche che le celle dei favi avessero sei lati perché ogni ape vi lavorava con una delle sei zampe.

Pulite e laboriose

MIELE IN UNA PITTURA A MURO NELLA CASA DEI CERVI A ERCOLANO. MUSEO ARCHEOLOGICO NAZIONALE, NAPOLI. BRIDGEMAN / ACI

30 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

Nel suo testo, Plinio fornisce la chiave dell’importanza economica delle api, forse alla base della loro immagine lusinghiera comune a tutte le culture antiche. A esse si attribuivano virtù umane come la laboriosità, il coraggio o la pulizia, ed erano inoltre associate alla regalità. Ne è prova il fatto che, come narra la Historia Augusta, tra i vari presagi che annunciano l’ascesa al trono di Antonino


CONSIGLI PER IL BUON APICOLTORE NELLE GEORGICHE Virgilio rac-

UIG / ALBUM. COLOR: JOSÉ LUIS RODRÍGUEZ

ILLUSTRAZIONE DEL IV LIBRO DELLE GEORGICHE, DI VIRGILIO, DEDICATO AL MONDO DELLE API E ALL’APICOLTURA. EDIZIONE DEL XVIII SECOLO.

coglie diversi consigli per gli apicoltori: «Si deve anzitutto cercare per le api un luogo e una dimora, dove non batta il vento [...] Ma vi siano invece accanto sorgenti limpide [...] una palma o un grande oleastro che ombreggino l’entrata». Una volta scelto il sito, «quando uscite dalle celle ne vedrai uno sciame nuotare alto verso le stelle del cielo nell’aria trasparente dell’estate [...] spargi gli aromi suggeriti dall’uso, la melissa tritata, l’erba comune di cerinta e intorno desta squilli [...] si fermeranno per natura in quei luoghi cosparsi di profumo».

Pio nel 138 d.C. figurano «sciami di api che coprirono le sue statue per tutta l’estensione del Paese». Inoltre simboleggiavano la fertilità. Per questo ricorrono quale elemento decorativo nelle raffigurazioni di Artemide all’interno del tempio di Efeso, una delle sette meraviglie dell’antichità. Nelle sculture della dea, la sua tunica è ricoperta di esseri mitologici, elementi floreali e animali tra i quali risaltano le api. Nella mitologia greco-latina le api sono inoltre gli uccelli delle muse, le divinità ispiratrici dell’arte. Testimoniano l’importanza dell’apicoltura autori come Varrone o Vir-

gilio, i quali vi dedicano dei capitoli nelle proprie opere, equiparandola alla coltivazione della vite o dei cereali. Varrone afferma che le api vivono in «città simili a quelle degli uomini», perché «vi si trova un re, un governo e una società». Ed elogia anche la loro pulizia, giacché «non ricercano se non ciò che è puro» e non si fermano «in un luogo impuro, o di cattivo odore».

Un libro tutto per loro L’organizzazione sociale delle api viene lodata anche dal poeta latino Virgilio nelle Georgiche, il cui quarto libro è dedicato interamente a questi insetti. Lo scrittore fornisce consigli sul loro

AKG / ALBUM

RECIPIENTE E CUCCHIAIO PER IL MIELE DEL III SECOLO D.C. HESSISCHES LANDESMUSEUM, DARMSTADT.

allevamento e ne descrive le abitudini. Virgilio ritiene che siano gli unici animali a vivere in società, a essere governati da leggi, ad avere una dimora fissa e a organizzare il lavoro in estate per prevenire il rigore dell’inverno. Tutte queste virtù, inoltre, secondo lui sono state concesse da Giove, padre di tutti gli dei. Le api lo avrebbero nutrito nella grotta Dittea dove Rea, la madre, lo aveva nascosto affinché non subisse la sorte dei fratelli: essere divorato dal padre Crono. Dei piccoli animali, quindi, degni perfino degli dei. —María José Noain STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

31


V I TA Q U OT I D I A N A

Il cinema, l’avvento del grande schermo Dopo l’invenzione del cinematografo del 1895 vennero fondate sale commerciali adatte a ogni tipo di pubblico sala del Grand Café parigino la prima proiezione commerciale della storia. Lo spettacolo era costituito da dieci brevi film, ciascuno non più lungo di un minuto. Anche se quello del cinema non fu un successo travolgente fin dall’inizio, la voce non tardò a spargersi. Settimane più tardi già si formavano le prime file per assistere al nuovo, rivoluzionario spettacolo.

Un nuovo intrattenimento Dopo quel primo traguardo i Lumière cercarono di creare un circuito che permettesse al cinematografo di circolare. Mandarono in giro per l’Europa e per il resto del mondo delle équipe di operatori affinché girassero nuovi film e allestissero proiezioni. Poiché i primi spettatori provenivano dalle classi più abbienti, gli operatori dei Lumière affittavano i seminterrati degli hotel e vi proiettavano sia i film realizzati sul posto sia

ATTRARRE IL PUBBLICO INDIPENDENTEMENTE dai Lumière, dal 1896 l’americano Lyman H. Howe organizzò delle proiezioni ambulanti in cui presentava film di attualità, su temi locali o di viaggio. Per aumentare l’attrattiva dei suoi film di “alta classe” includeva svariati effetti sonori. LOCANDINA DI LYMAN H. HOWE. 1898 CA. UIG / ALBUM

32 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

IL CINEMATOGRAFO BRIDGEMAN / ACI

N

egli anni novanta del XIX secolo, all’apogeo della Belle Époque, le grandi città dell’Europa e del Nuovo Mondo offrivano al pubblico gli spettacoli più disparati. A Parigi il professor Émile Reynaud presentava pantomime luminose nel Musée Grévin, il mago Georges Méliès proiettava diapositive nel suo teatro di magia Robert-Houdin e al cabaret Le Chat Noir le ombre cinesi erano il preludio all’esibizione delle ballerine di cancan. Non è quindi strano che i luoghi dell’ozio si chiamassero “teatri di varietà”. Quando, nel 1895 i fratelli Lumière misero a punto il cinematografo, ne intuirono subito le potenzialità quale nuovo spettacolo di massa. Infatti il 28 dicembre dello stesso anno, pochi mesi dopo aver proiettato per alcuni intellettuali di Parigi e di Bruxelles il film Sortie de l’usine Lumière à Lyon (Uscita dalla fabbrica Lumière a Lione), organizzarono in una

Lumière nel 1897. Fu la prima sala di proiezioni ad aprire a Parigi.

quelli del repertorio. In tale modo il cinema giunse anche in Italia, a Roma, Milano e Torino. Se a Roma e a Milano i Lumière si affidarono ad alcuni dei loro rappresentanti, a Torino, in virtù della vicinanza con la Francia, i fratelli si recarono di persona a inaugurare il cinematografo nel marzo 1896. Sempre nella città piemontese, nel novembre dello stesso anno fu proiettato nella centralissima via Po il primo spettacolo a pagamento d’Italia. Poco dopo fu il turno di Milano e Roma, dove la sala di proiezioni di Luigi Topi e Henri Le Lieure avviò la diffusione del cinema nel Paese. Con l’obiettivo di soddisfare


V I TA Q U OT I D I A N A

un pubblico meno abbiente venivano effettuate alcune proiezioni nei baracconi delle fiere, dove il cinema conviveva con donne barbute e lanciatori di coltelli. Ma erano soltanto soluzioni provvisorie perché, al pari degli altri spettacoli di massa della Belle Époque, il cinematografo aveva bisogno di uno spazio stabile. Nel 1896 i fratelli Lumière costruirono una struttura a Lione, e poco dopo adibirono allo stesso scopo tre locali di Parigi. Ciononostante fu negli Stati Uniti che si sviluppò il primo sistema di sale commerciali: a partire dal 1905 vennero inaugurate le popolari sale

Le buone maniere nella sala da cinema LA MASSIFICAZIONE fece sì che

le sale si riempissero di un pubblico popolare che, a volte, si comportava come se fosse al cabaret. Nel 1912 due newyorchesi, John D. Scott e Edward van Altena, decisero di proiettare prima del film una serie di diapositive con alcune norme da seguire durante lo spettacolo: alle signore veniva richiesto di togliersi i cappelli per non coprire la visuale agli spettatori della fila dietro, si proibiva di

fischiare e parlare a voce alta, s’invitava ad applaudire solo con le mani, a non arrivare al posto oltre i tre minuti dalla pausa e a non sbadigliare.

BETTMANN / GETTY IMAGES STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

33


V I TA Q U OT I D I A N A

COPERTINA DI LE PETIT JOURNAL SUL DISASTRO DEL BAZAR DE LA CHARITÉ.

CATASTROFE DEL BAZAR IL 4 MAGGIO 1897 a Parigi si ten-

Nickelodeon, il cui nome fondeva la parola del costo del biglietto (la moneta di cinque centesimi, il nickel) e il termine odeon, che indicava l’edificio greco dedicato al canto e alla poesia. Nei primi tempi le sale erano spazi attrezzati nella parte anteriore di un locale commerciale, ragion per cui non potevano ospitare più di duecento persone. Ben presto, però, ne sorsero altre più grandi, in grado di accogliere fino a mille spettatori. Disponevano di un grande schermo, un pianoforte che copriva il rumore del proiettore e le file di sedie in legno. Il successo fu strabiliante, e nell’arco di pochi anni,

PHOTOS 12 / ACI

ne un evento di beneficenza noto come Bazar de la Charité. Due pionieri del cinema, Henri Joly e Ernest Normandin, organizzarono una serie di proiezioni dei Lumière, a 50 centesimi a ingresso. Durante lo spettacolo i tecnici usarono un cerino per provare a riaccendere una lampada a etere, provocando così una deflagrazione che si espanse immediatamente nella zona circostante. Il fuoco uccise circa 130 persone, la grandissima maggioranza delle quali erano donne, quasi tutte benestanti. La stampa accusò gli uomini in loro compagnia di essere scappati e li soprannominò «marchesi della fuga». L’episodio spinse gli imprenditori a raddoppiare le misure di sicurezza.

nelle grandi città statunitensi se ne cominciarono a contare a decine. Nei primi decenni del XX secolo le avanguardie architettoniche si dedicarono anche a progettare sale cinematografiche. Gli imprenditori del settore, sempre attenti ai guadagni, fondarono i “palazzi del cinema”, veri e propri monumenti ben distinguibili nel paesaggio urbano. A fianco di questi edifici in stile Art Nouveau ne nacquero altri ispirati all’antico Egitto, alla Cina imperiale e ai templi greci, mescolanze esotiche che convissero con le opere artistiche più innovatrici. Nel 1916 Le Corbusier disegnò il cine-

La gente aveva l’impressione che la celluloide avesse catturato la realtà BRIDGEMAN

/ AC I

34 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

BOBINA DI UNA PELLICOLA DA 35 MM NELLA SUA SCATOLA METALLICA.

ma La Scala, nella località svizzera di La Chaux-de-Fonds; nel 1919 il parigino Robert Mallet-Stevens progettò la sala Cine 37 di Parigi, simile ai padiglioni per l’Esposizione Universale, e nel 1926 l’olandese Theo van Doesburg, professore del Bauhaus, decorò con pitture astratte il ciné-dancing del café de L’Aubette, a Strasburgo.

Un pubblico entusiasta Il pubblico rimase incantato dal cinema perché questo faceva sì che le immagini potessero prendere vita. Nel buio, su una parete bianca, le macchine circolavano di fretta, le onde cullavano le barche e il treno pareva scagliarsi sulla gente. Si aveva quasi l’impressione che la celluloide avesse catturato la realtà. Gli spettatori potevano riconoscersi nelle scene domestiche: giocavano partite a carte, ridevano allo scherzo dell’innaffiatore innaffiato, si sbalordivano per la demolizione e la


INTERNO DI UN CINEMA

GRANGER / AURIMAGES

di New York non meglio identificato. Siamo negli anni venti ed è in corso la proiezione di un film di Buster Keaton. Fotografia colorizzata.

ricostruzione di un muro… Il fascino del cinema passò quindi spontaneamente di bocca in bocca. Non solo: esso contribuì alla fiducia nel progresso che caratterizzò la società degli anni precedenti alla Grande guerra. La critica non gli risparmiò le lodi. Un giornalista di Le Radical affermò: «Abbiamo toccato l’illusione della vita reale». Un altro collega del Chicago Chronicle scrisse: «Non avevamo mai visto un’attrazione così divertente per le masse». Il critico di La Poste si spinse ben oltre: «Quando noi tutti riusciremo a filmare i nostri cari in movimento, la morte smetterà di essere assoluta». Tuttavia al cinema vennero rivolte pure critiche negative. In certi paesini nel cuore dell’Europa i contadini, istigati da alcuni preti, scorsero nel cinematografo una trovata del diavolo e cercarono di distruggere quella macchina demoniaca. Nelle città l’aristocrazia lo disprezzava poiché lo

considerava un passatempo plebeo, mentre i più poveri non riuscivano a permettersi il biglietto. Dopo uno spettacolo a San Pietroburgo uno scrittore del calibro di Maksim Gor’kij ebbe a dire, confuso: «La notte scorsa sono stato nel regno delle ombre». La diffidenza degli intellettuali scemerà a mano a mano, non appena il cinema comincerà a essere apprezzato dalle avanguardie parigine e russe, dal futurismo italiano e dalla Generazione del ’27 in Spagna.

Divertimento innanzitutto Tra alcune delle reazioni contro il cinema, una delle più aneddotiche avvenne in Messico. Nel 1896 gli operatori della casa Lumière, Veyre e Bon Bernard, mostrarono lo strumento al dittatore Porfirio Díaz, che rimase piacevolmente sorpreso all’idea di rivedersi su uno schermo e li autorizzò a proiettare i film nel Paese. Il pubblico accorreva

numeroso presso la drogheria Plateros e nel Salón Rojo della capitale, e ne usciva entusiasta. Finché un paio di film suscitarono grandi proteste. In uno di questi, due attori vestiti da deputati si battevano in un duello con le pistole: la controversia tra realtà e finzione generatasi portò alla prima censura cinematografica nel Paese. In un altro, un soldato veniva fucilato: la morte in diretta non fu ben recepita. La gente intendeva il cinema come uno spettacolo divertente. Nessuno voleva andare a vedere la morte, bensì a godere della gioia di vivere. —Pedro García Martín Per saperne di più

SAGGI

Storia del cinema Fernaldo Di Giammatteo. Marsilio, Venezia, 2010. L’avventura del cinematografo Sandro Bernardi. Marsilio, Venezia, 2016.

STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

35


LA FOTO DEL MESE

AUTOMAT. RISTORANTE AUTOMATICO DI NEW YORK, SULLA 8TH AVENUE, N. 977. FOTOGRAFIA DI BERENICE ABBOTT. 1936.


RISTORANTE AUTOMATICO UNA DELLE REALTÀ più caratteristiche della New York degli anni trenta erano i ristoranti automatici o automat. All’entrata una cassiera cambiava le banconote o le monete in nichelini da 5 centesimi. I clienti trovavano poi davanti a sé una fila di distributori ordinati a seconda del tipo di pasto. Non appena introducevano un nichelino nella fessura, la finestrella si apriva e potevano prelevare il piatto che veniva subito rimpiazzato dagli impiegati al lavoro dietro le macchine. Questi ristoranti furono molto popolari negli anni della Grande depressione perché consentivano di mangiare per meno di un dollaro. Entrarono in declino con la successiva diffusione dei fast food. SPL / AGE FOTOSTOCK


I NURAGHI PREZIOSI SIMBOLI DI UN’ANTICA CIVILTÀ Tra il XVI e il IX secolo a.C. in Sardegna si sviluppa una delle culture più singolari di tutto il Mediterraneo antico. Viene definita nuragica dal nome attribuito al suo monumento più rappresentativo, il nuraghe


SANTU ANTINE

La torre centrale di questo edificio superava in origine i 25 metri di altezza. Nella foto, una delle tre torri laterali che la circondano. XV secolo a.C. Torralba. FUNKYSTOCK / AGE FOTOSTOCK


D DEA / ALBUM

isseminati in tutta la Sardegna, i resti di circa settemila nuraghi si fondono con gli elementi naturali del paesaggio. Perché questi edifici sono stati costruiti? E quale cultura li ha prodotti? Nell’immaginario collettivo la questione è ancora avvolta nel mistero. Tuttavia, la voce degli archeologi è unanime su una genesi autoctona delle comunità nuragiche scaturita dalle strutture sociali di epoca eneolitica, ovvero risalenti al III millennio a.C. Il termine “nuraghe” ha un’etimologia complessa che aiuta a fare luce sulla funzione di queste costruzioni. Gli studi linguistici hanno inizialmente suggerito che derivasse da nur, ovvero mucchio, cavità. Ma la radice orientale del termine significherebbe anche luce o fuoco, in riferimento al focolare domestico e allo spazio abitativo. Di recente si è invece preferito associare il termine nuraghe a un edificio murario o torre in muratura. I nuraghi sono infatti colossali edifici di rocce sedimentarie o vulcaniche, generalmente formati da una o più torri troncoconiche.

Una dimora e un rifugio DONNA IN PREGHIERA

Figura femminile in bronzo di 17 cm. Gli occhi cavi erano adatti a ospitare bulbi oculari realizzati forse in pasta vitrea. Museo archeologico nazionale, Cagliari.

La fervente attività archeologica di quest’ultimo secolo ha permesso di risalire allo scopo di questi edifici. Soltanto alcuni irriducibili continuano ad abbracciare la suggestiva ipotesi che fossero luoghi di culto oppure tombe monumentali. La comunità scientifica ritiene invece, con voce pressoché unanime, che fossero destinati a un uso abitativo e difensivo. Come accade in tutto il Mediterraneo, a partire dall’Età del

C R O N O LO G I A

L’ORIGINE DEI NURAGHI

DEA / SCALA, FIRENZE

rame e soprattutto durante l’Età del bronzo – quando secondo diversi archeologi ebbe origine il termine nuraghe – anche in Sardegna si svilupparono nuovi tipi di comunità umane basate su un’organizzazione interna capace di sfruttare al meglio le risorse economiche del territorio e di

1700-1400 a.C.

1400-1200 a.C.

1200-950 a.C.

Bronzo medioNuragico I. Hanno origine e si sviluppano i protonuraghi. Ha inizio l’edificazione di strutture monotorre a tholos.

Bronzo recenteNuragico II. Proliferano i nuraghi a tholos, a partire dalle forme semplici sino a quelle più complesse.

Bronzo finaleNuragico III. Si continua a costruire monumenti con copertura a tholos. Alcuni edifici esistenti vengono ampliati e ristrutturati.


coordinare quelle umane. Prova evidente di tale struttura è proprio la realizzazione di queste costruzioni.

Gli abitanti della Sardegna nuragica hanno eretto questi monumenti servendosi di una progettualità degna delle opere architettoniche moderne, che si è evoluta signi-

SU NURAXI

Il nuraghe risale al XIV sec. a.C. mentre il villaggio circostante fu costruito intorno all’XI-X secolo a.C.

950-510 a.C.

510-238 a.C.

Prima età del FerroNuragico IV. Non si costruiscono più nuraghi, ma si utilizzano quelli esistenti; alcuni ospitano ambienti legati al culto.

