Storica National Geographic - febbraio 2021

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LA GUERRA DEGLI ELEFANTI

MAESTRO DI TOLLERANZA

REGINE D’ISRAELE

ALCHIMISTI DI PRAGA

- esce il 16/01/2021 - poste italiane s.p.a spedizione in abbonamento postale d.l. 353/2003 (conv. in l. 27/02/2004 n° 46) 1 comma 1 - lo/mi. germania 12 € - svizzera c. ticino 10,20 chf - svizzera 10,50 chf - belgio 9,50 €

LA CORTE ALCHEMICA DI RODOLFO II

aut. mbpa/lo-no/063/a.p./2018 art.

VOLTAIRE

9 772035 878008

periodicità mensile

ANNIBALE

10144

ALESSANDRO MAGNO ED EFESTIONE

N. 144 • FEBBRAIO 2021 • 4,95 E

storicang.it

MOSCHEA DI CORDOVA LA STORIA DI UN EDIFICIO UNICO



L’INVASIONE DELL’ITALIA IN UN AFFRESCO DI PALAZZO DEI CONSERVATORI, A ROMA, IL PITTORE DEL XVI SECOLO JACOPO RIPANDA DIPINSE ANNIBALE SU UN ELEFANTE, DOPO CHE AVEVA VALICATO LE ALPI.

24 Il tempio di Karnak, casa di Amon Nel santuario tebano veniva effettuata la cerimonia del culto quotidiano del dio Amon. DI ELISA CASTEL

38 Regine d’Israele Alcune delle storie più drammatiche della Bibbia hanno per protagoniste donne della regalità ebraica. DI GUADALUPE SEIJAS

50 Alessandro ed Efestione Il sostegno incondizionato offerto da Efestione ad Alessandro alimentò una forte complicità tra i due. DI MARIO AGUDO VILLANUEVA

64 Annibale e la guerra degli elefanti Annibale e i comandanti cartaginesi impiegarono in guerra centinaia di pachidermi. DI FERNANDO QUESADA SANZ

78 La moschea di Cordova Trasformata in cattedrale nel 1236, rappresenta una sintesi di eredità musulmana e arte occidentale. DI Y. V. OLMEDO SÁNCHEZ

96 Gli alchimisti dell’imperatore Alla fine del cinquecento, la corte di Praga accolse gli alchimisti più eminenti dell’epoca. DI MIGUEL LÓPEZ PÉREZ

108 Voltaire, maestro di tolleranza Incarnò la lotta dell’Illuminismo contro gli abusi di potere e a favore della tolleranza. DI MARTÍ DOMÍNGUEZ

6, 8 ATTUALITÀ 10 GRANDI INVENZIONI L’elica rivoluziona la navigazione L’austriaco Ressel progettò la prima elica per le navi a vapore, ma il merito andò a due ingegneri inglesi.

16 VITA QUOTIDIANA L’hot dog, il panino degli immigrati Alla fine del XIX secolo si diffuse negli Stati Uniti la passione per i würstel serviti tra due fette di pane.

20 EVENTO STORICO La Guerra del Pacifico Nel 1879 il Cile entrò in guerra con la Bolivia e il Perù per il controllo dei più grandi giacimenti di nitrato di sodio del mondo.

122 GRANDI SCOPERTE Le teste in bronzo di Ife Agli inizi del novecento Leo Frobenius scoprì preziosi manufatti yoruba della Nigeria medievale.

126 FOTO DEL MESE 128 LIBRI

DISTILLAZIONE ALCHEMICA. INCISIONE IN UN TRATTATO DI H. BRUNSCHWIG. 1512. STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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Licenciataria de NATIONAL GEOGRAPHIC SOCIETY, NATIONAL GEOGRAPHIC TELEVISION

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MOSCHEA DI CORDOVA ALESSANDRO MAGNO ED EFESTIONE

LA STORIA DI UN EDIFICIO UNICO

Pubblicazione periodica mensile - Anno XIII - n. 144

PRESIDENTE

RICARDO RODRIGO

VOLTAIRE MAESTRO DI TOLLERANZA

REGINE D’ISRAELE ALCHIMISTI DI PRAGA LA CORTE ALCHEMICA DI RODOLFO II

ANNIBALE

LA GUERRA DEGLI ELEFANTI

L’INVASIONE DELL’ITALIA IN UN AFFRESCO DI PALAZZO DEI CONSERVATORI, A ROMA. JACOPO RIPANDA, XVI SECOLO. FOTO: DAGLI ORTI / AURIMAGES

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Errata corrige • Storica 142 (dicembre 2020): Faro di Alessandria: Il nome corretto del lago salato a sud di Alessandria, citato in diverse parti del testo (tra le altre a P.52) è Mareotide e non Moeris. P. 128.: La data in cui JeanFrançois Champollion esclamò «Ho trovato la soluzione» davanti a una copia della stele di Rosetta fu il 14 settembre 1822 e non 1922 come riportato; la frase successiva, corretta, sarebbe quindi “quasi due secoli dopo“ e non uno. • Storica 143 (gennaio 2021): La data di uscita riportata in copertina si riferisce erroneamente a gennaio 2020.

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4 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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IN ED ICO LA

SPECIALE MITOLOGIA Speciale Storica

Speciale Storica Mitologia

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LA REPUBBLICA ROMANA

ACHILLE

Alla fondazione dell’Urbe nel 753 a.C. seguì la monarchia, che terminò con l’espulsione dell’ultimo re e con la proclamazione della Repubblica nel 509 a.C. Roma consolidò le proprie istituzioni in un clima di conflitto tra patrizi e plebei e conquistò la Penisola Italica. Le guerre latine, l’indebolimento degli Etruschi, le guerre sannite e il contenimento dei Galli, permisero loro di controllare l’Italia centrale e di avanzare verso sud, confrontandosi con le poleis della Magna Grecia, conquistate nel III secolo a.C. In edicola dal 19 gennaio. Prezzo ¤ 9,95.

Eroe leggendario della guerra di Troia e protagonista dell’Iliade, il mitico re dei mirmidoni incarna l’espressione perfetta dell’eroe tradizionale dotato di coraggio, forza fisica e nobiltà d’animo. Figlio di Peleo e della ninfa Teti, divenne quasi immortale grazie all’intervento della madre che lo immerse, ancora in fasce, nelle acque del fiume infernale Stige (tenendolo per il tallone, unico suo punto vulnerabile). La sua ira passerà alla storia per gli effetti devastanti che produrrà sia sui nemici sia sugli Achei. In edicola dal 22 dicembre. Prezzo ¤ 9,95

L’EROE DELLA GUERRA DI TROIA


GRUPO DE PREHISTORIA. UCM

AT T UA L I T À

GRUPPO DI FIGURE UMANE INCISE SULLE ROCCE DEL GIACIMENTO PALEOLITICO DI QOBUSTAN, NEL CAUCASO.

ARTE RUPESTRE PALEOLITICA

A QOBUSTAN spicca

GRUPPO SULLA PRESITORIA. UCM

la presenza di figure umane, alcune di dimensioni quasi naturali, come quelle dell’immagine qui sopra. A volte sembrano formare scene di danza, in altri casi interagiscono con animali (sotto). I dati preliminari indicano una datazione di almeno diecimila anni fa.

6 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

Le figure incise sulle rocce di Qobustan Un importante progetto di ricerca internazionale sta studiando l’arte rupestre paleolitica di questo giacimento del Caucaso

Q

obustan, nell’attuale Azerbaigian, si trova all’estremità meridionale del sistema montuoso del Gran Caucaso e a quattro chilometri e mezzo dal mar Caspio. L’arte rupestre preistorica di Qobustan e il paesaggio circostante sono stati dichiarati patrimonio dell’umanità dall’UNESCO nel 2007. Le oltre seimila figure incise su quasi un migliaio di rocce mostrano una grande varietà di temi e di stili, frutto di almeno 20mila anni di evoluzione;

in questo senso, le rappresentazioni più antiche risalirebbero al Paleolitico superiore (tra i 40mila e i diecimila anni fa). La prima arte di Qobustan rappresenta bovidi, capre ed equidi, ma anche un gran numero di figure umane, talvolta connesse tra loro in scene che fanno pensare alla danza. Nel 2019 un’équipe internazionale, coordinata dal Gruppo sulla preistoria dell’Università Complutense di Madrid e dall’Università di Ferrara, in col-

laborazione con alcuni archeologi del Museo-riserva del Parco storico-artistico di Qobustan (con il sostegno della Fondazione Atapuerca e il patrocinio della Fondazione Palarq), ha avviato un progetto di ricerca che punta a rispondere ad alcuni degli interrogativi sollevati dal giacimento. Per esempio, le imbarcazioni rappresentate sulle rocce corrispondono alle fasi più antiche del sito? E che relazioni hanno queste figure con le società che le hanno prodotte?


La più antica Commedia miniata PALATINO 313 Dante Poggiali Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze

Tiratura limitata

E’ decorato da 37 miniature di ispirazione giottesca e da preziose iniziali istoriate, realizzate nella bottega di Pacino di Buonaguida nel XIV secolo. Contiene gran parte del Commento AUTOGRAFO di “Jacopo”, figlio di Dante. Quasi ogni chiosa è segnata dalla sigla: “Ja”, Jacopo Alighieri. Noto come “Dante Poggiali” dal nome dell’editore e bibliofilo Gaetano Poggiali che lo acquistò per utilizzarlo nella sua edizione della Commedia del 1807.

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AT T UA L I T À

MARTA OSYPINSKA

SCAVI a Berenice, sul mar Rosso, nella cui necropoli di animali sono stati ritrovati resti di macachi provenienti dall’India.

ANTICO EGITTO

Archeologi polacchi trovano prove del fatto che si trattava di animali da compagnia

G

li abitanti dell’Egitto romano importavano scimmie dall’India come animali domestici, secondo quanto ha scoperto un gruppo di archeologi polacchi. Dopo aver esaminato gli scheletri di alcune scimmie sepolte in una necropoli di animali vicino all’antico porto di Berenice, una città fondata da Tolomeo II che si affaccia sul mar Rosso, i ricercatori hanno potuto stabilire che i primati erano macachi rhesus e macachi dal berretto indiano – due

8 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

specie endemiche dell’India – e non, come si era creduto fino ad allora, dei generi locali di cercopitechi, una varietà abbastanza comune nella regione. Il recente studio delle ossa con scanner 3D e il successivo confronto con quelle di altre specie hanno portato a questa scoperta. Il trasporto degli animali dall’India all’Egitto presentava molte difficoltà. Secondo i ricercatori, svariate scimmie morirono giovani per l’incapacità di adattarsi e la carenza di frutta fresca e altri alimenti.

molto apprezzati. Alla loro morte vennero sepolte con cura e i loro corpi furono disposti come se si trattasse di bambini addormentati. Inoltre, una delle scimmie era coperta con un tessuto di lana. Un altro esemplare (nell’immagine) aveva due grandi conchiglie a fianco alla testa, una delle quali proveniente dall’oceano Indiano, e accanto a entrambi i lati del corpo i resti di due anfore. In una di esse è stato trovato un pezzo di stoffa, e nell’altra lo scheletro di un maialino e di tre gattini.

MARTA OSYPINSKA

Scimmie indiane nell’Egitto romano

QUESTE SCIMMIE erano animali da compagnia



GRANDI INVENZIONI

L’elica rivoluziona la navigazione 1827

L’austriaco Josef Ressel progettò la prima elica a vite per la propulsione di navi a vapore, anche se il merito dell’invenzione andò a due ingegneri inglesi

JOSEF RESSEL (1793-1857). RITRATTO DELL’INVENTORE IN ETÀ AVANZATA. ALAMY / ACI

limiti del meccanismo: la ruota a pale infatti era inefficiente in alto mare, in quanto s’immergeva molto poco in caso di moti ondosi avversi. Ecco perché tale sistema fu rapidamente riservato ai battelli fluviali o alla navigazione in baie riparate.

Guardaboschi e inventore All’inizio degli anni venti del XIX secolo il giovane austriaco Josef Ressel lavorava come guardia forestale in Istria, all’epoca appartenente all’impero austro-ungarico. Aveva studiato meccanica, idraulica e chimica al Politecnico di Vienna, ma le cattive condizioni economiche dei suoi genitori lo costrinsero ad abbandonare gli studi e a trasferirsi a Trieste. Il salario da guardaboschi gli permetteva a stento di mantenere la famiglia. Ma Ressel era un ingegnere brillante e creativo. Nel 1825, nel corso di un lungo e faticoso viaggio sul rumoroso e scomodo piroscafo a ruote che collegava Trieste a Venezia,

NASCONO I PRIMI PIROSCAFI

THE NATIONAL TECHNICAL MUSEUM, PRAGUE

A

ll’inizio del XIX secolo l’invenzione della locomotiva aveva dimostrato le straordinarie possibilità offerte al trasporto terrestre dalla macchina a vapore, brevettata da James Watt nel 1769. Sarebbe potuta avvenire una rivoluzione simile anche nella navigazione? Molti ingegneri navali si misero a progettare sistemi di propulsione con motori a combustione in sostituzione delle vecchie vele. I risultati non tardarono ad arrivare. Nel 1819 la Savannah attraversò l’Atlantico grazie alla duplice spinta del vento e di una ruota a pale azionata dal vapore. Ma il viaggio dimostrò i

iniziò a sviluppare un’idea rivoluzionaria per la propulsione di una nave: sostituire la ruota a pale con una vite di Archimede. Nel 1827 Ressel brevettò il primo prototipo, un’elica in bronzo del diametro di quarantacinque centime-

1801

1819

L’ingegnere scozzese William Symington costruisce il primo battello con ruote a pale azionate da un motore a vapore.

La nave Savannah, dotata di un sistema ibrido di propulsione a vele e a vapore, attraversa l’oceano Atlantico.


IL CIVETTA. Sezione del primo piroscafo dotato di un’elica a vite. Fu progettato dall’austriaco Josef Ressel nel 1829.

tri, che montò su una barca di legno. All’epoca riteneva che fosse meglio posizionare l’elica a prua, perché a poppa avrebbe subito le interferenze della corrente dello scafo. Fu lui stesso ad azionare l’elica, a mano, riuscendo a far muovere la barca lungo il fiume

Cherca, nell’attuale Croazia. All’evento parteciparono due personaggi risultati poi fondamentali nella vita di Ressel: Carlo d’ Ottavio Fontana, che rimase affascinato dal progetto e offrì all’inventore austriaco di finanziargli altri esperimenti in cam-

1829

1836

1845

Josef Ressel compie un breve tragitto marittimo sul Civetta, il primo piroscafo al mondo mosso da un’elica a vite.

Francis Pettit Smith sviluppa un nuovo modello di elica a vite, che verrà utilizzato sulle navi a partire dal 1839.

La SS Great Britain è la prima nave esclusivamente a vapore ad attraversare l’Atlantico.

bio della condivisione del brevetto; e l’inglese William Morgan, proprietario del piroscafo Trieste-Venezia. Quest’ultimo, temendo che il nuovo sistema potesse rendere obsolete le sue navi, esercitò pressioni sul governo riuscendo a ostacolare l’attività di

ELICA DELLA NAVE ARCHIMEDES, COSTRUITA NEL 1839 SUL PROGETTO DI FRANCIS PETTIT SMITH. SSPL / AGE FOTOSTOCK

STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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GRANDI INVENZIONI

L’ELICA DI RESSEL

1 3 2

Ispirata alla vite di Archimede, aveva due sezioni in linea montate sull’albero motore 1. La pressione generata dal doppio giro dell’elica 2 permetteva al Civetta di procedere a sei nodi (11 km/h) di velocità. Nonostante i timori di Ressel, il flusso d’acqua dell’elica non interferiva con il timone di poppa 3, ma dava maggiore stabilità al natante.

THE NATIONAL TECHNICAL MUSEUM, PRAGUE

Ressel. Questi nel frattempo ricevette la visita di Louis Bauer, un agente che rappresentava investitori francesi e britannici, e gli consegnò ingenuamente tutti i documenti necessari alla costruzione dell’elica.

12 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

LA COSTRUZIONE della

nave da guerra britannica HMS Sans Pareil sulle banchine di Londra nel 1887. Nella fotografia, di Henry Taunt, si possono vedere la poppa e una delle due eliche.

HERITAGE / GETTY IMAGES

versato i diritti corrispondenti. Ben presto apparvero nuovi modelli di elica basati direttamente sulle innovazioni di Ressel. Nel 1836, nel corso di alcuni esperimenti con l’elica a vite, l’inventore britannico Francis Pettit Smith si rese conto che una riduzione della Il primo viaggio lunghezza ne migliorava l’efficienza. In seguito Fontana e Ressel ottennero Brevettò quindi un modello più corto l’autorizzazione per testare l’elica su un che fu utilizzato sulla SS Great Britain, piroscafo, il Civetta, costruito appo- la prima nave interamente in ferro. Ansitamente per l’esperimento. L’unica che Josef Ressel continuò a lavorare al condizione posta dalle autorità era che miglioramento della sua invenzione, la macchina fosse interamente di fab- progettando un sistema di propulsione bricazione austriaca, anche se Ressel orizzontale che è utilizzato ancor oggi avrebbe preferito un modello inglese. dalle grandi navi da crociera. Nell’ottobre del 1829 l’inventore moQuando, nel 1852, l’ammiragliato dificò la sua idea originale collocando britannico offrì la somma di 20mila l’elica a poppa, tra il timone e lo scafo. sterline a chi potesse dimostrare di Durante la prima prova, il motore au- avere inventato l’elica, Ressel inviò striaco si ruppe dopo appena mezzo tutta la documentazione, sicuro che miglio di navigazione e il Civetta do- finalmente sarebbe stata fatta giuvette essere trainato in porto. No- stizia. Il premio andò invece a cinnostante il problema non fosse stato que inventori inglesi sconosciuti. provocato dall’elica, che aveva invece Il governo austriaco protestò, ma le dimostrato la sua efficienza, Fontana autorità britanniche sostennero che la abbandonò Ressel senza restituirgli i documentazione di Ressel era andata diritti della sua invenzione e costrin- perduta. Questi morì di malaria nel gendolo a una lunga controversia lega- 1857, in un’umile pensione di Lubiale. Come se non bastasse, Ressel venne na, attuale capitale della Slovenia. I a sapere che gli investitori francesi suoi meriti furono riconosciuti solo capeggiati da Bauer avevano brevettato molto più tardi. il suo progetto in Francia e in InghilXABIER ARMENDÁRIZ STORICO terra senza menzionarlo e senza avergli



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V I TA Q U OT I D I A N A

L’hot dog, il panino degli immigrati Alla fine del XIX secolo si diffuse negli Stati Uniti la passione per i würstel serviti tra due fette di pane questo le conferiva un sapore caratteristico. Fu battezzata frankfurter Würstchen (letteralmente, salsiccia di Francoforte). A partire dal 1860 la ricetta fu protetta dalle imitazioni grazie a quella che oggi si definirebbe una Denominazione di origine.

Dall’altra parte dell’Atlantico

Il würstel arrivò negli Stati Uniti grazie ai numerosi tedeschi emigrati nel corso del XIX secolo, che portarono con sé i piatti tipici della loro cucina. Inizialmente il processo di elaboraDUE DONNE comprano degli hot dog a una zione era artigianale. Le salsicce vebancarella durante nivano preparate a casa o acquistate una fiera nel Greenwich da macellai locali che lavoravano su Village di New York piccola scala. Negli anni sessanta del intorno al 1920. XIX secolo si cominciarono a utilizzare i primi tritacarne a vapore. Nel 1890 la meccanizzazione dell’intero processo permise di passare alla produzione industriale, rendendo al con- diffondersi tra la popolazione grazie tempo i würstel molto più economici. ai venditori ambulanti. Non è chiaro Le salsicce tedesche cominciarono a chi ebbe l’idea di servirle all’interno di un panino né dove questo avvenne per la prima volta, anche se tutto lascia pensare che l’innovazione ebbe luogo a New York – il grande porto d’ingresso dell’immigrazione – nella IL TERMINE viennese “würstel”, utilizzato in Italia per seconda metà degli anni sessanta del riferirsi alle salsicce degli hot dog, indica in realtà una XIX secolo. variante del frankfurter Würstchen creata all’inizio Secondo lo storico Richard F. Snow, del XIX secolo da un macellaio tedesco residente a ex caporedattore della rivista AmeVienna, Johann Georg Lahner, mescolando carne di rican Heritage, l’inventore fu proprio maiale e di manzo. uno dei nuovi arrivati. Giunto neETICHETTA DELLE CONSERVE DI WÜRSTEL PRODOTTE DA HEINRICH BAUER. gli Stati Uniti da Hannover, Charles Feltman aveva aperto una panette-

UIG / ALBUM

VIENNA O FRANCOFORTE?

GRANGER / ALBUM

H

ot dog! I panini al würstel – serviti con cipolla, senape o altre salse, e accompagnati in genere da patatine fritte e una bibita gassata – possono sembrare un’invenzione recente, ma in realtà vantano origini piuttosto antiche. Le salsicce infatti furono inventate nel Vicino Oriente secoli prima di Cristo, tanto che Omero le menziona nell’Odissea. Per quanto riguarda la salsiccia utilizzata negli hot dog, con i suoi aromi e la sua consistenza tipici, ebbe origine a Francoforte nel XIII secolo, anche se la data esatta è oggetto di controversia. Ciò che si sa con certezza è che nel 1852 la corporazione locale dei macellai iniziò a commercializzare un tipo particolare di salsiccia di maiale: speziata, sottile e leggermente ricurva, affumicata a basse temperature e poi bollita in acqua per otto minuti. Tutto


V I TA Q U OT I D I A N A

ria a Brooklyn nel 1867 e vendeva i suoi prodotti sulla spiaggia di Coney Island, località che dopo l’inaugurazione della ferrovia era diventata il grande centro di svago dei cittadini newyorchesi. Su suggerimento dei suoi clienti, Feltman iniziò a servire i würstel all’interno di morbide pagnotte dalla forma allungata. L’idea fu un successo immediato e permise al tedesco di aprire un ristorante a Brooklyn, l’Ocean Pavilion, nel 1871. Ma alcuni articoli presenti negli archivi del giornale The Brooklyn Eagle sembrano smentire quest’ipotesi. Sostengono infatti che Feltman non

Sconsigliati ai palati fini sin da subito GLI HOT DOG possono essere considerati tra i primi esem-

pi di quello che oggi è definito junk food (cibo spazzatura). Già all’epoca del loro arrivo negli Stati Uniti i würstel erano criticati per la scarsa qualità dei loro ingredienti. Per esempio, nel 1886 il giornalista e scrittore di Baltimora H. L. Mencken affermava che i würstel da lui provati contenevano la stessa «pseudosalsiccia di gomma INDIGERIBILE » mangiata da milioni di statunitensi e trasudavano una senape «insipida»; il lo-

ro unico vantaggio era di essere serviti in vere e proprie pagnotte tedesche a base di farina di grano e cotte al forno fino a diventare croccanti; «e non nei soliti panini mollicci e ariosi fatti di GHIANDE macinate, gesso di Parigi e frammenti di spugna».

STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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V I TA Q U OT I D I A N A

L’INDUSTRIA DELLA CARNE

UN DIPENDENTE

dell’impresa di produzione di carne Armour accanto a un tritacarne industriale nel 1893.

della carne statunitense conobbe un rapido sviluppo dopo la Guerra di secessione, per soddisfare la domanda di città sempre più popolate. Il centro nevralgico di questo settore divenne Chicago, che era molto ben collegata agli stabilimenti zootecnici grazie alla ferrovia.

MACCHINA PER IL TAGLIO DELLE SALSICCE. 1890 CIRCA. LISZT COLLECTION.

mise mai piede a Coney Island prima del 1871 e che non si dedicava al commercio ambulante di salsicce. Solo dopo la vendita del panificio, avvenuta nel 1874, avrebbe aperto l’Ocean Pavilion, un locale rivolto a una clientela facoltosa e specializzato nella preparazione di pesce e frutti di mare. Lo stesso giornale riporta le successive lamentele di Feltman per il massiccio afflusso a Coney Island di gente di umili condizioni provocato dalla riduzione delle tariffe ferroviarie. Ma, grazie al suo fiuto per gli affari, il tedesco seppe adattare la sua offerta ai gusti di questa nuova clientela, vendendo enormi quantità di würstel. Feltman morì, ricchissimo, nel 1910. Va detto che il suo necrologio non menziona in alcun modo né le salsicce né gli hot dog. Il 7 marzo 1904 un altro giornale locale, il Brooklyn Daily Times, pubblicava l’annuncio funebre di Ignatz

GRANGER / ALBUM

QUINTLOX / ALBUM

L’INDUSTRIA

Fischmann, un panettiere di Coney Island al quale attribuiva l’invenzione del panino allungato con i würstel. Fischmann e Feltman avevano cognomi vagamente simili ed entrambi erano panettieri. Forse le due figure si confusero nella mitologia popolare.

