FREEPRESS Mensile di cultura e spettacoli aprile 2017 n.27 ROMAGNA&DINTORNI
R O M A G N A & D I N T O R N I
APRILE 2017
Una tavola tratta dal libro "Il giorno più bello”di Mabel Morri che verrà presentato il 21 aprile allo Smiting Festival di Rimini
IMMAGINI DI PRIMAVERA TRA FUMETTO E ILLUSTRATORI NELLE RASSEGNE CULTURALI DELLA ROMAGNA ALL’INTERNO musica • teatro • libri • arte • cinema • gusto • junior
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ISSN 2499-0205
R&DCULT aprile 2017
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SOMMARIO
L’ EDITORIALE
• MUSICA Intervista a Gianni Maroccolo....pag. 4 • TEATRO Il nuovo lavoro della Valdoca....pag. 12 • CINEMA Il festival Soundscreen..............pag. 19 • LIBRI La voce italiana di Haruf...........pag. 24 • ARTE Raphaël a Longiano..................pag. 25 • JUNIOR Gli eventi di Puerilia.................pag. 29 • GUSTO Il rito della tavola di Pasqua.....pag. 30
R&D Cult sbarca anche sul web R&D Cult va online. Dopo due anni e mezzo solo sulla carta in cui tanti lettori hanno imparato a conoscerci in tutta la Romagna, i nostri contenuti saranno finalmente anche disponibili in rete. L’occasione è il restyling del sito di informazione www.ravennaedintorni.it che ospiterà anche tre sezioni di area Romagna di ambito tematico. È qui che vicino agli spazi dedicato alle architetture e all’enogastronomia, troverete anche R&D Cult in versione web con tutti i nostri pezzi d’autore, le interviste, le rubriche, le recensioni che fino a oggi avete letto sulla carta. Un modo diverso per fruirli, un modo anche, ci auguriamo, per condividerli sui social e farli conoscere a sempre più persone. Non sarà un’agenda, non sarà un luogo dove trovare semplicemente cosa fare stasera o domani – come del resto non lo è questo giornale – ma un luogo dove ascoltare voci diverse, approfondire e, speriamo, scambiarci opinioni attraverso lo spazio dei commenti. Per noi si tratta di un altro passo avanti in una sfida non semplice di questi tempi: fare informazione culturale locale, cercare di tracciare una mappa mese per mese di ciò che accade, sfruttare l’occasione di debutti, concerti, spettacoli, libri, festival per parlare con intellettuali, artisti, persone dallo sguardo laterale sul mondo, e mettere tutto questo a disposizioni di chi voglia leggerci, gratis. Che sia carta o web, tutto questo è reso possibile dagli inserzionisti che credono nel valore di una comunicazione fatta su giornali, di carta oppure on line, dai contenuti liberi e realizzati da una redazione e da collaboratori che ci mettono professionalità e soprattutto passione. Dal 4 aprile questi contenuti avranno un mezzo in più per esprimersi, aspettiamo come sempre le vostre impressioni e i vostri suggerimenti. E vi aspettiamo anche di persona, lo stesso 4 aprile, a Ravenna, per la presentazione pubblica in cui parleremo di giornalismo tra il serio e il faceto con Carlo Bonini di Repubblica, Giulia Bosetti di PresaDiretta e gli autori di Lercio.it (tutti i dettagli nell’articolo di pagina 22).
DUE GIORNI DI MUSICA ELETTRONICA CON IL FESTIVAL LOOSE Il 29 e 30 aprile terza edizione del festival Loose, due giorni di performance di musica elettronica a Ravenna – espansione del progetto di Club Adriatico – che si svolgerà tra Almagià, Darsena Pop Up e Planetario. Tra i protagonisti Pearson Sound (progetto del britannico David Kennedy, nella foto di Sima Korenivski); Total Freedom (ossia l’americano Ashland Mines); Sam Kidel (da Bristol); Nkisi (la belga, ora di stanza a Londra, Melika Ngombe Kolongo); il danese Hvad e il tedesco Errorsmith.