Seconda età del FerroNuragico V. Questo periodo viene anche definito “punico” per la dominazione cartaginese in Sardegna.

ficativamente nel corso del tempo. Le prime edificazioni civili dell’epoca sono note come protonuraghi. Viste le relazioni culturali e commerciali con altri popoli del Mediterraneo, non si esclude che queste prime costruzioni abbiano subito l’influenza di stimoli esterni all’isola. Tuttavia è stato dimostrato che, nonostante una certa somiglianza, presentano in realtà differenze strutturali significative rispetto ai monumenti megalitici di altre regioni europee e mediterranee. Al giorno d’oggi si conservano solo poche centinaia di protonuraghi o nuraghi arcaici. La gran maggioranza di quelli tutt’ora esistenti appartiene a un’altra tipologia, quella a tholos, detta anche dei nuraghi classici. Di fatto questi ultimi rappresentano l’emblema di questa


UNA DELLE TORRI DI SU NURAXI DI BARUMINI. SONO EVIDENTI LE APERTURE RICAVATE NELLE PARETI.

antica civiltà.Entrambe le tipologie hanno in comune la struttura muraria, realizzata con blocchi di pietra di grandi e medie dimensioni. I blocchi venivano più o meno sbozzati e, in una fase successiva, collocati intercalandoli con pietre più piccole. Queste ultime avevano la funzione di colmare gli spazi vuoti e di rendere la muratura più solida.

ULLSTEIN BILD / GETTY IMAGES

Dalla pietra al monumento

SU NURAXI DI BARUMINI, PATRIMONIO DELL’UNESCO UBICATO NELLA SARDEGNA centro-meridionale, è diventato Patrimonio dell’Unesco nel 1997. Si tratta di un nuraghe complesso costituito da una torre centrale e da quattro torri angolari e per questo definito “quadrilobato”. È circondato da un antemurale munito di torrette e da un villaggio piuttosto esteso. Gli scavi condotti nel corso del secolo scorso da Giovanni Lilliu, l’archeologo che ha scoperto il sito e tuttora è considerato il padre dell’archeologia sarda, hanno permesso d’identificare varie fasi costruttive. Nell’insediamento sono stati rinvenuti anche diversi reperti che permettono di fare luce sull’organizzazione della società in epoca nuragica.

Con il passare del tempo la tecnica muraria si è evoluta raggiungendo la massima perfezione nell’Età del bronzo recente e finale. È in Età nuragica che, allo scopo di rinforzare la struttura, s’iniziano a prevedere pareti costituite da due file di pietre affiancate e incastrate fra loro. Successivamente le pareti venivano assemblate grazie a un’anima di pietrame minuto, che ne aumentava la stabilità. È stato ipotizzato anche l’uso di malta di fango come cemento. Appare verosimile anche che gli ambienti fossero rivestiti internamente con strati di argilla o altro materiale isolante, come ad esempio sughero o legno, per proteggere gli interni dalle intemperie.

Le differenze strutturali tra le due categorie risultano evidenti. I protonuraghi hanno origine nel Bronzo medio (1600 a.C. circa) e presentano una pianta ellittica o quadrangolare. Si tratta di edifici massicci, che non superano i 10 metri d’altezza. La muratura occupa la maggior parte dello spazio e gli ambienti interni sono costituiti principalmente da corridoi e da vani molto piccoli dotati di soffitti tabulari. La parte superiore termina con un terrazzo, che doveva ospitare piccole strutture abitative in legno, di cui si sono riscontrate tracce. Gli archeologi parlano di almeno cinque categorie di protonuraghi, che troverebbero corrispondenza in altrettante fasi evolutive. I nuraghi a tholos, invece, si sviluppano tra il Bronzo medio e il Bronzo recente e quello finale (1400–950 a.C.). Qui le pareti si restringono progressivamente fino a chiudersi formando una pseudocupola (o tholos). Tale caratteristica è all’origine del nome di questa categoria di nuraghi. È proprio la particolare


ULLSTEIN BILD / GETTY IMAGES

copertura, tipica di alcune zone dell’Egeo, che ha dato adito all’ipotesi secondo cui i monumenti sardi derivino da costruzioni greche. Tuttavia, l’ipotesi è ormai superata. Le differenze tra le costruzioni delle due aree geografiche sono infatti sostanziali: quelle sarde sono interamente in muratura, mentre le greche sono ipogeiche – sotterranee – o sostenute da un tumulo. Inoltre, le datazioni indicano una maggiore antichità dei tholoi nuragici. Questi ultimi sono caratterizzati dalla presenza di ampie camere circolari disposte su diversi piani. Gli edifici sono più alti e snelli rispetto ai protonuraghi. Possono essere semplici, ovvero costituiti da un’unica torre troncoconica, o complessi, cioè composti da una torre centrale detta mastio e da

una o più torri laterali, fino a un massimo di cinque, unite tra loro da robusti bastioni.

Abili e meticolosi La costruzione dei nuraghi era basata su precise competenze tecniche. Ad alcuni di quelli semplici, ad esempio, sono state successivamente aggiunte delle torri laterali. In altri casi si coglie invece l’esistenza di un progetto unitario iniziale di nuraghe complesso, con il mastio centrale, le torri e il bastione.

UN PUNTO DI CONTROLLO

Dal nuraghe Su Nuraxi di Barumini, ubicato su un altopiano di circa 240 metri di altitudine, si dominava su tutto il territorio circostante.

NEI NURAGHI A THOLOS ERANO PRESENTI CAMERE CIRCOLARI CHE SI DISTRIBUIVANO SU DIVERSI PIANI E A CUI SI ACCEDEVA TRAMITE SCALE IN PIETRA O IN LEGNO


NURAGHE LOSA

Abbasanta. Il suo nome significa “nuraghe delle tombe” e si deve alle urne funerarie romane ritrovate nei pressi del sito archeologico. Si tratta di un nuraghe trilobato – con tre torri laterali. Intorno sorgeva il villaggio ma gli archeologi hanno potuto realizzare gli scavi solo in una piccola parte. Nella foto si possono ammirare il mastio e le tre torri laterali. La torre centrale misura attualmente 13 metri, ma in origine era più alta.


ALAMY / ACI


1259

Numero di nuraghi nella provincia

Barumini Località

Su Nuraxi Nuraghi più importanti Provincia

MA R

Tavolara

Arzachena La Maddalena

Nuraghe La Prisgiona

279

OLBIA-TEMPIO

ALAMY / ACI

VOLTA A THOLOS DEL NURAGHE IZZANA, UNO DEI MEGLIO CONSERVATI DELLA ZONA DELLA GALLURA, NEL NORD-EST DELL’ISOLA. XV SECOLO A.C.

CARTOGRAFIA: EOSGIS.COM

VANI INTERNI E FALSE CUPOLE LA CAMERA CON VOLTA A THOLOS è caratterizzata

dal progressivo aggetto delle pareti – ovvero da un’inclinazione verso l’interno – ottenuto disponendo i massi in filari orizzontali concentrici che restringono gradualmente il proprio diametro a mano a mano che si procede verso l’alto. Ognuno sporge di qualche centimetro verso l’interno rispetto a quello sottostante. Questo tipo di copertura viene definita anche a “falsa cupola” o “pseudocupola” poiché viene chiusa con un’unica lastra di copertura quando il diametro raggiunge la minima circonferenza possibile. I vani interni dei nuraghi complessi, disposti su più piani, presentano generalmente questo tipo di copertura.

In entrambi i casi si presume che i nuragici tracciassero la pianta con uno strumento in legno o metallo (che fungeva da compasso) e che già in origine prevedessero il posizionamento delle camere e di altri spazi interni, come le scale. Con l’aiuto di rampe e terra-

pieni facevano scivolare i massi su pali di legno fino a che questi raggiungevano la quota desiderata. Successivamente li sovrapponevano per formare dei filari orizzontali rientranti rispetto a quelli sottostanti. Di solito lavoravano contemporaneamente alla muratura esterna e a quella interna. La varietà nella distribuzione dei nuraghi sul territorio sardo e la loro diversa complessità strutturale forniscono un indizio chiave sulle finalità originarie di ciascuno


TI

R

GOLF O D I

GO

NO

RE

800

SE

I

O

I DI C A G L IA R 289

CAGLIARI

290

O OR

LF

CARBONIAIGLESIAS

Nuraghe Arrubiu

OGLIASTRA

Orroli

Barumini

836

Su Nuraxi

NUORO

271

MEDIO CAMPIDANO

Abbasanta

Nuraghe Losa

1745

1259

O R I S TA N O

Torralba Torralba

Nuraghe Santu Antine

SASSARI

Nuraghe Palmavera

E

DE

N

O

O

Alghero G OLF

L L’ AS

IN AR

A

MA

R

ME

D

IT

E

R

R

A

Asinara

di essi. Alcuni sorgono in territori isolati e aridi, altri sulle coste dell’isola e, altri ancora, in mezzo a vallate e pianure.

Edifici molto diffusi La Sardegna è disseminata di siti risalenti all’epoca nuragica. Ne sono stati catalogati più di settemila, alcuni in ottime condizioni.

vocazione economica, ovvero ricche di risorse agropastorali e di fonti di approvvigionamento idrico. In questo caso si tratta per lo più di

vere e proprie fortificazioni, forse residenze del capo tribù e della sua famiglia. Al giorno I nuraghi a tholos di tipo semplice, ad esempio, d’oggi le informazioni sugli uomini e le donerano di solito situati in posizione elevata su ne dei nuraghi sono poche dato che i reperti terreni dalle scarse potenzialità economiche e ossei conservatisi sono molto scarsi. Gli studi generalmente privi di un villaggio circostante. antropologici hanno dimostrato che la statura Dato che venivano collocati in vista di altri media degli uomini era di 166 cm e quella delle edifici di tipo complesso, vanno considerati donne di 153. Sappiamo anche che spesso gli come generiche torri di avvistamento, che facevano probabilmente parte di una più ampia I NURAGHI A THOLOS COMPLESSI ERANO rete di controllo territoriale. Diversa era sicuramente la funzione dei VERE E PROPRIE FORTIFICAZIONI E SPESSO nuraghi a tholos di tipo complesso, che ve- ERANO CIRCONDATI DA VILLAGGI nivano edificati normalmente in aree ad alta COSTITUITI DA CAPANNE DI PIETRA

Torri e fortificazioni

Sant’Antioco

San Pietro


COM’È FATTO UN NURAGHE COMPLESSO

caratterizzati da una torre centrale, il mastio 1, e un massimo di cinque torri laterali 2 unite tra loro da robusti bastioni 3 rettilinei o curvilinei, i nuraghi complessi sono dotati di diverse camere. Vi si accede attraverso un corridoio di lunghezza variabile e grazie a una scala d’andito 4 ricavata nello spessore murario. Questa conduce agli ambienti superiori e al terrazzo 5 con andamento elicoidale poiché segue il profilo della muratura. Generalmente i nuraghi complessi sono circondati dall’antemurale, una cinta difensiva che spesso racchiudeva anche una parte del villaggio.

5

4

3

1

2

ILLUSTRAZIONI: LOREM IPSUM FRANCESCO CORNI. COLORE: SANTI PÉREZ


1

2

Passo a passo. Il mastio di Su Nuraxi –costruito tra il 1500 e il 1300 a.C.– era alto 18,60 metri. Si componeva di tre camere sovrapposte voltate a tholos. Tra il 1300 e il 1100 a.C. vennero aggiunte le torri laterali e parte delle costruzioni esterne. Dal 1100 a.C. s’iniziò a costruire il villaggio che crebbe fino all’epoca punica e romana, nel III secolo a.C.

Doppio paramento. Le mura erano costituite da due file di pietre affiancate e incastrate fra loro, assemblate in un unico blocco grazie a un’anima formata da pietrame minuto. All’interno delle mura si snodavano le scale o delle nicchie.

3

Blocchi sbozzati. I massi erano di natura sedimentaria o vulcanica a seconda del tipo di roccia presente nelle vicinanze. Quelli più grandi venivano posti alla base e i più piccoli si utilizzavano a mano a mano che si procedeva verso l’alto.

4

La copertura a tholos. Era ottenuta con pietre disposte a filari orizzontali che restringevano gradualmente il proprio diametro sino a raggiungere la minima circonferenza possibile sulla quale veniva poggiata un’unica lastra di chiusura.


ANNA SCARPA. FONDAZIONE ALGHERO - MUSEI EVENTI TURISMO ARTE

INTERNO DELLA CAPANNA DELLE RIUNIONI DEL NURAGHE DI PALMAVERA. LA RICOSTRUZIONE MOSTRA IL TETTO DI PAGLIA E CANNE, LE PARETI E IL FOCOLARE.

MARCO ANSALONI

UN LUOGO PER DECIDERE, AMMINISTRARE, PREGARE ALCUNE CAPANNE avevano una finalità pubblica: si

trovavano sia all’interno di abitati sia nei siti a carattere cultuale. Lì i personaggi più autorevoli della comunità si riunivano in assemblea per discutere di problemi riguardanti la collettività. Oltre a essere la sede di riunioni amministrative e giuridiche, si ipotizza che questi ambienti assolvessero anche funzioni religiose. La capanna delle riunioni del nuraghe Palmavera, ad Alghero, presenta una pianta circolare di dimensioni maggiori rispetto alle altre del villaggio. All’interno del vano, lungo il perimentro interno, si trova un sedile cilindrico e al centro torreggia un modello di nuraghe nel punto in cui vi era un focolare centrale. Il tetto – qui ricostruito – era di paglia e canne.

edifici che costruivano erano circondati da villaggi piuttosto estesi e articolati, costituiti da capanne realizzate in pietra o, più raramente, in mattoni di fango. Durante le prime fasi dell’epoca nuragica le abitazioni erano dotate di un unico vano; a partire dall’Età del ferro lo spazio interno inizia a venir distribuito in vari settori. È a questa fase che si datano alcune capanne a pianta irregolare, talvolta quadrangolare. Nonostante l’originaria funzione abitativa e difensiva dei nuraghi, a partire dalla seconda metà del X secolo a.C. in alcuni casi la struttura degli edifici viene modificata per ospitare ambienti legati al culto. Tra le fasi di sviluppo e quelle di decadenza la civiltà nuragica dura complessivamente oltre un millennio. In un arco di tempo così ampio


è verosimile che le comunità locali abbiano assistito a profondi mutamenti sociali, economici e culturali, all’abbandono di territori divenuti ostili per l’impoverimento delle risorse disponibili e all’occupazione di zone più adeguate alle nuove esigenze. La distribuzione dei nuraghi complessi è indice di un sistema gerarchizzato, nel quale esistevano dei centri principali e altri di ordine inferiore, di solito in comunicazione tra loro. Così era possibile vigilare su tutto il territorio: lungo le coste si controllavano gli approdi marittimi, mentre nelle zone più interne si tenevano al sicuro i luoghi in cui si svolgevano le attività quotidiane. Questa rete di costruzioni che per decenni ha affascinato gli archeologi è l’espressione di una società ben strutturata. Nei nuraghi la

comunità aveva la propria casa e ad essi affidava la difesa della propria identità. Oggi questi edifici sono l’emblema della civiltà che li ha creati, dimora e presidio della sua storia. ELISABETTA ALBA ARCHEOLOGA

Per saperne di più

SAGGI

La Sardegna nuragica. Storia e materiali Alberto Moravetti, Elisabetta Alba, Lavinia Foddai (a cura di). Carlo Delfino Editore, Sassari, 2014. Il tempo dei nuraghi Tatiana Cossu, Mauro Perra, Alessandro Usai (a cura di). Ilisso, Nuoro, 2019. La Sardegna nuragica. Società, religione, vita quotidiana Francesca Mulas. Arkadia, Cagliari, 2015. INTERNET

Ricostruzione in 3D di Su Nuraxi http://www.barumini.altervista.org/ Nuraghi_04/Eugenio_Nuraghi_04.html

SANTU ANTINE

I corridoi dei nuraghi venivano spesso ricavati dentro le mura. Nella foto, l’interno del nuraghe Santu Antine a Torralba. XV secolo a.C.


w

L’EREDITÀ DI UNA SOCIETÀ COMPLESSA

UN RITRATTO DI FAMIGLIA

Statuetta di bronzo che raffigura una donna con un giovane adulto. X-VII secolo a.C. Museo archeologico nazionale, Cagliari. 10 cm circa.

I reperti dell’Età nuragica giunti fino ai nostri giorni raccontano la storia di un popolo ben organizzato che viaggiava per mare, commerciava e combatteva per la difesa delle sue genti e del suo territorio.

IL CAPO TRIBÙ DI UTA

IL NURAGHE DI OLMEDO

Questo bronzo del X-VII secolo a.C. lo ritrae con mantello, scettro e spada. Museo archeologico nazionale, Cagliari. 40 cm.

Modellino di nuraghe quadrilobato dotato di una torre centrale molto alta. X-VII secolo a.C. Museo archeologico nazionale, Sassari. 25,8 cm.

LA NAVE E LE COLOMBE

DEA / ALBUM, TRANNE LA NAVE E GUERRIERO: SCALA

Simbolo dei legami tra le civiltà nuragiche e gli altri popoli del Mediterraneo, questa navicella in bronzo si conserva nel Museo archeologico nazionale di Cagliari. 20,5 X 10,3 cm.


IL MUFLONE SARDO

UN GUERRIERO ECCEZIONALE

Piccola capra selvatica autoctona della Sardegna. Bronzetto votivo del X-VII secolo a.C. Museo archeologico nazionale, Sassari. 14 cm.

Figura in bronzo di un eroe con quattro braccia e quattro occhi. X-VII secolo a.C. Museo archeologico nazionale, Cagliari. 19,5 cm

CERAMICHE DECORATE

Brocca nuragica monoansata a collo trasverso, con imboccatura obliqua e disegni geometrici. Museo archeologico Genna Maria, Villanovaforru.


L E   A R T E R I E   D E L L’ I M P E R O

STR ADE ROMANE L’impero romano era costituito da una vasta rete di città che ruotava attorno al Mediterraneo e si estendeva in Europa, Africa e Asia. Le vie di collegamento erano fondamentali per l’esistenza di quell’enorme struttura politica


UNA STRADA IN ORIENTE

L’ultimo tratto della via che univa le città romane di Antiochia (attualmente in Turchia) e Berea (odierna Aleppo, in Siria) era lastricato. JAMES L. STANFIELD / NGS


LA VIA APPIA

La costruzione di questa strada di 212 km che collegava Roma e Brindisi fu avviata dal censore Appio Claudio Cieco nel 312 a.C. Quattro secoli più tardi lo scrittore Publio Papinio Stazio la definì «la regina delle strade».


Q

uando si parla di strade romane si cita spesso il detto popolare secondo cui «tutte le strade portano a Roma». Ed è vero che sull’Urbe convergevano da ogni punto cardinale le vie lungo cui si spostavano militari e civili, mercanti e trasportatori, politici di provincia a caccia di opportunità di carriera e poeti in cerca di un pubblico

più ampio per le loro opere. Le strade infatti rappresentarono un elemento vitale per la civiltà romana in quanto ne permisero prima di tutto l’espansione. Poi, una volta pacificati i territori di nuova conquista, divennero le arterie attraverso cui circolavano i beni e i servizi indispensabili alla sussistenza di quella grande confederazione di città. Nel II secolo d.C. l’impero romano poteva contare su una rete viaria di circa 400mila chilometri di strade che si diramava in ogni direzione, dalla Scozia alla Mesopotamia, dalla Romania al deserto del Sahara. Dalla stessa Urbe partivano circa trenta vie dirette in tutta Italia, molte delle quali portavano i nomi dei loro committenti – come l’Appia, l’Aurelia e la Claudia – o della loro destinazione – per esempio l’Ardeatina, la Campana e la Prenestina.

La via Appia

RICCARDO AUCI

Parlare di queste strade richiama alla mente le immagini della via Appia antica, lastricata con grandi rocce basaltiche dette basoli. Molto tempo dopo la sua costruzione, ormai nel VI secolo d.C., lo storico bizantino Procopio ne fa una descrizione ammirata:

«La sua larghezza è capace di due carri che vadano in direzione opposta; fra tutte è d’assai la più cospicua, poiché Appio fece trasportare colà, cavandola da altra regione discosta, tutta la pietra, che è pietra molare e di dura consistenza, quale punto non si trova nel paese stesso. Levigate ed appianate le pietre e tagliatele ad angolo le combinò fra loro senza frapporvi cemento né altro, e quelle stanno unite, aderenti così saldamente che a chi le vede non pare siano combinate, ma formino un solo assieme». E conclude Procopio: «Malgrado il molto tempo passato, e l’essere state giornalmente calcate da tanti carri e giumenti d’ogni sorta, avvenne che in alcun modo fosse turbata la loro compagine, né che alcuna fosse spezzata o consunta, o perdesse alcunché della sua nitidezza». Questa descrizione ampia e dettagliata sembra esprimere lo stupore del viaggiatore di fronte a un’opera eccezionale, superiore alle normali

C R O N O LO G I A

450 a.C.