Un’origine incerta Secondo un’altra versione, l’idea di collocare l’insaccato tra due fette di pane vide la luce nel 1880 a Saint Louis, grazie a un immigrato tedesco di nome Feuchtwanger. Questi offriva ai suoi clienti dei guanti bianchi per mangiare le salsicce appena cotte

Negli Stati Uniti si diffuse il consumo di hot dog durante gli eventi sportivi UN UOMO MANGIA UN HOT DOG E BEVE UNA BIBITA A CONEY ISLAND, 1936. GRANGER / ALBUM

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senza sporcarsi o scottarsi le dita, ma spesso la gente non glieli restituiva. Sarebbe stata sua moglie – o forse suo fratello, anch’egli panettiere – a convincerlo a usare i panini. La faccenda dei guanti però non è credibile: l’utilizzo di un semplice spiedino sarebbe risultato molto più comodo per gli avventori e più economico per il venditore. Altri storici, tra cui Bruce Kraig, sostengono che i tedeschi avevano sempre mangiato i würstel con il pane, e non era quindi sorprendente


UN VENDITORE

BETTMANN / GETTY IMAGES

ambulante di New York prepara una spremuta di limoni, 1926.

che avessero portato quest’abitudine con loro negli Stati Uniti.

fumettista Thomas Aloysius Tad Dorgan, che lo avrebbe utilizzato in una sua caricatura del 1901, dopo aver Il cibo del baseball sentito un venditore ambulante che Le salsicce tedesche si guadagna- incoraggiava i clienti a consumare i rono ben presto una certa fama tra loro dachshund (letteralmente, basla popolazione degli Stati Uniti. Per sotti tedeschi) finché erano ancora i lavoratori erano un piatto a buon «belli roventi» (red hot, in inglese). mercato, mentre la classe media le Ma nessuno è mai riuscito a trovare considerava lo spuntino ideale da una copia di questa presunta vignetta. consumare per strada nel corso di una Inoltre il termine compariva già nei serata. La praticità dei panini al wür- giornali da almeno vent’anni. Intorno stel li rese l’opzione ideale per grandi al 1894, a Yale, i carretti dei venditori manifestazioni come l’Esposizione ambulanti si chiamavano dog wagon, universale di Chicago del 1893 e per gli e nelle pubblicazioni universitarie i eventi sportivi, in particolare le par- würstel erano conosciuti come dachtite di baseball. Uno dei pionieri della shund, little dogs o hot dog. Nel 1900 loro diffusione in questo ambito fu quest’ultima espressione compariva un altro immigrato tedesco, un certo ormai nell’Oxford Dictionary. Chris von der Ahe, proprietario di un L’utilizzo della parola inglese dog locale a Saint Louis nonché del club per indicare i würstel probabilmente locale di baseball, i St. Louis Browns. alludeva in qualche modo all’accusa Secondo la leggenda popolare, il secondo la quale erano fatti con carne termine “hot dog” fu inventato dal di cane, un’eventualità che in certi casi

non era possibile scartare del tutto. Non per niente nel 1913 la Camera di commercio di New York proibì l’uso del termine “hot dog” a Coney Island, considerandolo una cattiva pubblicità per il prodotto. Ma ormai il panino con il würstel aveva ricevuto la sua consacrazione ufficiale, essendo stato incluso niente meno che nel menù del ricevimento ufficiale offerto nel 1939 dal presidente Roosevelt per la visita di re Giorgio VI d’Inghilterra. La regina, che non aveva mai visto niente del genere, chiese: «E questo come si mangia?». Ma il suo regale consorte si dimostrò entusiasta degli hot dog, così come milioni di altre persone in tutto il mondo. JUAN JOSÉ SÁNCHEZ ARRESEIGOR STORICO

Per saperne di più

SAGGI

Hot dog gourmand Stéphane Reynaud. Guido Tommasi Editore, Milano, 2014.

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DEA / ALBUM

La Guerra del Pacifico: corsa all’oro bianco Nel 1879 il Cile entrò in guerra con la Bolivia e il Perù per il controllo di una vasta regione che conteneva i più grandi giacimenti di nitrato di sodio del mondo

I

l 14 febbraio 1879 la marina cilena sbarcò nel porto di Antofagasta, allora territorio boliviano. Iniziava così la Guerra del Pacifico, un conflitto che avrebbe coinvolto Cile, Bolivia e Perù, e la cui conseguenza ultima per la Bolivia sarebbe stata la perdita del suo unico sbocco al mare, la provincia di Litoral, che da allora è in mano cilena. All’origine dello scontro c’era la questione dello sfruttamento dei giacimenti di nitrato di sodio, una sostanza che acquisì una tale importanza economica alla

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fine del XIX secolo da essere ribattezzata “oro bianco”. Il nitrato di sodio si ottiene dalla raffinazione del caliche, un tipo di sale che si trova sotto alcune superfici desertiche i cui maggiori (e rarissimi) giacimenti sono concentrati nella regione di confine tra Cile, Bolivia e Perù. L’uso del nitrato di sodio come fertilizzante e per la fabbricazione di esplosivi provocò una crescita della domanda, che lo rese uno dei prodotti più ambiti dal commercio e dall’industria internazionali. La disputa

per il caliche si andò ad aggiungere allo scontro che già vedeva coinvolti i tre Paesi per il commercio di un altro prezioso fertilizzante esclusivo della stessa regione, il guano, ricavato dagli escrementi di alcuni animali della zona. L’attività di estrazione del nitrato, a lungo confinata alla provincia allora peruviana di Tarapacá, ricevette un notevole impulso da José Santos Ossa. Negli anni sessanta del XIX secolo questo imprenditore cileno scoprì importanti giacimenti di cali-


EVENTO STORICO

peruviani difendono Lima dall’avanzata cilena durante la battaglia di Miraflores il 15 gennaio 1881. Olio di Juan Lepiani. 1894.

INSTITUT CARTOGRÀFIC I GEOLÒGIC DE CATALUNYA

L’ASSEDIO DI LIMA. Soldati

CONFINI INSTABILI PRIMA DELLA GUERRA del 1879-1884 il confine settentrionale del Cile arrivava al fiume Salado 1. Fondata nel 1872, Antofagasta 2 divenne prima il centro dello sfruttamento dei nitrati cileni in territorio boliviano e poi la capitale di una nuova provincia del Cile. Nel 1879 la marina cilena conquiPERÙ stò Iquique 3 , capoluogo della CILE provincia di Tarapacá, che sarebbe stata annessa poco dopo. OCEANO PACIFICO

3

BOLIVIA

OCEANO ATLANTICO

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1

MAPPA DELLA REPUBBLICA DEL CILE INTORNO AL 1900. ENCICLOPEDIA ESPASA.

seguita alla firma dell’accordo non sarebbe durata a lungo. La Melbourne Clark aveva terminato la costruzione della ferrovia che collegava la costa con il Salar del Carmen. I giacimenti boliviani di caliche controllati dai cileni si estendevano ormai lungo tutto il litorale prossimo ad Antofagasta. La società, senza più la partecipazione di José Santos Ossa, Cileni ad Antofagasta si sarebbe trasformata nella ComNonostante la firma del trattato, pañía de Salitres y Ferrocarril de negli anni successivi il Cile avrebbe Antofagasta, i cui principali azionisti continuato la sua politica espansio- erano l’imprenditore cileno Agustín nistica, promuovendo la ricerca di Edwards e la società britannica Gibnuovi giacimenti salini al di fuori dei bs & Cía, che fino a quel momento propri confini. La pace inizialmente aveva limitato la sua attività allo sfruttamento del guano. Il trattato del 1874 aveva tempoLo sfruttamento delle saline raneamente frenato la minaccia alla sovranità della Bolivia sul suo terboliviane era controllato ritorio. Ma al boom dell’industria da imprese cilene dei nitrati si aggiunse la scoperta di miniere d’argento sulla costa, e così il numero di lavoratori cileni PUBBLICITÀ PORTOGHESE DEL NITRATO CILENO.

ALAMY / ACI

che nella regione di Atacama, tra cui la località di Salar del Carmen, che all’epoca faceva parte della provincia boliviana di Litoral. Insieme ad altri soci cileni, e grazie al capitale dei commercianti inglesi insediati a Valparaíso, Ossa fondò la compagnia Melbourne Clark y Cía e ottenne dal governo boliviano una concessione di quindici anni per procedere allo sfruttamento minerario della regione. Sull’accampamento provvisorio dell’impresa sarebbe sorta la futura città di Antofagasta, costituitasi come comune nel 1872. Due anni più tardi Cile e Bolivia firmarono un accordo che definiva la

loro frontiera comune, mettendo fine a una disputa territoriale iniziata nel 1840 e incentrata sui rispettivi diritti di sfruttamento dei giacimenti di guano della zona. Allo stesso tempo il trattato stabiliva che per vent’anni la Melbourne Clark sarebbe stata esentata dal pagamento di nuove tasse al governo boliviano.

STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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EVENTO STORICO

1.

2.

Il contributo degli immigrati cinesi L’ELABORAZIONE di nitrati richiedeva una

Le esigenze dell’industria costrinsero ad assumere un gran numero d’immigrati. Tra il 1850 e il 1875 arrivarono in Perù circa centomila cinesi, la maggior parte dei quali lavorava in condizioni di semischiavitù nei giacimenti di guano per ripagarsi il viaggio. Liberati dal contrammiraglio cileno Patricio Lynch nel corso di una spedizione lungo la costa peruviana, questi si unirono in gran parte all’esercito cileno. Molti di loro sarebbero entrati nella legione Vulcano, guidata da Arturo Villarroel, soprannominato “il generale Dinamite” dato che la sua missione era quella di far esplodere le mine con le quali i peruviani proteggevano le loro difese. SCENE DI ATTIVITÀ QUOTIDIANE IN UN GIACIMENTO DI CALICHE NEL 1889, PUBBLICATE SU THE ILLUSTRATED LONDON NEWS.

residenti nella provincia di Litoral aumentò considerevolmente. Alla fine degli anni settanta la popolazione di Antofagasta era ormai costituita per il novantatré per cento da cileni, rispetto al solo due per cento di boliviani. In questo modo, tutto ciò che restava di boliviano nella zona erano lo status giuridico e un piccolo distaccamento militare.

3. 4.

5.

6.

L’industria dei nitrati Una volta individuato un deposito sotterraneo 1. si estraeva il caliche 2. e lo si trasportava tramite dei carrelli 3. fino a uno stabilimento di lavorazione. Qui il materiale veniva frantumato 4. e poi versato nelle caldaie 5. per ottenere del nitrato puro. Questo veniva poi essiccato e confezionato per l’esportazione 6.

Nel 1878, di fronte alla crescita delle aziende anglo-cilene di nitrati e agli scarsi profitti che i boliviani ricavavano dallo sfruttamento minerario, l’assemblea nazionale boliviana decise di applicare alla Compañía de Salitres una tassa sull’esportazione dei nitrati. L’azienda denunciò al congresso del Cile quella che considerava un’aggressione ai suoi

PADRE DELL’ESERCITO

interessi, sostenendo che l’imposta violava il trattato territoriale tra i due Paesi. Non solo: il direttore generale dell’azienda, il britannico George Hicks, si spinse fino a suggerire che questa rappresentava per il Cile una magnifica opportunità di liberare il Pacifico «dalla piaga dei boliviani». I legami tra la compagnia e il governo cileno erano noti da tempo: José Francisco Vergara, ministro dell’interno, Rafael Sotomayor, ministro della guerra e vari membri del congresso erano anche azionisti dell’impresa.

NEL 1879 RAFAEL SOTOMAYOR divenne mini-

Verso la guerra

RAFAEL SOTOMAYOR. RITRATTO DI EVARISTO E. GARRIDO.

ALAMY / ACI

stro plenipotenziario del Cile per la guerra. Fu il responsabile dell’organizzazione della marina e delle truppe terrestri, e guidò con successo le prime campagne belliche. Poco dopo, nel maggio del 1880, morì d’infarto.

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BRIDGEMAN / ACI

grande quantità di manodopera. I centri di produzione erano vere e proprie città dove vivevano gli operai con le rispettive famiglie.

Con l’appoggio esplicito del governo cileno, la Compañía de Salitres de Antofagasta rifiutò di pagare la tassa richiesta dallo stato boliviano, ribadendo che si trattava di una violazione degli accordi esistenti. Il governo boliviano rispose ordinando


STABILIMENTI della Compañía

ALAMY / ACI

de Salitres y Ferrocarril de Antofagasta in una foto scattata nel 1879, poco dopo lo scoppio della guerra.

il sequestro e la messa all’asta dei beni dell’impresa. Nel frattempo anche il Perù aveva decretato l’esproprio delle aziende cilene di guano e di nitrati presenti sul suo territorio. Fallito ogni tentativo di risolvere il conflitto tramite un arbitrato, i tre Paesi s’incamminarono irrimediabilmente verso la guerra. Il 14 febbraio 1879, data prevista per l’esproprio e la vendita dei beni della Compañía de Salitres, l’esercito cileno occupò Antofagasta giusto prima dell’inizio dell’asta pubblica. Negli anni precedenti il Cile era diventato una potenza navale grazie al sostegno della Gran Bretagna, che aveva finanziato e costruito gran parte della sua flotta. Di conseguenza, ad appena due mesi dallo scoppio della guerra, i cileni avevano già conquistato l’intera costa di Antofagasta. Lo scontro sarebbe durato altri quattro anni, durante i quali si succedettero

le schermaglie, le occupazioni e le fluttuazioni caratteristiche di ogni conflitto. Ma un fatto sarebbe rimasto immutato: la Bolivia aveva perso per sempre il suo sbocco al mare.

La Bolivia resta senza costa La guerra si chiuse ufficialmente con la tregua firmata da Cile e Bolivia il 4 aprile 1884. Vent’anni dopo, il trattato di pace e amicizia riconosceva al Cile la cessione definitiva della costa boliviana, concedendo in compensazione alla Bolivia il diritto di libero transito dei suoi beni e delle sue merci attraverso i porti cileni. Ma ben presto emerse tutta l’insoddisfazione della Bolivia per l’accordo raggiunto. Dal 1910 in poi i successivi governi del Paese avrebbero continuato a rivendicare il diritto a uno sbocco sul Pacifico. Nel 2018 la Corte internazionale di giustizia dell’Aia, il più alto tribunale delle Nazioni Unite, ha stabilito che il Cile non è legalmente

obbligato a facilitare alla Bolivia l’accesso al mare, ma lo stato boliviano ha subito dichiarato che non rinuncerà mai a tale diritto. Negli anni successivi al conflitto sarebbe proseguito il boom dei nitrati cileni, fino a raggiungere il suo apice durante la Prima guerra mondiale a causa dell’aumento della domanda per la fabbricazione di esplosivi. In seguito il nitrato sintetico prodotto in Europa avrebbe sostituito gradualmente quello naturale proveniente dal Cile, che era più caro. L’apogeo del cileno si concluse definitivamente negli anni trenta del novecento durante la Grande depressione. ENRIQUE VAQUERIZO DOMÍNGUEZ GIORNALISTA

Per saperne di più

SAGGI

Storia dell’America Latina contemporanea Loris Zanatta, Laterza, Roma-Bari, 2016.

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KARNAK L A CASA DI AMON Nel grande santuario tebano il primo servitore effettuava la cerimonia del culto quotidiano del dio Amon in nome del faraone. In qualitĂ di unico autorizzato, doveva eseguire dei particolari preparativi purificatori


IL SANTUARIO DI AMON

Questa immagine panoramica mostra una parte del tempio del grande dio di Tebe, che fu la principale divinitĂ egizia del Medio regno. In primo piano, il lago sacro. KENNETH GARRETT


BALAGE BALOGH / RMN-GRAND PALAIS

LA FESTA DI OPET

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L’immagine in alto ricostruisce la festa religiosa in cui Amon, Mut e Khonsu lasciavano Karnak sulle loro barche sacre per visitare il tempio di Luxor.

Tebe, “la città di onore della divinità, attenendosi a Amon”, fu eretto il un lungo calendario religioso. AlGiza Saqqara Menfi più grande e fastocune delle attività erano annuali e Meidun so tempio del Paese rientravano all’interno delle due Akhetaton del Nilo. Gli antichi grandi celebrazioni locali: la festa (Tell el-Amarna) egizi lo chiamavano Ipet-Sut, che di Opet e la bella festa della Valle; Abido significa “la più venerata delle sealtre erano giornaliere ed essenTEBE di”. Oggi è meglio conosciuto coziali al corretto funzionamento Valle dei Re me Karnak. Vi lavoravano più di del mondo e del cosmo. 6.500 persone, la maggior parte delle quali Il più importante di tutti i rituali era la ceerano servitori del dio, che si occupavano rimonia del culto quotidiano. Iniziava all’aldell’attività religiosa e dei numerosi compiti ba, quando gli astronomi annunciavano l’apamministrativi necessari alla gestione del parizione del sole all’orizzonte affinché il patrimonio del tempio. personale del tempio e i massimi servitori Questi sacerdoti dovevano eseguire una che dirigevano il santuario fossero pronti a grande varietà di riti e cerimonie sacre in iniziare i riti mattutini. I protagonisti erano (Hieracómpolis)

KARNAK NEL CORSO DEL TEMPO IL DIO AMON IN UN OGGETTO D’ORO PROVENIENTE DA MEROE. ÄGYPTISCHES MUSEUM, BERLINO. MARGARETE BÜSING / RMN-GRAND PALAIS

1971 a.C.

1525 a.C.

SESOSTRI I inizia la

AMENOFI I costruisce la cappella bianca come zona di sosta per la barca di Amon che i sacerdoti trasportano a spalla durante le feste e i riti.

costruzione del tempio di Karnak. Il santuario è circondato da un muro che delimita lo spazio sacro.


AMON CON UN RE

Questo gruppo scultoreo del tempio di Karnak rappresenta il dio Amon-Ra, con la sua caratteristica doppia corona di piume, insieme a Ramses II, come indicato dai cartigli sulla base. SHUTTERSTOCK

1479 a.C.

1294 a.C.

380-362 a.C.

THUTMOSE I amplia

SETI I fa incidere i

NECTANEBO I è l’ultimo re a ingrandire Karnak, dove edifica il pilone e il viale delle Sfingi tramite i quali ancora oggi si accede al tempio.

il tempio, scava e allestisce il lago sacro, e inaugura un nuovo percorso processionale nord-sud.

capitoli del rituale del culto quotidiano sulla parete est della grande sala ipostila di Karnak.


IL PIÙ GRANDE SANTUARIO D’EGITTO B R I D G E M A N / AC I

karnak fu il prodotto degli ampliamenti, delle ricostruzioni e delle successive aggiunte di vari faraoni. Ogni sovrano abbellì il recinto con nuovi edifici in onore di Amon, la divinità protettrice dello stato. Il santuario è costituito da un asse principale ovest-est e da uno secondario nord-sud. L’asse principale va dal primo al sesto pilone, e il suo percorso comprende il cortile porticato, la sala ipostila, due piccoli cortili con obelischi, un cortile del Medio regno e la cella sacra. L’asse nord-sud va dal settimo al decimo pilone.

1

GRANDE PILONE

Dava accesso all’asse principale del tempio. Da qui usciva la statua di Amon su una barca trasportabile in occasione della bella festa della Valle. La statua veniva poi collocata su una barca più grande, la Userhat, ormeggiata al pontile del porto fluviale, su cui raggiungeva la riva ovest del Nilo.

2

PRIMO CORTILE

Il faraone Seti II eresse qui una triplice cappella affinché le barche trasportabili di Amon, Mut e Khonsu – la triade divina di Karnak – potessero sostare durante lo svolgimento dei corrispondenti riti religiosi.

4

VASO PER LIBAGIONI IN MAIOLICA BLU SU CUI È INCISO IL NOME DI AMENEMOPE, SACERDOTE DI AMON. ASHMOLEAN MUSEUM, OXFORD.

2

1 Padiglione eretto dal faraone nubiano Taharqa; è composto da due file di cinque colonne.

ILLUSTRAZIONE 3D: 4D NEWS


3

Opera di Thutmose III, l’Akh-Menu era un’enorme sala di 40 x 77,5 metri con 20 colonne a forma di pali e il soffitto blu decorato con stelle. Era riservata alle feste.

PORTA

Accanto alla zona di sosta della barca di Amon, costruita da Ramses III in questa parte del santuario, si apriva una porta laterale. È molto probabile che i sacerdoti la utilizzassero per accedere al tempio quando si recavano a celebrare il culto quotidiano.

7

6

Il giardino botanico era una dépendance dell’Akh-Menu. Thutmose III lo fece decorare con rilievi di piante e animali che aveva visto durante le sue campagne militari.

5 ACCESSO

LATERALE

Tramite questo accesso, che portava alla sala ipostila, si raggiungeva l’asse laterale da cui usciva la statua di Amon. Il dio avrebbe poi attraversato il viale delle Sfingi sulla sua barca e raggiunto il tempio di Luxor, per rigenerarsi e ricongiungersi con la moglie Mut.

5 4

3

SALA IPOSTILA

Sulla parete interna est dell’ala nord della grande sala colonnata di Karnak il faraone Seti I fece riprodurre per la prima volta in diversi rilievi le scene del culto quotidiano.

6 LA

7 La zona di sosta per le barche di Ramses III era costituita da un cortile con pilastri osiriani (cioè a forma del dio Osiride mummificato), una sala ipostila e le cappelle.

CELLA SACRA

In questa sala si trovava la statua di Amon scolpita in un blocco di pietra (o forse di legno). Era collocata in una cavità rettangolare all’interno della cappella della cella ed era protetta da una porta.

LAGO SACRO

Qui si trovava il lago sacro in cui si svolgevano alcune cerimonie e dove i sacerdoti si purificavano con acqua fredda pochi istanti prima di dare inizio al rituale.


PAPIRO CHE DESCRIVE IL CULTO DI AMON E MUT LAGO SACRO

IL MUSEO EGIZIO DI BERLINO custodisce il documento più prezioso

ALAMY / ACI

Il primo servitore Prima di presentarsi al cospetto della divinità, il sommo sacerdote si purificava con la fredda acqua del Nilo raccolta nel lago del tempio e successivamente indossava le vesti

OFFERTE AL DIO

Questo rilievo del tempio del faraone Seti I ad Abido mostra il sovrano intento a fare un’offerta al dio Amon-Ra.

rituali: i sandali, un abito pulito di lino e una pelle di leopardo. Il sacerdote incaricato della lettura recitava le parole di apertura del papiro cerimoniale: «Inizio delle formule dei riti divini quotidianamente eseguiti nel tempio di Amon-Ra, signore degli dei, dal sommo sacerdote uab che è di servizio». Quindi i due officianti, accompagnati da uno stuolo di servitori, che portavano vassoi carichi di cibi e bevande, si recavano davanti alla porta della cella; era la parte più interna, calma e buia del tempio, dov’era custodita l’immagine sacra di Amon, che esortavano al risveglio. A occuparsi del culto era il primo servitore del dio – in nome del faraone, che era a capo di tutto il clero – con l’aiuto di alcuni servitori di rango inferiore. Solo lui poteva bussare alla porta della cella sacra, incontrare la divinità faccia a faccia e interagire con essa. Portava con sé una lampada a olio che bruciava resine aromatiche ed emetteva una luce purificante. La lampada doveva rimanere accesa per le ripetizioni del rito a mezzogiorno e al tramonto. Il primo servitore di Amon si muo-

AANEN, SECONDO SERVITORE DI AMON, INDOSSA UNA PELLE DI LEOPARDO RICOPERTA DI STELLE. MUSEO EGIZIO, TORINO.

JANE SWEENEY / AWL IMAGES

i quattro membri principali dell’alto clero, uno dei quali era il primo servitore del dio, sommo sacerdote di Amon e responsabile del corretto svolgimento del rituale per compiacere Amon. Il gruppo più numeroso era costituito dai sacerdoti uab, che potevano lavorare nel tempio anche senza un’iniziazione specifica: bastava che ricevessero la formazione necessaria a preparare le offerte agli dei. Tra loro c’erano quasi tutti i membri maschi delle più importanti famiglie di Tebe, destinati a servire Amon a partire dai quattordici o dai quindici anni.

I sacerdoti si purificavano nelle acque del lago prima di procedere ai rituali quotidiani di culto di fronte all’immagine di Amon.