R&D Cult nr. 27 - aprile 2017
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MUSICA L’INTERVISTA
di Luca Manservisi
Il toscano Gianni Maroccolo, 57 anni a maggio, è senza dubbio una delle figure di spicco della storia della musica rock (e in particolare new wave) italiana, bassista dallo stile molto personale (e produttore discografico), è stato membro fondatore dei Litfiba negli anni ottanta e dei Csi nei novanta, da cui è poi confluito nei Pgr, prima di diventare il bassista dei Marlene Kuntz, band che aveva tra l’altro contribuito fortemente a lanciare producendo dieci anni prima il loro disco d’esordio. Maroccolo sarà tra i protagonisti dello Smiting Festival di Rimini (vedi box) con un concerto al teatro Novelli il 23 aprile in cui presenta il suo Nulla è andato perso, album-progetto realizzato in collaborazione col compianto Claudio Rocchi (scomparso ormai quasi 4 anni fa) che è una sorta di viaggio nei suoi trent’anni di musica. Un disco che ha pochi termini di paragone, frutto di una collaborazione tra due personalità della scena rock italiana sulla carta molto diverse tra loro, con collaborazioni prestigiose e disparate, realizzato grazie al crowdfunding e pubblicato solo dopo la morte di uno dei due autori stessi. Da dove vuoi partire per descriverlo? Cosa ne pensi a distanza di qualche anno? «Il disco nasce da tante motivazioni. Quella di ripartire perché, sia chiaro, “nulla è andato perso”. È un luogo da cui ripartire e non un punto di arrivo. Lo sentivo anche come un atto dovuto nei confronti di Claudio Rocchi con il quale ho condiviso un pezzo di vita bellissimo e indimenticabile. E forse lo dovevo a me stesso… Erano anni che coltivavo l’idea di un concerto tutto mio che raccontasse in musica la mia vita, gli incontri speciali, le esperienze condivise e che soprattutto sancisse in modo netto la fine di un periodo. Questo passo era essenziale perché solo questa esperienza poteva in qualche modo liberarmi dal passato e mettermi di fronte alla realtà, al presente.
Dai Litfiba ai Csi, «nulla è andato perso» Gianni Maroccolo presenta a Rimini il suo progetto che è summa di un’intera carriera IL FESTIVAL ALLO SMITING ANCHE AMERIGO VERARDI, “JEEG ROBOT” E LA FUMETTISTA MABEL MORRI Il 23 aprile il concerto di Maroccolo al teatro Novelli sarà aperto, dalle 20, dal cantautore di culto Amerigo Verardi, che presenterà il suo ultimo, acclamato, album, “Hippie Dixit”. Si tratta di uno degli eventi realizzati nell’ambito dell’ottava edizione dello Smiting, festival della cultura non convenzionale, in programma dal 7 al 25 aprile in vari luoghi di Rimini e incentrato sul tema “Radiosity - libertà on air”. Il Premio Smiting sarà consegnato all’autore e agli sceneggiatori del film rivelazione Lo chiamavano Jeeg Robot durante la proiezione speciale del 7 aprile alla cineteca comunale. Tra gli altri eventi in programma la mostra all’ala nuova del museo della città (dall’8 al 25 aprile) con anche le tavole della fumettista Mabel Morri che il 21 aprile presenterà il suo ultimo graphic novel “Il Giorno più Bello”. Per quanto riguarda ancora la musica, da segnalare anche l’incontro con Andrea Chimenti e Antonio Aiazzi (storico membro dei Litfiba) e i concerti punk del 9 aprile al Grotta Rossa dei toscani Pin Up Noise e dei riminesi Alternative Station e al Sidro il 15 aprile dei Sonic Jesus (vedi altro articolo di questa pagina). Tutto il programma sul sito www.smitingfestival.it.