43 a.C.

20 a.C.

69 d.C.

PER LE STRADE DI ROMA

Le leggi delle Dodici Tavole stabilivano la larghezza minima della carreggiata.

Il secondo triumvirato obbliga i senatori ad assumere i costi della manutenzione stradale.

Augusto istituisce i curatores viarum per gestire la manutenzione delle strade.

Icelo percorre 1.900 km in sette giorni per avvisare Galba della morte di Nerone.

GROMA. RIPRODUZIONE DELLO STRUMENTO TOPOGRAFICO UTILIZZATO DAI ROMANI PER TRACCIARE LE STRADE. DEA / ALBUM

DEA / ALBUM

LA STELE DI APPIO CLAUDIO

Da questo patrizio eletto censore nel 312 a.C. prendono il nome le due opere da lui promosse: la via Appia e l’Aqua Appia, il primo acquedotto romano.


Deva Victrix (Chester) Isca Dumnoniorum (Exeter)

OCEANO ATLANTICO Brigantium (A Coruña)

Eburacum (York) Londinium (Londra)

Gesoriacum (Boulogne-sur-Mer) Lutetia (Parigi)

Impero romano (II secolo d.C.) Strade principali

Colonia Claudia Ara Agrippinensium (Colonia) Mogontiacum (Magonza)

1 2 3 4 5

Argentoratum (Strasburgo)

Augusta Domizia Aurelia Appia Postumia

6 7 8 9

Popilia Emilia Egnatia Julia Augusta Cassia

Lugdunum (Lione)

Mediolanum (Milano) 5 Aquileia Tolosa Verona Viminacium 2 Genua 7 (Kostolac) (Genova) 9 MAR NERO Bononia Salonae Caesaraugusta Narbo Martius Massilia Olisipo (Bologna) (Salona) (Saragozza) (Narbona) (Marsiglia) (Lisbona) Toletum Tarraco 3 Dyrrachium Sinope (Toledo) (Tarragona) Roma Byzantium Emerita Augusta (Durazzo) 8 4 Brundisium (Bisanzio) 1 (Mérida) Nicomedia Corduba (Brindisi) Neápolis (Izmit) Thessalonica (Cordova) (Napoli) Hispalis Pergamum Tarentum (Salonicco) 6 (Taranto) (Siviglia) Carthago Nova (Pergamo) Tarsus Panormus Athenae (Cartagena) (Tarso) Ephesus (Palermo) (Atene) Tingis (Efeso) Messana (Tangeri) Antiochia Corintus (Messina) Carthago Cesarea Iol Rusadir (Corinto) (Cartagine) (Cherchell) Syracusae (Melilla) (Siracusa) Hadrumetum (Susa) MAR MEDITERRANEO Tyrus (Tiro) Cirene (Shahat) Leptis Magna Alexandria (Alessandria) Burdigala (Bordeaux)

ROMA

CHILOMETRO ZERO

QUANDO NEL 20 A.C. Augusto assunse la carica di commissario permanente alle strade fece costruire un monumento nel foro presso il tempio di Saturno, nel punto in cui idealmente convergevano tutte le strade romane: il Miliarium aureum. Forse era fatto (o ricoperto) di bronzo dorato e aveva probabilmente la forma di una grande pietra miliare, come venivano chiamate le colonnine poste lungo le strade a intervalli di un miglio per indicare le distanze. L’immensa rete viaria che aveva il suo centro a Roma era costituita da circa 400mila chilometri di strade accuratamente mantenute. 58 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

SHUTTERSTOCK

SCALA, FIRENZE

CARTOGRAFIA: V. HURTADO (DOCUMENTAZIONE), M. HERNÁNDEZ, EOSGIS

VASO DI VICARELLO

Sui quattro bicchieri trovati in questa località vicino al lago di Bracciano è descritto il percorso tra Gades (odierna Cadice) e Roma, con le distanze e le mansiones. I RESTI DEL MILIARIO AUREO?

Secondo alcuni studiosi la base trovata nel foro e visibile qui a sinistra era quella del miliario aureo, ma è una tesi molto controversa.


Nella sua Vita dei Gracchi il biografo greco Plutarco fornisce una descrizione molto accurata delle strade romane quando parla degli anni in cui Gaio Gracco fu tribuno del popolo, nel II secolo a.C. Secondo Plutarco, «l’opera che più stette a cuore a Gracco, e a cui diede le cure maggiori, fu la costruzione […] di coteste strade pubbliche, ove mirò principalmente alla maggiore utilità, senza trascurare però né la bellezza né l’amenità. Egli segnar fece sentieri rettilinei di traverso a campi, selciandoli di pietra viva, ovunque aveavi bisogno, connettendoli e consolidandoli insieme con rottami e sabbia a guisa di cemento. Inoltre egli faceva colmare tutti i paduli e tutti i burroni […] ovvero ne congiungeva le sponde con solidi ponti, guisa che essendo esse parallele e di eguale altezza tutto il lavoro era dappertutto unito e dilettevole all’occhio. Oltrecciò divise tutte le strade in tanti spazi eguali chiamati miglia dai romani, una lunghezza cioè all’incirca di otto stadi greci, ovvero 1.500 metri, e tali distanze furono per ordine suo contrassegnate da grossi pilastri marmorei».

ANTICHE MAPPE STRADALI GLI STORICI definiscono “fonti itinerarie” i testi che riportavano i tragitti delle

strade romane, con gli elenchi delle mansiones e le distanze. La principale è l’Itinerarium Antonini, forse di epoca dioclezianea (280-290). Di grande importanza è anche la Tabula Peutingeriana, una copia medievale di un’antica carta romana: un rotolo di pergamena di 24 cm di larghezza e 6,75 m di lunghezza, che fu suddiviso in 12 fogli per una sua migliore conservazione.

Una volta pianificata l’opera grazie alle carte topografiche e alle informazioni ottenute sul territorio e dagli abitanti della zona, gli ingegneri disegnavano il tracciato in maniera più semplice possibile, privilegiando le linee rette e le superfici piane. Se il terreno lo permetteva le strade erano perfettamente dritte: ne è un esempio un tratto della via Appia tra Roma e Terracina, un rettilineo ininterrotto di novanta chilometri. In presenza di ostacoli o rilievi si cercava comunque di mantenere il tragitto più retto possibile mediante disboscamenti, ponti e viadotti. Nelle zone montane le strade descrivevano ampie curve, assecondando l’andamento del rilievo. Le pendenze costanti,

LA LAPIDE DI POLLA

Fu posta nel 132 a.C. lungo la via Popilia e riporta le distanze delle mansiones tra Capua e Reggio Calabria. SCALA, FIRENZE

LOREJM IPSIUD

Come si costruivano le strade?

TABULA PEUTINGERIANA. PARTICOLARE. EDIZIONE DI KONRAD MILLER. 1887-1888. ÖSTERREICHISCHE NATIONALBIBLIOTHEK, VIENNA.

BRIDGEMAN / ACI

carreggiate a cui era abituato. Ed era proprio così: l’Appia era una via urbana, ai cui lati sorgeva uno dei più grandi cimiteri di Roma, e le strade delle città erano lastricate per facilitarne la pulizia e perché vi si circolava più lentamente. La realtà delle vie romane era ben diversa, come si deduce da un testo in cui Tito Livio parla della costruzione di una strada nel 174 a.C. Secondo lo storico romano, i censori Fulvio Flacco e Postumio Albino «furono i primi che dessero a lastricare le strade in Roma di selce, e ad assodare con ghiaia e serrar tra margini quelle di fuori, e a far ponti in molti luoghi». Qui Livio espone due idee molto chiare. La prima è che già nell’antichità le strade erano costruite da imprese private che si aggiudicavano una gara pubblica. La seconda è che le strade erano delimitate da cordoli ed erano pavimentate in due modi diversi: con lastre di selce quelle cittadine e con ghiaia quelle extraurbane.

STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

59


COSTRUTTORI DI STR ADE

MILIARIO TROVATO SUL MONTE DEL TEMPIO DI GERUSALEMME, CON I NOMI DELL’IMPERATORE VESPASIANO E DEL FIGLIO TITO.

3 BRIDGEMAN / ACI. ILLUSTRAZIONE: FERNANDO AZNAR / BRIDGEMAN / ACI

La costruzione di strade era un compito tenuto in gran conto in tutto l’impero. Il poeta Publio Papinio Stazio, nella sua descrizione dei lavori per realizzare la via Domiziana, iniziata in Campania nel 95 d.C., conferisce alla creazione di queste infrastrutture un carattere quasi epico: «Oh quante mani insieme a lavorar! Chi taglia i boschi e chi denuda i monti [....] chi le selci collega e le cementa con cotta polvere e sordido tufo; chi con le man prosciuga acquose pozze ed incanala lontan i fiumicelli».

2

BRIDGEMAN / ACI

Poche strade venivano lastricate. Erano soprattutto quelle che attraversavano zone fangose o paludose a essere pressate o pavimentate in pietra. Ecco come il poeta Tibullo parla della strada costruita dal suo amico e protettore Valerio Messala nel I secolo d.C.: «Qui […] vengono stesi e pressati mucchi di ghiaia, congiunte le selci a regola d’arte. Canta le tue lodi il contadino, quando alla sera torna dalla grande città, riportando salvi i suoi piedi».

60 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

PAVIMENTAZIONE DI UNA CARREGGIATA IN UN RILIEVO DEL I SECOLO D.C. MUSEO DELLA CIVILTÀ ROMANA, ROMA.


1

4

AL L AVORO In questa ricostruzione del cantiere per realizzare una carreggiata sono rappresentate in un’unica scena le diverse fasi della costruzione. 1 Una volta sgomberato il terreno, gli ingegneri utilizzano la groma per determinare il tracciato – che dev’essere sempre rettilineo ove possibile – e definiscono la griglia del piano stradale. 2 A quel punto si scava fino a uno strato di terreno solido. 3 La fossa viene riempita con materiali che garantiscono la stabilità della fondazione. 4 La parte superiore è ricoperta con un manto, che può essere di sabbia o ghiaia, su cui circoleranno veicoli, animali e pedoni. Le carreggiate vengono lastricate solo in casi eccezionali, o perché passano per aree urbane o perché attraversano terreni cedevoli e instabili che richiedono un ulteriore consolidamento della struttura viaria tramite cordoli e pavimentazione in pietra.

JOSÉ LUIS FERNÁNDEZ MONTORO. GRUPO DE ARQUEOLOGÍA EXPERIMENTAL ARECO S.L.

Questa foto scattata durante i lavori per l’autostrada del Duero (Spagna) mostra lo scavo della carreggiata romana che collegava le due città di Uxama (odierna Osma) e Numanzia (Garray). La pavimentazione è purtroppo andata quasi completamente perduta per l’usura, ma si può ancora osservare lo statumen, ovvero la base di grandi pietre livellata nella parte superiore con dei ciottoli. I cordoli laterali sostenevano i materiali e separavano la strada dalle fosse di scolo. La carreggiata era rialzata al centro per un migliore drenaggio. SCAVI DELLA VIA ROMANA UXAMA-NUMANZIA NELLA PROVINCIA SPAGNOLA DI SORIA PER LA COSTRUZIONE DELL’AUTOSTRADA DEL DUERO.

STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

61


LA VIA DOMIZIA

In place de l’Hôtel de Ville, a Narbona (Francia), è visibile questo tratto della strada che partiva da Segusio (Susa, in Piemonte) per arrivare in Spagna, dove prendeva il nome di via Augusta.

62 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC


SUNPIX TRAVEL / ALAMY / CORDON PRESS

I responsabili Durante il periodo repubblicano la costruzione delle strade era di competenza dei censori, i magistrati che avevano l’incarico di compiere il censimento. A questa classe appartenevano Appio Claudio Cieco, cui si deve la via Appia, e Cecilio Metello, che fece costruire la via Cecilia, una diramazione della Salaria che raggiungeva la costa adriatica. Ma come dimostra il testo di Plutarco su Gaio Gracco, anche i tribuni della plebe avevano competenza in materia stradale. In caso di emergenza dovuta al cattivo stato di una carreggiata veniva nominato un curator con l’incarico di sovrintendere ai lavori di riparazione. Nel 66 a.C., per esempio, Giulio Cesare fu designato curator della via Appia.

DAGLI ORTI / AURIMAGES

mai superiori al dieci per cento, le rendevano accessibili anche ai carri più pesanti. In alta montagna le curve erano invece strette e in alcuni casi venivano persino aperte delle gallerie. Quando possibile, la carreggiata transitava sui pendii rivolti a est e a sud, che erano maggiormente esposti al sole. Questo riduceva il rischio che la via potesse rimanere ostruita a causa delle nevicate invernali. Ne è un esempio la strada che passa sul colle del Gran San Bernardo a 2.473 metri di altitudine, tra Aosta e Martigny: costruita dai romani, restava aperta per la maggior parte dell’anno. Non è sempre facile capire se una strada antica è romana o meno. Non basta praticare una sezione verticale e osservare gli strati sovrapposti perché la tecnica usata dai romani tornò di moda nel XVIII secolo, quando fu utilizzata per costruire diverse vie di comunicazione. Alcuni indizi però possono essere rivelatori. In epoca romana tutte le persone che camminavano molto – soldati, contadini, trasportatori e mulattieri – indossavano delle calzature chiamate calighe, le cui suole erano rinforzate con dei chiodi (clavi caligarii) per evitarne la rapida usura. Ma queste specie di borchie si staccavano facilmente e spesso finivano per infilarsi negli interstizi del manto stradale. Se ritrovate durante gli scavi, costituiscono la prova inconfutabile del fatto che la via era in uso in epoca romana.

STELE DI MARCO VIRIATO ZOSIMO CON RILIEVO DI UN CARRO. MUSEO DELLA CIVILTÀ ROMANA, ROMA.

I RICCHI ROMANI IN VIAGGIO IN UNA LETTERA a Lucilio scritta intorno al 65 d.C. Seneca schernisce

senza remore l’attitudine assunta dai nuovi ricchi al momento di percorrere le vie dell’impero: «Tutti ormai viaggiano come se li precedesse la cavalleria numidica e una schiera di battistrada: sarebbe una vergogna non avere nessuno che faccia scansare i passanti e mostri, alzando un polverone, che arriva un uomo importante!».

Dopo aver sconfitto Marco Antonio, divenne imperatore e assunse il compito di riparare tutti i danni provocati alle infrastrutture da un secolo di guerre civili. A tal fine, dopo aver assunto l’incarico di commissario permanente alle strade nel 20 a.C., nominò per la gestione della rete stradale dei magistrati (i curatores viarum) che avevano il compito di aggiudicare gli appalti e sovrintendere alla corretta realizzazione e manutenzione delle opere. I fondi per questi lavori provenivano da tasse, pedaggi ed elargizioni private o imperiali. La via

SUOLE CHIODATE

Caliga o sandalo romano. Le suole di queste calzature di cuoio erano rinforzate con dei chiodi in ferro o rame. In tal modo potevano sopportare fino a mille chilometri di marcia. DEA / ALBUM

STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

63


PREPARARE IL TERRENO

I legionari abbattono degli alberi per aprire una strada che agevoli l’avanzata delle truppe romane durante la guerra di Traiano contro i daci. Rilievo della colonna Traiana. Roma, 113 a.C. 64 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC


Traiana, che unisce Benevento a Brindisi, ad esempio, fu finanziata dall’imperatore da cui prende il nome. Tutte le città attraversate da una strada avevano inoltre l’obbligo di collaborare alla sua manutenzione.

WORLD HISTORY ARCHIVE / AURIMAGES

L’IMPERATORE MARCO AURELIO DAVANTI ALLA PERSONIFICAZIONE DI UNA VIA. ARCO DI COSTANTINO, ROMA.

LE STRADE ROMANE NELL’ARTE IN QUESTO RILIEVO che apparteneva all’arco di Marco Aurelio ed è ora

su quello di Costantino, l’imperatore è in procinto d’inaugurare la strada costruita durante il suo regno. La via viene raffigurata come una giovane dea sdraiata e appoggiata a una ruota, simbolo del traffico stradale. Tale iconografia, ispirata a quella propria delle divinità fluviali, era utilizzata spesso in rilievi e monete di epoca imperiale.

I materiali impiegati nella costruzione provenivano in genere dalle cave vicine, ma in loro assenza poteva rendersi necessario portarli da molto lontano. Per concludere i lavori si collocavano le pietre miliari a intervalli di un miglio (circa 1,48 chilometri). Queste colonnine in pietra che potevano raggiungere i 2,5 metri di altezza segnavano le distanze e indicavano l’imperatore sotto il quale era stata eseguita l’opera. Nella maggior parte dei casi dunque il manto stradale era costituito da uno strato di materiali fini. Questo rendeva le vie romane particolarmente polverose, come ricorda lo storico Svetonio nella biografia dell’imperatore Caligola: «Intraprese un ritmo di marcia così IL DIO MERCURIO ERA IL PATRONO DI MERCANTI, BANCHIERI E VIAGGIATORI. STATUETTA IN BRONZO. IV SECOLO A.C. MUSEÉ DU LOUVRE.

ERICH LESSING / ALBUM

Come già detto, la realizzazione dell’opera veniva aggiudicata ad appaltatori privati che ricorrevano sia a manodopera salariata sia alla schiavitù e al lavoro forzato. In alcuni casi per il progetto e la direzione delle opere ci si rivolgeva all’esercito e agli ingegneri militari. Anche le legioni costruivano strade come parte delle operazioni militari nelle aree di nuova conquista. A volte, se le truppe erano inattive, i comandanti (legati) potevano decidere d’impiegare i soldati nei lavori di esecuzione delle carreggiate, come fece il console Flaminio nel 187 a.C. I suoi uomini, infatti, costruirono la strada tra Bologna e Arezzo (via Flaminia). L’obiettivo di queste iniziative era mantenere i legionari in attività, ma si trattava di compiti molto gravosi a cui spesso i soldati cercavano di sottrarsi. Quando s’iniziavano i lavori di costruzione di una nuova via, era necessario prima di tutto sgomberare il terreno da alberi, rocce e altri eventuali ostacoli. Poi si drenava il suolo, incanalando il deflusso di acqua piovana tramite una serie di condotti. Quindi si scavava una sede di una certa larghezza che veniva riempita con grandi pietre disposte irregolarmente, in modo da lasciare tra loro lo spazio sufficiente per una corretta fuoriuscita delle acque. Al di sopra di questo strato di drenaggio venivano collocati dei ciottoli di medie dimensioni allo scopo di compattare l’opera e riempire gli spazi vuoti tra le pietre. Infine si posava uno strato di materiali fini, come sabbia e ghiaia, che una volta spianato e pressato tramite appositi strumenti avrebbe permesso ai veicoli di circolare in tutta comodità. Delimitata e contenuta dai cordoli, la carreggiata era leggermente rialzata rispetto al livello del terreno ed era dotata di fosse di scolo laterali per drenare l’acqua, che era il più grande nemico delle strade.

BRITISH MUSEUM / SCALA FIRENZE

La costruzione


ALLOGGIARE LUNGO IL CAMMINO Chi transitava su una via romana sapeva che circa ogni 30 km, equivalenti a una giornata di viaggio, avrebbe trovato una mansio, un ostello dove riprendersi dalla fatica del viaggio. Qui si potevano trovare stalle e foraggio per gli animali, mentre gli ospiti avevano a disposizione stanze, cibo e dei bagni termali per rinfrescarsi.