ORONOZ / ALBUM SHUTTERSTOCK

relativo al culto di Amon e di sua moglie Mut a Karnak. Si tratta di un papiro in scrittura ieratica (una scrittura geroglifica semplificata), tracciata con inchiostro nero e intestazioni rosse, lungo circa cinque metri e largo 25 centimetri. Risale all’inizio del Terzo periodo intermedio (1069664 a.C.) ed è indicato con la numerazione 3.055. Il documento è suddiviso in 37 colonne che contengono i 66 capitoli del rituale, ciascuno accompagnato da un titolo che serviva a spiegare la funzione della formula sacra e la preghiera da recitare. Le scene del culto quotidiano sono state riprodotte con gran dovizia di particolari nel tempio di Seti I ad Abido. Qui le fasi del rituale non seguivano lo stesso ordine che a Karnak, ma avevano lo stesso significato e il medesimo scopo.



SALA IPOSTILA

Questa vera e propria foresta di colonne di pietra, profusamente decorate a rilievo, rappresenta la fitta distesa di papiri che circondava il Nun, l’oceano primordiale. J. BANKS / AWL IMAGES



RILIEVO DELLA REGINA HATSHEPSUT A KARNAK CHE MOSTRA LA SOVRANA (LA CUI IMMAGINE È STATA INTENZIONALMENTE DISTRUTTA PER VOLONTÀ DEL SUCCESSORE IN UNA SORTA DI DAMNATIO MEMORIAE) TRA HORUS E TOTH. TIMOTHY HELLUM / ALAMY / ACI

veva con circospezione: se il dio l’avesse scambiato per un estraneo lo avrebbe annientato seduta stante. Il sacerdote si proteggeva recitando meticolosamente le formule del culto quotidiano.

RMN-GRAND PALAIS

Il rituale ha inizio Una volta all’interno della cappella, il sacerdote doveva innanzitutto lavare la cella e il suo contenuto con acqua, e purificarla con il natron (una sostanza minerale costituita da carbonato di sodio). Poi era il momento di ritirare il cibo depositato durante la cerimonia precedente, la cui essenza aveva permesso al dio di alimentarsi. I sacerdoti se lo spartivano volentieri: era un pasto lussuoso, a base di carne e altre prelibatezze che la gente comune non poteva permettersi. Dopo aver completato la pulizia della stanza, il sacerdote rompeva il siOFFERTE DI CIBO E BEVANDE AGLI DEI. 34 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

gillo sul chiavistello della porta della cella e lo apriva proclamando ad alta voce: «Il sigillo di fango è rotto, il cielo si apre davanti a te […] Le due porte del cielo sono aperte, la compagnia degli dei risplende; Amon, signore di Karnak, è glorificato». Quindi si prostrava a terra, letteralmente «sdraiato sul ventre», in segno di sottomissione e di rispetto, e annunciava ad Amon il suo arrivo, recitando le formule che i suoi antenati avevano già intonato molte volte: «Svegliati in pace, il timore di te pervade il mio corpo, le mie membra sono scosse da fremiti di fronte a te […] Sono un sacerdote, figlio di un sacerdote di questo tempio […] Vengo a compiere il rituale. Non sono venuto a fare nulla che non si debba fare». Dopodiché collocava nuovi alimenti freschi sui vassoi: frutta, pollame, carne di manzo, verdure, vari tipi di pane, acqua, latte, vino, birra, miele e fiori. Successivamente abbracciava la figura di Amon per infonderle energia e facilitare l’incarnazione del dio nella statua, mentre esclamava ad alta voce: «Vieni a me AmonRa per ricevere questo abbraccio tramite il quale sorgi in questo giorno, manifestandoti


CAPPELLE PER BARCHE

Il faraone Seti II eresse questa triplice cappella nel primo cortile del tempio di Karnak per ospitare le barche sacre di Amon, Mut e Khonsu, la triade tebana. ROB COLE / ALAMY / ACI


AMON, MUT E KHONSU, LA FAMIGLIA DIVINA VIALE DELLE SFINGI

L’ATTIVITÀ GIORNALIERA del tempio di Karnak non si limitava alle cerimonie in onore della divinità principale, Amon, ma era rivolta anche ai membri della sua famiglia divina: la moglie Mut e il figlio Khonsu. Nella sala ipostila di Karnak furono collocate anche statue di personaggi importanti e di sacerdoti. Per il solo fatto di essere lì, queste statue potevano beneficiare delle offerte di cibo e dei rituali celebrati nel tempio. Le immagini dovevano essere pulite e protette dalla polvere e dai resti di cibo, come indica l’iscrizione su una statua di granito nero di un servitore del dio vissuto durante la XXVI dinastia. Le statue fungevano da intermediarie tra gli uomini e gli dei, analogamente alle figure dei santi nella religione cattolica.

36 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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ORONOZ / ALBUM

LA TRIADE TEBANA

Il primo servitore di Amon Ramsesnakht realizza un’offerta alla triade tebana. XX dinastia. Museo egizio, Il Cairo.

le, un aroma che piaceva al dio e scacciava efficacemente le forze negative. Il sommo sacerdote compiva anche delle aspersioni con acqua sacra, che aumentava l’efficacia e il valore del rituale.

Che il male non entri La cerimonia terminava con la chiusura degli spazi sacri, non prima di aver cancellato ogni traccia di passaggio umano. Senza dare le spalle ad Amon, il primo servitore si allontanava spazzando il pavimento con una scopa in fibra vegetale per eliminare i segni che i suoi sandali avevano lasciato nella cappella, cambiava la sabbia ormai sporca sul pavimento, richiudeva la sala e collocava sul chiavistello un impasto di argilla, sul quale imprimeva un sigillo da rompere alla cerimonia successiva. Intanto recitava la seguente formula: «Che il male non entri in questo tempio». ELISA CASTEL EGITTOLOGA

Per saperne di più

SAGGI

La vita quotidiana degli egizi e dei loro dei D. Meeks, M.C. Favard. BUR, Milano, 2018. Gli dei egizi R. Buongarzone. Carocci, Roma, 2007.

SHUTTERSTOCK

come signore». Poi rimuoveva attentamente i vestiti dalla statua e li sostituiva con altri, nuovi e puliti dicendo: «Oh Amon-Ra, signore di Karnak! Hai preso questa splendida benda, tutte le tue splendide bende, e hai accettato questi bellissimi abiti». Gli indumenti venivano riprodotti sui rilievi delle pareti del tempio sotto forma di fasce di lino di differenti colori: il bianco era emblema di purezza; il blu era il segno dell’acqua e del cielo; il verde simbolo di salute e vitalità e il rosso di sangue e forza. Il sacerdote si collocava sulla veste delle collane, dei pettorali e dei braccialetti d’oro (che facevano parte del tesoro di Karnak così come le insegne divine), e truccava e profumava l’immagine del dio, ungendola con sette o dieci oli sacri. Gli effetti di questi unguenti sono descritti nei testi con queste parole: «Legheranno le sue ossa, uniranno la sua carne e diluiranno le sue suppurazioni». In pratica si riteneva che fornissero alla statua nuova energia e protezione magica. Il senso di tutte queste azioni risiedeva nel fatto che gli egizi proiettavano sui loro dèi qualità, costumi e bisogni umani. Nel frattempo la cella si riempiva del fumo dell’incenso bruciato durante il ritua-

Davanti al primo pilone del tempio di Karnak si apre un viale di sfingi con testa di montone, l’animale sacro al dio Amon.



REGINE D’ISRAELE Alcune delle storie più drammatiche della Bibbia hanno per protagoniste donne della regalità ebraica, dall’innocente Betsabea e l’eroica Ester fino alle controverse Gezabele e Atalia

FOTO : BRIDGEMAN / ACI

LA REGINA ESTER

A destra, un ritratto della moglie del re Assuero. Olio di J.F. Portaels. In alto, un frammento della stele di Tel Dan, del IX secolo a.C., su cui compare la più antica menzione di un re d’Israele, Davide.


STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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BPK / SCALA, FIRENZE

L’immagine di Betsabea più rappresentata nella pittura è quella del momento in cui fa il bagno e Davide s’innamora di lei. Olio di Sebastiano Ricci. 1725. Berlino.

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ell’Antico Testamento, che è in gran parte una storia del popolo ebraico, non sono molti i personaggi femminili in evidenza. Le poche donne che ebbero un ruolo di primo piano sulla scena politica furono mogli o madri di sovrani. Queste ultime erano particolarmente importanti, perché anche nella società israelita il ruolo fondamentale assegnato alle donne era la maternità. È significativo in questo senso che nei Libri dei re (una cronaca d’Israele dalla morte di Davide alla conquista di Gerusalemme da parte dei babilonesi nel 586 a.C.) la presentazione di ogni nuovo sovrano al momento dell’incoronazione sia accompagnata dal nome della madre. Similmente, quando un figlio era no-

BRIDGEMAN / ACI

BETSABEA AL BAGNO

minato successore al trono o diventava re, la madre veniva elevata alla condizione di gebirah (grande, potente). Le genitrici dei sovrani occupavano una posizione di rilievo a corte e intervenivano in questioni di stato, come appare chiaro dalla storia di Betsabea.

Davide e Betsabea Il personaggio di Betsabea appare in due episodi della Bibbia. Nel primo, Davide resta affascinato dalla sua bellezza. Nonostante sappia che è sposata con un soldato, Uria, il sovrano la seduce e la mette incinta, poi manda suo marito in prima linea con l’intenzione di provocarne la morte, come in effetti avviene. A quel punto prende in moglie la donna. I due avranno un figlio, Salomone.

961 a.C.

842 a.C.

835 a.C.

486-465 a.C.

Prima della morte di Davide, Betsabea gli fa ratificare la successione al trono di loro figlio Salomone.

La regina d’Israele Gezabele, accusata di aver introdotto il culto del dio Baal, muore per mano del generale Ieu.

Atalia, regina di Giuda, viene uccisa davanti al tempio di Gerusalemme dopo l’incoronazione di suo nipote Ioas.

Regno del sovrano persiano Serse I, modello del biblico Assuero, che Ester convince a salvare gli ebrei dallo sterminio.

STATUA DI DAVIDE A GERUSALEMME. XXI SECOLO.


GERUSALEMME, CAPITALE DI GIUDA

Dopo aver conquistato Gerusalemme, Davide ne fece la capitale del regno di Giuda. Nell’immagine, il Muro del Pianto, l’antica parete esterna del tempio costruito da Erode il Grande nel I secolo a.C. JANE SWEENEY / AWL IMAGES

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Natan, sostenitore di Salomone, esorta allora Betsabea a intercedere presso il marito moribondo. Le suppliche della donna danno i loro frutti: alla morte di Davide, Salomone viene incoronato re, mettendo fine alle aspirazioni dinastiche del fratellastro. In seguito Adonia pretenderà di sposare Abisag, la concubina che si era presa cura di Davide in età avanzata, e chiederà a Betsabea di presentare la sua richiesta al nuovo re. Salomone riceve la madre con deferenza, alzandosi dal trono e inchinandosi, quindi la fa sedere alla sua destra. Non si sa se Betsabea cerchi davvero di perorare la causa di Adonia o se la ritenga invece una minaccia. In ogni caso la reazione di Salomone è terribile: considera la richiesta del fratellastro una maniera di mettere in discussione il suo potere e lo fa giustiziare. La vicenda è comunque indicativa dell’influenza esercitata da Betsabea a corte.

AKG / ALBUM

La disprezzata Gezabele

In questa vicenda Betsabea è un personaggio piatto, tendenzialmente passivo e poco approfondito. Nel secondo episodio invece svolge un ruolo molto più attivo in quanto madre di Salomone. Davide aveva avuto vari figli con diverse donne. Due di questi, Amnon e Assalonne, erano morti. Dato che i fratelli erano deceduti, Adonia, figlio di Agghit, aveva la priorità nella linea di successione. Ma Davide aveva promesso a Betsabea che avrebbe messo sul trono il loro figlio, Salomone. Quando Davide è ormai vicino alla morte, Adonia si fa proclamare sovrano. Il profeta

LA DONNA ALLA FINESTRA

Il tema di questa lastra in avorio del palazzo assiro di Nimrud compare anche in un’analoga lastra di Samaria ed è collegato a Gezabele. British Museum, Londra.

La Bibbia accusa Gezabele di aver fatto lapidare un uomo per impossessarsi della sua vigna 42 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

Dopo la morte di Salomone la monarchia ebraica si divise in due: un regno settentrionale (Israele) e uno meridionale (Giuda). La casa di Omri guidò i destini del regno del nord dall’884 all’852 a.C. Come attestano le fonti assire, questa dinastia ebbe un grande peso sulla scena internazionale. Siccome la popolazione che abitava il territorio non era omogenea, i sovrani promossero una politica di tolleranza religiosa che accettava sia il culto del dio d’Israele sia quello di Baal, il dio cananeo della fertilità. È proprio per questa mancata opposizione ai culti cananei che la Bibbia dà una valutazione molto negativa degli Omridi, trascurandone i successi in campo di politica economica e internazionale. A essere particolarmente maltrattate nel racconto biblico sono due figure femminili, Gezabele e sua figlia Atalia. La prima era figlia di Etbaal, il re fenicio di Tiro, e moglie di Acab, sovrano d’Israele. In qualità di regina-consorte interveniva nei doveri governativi del marito, ma secondo la Bibbia aveva un carattere crudele e vendicativo, come illustrato dalla vicenda di Nabot. Acab voleva acquistare un vigneto adiacente al suo palazzo per farne un orto. Nabot, il proprietario, si rifiutò di venderglielo, perché


I RESTI DI GEZABELE

I soldati di Ieu trovano i resti della regina non ancora divorati dai cani. Illustrazione di Gustave Doré.

ALAMY / ACI

il terreno faceva parte dell’eredità familiare e la legge israelita ne consentiva la cessione esclusivamente ai parenti. Contrariato, il re cadde in uno stato di apatia. Allora Gezabele escogitò un piano per impossessarsi del vigneto. Scrisse delle lettere – il che indica che era una donna colta – tramite le quali indusse dei falsi testimoni ad accusare Nabot di aver bestemmiato, un peccato punibile con la lapidazione. L’episodio mostra che in Israele sudditi e sovrano erano soggetti alle leggi promulgate dalla divinità, a differenza delle monarchie del Vicino Oriente, dove il potere regale era illimitato. Ma ciò che suscita la riprovazione della Bibbia è soprattutto l’intervento di Gezabele nelle questioni religiose. La protezione da

GEZABELE, SBR ANATA DAI CANI IL LIBRO DEI RE racconta in tono estremamente drammatico la morte di Gezabele. Ieu la circondò nel suo palazzo a Izreèl e ordinò ad alcuni eunuchi di gettarla dalla finestra. «Parte del suo sangue schizzò sul muro e sui cavalli, che la calpestarono. Poi Ieu entrò, mangiò e bevve; alla fine ordinò: “Andate a vedere quella maledetta e seppellitela, perché era figlia di re”. Tuttavia, non trovarono altro che il cranio, i piedi e i palmi delle mani. Tornati, riferirono il fatto a Ieu, che disse: “È la parola del Signore, che aveva detto per mezzo del suo servo Elia, il Tisbita: ‘Nel campo di Izreèl i cani divoreranno la carne di Gezabele. E il cadavere di Gezabele sarà come letame sulla superficie della campagna nel campo di Izreèl, così che non si potrà più dire: Questa è Gezabele’”». STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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GEZABELE, DI JOHN BYAM LISTON SHAW. 1896. RUSSELL COTES ART GALLERY & MUSEUM, BOURNEMOUTH.

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– analogamente ad altre figure femminili della Bibbia quali Dalila, Giuditta e Salomè – come un’incarnazione di donna indipendente e protagonista della propria vita, la cui bellezza e il cui fascino portavano gli uomini alla perdizione. Alcuni pittori come Gustave Moreau e Gustav Klimt trasferiscono questa percezione all’interno delle loro opere. Henry John Stock, dal canto suo, sceglie di rappresentare la regina con uno sguardo assorto, rivolto verso il proprio mondo interiore. Nel dipinto di John Byam Liston Shaw, invece, Gezabele appare in atteggiamento altero e provocatorio. Sulla stessa linea, il film Figlia del vento (in originale, Jezebel), diretto da William Wyler (1938), traspone la storia biblica nella New Orleans del 1852, con Bette Davis che interpreta una donna impulsiva, trasgressiva e spietata.

NEL XIX secolo Gezabele veniva vista

UNA DONNA IMPAURITA


FRANCK RAUX / RMN-GRAND PALAIS

LA TENTAZIONE DEL DIO BAAL

Nella mitologia cananea quando Baal sconfiggeva Mot, il dio della morte, si originava un ciclo di sette anni di fertilità. Sopra, Baal in una stele di Ugarit. Musée du Louvre.

lei offerta al culto di Baal scatenò le ire dei profeti ebraici come Elia, che sostenevano la messa al bando di tutti i culti stranieri. La tensione esplose dopo la morte di Acab in battaglia e l’ascesa al trono di suo figlio Ioram. L’erede spirituale di Elia, il profeta Eliseo, nominò comandante militare Ieu e promosse una rivolta contro Ioram allo scopo di annientare l’intera dinastia di Omri, simbolo di perversione e idolatria. Nell’842 a.C. Ieu uccise Ioram e poi andò nella città di Izreel per eliminare Gezabele. In una scena di grande impatto drammatico, la donna si ritrova assediata nel suo palazzo dai soldati di Ieu. Decide allora di affacciarsi alla finestra e provocare il comandante chiamandolo «assassino del suo signore» e paragonandolo a un alto ufficiale dell’esercito che qualche decennio prima aveva brevemente usurpato il trono di Israele dopo aver ucciso il legittimo sovrano. Gezabele accoglie il suo nemico truccata e ben vestita, per dimostrare fino all’ultimo il suo orgoglio e la sua dignità. Ieu la fa defenestrare.

La tragica fine di Atalia Prima di questi eventi Atalia, figlia di Acab e Gezabele, aveva sposato il re di Giuda – che si chiamava anche lui Ioram, come il fratello della stessa Atalia – stabilendo così un’alleanza tra i due regni. Alla morte di Ioram gli successe il figlio Acazia, che regnò soltanto un anno prima di essere ucciso anch’egli da Ieu durante la rivolta dell’842 a.C. Allora Atalia eliminò tutti i possibili pretendenti al trono di Giuda e assunse il potere. Ma sua cognata Ioseba riuscì a mettere in salvo Ioas, il figlio di Acazia, che fu nascosto nel tempio di Gerusalemme e affidato alle cure del sacerdote Ioiada. Unica donna ad avere esercitato il potere in senso stretto, cioè in qualità di regina, Atalia governò il Paese favorendo il culto di Baal, ma senza arrivare a sopprimere la re-

I sacerdoti di Gerusalemme consideravano Atalia un’usurpatrice e la rovesciarono con una rivolta 46 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

LO SGOMENTO DI ATALIA

In quest’olio Solomon Alexander Hart ricostruisce il momento in cui Atalia vede i sacerdoti del tempio di Gerusalemme proclamare re il nipote Acazia. Laing Art Gallery, Newcastle upon Tyne. BRIGEMAN / ACI

ligione del dio d’Israele. Tuttavia i sacerdoti di Gerusalemme la consideravano un’usurpatrice che aveva occupato illegittimamente il trono. Alcuni anni dopo, nell’835 a.C., il sacerdote Ioiada guidò un’insurrezione che si concluse con l’incoronazione del piccolo Ioas nel tempio di Gerusalemme. Atalia si precipitò davanti al santuario gridando al tradimento, ma fu uccisa poco più tardi nella porta dei Cavalli del suo palazzo. Le morti violente e ignominiose di Gezabele e Atalia sono in linea con la valutazione che la Bibbia dà di loro: infatti uno dei temi centrali che attraversano la storia del popolo d’Israele, dal Libro di Giosuè ai Libri dei re, è il timore che ogni contatto con gli stranieri possa introdurre il culto di altri dei. In


quanto donne straniere e adoratrici di Baal, Gezabele e Atalia sono rappresentate come incarnazioni del male e del peccato, nonostante fossero in realtà donne forti e molto attive nella vita politica dei loro regni. Uno dei personaggi femminili più famosi della Bibbia è Ester, considerata nell’ebraismo la regina per eccellenza. La vicenda narrata nel Libro di Ester si svolge alla corte persiana di Assuero (forse il re Serse I, che regnò tra il 486 e il 465 a.C.), dove la regina Vasti viene ripudiata dal marito per essersi rifiutata di obbedirgli. Il sovrano ordina che gli si cerchino le fanciulle più belle dell’impero perché possa scegliersi una nuova moglie. Alla fine le sue preferenze ricadono su Ester, una giovane ebrea che però non rivela al

CADUTA E MORTE DI ATALIA NEL CAPITOLO 23 del secondo Libro delle cronache viene narrata la rivolta contro Atalia guidata dal sacerdote Ioiada. Questi decise di rovesciare Atalia e incoronare al suo posto un principe, nipote della stessa regina. «Quando sentì le grida […] Atalia si presentò al popolo nel tempio. Guardò ed ecco, il re stava sul suo seggio all’ingresso; gli ufficiali e i trombettieri circondavano il re; tutto il popolo del Paese gioiva a suon di trombe; i cantori, con gli strumenti musicali, intonavano i canti di lode. Atalia si strappò le vesti e gridò: “Tradimento, tradimento!”». Ioiada ordinò ai suoi uomini che la portassero fuori dal tempio e l’uccidessero. «Le aprirono un passaggio con le mani; essa raggiunse la reggia per l’ingresso della porta dei Cavalli e là essi l’uccisero». STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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IL ROTOLO DI ESTER VIENE LETTO OGNI ANNO DURANTE LA FESTA EBRAICA DI PURIM. XIX SECOLO. COLLEZIONE PRIVATA.

Salvatrice degli ebrei Ester si presenta al cospetto del re che l’attende seduto sul suo trono regale. Assuero le domanda cosa desideri. Lei lo invita a una cena durante la quale gli chiede di partecipare a un altro banchetto l’indomani, questa volta in compagnia di Aman. Con questa strategia dilatoria, e sfruttando la sua stessa avvenenza e l’ebbrezza indotta dal vino, la donna mira a creare un’atmosfera favorevole alla sua richiesta. Nel corso della seconda cena Ester confessa al monarca la sua origine ebraica e lo 48 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

supplica di salvare il suo popolo. Assuero si rende conto che è stato Aman ad aver ideato il decreto ed esce in giardino in preda alla rabbia. Il suo funzionario approfitta del momento per gettarsi ai piedi della regina e invocarne la clemenza. Quando il sovrano rientra crede che Aman stia cercando di violentare sua moglie e ordina che venga giustiziato tramite impiccagione. A prendere il suo posto a corte è Mardocheo. Questi emette subito un nuovo decreto che autorizza il suo popolo a usare la forza per difendersi. Il 13 di adar, la data in cui gli ebrei avrebbero dovuto essere sterminati, diventa il giorno della vendetta. La comunità giudaica dell’impero persiano è riuscita a salvarsi. Betsabea, Gezabele, Atalia ed Ester compaiono nella Bibbia in qualità di mogli o madri di re. Vengono descritte come donne coraggiose e determinate, capaci d’intervenire in maniera decisiva nel corso degli eventi storici, anche se ognuna di loro è valutata in modo diverso in base ai parametri biblici. In ogni caso tutte queste figure femminili hanno continuato a vivere nelle espressioni culturali della nostra civiltà, ispirando numerosi pittori, scrittori e musicisti. GUADALUPE SEIJAS UNIVERSITÀ COMPLUTENSE DI MADRID

Per saperne di più

SAGGI

Le ribelli di Dio. Donne e Bibbia tra mito e storia Adriana Valerio. Feltrinelli, Milano, 2014. Donne della Bibbia Nuria Calduch-Benages. Vita e Pensiero, Milano, 2017.

MAURO MAGLIANI / RMN-GRAND PALAIS

re le sue vere origini. Nel frattempo il cugino di Ester, Mardocheo, che presta servizio nel palazzo reale, sventa una cospirazione contro il sovrano, ma s’inimica il funzionario di corte Aman rifiutandosi d’inchinarsi davanti a lui. Per vendicarsi quest’ultimo convince il re a emettere un decreto che prevede lo sterminio di tutti gli ebrei. Mardocheo chiede allora a Ester d’intercedere per il suo popolo presso il sovrano. «Chi sa che tu non sia stata elevata a regina proprio in previsione d’una circostanza come questa», dice Mardocheo. Ester sa che nessuno può comparire davanti al re senza essere convocato e che dovrà rivelargli di essere ebrea. Consapevole dei rischi che sta correndo, decide di procedere comunque con il piano. Prima di recarsi al palazzo reale chiede allo zio di riunire gli ebrei di Susa affinché digiunino con lei per tre giorni e tre notti.


LA SUPPLICA DI ESTER

Ester intercede presso il re persiano Assuero in nome del suo popolo. Pannello centrale di un trittico realizzato da un pittore di Anversa all’inizio del XVI secolo. Pinacoteca nazionale, Bologna.