Un presente che non prevede più gruppi né riedizioni. Sono rimasto solo e devo imparare a “bastarmi”. Detto ciò, non prescindo dal piacere di condividere musica con persone che stimo e so di dovere molto ai miei compagni di viaggio Beppe Brotto, Antonio Aiazzi, Simone Filippi e Andrea Chimenti. Insieme siamo riusciti a creare un concertone magico e, credo, unico». Che ricordo hai di Claudio Rocchi? «Direi più un “non ricordo”. Per quanto preferisca di gran lunga comunicare con note e suoni, sul disco ho scritto qualcosa che spero sia in grado di rispondere alla tua domanda: “spesso mi guardo intorno, osservo visi,
«Erano anni
che coltivavo l’idea di un concerto tutto mio
»
ascolto voci, nella speranza di ritrovarti in un altro corpo. So bene che non sei destinato a ri-tornare. E questo mi rincuora. Ma ti sento ovunque. Ci sei”». Qual è la più grande differenza che noti tra fare musica oggi e negli anni dei tuoi esordi? Come si riesce a continuare a fare il musicista per diversi decenni ininterrottamente? «Credo che la vita terrena sia fatta di cicli nei quali nascono rapporti, esperienze, progetti che inevitabilmente dopo un po’ muoiono e ci permettono di rinascere e andare altrove. Vivo da sempre la musica girovagando da solo come un cane randagio e ogni tanto amo unirmi a un branco o crearne uno per camminare assieme e condividere un pezzo di vita sia umanamente che artisticamente. Siccome mi piace suonare sono costantemente alla ricerca
non tanto di nuovi progetti ma di nuovi incontri. Da quando ho iniziato a suonare nulla è cambiato… Curiosità e desiderio di sperimentare mi hanno tenuto in vita fino a oggi e mi hanno permesso di trasformare la mia più grande passione in un mestiere. Anche più in generale, sono cambiati i mezzi, le techiche di registrazione, ma la musica continua a essere prodotta e suonata ovunque». La varietà e vastità dei tuoi progetti nel corso della tua carriera dimostrano una certa libertà: ci sono però album, collaborazioni o produzioni di cui ti penti? «Niente di cui pentirmi o di cui vergognarmi. Ogni singolo incontro si è sempre trasformato in un’esperienza di vita oltre che artistica, che mi ha arricchito e che valeva la pena vivere. Al limite qualche piccolo rimpianto per
ROCK
Al Sidro i Diaframma e la chitarra dei Radio Birdman Al club di Savignano il fondatore della band australiana. E Valli presenta il suo “Atlas” Anche lo stesso Gianni Maroccolo che intervistiamo in questa pagina ha collaborato alla re-incisione l’anno scorso di “Siberia”, storico album della new wave italiana, a firma dei toscani Diaframma di Federico Fiumani, il cui tour toccherà anche la Romagna grazie al concerto dell’8 aprile al Sidro Club di Savignano sul Rubicone. Il locale propone un mese di aprile particolarmente serrato, a partire da sabato 1, quando il cantautore romagnolo Davide Bosi presenterà il proprio debutto discografico. A seguire, martedì 4, serata di reading con il cantautore riminese Giuseppe Righini che leggerà alcuni stralci di I persuasori occulti di Vance Packard. La musica dal vivo al Sidro torna, dopo i Diaframma, il 12 aprile con Nevica Noise, progetto elettronico del ravennate Gianluca Lo Presti per poi proseguire il 15 (in collaborazione con Smiting Festival, vedi box in alto) con i laziali Sonic Jesus, tra i nomi di punta della scena rock psichedelica europea (nel roster dell'etichetta londinese
Fuzz Records). Venerdì 21 aprile sarà la volta di un mini-festival in collaborazione con Ribéss Records che vedrà sul palco oltre allo stesso Righini – in versione Houdini – il progetto elettronico riminese TIR e soprattutto Pieralberto Valli, nome caldissimo dell’intera scena cantautorale italiana: il forlivese leader dei Santo Barbaro presenta il suo debutto solista “Atlas”, tra elettronica e misticismo. Il 26 aprile al club di Savignano arrivano due piccole leggende del rock mondiale: il chitarrista e cantante Deniz Tek, membro fondatore degli australiani Radio Birdman, attualmente in tour per presentare il suo nuovo album insieme alla sua band e a Keith Streng dei The Fleshtones alla seconda chitarra. Infine, il 29 sonorità tra metal e suoni sperimentali con tre nomi di culto della scena italiana Messa, Ottone Pesante e Solaris.