H. LEWANDOWSKI / RMN-GRAND PALAIS

FOTO: DEA / ALBUM. ILLUSTRAZIONE: ACQUERELLO DI JEAN-CLAUDE GOLVIN. MUSÉE DÉPARTEMENTAL ARLES ANTIQUE © JEAN-CLAUDE GOLVIN / ÉDITIONS ERRANCE

STELE FUNERARIA DI LUCIUS CALIDIUS EROTICUS CHE CONTIENE IL DIALOGO TRA UN OSTE E UN VIAGGIATORE. MUSÉE DU LOUVRE, PARIGI.

66 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

IL PREZ ZO DELL’OSPITALITÀ Il dialogo di quest’epigrafe menziona tutto ciò che un viaggiatore poteva trovare in una mansio. L’oste chiede un asse per il vino e il pane, due per il companatico, otto per i servizi di una ragazza e infine due assi per il fieno consumato dal mulo del suo cliente. «Questo mulo mi manderà in rovina», commenta il viaggiatore.


ARRIVO IN OSTELLO I viaggiatori arrivano a una mansio dove possono alloggiare e riprendersi dalle fatiche del viaggio. L’aspetto peggiore degli spostamenti all’epoca era rappresentato dalla polvere: in una lettera scritta intorno al 109 d.C. Plinio il Giovane racconta che il suo liberto Encolpio si ammalò in seguito a un viaggio: «Offeso dalla polvere nella gola, sputò sangue». QUESTO RILIEVO MOSTRA L’ARRIVO DI ALCUNI VIAGGIATORI A UNA MANSIO. MUSEO DELLA CIVILTÀ ROMANA, ROMA.

RICOSTRUZIONE DI UNA MANSIO AI BORDI DI UNA STRADA ROMANA. JEAN-CLAUDE GOLVIN. XX SECOLO.

STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

67


STRADE FATTE PER DURARE

La Fosse Way era una via romana di 293 km che collegava Exeter e Lincoln, in Gran Bretagna. Il suo tracciato è alla base di strade attuali come quella visibile qui.

68 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC


CHÂTEAU DE VERSAILLES / RMN-GRAND PALAIS

forzato e veloce che le coorti pretoriane furono costrette, contravvenendo alle usanze, a caricare le insegne sui muli e così seguire lui che invece procedeva indolentemente e comodamente, tanto da voler essere trasportato su una lettiga da otto portantini e da esigere che la plebe delle città più vicine al suo itinerario gli spazzasse e bagnasse la strada per evitare il polverone». Ecco perché le strutture di servizio situate lungo il percorso erano dotate di bagni pubblici e termali, dove i viaggiatori potevano lavarsi e riposare. Questi stabilimenti, noti come mansiones e mutationes (nei secondi si potevano cambiare i destrieri), erano distribuiti attorno a un cortile centrale destinato alla sosta dei veicoli ed erano anche provvisti di stalle e mangiatoie per i cavalli, e di taverne e camere per gli ospiti.

NICOLAS BERGIER

HERITAGE IMAGE / AGE FOTOSTOCK

Viaggiare veloci Secondo le fonti antiche, utilizzando la rete stradale e cambiando i cavalli ogni 15 o 20 chilometri per non sfiancare gli animali era possibile spostarsi a velocità notevoli. Fu Tiberio, divenuto imperatore nel 14 d.C., a stabilire il record: per raggiungere il fratello Druso, vittima di un grave incidente in Germania nel 9 a.C., partì in tutta fretta dall’Italia e percorse 200 miglia (296 chilometri) in un solo giorno. È lo storico Valerio Massimo a raccontare con dovizia di particolari quest’impresa, per la quale Tiberio utilizzò un carro particolarmente veloce: «La rapidità con la quale viaggiò giorno e notte; il mutare spesso di cavallo; e lo scorrere, per così dire, quasi in un sol fiato duecento mila passi, traversando le Alpi ed il Reno, per mezzo nazioni barbare, poco prima da esso vinte, senza altra guida che il suo Antabagio, fanno irrefragabile testimonianza della sua impazienza per rivedere il fratello». Senza dubbio dunque le strade furono una delle più grandi conquiste della civiltà romana, che proprio grazie a esse poté estendersi capillarmente nei territori di tutto l’impero e raggiungere alti livelli di prosperità economica. Nel XVII secolo il francese Nicolas Bergier, il primo grande specialista di vie

NEL 1622 PUBBLICÒ Histoire des Grands Chemins de l’Empire Romain. Fu il primo a effettuare scavi di diverse strade romane per verificare le sue teorie e a descrivere la sovrapposizione dei vari strati che riusciva a identificare (statumen, nucleus, rudus) e su cui era situato il manto di sabbia e ghiaia (summa crusta). Lo studioso francese notò che le strade erano lastricate solo nelle aree urbane.

romane, parlava in questi termini delle strade costruite in Francia e Belgio: «Sono notevoli perché, essendo rialzate su dei terrapieni, attraversano i campi fino a scomparire dalla vista, procedendo in linea retta verso città e villaggi; e perché, per farle dritte, fu necessario in molti luoghi drenare paludi, perforare montagne, riempire avvallamenti e costruire ponti con enormi spese».

UN ERUDITO FRANCESE

Sopra, Bergier (1567-1623) in un’incisione del XVII secolo. Professore all’università di Reims, divenne storiografo reale nel 1605.

JESÚS RODRÍGUEZ MORALES STORICO E ARCHEOLOGO SPECIALIZZATO IN STRADE ROMANE

Per saperne di più

SAGGI

Strade romane. Storia e archeologia Patrizia Basso. Carocci, Roma, 2007. Tutte le strade portano a Roma Luigi Bernardi. Logart Press, Roma, 2003. Ingegneria dei Greci e dei Romani Carmelo G. Malacrino. Arsenale Editrice, Verona, 2010. GUIDA

Le strade dell’Italia romana Touring, Milano, 2004.

STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

69


CHIESA DI CONQUES

La chiesa abbaziale di Sainte-Foy fu iniziata per volere dell’abate Odolrico nel periodo compreso tra il 1041 e il 1052 e venne terminata agli inizi del XII secolo. JEAN-MARC BARRERE / CORDON PRESS


L’A R T E D E L R I S V EG L I O EU RO PEO

CATTEDRALI ROMANICHE NELL’XI E NEL XII SECOLO L’OCCIDENTE CRISTIANO SI AMMANTÒ DI UN GRAN NUMERO DI CHIESE EDIFICATE CON UNO STILE NUOVO E IMPONENTE: IL ROMANICO


’ L

SANTA MARIA DE RIPOLL

Scolpita a metà del XII secolo, questa facciata risalta per la grande ricchezza decorativa. Nell’immagine, la prima scultura sulla destra rappresenta Dio che consegna le tavole della legge.

Occidente europeo dell’XI secolo fu segnato da un vero e proprio risveglio culturale contraddistinto dalla nascita delle letterature romanze, dal culmine dei pellegrinaggi, dalla riforma della Chiesa promossa da Gregorio VII e dall’inizio delle Crociate contro l’islam. A tali fenomeni dobbiamo aggiungere i progressi senza precedenti nell’architettura religiosa: le chiese sorsero in ogni angolo e ricoprirono i territori cristiani con un «bianco manto», come scrisse il monaco cluniacense Rodolfo il Glabro verso il 1047. Questo fiorire di nuove costruzioni mostrava una peculiarità: per la prima volta nella storia del mondo occidentale tutti gli edifici sacri seguivano le stesse direttive artistiche. Nacque così lo stile Romanico, caratterizzato dalla creazione di templi in pietra culminanti in volte e spesso decorati con rappresentazioni bibliche. Tutto ciò fu possibile grazie a un enorme investimento economico che proveniva dalle donazioni di fedeli e pellegrini, a loro volta permesse dall’espansione agricola e commerciale cui assistette il continente in quei decenni. A questo fattore si deve aggiungere anche il cospicuo bottino di guerra ottenuto nelle lotte contro i musulmani, che spesso veniva ceduto alla Chiesa.

Lontano dall’antica Roma

72 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

C R O N O LO G I A TONI VILCHES / AGE FOTOSTOCK

Il termine “Romanico”, utilizzato per indicare l’arte europea dell’XI e del XII secolo, venne coniato dagli studiosi del XIX secolo allo scopo di sottolineare l’analogia con la contemporanea formazione delle lingue romanze. Poiché queste erano un’evoluzione del latino, si credette che anche tale arte monumentale derivasse dal mondo romano. Una simile ipotesi è però ormai superata. Sicuramente il Romanico conserva certi elementi dell’antica arte imperiale: l’uso dell’arco semicircolare, la presenza di rilievi di tipo narrativo e lo schema di alcune facciate a forma di arco di trionfo, come nella chiesa di Santa Maria de Ripoll. Tuttavia, gli storici concordano nel ritenerlo profondamente differente dall’arte romana, in quanto la scala di riduzione e la tipologia degli edifici non sono uguali. Inoltre, nell’XI secolo si ricorreva alle immagini con una finalità molto diversa rispetto all’epoca classica: la

LA PRIMA GRANDE ARTE MEDIEVALE

950 ca. Sotto la dinastia imperiale ottoniana si sviluppa un’architettura che anticipa il Romanico.


1050 ca.

1075 ca.

1090 ca.

1150 ca.

1168

Il Romanico si cristallizza in edifici come la chiesa di Sainte-Foy di Conques, nel sud della Francia.

Le basiliche di Saint-Sernin e Compostela incarnano il modello di chiesa di pellegrinaggio.

Si sviluppa in Inghilterra l’architettura “normanna”, variante insulare del Romanico.

Si diffondono l’arco ogivale e le vetrate istoriate, emblemi dello stile gotico, che sostituirà il Romanico.

Maestro Mateo lavora al complesso scultoreo del Pórtico de la Gloria di Santiago de Compostela.


Chiesa disapprovava la rappresentazione naturalistica e condannava gli “idoli” dell’antica Roma, ma al contempo sviluppava una figurazione simbolica destinata a trasmettere gli insegnamenti morali.

La nuova tecnica costruttiva Anche se esistono diverse teorie sul luogo e sul momento preciso in cui nacque l’arte romanica, possiamo affermare che la nuova architettura sorse agli inizi dell’XI secolo da entrambi i lati dei Pirenei, nonché in Lombardia. L’impiego della scultura negli edifici religiosi non si verificò prima degli anni sessanta dello stesso secolo, in Borgogna, nel sud della Francia e nel nord-est iberico. Tra i primi templi romanici che presentano sculture figurano la chiesa di San Martín a Frómista e la cattedrale di San Pedro a Jaca, in Spagna, dove si trova il primo timpano scolpito. La massiccia costruzione di chiese, avvenuta a partire dall’XI secolo, si deve a una serie di miglioramenti nella tecnica edilizia. Di questi, il più importante fu il recupero del ciclo produttivo delle pietre. Se durante l’Alto Medioevo si era persa l’arte della lavorazione in pietra, perché si preferiva riutilizzare i conci delle vecchie costruzioni, ai tempi del Romanico questa raggiunse un alto livello. La meticolosa organizzazione del lavoro tipica di questo periodo storico è confermata dai segni di scalpello che ancora oggi si possono ammirare sulle mura delle chiese. Il Romanico è probabilmente lo stile che ha lasciato più testimonianze architettoniche in Europa, dalle piccole parrocchie rurali alle grandi abbazie, basiliche o cattedrali. Poiché le squadre di tagliapietre si muovevano da un luogo all’altro, fu possibile mantenere una certa unità stilistica, anche se poi le molteplici variazioni regionali finirono per far risaltare la copiosità e la ricercatezza raggiunte dall’architettura cristiana occidentale.

Per saperne di più

SAGGI

L’arte romanica Marcel Durliat. Garzanti, Milano, 2002. La scultura romanica Jean-René Gaborit. Jaca book, Milano, 2010.

74 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

LUIS CASTAÑEDA / AGE FOTOSTOCK

INÉS MONTEIRA DOCENTE DI STORIA DELL’ARTE UNIVERSITÀ NAZIONALE DI EDUCAZIONE A DISTANZA (MADRID)


COLLEGIATA DI SAN ISIDRO

Il Panteรณn de Los Reyes di questa chiesa nel Leรณn fu decorato nel XII secolo con uno splendido ciclo di affreschi dalle tematiche bibliche. Vi compare il motivo della Maiestas Domini, con Cristo e gli evangelisti.


CHIAVI DELLA NUOVA ARCHITETTURA Lo stile romanico si riconosce dal coro in pietra, dall’uso della volta a botte, dalla comparsa del deambulatorio e dalla presenza di sculture con tematiche religiose come monito per i fedeli. AGE FOTOSTOCK


MONASTERI PREROMANICI

A partire dal IX secolo l’espansione degli ordini monastici, soprattutto di quello benedettino, portò alla costruzione di grandi conventi nei quali si svilupparono alcuni tratti del futuro stile romanico. Pagina del Salterio di Eadwine con la raffigurazione di un priorato benedettino a Canterbury. XII secolo.


CARATTERISTICHE DELLA NUOVA ARCHITETTURA

Pórtico de la Gloria

1LUOG H I DI CU LTO Di solito le chiese romaniche hanno la pianta a croce latina e sono disposte su tre navate – una centrale e due laterali, come nel caso della cattedrale di Santiago de Compostela – o cinque, come avviene a Saint-Sernin di Tolosa. Tuttavia, alcune chiese rurali presentano una navata unica, e altre una pianta centrale. Tra queste ultime possiamo citare la straordinaria chiesa di Santa María de Eunate, in Navarra. Le mura sono costituite da due lastre di pietra

lavorata al cui interno si trova la muratura di pietrame; all’esterno presentano una considerevole plasticità e sono spesso decorate con elementi sporgenti, come gli archi o le modanature a motivi geometrici. Anche le finestre e i portali contribuiscono a rendere più dinamico l’esterno dell’edificio. Tali aperture infatti presentano archi a tutto sesto (a sezione semicircolare) coronati da una serie di modanature sovrapposte dette archivolti.

JOSEP R. CASALS / ALBUM

DAL L A N UOVA PIANTA


Tiburio sopra la crociera (il punto in cui s’incrociano la navata centrale e il transetto)

Puerta de las Platerías

Chiostro (in costruzione)

4 Basilica di Alfonso III (899), distrutta da Almanzor nel 997

SA NTI AG O DE COM P OS TEL A

Importante esempio di chiesa di pellegrinaggio, si distingue per le grandi dimensioni (100 m di lunghezza) e la facciata monumentale 1. È dotata anche di una cripta, un deambulatorio 2 e di tribune sulle navate laterali. Il coro venne iniziato nel 1075 grazie al patrocinio di Alfonso VI, anche se fu costruito in diverse fasi. Agli inizi del XII secolo l’arcivescovo Gelmírez fu responsabile dell’edificazione del corpo centrale e del transetto (il braccio della croce) con i suoi portali scolpiti: la Puerta de las Platerías 3 e la Francígena 4.

Cattedrale romanica

2

1

3


CARATTERISTICHE DELLA NUOVA ARCHITETTURA

SCULTURE IMPRESSIONANTI

L’insieme scultoreo realizzato dal maestro Mateo sul Pórtico de la Gloria della cattedrale di Santiago de Compostela era uno splendore nella sua epoca. Sorprendevano la qualità dell’intaglio, ma anche la policromia straordinariamente lussuosa, che includeva oro puro e lapislazzuli. In nessun altro luogo esistevano opere simili. I recenti lavori di restauro hanno permesso di recuperare parte dei colori originali.


PARTICOLARE DEL PÓRTICO DE LA GLORIA DOPO IL RESTAURO PROMOSSO DALLA FUNDACIÓN BARRIÉ E DALLA FUNDACIÓN CATEDRAL DE SANTIAGO, E CONCLUSO NEL 2018. ©FUNDACIÓN BARRIÉ / FUNDACIÓN CATEDRAL


CARATTERISTICHE DELLA NUOVA ARCHITETTURA

2 U NA M E TA PER I PEL L EGRINI

JACQUES SIERPINSKI / CORDON PRESS

RENÉ MATTES / CORDON PRESS

Durante il periodo romanico il coro del tempio cambia per divenire più grande e complesso. Aumenta anche lo spazio riservato all’altare maggiore al fine di celebrare la liturgia e compaiono le cappelle radiali, piccole absidi destinate ad accogliere le cappelle per culti particolari. Il segmento precedente, corrispondente alla crociera (il punto in cui s’incrociano transetto e navata principale), è in genere sovrastato da una torre ottagonale o da un tiburio (una costruzione simile a una torre, a volte terminante in una cupola), le cui vetrate illuminano l’interno. Il coro normalmente è situato su una cripta che contiene reliquie. In chiese come quella di Santiago de Compostela compare il deambulatorio (o ambulacro), che circonda l’altare maggiore e permette di venerare i resti dei santi senza interrompere la messa. Si ritiene che il coro con deambulatorio sia l’apporto più importante di tutta l’architettura medievale, almeno in Occidente.


SAINT-SERNIN DI TOLOSA

La costruzione di questa basilica iniziò intorno al 1075 allo scopo di accogliere i pellegrini diretti a Compostela. Il coro della chiesa presenta un’abside e un deambulatorio semicircolare (nella fotografia della pagina precedente). All’esterno si aprono 60 oculi – finestre di forma circolare – e archi. La navata centrale misura 115 metri di lunghezza e il campanile ottagonale sulla crociera raggiunge i 65 metri di altezza.


CARATTERISTICHE DELLA NUOVA ARCHITETTURA

CATTEDRALE DI MONREALE

Eretta nel 1172, la chiesa è la più rappresentativa dell’architettura romanica introdotta in Sicilia dai re normanni; in questo stile si mantennero alcuni elementi dei bizantini e dei musulmani, i precedenti occupanti dell’isola. Sulla pianta romanica classica si possono così apprezzare la ricchezza esuberante dei mosaici dorati della tradizione bizantina, gli archi a sesto acuto e intrecciati nonché i soffitti a cassettoni in legno con una decorazione tipica dell’architettura islamica: i muqarna.


ANTONINO BARTUCCIO / FOTOTECA 9X12


CARATTERISTICHE DELLA NUOVA ARCHITETTURA

3

VOLTE , ARCHI E PILASTRI L’innovazione più significativa del Romanico fu l’introduzione delle coperture di pietra. La navata centrale in genere culminava in volte a botte e quelle laterali in volte a crociera. I vantaggi erano numerosi: si preservavano le chiese dagli incendi che spesso distruggevano i tetti in legno e si migliorava l’acustica per il canto gregoriano. Inoltre iniziò a svilupparsi un’architettura articolata in diversi livelli. La volta a botte doveva essere consolidata da archi trasversali che sostenevano il peso e lo scaricavano a terra grazie alle colonne addossate al pilastro. Poiché anche gli archi longitudinali, che separavano le navate della chiesa, si prolungavano a terra, ne derivò la costituzione di un pilastro cruciforme. La chiesa si divideva perciò in diversi spazi quadrangolari delimitati da pilastri, archi e volte, che si ripetevano lungo le navate.

Torre barocca Venne distrutta da un incendio nel 1767 e fu sostituita da un’altra che culmina in una guglia su più livelli.


Arco trasversale

Risale alla fine del X secolo e fu costruita in stile Ottoniano. Nel 1081 fu devastata da un incendio, in seguito al quale venne in buona parte ricostruita secondo il modello della cattedrale di Spira, esempio di arte romanica. Il corpo centrale era composto da tre navate e quella centrale venne coperta con volte a crociera. L’abside semicircolare e il deambulatorio erano rivolti verso oriente. La parte occidentale fu ricostruita in stile Romanico tardo.

Volta a crociera Usata per coprire spazi quadrati.

Volta a botte Utilizzata per coprire superfici longitudinali.

