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Esoterismo e realtà a

Venezia

di Nevio Galeati*

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Venezia è, con tutta probabilità, una fra le città più “letterarie” del mondo, da Thomas Mann a Hugo Pratt, no all’universo della Marvel Comics. Raccontarla ancora comporta, quindi, il rischio dei confronti e può capitare di uscirne con le ossa rotte. Il romanzo La laguna dei sogni sbagliati di Massimiliano Scudeletti (Arkadia Editore) regge la prova mettendo da parte le foto da cartolina e mescolando due punti di vista: la considerazione di come il male possa prendere il corpo e la voce di persone che pensano di saper gestire la magia nera; la denuncia dello scempio ambientale in una zona delicata come quella laguna. Sintesi dei due piani, solo in apparenza distanti, una guerra di oggi, fotogra a di tutte le guerre contemporanee, nella quale non esistono quindi fronti “giusti”.

In un non meglio precisato periodo degli anni Novanta, Alessandro Onofri (già protagonista del primo romanzo di Scudeletti, Little China Girl edito da Betti nel 2018) frequenta la seconda media a Mestre, vive a Porto Marghera e passa da una famiglia af dataria all’altra, dopo che i tribunali hanno deciso che la vecchia zia non può occuparsi di lui. Nel microcosmo di quella scuola si riproducono i meccanismi che af iggono il mondo: razzismo, crudeltà, discriminazioni e violenza sulle donne. Ma non basta perché arriva il male e indossa i panni di un’insegnante di matematica, che ha molte parenti nei romanzi dell’orrore anglosassoni, comprese squame e unghie ai piedi, e una sensualità esibita. Un po’ come le mogli di Dracula, insomma. Alessandro si trova non solo a dover diventare grande nei rapporti con la prima cotta e con nuove amicizie, di fronte all’arroganza dei bulli; ma anche a lottare contro il maligno, la prof appunto, che lo tenta, illudendolo di potergli donare la capacità di parlare con i propri genitori, morti in un incidente d’auto. Il ragazzo può però contare sulla vecchia zia, nobile e occultista, che le indicherà la strada da seguire. Il tutto mentre il colosso chimico di Porto Marghera ogni giorno miete vittime con le proprie esalazioni velenose e inquinanti.

Massimiliano Scudeletti gestisce con sapienza tutte queste tracce, seguendo prima di tutto, con affetto, il travaglio di Alessandro, in questa sua prima lotta contro il lato oscuro della vita; come in quel suo futuro che è il nostro presente. E lo fa con una scrittura che scorre uida, nella quale le citazioni erudite (e i richiami alla loso a e al pensiero cinese, di cui è grande conoscitore) spuntano spontanee, senza esibizione. Un romanzo solo all’apparenza dedicato all’esoterismo, ma pieno di (dura) realtà. Che si legge d’un ato.

*direttore di Gialloluna Neronotte

Nel mondo dell’apicoltura Tiziano Rondinini, da Pievecesato di Faenza, è considerato un numero uno, come produttore e fondatore di una consorzio locale di apicoltori, ma anche come esperto del settore e promotore della professione, già presidente dell’Associazione Romagnola Apicoltori e impegnato nella stesura di normative sul campo. Insomma uno che la sa lunga di api e di miele con l’indole dello sperimentaore e dell’innovatore. Tiziano da dove nasce tutta questa sua competenza?

«Sono nato fra le dolcezze e il ronzare degli alveari, glio di contadini di un’azienda dove si praticava la frutticoltura, l’allevamento di maiali, e poi l’apicoltura dal lontano 1935, come attività agricola secondaria, ma già negli anni ‘70 era diventata un’iniziativa professionale, con oltre trecento alveari. Oggi abbiamo apiari in sei regioni d’Italia, in zone vocate a questa attività che sono state selezionate nel tempo. Come dico sempre “il miele non lo fanno le api ma un territorio”, un po’ come è per il vino e altri prodotti dell’eccellenza alimentare».

Ci spieghi meglio...

«L’ambiente in cui nasce e cresce un prodotto è fondamentale, er questo è importante trovare i giacimenti naturali in cui si possono nutrire al meglio le api. Per dire, il miele di arancio, rosmarino, eucalipto lo ricaviamo dagli alveari che abbiamo in Basilicata, vicino al parco del monte Pollino, mentre il miele di rododendro o altri di alta quota lo produciamo con gli apiari sul monte Baldo in Trentino. Solo per de nire gli estremi delle nostre aree di produzione».

Ma la vostra base resta comunque nel faentino?

«Si certo, sono 13 ettari di terreni ma resta pur sempre un’azienda agricola convenzionale. Poi come famiglia gestiamo anche un’azienda a Meldola, che da oltre 25 anni pratica coltivazioni biologice, anche con un vigneto e dove teniamo delle arnie per l’invernamento. Ma la nostra produzione di miele avviene poco in Romagna, come dicevo si tratta di zone sparse un po’ in giro per la penisola».

Ma sono aree in af tto da altri agricoltori o zone demaniali?

«Entrambi i casi. nei terreni demanaili facciamo damanda alla forestale che assegna delle aree speci che, sotto il controllo degli uf ci veterinari delle Ausl. Altri nostri apiari sono collocati in terreni privati di aziende che ho conosciuto nel tempo in terreni molto selvaggi. La nostra è un tipo di produzione biologica che ha bisogno di questi ambienti estremamente naturali. In Basilicata ad esempio si tratta di una tenuta che dispone di 700 ettari di incolto, dove pascolano le vacche podoliche. Li si trovano oriture di Cardo Mariano, Rosmarino, Asfodelo, Sulla... tutte piante spontanee a cui vanno ad attingere le nostre api. Voglio sottolineare che il prodotti derivati sono stati più volte premiati per la loro qualità al concorso annuale dell’Osservatorio Nazionale del Miele. E per questo come accennavo prima posso affermare che anche per il miele esiste il terroir, una unicità che lega il prodotto delle api al microclima e alle caratteristiche dei terreni di quella zona».

Quanto è in salute l’apicoltura in Romagna?

«Con il censimento apistico dettato da una legge regionale possimao dire che negli ultimi trent’anni, dai primi ‘90 ad oggi,

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