Deniz Tek
alcuni progetti che secondo me avrebbero meritato di più. Me ne vengono in mente due: IG, con Ivana Gatti, e Beautiful con HowieB e i Marlene Kuntz (disco registrato durante una residenza al Petrella di Longiano tra rock, noise ed elettronica, ndr)». Mi piacerebbe sottoporti a un piccolo gioco, chiedendoti di descrivere in poche parole il più grande pregio dei tuoi gruppi più noti al pubblico e di citare un album di ognuno a cui sei più legato... «Preferisco risponderti citando direttamente i dischi, credo che parlino da soli. Per i Litfiba 17 Re (secondo album sulla lunga distanza della band, uscito nel 1986 e considerato pietra miliare della new wave italiana, ndr), per i Cccp Epica, Etica, Etnica Pathos (quarto e ultimo album del gruppo, l’unico a cui ha lavorato Maroccolo, ndr) per i Csi Linea gotica (secondo disco del gruppo, anno 1996, ndr), per i Pgr il primo, prodotto da Hector Zazou e per i Marlene Kuntz Il Vile (secondo disco di cui è stato celebrato da poco il ventennale, ndr) e anche un pezzo in particolare, “Lieve”». Permettimi una domanda personale: che rapporto hai con Giovanni Lindo Ferretti e cosa ne pensi della sua "svolta" di vita? Credi sarà possibile una reunion dei Cccp/Csi anche con lui? «Un rapporto di affetto incondizionato e di riconoscenza oltre che di grande stima a livello artistico. Lo ritengo un amico vero per quanto spesso sia piuttosto complicato e complesso avere a che fare con lui e rispetto, spesso non condivindendole tutte, le sue scelte personali. Riguardo a possibili reunion non so che dire: mai nascosto che a me piacerebbe risuonare ancora le nostre vecchie canzoni insieme: se mai gli altri ne avranno desiderio sanno bene che io ci sarò. I Cccp invece non mi riguardano. Ho prodotto, e ne sono orgoglioso, il loro ultimo disco (Eeep, vedi sopra, ndr) ho composto con loro e suonato nel disco tutte le canzoni, ma non ho mai fatto parte davvero del gruppo». Hai progetti per il futuro? Appenderai il basso al chiodo come avevi dichiarato anni fa o era stata solo una boutade? «Non fu affatto una boutade. Avevo scelto di farlo e mentre stavo preparando un piccolo disco d’addio strumentale accaddero tante cose inattese e sorprendenti che mi fecero capire che stavo rinunciando all’unica cosa a cui tengo davvero nella vita: suonare. Il più bel progetto per il futuro è oggi quello di non avere progetti per il futuro. Si naviga a vista e si vive il presente che oggi è: “Nulla è andato perso” e “Botanica” insieme ai Deproducers (collettivo musicale formato oltre che da Maroccolo, dal tastierista Vittorio Cosma, dal cantautore Riccardo Sinigallia e dal chitarrista Max Casacci, ndr)».
MUSICA
R&DCULT aprile 2017
5 ROCK DAL MONDO
DENGUE DENGUE DENGUE Dal Perù, elettronica psichedelica con il duo mascherato Dengue Dengue Dengue, atteso il 20 aprile alla Rocca Malatestiana di Cesena, che il 15 ospita anche il folk-rock dei bolognesi Spaccailsilenzio
DON DILEGO Il cantautore americano country-rock Don Dilego (foto a destra) live il 7 aprile al Boca Barranca di Marina Romea che il 21 ospiterà anche il connazionale Bill Toms, chitarra degli Houserockers di Joe Grushecky
BOB NANNA Bob Nanna, cantante e chitarrista della band emo/posthardcore Braid, sarà in concerto il 28 aprile al Brews di Cesenatico
SUGAR CANDY MOUNTAIN Rock-folk psichedelico con i californiani Sugar Candy Mountain (foto), il 16 aprile al Moog di Ravenna e il 15 al Clandestino di Faenza che in aprile propone altri concerti di rock psichedelico: il 16 con i sudamericani The Black Needles e il 22 con i libanesi The Wanton Bishops
STRANDED HORSE Il “kora” folk dei francesi Stranded Horse (qui sotto) il 4 aprile al Moog di Ravenna
TIM MCMILLAN
KIDS INSANE
Il chitarrista australiano Tim McMillan (tra folk, jazz, blues e rock) sarà in concerto il 22 aprile all’ex macello di Gambettola che propone anche l’8 la cantautrice romana Mèsa e il 15 le emiliane Vale & The Varlet
FESTIVAL MILES OLIVER E ZEUS ALLE GIORNATE DELL’AUTOPRODUZIONE
Gli australiani Kids Insane (hardcore) tra i protagonisti del festival del 2 aprile al Cca Lughé di Lugo che il 14 aprile ospita anche la Fuzz Orchestra
PROSSIMA APERTURA
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Due giorni dedicati all'autoproduzione a tutto tondo con il DIY Fest. Spazio anche alla musica dal vivo. Sabato 8 aprile allo spazio Grotta Rossa di Rimini dalle 18.30 i live tra cui il francese Miles Oliver (tra lo-fi/folk) e i milanesi Labradors (powerpop). Domenica 9 ci si sposta al Magazzino Parallelo di Cesena con i concerti di Marcovaldo, Havah e degli Zeus (noiserock). Info e programma sulla pagina Facebook “DIY Fest”.