Arco longitudinale

ILLUSTRAZIONE CATTEDRALE: FRANCESCO CORNI. VOLTE: FERNANDO AZNAR

C AT T E D R A L E DI M AGONZ A


CARATTERISTICHE DELLA NUOVA ARCHITETTURA

4 L A SCU LTU R A :

DOT TRINA IN IM MAGINI La facciata della chiesa è lo spazio privilegiato per mettere in scena delle storie mediante le sculture tipiche di questo stile. Il portale d’accesso al tempio presenta in genere un timpano scolpito, circondato da archivolti che riposano su colonne coronate da capitelli. L’arte romanica fu la prima a integrare la scultura monumentale nel tempio cristiano, sia nel portico sia nei capitelli e nei modiglioni (le mensole scolpite che sostengono la parte sporgente della cornice). La comparsa dei rilievi risponde all’intento di servirsi delle immagini per addottrinare il popolo. Per questo a volte la scultura sembra ieratica

2

CATTEDRALE DI MODENA

La cattedrale venne innalzata a partire dal 1099. I rilievi di Wiligelmo si trovano sulla facciata. Due affiancano il protiro, retto da leoni stilofori. SCALA, FIRENZE

3

ALINARI / RMN-GRAND PALAIS

1

e sproporzionata, in quanto cerca di trasmettere messaggi morali senza disorientare il credente con le forme del mondo sensibile. Il tempio divenne una Bibbia di pietra che gli analfabeti potevano leggere. Uno dei più importanti scultori romanici fu Wiligelmo. Di origine probabilmente lombarda, fu attivo nell’area emiliana tra la fine dell’XI e l’inizio del XII secolo. Grazie a un epitaffio sappiamo che intorno al 1099 lavorò alla cattedrale di Modena. In particolare, realizzò dei bassorilievi su marmo rappresentanti alcuni dei più importanti episodi del libro della Genesi.

1  CREAZIONE DI ADAMO

L’opera si legge da sinistra a destra. Qui Dio modella Adamo a sua immagine formandolo dal fango della terra. Il corpo del primo uomo appare goffo e pesante, con il ventre prominente e le ginocchia piegate.

2  CREAZIONE DI EVA

Adamo, addormentato, è disteso su una roccia in riva a un fiume. Dal suo fianco Dio trae la prima donna, che appare ancora incapace di reggersi in piedi. Wiligelmo inserisce la scena al centro tra due piccole colonne.

3  PECCATO ORIGINALE

Adamo mangia il frutto proibito mentre Eva lo guarda. All’estrema destra il diavolo-serpente tentatore è attorcigliato attorno all’albero della conoscenza del bene e del male, con la bocca spalancata.



IL GOLDEN HIND

Tra il 1577 e il 1580 Drake fece il giro del mondo a bordo di questa nave di 150 tonnellate. I sette cannoni su ciascuna fiancata più i quattro di prua rivelavano che non si trattava di una missione puramente esplorativa. BRIDGEMAN / ACI

Francis Drake contro l’impero spagnolo

IL COR SARO Nel 1585 Elisabetta d’Inghilterra inviò nell’Atlantico una flotta agli


DELLA REGINA ordini di Francis Drake per saccheggiare i possedimenti spagnoli in America


PIRATI PER GRAZIA DELLA REGINA

L

A LETTERA DI CORSA era un’au-

torizzazione concessa dai sovrani o dagli stati ad alcuni capitani indipendenti e li autorizzava ad attaccare imbarcazioni e insediamenti nemici. Con la garanzia di questo documento armatori, navigatori e avventurieri diventavano a tutti gli effetti parte della marina nazionale. Le lettere di corsa si diffusero nel Medioevo e nell’Età moderna di fronte all’incapacità dei governanti di allestire flotte sufficienti ad attaccare i Paesi rivali. Nel 1570 Francis Drake ricevette una lettera firmata da Elisabetta I. Di ritorno dalla sua prima spedizione ai Caraibi (1569-1570), in cui aveva ottenuto discreti risultati, gli fu rilasciato un titolo legale per attaccare navi e insediamenti spagnoli. Drake divenne così un corsaro e più tardi un ammiraglio.

BRIDGEMAN / ACI

IL CAVALIERE FRANCIS DRAKE

Questa litografia ricostruisce il momento in cui la regina Elisabetta I nomina cavaliere Francis Drake sul ponte della Golden Hind. Jean-Léon Huens. XX secolo.

S

e c’è un personaggio della storia che rappresenta senz’ambiguità la rivalità, o persino l’odio, che in certi periodi ha presieduto le relazioni tra Spagna e Inghilterra, questo è sir Francis Drake. Per gli inglesi la sua figura è stata a lungo associata a quella dell’eroe, del campione della potenza navale britannica di fronte a un imperialismo spagnolo la cui reputazione era sempre più compromessa da una intensa propaganda negativa. Tra gli spagnoli invece il suo nome bastava a evocare la paura, perché Drake incarnava l’immagine del crudele pi-

1540 circa C R O N O LO G I A

IL PIRATA CHE SI FECE DA SÉ

rata sostenuto dalla poderosa flotta della regina Elisabetta, che esercitava azioni di disturbo nei confronti dell’egemonia spagnola nell’Atlantico. La parabola esistenziale di Francis Drake è ben compendiata dal motto latino che lui stesso scelse per il suo stemma, Sic parvis magna (Da modeste origini a grandi imprese). Nonostante le sue umili origini, riuscì a conquistarsi il favore della regina Elisabetta I e divenne un personaggio ammirato da tutte le generazioni britanniche degli ultimi quattrocento anni. Ma la sua vita conobbe anche un declino di

1577-80

Francis Drake nasce a Tavistock in seno a un’umile famiglia contadina. Nel 1562 inizia a lavorare per alcuni parenti ed entra nel circuito del commercio schiavile tra la Guinea e i Caraibi spagnoli.

Francis Drake lascia Plymouth e intraprende la spedizione che lo porterà a circumnavigare il globo. Prima di lui ci erano riusciti solo Magellano ed Elcano, nel 1520. BR

DG

EM

I

92 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

AN

/A

CI

FRANCIS DRAKE. MINIATURA DI NICHOLAS HILLIARD. 1581.


CHRIS HARRIS / ALAMY / ACI

cui nel suo motto non resta traccia. Figlio primogenito di contadini protestanti, Francis Drake nacque intorno al 1540 a Tavistock, da cui lui e i suoi genitori fuggirono per motivi religiosi nel 1549. La miseria della famiglia, costretta a vivere nello scafo di una nave arenata nell’estuario del Medway, spinse Francis a imbarcarsi a tredici anni su una chiatta per il trasporto merci. Qualche anno più tardi ne sarebbe diventato il comandante e il proprietario, legando così indissolubilmente la sua vita al mare. Un momento centrale della sua storia fu quando nel 1562 entrò a servizio dei suoi parenti John e William Hawkins. Questi

lo introdussero nel circuito del commercio di schiavi che avevano stabilito tra il golfo di Guinea e i Caraibi spagnoli, dove occasionalmente occupavano anche dei villaggi per poi esigere un riscatto per la loro liberazione. Francis conobbe così i vantaggi del ricorso alla coercizione per accumulare ricchezze. Nel 1569 iniziò a navigare per suo conto e ben presto ottenne dalla regina una lettera di corsa che lo autorizzava ad attaccare i possedimenti ispanici in nome della nazione britannica. Tra il 1577 e il 1580 Drake riuscì a circumnavigare il globo partendo dall’Atlantico e giungendo nel Pa-

1585

1586

1595

Lungo la rotta per i Caraibi, Francis Drake approda alle isole Canarie dove attacca Santa Cruz de la Palma. Ma la sua flotta è costretta a ritirarsi senza essere riuscita a conquistarla.

Ai Caraibi, Drake devasta Santo Domingo e poi si dirige verso Cartagena de Indias. Il corsaro saccheggia la città per due mesi, ma nonostante questo torna in Inghilterra con un bottino più misero del previsto.

Elisabetta I manda nuovamente Drake ai Caraibi. L’impresa fallisce e nel 1596 Drake muore di dissenteria sulla sua nave nei pressi di Panama. STEMMA DI SIR FRANCIS DRAKE. NTPL / SCALA, FIRENZE

HAMPTON COURT

Questo palazzo fatto ricostruire dall’arcivescovo Wolsey divenne una delle residenze ufficiali del re Enrico VIII quando il prelato cadde in disgrazia. Elisabetta I ne fece ristrutturare alcune parti.


LA SPEDIZIONE DI DRAKE. QUESTA MAPPA MOSTRA LA ROTTA SEGUITA DALLA FLOTTA DEL CORSARO A SANTO DOMINGO E NELLE INDIE OCCIDENTALI NEL 1585-1586.

GRANGER / ALBUM

INDIGENI ARUACHI. QUESTO DISEGNO APPARE IN UNA PAGINA MANOSCRITTA DI UN MEMBRO DELLA SPEDIZIONE DI DRAKE NELLE INDIE OCCIDENTALI.

UN BOTTINO DEGNO DI UN FILM

N

EL DICEMBRE DEL 1577 Francis Drake lasciò Plymouth al comando di una flotta di cinque navi, tra cui la Pelican (poi ribattezzata Golden Hind), con un equipaggio di quasi duecento uomini. Il suo obiettivo ufficiale era cercare nuove opportunità commerciali oltreoceano, ma persino l’ambasciatore spagnolo a Londra sapeva che in realtà Drake puntava ad attaccare gli interessi della Spagna in America e in Asia con l’espressa approvazione della regina Elisabetta. Nei tre anni di spedizione gli inglesi saccheggiarono numerose piazze e navi nemiche e completarono la circumnavigazione del globo. Al suo ritorno Drake portò con sé un tesoro favoloso, su cui da subito iniziarono a circolare voci di ogni tipo. Un primo inventario protocollò 46 casse con un totale di cinque tonnellate di metalli preziosi. Un registro successivo portò l’ammontare complessivo di argento, tra lingotti e monete, a più di undici tonnellate. Drake si ritrovò improvvisamente a essere uno degli uomini più ricchi d’Inghilterra, ma molti lo consideravano ancora un volgare pirata: quando cercò di regalare dieci lingotti d’oro a Lord Burghley, consigliere della regina, questi li rifiutò adducendo che la sua coscienza gli impediva di accettare beni rubati.

94 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

cifico. Prima di lui solo Magellano ed Elcano vi erano riusciti nel 1520. La flotta di Drake era composta da cinque piccole navi, tra cui la Pelican, che nel corso della traversata fu ribattezzata Golden Hind. Una volta nel Pacifico il corsaro ne approfittò per arricchirsi attaccando i galeoni e gli insediamenti cileni e peruviani della corona spagnola, che non era per niente preparata a un’aggressione sulle coste occidentali del continente americano. Drake fece ritorno in Inghilterra passando per l’oceano Indiano e doppiando il capo di Buona Speranza. Raggiunse Plymouth nel settembre del 1580, dove fu salutato come il primo inglese ad aver circumnavigato il globo. Durante una cerimonia a bordo della Golden Hind, ancorata nelle acque del Tamigi, ricevette dalla regina il titolo di cavaliere. Ormai diventato sir, Francis Drake trascorse gli anni successivi a terra, dedicandosi alla politica. Ma in un’atmosfera di guerra non dichiarata tra spagnoli e inglesi, in cui Filippo II si schierava apertamente con i ne-


SCIENCE SOURCE / ALBUM

Rotta verso le Indie Il piano di Francis Drake era semplice: dirigersi verso i possedimenti caraibici della Spagna con la più grande armata mai vista in quelle acque per infliggere quanti più danni possibile agli interessi spagnoli. Non si trattava di una missione ufficiale, ma di una guerra di corsa finanziata da alcune importanti personalità dell’Inghilterra protestante. La stessa regina contribuì, ad esempio, donando il galeone Elizabeth e il vascello Aid. La flotta lasciò il porto di Plymouth il 24 settembre 1585. Era

DISPOSITIVO MULTIUSO Questa sintesi di vari strumenti scientifici, forse di proprietà di Drake, fu realizzata da Humphrey Cole, uno degli artigiani in grado di produrre oggetti simili nell’Inghilterra elisabettiana. SCIENCE SOURCE / ALBUM

composta da 29 navi tra cui alcuni grandi galeoni e varie pinacce (piccole imbarcazioni a un solo ponte costruite interamente in legno di pino) che trasportavano 2.300 uomini. Circa 1.600 erano soldati di fanteria suddivisi in dodici reparti di picchieri e archibugieri. Drake assegnò la direzione della flotta al viceammiraglio Martin Frobisher e il comando della forza di sbarco al tenente generale Christopher Carleill. La spedizione partì in gran fretta perché Drake temeva che qualche trattato di pace firmato all’ultimo momento potesse mandare all’aria i suoi piani. Si rese quindi necessario individuare una prima destinazione dove completare l’approvvigionamento e ridistribuire il carico. La meta prescelta fu la costa della Galizia, dove la flotta si fermò dal 7 al 17 ottobre. Gli inglesi sbarcarono a Baiona davanti alla fortezza di Monte Real e cercarono di costringere le autorità spagnole a negoziaLOREMU IVIS

mici dell’Inghilterra (Scozia e Irlanda) e la regina Elisabetta appoggiava gli avversari della Spagna (gli insorti fiamminghi nei Paesi Bassi e i sostenitori del priore di Crato in Portogallo), il navigatore decise di riprendere il mare nel 1585 per condurre una spedizione volta a compiere azioni di disturbo contro i territori spagnoli nei Caraibi.

STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

95


IL FALLITO ASSALTO A LA PALMA

CASTILLO DE LA VIRGEN, SANTA CRUZ DE LA PALMA. QUESTA FORTEZZA FU ERETTA NEL XVII SECOLO PER DIFENDERSI DAGLI ATTACCHI CORSARI.

A

LL’ALBA DEL 13 novembre 1585

la flotta di Drake si schierò da nord a sud di fronte a La Palma. La guarnigione militare dell’isola era stata allertata e si fece trovare pronta, ma la sua artiglieria non riusciva a raggiungere le navi nemiche, che si diressero verso l’estremità meridionale della città guidate dalla Bonaventura. Quando videro la fanteria inglese salire sulle lance da sbarco, alcuni soldati locali pensarono di disertare, ma furono dissuasi dalle minacce degli archibugieri. La flotta intanto era arrivata a distanza di tiro dal castello di San Miguel. Mentre i soldati a terra respingevano lo sbarco una palla di cannone cadde ai piedi di Drake. E tutto terminò. Per il corsaro era arrivata la prima sconfitta. Da allora decise di cambiare tattica evitando di esporsi al fuoco dell’artiglieria nemica.

PETER SCHICKERT / AGE FOTOSTOCK

re. Ma nel frattempo il governatore locale era riuscito a radunare un contingente difensivo sufficiente ad affrontare un possibile attacco, che alla fine non si verificò perché una tempesta costrinse gli inglesi a ritirarsi e a cercare rifugio nella baia di Vigo. Qui non mancarono occasioni per saccheggiare le navi di coloro che tentavano la fuga con i propri averi, come un’imbarcazione carica d’oro e argento appartenente alla principale chiesa della città. Ma l’arrivo a Vigo delle truppe spagnole riunite a Baiona costrinse Drake a rimettersi in marcia in tutta fretta facendo rotta verso sud. Secondo alcuni autori con quella lunga sosta in Galizia Drake voleva guadagnare tempo per intercettare la flotta spagnola proveniente dalle Indie occidentali e diretta verso Siviglia. Le navi inglesi si attardarono ancora qualche giorno nei pressi di 96 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

CASTILLO DE LA CALDERETA Dopo l’attacco di Drake a La Palma nel 1585, l’architetto Torriani progettò la nuova fortezza visibile in questo disegno. 1592-1594. Universidade de Coimbra.

capo São Vicente nella speranza d’imbattersi in qualche galeone in ritardo. Ma ormai le ricchezze americane erano già arrivate a destinazione. La tappa successiva furono le isole Canarie. Dopo aver preso in considerazione l’idea di attaccare la città di Las Palmas de Gran Canaria, Drake si decise invece per Santa Cruz de La Palma, uno dei porti più fiorenti dell’Atlantico. Per tutta la mattinata del 13 novembre 1585 inglesi e spagnoli si scambiarono colpi di cannone. I corsari tentarono di avvicinarsi alla terraferma, ma il mare agitato e l’artiglieria locale impedirono ogni tentativo di sbarco. Vuole la leggenda che una palla di cannone sparata dal castello di San Miguel passasse tra le gambe di Drake, aprendo una breccia nella nave ammiraglia e ferendo leggermente il capitano di fanteria George

UNIVERSIDADE DE COIMBRA. BIBLIOTECA GERAL.


D. BAYES / ALBUM

Barton. In ogni caso, i danni riportati dalla Bonaventura, dal galeone Leicester, e da almeno altre due navi convinsero gli inglesi a dirigere la prua verso il largo vista l’inutilità di quello scontro. Questo episodio avrebbe spinto Drake a rielaborare la sua tattica per attaccare gli insediamenti costieri: non si sarebbe più avvicinato a distanza di tiro con la nave ammiraglia e avrebbe assegnato maggior importanza alle azioni a terra, organizzando avvolgenti manovre di fanteria.

Un’epidemia fatale Quell’insuccesso fu decisivo per il futuro della spedizione. La conquista di una città come Santa Cruz avrebbe permesso agli inglesi di attraversare l’oceano con le stive cariche di acqua e cibo. Ecco perché, dopo un breve riposo a El Hierro, la flotta corsara si diresse verso l’arcipelago di Capo Verde per razziare Ribeira Grande (odierna Cidade Velha), sull’isola di Santiago. Dal punto di vista logistico l’operazione fu un successo. Per due settimane i corsari si dedicarono a

saccheggiare le poche ricchezze cittadine e ad accaparrarsi quanti più viveri possibile. Ma alla fine la scelta di quella località si rivelò fatale: all’ospedale degli schiavi di Ribeira Grande alcuni inglesi contrassero una devastante malattia infettiva, forse peste polmonare, che avrebbero poi diffuso tra l’equipaggio. Più di trecento membri morirono già durante la traversata dell’Atlantico, quando il contagio era solo all’inizio. Entro la fine del 1585 gli uomini di Drake raggiunsero i Caraibi e si fermarono a recuperare le forze tra Dominica e Puerto Rico. Il loro primo obiettivo bellico fu la città di Santo Domingo, sull’isola di Hispaniola, che assaltarono via mare e via terra il primo gennaio del 1586. Quando scese la notte la città era ormai nelle loro mani, ma il saccheggio non diede i risultati sperati. Gli inglesi decisero allora di occupare Santo Domingo a oltranza, chiedendo due milioni di pesos per la sua liberazione, una cifra che in seguito fu ridotta a 25mila ducati. Drake ripartì l’11 febbraio lasciando uno dei più

I CORSARI DELLA REGINA

Quest’olio di autore ignoto mostra i tre più famosi corsari dell’Inghilterra elisabettiana: Thomas Cavendish, Francis Drake e John Hawkins. National Maritime Museum, Londra.

STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

97


BRIDGEMAN / ACI

MAPPA DI CARTAGENA DE INDIAS ALL’EPOCA DELL’ATTACCO DI DRAKE. INCISIONE A COLORI DI GIOVANNI BATTISTA BOAZIO. XVI SECOLO.