A M ICIZI A SENZ A R I SERV E

ALESSANDRO IL GRANDE ED EFESTIONE Il sostegno incondizionato offerto da Efestione ad Alessandro alimentò una forte complicità tra i due, che fece molto discutere in merito alla vera natura del loro rapporto

DUE COMPAGNI

Alessandro (a sinistra) ed Efestione. 320 a.C. circa. Getty Museum, Los Angeles. I due s’identificavano con Achille e Patroclo, che appaiono sulla ceramica della pagina accanto. 500 a.C. SINISTRA: JOHN FRUMM / GTRES. DESTRA: ORONOZ / ALBUM

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CSP_KARAPAS / AGE FOTOSTOCK

COMPAGNI DI SCUOLA

A 13 anni Alessandro si stabilì a Mieza insieme ad altri giovani, tra i quali Efestione, per frequentare le lezioni impartite da Aristotele nel Ninfeo (sopra).

S

econdo quanto riportano le cronache dell’epoca, dopo la vittoria di Isso contro l’esercito di Dario III, Alessandro ed Efestione entrarono nella tenda dov’erano tenute prigioniere le donne della corte persiana. Vedendoli entrare, Sisigambi, la madre di Dario, si prostrò per errore davanti a Efestione, che aveva un aspetto più avvenente di quello del monarca macedone. Avvertita dello scambio di persona dai suoi eunuchi, la donna si gettò ai piedi di Alessandro implorando perdono, ma lui l’aiutò a rialzarsi dicendo: «Madre, non ha fatto un errore – anche lui è Alessandro». Anche se probabilmente è falso, questo aneddoto dimostra l’intensa complicità che esisteva tra i due. Lo storico Diodoro Siculo dichiarava con sicurezza che Alessandro amava Efestione più di ogni altro suo

amico. Efestione era figlio di Amintore, un nobile macedone appartenente a una famiglia di provenienza ateniese. Non si conoscono le origini della sua profonda amicizia con Alessandro, in quanto le fonti al riguardo scarseggiano. Tra le lettere scritte da Aristotele, raccolte da Diogene Laerzio nella sua opera sulle vite dei filosofi, ce n’è una indirizzata a Efestione, che quindi il filosofo doveva conoscere. Questo consente d’ipotizzare che la relazione tra Efestione e Alessandro fosse iniziata proprio ai tempi in cui il futuro re e altri ragazzi della nobiltà macedone erano allievi di Aristotele a Mieza. Se così fosse, il rapporto tra i due giovani risalirebbe all’adolescenza. Avrebbero dunque trascorso quasi una ventina d’anni d’intenso cameratismo, confidandosi e sostenendosi reciprocamente in un ambiente turbolento, ostile e a volte

C R O N O LO G I A DEA

/ AL BU M

L’AMICO DEL RE

343 a.C.

332 a.C.

Aristotele arriva in Macedonia per istruire Alessandro, che educherà insieme ad altri giovani, tra cui forse Efestione.

Durante l’invasione dell’impero persiano Efestione svolge il suo primo incarico: nominare i nuovi governatori di Tiro e Sidone.

EFESTIONE. TESTA DI BRONZO RISALENTE AL IV SECOLO A.C. MUSEO DEL PRADO, MADRID.


DUE ALESSANDRI

Carlo Le Brun ricostruisce in quest’olio il momento in cui la regina Sisigambi, madre del re persiano Dario III, si prostra davanti a Efestione scambiandolo per Alessandro. XVII secolo. Reggia di Versailles. ALBUM

331 a.C.

330 a.C.

324 a.C. (PRIMAVERA)

324 a.C. (INVERNO)

Nella battaglia di Gaugamela contro Dario III, Efestione è a capo delle guardie di Alessandro e viene ferito a un braccio.

Processo ed esecuzione di Filota; Efestione gioca il ruolo di accusatore. Dopo la morte di Aminta viene nominato ipparco.

Efestione sposa Dripetide, sorella di Statira, seconda moglie di Alessandro, diventando così cognato dell’amico.

Muore a Ecbatana (Hamadan, Iran) in seguito a un malessere aggravato da ingestione di alcolici.


Efestione, un giovane attraente È NOTO CHE Efestione superava Alessan-

dro in statura e bellezza. Quinto Curzio lo paragonò a Eussenippo, considerato il favorito del re per il suo fascino giovanile. A Pella si conserva un mosaico di pietre colorate in cui appaiono due uomini seminudi e armati intenti a cacciare un cervo. ENTRAMBI hanno un fisico atletico e i ca-

MOSAICO DELLA CACCIA AL CERVO. I PROTAGONISTI SONO STATI IDENTIFICATI CON EFESTIONE (A SINISTRA) E ALESSANDRO (A DESTRA). MUSEO ARCHEOLOGICO, PELLA.

pelli castano chiaro. Quello a destra, che afferra l’animale per le corna è stato identificato con Alessandro. Il suo compagno è presumibilmente Efestione, dato che brandisce la caratteristica ascia a doppio taglio di Efesto, il dio da cui prende il nome. Il cane che completa la scena potrebbe essere Peritas, l’animale preferito del re. Il nome del cane lo ha tramandato Plutarco, che racconta che Alessandro gli era così affezionato che alla sua morte gli dedicò una città.

QUINTLOX / ALBUM

WHA / ACI

LA CONDANNA A MORTE DI FILOTA Lo storico Quinto Curzio narra che Efestione e Cratero (poi divenuti nemici irriducibili) parteciparono insieme alla tortura di Filota, la cui esecuzione è ricostruita in questa miniatura francese del XV secolo.

sconosciuto. All’inizio dell’invasione dell’impero persiano, durante le operazioni dell’esercito macedone sulle coste dell’Asia Minore, Efestione svolse un ruolo molto discreto, ridotto in pratica a compiti diplomatici. Le fonti raccontano che fu incaricato da Alessandro di nominare i nuovi governatori delle città fenicie di Tiro e Sidone, recentemente conquistate, e che venne ferito a un braccio durante la battaglia di Gaugamela, dov’era al comando della guardia personale del re. Al termine di questo scontro decisivo, mentre Dario si dava alla fuga verso oriente, si verificò un evento che avrebbe determinato il futuro degli ufficiali dell’esercito macedone: la congiura di Filota.

Un punto di svolta In seguito alla conquista delle più importanti città dell’impero persiano e alla morte di Dario III, l’esercito macedone penetrò in Asia centrale. Fu allora che venne alla luce una cospirazione contro Alessandro: l’aristocratico Filota fu accusato di non aver trasmesso al re le notizie ricevute

in merito al presunto complotto. Efestione fu uno dei suoi più implacabili accusatori. Secondo lo storico Quinto Curzio, propose di sottoporlo a tortura perché rivelasse tutto ciò che sapeva. L’usanza macedone prevedeva che, in caso di congiura contro il re, non venisse condannato a morte solo l’autore, ma tutta la linea maschile della sua famiglia. Per questo motivo fu giustiziato anche Parmenione, padre di Filota. Un altro accusato, Aminta, che era ipparco – cioè luogotenente degli hetairoi, la cavalleria d’élite –, riuscì a farsi assolvere, ma morì poco più tardi nel corso dell’assedio di un villaggio. Alessandro divise allora il comando degli hetairoi tra Efestione e Clito. Qualche tempo dopo, vennero eseguite altre due condanne a morte di personaggi di alto profilo: furono giustiziati lo stesso Clito e il cronista Callistene. Tutto indica un’epurazione tra le alte sfere dell’esercito di cui finirono per avvantaggiarsi i membri della cerchia più ristretta di Alessandro. Da quel momento in poi la carriera di Efestione proseguì a un ritmo vertiginoso. Il giovane seppe manifestare il suo sostegno incondizionato al sovrano in alcuni momenti


ROVINE DELL’ANTICA TIRO

La città entrò nell’orbita persiana nel VI secolo a.C. e fu conquistata da Alessandro nel 332 a.C. Il condottiero macedone avrebbe successivamente incaricato Efestione di nominare i nuovi governatori di Tiro e Sidone. GAVIN HELLIER / AWL IMAGES


DOBLE 4 Sospetti a corte LA STRETTA RELAZIONE tra Efestione e

Alessandro generò diffidenza tra alcuni membri della corte. Il segretario personale del re, Eumene di Cardia, fu tra questi. Ma i contrasti più forti si verificarono tra il generale macedone Cratero e la madre del sovrano, Olimpiade. IN INDIA Efestione e Cratero arrivarono a

LOREMUASD

1

incrociare le spade. Alessandro intervenne subito e biasimò pubblicamente il suo amico: «Stupido e pazzo! Non ti rendi conto che non sei nulla se ti allontanano da me?». Ma in privato rimproverò Cratero per le sue azioni. Olimpiade scrisse a Efestione rinfacciandogli di essersi approfittato di suo figlio. Efestione le rispose: «Smettila con le accuse e le minacce. In ogni caso, la tua rabbia non ci preoccupa più di tanto. Alessandro è il più potente di tutti».

ALBUM

LA MADRE DI ALESSANDRO

Olimpiade temeva che la sua influenza su Alessandro sarebbe diminuita con l’aumentare di quella di Efestione. Sopra, forse Olimpiade in un rilievo della bottega rinascimentale di Andrea del Verrocchio.

critici, come quello dell’adozione delle usanze persiane a corte – soprattutto quando Alessandro cercò d’imporre la cerimonia della proskynesis, un gesto reverenziale di sottomissione al re che i macedoni non erano disposti ad accettare. L’ascesa folgorante di Efestione suscitò la diffidenza di personaggi come Cratero, uno dei generali più influenti dell’esercito. In un’occasione i due arrivarono a incrociare le spade. Plutarco commentò lo scontro con una frase lapidaria: «Efestione era il migliore amico di Alessandro, e Cratero era il migliore amico del re». Lo storico greco sembra suggerire che la posizione di Efestione non fosse dovuta tanto ai suoi meriti personali CRATERO (A SINISTRA) E ALESSANDRO NEL RILIEVO DELLA CACCIA AL LEONE. MUSEO DI PELLA. DEA / ALBUM

quanto all’amicizia con il sovrano. La madre di Alessandro, Olimpiade, scrisse al figlio per ammonirlo: a forza di dispensare onori ai suoi amici li avrebbe resi suoi pari.

Sempre più importante In Sogdiana, una regione situata tra gli attuali Uzbekistan e Tagikistan, Efestione iniziò ad assumere un ruolo di maggiore rilievo nelle operazioni militari. Alessandro fu costretto in varie occasioni a dividere il proprio esercito, sia a causa della guerriglia della popolazione locale, sia per l’ampiezza ormai raggiunta dai suoi domini territoriali. E il suo amico più caro ricevette incarichi sempre più importanti, come quello di procedere alla sottomissione della città di Peukelaotis (odierna Charsadda), fosse tramite mezzi diplomatici o con le armi. Il maggior protagonismo di Efestione in campo militare non impediva ad Alessandro di affidargli compiti diplomatici e logistici. Mentre l’esercito si trovava in Battriana, Efestione fu nominato responsabile degli approvvigionamenti; e quando poi i soldati lasciarono l’India per rimet-


LA CAPITALE PERSIANA

Dopo aver sconfitto i persiani, Alessandro adottò gradualmente i cerimoniali che questi riservavano alla regalità, ricevendo l’appoggio di Efestione. Nell’immagine, la scalinata del palazzo di Dario I a Persepoli (Iran). ALAMY / ACI


varsi delle condizioni dell’amico mentre assisteva a una corsa allo stadio. Si precipitò da lui, ma al suo arrivo Efestione era già morto. Secondo diverse fonti, il sovrano fu colpito da un dolore straziante. Si gettò sul corpo del compagno in preda a un pianto inconsolabile e nei giorni successivi non riuscì a ingerire nulla. Alcune cronache riportano che fece mettere a morte Glaucia, il medico che aveva in cura l’amico, accusandolo di non avergli somministrato i farmaci adeguati o di averlo lasciato bere nonostante le sue condizioni.

NOZZE DI SUSA. IL SOVRANO MACEDONE E I SUOI UFFICIALI SPOSARONO NOBILI PERSIANE. ILLUSTRAZIONE DI TOM LOVELL. XX SECOLO.

ALBUM

I TALENTI DEL GENERALE Efestione era più abile nella logistica che in guerra. Sotto, un elmo di bronzo in uso alla fanteria macedone. IV secolo a.C. Art Institute of Chicago.

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Il dolore di Alessandro

tersi in marcia verso Babilonia, fu incaricato di fortificare la città di Orobatis, di occuparsi dei lavori di costruzione del porto e dei cantieri navali di Patala (alla foce dell’Indo, dove il re voleva creare una base per la flotta) e di organizzare tutti i preparativi necessari al viaggio di ritorno in Mesopotamia.

La morte di Efestione Il rapporto sempre più stretto tra il re e il suo compagno si manifestò appieno in occasione delle nozze collettive di Susa, nel 324 a.C., quando un’ottantina di nobili e soldati macedoni sposarono donne persiane. Alessandro prese in moglie Statira, la figlia maggiore di Dario III, mentre Efestione si unì con la sorella minore di lei, Dripetide. In questo modo i due divennero cognati. Nell’inverno dello stesso anno, sulla strada per Babilonia, l’esercito macedone si fermò per qualche giorno a Ecbatana (l’attuale Hamadan, in Iran). Qui le condizioni di salute di Efestione, già debilitato da giorni di febbre, peggiorarono in seguito al consumo eccessivo di alcol durante un banchetto. Alessandro ricevette la notizia dell’aggra-

Secondo Diodoro Siculo, Alessandro fece trasportare la salma a Babilonia per tributargli funerali solenni, anche se alcune fonti sostengono che il sovrano organizzò la cerimonia a Ecbatana. Plutarco racconta che, in segno di lutto, il re ordinò di tagliare le criniere dei cavalli e dei muli, di abbattere i bastioni delle città vicine e di bandire ogni tipo d’intrattenimento musicale. Non riuscendo a lenire il dolore, ricorse alla guerra: sottomise le tribù dei cossei «come se andasse a caccia di uomini»; e fece uccidere tutti i giovani in età di combattere, un atto che alcuni hanno considerato una sorta di enagismos, ovvero un grande sacrificio rituale. Il re inviò anche un’ambasciata al tempio del dio Amon nell’oasi egizia di Siwa per chiedere se doveva rendere a Efestione onori da eroe o da dio. Poi scrisse a Cleomene, il governatore dell’Egitto, promettendogli che gli avrebbe condonato tutti i soprusi commessi durante il suo mandato se avesse costruito due templi dedicati a Efestione, uno ad Alessandria e l’altro sull’antistante isola di Faro. Ma la più sontuosa manifestazione del dolore di Alessandro fu l’enorme (e costosa) pira funeraria che dedicò al compagno a Babilonia. Nel tentativo di compiacere il re, ognuno dei generali e degli amici di Alessandro fece costruire statue in avorio, oro e altri materiali preziosi. Per fare spazio alla pira fu demolita un’importante sezione delle mura. In cima al monumento furono collocate armi macedoni e persiane, d’oro e d’argento, probabilmente in segno del lutto di tutte le popolazioni che costituivano l’impero di Alessandro. Non va dimenticato che, al momento della morte, Efestione era


BABILONIA

Le mura di Babilonia (Iraq), come tutti gli edifici della Mesopotamia, erano fatte di mattoni di fango. Alessandro li riutilizzò per costruire la pira funeraria del suo amico. FB FISCHER / AGE FOTOSTOCK


L’EUNUCO BAGOA VESTITO DA DONNA SI GENUFLETTE DAVANTI AD ALESSANDRO SEDUTO IN TRONO. MINIATURA DEL XV SECOLO.

Gli amanti di Alessandro SI È DISCUSSO MOLTO se tra Alessandro ed Efestione esistesse una relazione amorosa, ma le fonti insistono soprattutto sul parallelismo propagandistico con la coppia formata da Achille e Patroclo. Il re macedone e il suo amico erano praticamente coetanei, e ciò rappresentava un’anomalia rispetto alla tipica relazione omosessuale dell’epoca, dove in genere l’erastés era un adulto e l’eromenos un efebo. SECONDO PLUTARCO, le attenzioni di

Alessandro erano dirette anche a qualcun altro: l’eunuco Bagoa, ex amante di Dario III. Alessandro lo avrebbe baciato in pubblico su richiesta dei suoi soldati dopo che Bagoa aveva vinto un concorso di canto. Un altro personaggio che interessava il sovrano era Eussenippo, di cui sappiamo solo che era giovane e tra i favoriti del re.

AKG / ALBUM

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IL CULTO DI EFESTIONE COME EROE Questo rilievo votivo dedicato a Efestione da un certo Diogene, forse un veterano dell’esercito di Alessandro, si trova nel Museo archeologico di Salonicco. 320 a.C. circa.

un chiliarca, un ruolo di comando che ne faceva l’uomo più potente dell’Asia dopo Alessandro stesso.

Oltre l’amicizia? Alessandro morì poco dopo, nell’estate del 323 a.C. Questo evento rafforzò i parallelismi tra la coppia formata da lui ed Efestione e quella composta da Achille e Patroclo nell’Iliade. Da quando il sovrano aveva messo piede in Asia la sua macchina propagandistica non aveva smesso di presentare la campagna contro i persiani come una nuova Guerra di Troia. In quanto presunto discendente di Achille da parte di madre, il condottiero macedone trovò in Efestione il suo Patroclo. Quando raggiunsero insieme le rovine di Troia, Alessandro fece un’offerta floreale davanti alla tomba del suo antenato ed Efestione davanti a quella di Patroclo. Ciò permette di contestualizzare meglio la costruzione dell’enorme pira con cui il re rese omaggio al compagno e che rievocava quella dedicata da Achille a Patroclo. L’ideale funebre dei tempi eroici cantato da Omero continuava a vivere in Macedonia. Non ci sono infor-

mazioni sufficienti per sostenere con certezza che Alessandro ed Efestione fossero amanti. Le analogie con i citati personaggi omerici non sono di grande aiuto, perché nell’antichità la natura del rapporto intrattenuto da Patroclo e Achille era oggetto di controversie. Parlando del sovrano macedone, in una delle sue lettere Diogene di Sinope afferma che era controllato “dalle cosce di Efestione”, ma il frammento è probabilmente spurio. Solo Claudio Eliano nella sua opera Storie varie si spinge a dichiarare esplicitamente che i due erano amanti. Ma, come ha sottolineato la storica Jeanne Reames, la loro intensa amicizia andava ben oltre il classico rapporto tra erastés (amante) ed eromenos (amato) caratteristica dell’omoerotismo greco, per entrare nel regno della filia, un tipo di amicizia basata sull’amore fraterno e sulla lealtà incondizionata. MARIO AGUDO VILLANUEVA MEMBRO DEL CONSIGLIO EDITORIALE DI KARANOS. BULLETIN OF ANCIENT MACEDONIAN STUDIES

Per saperne di più

SAGGI

Alessandro Magno Robin Lane Fox. Einaudi, Torino, 2019. Secondo natura. La bisessualità nel mondo antico Eva Cantarella, Milano, Rizzoli, 2001.


L’ANTICA TROIA

Alessandro paragonò la sua invasione dell’impero persiano alla guerra dei greci contro Troia. Il conflitto, rievocato da Omero nell’Iliade, ha come protagonista Achille, di cui Alessandro sosteneva di essere un discendente. JAMES STANFIELD / NATIONAL GEOGRAPHIC IMAGE COLLECTION


UN ADDIO GRANDIOSO ALL’AMICO

1 2

3 4

5 6 7 DEA / ALBUM

5 Decorazione

2 Le armi macedoni

6 Aquile (simbolo

3 Tori e leoni d’oro,

7 Prue di

interpreti dei canti funebri in onore del defunto si nascondevano in queste statue cave.

iodoro Siculo ha lasciato una descrizione dettagliata della costruzione della pira di Efestione a Babilonia, un monumento in cui si fondevano elementi decorativi greci e orientali. Alessandro riunì vari architetti e un gran numero di operai che smantellarono un tratto di quasi 1.800 m di mura cittadine. Con i mattoni recuperati edificarono la base di una pira quadrata di circa 180 m di lato e suddivisa in 30 file poi ricoperte da tronchi di palma. Ogni faccia della struttura fu decorata con 60 prue dorate di quinqueremi, su ognuna delle quali erano disposte le figure di due arcieri inginocchiati, alti quasi due metri, e diversi uomini armati, all’incirca di due metri e mezzo. Forse questa iconografia alludeva al ruolo riservato a Efestione nel piano per l’invasione dell’Arabia. Sulla base furono eretti altri sei livelli, con i quali la costruzione raggiungeva un’altezza di circa 60 m. Per realizzare l’opera, si diceva che fosse stata stanziata una somma di oltre 12mila talenti. Plutarco, inoltre, riferisce il nome dell’artefice del progetto: l’architetto Stasicrate. PIRA DI EFESTIONE INCISIONE DI OLLIVIER PER LA GRÈCE, EN L’UNIVERS PITTORESQUE, DI FRANÇOIS POUQUEVILLE. 1835.

1 Sirene. Gli

e barbare rimandavano ai conquistatori e ai popoli conquistati.

alternati. Questi animali comparivano anche nei rilievi di Persepoli, la capitale persiana.

4 Centauromachia. La lotta tra centauri e lapiti simboleggiava lo scontro tra civiltà e barbarie.

con animali selvatici cacciati secondo le usanze persiane e macedoni.

di Zeus), fiaccole (allusione a Dioniso) e serpenti (simbolo di Zeus-Amon).

quinqueremi (navi da guerra) con arcieri in ginocchio e uomini armati.

RICOSTRUZIONE DELLA GIGANTESCA PIRA FUNERARIA DI EFESTIONE. INCISIONE DI FRANZ JAFFE COLORATA DA F. BURACZ. 1900 CIRCA.


AKG / ALBUM


L’INVASIONE DELL’ITALIA

In un affresco di palazzo dei Conservatori, a Roma, il pittore del XVI secolo Jacopo Ripanda dipinse Annibale su un elefante, dopo che aveva valicato le Alpi. DAGLI ORTI / AURIMAGES


UN’ARMA TEMIBILE

GLI ELEFANTI DI ANNIBALE Durante la Seconda guerra punica Annibale e i comandanti cartaginesi impiegarono centinaia di questi giganteschi animali nella lotta contro i popoli della penisola iberica e contro le legioni romane


D

dello scrittore romano Quinto Curzio evocano l’impressione che i pachidermi generarono nei macedoni. Cinque anni prima i soldati di Alessandro avevano già visto una quindicina di questi potenti animali a Gaugamela, quando avevano sconfitto il re persiano Dario III (anche se è possibile che all’epoca non fossero entrati in battaglia). Ora, però, ne avevano schierati davanti ben duecento. Fu proprio dalle campagne di Alessandro in Asia che il mondo mediterraneo conobbe l’uso militare di tali animali. Li avrebbero subito adottati gli eserciti ellenistici dei successori di Alessandro, come i Tolomei in Egitto e i Seleucidi in Medio Oriente, e anche i loro alleati e nemici.

I primi elefanti di Cartagine Secondo un’opinione alquanto diffusa, l’uso militare degli elefanti costituiva un errore perché, se questi fossero stati feriti o spaventati, sarebbero diventati imprevedibili e pericolosi per entrambi gli schieramenti. Di certo è quello che accadde allo stesso Annibale nella battaglia di Zama, nella quale venne sconfitto dai romani.

Stando al racconto di Tito Livio, gli elefanti che Asdrubale, il fratello di Annibale, aveva condotto in Italia e impiegato nello scontro del Metauro erano guidati da conducenti, o cornac, che stringevano in mano un martello e uno scalpello da falegname. Lo avrebbero conficcati con violenza mortale nell’articolazione tra testa e collo dell’elefante, in mezzo alle orecchie, se le bestie si fossero disorientate e avessero rappresentato una minaccia. Tito Livio specifica che Asdrubale fu il primo a introdurre tale sistema “di controllo”. Per due secoli i migliori comandanti del mondo antico, come Pirro e Annibale, ricorsero agli elefanti. E i romani li adoperarono solo quando riuscirono a procurarseli, anche durante il governo di Giulio Cesare, nella prima metà del I secolo a.C. Poiché avevano un effetto psicologico devastante, vennero usati, spesso con successo, per sconvolgere la cavalleria nemica, rompere le linee di una fanteria poco solida, distruggere fortificazioni da campo e, molto raramente, per affrontare altri elefanti. Sebbene questi animali vivessero già da tempo nell’area dell’Atlante, risulta che i

TOM LOVELL / NATIONAL GEOGRAPHIC IMAGE COLLECTION

egli elefanti, che [...] da lontano davano l’impressione d’immense fortezze [...] rimanevano immobili con le moli immense e, resi rabbiosi di proposito, rintronavano le orecchie con i loro terribili barriti». L’imponente e terrificante visione colpì gli uomini di Alessandro Magno mentre si preparavano ad affrontare il re indiano Poro e i suoi elefanti sulle sponde dell’Idaspe, nel 326 a.C. Le parole

C R O N O LO G I A

L’ARMA MAGGIORE FALERA PROVENIENTE DALL’EST IRAN CON ELEFANTE DA GUERRA ASIATICO. III-II SEC. A.C. HERMITAGE, SAN PIETROBURGO.