RITROVO MOD CON THE EMBROOKS IN CONCERTO A RIMINI Torna (dal 15 al 17 aprile) il Rimini Mod Weekender al Sunflower Beach Backpacker di Rimini. Un ritrovo per tutti gli appassionati di cultura mod: tra gli eventi il concerto della domenica con i britannici The Embrooks.
In collaborazione con
PIAZZA 3 MARTIRI, 37 CASTIGLIONE DI CERVIA (RA) TEL. 0544/952047 INFO@SPRUNELA.IT
UN DISCO AL MESE
Oltre il reggae, alla riscoperta di una popstar di Bruno Dorella *
Bob Marley - Natty Dread (1974) Dai, non fate quella faccia. Mica posso vivere solo di pane e metal. Capisco che Bob non sia la cosa più hype del momento, ma è un pezzo bello grosso di storia del nostro secolo, anche al di fuori della musica. E poi ogni cosa è ciclica, tornerà di moda anche lui. Se siete molto giovani, sappiate che senza Bob difficilmente oggi balleremmo al ritmo di dubstep, non ci rilasseremmo sui bassi del dub, e non salteremmo ai concerti ska. Bob Marley ha portato il reggae alle masse. Ci sono almeno tre periodi storici in cui nella vita di un giovane musicomane è stato necessario prendere posizione su Marley: pro o contro. Il primo è stato durante l’apice del suo successo, diciamo tra il 1973 e il 1980. Parliamo di successo planetario, stadi pieni in tutto il mondo. Sapete quale è stato il primo concerto della storia a San Siro? Bob Marley, 1980, centomila paganti. Apriva Pino Daniele, tra l’altro. Benpensanti scandalizzati dal messaggio politico forte e dall’esplicito antiproibizionismo, giovani alternativi in visibilio. Io ero appena nato e mi sono astenuto. Il secondo è stato dopo la sua morte, nel 1981. Lui era una star, ma nel frattempo era arrivato il punk a stravolgere tutto. E quindi ecco i punk rifiutare le sue “positive vibrations”. Ed è qui che entro io, diciamo intorno al 1988. Un giovane metallaro che parte decisamente prevenuto, visto che nella mia scuola tutti i ragazzi radical chic adorano Marley e a me piace fare il bastian contrario. Ma un giorno, senza pensarci troppo, entro nel mio negozio di fiducia e scelgo una cassetta a caso: Natty Dread. Ci metto poco a decidere. Mi piace. Il terzo momento arriva negli anni 90. Io giro i centri sociali di Milano alla ricerca di input, ma tutti propongono solo reggae e ska. Finisco per odiare il reggae, accecato da tanto monopolio, e ci vorranno anni prima di riscoprirne i gioielli. Ma Bob Marley non è mai stato in discussione, perché lui è molto oltre il reggae, è una popstar. La celebre foto di Mick Jagger seduto tra Bob e Peter Tosh (il suo storico chitarrista), con un sorriso ebete che la dice lunga sulle “sigarette” che aveva fumato, testimonia in pieno un’epoca del rock che non tornerà più, una scena in cui Marley era perfettamente inserito, perché, per quanto oggi sia difficile crederlo, era una scena di veri irregolari, gente che per vari motivi, se non fosse stata su un palco a cambiare la storia, sarebbe stata in prigione o in mezzo a una strada. E gli album di Bob Marley sono di una perfezione pop al livello di Beatles o Smiths o Moby o Portishead o chi preferite. In una discografia di questo livello, l’album preferito è spesso quello che ti ha connesso per la prima volta con l’artista. Quindi il mio è Natty Dread, nonostante