PROFESSIONISTI DEL SACCHEGGIO

U

N MESE DI OCCUPAZIONE a Santo Domingo fu sufficiente

ad allertare l’intera regione caraibica della presenza di Drake. Così, quando il 19 febbraio 1586 questi arrivò a Cartagena de Indias non poté avvalersi del fattore sorpresa. Per compensare questo svantaggio fece sbarcare all’alba i suoi mille soldati sulla penisola di Bocagrande. Da lì proseguirono a piedi verso nord a La Caleta, il passaggio che congiungeva la penisola con la città, dove gli spagnoli avevano concentrato le loro difese. Cinquecento soldati di fanteria e duecento arcieri tentarono di proteggere il passaggio con alcuni pezzi di artiglieria e l’appoggio di due galee, ma fu tutto inutile. Gli inglesi attraversarono la linea difensiva lungo la costa occidentale avanzando con l’acqua fino alla vita e la loro superiorità numerica finì per imporsi. Una volta viste crollare le proprie barriere, la città si arrese. Il bilancio finale fu di nove morti tra gli spagnoli e 28 tra gli inglesi, più una cinquantina di feriti in totale. I corsari lasciarono la città due mesi dopo con un bottino complessivo di 500mila pesos tra i riscatti per i prigionieri e il prezzo per la liberazione della città. Avevano preso tutto quello che avevano trovato, ma era meno di quanto si aspettassero.

98 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

maestosi insediamenti ispanici d’America praticamente in rovina. Risultati simili ebbe il passaggio della spedizione per Cartagena de Indias, che nonostante le sue difese naturali e militari fu conquistata dalle truppe di fanteria e dall’artiglieria navale e sottoposta a due mesi di occupazione. In questo periodo Francis Drake negoziò con le autorità locali un sostanzioso riscatto, la cui trattativa fu condotta senza particolare fretta perché l’epidemia stava ancora decimando gli inglesi. Il 22 aprile le navi corsare lasciarono la città portandosi via 500mila pesos. La flotta spagnola proveniente da Siviglia per dare la caccia a Drake arrivò solo due giorni più tardi trovando il porto devastato. La destinazione successiva avrebbe dovuto essere Panama, dove gli inglesi volevano catturare alcune navi della flotta spagnola e impossessarsi dei muli carichi d’oro e d’argento che venivano radunati sull’istmo per imbarcare le ricchezze americane verso L’Avana, da cui poi avrebbero raggiunto


CARTAGENA DE INDIAS

In seguito ai numerosi attacchi dei pirati e della flotta di Francis Drake, il re spagnolo Filippo II incaricò Juan de Tejeda di costruire attorno alla città il poderoso perimetro difensivo visibile nell’immagine.

PIXELCHROME / GETTY IMAGES

l’Europa. Ma l’epidemia contratta a Capo Verde continuava a mietere vittime tra la flotta corsara. Alla fine i capitani rinunciarono a completare l’itinerario inizialmente previsto da Drake e decisero di rientrare in Inghilterra. Sulla via del ritorno il mare costrinse le navi ad avvicinarsi a capo San Antonio, all’estremità occidentale di Cuba. Qui ormeggiarono per più di due settimane nel tentativo di rifornirsi d’acqua. Le autorità di L’Avana entrarono in stato di allerta nel timore di un assalto da parte degli inglesi, che però non ebbe luogo. Ansiosa di ripartire, la flotta britannica si diresse verso la penisola della Florida, dove all’inizio di giugno trovò per caso il piccolo insediamento spagnolo di San Agustín, il primo abitato della zona, e lo rase al suolo. L’operazione fu conclusa molto rapidamente perché i coloni avevano abbandonato in anticipo la città nel timore di trovarsi di fronte al temibile corsaro. Dopo quest’ultimo attacco contro gli interes-

CRONACA DI UN INSUCCESSO Con questa lettera del 26 luglio 1586 Drake informava il lord tesoriere Cecil di non essere riuscito a intercettare la flotta del tesoro spagnolo. ALBUM

si spagnoli la flotta costeggiò il continente americano fino all’isola di Roanoke, nell’attuale Carolina del Nord, dove il 19 giugno s’imbatté in una colonia inglese di recente creazione, i cui abitanti desideravano tornare al più presto in patria. Le azioni belliche della prima spedizione americana erano giunte al termine. Per Drake era arrivato il momento di lasciarsi alle spalle il ruolo di spauracchio degli spagnoli per assumere quello di buon patriota, riportando con sé in Inghilterra i primi coloni di Roanoke.

Ritorno a casa Il 28 luglio 1586 la spedizione approdò a Portsmouth. Il Paese ricevette Francis Drake con gli onori che si tributavano ai militari di rientro da una campagna di successo. L’obiettivo di colpire gli interessi dell’impero spagnolo saccheggiandone i porti e seminando il terrore era stato pienamente raggiunto. Ne erano prova i forzieri vuoti di Santo Domingo, STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

99


BRIDGEMAN / ACI

SANTO DOMINGO L’attacco di Drake el 1589, a Leida, fu pubblicata la cronaca della spedizione di Drake nelle Indie occidentali del 1585-1586. Il testo di Walter Bigges, uno dei partecipanti alla missione, era accompagnato da una serie di mappe illustrate realizzate dal cartografo italiano Giovanni Battista Boazio. Quella qui accanto mostra la flotta del corsaro ormeggiata di fronte a Santo Domingo. Sono anche visibili le fortificazioni e l’assetto urbano della città, benché le dimensioni e la complessità appaiano esagerate. Sono inoltre rappresentate le navi che le autorità affondarono nel porto per bloccare il canale, cosa che non riuscì a fermare gli inglesi. Nel corso dei suoi viaggi Drake raccontò di aver visto “grandi serpenti chiamati caimani, simili a enormi lucertole e commestibili”. Qui se ne può vedere un esemplare . SOPRA: PARTICOLARE DEL RITRATTO DI DRAKE OPERA DI SAMUEL LANE. XIX SECOLO.


DAGLI ORTI / AURIMAGES


L’ULTIMA AVVENTURA

N

LA MORTE DI FRANCIS DRAKE. LITOGRAFIA A COLORI DI ARTHUR DAVID MCCORMICK PUBBLICATA NEL 1914.

ELLA SUA spedizione finale (1595-1596) Drake poté rendersi conto che le autorità spagnole avevano imparato la lezione. Da Las Palmas de Gran Canaria a San Juan de Puerto Rico le guarnigioni locali si fecero trovare pronte e respinsero vigorosamente gli attacchi inglesi. A Puerto Rico i cannoni spagnoli colpirono la cabina di Drake uccidendo due suoi compagni. Si racconta che lui stesso si salvò per miracolo, alzandosi per un brindisi giusto un attimo prima che una palla di cannone disintegrasse lo sgabello su cui era seduto. Il piano di Drake era raggiungere le coste panamensi, attraversare l’istmo e assaltare la città di Panama, ma le piogge e le azioni di disturbo spagnole lo costrinsero a rinunciare. Ammalatosi di dissenteria, Drake morì mentre la sua flotta cercava di raggiungere Portobelo.

BRIDGEMAN / ACI

gli edifici bruciati dell’isola di Santiago e di Cartagena de Indias e il panico che pervadeva tutti i porti della monarchia spagnola, dalla penisola iberica alle Canarie, da Capo Verde ai Caraibi. Tuttavia la missione era stata un fallimento dal punto di vista finanziario e in termini di perdite umane. Il bottino finale di 60mila sterline ammontava a circa un decimo dei profitti attesi. I finanziatori della spedizione, regina compresa, avevano perso un quarto del denaro investito. Inoltre erano morti complessivamente 750 uomini, alcuni in combattimento e la maggior parte a causa della terribile epidemia. E tra i sopravvissuti molti tornavano a casa feriti o portando addosso le devastanti conseguenze della malattia. Nonostante tutto, la spedizione era stata un successo in termini di propaganda perché aveva messo in luce la vulnerabilità delle città spagnole d’oltreoceano. Santa Cruz de La Palma era l’unico porto ad aver respinto l’attacco del corsaro inglese, segnando un punto 102 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

IL GIOIELLO HENEAGE Questo cammeo di Nicholas Hilliard è dedicato alla regina Elisabetta in qualità di salvatrice della Chiesa anglicana. 1595. Victoria and Albert Museum, Londra. AURIMAGES

d’inflessione nel suo destino. Come diretta conseguenza di questi eventi, Spagna e Inghilterra ruppero le relazioni diplomatiche e diedero inizio a una guerra che si sarebbe protratta dal 1585 al 1604.

Morte ai Caraibi Filippo II decise di organizzare una spedizione navale per invadere l’Inghilterra. Salpata da Lisbona nel 1588, la flotta spagnola andò incontro a una disastrosa sconfitta che le valse l’ironico epiteto di “invincibile armata” da parte dei suoi avversari. Senza dubbio Drake svolse un ruolo fondamentale nella vittoria inglese: fu mandato a disturbare i preparativi della missione spagnola, anche se riuscì a infliggere solo pochi danni a Cadice e nessuno a Lisbona. Contribuì pure alla difesa contro il tentativo d’invasione partecipando alla battaglia navale di Gravelinas, dove grazie anche alle pessime condizioni meteorologiche tutti i piani spagnoli naufragarono. Approfittando della presunta debolez-


NTPL / SCALA, FIRENZE

za della Spagna, l’Inghilterra organizzò ben presto una contro-operazione per punire gli avversari. E a capo di quella che sarebbe stata ribattezzata “English Armada” fu messo proprio Drake. Questa campagna fu ancora più disastrosa di quella spagnola che voleva emulare: gli inglesi persero oltre tremila soldati nel tentativo di dare assalto a La Coruña e cercarono inutilmente d’istigare una ribellione contro Filippo II a Lisbona. Non riuscirono neppure a conquistare le Azzorre, mossa che gli avrebbe permesso di controllare il traffico con il Nuovo mondo. Tornato a Plymouth Drake si dedicò nuovamente alla politica, ma nel 1595 la regina Elisabetta gli affidò un ultimo compito: ripetere la gloriosa spedizione di dieci anni prima ai Caraibi, condividendo con John Hawkins il comando di quella che doveva essere la più grande offensiva inglese mai organizzata contro l’America spagnola. Ciononostante la nuova campagna fu un susseguirsi d’insuccessi: Las Palmas de Gran Canaria prima e San Juan de Puerto Rico in un secondo momento

resistettero agli attacchi delle navi della regina. Hawkins perse la vita e gli inglesi non osarono attaccare Cartagena de Indias, le cui fortificazioni erano notevolmente migliorate. Inoltre, mentre si dedicavano ad assaltare e razziare alcuni piccoli insediamenti lungo le coste di Panama e della Colombia, i membri dell’equipaggio contrassero la dissenteria. Il 28 gennaio 1596 la malattia portò alla morte dello stesso Drake. Questo gli impedì di assistere alla disfatta della sua flotta davanti all’isola cubana di Pinos, sotto i colpi d’artiglieria delle navi spagnole. Della più grande spedizione militare mai giunta ai Caraibi, poterono fare ritorno in patria non più di otto navi inglesi.

L’ABBAZIA DI BUCKLAND

Nel 1581 Drake acquistò quest’antica abbazia cistercense che Enrico VIII aveva espropriato per farne la sua residenza nobiliare. Qui trascorse gli ultimi quindici anni di vita.

LUIS REGUEIRA BENÍTEZ E MANUEL POGGIO CAPOTE STORICI

Per saperne di più

SAGGI

Il corsaro della regina Ernle Bradford. Mursia, Milano, 2006. Francis Drake. La pirateria inglese nell’età di Elisabetta Fabio Troncarelli. Salerno Ed., Roma, 2002. FILM

Drake il corsaro Arthur B. Woods. 1935.

STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

103


VIAGGI IMMAGINARI SULLA LUNA Nel XVII secolo lo sviluppo dell’astronomia suscitò un nuovo interesse per la luna, che alcuni immaginarono come un pianeta abitato e raggiungibile dall’uomo

IN CARRO SULLA LUNA

Nell’Orlando furioso (1516) Ariosto immagina che il principe Astolfo, alla ricerca del senno perduto di Orlando, vada sulla luna con san Giovanni a bordo del mitico carro di Elia trainato da quattro cavalli. Incisione di Gustave Doré. AKG / ALBUM



IL MODELLO GEOCENTRICO

Quest’incisione tratta da Harmonia macrocosmica di Andreas Cellarius (1660) illustra la concezione classica dell’universo, con la terra al centro.

LA TORRE DELLA SPECOLA

Costruita a Padova, questa torre di difesa medievale divenne un osservatorio astronomico nel XVIII secolo.

F

in dall’antichità e per tutto il Medioevo la luna, il corpo celeste più vicino alla terra, ebbe il valore di una frontiera. L’universo era diviso in due settori: quello che si trovava al di sotto della luna e quello sopralunare. Il primo era il mondo in continuo mutamento in cui vivevano l’uomo e gli altri esseri; il secondo, il regno perfetto e incorruttibile dove tutto si muoveva con una traiettoria circolare, senza inizio né fine. La luna rappresentava l’inizio dei cieli. Questa visione classica cambiò nel XVII secolo, l’epoca della Rivoluzione scientifica. Ai primi del seicento Galileo Galilei oltrepassò la frontiera lunare grazie a un

C R O N O LO G I A

TRA SCIENZA E FINZIONE

106 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

nuovo strumento, il cannocchiale. Nelle sere del 1609 lo scienziato pisano puntava la nuova invenzione verso il cielo. In questo modo, senza spostarsi dal suo studio di Padova, Galileo inaugurò l’era dei viaggi spaziali. Nel 1610 pubblicò un breve trattato intitolato Sidereus nuncius, una sezione del quale era dedicata alla descrizione della luna. I disegni contenuti nel libro rappresentavano il satellite con un’orografia simile a quella della terra, ovvero fatta di montagne, vallate e vulcani rocciosi. Galileo voleva appunto dimostrare che la luna era un pianeta come gli altri e non faceva parte del perfetto mondo sopralunare, che secondo lui era una semplice invenzione.

1610 L’ASTRONOMO Galileo Ga-

lilei pubblica il libro intitolato Sidereus nuncius. Uno dei capitoli è dedicato alla descrizione dell’orografia della luna, con vallate e montagne.

1634 PUBBLICAZIONE dell’opera

Il sogno dell’astronomo tedesco Giovanni Keplero. In questo breve racconto fantascientifico si narra il primo viaggio immaginario sulla luna.

LUCA DA ROS / FOTOTECA 9X12

S. BEAUCOURT / BRIDGEMAN / ACI

1638 L’UOMO SULLA LUNA,

opera del vescovo anglicano John Godwin, racconta la storia di uno spagnolo che raggiunge il satellite terrestre partendo dall’isola di Tenerife.


1657 PUBBLICAZIONE dell’opera di Cyrano de Bergerac L’altro mondo, divisa in due parti: una è dedicata al viaggio del protagonista sulla luna; l’altra narra del suo soggiorno sul sole.

STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

107


MONDI INFINITI NELL’UNIVERSO NEL XVI SECOLO l’astronomia visse un cambiamento profondo. Tutto

A partire dalle scoperte di Galileo, altri autori cominciarono a immaginare il satellite del pianeta terra come un mondo simile al nostro, forse abitato e sul quale, perché no, si poteva viaggiare. In realtà già alcuni autori antichi – come Luciano di Samosata nella sua Storia vera – avevano immaginato un viaggio sulla luna alla scoperta dei suoi abitanti, i seleniti, anche se si trattava di fantasie a scopo satirico o comico. Nel seicento, invece, il viaggio sulla luna divenne una questione più seria, non perché fosse ritenuto realizzabile, ma perché era collegato alle nuove concezioni scientifiche. In particolare alla teoria copernicana, secondo la quale il sole occupava il centro dell’universo. Furono gli stessi astronomi, professionisti o amatoriali, a scrivere immaginari resoconti di viaggi sulla luna per diffondere la nuova cosmologia.

Questa mappa lunare fu realizzata nel 1707 da Homann e Doppelmayr sulla base delle osservazioni di Hevelius e Riccioli, due astronomi del secolo precedente.

Il primo libro ad apparire nel XVII secolo fu quello dell’astronomo polacco Giovanni Keplero (1571-1630). La sua opera, Il sogno, fu pubblicata postuma nel 1634. Ciononostante era stata probabilmente scritta nella fase iniziale della sua carriera, perché riflette gli interessi che egli aveva manifestato in gioventù. Il sogno può essere considerato un testo divulgativo sulle conclusioni ricavabili dalla teoria eliocentrica.

La vista dalla luna Nella sua opera Keplero racconta di un sogno in cui immagina di leggere un libro che inizia così: «Il mio nome è Duracoto, la mia patria l’Islanda, che gli antichi chiamavano Thule. Mia madre era Fiolxhilde, la cui recente morte mi concesse la libertà di scrivere, cosa per cui ardevo di desiderio da tempo». Duracoto è uno studente con una biografia simile a quella di Keplero, anch’egli figlio di una donna accusata e sospettata di praticare la stregoneria. Entrambi svolgono i loro studi in Danimarca, sotto la direzione di Tyge Brahe. Quando Duracoto torna nella sua città natale, la madre lo convince che è possibile

UN OROLOGIO DEL XVII SECOLO CON IL QUADRANTE CHE INDICA LE FASI LUNARI. BRITISH MUSEUM, LONDRA. BRI TIS HM US

E

UM

/S

CA

LA ,

FIRE

NZE

AKG / ALBUM

NICCOLÒ COPERNICO. RITRATTO DELL’ASTRONOMO POLACCO. XVI SECOLO. MUSÉE DE L’OBSERVATOIRE, PARIGI.

MAPPA DELLA LUNA

ORONOZ / ALBUM WHITE IMAGES / SCALA, FIRENZE

ebbe inizio con De revolutionibus orbium coelestium, libro che lessero in pochi. Il suo autore, il polacco Copernico, ipotizzava che la terra non fosse immobile ma ruotasse attorno al sole, che costituiva quindi il centro dell’universo. Qualche decennio più tardi l’idea del movimento della terra si consolidò come una possibilità reale. Giordano Bruno pensava che gli astri fossero sparpagliati nelle profondità dello spazio siderale e non allineati sulla cosiddetta “sfera delle stelle fisse”. Contemporaneamente s’iniziò a prendere in considerazione l’idea che il sole fosse un astro. Le stelle potevano quindi a loro volta essere dei soli con pianeti che ruotavano attorno a loro, e i pianeti potevano essere abitati.


STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

109


GIOVANNI KEPLERO

Nella sua opera Il sogno il famoso astronomo tedesco descrive un’ipotetica società selenita. Ritratto realizzato nel 1610 da un originale perduto.

AURIMAGES

OROLOGIO ASTRONOMICO

un punto mobile come la luna, allora signfica che il centro attorno al quale essa ruota, cioè la terra, non deve necessariamente essere fisso. Duracoto trova sorprendente la geografia astronomica della luna perché il suo moto implica che la durata degli anni e dei giorni è diversa da quella della terra. Afferma il narratore: «Ai suoi abitanti Levania non pare meno immobile, mentre gli astri corrono in cielo, di quanto a noi uomini sembri immobile la Terra».

La società selenita Il secondo compito di Duracoto consiste nello studiare l’orografia di Levania, i suoi abitanti e i luoghi in cui essi vivono. Keplero suddivide la popolazione selenita in due gruppi, a seconda che vivano o meno nell’emisfero da cui è visibile la terra, che nel testo viene chiamata Volva. La sua descrizione entra nel dominio del fantastico. Se Galileo interpreta l’orografia della luna come un susseguirsi di vallate e montagne, Keplero usa l’immaginazione per popolarla di seleniti, chiedendosi anche che conseguenze fisiche abbiano su di loro le estreme

DISEGNO RAFFIGURANTE LE FASI LUNARI. IL SOGNO DI KEPLERO. SPL /A

G

EF

OT OS

TOC K

CHAN SRITHAWEEPORN / GETTY IMAGES

effettuare dei viaggi incredibili, e apparentemente contrari al senso comune, grazie all’aiuto di alcuni demoni. E infatti, proprio in compagnia di uno di essi Duracoto vola sull’isola di Levania, nome letterario della luna. Una volta raggiunta l’isola, Duracoto ha due compiti da svolgere. Il primo è capire come appaia il cosmo da un punto di osservazione mobile come la luna. Questo primo aspetto del testo rappresenta una grande novità. Fino al XVI secolo, infatti, nessuno pensava di descrivere il cosmo da un luogo in movimento. La terra era considerata il centro fisso dell’universo, e questo permetteva di fare un resoconto esatto di quanto osservabile. L’introduzione dell’ipotesi del moto della terra rappresentava una rivoluzione dal punto di vista filosofico. L’esposizione dell’astronomia da una prospettiva lunare effettuata da Duracoto era una difesa teorica e tecnica del copernicanesimo. Se è possibile realizzare una descrizione cosmologica coerente da

Nominato matematico imperiale, Keplero si stabilì a Praga nel 1600. A destra, orologio astronomico del municipio di Praga.


STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

111


LA LUNA, LA NUOVA FRONTIERA DEL SECOLO

DO

CO R Y/

MAPPA DELLA LUNA REALIZZATA PRIMA DELL’INVENZIONE DEL TELESCOPIO. WILLIAM GILBERT. XVI SECOLO.

BRITISH LIBRARY / ALBUM

oscillazioni di temperatura determinate dalla diversa esposizione ai raggi solari. Appena quattro anni dopo la pubblicazione di Il sogno, apparve un altro testo dedicato a un viaggio immaginario sulla luna, opera del vescovo anglicano Francis Godwin. Anche L’uomo sulla luna (1638) fu pubblicato postumo. Non si sa con esattezza quando Godwin lo compose, anche se sicuramente avvenne dopo il Sidereus nuncius di Galileo del 1610. Curiosamente, il libro veniva presentato come la traduzione in inglese di un ipotetico originale scritto in spagnolo da un certo Domingo Gonsales. Mentre Il sogno aveva un carattere astronomico, il libro di Godwin può essere letto come un romanzo d’avventura. Dopo aver ucciso un uomo in un duello il protagonista, Gonsales, fugge nelle Indie Orientali, dove fa fortuna. Sulla via del ritorno si ferma

AL

AM

L’astronomo reale John Flamsteed scruta il cielo dall’osservatorio di Greenwich in compagnia di un assistente che prende appunti. Incisione. 1700.

sull’isola di Sant’Elena. Qui scopre un tipo di oche selvatiche particolarmente robuste. Decide di usarle come animali da tiro per una specie di carro volante con il quale riesce a sorvolare l’isola. Una volta ripreso il viaggio in nave, viene attaccato da una flotta inglese, da cui si salva fuggendo a bordo del carro trainato dalle oche. Gonsales atterra a Tenerife, ma anche qui deve scontrarsi con l’ostilità degli indigeni. È costretto allora a rimettersi in volo, questa volta in direzione della luna. Vi rimane sei mesi, poi decide di rientrare preoccupato per le condizioni di salute delle oche. Atterra in Cina, dove trascorre un lungo periodo prima di far ritorno in Spagna con una compagnia di missionari gesuiti. Per quanto rappresenti solo una tappa del viaggio, è proprio il soggiorno sulla luna a dare il titolo al libro e a renderlo famoso. Godwin immagina che il satellite sia abitato da una popolazione selenita che è stata capace di creare un vero e proprio paradiso, una specie di isola di Utopia. La ragione della perfezione di questa società lunare risiede in un’usanza peculiare: quando gli abitanti si rendono conto che un bambino è irrequieto,

COPERTINA DELL’OPERA DI JOHN WILKINS. 1640.

GRANGER / AURIMAGES

RES

S

IL CIELO SU GREENWICH

NP

LA PREFAZIONE DELLA PRIMA edizione di L’uomo sulla luna di Godwin, del 1638, presenta il viaggio sul satellite terrestre come una delle varie imprese di quell’epoca di scoperte e conquiste inaugurata da Colombo e, allo stesso tempo, come un trionfo dello spirito scientifico moderno. «L’esistenza degli antipodi era ritenuta un tempo un grande paradosso, come oggi lo è l’idea che la luna sia abitabile. Ma l’accertamento di quest’ultimo fatto sembra riservato all’attuale epoca di scoperta, in cui i nostri Galilei, con le loro lenti, possono contemplare le macchie del sole e descrivere le montagne della luna». Non a caso il protagonista è soprannominato “il messaggero veloce”, un nome che richiama il titolo che Galileo diede al suo libro del 1610, Sidereus nuncius.


STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

113


CYRANO DE BERGERAC

Quest’incisione a colori raffigura il filosofo e poeta francese dal naso prominente, coronato di alloro. XVII secolo.

LOREM UPSIUM

RUE DES ARCHIVES / ALBUM

MONDI DEL SOLE E DELLA LUNA

Viaggi sulla luna e sul sole Sulla scia di Keplero e Godwin, negli anni successivi apparvero altri resoconti in cui si mescolavano le speculazioni scientifiche e gli scopi satirici, come The Discovery of a World in the Moone dell’inglese John Wilkins (1614-1672). Filosofo di fama e tra i fondatori della Royal Society, Wilkins pubblicò l’opuscolo in gioventù, nel 1638 «per dimostrare che ci può essere un altro mondo abitabile su quel pianeta». Lettore di Il sogno di Keplero, Wilkins diede alla sua opera la forma di un’esposizione di tesi filosofiche volte a dimostrare la possibilità di una civiltà lunare. Nella seconda di tali tesi prende posizione su uno dei grandi dibattiti intellettuali dell’epoca affermando: «La pluralità dei mondi non è qualcosa di contrario né alla ragione né alla fede». Ancora più ri114 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

voluzionaria è l’opera del filosofo francese Hector-Savinien Cyrano de Bergerac (16191655). Grazie alla celebre commedia teatrale di Edmond Rostand incentrata sulla sua vita (1897), Cyrano oggi è ricordato per il lungo naso, i duelli e l’amore non corrisposto per Rossana. Ma Savinien era in realtà un intellettuale considerato libertino, cioè ateo, a causa delle sue idee radicali. L’interesse per i progressi scientifici della sua epoca ispira l’opera L’altro mondo, in cui racconta due immaginari viaggi spaziali, uno verso la luna e l’altro verso il sole. Il primo gli serve a criticare i pregiudizi, l’ignoranza e l’intolleranza del suo tempo e a trarre le conseguenze della visione del cosmo inaugurata da Copernico; il viaggio mette infatti in evidenza la piccolezza del nostro mondo, che non è altro che un piccolo satellite del sole. JAVIER ORDÓÑEZ UNIVERSITÀ AUTONOMA DI MADRID

Per saperne di più

TESTI

L’altro mondo Cyrano de Bergerac. Il leone verde, Torino, 1998. SAGGI

Il viaggio sulla luna. Storia di un sogno, tra letteratura e nuova scienza Marco Ghione. Città del silenzio, Novi Ligure, 2017.

GRANGER / AURIMAGES

lo scambiano con un bambino terrestre dal carattere più mite. Questo spiega perché la comunità selenita sia così benevola rispetto alla popolazione terrestre. Anche in questo testo si può notare l’influenza della scienza dell’epoca, in particolare del copernicanesimo, sebbene il vescovo non rivendichi completamente il modello eliocentrico.

Incisione dell’edizione inglese di The Comical History of the States and Empires of the Worlds of the Sun and Moon di C. de Bergerac. 1687.


CYRANO DE BERGERAC NEL REGNO DEI SELENITI a descrizione fatta da Cyrano degli abitanti della luna vuole mostrare ai lettori che la realtà umana conosciuta non è l’unica possibile né l’unica “naturale”. I seleniti sono “uomini animali” alti cinque metri che camminano a quattro zampe. Non si nutrono di carne, bensì di odori, che assorbono attraverso il naso. Questo spiega perché non producono escrementi, che Cyrano considera la fonte di tutte le malattie. Gli aristocratici comunicano per mezzo di un linguaggio musicale, il popolo invece per mezzo di segni. Cyrano immagina qualcosa di molto simile agli audiolibri di oggi: piccoli artefatti che permettono di ascoltare la lettura, scegliendo persino il capitolo.


RAZZI E NAVICELLE SPAZIALI

ALAMY / CORDON PRESS

hi nel XVII secolo fantasticava di un viaggio sulla luna si poneva problemi pratici come la durata del tragitto, l’effetto della gravità e della temperatura sui viaggiatori o il tipo di veicolo da utilizzare: se Godwin immaginava un’imbracatura trainata da uccelli, Wilkins pensava a una nave, e Cyrano a una specie di razzo.

CARRO IDEATO DA WILKINS SIMILE ALLA NAVE VOLANTE DEL SUO LIBRO SULLA LUNA.

GODWIN Il protagonista del romanzo di Godwin, Gonsales, inventa un apparecchio volante trainato da oche selvatiche. Quando queste iniziano la loro migrazione annuale verso la luna, Gonsales si ritrova catapultato nello spazio. Durante i 12 giorni di viaggio, scompaiono la gravità e tutte le direzioni: «Alto, basso, destra o sinistra, era tutto la stessa cosa». Osservando la terra, il protagonista si rende conto che questa non è immobile, ma ruota sul suo asse.

CYRANO

116 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

UN APPARECCHIO TRAINATO DA OCHE PER ANDARE SULLA LUNA. FRANCIS GODWIN. INCISIONE. 1638.

ALAMY / CORDON PRESS

Nel suo romanzo Cyrano racconta di aver costruito «una macchina con grandi ali», simile a un «drago di fuoco». Dei soldati vi legano attorno un gran numero di razzi, simili a quelli usati per i fuochi d’artificio. Al momento dell’accensione della miccia Cyrano riesce a saltare dentro all’apparecchio, che è stato proiettato in cielo dall’esplosione dei razzi. Raggiunta una certa altezza, la macchina ricade sulla terra, ma Cyrano prosegue il volo grazie al midollo di bue con cui si era cosparso il corpo e che veniva attratto dalla luna calante.


CYRANO DE BERGERAC IN UNA MACCHINA VOLANTE. INCISIONE. BRITISH MUSEUM.

ALAMY / CORDON PRESS

PER RECARSI SUL SOLE, CYRANO UTILIZZÃ’ UNA MACCHINA VOLANTE DI DIFFERENTE TIPO, DOTATA DI VELA. BRITISH LIBRARY / ALBUM

STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

117


GRANDI ENIGMI

Il fantasma dell’Opera, un mito del feuilleton Per creare il suo famoso personaggio, il romanziere Gaston Leroux s’ispirò ad alcune vicende su cui aveva indagato come giornalista dalla storia di un misterioso fantasma che vagava dietro le quinte del teatro provocando la morte di chiunque osasse guardarlo.

Il fantasma umano Il fantasma era in realtà un uomo tormentato il cui volto deformato dalla nascita gli conferiva delle sembianze spettrali. Leroux lo presenta ai suoi lettori come un grande esperto di architettura, magia e musica e allo stesso tempo come una specie di morto vivente che aveva costruito il suo regno nei sotterranei dell’Opera. Erik – questo il nome del protagonista – s’innamora di una giovane soprano, Christine Daaé, le dà lezioni

di canto e fa il possibile per farla restare accanto a lui, arrivando persino a rapirla e a nasconderla nelle sue stanze. La storia è un susseguirsi di emozionanti colpi di scena: fughe tra botole e passaggi segreti, la rovinosa caduta di un lampadario nel bel mezzo della sala maestosa, morti, vendette. Alla fine Erik, in un gesto di redenzione, lascia che Christine vada via con il suo amore d’infanzia, il visconte Raoul de Chagny. Nell’epilogo del romanzo Leroux racconta la fine del fantasma: solo, disperato e pieno di frustrazione, dopo aver rinunciato alla donna che tanto desiderava conclude la sua vita isolato dal mondo esterno nel

OLTRE LA LETTERATURA IL FANTASMA DELL’OPERA apparve per la prima volta a puntate sul quotidiano Le Gaulois tra il settembre del 1909 e il gennaio del 1910. Da allora la sua misteriosa storia è stata portata innumerevoli volte sul grande schermo e a teatro. L’adattamento più noto è il musical di Andrew Lloyd Webber uscito nel 1986. COPERTINA DEL ROMANZO IL FANTASMA DELL’OPERA. BRIDGEMAN / ACI

LA SCALA INTERNA

BRIDGEMAN / ACI

N

el settembre del 1909 il quotidiano parigino Le Gaulois pubblicò la prima puntata di un romanzo d’appendice (feuilleton) intitolato Il fantasma dell’Opera. L’autore, Gaston Leroux, che all’epoca non aveva ancora abbandonato la carriera giornalistica, dichiarava di aver investigato su una serie di strani eventi verificatisi a palazzo Garnier, sede dell’Opera di Parigi, e che l’obiettivo del suo romanzo era esporre il frutto di tali ricerche. Nei quattro mesi in cui si succedettero le puntate su Le Gaulois i lettori furono inesorabilmente conquistati

dell’Opéra Garnier che collega l’auditorium ai vari saloni e vestiboli del teatro.

sottosuolo del teatro dell’Opera. Leroux fu un pioniere del romanzo popolare giallo. Nel 1907, con Il mistero della camera gialla, inaugurò la serie di romanzi che hanno come protagonista il detective dilettante Rouletabille che sarebbe proseguita con grande successo fino agli anni venti. Il fantasma dell’Opera dimostrò la stessa capacità di catturare i lettori e ben presto anche gli spettatori grazie a vari adattamenti cinematografici (tra


UN MONUMENTO CONTROVERSO dell’Opera di Parigi doveva essere il fiore all’occhiello dell’imperatore Napoleone III. Nel 1861 venne indetto un concorso pubblico, che fu vinto dal progetto di un giovane architetto, Charles Garnier. Questi immaginò un maestoso edificio caratterizzato da lusso e opulenza in cui spiccava la grande scala in marmo bianco che collegava i vari piani del teatro. Nel 1870 i lavori furono interrotti dalla guerra contro la Prussia e dalla successiva istituzione della Comune, e ripresero solo dopo la sua abolizione. L’edificio fu inaugurato nel 1875 ma all’evento non erano presenti né l’ormai ex imperatore, che nel frattempo era morto, né l’architetto, emarginato dalle nuove autorità. CHARLES GARNIER, ARCHITETTO DELL’OPERA DI PARIGI. 1882.

cui quello del 1925, con Lon Chaney) e, più recentemente, a un musical che ha ottenuto un grande successo internazionale.

Realtà e leggenda Fin dalla prima puntata del romanzo Gaston Leroux assicurava ai suoi lettori che quanto avrebbe raccontato nei capitoli successivi si basava su eventi reali. «Il fantasma dell’Opera è esistito. Non fu affatto, come si è a lungo creduto, un’i-

spirazione di artisti, una superstizione di direttori». E in effetti la storia del fantasma dell’Opera, come altre leggende, affondava le radici in elementi veritieri di cui l’autore francese si servì magistralmente per costruire un racconto ibrido, a cavallo tra verità e finzione. Una prima fonte d’ispirazione per la vicenda di Erik fu lo stesso teatro dell’Opera, fortemente voluto dall’imperatore Napoleone III, desideroso di creare

un tempio della musica che sarebbe diventato il simbolo del suo stesso regno. Nel 1862, all’inizio dei lavori, un ostacolo inaspettato emerse dalle profondità di Parigi: un antico affluente della Senna minacciava la stabilità dell’edificio che sarebbe dovuto sorgere su terreni paludosi. Per assicurarne le fondamenta, l’architetto Charles Garnier creò una specie di laghetto artificiale circondato da mura che avrebbe canalizzato le acque impe-

RUE DES ARCHIVES / ALBUM

IL NUOVO PAL AZZO

dendo possibili infiltrazioni. Attualmente i pompieri parigini lo drenano due volte l’anno per evitare l’innalzamento della falda freatica e preservare la popolazione di pesci che lo abita. Tra questo bacino e il livello del suolo furono costruiti cinque piani di gallerie sotterranee per prevenire frane. Leroux si servì di questa vicenda e immaginò che il suo protagonista fosse stato assunto da Garnier come assistente. Durante il lunSTORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

119


GRANDI ENIGMI

Tragedia all’Opera UNA DELLE SCENE centrali e

LOOK AND LEARN / BRIDGEMAN / ACI

sicuramente più celebri del romanzo di Leroux è quella in cui il fantasma dell’Opera, per spaventare la cantante rivale della sua amata, fa crollare ai suoi piedi il grande lampadario del teatro. Un fatto simile, ma meno noto, avvenne realmente nel 1896. Durante una rappresentazione dell’opera Hellé il grande chandelier di cristallo, o più precisamente l’enorme contrappeso che lo bilanciava, crollò sul pubblico uccidendo all’istante una donna in quarta fila e ferendo molte altre persone. All’inizio la polizia brancolò nel buio e prese in considerazione la possibilità di un attentato.

UN LAMPADARIO CADE SUL PUBBLICO DEL TEATRO IN QUESTA RICOSTRUZIONE DELLA SCENA DESCRITTA NEL ROMANZO DI GASTON LEROUX.

go periodo di costruzione dell’edificio (quasi quindici anni), il fantasma avrebbe lavorato alla costruzione della tana in cui si sarebbe in seguito rifugiato dall’umanità. Qui si svolge la scena di apertura del romanzo basata su un episodio reale di cui lo stesso Leroux fu testimone. Nel 1907 si svolse un incontro tra il direttore della Compagnie française du gra-

mophone, Alfred Clark, e il direttore dell’Opera, Pierre Gailhard, il cui obiettivo era concludere un accordo strettamente confidenziale. Clark aveva donato all’Académie nationale de musique diverse registrazioni di cantanti lirici dell’epoca a una condizione: i dischi dovevano rimanere all’interno di alcune urne di metallo sigillate che sarebbero state aperte solo

Secondo Leroux dietro un muro nei sotterranei dell’Opera erano nascosti i resti di un cadavere GASTON LEROUX, AUTORE DI IL FANTASMA DELL’OPERA. RUE DES ARCHIVES / ALBUM

120 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

cent’anni più tardi. Gailhard decise di conservare questo tesoro proprio nel sottosuolo dell’Opera non lontano dal laghetto artificiale, al riparo dal sole e dagli sguardi indiscreti. Le urne sono poi state effettivamente aperte nel 2007 e le registrazioni pubblicate in tre CD con il titolo Les urnes de l’Opéra. Leroux riporta questa storia aggiungendo un par-

ticolare: quando gli operai iniziarono i lavori per costruire una cassaforte in una delle pareti dei sotterranei, il crollo di un muro rivelò un locale arredato. All’interno della stanza c’era un corpo in decomposizione.

Dietro la parete Secondo Leroux, per nascondere quell’inattesa scoperta l’Opera si era sbarazzata del cadavere gettandolo in una fossa comune. Ma il romanziere avrebbe deciso di svolgere delle indagini, scoprendo che la struttura ossea del corpo presentava segni di malformazione. Chiunque fosse, scrisse Le-


SEZIONE dell’Opéra Garnier in

cui si possono vedere le gallerie e i corridoi che attraversano i sotterranei dell’edificio.