THE STATE HERMITAGE MUSEUM/VLADIMIR TEREBENIN

331-326 a.C.

280-279 a.C.

Alessandro invade l’impero persiano e l’India. Viene introdotto nel Mediterraneo l’uso militare degli elefanti.

Nelle battaglie di Eraclea e di Asculum, Pirro, re dell’Epiro, sconfigge sul suolo italiano le legioni romane avvalendosi di elefanti da guerra.


LA BATTAGLIA DELL’IDASPE

Ricostruzione dello scontro tra il re indiano Poro e Alessandro Magno. In realtà gli elefanti non portavano su di sé delle torri, bensì fino a tre guerrieri legati con corde sui dorsi degli animali.

275 a.C.

255 a.C.

218-202 a.C.

46 a.C.

Il re seleucide Antioco I ottiene la cosiddetta “vittoria degli elefanti” sui galati proprio grazie ai pachidermi.

Sempre grazie agli elefanti, Santippo, al servizio di Cartagine, sconfigge a Bagradas Marco Attilio Regolo.

Come il padre Amilcare e il fratello Asdrubale, Annibale ricorre agli elefanti durante la Seconda guerra punica.

Nella battaglia di Tapso contro Giulio Cesare, i pompeiani e i loro alleati numidi impiegano invano fino a 90 elefanti.


I primi elefanti che videro le legioni

I

CITTADINI DI TARANTO chiamarono in loro aiuto contro Ro-

AGE FOTOSTOCK

ma Pirro, re dell’Epiro. Questi sbarcò in Italia nel 280 a.C. e a Eraclea vinse i nemici grazie a una ventina di elefanti, i primi che le legioni romane ebbero modo di vedere in azione. In un momento critico per gli avversari, Pirro ordinò di caricare e gli imponenti animali seminarono il panico tra i soldati avversari, terrorizzando pure i cavalli. Pirro ottenne così la vittoria.

LA CARICA DEGLI ELEFANTI DI PIRRO A ERACLEA. OLIO SU TAVOLA DI KONSTANTIN KONSTANTINOVIČ FLEROV. 1942. MUSEO STATALE DI DARWIN, MOSCA.

UN’IMPRESSIONE DUREVOLE

L’elefante che compare in questo aes signatum romano (un lingotto di bronzo scambiato come moneta) rispecchia probabilmente la forte impressione della guerra contro Pirro. British Museum, Londra. BRITISH MUSEUM / SCALA, FIRENZE

68 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

cartaginesi li utilizzarono come arma solo dopo il 278 a.C., quando si recarono in Sicilia contro il grande Pirro, sovrano del regno ellenistico dell’Epiro. In Stratagemata (Stratagemmi), il romano Sesti Giulio Frontino riferisce che un comandante cartaginese ingannò il popolo nordafricano dei numidi, che avrebbe poi attaccato, dicendogli che era giunto solo per catturare elefanti ed era disposto a pagare per loro. Fu la lotta per il controllo della Sicilia a dare luogo alla Prima guerra punica, la prima delle tre che vide contrapporsi i romani ai cartaginesi, o punici appunto. Durante il conflitto, Annone portò dall’Africa un contingente di cinquanta o sessanta elefanti, che usò nel 262 a.C. contro i romani nella battaglia di Agrigento. Non è

improbabile che all’inizio i cartaginesi impiegassero come cornac dei professionisti indiani, forse assunti tramite i loro alleati egizi, i Tolomei. Tuttavia, ben presto si servirono di guide numidiche e di altre zone africane. Secondo lo storico Appiano e il geografo Strabone, nel III secolo a.C. le mura di Cartagine contenevano stalle che ospitavano fino a trecento elefanti. Quando, agli inizi del 255 a.C., il console romano Marco Attilio Regolo ebbe l’ardire di sbarcare in Africa, i cartaginesi si dotarono di una cavalleria e di un centinaio di elefanti. Anche se nei primi tempi non sapevano come schierarli nel modo più opportuno, alcuni mesi più tardi, agli ordini del comandante mercenario greco Santippo, il dispiegamento di elefanti risultò molto efficace nella battaglia del fiume Bagradas. Qui i fanti della prima linea «non resistettero alla violenza delle bestie, per cui, travolti e calpestati in massa, morivano nel corpo a corpo», come narra lo storico Polibio. Negli anni successivi i cartaginesi impiegarono un gran numero di elefanti: il loro comandante Asdrubale (figlio di Annone) nel 250 a.C. ne riunì fino a centoquaranta a Panormus (Palermo), sebbene il successo iniziale sarebbe stato messo in crisi da una loro eccessiva aggressività. Il console Cecilio Metello riuscì allora a catturarne una gran parte, conducenti indiani inclusi, e li esibì nella processione trionfale a Roma, dove i poderosi animali impressionarono i cittadini.

Pachidermi in Iberia La guerra si concluse con la sconfitta dei cartaginesi, che non solo dovettero consegnare la Sicilia ai romani, ma anche scontrarsi in una cruenta lotta interna contro i propri mercenari ribelli (241-238 a.C.). In un primo momento il comandante Annone intimidì i rivoltosi con i suoi cento elefanti che, riferisce Polibio, «si aprirono il passo vigorosamente» fino a penetrare negli accampamenti, dove in molti «perirono uccisi dalle bestie». Eppure i mercenari riuscirono a riprendersi e fu un altro comandante, Amilcare Barca, ad assumere il comando e a sconfiggerli con soli settanta elefanti. Amilcare decise di riprendere le conquiste in Iberia per accrescere il potere militare ed economico di Cartagine, forse pensando a un


SCONTRO AD AGRIGENTO

Davanti alla città siciliana ebbe luogo la prima battaglia campale della Prima guerra punica. I cartaginesi usarono gli elefanti, però vennero sconfitti. Tempio della Concordia, Agrigento. MARCO SIMONI / AWL IMAGES


fino a poco tempo fa si credeva che nell’antichità non venisse addomesticato l’enorme elefante di savana africano, e si è spesso detto che i cartaginesi avessero impiegato una specie locale dell’Atlante, oggi estinta, forse simile all’attuale elefante di foresta del mar Rosso e della zona pluviale africana. O che forse avevano fatto ricorso proprio a quest’ultima specie, già utilizzata dai Tolomei in Egitto. L’elefante di savana può raggiungere i quattro metri d’altezza fino al garrese, mentre quello di foresta 2,5. Sono entrambi diversi dall’elefante asiatico, che può essere alto più di tre metri fino al garrese. I Seleucidi si avvalsero di quest’ultimo, che poteva abbattere i più piccoli elefanti africani dei Tolomei, come narrano Polibio, Plinio o Diodoro. Tuttavia, nel 2013 gli studi di Adam L. Brandt e di altri sul DNA mitocondriale degli elefanti etiopi ed eritrei hanno avanzato l’ipotesi che i Tolomei avessero forse addestrato l’elefante di savana. Tale scoperta non troverebbe riscontro nelle fonti classiche, che insistono sulle dimensioni minori degli elefanti egizi (e, per estensione, cartaginesi), contro quelli asiatici dei Seleucidi. Se in Egitto si fosse addomesticato l’elefante di savana, sarebbe stato più grande dell’asiatico. Nel 2016 Michael B. Charles ha sostenuto che, sebbene oggi gli elefanti eritrei siano del tipo di quello di savana, la loro presenza attuale non deve per forza corrispondere alla specie antica, e non bisogna perciò contestare i testi classici, visto che gli eritrei attuali possono discendere da elefanti di savana giunti dopo il periodo tolemaico e punico.

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QUALE SPECIE DI ELEFANTI USÒ ANNIBALE?

1 ELEFANTE ASIATICO Elephas maximus L’elefante asiatico può misurare 3,5 m fino al garrese e pesare sui 5.500 chili. Questo animale ha il dorso arcuato, con il punto più alto al centro della schiena, mentre la specie africana ha il punto più alto del dorso all’altezza delle spalle.

2 ELEFANTE DI FORESTA Loxodonta africana cyclotis Misura attorno ai 2,5, metri d’altezza e pesa tra i 2.700 e i seimila chili. Le zanne sono più dritte rispetto a quelle dell’elefante di savana e puntano verso il basso. Le orecchie sono più grandi e arrotondate. È la più piccola delle specie attuali.

ALBUM

3 ELEFANTE DI SAVANA

RAPPRESENTAZIONE DI UN ELEFANTE AFRICANO IN UN MOSAICO PROVENIENTE DA UTHINA (L’ATTUALE OUDNA, A TUNISI). II SECOLO A.C. MUSEO NAZIONALE DEL BARDO, TUNISI.

Loxodonta africana africana Può misurare tra i tre e i quattro metri fino al garrese e pesare fino a ottomila chili. Le zanne puntano verso l’alto. Nelle specie africane, le orecchie (che gli elefanti usano per disperdere il calore corporeo) sono più grandi della testa e molto più voluminose e spigolose rispetto a quelle dell’elefante asiatico.


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lato opposto, perché gli elefanti percorrevano la riva e si scagliavano sugli uomini appena emergevano dall’acqua». L’impatto psicologico di tale evento e l’impressione suscitata dalla potenza dei pachidermi traspare dalle monete coniate nella penisola iberica. In esse compare spesso un elefante, ma senza torre.

La guerra di Annibale

L’EPICA TRAVERSATA DELLE ALPI DA PARTE DEGLI ELEFANTI DI ANNIBALE HA DATO LUOGO A NUMEROSE RAPPRESENTAZIONI. ALCUNE SONO DAVVERO FANTASIOSE, COME IL DISEGNO A PASTELLO DI RAYMOND SHEPPARD. SCALA, FIRENZE

ELEFANTI SENZA TORRE

Shekel (moneta cartaginese d’argento) coniato in Iberia verso il 221-218 a.C., con un elefante senza torre e il suo conducente, provvisto di un puntale. ORONOZ / ALBUM

futuro secondo assalto contro Roma. Amilcare, il genero Asdrubale e poi il figlio Annibale usarono con successo tra i cento e i duecento elefanti, anche se forse quest’ultima cifra è esagerata. All’indomani dell’uccisione di Asdrubale da parte di un celtibero, Annibale assunse il comando, marciò verso l’interno della Meseta e fece ricorso a quaranta dei suoi elefanti contro il popolo dei carpetani: formò una barriera in un’area dove si poteva guadare il Tago, prendendo così gli avversari alla sprovvista. La tattica si rivelò particolarmente efficace giacché gli elefanti, che sulle sponde si muovevano con più agilità, anticipavano i movimenti degli attaccanti. Narra ancora Polibio: «I barbari cercarono di forzare il fiume in diversi punti, con il risultato che la maggioranza di loro venne massacrata quando raggiunse il

Sin dall’inizio della sua carriera, Annibale si servì degli elefanti in battaglia. All’inizio della Seconda guerra punica, precisamente nel 218 a.C., partì per la“lunga marcia”al fine d’invadere l’Italia attraversando la Gallia e le Alpi. Portava con sé almeno trentasette elefanti. Inoltre ne aveva lasciati al fratello Asdrubale altri ventuno per controllare la retroguardia ispanica. Gli elefanti si resero protagonisti di due memorabili episodi. Il primo fu l’attraversamento dell’ampia foce del Rodano. A tale scopo Annibale fece costruire grandi chiatte di più di sessanta metri quadrati, ricoperte di terra. Inoltre ingannò gli elefanti: si dice che mandò avanti degli esemplari femmine affinché i maschi salissero sulla passerella di chiatte senza ribellarsi. Il secondo fu il valico delle Alpi nell’autunno del 218 a.C. Le nevi e i venti gelidi la resero una prova così dura per uomini e animali che, a quanto pare, poco dopo la vittoria contro le legioni presso il fiume Trebbia, nel dicembre dello stesso anno, ad Annibale rimaneva un solo pachiderma, perché gli altri erano morti di freddo. Montato sull’unico animale sopravvissuto Annibale, malato e con un’infezione che l’avrebbe lasciato orbo, attraversò i pantani dell’Arno nel 217 a.C. Quando l’anno seguente ebbe luogo la battaglia di Canne non aveva più alcun elefante, ma in un qualche momento dovette ricevere dei rinforzi, forse perfino quaranta animali. Difatti Tito Livio narra che nel 215 a.C. Annibale utilizzò dei pachidermi per assediare la città di Casilinum. Poco dopo, nel 211 a.C., i mercenari iberici di Annibale, appoggiati da tre elefanti, ruppero la linea di una legione romana davanti alla città di Capua. Eppure anche queste bestie morirono o vennero sacrificate prima che Annibale si vedesse costretto a tornare in Africa nel 203 a.C. Quanto ai ventuno elefanti rimasti nella penisola iberica, Asdrubale li salvò ritirandosi


SPAVENTATI, ALCUNI ELEFANTI SI GETTARONO NEL RODANO DALLE CHIATTE MA, SECONDO POLIBIO, GIUNSERO ALL’ALTRA RIVA NUOTANDO SOTT’ACQUA E RESPIRANDO CON LE PROBOSCIDI.

FOTO: AKG / ALBUM

Il disegno mostra come venne compiuto il guado, stando a quanto racconta Polibio: 1 si creò una lunga passerella sull’acqua tramite chiatte unite di due in due. 2 Le chiatte erano inoltre unite con cavi agli alberi della sponda. 3 Ogni volta che un gruppo di elefanti raggiungeva le ultime due chiatte della passerella, si scioglievano i cavi e le chiatte venivano rimorchiate da barche lungo il fiume.

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IL GUADO DEL RODANO

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EL SUO LIBRO STORIE, Polibio racconta come i 37 elefanti di Annibale attraversarono il Rodano. Vennero costruite enormi chiatte unite a coppie, così da formare una sorta di passerella di circa 60 m di lunghezza che copriva la larghezza del fiume. La passerella venne ricoperta di terra come un sentiero, per evitare che gli elefanti s’intimorissero. Gli animali erano poi condotti sulla passerella in piccoli gruppi, e si usavano due femmine perché i maschi le seguissero fino alle chiatte finali. Una volta saliti gli elefanti, venivano sciolti i cavi che le univano alle altre chiatte e alla sponda. Delle imbarcazioni le rimorchiavano quindi alla riva opposta.


Zama, la forza contro l’astuzia

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come riferito all’inizio. «Era questo il metodo più rapido per uccidere una bestia di tali dimensioni quando la sua violenza superava la capacità di tenerla a bada» aggiunge Tito Livio.

La fine del conflitto

EL 202 A.C. ANNIBALE subì a Zama, in Africa setten-

AVANZATA DEGLI ELEFANTI CARTAGINESI A ZAMA. TAPPETO DEL XVI SECOLO. PALACIO REAL, MADRID.

UNA STATUA PERDUTA

Zampa di elefante in bronzo, vicina alle dimensioni naturali, rinvenuta nello stretto di Messina. III secolo a.C. Museo del satiro danzante, Mazara del Vallo. F. QUESADA SANZ

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trionale, una cocente sconfitta che mise fine alla Seconda guerra punica. Racconta Tito Livio che Annibale aveva con sé 80 elefanti, il numero più alto mai dispiegato in battaglia. Eppure non gli furono di alcuna utilità, anzi. Per prima cosa, i romani fecero suonare trombe e buccine e gli elefanti, che non erano forse ben addestrati, si spaventarono dirigendosi verso le truppe cartaginesi. Poi, quando attaccarono, i legionari misero in pratica la strategia messa a punto dal loro capo, Scipione l’Africano: le formazioni aprirono dei corridoi per lasciar passare gli animali, che ferivano con le lance. I pachidermi ritornarono quindi indietro e crearono scompiglio tra i cartaginesi.

dal combattimento di Baecula, nel 208 a.C. Condusse con sé quindici di loro nel viaggio per soccorrere il fratello Annibale in Italia. Cinque dovettero morire lungo la strada, e altri sei caddero nel 207 a.C., nella catastrofica sconfitta presso il Metauro. Riguardo a tale battaglia, Tito Livio narra che gli elefanti «nella loro prima carica si erano aperti il passo nell’avanguardia romana e avevano già fatto retrocedere le insegne; quando poi si addentrarono nella lotta e nella confusione, non ci fu modo di controllarli e vagavano senza direzione tra i due fronti, quasi non sapessero a chi appartenevano, come le navi alla deriva senza timoniere». Non è strano che, a causa del pericolo rappresentato da questi animali per le truppe dello stesso Asdrubale, lo storico riferisca: «Furono più gli elefanti uccisi dalle proprie guide di quelli uccisi dal nemico». A tale scopo usarono il martello e lo scalpello,

Verso la fine della Seconda guerra punica i cartaginesi della penisola iberica dovettero ricevere pure loro dei rinforzi, perché nella battaglia d’Ilipa, nel 206 a.C., opposero una linea di circa trenta pachidermi contro le legioni di Scipione l’Africano. Per poter sempre disporre di nuovi animali, i cartaginesi e gli alleati numidici furono molto occupati nel catturarli e addestrarli. E così quando Annibale tornò in Africa poté riunire circa ottanta elefanti per lo scontro di Zama del 202 a.C. In tale combattimento, però, non giocarono un ruolo notevole, forse perché male addestrati. Si spaventarono subito per lo stridio delle trombe e delle buccine romane. L’uso tattico cartaginese degli elefanti variò nelle battaglie campali: a Zama, come aveva già fatto Santippo a Bagradas (255 a.C.), Annibale li collocò davanti allo schieramento e lungo l’intera linea d’attacco, mentre presso il Trebbia (218 a.C.) li aveva disposti in corrispondenza delle due ali, forse perché erano di meno. Sicuramente i romani tenevano in grande considerazione i pachidermi, e ciò emerge pure dal trattato di pace che seguì la sconfitta di Annibale a Zama: Roma proibiva a Cartagine di catturare e addestrare elefanti, e l’obbligava a consegnare quelli che già possedeva. Allo stesso tempo riduceva l’imponente flotta punica a non più di dieci triremi. Quando, nel 1919, gli alleati imposero il trattato di Versailles alla Germania sconfitta, proibendole l’arsenale di blindati e sottomarini, erano forse coscienti del parallelismo con Cartagine. Ma a differenza della Germania, che nel 1939 si era riarmata e dotata di potenti divisioni di carri armati, i cartaginesi non poterono più fare affidamento sugli elefanti nell’ultima e disastrosa difesa contro la spietata aggressione romana del 146 a.C. FERNANDO QUESADA SANZ PROFESSORE DI ARCHEOLOGIA. UNIVERSITÀ AUTONOMA DI MADRID

Per saperne di più

SAGGI

Annibale e gli elefanti Jacopo Olivieri. Mondadori, Milano, 2019. Come gli elefanti di Annibale Michele Ansani. Aracne, Roma, 2017.


LA FINE DI ASDRUBALE

La località nell’immagine è Fossombrone, sulle sponde del Metauro. Nelle sue vicinanze ebbe luogo la battaglia nota con il nome di tale fiume, in cui morì il fratello di Annibale. ALAMY / ACI


Elefantessa da guerra con il cucciolo in un piatto proveniente dalla necropoli di Le Macchie a Capena, nel Lazio. Dal dorso, le dimensioni e la forma delle orecchie si può dedurre che si tratta di un elefante asiatico. Forse il pezzo evoca la vittoria del console romano Manio Curio Dentato su Pirro nel 275 a.C. Museo di Villa Giulia, Roma.

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SCALA, FIRENZE

TERRACOTTA A FORMA DI ELEFANTE DA GUERRA NELLA CASA DI MARCO FABIO RUFO, A POMPEI. I SECOLO A.C. MUSEO ARCHEOLOGICO NAZIONALE, NAPOLI.

ciononostante, lo storiografo Tito Livio descrive gli elefanti punici che parteciparono alla battaglia d’Ilipa (206 a.C.) come bestie «dall’aspetto di castello». Oltre a ciò, testi del periodo

di solito si crede che gli elefanti cartaginesi fossero piccoli e non avessero sul dorso torri con soldati, a differenza di quelli usati da Pirro e dai re ellenistici, che sono invece rappresentati con torri merlate sia in un piatto del Museo nazionale etrusco di Villa Giulia, a Roma, sia in due terrecotte conservate nei musei del Louvre e di Napoli. Probabilmente gli elefanti di Cartagine, guidati da cornac, erano un’arma a sé, senza bisogno di soldati. Così appaiono nelle monete d’argento cartaginesi coniate in Iberia. Quando un poeta molto poco rigoroso come Silio Italico parla di elefanti punici con torri, non viene ritenuto attendibile.

è perciò probabile la disposizione di alcune torri occasionali, soldati compresi, sugli elefanti di Annibale. Poiché uno dei suoi più valorosi pachidermi (che perse una zanna nello scontro) si chiamava Surus, “il siriano”, si potrebbe ipotizzare che fosse un grande elefante asiatico. Tale specie sicuramente era in grado di trasportare una torre e una dotazione di soldati.

repubblicano menzionano l’uso di torri sugli elefanti numidi. Se ne deduce che probabilmente i piccoli elefanti nordafricani le potevano reggere. Philip Rance ha da poco richiamato l’attenzione sul termine thorakion, torre o parapetto, presente nella Suda (un’enciclopedia bizantina del X secolo che riunisce frammenti di testi oggi andati perduti). Tale parola allude espressamente alle torri degli elefanti di Annibale. Rance ritiene che la citazione provenga da Diodoro Siculo o, al massimo, da Sosilo, il cronista greco che accompagnò Annibale nelle sue campagne.

PORTAVANO TORRI GLI ELEFANTI DI ANNIBALE?

BRIDGEMAN / ACI


DA MOSCHEA A CATTEDRALE Storia del grande edificio di Cordova

Riconvertita in cattedrale dopo la conquista cristiana del 1236, con il passare del tempo la moschea di Cordova si è imposta quale originale sintesi tra l’eredità musulmana e i successivi stili dell’arte occidentale


LA MOSCHEA DI NOTTE

In questa fotografia scattata da meridione, con il Guadalquivir e il ponte romano sullo sfondo, la cattedrale rinascimentale risalta in tutta la sua imponenza. S. DENG / ALAMY / ACI


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l 30 giugno 1236 il re Ferdinando III entrava nella città di Cordova, ponendo fine all’assedio di cinque mesi da parte delle truppe della Castiglia nella loro riconquista dei territori andalusi. Capitale del califfato degli omayyadi nel X secolo, Cordova era stata la città più brillante e popolata di al-Andalus. Il terribile saccheggio del 1013, in piena crisi del governo omayyade, le aveva tolto la supremazia sui centri del regno musulmano, ma nel XIII secolo era ancora un nucleo urbano imponente, specialmente agli occhi dei conquistatori castigliani. Soprattutto, conservava uno dei più importanti monumenti della civiltà andalusa di allora: la Grande moschea. Alcuni giorni prima che il re facesse il suo ingresso in città, quando ormai la popolazione musulmana l’aveva abbandonata, un gruppo di castigliani uscì dall’accampamento, attraversò la porta del Ponte e si diresse verso la moschea per collocare in alto, sul minareto, la croce e la bandiera della Castiglia. Poche ore più tardi il vescovo di Osma fece purificare l’edificio e, dopo aver benedetto l’altare, celebrò la messa della consacrazione. La moschea musulmana degli omayyadi era ormai divenuta una cattedrale cattolica.

LA MOSCHEA DEGLI OMAYYADI

Il vasto spazio colonnato della moschea di Cordova, frutto di successivi ampliamenti, non venne più occupato dopo la conquista cristiana della città e la fuga della popolazione musulmana.

«La più nobile moschea»

80 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

C R O N O LO G I A

CAMBIO DI FEDE ALAMY / ACI

Malgrado il cambiamento radicale nella funzione del santuario, il manipolo di soldati di Ferdinando III decise di non distruggerlo. Nelle epoche successive sarebbero stati realizzati numerosi interventi architettonici per adattare la moschea al culto cristiano, eppure la decisione di preservare l’insieme non sarebbe mai venuta meno. I conquistatori erano ben consapevoli della magnificenza di questo luogo di culto, e in seguito furono molti gli scrittori cristiani che l’elogiarono. Tra di loro figurava don Juan Manuel, nipote di Ferdinando III il Santo nonché autore di El conde Lucanor (Il conte Lucanor), nel quale affermava: «Questa è la maggiore e più perfetta e più nobile moschea che i mori avevano in Spagna e, Dio sia lodato, ora è chiesa con il nome di Santa María di Cordova. L’offrì il santo re don Ferdinando alla Vergine Maria quando a Cordova vinse i mori». Alla metà del XV secolo anche lo scrittore cordovese

786 Abd al-Rahman I comincia la costruzione della moschea. Nel 991 viene portato a termine il terzo e ultimo ampliamento.


1236

1371

1523

1593

Le truppe di Ferdinando III di Castiglia entrano a Cordova vittoriose. La moschea è convertita al culto cristiano.

Viene edificata la cappella reale, capolavoro d’arte mudéjar, per accogliere le tombe di due re castigliani.

Hernán Ruiz I, capomastro della cattedrale, intraprende la realizzazione della crociera al centro della moschea.

Hernán Ruiz III dà inizio alla prima fase costruttiva della torre-campanile, dopo il crollo dell’antico minareto.


Jerónimo Sánchez manifestò la sua ammirazione, scrivendo che «il tempio merita ogni sorta di lode, e alla sua vivacissima bellezza si rianima lo spirito di chi lo contempla». Sánchez definì inoltre la moschea una «meraviglia del mondo». Nei primi due secoli del dominio castigliano, gli interventi per adeguare la moschea alla religione cristiana furono limitati e alterarono di poco la fisionomia dell’edificio. Al culto cattolico vennero adibiti degli spazi preesistenti. E così la cappella maggiore venne ubicata nel lucernario centrale eretto dal califfo omayyade al-Hakam II: anche se in posizione leggermente laterale, il luogo era considerato idoneo in virtù del fatto che era ben illuminato. Inoltre le nuove costruzioni vennero realizzate secondo lo stile mudéjar, che univa correnti artistiche cristiane a tradizioni architettoniche e decorative musulmane. Fu il caso della cappella reale, con il piedistallo in piastrelle geometriche, il particolare intaglio accurato, la volta a crociera e le tipiche nicchie angolari muqarnas. I lavori furono finanziati nel 1371 da Enrico II Trastámara al fine di offrire una degna sepoltura ai suoi avi Ferdinando IV e Alfonso XI (nel XVIII secolo i loro resti sarebbero stati trasportati nella Collegiata reale di San Hipólito di Cordova).

CAPPELLA DI VILLAVICIOSA

Lo splendido lucernario di al-Hakam si trovava prima nella cappella maggiore della nuova cattedrale e poi nella cappella di Villaviciosa. Tale spazio venne a lungo adornato con iconografie cristiane e una cupola barocca.

Essere sepolti nella moschea

«Alla sua vivacissima bellezza si rianima lo spirito di chi lo contempla» affermava circa la moschea-cattedrale un autore cordovese del 1450 circa 82 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

GÜNTER GRÄFENHAIN / FOTOTECA 9X12

Nella prima fase della dominazione cristiana, la trasformazione più evidente riguardò le numerose cappelle private, che furono a mano a mano edificate tra le mura interne del tempio. Qui iniziarono a farsi seppellire i membri delle famiglie più illustri della città. Tale abitudine coincise proprio con la conquista cristiana di Cordova. Per esempio, nel 1262 il nobile Juan Pérez Echán firmò un accordo con il capitolo della cattedrale in base al quale poté erigere una cappella delimitata da alcune gelosie (elementi divisori), con un altare al suo inter-



LA CAPPELLA REALE

Capolavoro dell’arte mudéjar, venne realizzata nel 1371 per accogliere due re Trastámara. Lo spazio quadrangolare è ricoperto da una cupola di archi incrociati. Nell’immagine si può ammirare uno dei due muri portanti, con un’arcata e una straordinaria decorazione di stucchi. ALAMY / ACI



Torre campanile

Patio degli Aranci

Coro

Porta dei Decani

Porta di santo Stefano

LA MOSCHEACATTEDRALE DI CORDOVA La ricostruzione mostra la moscheacattedrale osservata da meridione. Sopra il tetto dell’edificio musulmano sono indicati i vari monumenti cristiani.

Porta di san Michele

Porta dello Spirito Santo Porta del Palazzo


ORONOZ / ALBUM

LE CAPPELLE

Le mura interne della moschea-cattedrale sono interrotte da una serie di cappelle, come si può notare nella mappa sopra queste righe. L’angolo preso in considerazione corrisponde all’area in cui venne eretta la cappella del Sacrario. Crociera

Cappella maggiore

Cappella del Sacrario

Porta di san Idelfonso

ILUSTRACIÓN: SOL 90 / ALBUM

Cappella di Villaviciosa

Cappella del cardinale Salazar


no. Risalgono invece alla fine del XV secolo e all’inizio del XVI gli interventi più profondi nell’antica moschea. Pur preservando l’integrità dell’insieme, al complesso vennero aggiunte una serie di strutture tipiche di una chiesa cristiana dell’epoca. Nella maggior parte dei casi i lavori vennero diretti da una stirpe d’architetti: gli Hernán Ruiz. Padre, figlio e nipote assunsero uno dopo l’altro l’incarico di capomastro nei rifacimenti nella cattedrale. Il loro compito era quello di dirigere e progettare le modifiche effettuate nell’edificio, nonché risolvere i problemi tecnici sorti in seguito a queste. A Hernán Ruiz I – noto anche come Hernán Ruiz il Vecchio – si deve la ricostruzione del patio dell’antica moschea, che divenne un chiostro gotico-mudéjar, abbellito con palme, aranci e fonti.

Pochi anni dopo che Hernán Ruiz il Vecchio aveva cominciato a lavorare nel patio, venne ultimata la prima trasformazione significativa dell’interno, una lunga navata gotica che il vescovo Iñigo Manrique fece disporre davanti alla cappella maggiore. L’insieme avrebbe preso il nome di cappella di Villaviciosa. Tuttavia, il momento decisivo nella trasformazione della moschea fu rappresentato dalla costruzione, grazie al disegno di Hernán Ruiz I, di una nuova cappella maggiore e di un nuovo coro. Il progetto comportava lo spostamento della cappella maggiore al centro della cattedrale dove, secondo il vescovo Alonso Manrique, «si troverebbe in posizione migliore rispetto all’attuale, cioè in un angolo della chiesa». Il progetto originò una notevole polemica, che vide contrapposti il consiglio della città e il capitolo della cattedrale. Uno dei motivi all’origine della disputa era la ferma opposizione dei ventiquattro cavalieri, ovvero delle cariche politiche locali: tutti questi possedevano cappelle all’interno dell’antica cappella maggiore o nei suoi pressi. Secondo i cavalieri, i santuari famigliari avrebbero così perso prestigio. Oltre agli interessi personali, nelle loro rimostranze si percepiva pure il cruccio per la demolizione di una parte considerevole della moschea originaria. Difatti, come affermava uno scritto di protesta, «per le modalità con 88 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

MANUEL COHEN / AURIMAGES

Basilica rinascimentale


LA CAPPELLA MAGGIORE

Collocata al centro dell’antica moschea, la cappella maggiore cominciò a essere eretta nel 1523. Nell’immagine, scattata dal coro, si può ammirare la pala d’altare in marmo degli inizi del XVII secolo, coperta da una volta a crociera. Contiene un ciclo iconografico sull’Assunzione della Vergine.


cui è stato eretto, il tempio è unico al mondo». La diatriba s’inasprì a tal punto che il consiglio municipale – cosciente che «l’opera che si distrugge è di qualità, e non si potrebbe mai riprodurre con la stessa efficacia e la stessa perfezione con cui venne alzata» – minacciò di morte i muratori che avrebbero dovuto distruggere parte dell’antica moschea. In tutta risposta, il vescovo Alonso Manrique scomunicò gli insolenti consiglieri. Questi cercarono di coinvolgere il monarca, ignorando il potere del prelato. La questione sarebbe perciò finita alla Cancelleria reale di Granada, che acconsentì ai lavori il 7 settembre 1523.

Distruggere ciò che è unico

«Avete distrutto ciò che era unico al mondo» pare abbia dichiarato Carlo V quando vide la nuova basilica eretta in mezzo alla moschea 90 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

ANNA SERRANO / GTRES

Nel 1526, dopo aver contratto matrimonio con Isabella di Portogallo a Siviglia, Carlo V visitò Cordova e la moschea-cattedrale. Anche se non documentata, la tradizione racconta che, invece di rallegrarsi per il progetto che lui stesso aveva approvato anni prima, si lamentò per la costruzione effettuata al centro dell’antica moschea. Stando alla leggenda, l’imperatore avrebbe criticato i lavoratori, affermando che avevano «distrutto ciò che era unico al mondo», e al suo posto avevano eretto «ciò che si può vedere dappertutto». Per la nuova cappella maggiore Hernán Ruiz I disegnò al centro della cattedrale una cappella rettangolare con tre navate, la centrale più alta e ampia delle laterali. Lo spazio venne completato con una crociera decorata, delimitata da due navate trasversali. Nella navata centrale alzò degli archi leggermente a punta, coprendo con volte a crociera le navate laterali e articolando il prospetto con gruppi di tre archi dell’antica moschea, adattati alla nuova cattedrale. Tramite una sintesi del genere, l’architetto fece il possibile per unire l’anima del tempio cristiano a quella dell’antico edificio musulmano.


ESTERNO DELLA MOSCHEA-CATTEDRALE

La fotografia mostra il muro settentrionale della moscheacattedrale, con il campanile sullo sfondo. In primo piano sono visibili la porta del Tubo Grande e l’altare della Vergine delle Lanterne, costruito nel XVIII secolo. Il nome proviene dalle illuminazioni che rischiaravano l’altare, sopra il quale spicca un olio della Vergine Assunta.


I lavori della cattedrale si prolungarono per diversi decenni. Hernán Ruiz I incorporò una trabeazione plateresca sulle campate della crociera mentre il figlio, Hernán Ruiz il Giovane, disegnò il prospetto della testiera e i bracci della crociera, così come la volta della crociera della cappella maggiore, decorata con ornamenti auricolari e temi mariani. Dopo la morte di Hernán Ruiz II nel 1569, l’edificazione della crociera rimase ferma per ben trent’anni. Sarebbe stata ripresa alla fine del XVI secolo, ai tempi del vescovo Francisco Reinoso. Juan de Ochoa, che occupava allora l’incarico di capomastro, ricoprì l’area con una volta a botte abbassata, poi decorata da Francisco Gutiérrez Garrido con notevoli tecniche d’intaglio. Un ulteriore spazio dedicato al culto fu la cappella del Sacrario, collocata nell’angolo sud-est del complesso architettonico, con un portale di Hernán Ruiz III. Gli affreschi all’interno della cappella, realizzati nel 1583 dall’italiano Cesare Arbasia, illustrano con figure un testo dell’umanista locale Ambrosio de Morales sull’eucarestia e la glorificazione dei martiri cordovesi.

Le cappelle barocche

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LA CAPPELLA DEL SACRARIO

W. CEZARY / ALAMY / ACI

Un’altra trasformazione piuttosto visibile riguarda la torre del campanile. Va ricordato che, dopo la consacrazione dell’antica moschea in santuario cristiano, il minareto assunse il ruolo di campanile. Nel 1589 un terremoto danneggiò considerevolmente la struttura, e per questo se ne dovette costruire una nuova con alcuni resti del vecchio minareto. La torre venne progettata in base alle indicazioni di Hernán Ruiz III e sulla sommità presentava una scultura di san Raffaele, opera di Pedro de la Paz e di Bernabé Gómez del Río. Durante l’epoca rinascimentale e barocca l’edificio si arricchì di altre cappelle private, alcune delle quali molto sontuose. Tra il 1679 e il 1682 Melchor de Aguirre lavorò in marmo la cappella della Concezione, sul lato ovest del tempio, voluta da frate Alonso de Salizanes y Medina per la propria sepoltura. Nello stesso tempo, tra la fine del XVII e gli inizi del XVIII secolo, venne eretto nel muro maestro meridionale un ulteriore spazio

Realizzata alla fine del XVI secolo nell’angolo della moscheacattedrale, l’area è composta da tre navate ed è coperta da una volta a crociera. Attorno a una pittura centrale dell’Ultima Cena compaiono più rappresentazioni di santi cordovesi, secondo un progetto elaborato dall’umanista Ambrosio de Morales.



funerario: la sacrestia maggiore o cappella del cardinale Salazar, opera barocca di Francisco Hurtado Izquierdo e Teodosio Sánchez de Rueda. Risale alla seconda metà del XVIII secolo una nuova cappella in stile neoclassico, quella di santa Inés, ubicata nel fianco meridionale dell’edificio.

L’incanto d’Oriente La moschea-cattedrale suscitò la meraviglia di molti visitatori stranieri, poco avvezzi all’architettura araba. Alla fine del XVII secolo la francese madame d’Aulnoy ebbe l’opportunità di passeggiare nel bosco di colonne della moschea omayyade; nel resoconto del suo viaggio in Spagna scrive: «Non posso fare a meno di sottolineare che la cattedrale di Cordova è straordinariamente bella [...] Ha ventiquattro grandi portali, lavorati con sculture e decorazioni di bronzo [...] Risulta perfettamente ben proporzionata e sostenuta da 850 colonne, la maggior parte delle quali sono in giada, e le altre in marmo nero». Successivamente i viaggiatori del XVIII secolo e, soprattutto, quelli della prima metà del XIX videro nella moschea-cattedrale una manifestazione della cultura “orientale” che tanto li affascinava. Alcuni si lamentarono persino delle trasformazioni che aveva patito l’antico edificio musulmano. Fu il caso del francese Théophile Gautier, secondo il quale la crociera della cattedrale era come una massa incastonata al centro della moschea, che ne rompeva l’armonia architettonica. Malgrado ciò, Théophile Gautier concludeva: «Nonostante tutte le profanazioni, la moschea di Cordova è oggi uno degli edifici più straordinari al mondo».

MONACO IN PREGHIERA DAVANTI A UN ALTARE DELLA CAPPELLA REALE DELLA MOSCHEA-CATTEDRALE DI CORDOVA. INCISIONE DI CHARLES JOSEPH HULLMANDEL. 1836.

YOLANDA VICTORIA OLMEDO SÁNCHEZ UNIVERSITÀ DI CORDOVA

SAGGI

Geometrie in pietra. La moschea di Cordova Barbara Messina. Giannini, Napoli, 2004. Città e architettura tra islam e cristianesimo nell’Europa mediterranea Maria Antonietta Rovida. ETS, Pisa, 1998. La reconquista Alessandro Vanoli. Il M ulino, Bologna, 2009. Andalusia Franco Cardini. Il Mulino, Bologna, 2018.

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FOTO: BRIDGEMAN / ACI

Per saperne di più


DAVID ROBERTS A CORDOVA

Durante il soggiorno a Cordova nel 1833, il pittore britannico David Roberts scrisse: «La meraviglia di Cordova è la moschea, superata solo dalla Mecca. Vi compaiono almeno 632 colonne di marmo lavorato, alcune delle quali sono davvero di proporzioni squisite». Nell’immagine, interno della moschea con il mihrab sullo sfondo. 1849. Collezione privata.


L’ALCHIMISTA

Quest’olio del pittore polacco Jan Matejko mostra l’alchimista Michael Sendivogius (1569-1622) mentre compie una dimostrazione della sua arte della trasmutazione alchemica. 1867. Museo dell’Arte, Łódz’. ALAMY / ACI

GLI ALCHIMISTI DELL’IMPERATORE LA CORTE ALCHEMICA DI RODOLFO II 96 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC


Stabilitosi nel castello di Praga, l’imperatore austriaco Rodolfo II vi accolse numerosi studiosi che assicuravano di conoscere il segreto della trasformazione di metalli, quali il piombo o lo stagno, nel tanto ambito oro STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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N L’IMPERATORE RODOLFO II

Nominato imperatore nel 1576, a 24 anni, trascorse quasi tutto il suo regno rinchiuso nel castello di Praga. Sotto, busto in bronzo del sovrano. 1609. Collezione privata.

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egli ultimi anni del XVI secolo e nei primi del XVII circolavano parecchie storie riguardo a misteriosi alchimisti, figure che cominciavano a fare la loro comparsa in diversi luoghi d’Europa. Tutti garantivano di possedere il più grande segreto dell’alchimia: la capacità di realizzare la trasmutazione, ovvero di trasformare in oro metalli vili come il piombo, il mercurio o lo stagno tramite l’amuleto della pietra filosofale. Le varie leggende cercavano di convincere gli scettici della possibilità di una simile impresa. Lodavano inoltre la persona dell’alchimista che, grazie a fortunate trasmutazioni, migliorava prodigiosamente le proprie condizioni materiali e il proprio status sociale. Ovviamente nessuno riusciva nell’intento. Alcuni di coloro che non portarono a termine quanto promesso persero tutto quello che avevano e morirono in miseria. Altri finirono per essere torturati e impiccati dal loro protettore disilluso. Fu quest’ultimo il caso del ciarlatano Marco Bragadin. Figlio di una famiglia greco-cipriota, prese il nome dall’eroe veneziano Marcantonio Bragadin e attirò la fiducia dei senatori di Venezia presentandosi come l’unico alchimista in grado di produrre l’oro. Bragadin passeggiava per le calli della città in compagnia di politici suoi adulatori e riuscì a raggirare la potentissima repubblica di Venezia per diversi anni, finché l’inganno venne svelato. Allora, dopo varie peregrinazioni raggiunse la Baviera, dove

C R O N O LO G I A

SCIENZA E MAGIA A PRAGA 98 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

SHUTTERSTOCK

provò ad abbindolare Guglielmo V che, meno paziente, lo fece decapitare nel 1591. Oltre ai patrizi veneziani, furono molti i potenti che in quegli anni s’interessarono all’alchimia, come Federico V, elettore del Palatinato, Maurizio d’Assia-Kassel, il conte Ernst von di Holstein-Schaumburg, Co-

1571

1584

1593

Il futuro imperatore Rodolfo II lascia Madrid dopo avervi trascorso otto anni. Qui è testimone dell’interesse dello zio Filippo II per l’alchimia.

Per la prima e ultima volta Rodolfo II riceve in udienza il mago inglese John Dee, che non otterrà alcun favore da parte del monarca.

Edward Kelley, compagno d’avventure di John Dee, perde qualsiasi credito “alchemico” davanti all’imperatore e viene imprigionato.


simo de’ Medici, il conte palatino Riccardo di Simmern e altri ancora. Quest’autentica febbre per l’alchimia si diffuse soprattutto tra i prìncipi protestanti. Tutti questi e molti altri spalancavano le porte dei propri palazzi e mantenevano accesi i forni dei laboratori in attesa dell’arrivo di qualche alchimista. Face-

PONTE CARLO

Costruito nel XIV secolo, il ponte sulla Moldava dà accesso a Malá Strana, o Piccolo Quartiere, di Praga.

vano persino firmare dei contratti nei quali si ratificava che un eventuale fallimento avrebbe decretato la morte del malcapitato. E così, tra gli altri, perirono Anna Zieglerin per mano del duca Giulio di Brunswick-Lüneburg, nel 1574; Georg Honauer nel 1597 per decisione del duca Federico I di Württemberg, e il già citato Bragadin nel 1591.

L’imperatore alchimista

1594

1609

Il polacco Michael Sendivogius entra al servizio di Rodolfo II, per il quale lavora sia come alchimista sia come diplomatico.

Autore di Atalanta fugiens, Michael Maier è nominato conte palatino, senza protezioni imperiali. Rodolfo II d’Asburgo non lo riceverà mai.

Tuttavia, il principe dell’epoca passato alla storia per la sua ossessione nei confronti dell’alchimia è Rodolfo II d’Asburgo, e su di lui, detto appunto “l’imperatore alchimista”, è sorta una vera e propria leggenda. Senz’ombra di dubbio l’alchimia fu solo uno degli aspetti più interessanti e spettacolari STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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AKG / ALBUM

FILIPPO II. CAMMEO DEL 1557 ATTRIBUITO A JACOPO DA TREZZO. PALAZZO PITTI, FIRENZE.

SPL / AGE FOTOSTOCK

L’EDUCAZIONE SPAGNOLA DI RODOLFO ALLA FINE DELL’AUTUNNO 1563 Rodolfo, che allora aveva otto anni, giunse a Madrid assieme al fratello Ernesto per ultimare la sua formazione sotto la tutela dello zio Filippo II. Entrambi trascorsero in Spagna otto anni, nei quali si dedicarono agli studi umanistici, impararono la musica, la danza, la caccia e l’uso delle armi. Inoltre Rodolfo poté vedere i laboratori di distillazione di Aranjuez, in cui lavoravano esperti chiamati dalle Fiandre. Filippo II mostrò sempre un grande interesse nel finanziare gli esperimenti d’alchimia. In Spagna Rodolfo conobbe pure Juan de Herrera, strenuo sostenitore della dottrina di Raimondo Lullo, che credeva nel sapere universale, o pansofia.

della corte che Rodolfo stabilì a Praga, dove risiedette per la maggior parte del suo regno, sino alla morte, avvenuta nel 1612. Qui l’alchimia si sviluppò assieme a scienze erudite e pratiche magiche, e i vari studiosi convissero senza problemi per diversi anni. È sicuramente questo il fenomeno più intrigante. Com’è possibile che il più strenuo difensore della Controriforma nell’Europa centrale, l’indefesso sostenitore del cattolicesimo davanti alla minaccia protestante, permettesse che gli adepti della magia, dell’astrologia, dell’occultismo e dell’alchimia condividessero lo stesso tetto con grandi pittori come Arcimboldo, con abili incisori come Aegidius Sadeler, con astronomi del peso di Keplero e con i migliori matematici di allora


come Tyge Brahe? Che tipo di corte poteva mai essere la sua se attirò John Dee, il famoso mago alchimista cortigiano di Elisabetta I d’Inghilterra? Cosa l’animava, se l’imperatore fu invogliato ad acquistare il più enigmatico codice di tutti i tempi, il Manoscritto Voynich, non ancora decifrato?

Visite di maghi Rodolfo II s’interessava in prima persona all’alchimia e aveva un laboratorio nel castello di Praga. Si è perfino sostenuto che a corte avesse accolto circa duecento alchimisti. Tuttavia, tale leggenda pare esagerata. Non ci sono evidenze sul fatto che l’imperatore finanziasse la lunga lista di fedeli a Paracelso, gli adepti alchemici o trasmuta-

tori d’oro generalmente associati alla sua corte. Molti di loro ottennero al massimo qualche udienza. Fu questa anche la vicenda di John Dee. Preceduto da grande fama, il mago venne ricevuto dall’imperatore lunedì 3 settembre 1554. Ovviamente Dee gli chiese un supporto finanziario in cambio di promesse legate all’alchimia. Ma Rodolfo non ne rimase particolarmente impressionato. L’inglese avrebbe insistito innumerevoli volte per cercare di ottenere la protezione dell’imperatore, ma invano.

IL LABORATORIO DI UN ALCHIMISTA

L’olio del pittore fiammingo Mattheus van Helmont mostra come gli alchimisti erano al contempo sperimentatori ed eruditi che vivevano tra i libri. XVII secolo.

Non risulta che Rodolfo II finanziasse gli alchimisti che si dedicavano alla trasmutazione dell’oro STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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BRIDGEMAN / ACI

COPERTINA DI UNA TRADUZIONE INGLESE DI VARIE OPERE DI MICHAEL SENDIVOGIUS. LONDRA, 1650.

Lo stesso accadde a Edward Kelley, il medium celebre amico di Dee. La sua fama di negromante lo precedeva per via delle“gesta” in Polonia, dalla quale arrivò poi a Praga. La polvere rossa con cui operava le trasmutazioni lo rese tanto famoso da attrarre l’attenzione dell’imperatore. Il 28 marzo 1588 programmò una trasmutazione pubblica davanti a vari notabili, tra cui Ottavio Miseroni, orefice di Rodolfo II ed esperto di oro. Tuttavia, non accadde nulla e quindi, falsario come gli altri, Kelley venne incarcerato per due anni. Dopo quest’esperienza continuò a guadagnarsi del denaro con la suapolvere rossa finché venne di nuovo imprigionato in un castello vicino Praga, e lì si avvelenò e morì il primo novembre 1597. Si è scritto pure molto sulla relazione tra Rodolfo e il famoso medico e alchimista Michael Maier, autore di Atalanta fugiens, una composizione musicale accompagnata da incisioni piene di simbologie alchemiche dalla stupefacente bellezza. Malgrado potesse contare su diversi titoli, come quello di medico imperiale, consigliere, cavaliere e conte palatino, ottenuti il 19 settembre 1609, Maier non venne mai ricevuto dall’imperatore, e quindi andò a cercare miglior fortuna alla corte di altri principi protestanti del Sacro romano impero.