Foyer della danza

Lago

Palcoscenico

Auditorium

Scala interna

Entrata

RICHARD PEDUZZI / RMN-GRAND PALAIS

roux, si era chiuso lì dentro allo scopo di morirvi. In realtà non risulta essere mai stato trovato nessun misterioso scheletro nei sotterranei dell’Opera di Parigi. Questo però non impedì il diffondersi di voci secondo le quali si trattava del cadavere di un comunardo, un partecipante alla grande insurrezione popolare che aveva scosso Parigi nel 1871. A questo riguardo l’unico fatto provato è che, durante l’assedio di Parigi da parte dei prussiani, nel 1870 l’edificio fu utilizzato come rifugio e deposito di munizioni e viveri. Va inoltre ricordato che anni dopo la

fine della Comune in diverse parti della città continuavano ancora a riemergere i resti delle migliaia di vittime della repressione del 1871. Un altro elemento che coniuga realtà e finzione è la storia della protagonista femminile del romanzo, Christine Daaé. Le somiglianze tra questo personaggio immaginario e una cantante dell’epoca dell’autore sono più che evidenti. Sembra che Leroux si fosse ispirato alla vita di Christina Nilsson. Come quest’ultima, la soprano di Il fantasma dell’Opera era nata in Svezia in seno a una famiglia contadina e, in seguito alla morte

della madre, aveva seguito il padre di villaggio in villaggio suonando il violino e cantando melodie popolari. Entrambe le donne erano state scoperte a una fiera da un ricco mecenate che si era fatto carico della loro formazione e gli aveva aperto le porte del mondo della lirica di Parigi. Tutte e due avevano finito per sposare un aristocratico: nel caso di Nilsson il conte spagnolo di Casa Miranda. E il fantasma? È interessante notare che negli anni in cui Leroux scriveva il suo romanzo a Parigi si parlava molto di apparizioni di spettri. Nel 1905, ad esempio, il fisiologo Charles Richet,

premio Nobel per la medicina nel 1913, fece scalpore presentando una relazione su alcune manifestazioni di fantasmi in Algeria, di cui pubblicava persino le foto. Leroux d’altro canto non sembrava particolarmente interessato a questi fenomeni. Il protagonista del suo romanzo, in realtà, non è davvero un fantasma, ma un uomo in carne e ossa che ha imparato a sfruttare le paure e le superstizioni altrui. —Sandra Andrés Belenguer Per saperne di più Il fantasma dell’Opera Gaston Leroux. Newton Compton, Roma, 2015.

STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

121


GRANDI SCOPERTE

Il simbolo del Messico preispanico: Xochicalco Alla fine del XVIII secolo José Antonio Alzate scoprì un’antica città con grandi templi, lussuosi palazzi e tre campi per il gioco della palla

1777

MESSICO

GOLFO DEL MESSICO

CITTÀ DEL M ESS I CO

Xochicalco

GUATEMALA

OCEANO PACIFICO

nata attorno al 1100, divenne un ammasso di rovine ricoperte dalla boscaglia. Bernardino de Sahagún la menziona nella sua monumentale opera Historia general de las cosas de Nueva España: «C’è […] un edificio chiamato Xuchicalco, situato nella zona di Cuauhnáoac», scrisse, anche se non ci sono prove che il frate francescano fosse mai stato da quelle parti.

Salvata in tempo Non sembra che nessun altro si fosse mai interessato a quel luogo fino all’ar-

José Antonio Alzate visita la regione di Cuernavaca e raggiunge le rovine di Xochicalco.

1784

rivo di Alzate nel 1777. Nel corso della sua prima visita lo studioso confermò che la collina su cui sorgeva Xochicalco era artificiale. Notò poi l’architettura militare della città e l’eccellente fattura degli edifici e dei rilievi con cui erano decorati. Inoltre, fece una descrizione particolareggiata della piramide del dio Quetzalcóatl – il serpente piumato –, la struttura più emblematica del sito. Su un basamento con una scalinata sorgeva anticamente un tempio (nel XVIII secolo ormai scomparso), dedicato a Quetzalcóatl nella sua veste di divinità delle acque. Lungo le mura perimetrali della piramide si snodavano sinuosamente otto serpenti delicatamente intagliati. La loro bellezza indifesa fece esclamare ad Alzate: «Questa splen-

Alzate fa ritorno nella città e ne constata il deterioramento. Entra per la prima volta nell’osservatorio.

1909

di Xochicalco contempla le rovine sommerse dalla boscaglia della piramide di Quetzalcóatl, il serpente piumato. Incisione di Federico Mialhe. 1839.

dida architettura, paragonabile alle piramidi egizie, è stata distrutta dall’avidità dei proprietari o amministratori delle piantagioni [da zucchero]», colpevoli di averne usato le pietre

Leopoldo Batres ricostruisce la piramide di Quetzalcóatl. Il sito apre al pubblico nel 1910.

DIARIO LITERARIO DE MÉXICO, NUMERO DEL 1768 DELLA RIVISTA DI JOSÉ ANTONIO ALZATE. ORONOZ / ALBUM

UN GRUPPO di visitatori

CHRISTIE’S IMAGES / SCALA, FIRENZE

N

el 1777 il filosofo e umanista José Antonio Alzate stava visitando la zona di Cuernavaca – nell’odierno stato di Morelos, a sud-ovest di Città del Messico – in cerca d’informazioni per i suoi articoli. Fu allora che un indigeno gli parlò di Xochicalco decantandone le bellezze. Inizialmente Alzate provò una certa diffidenza. Poi però si decise a seguirlo lungo un ripido sentiero. Quando i due raggiunsero le rovine dell’antica città, Alzate dovette riconoscere di aver trovato ben più di quanto si aspettasse. Xochicalco (la casa dei Fiori, in lingua nahuatl) era una città preispanica fondata nella seconda metà del VII secolo. Dopo essere stata abbando-

1984

Viene inaugurato il progetto Xochicalco, a cui darà nuovo slancio Norberto González a partire dal 1993.


GRANDI SCOPERTE

RIVELAZIONE A PARIGI ALL’ESPOSIZIONE UNIVERSALE di Parigi del

ramento del sito dovuto soprattutto all’azione degli alberi: questi erano «proliferati eccessivamente tra le giunture delle pietre», rischiando di staccarle dalla loro collocazione originaria. In quest’occasione Alzate entrò nell’osservatorio, una grotta artificiale situata nella parte settentrionale della città. Si trattava di una delle nove cave dalle quali erano stati estratti i materiali utilizzati per costruire gli edifici principali.

ALAMY / CORDON PRESS

per costruire i loro forni. Alzate si augurava che la loro «spudoratezza [fosse] oggetto di disprezzo da parte degli amanti dell’antichità». Importanti sono anche i dati raccolti sul colore, oggi praticamente scomparso. Un altro luogo d’interesse della città era l’osservatorio, che Alzate conobbe solo nel corso della sua seconda visita. Il 4 gennaio 1784 il filosofo tornò a Xochicalco e constatò il rapido deterio-

1867 era presente un padiglione ispirato all’architettura di Xochicalco: vi erano esposte le scoperte effettuate dalla commissione di archeologi francesi che in quegli anni lavoravano nel sito. Qui sotto è riportata un’incisione di The Illustrated London News.

STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

123


G R A N D I IS NC V O EP N EZ R ITOE N I

La città sulla collina Costruita su una collina artificiale di 130 metri di altezza, Xochicalco divenne la città più importante dell’altopiano messicano durante il periodo epiclassico (700-900 d.C.). I suoi governanti ne fecero un insediamento fortificato, il cui assetto territoriale si sviluppava su vari livelli. Al di sopra di questo tessuto urbano si trovavano i grandi edifici civili e religiosi, così come i palazzi delle élite cittadine.

1

2

124 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC


GRANDI SCOPERTE

9 4

6

7 3

8

5

1 Campo da gioco

4 Acropoli. È la

7 Tempio delle

2 Piazza della stele

5 Cortile infossato.

8 Campo da gioco

3 Grande piramide.

6 Piramide di

9 Osservatorio.

dei due glifi. Era l’ingresso vero e proprio della città. Al centro, un tempietto conteneva una pietra intagliata di due metri di altezza.

È la struttura più alta della città. Forse era dedicata alle cerimonie del Fuoco Nuovo, che si celebravano ogni 52 anni.

zona più elevata. Qui sorgevano un sontuoso palazzo, granai e laboratori.

Situato a diversi metri sotto il livello del suolo, vi si accedeva da una scalinata sul lato ovest.

Quetzalcóatl. Sita nella piazza principale, si distingue per i rilievi che rappresentano la divinità del serpente piumato.

tre stele. Vi furono trovati tre monumenti distrutti ritualmente.

est. È più piccolo di quello sud. Su uno dei lati fu rinvenuta una stele su cui erano scolpiti tre segni del calendario rituale.

Questa grotta rivestita di pietre intagliate permetteva di verificare il passaggio zenitale del sole due volte l’anno.

Temazcal. Accanto al campo da gioco nord sorge questo edificio in cui si praticava una specie di sauna cerimoniale. STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

ILLUSTRAZIONE: TRASANCOS 3D

sud. È il più grande del sito. Vi è stata trovata una scultura con la testa di un’ara.

125


GRANDI SCOPERTE

Metlatl, o pietra per macinare, con il nome di un governante. Cleveland Museum of Art.

Testa di pappagallo. Faceva forse parte della decorazione del campo da gioco sud. Museo de Antropología, Città del Messico.

Stele di Tláloc rinvenuta all’interno del tempio della grande piramide. Museo de Antropología, Città del Messico.

Oggetti di pietra archeologici di Xochicalco hanno portato alla luce un gran numero di sculture e stele in pietra che sono conservate in diversi musei. Qui se ne possono osservare tre esempi. GLI SCAVI

METLATL: QUINTLOX / ALBUM. TESTA E STELE: SCALA, FRIENZE

In Mesoamerica le grotte occupavano un posto centrale nei rituali, in quanto erano considerate le soglie di passaggio all’oltretomba. In questo senso l’osservatorio era uno spazio sacro. Nella parte superiore della struttura è presente un’apertura esagonale attraverso cui

penetra la luce del sole due volte l’anno. Anticamente indicava i momenti più importanti del ciclo agricolo e permetteva di studiare il movimento delle stelle. Secondo la leggenda, mettendo un braccio nel fascio di luce che entrava dalla fessura era possibile vederne le ossa proiettate sul pavimento. Alzate rimase meravigliato dall’esperienza. Pur ammet-

tendo che gli indigeni non conoscevano le proprietà del magnete, «o almeno non utilizzavano il ferro per costruire aghi magnetici», fu sorpreso dall’allineamento dei monumenti e del lucernario dell’osservatorio con determinati punti astronomici. L’umanista riferì le scoperte effettuate nel corso dei suoi due viaggi a Xochicalco in un’opera del 1791

Xochicalco era un importante centro politico, religioso e commerciale, ma fu abitata solo per quattro secoli URNA A FORMA DI PIPISTRELLO. MUSEO NACIONAL DE ANTROPOLOGÍA. CITTÀ DEL MESSICO. SCALA, FIRENZE

intitolata Descripción de las antigüedades de Xochicalco. Il volume contribuì a fare del luogo uno dei simboli del nazionalismo messicano del XIX secolo.

Sviluppi archeologici Il sito divenne presto un’attrazione. Pur non avendo mai visitato il Paese, Jules Verne ne parlò nel suo romanzo Un dramma in Messico. Anche Carlotta, la moglie di Massimiliano I del Messico (18321867) volle andare a vederlo: per facilitarle l’ingresso nell’osservatorio, furono intagliati nella pietra dei gradini, tuttora visibili.


LA PIRAMIDE DEL SERPENTE PIUMATO

TOÑO LABRA / AGE FOTOSTOCK

è un edificio di dimensioni modeste (22 m di larghezza, 18 m di lunghezza e 4 m di altezza), ma caratterizzato da magnifici rilievi sulle mura.

Gli scavi sistematici dell’antica città iniziarono solo nel XX secolo. Nel 1909 l’archeologo Leopoldo Batres ricostruì la piramide di Quetzalcóatl con l’intenzione di far coincidere l’inaugurazione del sito con il centenario dell’indipendenza messicana, ma lo scoppio della rivoluzione l’anno successivo mandò all’aria i suoi piani. Aperta al pubblico nel 1910 (non si conosce la data esatta a causa dello scoppio della Rivoluzione messicana), Xochicalco non ha più smesso di essere studiata e visitata. Dal 1993 Norberto González Crespo, direttore del Progetto Xochicalco, ha

dato nuovo slancio alle ricerche archeologiche. Sono state scoperte diverse strade, campi per il gioco della palla, temazcal (saune cerimoniali) e la sottostruttura della piramide di Quetzalcóatl. Nei suoi angoli sono state trovate interessanti offerte votive, come un adolescente sepolto con il proprio cane. Nel 1996 è stato inaugurato anche il Museo del sito di Xochicalco, e nel 1999 il parco archeologico è stato dichiarato patrimonio mondiale dell’umanità dall’UNESCO. Oggi si sa che la città sorse intorno all’anno 650 e si sviluppò durante l’Epiclassico (700-900), un perio-

do caratterizzato dalla nascita di città costruite sulla sommità delle colline per difendersi dai frequenti conflitti. E fu proprio questo il caso di Xochicalco, fondata su un rilievo artificiale e protetta da mura e fossati. I monumenti più importanti – piazze, piramidi, templi e palazzi – furono costruiti sull’acropoli, mentre la popolazione lavoratrice viveva nei quartieri situati sui terrazzamenti sottostanti. Pur essendo stata abitata solo per quattro secoli, fu un importante centro politico, religioso e commerciale. Dopo più di cento anni di studi ininterrotti, l’antica

città continua però a essere una fonte d’interrogativi. Da chi fu costruita e perché fu distrutta? Quale fu il suo ruolo nella complessa evoluzione politica della regione? La piramide di Quetzalcóatl è connessa in qualche modo alla nascita del tempio mesoamericano? Gli archeologi hanno ancora molto da scoprire sulla casa dei Fiori. —Isabel Bueno Per saperne di più SAGGIO

Gli altopiani delle guerre. Xochicalco e Tula Aa. Vv. Jaca Book, Milano, 1996. SCHEDA UNESCO

http://whc.unesco.org/en/ list/939

STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

127


M O S T R E A CURA DI MATTEO DALENA ARTE ORIENTALE

Venti d’Oriente nell’arte europea

D

alla seconda metà dell’ottocento il mercato europeo fu invaso da un’enorme varietà di oggetti come ceramiche, stampe e arredi da giardino provenienti dal Giappone. Un Paese che, dopo oltre due secoli d’isolamento, nel 1854 cominciò a tessere relazioni diplomatiche e commerciali con Stati Uniti, Russia, Paesi Bassi, Inghilterra e Francia. Questo comportò uno sconvolgimento degli usi europei secondo la moda japoniste e lo stile di alcuni manufatti importati dal “sol levante” fu assunto addirittura a modello per le arti decorative occidentali. È curioso notare come le prime xilografie giapponesi si diffusero quasi per caso: i fogli con i celebri manga di Hokusai, le stampe di Utamaro e Hiroshige che influenzarono ad esempio gli impressionisti e i nabis, in prin-

ANSELMO BUCCI. La giapponese (Il Kimono). 1919. 130 x 94 cm.

Courtesy Matteo Mapelli. Galleria Antologia, Monza.

cipio servivano a impacchettare e preservare l’integrità di vasi e ceramiche spediti in Europa. La cosiddetta moda “giapponista” esplose

intorno al 1860 attraendo dapprima la ricca borghesia internazionale, ma come notò già otto anni dopo il critico letterario francese Edmond

de Goncourt, «oggi si è propagato a qualsiasi cosa e a chiunque, persino agli idioti e alle donne della classe media». Ad amplificare la portata del fenomeno contribuirono quattro esposizioni internazionali che, grazie ai rispettivi padiglioni giapponesi, fecero scoprire oggetti dagli stili decorativi essenziali e dai colori luminosi. Il giapponismo influenzò artisti come Gauguin, Toulouse-Lautrec, Van Gogh, Klimt e molti altri che la mostra curata da Francesco Parisi intende passare in rassegna privilegiando pittura e grafica ma con sezioni dedicate ad architettura, arti applicate e arredi. GIAPPONISMO (1860-1915) Francesco Parisi. Palazzo Roverella, Rovigo. 28 settembre 2019–26 gennaio 2020 www.palazzoroverella.com

ARTE E STORIA DI VENEZIA

L’ultimo eroe della Serenissima

D ARMI NASCOSTE

Libro di preghiere con pistola del doge Francesco Morosini, secolo XVII; acciaio, cuoio, carta. Manifattura italiana. Museo Correr, inv. Cl. XIX n. 1515. 128 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

el capitano generale da mar e 108° doge della repubblica di Venezia Francesco Morosini (1619-1694) si dice che amasse solo la sua gatta, imbalsamata e sepolta assieme a lui. In occasione dei 400 anni dalla nascita del valoroso condottiero - protagonista delle battaglie della “Serenissima” contro l’impero ottomano (ma al-

lo stesso tempo passato alla storia come uomo arrogante e vanitoso) una mostra di oltre 200 pezzi tra cui dipinti, sculture, stampe, volumi e documenti ne illustra la storia personale, politica e militare. Morosini, che per meriti militari in Grecia si guadagnò nel 1687 il titolo di “Peloponnesiaco”, fu un collezionista di dipinti che illustravano le proprie

gesta militari ma anche di armi sottratte agli ottomani, strumenti musicali, statue d’imitazione classica e sculture antiche. FRANCESCO MOROSINI TRA STORIA E MITO Direzione scientifica di Gabriella Belli Museo Correr, Venezia. Fino al 6 gennaio 2020 www.correr.visitmuve.it


9-10 novembre 2019 Ferrara Fiere sabato ore 10-19 • domenica ore 10-18

tracce.com

viaggio nel tempo tra luoghi, sapori e rievocazioni storiche in contemporanea:

www.usiecostumi.org


Prossimo numero L’ESERCITO DI TERRACOTTA DI XI’AN NEL 1974 GLI ARCHEOLOGI

OLEKSIY MAKSYMENKO / ALAMY / CORDON PRESS

iniziarono gli scavi della tomba del primo imperatore cinese, Qin Shi Huang, nei pressi di Xi’an. Dal suo immenso mausoleo emerse un esercito di migliaia di figure di terracotta disposto a protezione del sovrano nell’aldilà. Ognuna delle statue è alta circa 1,80 metri, pesa 200 chili e presenta tratti facciali, acconciature e colori personalizzati. La loro realizzazione richiese risorse materiali, umane e tecniche immense.

LA CACCIA ALLE STREGHE IN SCOZIA TRA IL XVI E IL XVII SECOLO la paura delle streghe s’impossessò dell’Europa. In Scozia le persecuzioni nei confronti delle presunte adoratrici di Satana si scatenarono in diverse ondate e con particolare virulenza. Lo stesso re Giacomo VI era convinto che le streghe cospirassero contro di lui. Quasi sempre alle vittime si facevano confessare delitti immaginari tramite la tortura. MUSÉE D’ORSAY / BRIDGEMAN / ACI

In viaggio verso l’aldilà Rappresentato sui papiri o sulle pareti delle tombe, il Libro dei morti, conosciuto anche come Libro per uscire nel giorno, conteneva le istruzioni che il defunto doveva seguire per confessare i suoi peccati, affrontare la pesatura del cuore e fare il suo ingresso nell’aldilà.

La crociata dei fanciulli Nel 1212 due giovani pastori guidarono i rispettivi movimenti di bambini che speravano di liberare la Terra Santa. Partirono in migliaia, ma vennero ingannati e finirono venduti come schiavi in Africa. Un episodio tra storia e leggenda ancora poco conosciuto.

La dittatura di Silla Nell’82 a.C., in piena crisi della repubblica romana, Lucio Cornelio Silla fu proclamato dittatore e assunse poteri simili a quelli di un sovrano, tingendosi di un’aura quasi divina. Tuttavia pochi anni dopo sorprese tutti rinunciando al posto e ritirandosi dalla vita politica.


Crediamo ancora nelle emozioni

PERÙ: SULLE TRACCE DEGLI INCAS L I M A , PA R A C A S , N A S C A , A R E Q U I PA , C A N Y O N D E L C O L C A , L A G O T I T I C A C A , C U S C O , VA L L E S A C R A , M A C H U P I C C H U

UN ITINERARIO STRAORDINARIAMENTE COMPLETO, DAL MIRACOLO DI MACHU PICCHU AI MISTERI DELLE LINEE DI NAZCA, DAI CONDOR DEL COLCA AI LEONI MARINI DI PARACAS.

QUOTE A PARTIRE DA 2.850 EURO PROSSIME PARTENZE: TUTTI I SABATI E LUNEDÌ DA MARZO 2020

QUALITYGROUP.IT



Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.