L’ammirato Sendivogius

SENDIVOGIUS E IL MERCANTE ALCHIMISTA DURANTE IL REGNO di Rodolfo, Louis Koralek, un ricco mercante di Praga, riunì nella sua casa una grande biblioteca di testi alchemici e aprì un laboratorio per il quale passarono diversi presunti alchimisti, che lui pagava e che componevano la sua cerchia di adepti alla Grande Opera. Tra di loro risultano i famosi Oswald Croll e Michael Sendivogius. A un certo punto Koralek cadde in una profonda depressione e divenne alcolista. Né le medicine a base di perle e coralli dello spagirista (medico alchimista seguace di Paracelso) Croll né le conoscenze di Sendivogius poterono rimediare al suo male, e Koralek si spense nel 1599. La famiglia trascinò Sendivogius a processo perché lo riteneva colpevole della sua morte.

Un caso molto diverso riguarda il polacco Michael Sendivogius. Assieme all’inglese Kelley e allo scozzese Alexander Seton fu uno dei tre alchimisti che il paracelsiano Andreas Libabius considerava in grado di generare la pietra filosofale. Oggi Sendivogius è ritenuto uno dei più celebri e rispettati alchimisti di tutti i tempi. Elaborava un olio rosso che, a quanto si diceva, trasmutava facilmente. La sua fama e la sua leggenda iniziarono mentre era ancora in vita. Sembra che fosse un nobile abbiente che svolgeva le funzioni di diplomatico del re di Polonia. Sendivogius riuscì a diventare l’alchimista favorito di Rodolfo II e perfino il segretario e amministratore del sovrano portava il suo olio in una bottiglietta dorata legata al


PAVEL REZAC / ALAMY / ACI

pantalone. Anche Maier lo riconobbe come il grande adepto della propria era e uno dei dodici più importanti alchimisti di sempre. I suoi scritti, e in particolare il Novum Lumen Chymicum, rappresentarono un inatteso successo editoriale, e vennero letti con fervore dagli studiosi d’alchimia e dai filosofi naturali per i successivi due secoli. Nessun altro membro della presunta“corte alchemica” di Rodolfo II venne formalmente ingaggiato dall’imperatore. Sendivogius invece sì, e per diciott’anni. Malgrado ciò, si sa ben poco dei suoi rapporti con il sovrano. Dell’epoca rimangono solo due lettere che mandò a Rodolfo II, e altre due che inviò a Hans Popp, segretario imperiale e uomo di fiducia di Rodolfo. Da una di queste, datata

10 febbraio 1597, si apprende che Sendivogius era irritato con il monarca perché attendeva da ben due mesi di rivelargli il segreto della trasformazione della pietra filosofale in cambio della straordinaria somma di 5.600 talleri. Nella missiva Sendivogius chiedeva che, nel caso in cui fosse morto d’improvviso e si fosse provato che il suo metodo era sicuro e valido, i suoi eredi venissero ricompensati con un vasto territorio a Libochovice, che comprendeva un magnifico castello e diciassette borghi sparsi lì attorno. Grazie alla recente scoperta di una seconda lettera, che porta la stessa data, si è potuto sapere che Sendivogius aveva già dato a Rodolfo II un“olio speciale”e che l’imperatore aveva insistito per imparare a elaborarlo. Oltre a ciò,

LA CITTÀ VECCHIA DI PRAGA

Rodolfo II restituì a Praga lo status di corte reale che aveva avuto con i re della Boemia nel XIV e XV secolo. Nell’immagine, la chiesa di Santa Maria di Týn e, sullo sfondo, quella di San Nicola.

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VICOLO DELL’ORO TRA LE MURA DEL CASTELLO DI PRAGA.

si è appreso che sia lui sia Edward Kelley, che si conoscevano, producevano un’emulsione metallica sotto forma di olio. Si può dunque supporre che, in maniera diretta o indiretta, tale olio giunse nelle mani di Rodolfo. Tuttavia, questi non avrebbe mai pagato l’alchimista, promettendogli invece delle «preziose pietre di minerale». S’ignora ancora oggi se queste pietre vennero mai consegnate. E così un indispettito Sendivogius decise di abbandonare la corte imperale per introdursi nel circolo alchemico del mercante Louis Koralek dove, a quanto pare, portò a termine alcune trasmutazioni con il suo olio rosso. Stavolta ebbe fortuna e “trasformò” in argento delle pepite di ferro. Soddisfatto, il mercante lo remunerò con 5.695 talleri il 16 ottobre 1597.

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Centro della cultura alchemica

IL VICOLO DEGLI ALCHIMISTI UNA DELLE PRINCIPALI attrazioni turistiche di Praga è il famoso vicolo degli alchimisti. Si dice che nelle case di questa stradina gli studiosi al servizio di Rodolfo II e del Sacro romano impero si affannassero alla ricerca dell’elisir di lunga vita, dell’oro potabile e della pietra filosofale. Si racconta pure che qui fervessero botteghe, forni, alambicchi, matracci e storte. Per questa ragione è una meta ormai comune per ogni visitatore della città. In realtà, malgrado l’attuale fama del vicolo, non ci sono prove che vi lavorassero degli alchimisti. Si trattava piuttosto delle residenze dei soldati della guardia imperiale, famosi per la divisa gialla.

Nel trattare gli alchimisti e i prodotti che gli volevano rifilare, Rodolfo II fu quindi meno credulone e più prudente di quanto si sia voluto credere. Per avere un quadro più completo, non bisogna dimenticare due ulteriori questioni. L’alchimia è un’attività sperimentale preceduta da una ricerca spirituale. Unisce in sé l’uso pratico dei metalli e la metafisica speculativa, e fu proprio quest’aspetto a essere presente e a rendere importante la corte di Praga. Nelle terre degli Asburgo, inoltre, erano moltissimi gli stimoli per lo sviluppo della chimica applicata: le miniere e le cave, soprattutto in Ungheria, famose in tutta Europa per gli strani fenomeni in esse osservati; l’attività di medici entusiasti delle tecniche iatrochimiche di Paracelso, o di signori della guerra come Albrecht von Wallenstein, che erano assetati d’oro. Secondo le leggi di solito contemplate dall’alchimia, qualsiasi materiale, indipendentemente dal regno di appartenenza, è composto da due elementi: lo zolfo e il mercurio. Tale idea rimase sempre al centro degli esperimenti sulla formazione dei metalli, soprattutto grazie a Martin Ruland il Giovane, anche lui transitato alla corte di Rodolfo II. Apprendista nell’arte della pietra filosofale, Ruland cercò di mettere ordine


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nei vari concetti alchemici in una sorta di dizionario che s’impose al pubblico sin dalla prima edizione: il Lexicon alchemiae. Parte non meno importante del processo alchemico è, infine, quella speculativa. Al di là del credo cattolico o protestante, negli anni di Rodolfo II andava molto di moda la possibilità di contemplare in una stessa ricerca personale l’alchimia, il misticismo e la teologia. Queste confluivano in una sorta di conoscenza universale, o pansofia. Ebbene, la corte di Rodolfo II si contraddistinse pure per questa continua indagine e speculazione. Per tale motivo la sua influenza si estese fin oltre la metà del XVII secolo nell’Europa intera. Non solo: quell’alchimia che veniva praticata a corte continuò

a interessare le potenze straniere e i singoli scienziati. Per esempio, la Royal Society inglese inviò dei “corrispondenti” a comprare e tradurre tutti i testi scritti a Praga. Non è infine un caso che Robert Boyle o Isaac Newton, figure fondamentali della cosiddetta Rivoluzione scientifica, s’interessassero molto all’alchimia. MIGUEL LÓPEZ PÉREZ STORICO, ESPERTO D’ALCHIMIA

Per saperne di più

LABORATORIO ALCHEMICO

Un insieme di strumenti alchemici venne scoperto in un vecchio edificio di Praga nel 2002. È oggi esposto nel Museo dell’alchimia e della magia della città.

SAGGI

Praga magica Angelo Maria Ripellino. Einaudi, Torino, 1994. Arcana sapienza Michela Pereira. Carocci, Roma, 2019. ROMANZI

L’angelo della finestra d’Occidente Gustav Meyrink. Adelphi, Milano, 2005.

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BRIDGEMAN / ACI

pubblicato per la prima volta nel 1617, si potrebbe dire che l’Atalanta fugiens sia il primo libro multimediale della storia. L’opera riunisce cinquanta “emblemi”, o incisioni ispirate all’antica mitologia greca, e ognuna di loro è accompagnata dalla partitura di una fuga musicale e dal commento dell’autore. Gli emblemi e le spiegazioni illustrano le diverse tappe della Grande Opera, ovvero della trasmutazione alchemica dei metalli in oro. Non si tratta, questo va detto, di un’esposizione lineare. Oltre a ciò, vengono presentati sia i principi generali sia le descrizioni di alcuni procedimenti, la cui comprensione è alla portata dei soli alchimisti “professionisti”.

atalanta fugiens. copertina dell’edizione del 1618. per vedere l’edizione digitale con commenti in inglese e la musica originale, si può visitare furnaceanfugue.org

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Distillazione alchemica. Incisione di un trattato di H. Brunschwig. 1512.

[1] LA TERRA, LA LUNA E IL SOLE

SPL / AGE FOTOSTOCK

SPL / AGE FOTOSTOCK

IL PRIMO LIBRO MULTIMEDIALE

La terra compare al centro del “mondo sublunare”. Attorno a essa, il sole e la luna sono i principali motori della Grande Opera. Gli alchimisti usavano i raggi lunari per fabbricare solventi capaci di “aprire” (dissolvere) l’oro.


ALAMY / ACI

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[4] LA DISTILLAZIONE

Prima di qualunque operazione, bisognava ripulire l’oro da qualsiasi altra impurità metallica. Nell’immagine, un contadino semina l’oro in diversi solchi, che equivalgono agli strati di differenti metalli sovrapposti nei recipienti alchemici.

Sulla scia del tema delle «due acque», quest’emblema mostra che uno dei liquidi è volatile (da qui le ali del drago), mentre l’altro è legato a terra, come la coda. Malgrado la natura opposta, entrambe le sostanze si uniscono tramite la distillazione.

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BROWN UNIVERSITY LIBRARY

[ 2 ] L A S E M I N A D E L L’ O R O

[3] LE DUE ACQUE

[ 5 ] I L M E TA L L O R E

Il solvente, o menstruum, usato per ottenere l’oro veniva prodotto combinando in proporzioni adeguate due elementi liquidi e poi distillandoli. Il risultato della distillazione «riunirà le virtù delle due fonti», che saranno «calda e fredda».

Alla fine della Grande Opera, bisogna solo tirar fuori l’oro (il re) dall’acqua, essiccarlo nel modo giusto e distenderlo sull’oro fuso. Il re reclama: «Con la vostra saggezza restituitemi al mio regno». E alla fine annuncia: «Ora non patirete più dolore o povertà».


IL POTERE DELLA SCRITTURA

In questo ritratto Voltaire è intento a leggere una gazzetta letteraria dell’epoca. Olio anonimo da un originale di Jacques Pajou. Musée Magnin, Digione. A destra, lo spirito di Rousseau e Voltaire. MICHEL URTADO / RMN-GRAND PALAIS

108 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC


MA E S T R O D I T O L L E R A N Z A

VOLTAIRE

BRIDGEMAN / ACI

Attraverso la sua vita e i suoi scritti Voltaire incarnò la lotta dell’Illuminismo contro gli abusi di potere e a favore di una società basata sul principio della tolleranza


L’ODIATA VERSAILLES

«L’etichetta della grandezza, / quando è fine a sé stessa, / lascia un vuoto spaventoso nel cuore», scriveva Voltaire per criticare la vita di corte. Nella foto, il Petit Trianon. 110 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC


S

L’irriverente

BERTRAND RIEGER / GTRES

Voltaire trascorse un anno intero rinchiuso nella Bastiglia per avere scritto alcuni versi considerati irrispettosi. Quando ottenne la libertà andò in esilio in Inghilterra. Qui scrisse le Lettere filosofiche (note anche come Lettere inglesi), in cui criticava con fermezza l’ottuso cartesianismo del governo, del clero e degli intellettuali francesi. Era un vero e proprio manifesto contro la sua patria e i suoi

conterranei, che lo costrinse a nascondersi a Cirey, nel castello della sua amante, la nobildonna Madame Du Châtelet. Approfittò del soggiorno per dedicarsi anima e corpo allo studio dell’opera di Newton. Negli anni in cui Luigi XV era all’apice della sua popolarità, in particolare dopo la vittoria francese nella battaglia di Fontenoy (1745), Voltaire rivolse al monarca un panegirico così ampolloso e lusinghiero che questi decise d’ignorarlo, probabilmente per diffidenza verso parole così adulatrici. Forse è per questo che qualche tempo dopo, nel racconto Zadig, Voltaire criticò aspramente la corte di Versailles, la sua corruzione e la debolezza dei potenti di fronte alle lodi, scagliandosi in generale contro la ricchezza, che rende gli esseri umani avidi e crudeli. Di fronte alla freddezza della corona francese, Voltaire fece un passo di cui si sarebbe pentito a lungo: accettò la proposta di Federico il Grande e si trasferì a Potsdam, nel cuore della Prussia. «Un pazzo in meno alla mia corte e uno in più a quella di Federico», chiosò sprezzante Luigi XV quando lo venne a sapere. Per il filosofo fu l’inizio di un

C R O N O LO G I A

1749

1761-1765

1778

LE LOTTE DI UN FILOSOFO

Parte per Berlino. Rimarrà alla corte di Federico II di Prussia fino al 1753.

Lancia varie campagne per denunciare i casi di Calas, La Barre e Servien.

Muore a Parigi, dov’era arrivato qualche mese prima per presentare un’opera teatrale.

IL RAPPORTO TESO CON LUIGI XV

Fino al 1749, quando si trasferì in Prussia, Voltaire cercò d’ingraziarsi il re, ma questi fu sempre diffidente nei suoi confronti. Ritratto di F. H. Drouais. Versailles.

FINE ART / ALBUM

François-Marie Arouet nacque a Parigi nel 1694. Fin da giovanissimo si distinse per le sue doti poetiche e l’abilità nel comporre versi e frasi ingegnose. Prese il soprannome di Voltaire (probabilmente un anagramma del cognome in scrittura capitale latina) e lo trasformò gradualmente in una specie di arma letteraria, al punto che divenne ben presto sinonimo d’irriverenza, combattività e spirito sovversivo. Eppure le sue idee circolavano anche negli ambienti galanti della corte francese. Per quanto si fosse sforzato di compiacere prima il reggente, il duca d’Orléans, e poi lo stesso Luigi XV, la sua naturale tendenza all’ironia, se non al sarcasmo, gli causò sempre problemi con i potenti.

GERARD BLOT / RMN-GRAND PALAIS

e il nome di Marcel Proust è legato alla rievocazione del passato, quello di Voltaire lo è al concetto di tolleranza. Forse è il grande merito dell’autore di Ferney: aver creato una connessione immediata, una sorta di meme istantaneo e indelebile tra la sua figura e gli ideali di amore e rispetto per il prossimo.

FEDERICO DI PRUSSIA E VOLTAIRE. MUSEO DELLE BELLE ARTI, TULA. STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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PALAZZO DI SANSSOUCI

Federico II custodiva nella biblioteca del palazzo di Potsdam molti libri francesi, tra cui quelli del suo ospite Voltaire. 112 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC


NONOSTANTE CASI agghiaccianti come quello della famiglia Calas, nel corso del XVIII secolo in Francia il ricorso alla tortura declinò notevolmente. Nel periodo 1750-1780, su un totale di seimila persone processate dal tribunale di Rennes, solo 11 furono sottoposte a tortura. Le campagne di Voltaire e di altri illuministi contribuirono a questa riduzione. TORTURA DI CALAS SULLA RUOTA. INCISIONE INGLESE DEL 1780.

Il mercante di Tolosa fu vittima dell’odio dei suoi concittadini verso i protestanti.

FIRE

JEAN CALAS

NZE

congruenze nella dichiarazione di Jean, che cercava di nascondere il suicidio del figlio per potergli dare una degna sepoltura, la giustizia decretò che il padre, la madre e uno dei fratelli dovevano essere giustiziati. Alla fine la sentenza fu applicata solo al genitore, che venne torturato sulla ruota, esposto per due ore e poi strangolato e bruciato sul rogo. Voltaire assistette disgustato al processo. Cominciò a raccogliere informazioni e promosse una colletta tra amici e conoscenti per aiutare la vedova. Scriveva Diderot all’amica Sophie Volland: «Voltaire si è battuto in difesa della povera famiglia. Oh, amica mia! Che meravigliosa dimostrazione d’intelligenza!

LA ,

Durante il soggiorno in Prussia il rapporto di Voltaire con Federico il Grande si deteriorò a tal punto che il filosofo iniziò a temere per la propria vita. Dopo essere riuscito a fuggire dalla corte tedesca si rifugiò nel Pays de Gex, un territorio francese situato al confine con la Svizzera. Quasi fosse il monarca di un piccolo regno, realizzò qui il suo sogno illuminista, promuovendo il progresso e il benessere del popolo di Ferney. Seppe conquistare il cuore di tutti, e la sua reputazione di garante della giustizia e della libertà crebbe così tanto che fu soprannominato Le roi Voltaire. In questa situazione il filosofo visse con orrore e indignazione il processo contro Jean Calas, un prospero mercante di stoffe di Tolosa, una città dov’era molto forte l’ingerenza del clero. L’uomo era protestante e aveva quattro figli e due figlie. La notte del 13 ottobre 1761 il figlio maggiore fu trovato impiccato nel negozio di tessuti della famiglia. Influenzato dall’atmosfera antiprotestante di Tolosa, il magistrato che istruì il caso concluse che si trattava di un omicidio e accusò i parenti di aver ucciso il ragazzo per impedirgli di convertirsi al cattolicesimo, come già aveva fatto uno degli altri figli. Evidenziando alcune in-

IL DECLINO DELLA TORTURA

SCA

SHUTTERSTOCK

Lo scandalo Calas

ALAMY / ACI

esilio che durò per quasi tutto il resto della sua vita. Voltaire potrebbe essere definito un apolide, ma in realtà ebbe sempre una sua patria nella lingua. In quel periodo infatti nel palazzo di Sanssouci, sede della corte del monarca prussiano, si parlava esclusivamente francese. Il giovane re componeva i suoi versi ispirandosi a Racine e Corneille, e Voltaire lo correggeva meticolosamente (ai suoi amici dichiarava di lavare i panni sporchi del sovrano). Ma ben presto si rese conto che se Luigi XV aveva una personalità vanitosa, le cose non andavano meglio con Federico il Grande. In quella corte dov’erano stati riuniti filosofi e matematici di una certa fama – come ad esempio i francesi Maupertuis, La Mettrie e il marchese di Argens – ci si contendeva costantemente la sua attenzione. Il sovrano prussiano rappresentava il dispotismo illuminato nella sua forma più pura.

STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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LA VERSAILLES TEDESCA

Vista del palazzo di Sansoucci, che si trova all’interno dell’omonimo parco nella cittadina di Potsdam, vicino Berlino. Era la residenza estiva di Federico II. SHUTTERSTOCK


VOLTAIRE A FERNEY

Appena sveglio, mentre indossa i pantaloni, il filosofo inizia a dettare qualche lettera o un pamphlet al suo segretario. Olio di Jean Huber. 1773. Voltaire Foundation, Oxford.

116 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC


Nel Trattato sulla tolleranza l’autore fa ricorso a tutta la potenza del suo arsenale retorico. Nel testo è possibile vedere in azione lo storico, il filosofo delle religioni, il poeta capace di far vibrare le corde più sentimentali e il panflettista provocatore. O il pensatore acuto e sarcastico che nel quinto capitolo scrive: «Vi fu un tempo in cui ci si credette obbligati a emanare decreti contro coloro che insegnavano una dottrina contraria alle categorie di Aristotele, all’orrore del vuoto […] In Europa abbiamo più di cento volumi di giurisprudenza sulla stregoneria e sul modo di distinguere gli stregoni falsi da quelli veri. Gli esorcismi contro le cavallette e gli altri insetti nocivi alle messi sono stati molto in uso, ed esistono tuttora in molti rituali; l’usanza è passata, si lasciano in pace Aristotele, gli stregoni e le stregonerie». È difficile leggere la prosa volteriana, così eloquente e al tempo stesso emotiva, senza percepire la minaccia incombente di uno stato cieco e crudele, intollerante e mostruoso. Voltaire si era erto a difensore di Calas

UNA BATTAGLIA EUROPEA IL LIBRO Dei delitti e delle pene (1764) del milanese Cesare

Beccaria fu accolto in Francia con entusiasmo. Voltaire ne riassunse le tesi nel suo Commentario al libro “Dei delitti e delle pene”, in cui dimostrava l’inutilità della pena di morte e la necessità di una riforma della giustizia che garantisse i diritti degli imputati. CESARE BECCARIA. RITRATTO. CASA BECCARIA, MILANO.

come avrebbe fatto in seguito con molti altri, per esempio di Servien – un protestante condannato a morte in contumacia nel 1764 per il presunto omicidio della figlia –, il cavaliere della Barre – decapitato nel 1766, all’età di diciannove anni, per aver bestemmiato in pubblico – e il marchese di Lally-Tollendal, accusato di tradimento per le sue azioni nella guerra contro la Gran Bretagna e giustiziato nello stesso anno. Ma il filosofo non si dedicò solo ai propri connazionali: tentò inutilmente di salvare la vita dell’ammiraglio britannico Byng, fucilato dalle autorità del suo APPELLO ALLA TOLLERANZA

Il famoso trattato di Voltaire apparve all’inizio del 1763 senza il nome dell’autore.

AURIMAGES

BRIDGEMAN / ACI

Il canto della tolleranza

FINE ART / ALBUM

[...] Se Cristo esiste davvero, vi assicuro che Voltaire sarà salvato!». All’inizio del 1763 il filosofo pubblicó il suo Trattato sulla tolleranza, che si apre proprio con la sventurata vicenda di Jean Calas. Per lui la tolleranza costituisce la spina dorsale di una società civile. Ecco perché in questo saggio, con il suo stile diretto e ingegnoso, propone al lettore di ripensare la concezione tradizionale secondo cui la tolleranza è causa di guerre civili e mette a rischio la stabilità di una nazione. Anzi, sostiene che è vero il contrario: l’intolleranza è l’origine delle peggiori disgrazie, come si era visto nel caso delle guerre di religione francesi del XVI secolo («nove guerre civili hanno inondato la Francia di massacri»). Secondo il filosofo è positivo che in una nazione convivano svariate sette, perché queste s’indeboliranno tra loro e i rispettivi seguaci diventeranno più docili. Per Voltaire la tolleranza è un diritto naturale e umano basato sul principio fondamentale del non fare all’altro ciò che non vorresti fosse fatto a te.

STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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VOLTAIRE NEL PANTHEON

La statua realizzata da JeanAntoine Houdon intorno al 1810 si trova davanti all’urna con le spoglie del filosofo nella cripta del Pantheon di Parigi.

118 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC


BRIDGEMAN / ACI

Paese per non aver saputo impedire la caduta di Minorca nelle mani dei francesi. Voltaire si rivolge al lettore come a un suo pari e lo chiama in causa con un tono molto attuale, al punto che secondo alcuni studiosi sarebbe il creatore dell’opinione pubblica moderna. Attraverso i suoi scritti spinge la gente a prendere posizione, riuscendo a mettere inaspettatamente alle corde un intero stato. Nella lista di perseguitati il filosofo include senza dubbio sé stesso, e quando si riferisce a una monarchia indifferente, a una nobiltà parassitaria, a una società egoista e frivola, abituata ad accettare con indifferenza le più crudeli sentenze giudiziarie, pensa alla sua vita di proscritto e a quando si è ritrovato a un passo dalla galera. E avverte: «Il diritto all’intolleranza è dunque assurdo e barbaro: è il diritto delle tigri; è anzi ben più orrido, perché le tigri non si fanno a pezzi che per mangiare, e noi ci siamo sterminati per dei paragrafi».

INCONTRI FILOSOFICI A FERNEY Voltaire riceveva costantemente visitatori con i quali intratteneva lunghe conversazioni. L’olio qui sopra rappresenta un incontro immaginario tra Voltaire e alcuni amici filosofi, tra cui Diderot (a destra, senza la parrucca), che in realtà a Ferney non ci andò mai, e D’Alembert (il secondo da sinistra).

BERTRAND GARDEL / GTRES

Il trionfo di Voltaire Il saggio si chiude con “Preghiera a Dio”, un brano di forte intensità poetica. Se i capitoli precedenti hanno uno stile diretto, quasi giornalistico, qui invece appare più lirico e impegnato: «Possano tutti gli uomini ricordarsi che sono fratelli! Ch’essi abbiano in orrore la tirannide esercitata sugli animi, così come esecrano il brigantaggio che strappa con la forza il frutto del lavoro e dell’industria pacifica! Se i flagelli della guerra sono inevitabili, non odiamoci però, non laceriamoci a vicenda quando regna la pace, e impieghiamo l’istante della nostra esistenza per benedire egualmente, in mille lingue diverse, dal Siam sino alla California, la tua bontà che questo istante ci ha dato». Il Trattato sulla tolleranza fu inserito nell’Indice dei libri proibiti della Chiesa cattolica il 3 febbraio 1766. Tuttavia questo non impedì che le sue idee si propagassero. Secondo lo storico Jean de Viguerie, a partire dal 1770 «tutti sono tolleranti, o almeno fingono di esserlo». Nel febbraio del 1778 Voltaire tornò a Parigi dopo quasi quarant’anni di esilio. Con la scusa di presentare la prima della sua tragedia, Irene, fece il passo, ancora pericoloso per lui,

LA CENA DEI FILOSOFI, DI JEAN HUBER. 1772-1773. 1772-1773 CIRCA FONDAZIONE . VOLTAIRE, OXFORD.

di rientrare nel suo Paese natale. Luigi XVI lo ignorò, e lui s’impose sulla scena francese con un’opera poco convincente ma che, in qualche modo, simboleggiava i tanti anni di esilio e di persecuzione. Il pubblico lo acclamò: «Viva il Sofocle di Francia!», «Viva il nostro Omero!». Fuori dal teatro una folla infervorata lo attendeva gridando: «Viva il difensore dei Calas!». Questo è il vero trionfo dei Lumi e la grande gloria di Voltaire: aver unito per sempre il suo nome alla lotta per la libertà. MARTÍ DOMÍNGUEZ UNIVERSITÀ DI VALENCIA AUTORE DI EL REGRESO DE VOLTAIRE

Per saperne di più

SAGGI

Voltaire. La sua vita, le sue opere, i suoi tempi, i suoi segreti Jean Orieux. Longanesi, Milano, 1971. TESTI

Il trattato sulla tolleranza Voltaire. Feltrinelli, Milano, 2015.

STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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VOLTAIRE, IDOLO DELLA RIVOLUZIONE DEL 1789

Nel corteo un gruppo di uomini in abiti romani esibiva come trofei delle edizioni delle opere di Voltaire.

oltaire fu considerato dai rivoluzionari francesi uno dei loro padri spirituali. Nel 1790 l’Assemblea Costituente dichiarò: «Questa gloriosa rivoluzione è il frutto delle sue opere». Ciò spiega perché nel 1791 si decise di trasferire le spoglie del filosofo nella chiesa di Sainte-Geneviève, che nello stesso anno era stata trasformata nel Pantheon dedicato ai grandi uomini meritevoli del riconoscimento della patria. Dopo il rivoluzionario Mirabeau e il filosofo Cartesio, Voltaire fu la terza personalità illustre a occupare un posto nel nuovo tempio nazionale. Il trasferimento delle spoglie avvenne l’11 luglio 1791 e fu accompagnato da un corteo traboccante di elementi simbolici che si protrasse dalle tre del pomeriggio alle dieci di sera e attirò centomila spettatori. TRASFERIMENTO DEI RESTI DI VOLTAIRE A PARIGI. ACQUERELLO DI LOUIS-JEAN-FRANÇOIS LAGRENÉE.

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BRIDGEMAN / ACI

Carro monumentale nello stile dell’antica Roma, dell’altezza di una casa a due piani e con ruote di bronzo. Quattro numi seduti manifestano il proprio dolore.

GRUPO DE PRETORIANOS. RELIEVE PROCEDENTE DEL FORO DE TRAJANO. LOUVRE, PARÍS.

Il sarcofago imperiale in porfido è sormontato da una lettiga su cui giace la statua di Voltaire con la tipica espressione serena e sorridente, mentre l’Eternità pone una corona di stelle sul suo capo. Accanto al filosofo si può vedere una lira spezzata.


GRANDI SCOPERTE

Atlantide in Africa: le teste in bronzo della città-stato di Ife Agli inizi del novecento l’etnologo tedesco Leo Frobenius scoprì preziosi manufatti yoruba della Nigeria medievale

N

ella prima metà del XX secolo vennero organizzate quattordici spedizioni scientifiche tedesche all’interno del continente africano. Le prime dodici erano guidate da un unico uomo: un etnologo e archeologo autodidatta di nome Leo Frobenius. Nato nel 1873 e morto nel 1938, Frobenius trascorse infanzia e giovinezza a divorare le cronache degli esploratori ottocenteschi, che risvegliarono in lui una potente fascinazione per il continente africano. Il suo impegno per costruirsi una strada nell’ambito dell’etnologia lo spinse a lavorare in diversi musei. Cercò pure di entrare nel mondo universitario, ma senza risultato. Tale duro colpo fece sì che

AFRICA

Ife

si allontanasse dall’accademia e optasse per seguire le orme degli esploratori. Decise quindi di recarsi in Africa, che fino ad allora aveva conosciuto solo attraverso le letture.

Ife, città sacra Nel 1904 portò a termine la prima spedizione nel Congo belga, dal quale tornò due anni dopo con una collezione di ottomila oggetti. Tuttavia la spedizione più importante, quella che segnò un prima e un dopo nella sua esistenza, fu

la quarta, avvenuta tra il 1910 e il 1912. Il viaggio lo vide attraversare gran parte degli attuali stati della Nigeria e del Camerun e lo condusse a una fondamentale scoperta nelle terre degli yoruba. Gli yoruba sono il gruppo etnico più popoloso del sud-ovest della Nigeria e sono famosi per la loro mitologia e la loro religione, alla base di culti come la santeria cubana. Una delle mete di Frobenius era la città di Ife, dove rimase tre settimane. Lo studioso ignorava di trovarsi in un’antica città-stato, uno dei più importanti centri politici, commerciali e culturali del Medioevo africano. L’etnologo tedesco aveva già sentito parlare di una scultura dedicata a Olokun, la divinità del mare nel pantheon yoruba. Quando

giunse a Ife s’informò a tal riguardo e venne portato in un bosco dedicato a tale dio. Lì il sacerdote che custodiva l’area disseppellì un elemento straordinario: non una statua, bensì una testa in bronzo, ovvero in una lega di rame e stagno.

La testa di Olokun L’etnologo rimase affascinato dalla bellezza di quell’oggetto, noto come testa di Olokun, e dalla maestria di chi l’aveva plasmato. Eppure il sacerdote sotterrò di nuovo la scultura, restituendola al suo riposo eterno. Da quel momento Frobenius non si diede più pace e cercò in tutti i modi di comprare il pezzo finché, almeno secondo la sua versione, riuscì a convincere il sacerdote. E così, con la testa di Olokun e molti altri manu-

CRONOLOGIA

1898

1904

1910-1912

1911-1928

DALLA PRUSSIA ALL’AFRICA

Leo Frobenius crea l’Archivio africano, un centro di studi (oggi Istituto Frobenius).

L’etnologo realizza la prima missione esplorativa in Africa, che lo porta nel Congo belga.

Durante la quarta spedizione africana, Frobenius scopre la testa in bronzo degli yoruba.

Pubblica una serie di studi sulle culture africane sotto il nome di Atlantide.

122 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC


TESTA DI OLOKUN.

Fotografia della quarta spedizione in Africa di Leo Frobenius. 1910.

SPIONAGGIO PRUSSIANO L A SET TIMA SPEDIZIONE

ALAMY / ACI

in Africa di Frobenius, realizzata nel 1915, durante la Prima guerra mondiale, fu in realtà una missione di spionaggio. L’obiettivo era quello di attraversare la Turchia, la Palestina e l’Eritrea fino a raggiungere l’Etiopia, e da lì sollevare la popolazione del Sudan contro l’impero britannico. Frobenius si vestì da arabo e prese il nome di Abdul Kerim Pasha, ma fu arrestato dagli italiani in Eritrea.

MEMBRI DELLA SPEDIZIONE DI FROBENIUS A SALATU (NIGERIA). 1911.

fatti – sculture, statuette in terracotta e bronzo ottenute con metodi non sempre troppo chiari –, Frobenius e la sua carovana di più di cento persone si prepararono a lasciare la città. Tuttavia, non appena si diffuse la notizia che l’esploratore portava via con sé la testa di Olokun, gli anziani yoruba gridarono allo scandalo, a tal punto che lo straniero venne condotto davanti al re, l’ooni, di Ife. Frobenius provò a

ALAMY / ACI

FROBENIUS INSTITUT

RESOCONTO DEL VIAGGIO DI FROBENIUS IN AFRICA NEL 1908-1910, DAL TITOLO IN VIAGGIO VERSO ATLANTIDE.

convincerlo che si sarebbe potuta produrre una copia della testa, ma le proteste non cessarono e giunsero sino alle alte sfere dell’amministrazione coloniale. Mentre Frobenius aveva ormai raggiunto la costa, le autorità britanniche l’intercettarono e lo costrinsero a restituire la testa di Olokun, nonché altri oggetti acquistati a Ife. Non solo: la guida e interprete principale, Bida, venne incarcerato diversi giorni e

frustato affinché incolpasse il tedesco di essere un ladro. Alla fine Frobenius tornò in patria senza la preziosa testa, di cui conservò fotografie e disegni. Malgrado ciò, poté comunque dare il suo apporto alla scienza regalando più di cinquemila pezzi della spedizione ai musei di Leipzig, Berlino e Amburgo. La testa che aveva tenuto tra le mani continuò a rimanere nei suoi pensieSTORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

123


GRANDI SCOPERTE

Le teste di Ife Le quattro sculture illustrano l’arte degli yoruba nel Medioevo africano. La 1 e la 2 provengono dalla collezione di Leo Frobenius. 1. Testa maschile in terracotta. Secoli XII-XV. 19 cm d’altezza. Proveniente da Olokun-Hain. Ethnologisches Museum, Stadtmuseum, Berlino. 2. Testa maschile in terracotta. Secoli XII-XV. 17 cm. Proveniente dalla cittàstato di Ife. Stadtmuseum, Berlino.

1 E 2: BPK / SCALA, FIRENZE; 3 E 4: BRIDGEMAN / ACI

3. Testa in terracotta. Secoli XII-XVI. National Commission for Museums and Monuments, Nigeria. 4. Testa in bronzo. Secoli XIV-XV. 35 cm. Proveniente da Ife. British Museum, Londra. Tradizionalmente identificata con la divinità marina Olokun, oggi si crede che fosse un re di Ife.

ri. A Ife aveva scoperto un’arte di una simile fattura, così realistica, stilizzata e insieme complessa che, a suo parere, non poteva essere opera degli yoruba. E infatti scrisse che si rattristava al pensiero che quei

1.

«degenerati» e «deboli di mente» fossero a guardia di un simile capolavoro. Frobenius non solo non accettava che quegli oggetti fossero una creazione yoruba, ma credeva che non fosse compito loro nemmeno conservarli. Simili riflessioni sfociarono in una teoria molto intricata. Se i locali non erano stati in grado di cre-

2.

are quel tipo d’arte, chi lo era stato? Frobenius trovò la risposta nell’antico mito greco d’Atlantide, una grande isola popolata da guerrieri che, secondo Platone, si trovava nell’oceano Atlantico. Da molto tempo gli studiosi si scontravano sull’esistenza dell’isola, e Frobenius s’inserì nella polemica assicurando di aver individuato la solu-

Frobenius non credeva che gli yoruba potessero plasmare grandi capolavori PIATTO DIVINATORIO DEGLI YORUBA. COLLECTION OF ERNST ANSPACH, NEW YORK. WERNER FORMAN / SCALA, FIRENZE

zione dell’enigma proprio grazie agli eleganti oggetti artistici rinvenuti a Ife e, in particolare, grazie alla testa di Olokun.

Atlantide? A tale scopo l’etnologo elaborò la seguente teoria: secoli addietro gli yoruba erano entrati in contatto con persone del Mediterraneo, le quali gli avevano trasmesso il loro sapere. Per Frobenius la testa era una rappresentazione di Poseidone. E si spinse ad affermare che Atlantide non era mai stata un’isola e che si trovava invece nel nord-ovest dell’Africa. Do-


3.

po la sua scomparsa, i resti di questa civiltà greca e classica erano sopravvissuti nei «degenerati» yoruba che lui aveva conosciuto a Ife. La “scoperta” di Frobenius s’impose sui giornali. Il titolo del quotidiano The New York Times del 29 gennaio 1911, per esempio, affermava: «Un tedesco individua Atlantide nell’Africa». In pubblicazioni successive a tale data, Frobenius provò a dimostrare che le statuine e le sculture in terracotta e bronzo erano l’eredità della leggendaria città. Tra il 1911 e il 1928 pubblicò infatti una serie di saggi et-

4.

nologici sull’Africa, raccolti sotto il titolo appunto di Atlantide.

Teoria razzista L’etnologo tedesco seguiva il pensiero della teoria diffusionista, secondo la quale i passi più importanti per l’umanità erano avvenuti in aree concrete e si erano poi trasmessi in altri luoghi. Ciononostante a tale idea se ne aggiunse presto un’altra, nota come teoria hamitica, di taglio razzista. Questa affermava che elementi fondamentali delle culture subsahariane, come la produzione artistica o le strutture sta-

tali complesse, avevano avuto origine da invasori o migranti provenienti dalla valle del Nilo e di razza caucasica. Insomma, bianchi che avevano conquistato i neri indigeni. Nella seconda metà del XX secolo le datazioni scientifiche e le indagini storiografiche e archeologiche hanno consentito di confutare tali teorie e di affermare invece che l’arte di Ife era opera di artigiani yoruba vissuti nel periodo compreso tra il XIII e il XV secolo. Oggi le migliaia di pezzi che Frobenius riunì nelle sue spedizioni, e quelli che portarono in

Occidente altri esploratori e colonialisti, si trovano ancora lontani da Ife, e popolano piuttosto i musei dell’Europa e degli Stati Uniti. La polemica che indirettamente risvegliò Frobenius è ancora attuale: non sarebbe giusto che il patrimonio culturale africano torni nel suo luogo d’origine? ERIC GARCÍA MORAL STORICO

Per saperne di più SAGGI

Storia della civiltà africana Leo Frobenius. Adelphi, Milano, 2013. RACCONTI

Il Decamerone nero Leo Frobenius. Aragno, Torino, 2013.

STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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LA FOTO DEL MESE

TRA LE DUE GUERRE LA PORTAEREI USS FRANKLIN D. ROOSEVELT passa sotto il ponte di Brooklyn

dopo aver lasciato i cantieri navali della Marina a New York, il 16 novembre 1945. La nave aveva un equipaggio di 4.104 uomini e poteva trasportare 137 aerei. Venne chiamata così in onore del presidente che era rimasto alla guida degli Stati Uniti durante la guerra e che era morto nell’aprile di quell’anno. Costruita per combattere contro il Giappone, la USS Franklin D. Roosevelt avrebbe conosciuto da vicino le trasformazioni della Guerra fredda e del progresso tecnologico: fu la prima negli Stati Uniti a ospitare aerei a reazione, nel 1946, e anche la prima a portare in mare armi nucleari, nel 1950. HARRY HARRIS / AP IMAGES / GTRES

126 HISTORIA NATIONAL GEOGRAPHIC


HISTORIA NATIONAL GEOGRAPHIC

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L I B R I A CURA DI MATTEO DALENA

BIOGRAFIE

Ipazia e Olympe, temerarie in lotta per tutte le altre

C Dacia Maraini, Chiara Valentini

IL CORAGGIO DELLE DONNE Il Mulino, 2020; 168 pp., 14 ¤

ara Dacia, abbiamo deciso insieme di scambiarci qualche lettera per continuare, scrivendo, il dialogo […] sulla condizione attuale delle donne e dei movimenti femminili in un mondo mai tanto contraddittorio». Chiara Valentini e Dacia Maraini, intellettuali con alle spalle anni di militanza, danno vita a un appassionante scambio epistolare a cominciare «dall’unica rivoluzione non fallita del Novecento», quella femminista. L’ostilità ver-

so le differenze, i razzismi e le nuove misoginie spingono le due autrici a riflettere sul percorso dell’affermazione dei diritti, dell’abolizione di leggi «vergognose come quella sul delitto d’onore, per cambiare il diritto di famiglia, perché le donne potessero decidere del proprio corpo». Maraini e Valentini individuano nella storia dell’umanità esempi di temerarie che hanno rovesciato lo stereotipo del “sesso debole”, a cominciare da Ipazia d’Alessandria, mate-

matica, astronoma e filosofa uccisa nel 415 d.C. da fanatici religiosi. Nella narrazione tradizionale – scrive Chiara Valentini – Ipazia «è stata additata come un’espressione diabolica dell’eresia e in quanto tale non si poteva non sopprimerla per sopperire al bisogno collettivo di ordine e giustizia». Secondo Maraini, anche l’avvento della modernità è segnato dall’omicidio di una «donna pensante». Olympe de Gouges fu ghigliottinata il 3 novembre 1793 nel pieno del Terrore, poco dopo aver pubblicato la Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina. Prima di morire Olympe provocatoriamente disse: «Se le donne possono salire sul patibolo avranno pure il diritto di salire alla tribuna».

STORIA DELLA CHIRURGIA

VOGLIE MATERNE, ORIGINI DI UNA CREDENZA da tempo immemore che un forte desiderio inappagato o un forte spavento di una donna in stato di gravidanza possa manifestarsi con un segno sulla pelle del nascituro. Uno dei primi a teorizzare che «le voglie delle madri a volte maculano i corpi de’ loro figlioli» fu l’umanista fiorentino Matteo Palmieri nel primo libro della Vita Civile (1431-1438). Dal canto suo, nel 1484 il filosofo Marsilio Ficino attribuiva all’immaginazione della donna incinta il potere d’imprimere sulla pelle delle creature i segni dei propri desideri, spesso del vino. Massimo Angelini dedica un saggio a una credenza che un tempo aveva dignità scientifica e nel corso del tempo ha ispirato e fatto discutere.

SI TRAMANDA

Contardo Vergani

CHIRURGHI IN PRIMA LINEA Gaspari, 2020; 220 pp., 29 ¤

delle mitragliatrici non dà tregua. Si rovesciano verso il mio riparo ondate d’uomini urlanti, laceri nelle vesti e nelle carIL LAVORO

Massimo Angelini

STRANE VOGLIE Pentàgora, 2020; 198 pp., 12 ¤

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ni, tinti di rosso come vendemmiatori». Sono parole del giovane medico Gino Frontali, uno dei tanti chirurghi coraggiosi che durante la Prima guerra mondiale operavano a poca distanza dalla linea del fuoco. Una volta medicati, i feriti più leggeri venivano rispediti in prima linea, mentre dinanzi a ferite gravi al torace e con fuoriuscita delle viscere si poteva soltanto «raccogliere tutto in un pacco di garza sterile e iniettare morfina». Contardo Vergani dedica un saggio a quegli “eroi dimenticati” che spesso perivano al fianco dei fanti. I diari dei sanitari in prima linea costituiscono la fonte principale per ricostruire la storia degli ospedali mobili.


ALTRE CIVILTÀ

L’inganno d’Oriente nell’immaginario europeo

T

este mozzate e pestilenze, dromedari e predoni, odalische dai corpi sinuosi o, al contrario, volti celati. Sono alcuni dei termini che hanno caratterizzato il processo di “scoperta” dell’Oriente da parte dei viaggiatori europei. Con le loro esperienze, in larga parte proiezione dei loro stessi desideri e fantasie, quest’ultimi hanno contribuito a formare nell’immaginario europeo una rappresentazione della realtà orientale non ade-

Attilio Brilli

IL GRANDE RACCONTO DEL FAVOLOSO ORIENTE Il Mulino, 2020; 480 pp., 48 ¤

rente al vero. Tra il XVII e il XVIII secolo sulla scena letteraria e artistica occidentale s’impose una serie di diari di viaggio che contribuì a diffondere raffigurazioni di un mondo esotico ed erotico, dispotico ed enigmatico. Dinnanzi alle immagini di un Oriente tradizionale e arretrato, l’Europa dichiarava la propria superiorità. Secondo lo storico Attilio Brilli, lo sconfinato Oriente ha sollecitato negli europei il fascino della conoscenza, ma anche brame di colonizza-

STORIA DELLA FILOSOFIA

Non furono i filosofi a “inventare” l’ateismo

O Alec Ryrie (traduzione di Claudia Durastanti)

IL SENSO DI NON CREDERE UTET, 2020; 304 pp., 23 ¤

ltre un secolo fa Friedrich Nietzsche dichiarò: «Dio è morto! […] E noi l’abbiamo ucciso». Questa frase provocatoria del filosofo tedesco può essere considerata il punto di massima affermazione dell’ateismo. A un certo punto della storia l’individuo credette che la propria vita potesse procedere anche in assenza di un referente divino. Tradizionalmente si pensa che a dare il via al processo di secolarizzazione siano sta-

ti scienziati, filosofi e intellettuali moderni come Spinoza, che nella seconda metà del seicento dimostrò che un mondo senza dio poteva essere filosoficamente coerente. Anche Hume, Kant e Rousseau misero a punto sistemi filosofici che «si lasciarono la cristianità alle spalle». Al contrario, lo storico del cristianesimo e pastore anglicano Alec Ryrie si oppone all’idea che “il vessillo dell’ateismo” agitato dall’avanguardia intellettuale sia

zione e possesso. Una delle voci fuori dal coro, che nell’età dei Lumi svelò “l’inganno etnocentrico” fu quella di Mary Wortley Montagu (1689-1762), moglie dell’ambasciatore britannico presso l’ambasciatore ottomano: «Costituisce per me motivo di piacere dedicarmi in questo luogo alla lettura di viaggi in Levante, così lontani dalla verità e così pieni di cose assurde, che finiscono per divertirmi». Ammessa nel bagno femminile del palazzo del sultano, Montagu si scagliò contro quegli stereotipi che vedevano le odalische come donne astute, lascive e capricciose, paragonandole invece per la loro grazia alle divinità dipinte da Guido Reni, Tiziano e Raffaello.

stato poi “adottato” dalla gente comune. Egli sostiene piuttosto che «c’è sempre stata una parte della popolazione occidentale che, quale che fosse la confessione vigente, si rifiutava di vivere come se Dio esistesse». Si trattava di “miscredenti” che, ancora lontani anni luce da una teorizzazione dell’ateismo, semplicemente non credevano. Alec Ryrie rintraccia nei documenti della Santa Inquisizione il processo a uno dei tanti miscredenti. E racconta che nel 1273 un mercante francese di nome Durand de Rouffiac de Olmeira fu processato perché rivolgendosi a un amico affermò: «Credi che ci sia altra anima nel corpo a parte il sangue?». STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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Prossimo numero GERUSALEMME: LA PRESA DELLA CITTÀ SANTA LA CONQUISTA di

BRIDGEMAN / ACI

Gerusalemme del 1099 rappresentò la conclusione della Prima crociata, incoraggiata quattro anni prima da papa Urbano II con l’obiettivo di sottrarre la Terra Santa ai musulmani. Al termine di una marcia pesantissima e irta di difficoltà, i crociati assediarono la città con le più moderne macchine da guerra dell’epoca. L’assalto finale si concluse con lo sterminio indiscriminato di quasi tutta la popolazione di Gerusalemme.

Il grande impero azteco

LA VERA STORIA DELLA PRINCIPESSA POCAHONTAS

I segreti delle piramidi Le ricerche archeologiche degli ultimi anni hanno rivelato alcuni interessanti aspetti dei metodi con cui furono costruite le piramidi egizie.

Assurbanipal e lo splendore assiro Il re dell’impero assiro non fu solo un capo militare e religioso, ma anche un mecenate delle arti e il centro attorno a cui gravitava la raffinata corte di Ninive.

Vercingetorige, il capo gallico ALBUM

LA CULTURA POPOLARE l’ha rappresentata come una giovane principessa generosa e romantica, costretta a lasciare il suo mondo per sposare un inglese. Ma al di là di questa mitizzazione, il suo matrimonio fu il risultato di un accordo diplomatico tra i nativi della zona e la popolazione arrivata dall’Europa. Mentre collaborava con i coloni rifornendoli di aiuti alimentari, Pocahontas partecipò anche al saccheggio di vari insediamenti britannici in Virginia.

Grazie al potente esercito dei mexica, Tenochtitlán divenne il grande centro di potere della Mesoamerica prima dell’arrivo degli spagnoli.

Dopo l’invasione della Gallia da parte di Cesare, Vercingetorige spronò i popoli gallici alla resistenza fino alla decisiva sconfitta subita ad Alesia.


A B B O N AT I A L L A R I V I S TA

S T O R I C A N AT I O N A L G E O G R A P H I C D I G I TA L

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