il cambio di formazione rispetto agli album precedenti faccia perdere qualcosa (non ci sono infatti più i carismatici Peter Tosh alla chitarra e Bunny Livingston alle percussioni, ma si aggiunge il trio di coriste “The I-Trees” che fa un lavoro eccezionale). Ho provato spesso a trovare un pezzo sbagliato in questo disco. Niente da fare. L’apertura con “Lively Up Yourself”, un classico anche dal vivo, è efficace e coinvolgente, ma è solo l’inizio. Segue uno dei due pezzi che portano Marley nella storia del pop, quel “No Woman No Cry” che tutti abbiamo sentito almeno una volta (o migliaia di volte, dipende dal contesto in cui avete vissuto). (Per la cronaca, l’altro è “Buffalo Soldier”, e anche questo l’avete sentito tutti, per lo meno in forma di coro da stadio, come il Po Po Po dei White Stripes. Un giorno dovrei scrivere un pezzo sulle versioni originali dei cori da stadio, magari a 4 mani con un tifoso della curva del Ravenna. Comunque sono quasi tutte arie d’opera, e trovo la cosa molto divertente). Tornando all’album, segue il mio pezzo preferito in assoluto di Bob: “Them Belly Full”, la perfetta canzone di protesta, seguita a ruota dall’altro capolavoro “Rebel Music”. Si cambia lato della cassetta, ed ecco “So Jah Seh”, canzone rastafariana che inizia tristarella e si evolve in saltellante, al contrario di “Bend Down Low”, che inizia come una filastrocca stupida, dandoti l’impressione di aver finalmente trovato il pezzo brutto del disco, ed invece poi parte con un tiro pazzesco. In mezzo la bellissima title track, “Natty Dread”. La penultima canzone in un album di solito è la più debole: niente da fare, “Talkin’ Blues” è un altro classico. E chiude “Revolution”, che potrebbe essere un pezzo un po’ meno forte degli altri, se non fosse per quel finale struggente che ripete all’infinito “Lightning.. Thunder.. Brimstone.. and Fire”. Fulmine, Tuono, Zolfo e Fuoco. Brucia Babilonia.. * Batterista dei Bachi Da Pietra e degli OvO, chitarrista dei Ronin, membro della Byzanthium Experimental Orchestra, felicemente ex discografico, aspirante sommelier, orgoglioso ravennate d'adozione, in attesa della giornata di 48 ore per poter finire un paio di cose.
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MUSICA
6 BASTONATE DI CARTA
Quando Giorgia fece la storia a Sanremo di Francesco Farabegoli *
Tutta la cultura pop italiana anni ’90 che ho me la sono fatta sfruttando due fonti principali. La prima era la radio in FM che ascoltavo quando lavoravo nel negozio di alimentari di famiglia – Sabbia, Gamma, Studio Delta e Centrale, che mio fratello cambiava più o meno a rotazione. La seconda erano questi due ragazzi con cui mi ero ritrovato a uscire dopo che il gruppone di quasi-coetanei del mio paese si era disgregato. Uno dei due era il mio migliore amico, l’altro era una persona con gusti a lui molto affini; se volevo uscire con loro, dovevo adeguarmi. Erano ottime persone, sia chiaro, è solo che mi facevano schifo i dischi che ascoltavano e i film che guardavano – il che, considerato che la mia vita si esauriva nell’ascoltar dischi e guardare film mi fa chiedere spesso come abbia potuto uscire con questi due tizi per un paio d’anni. Dall’altra parte chiunque venga dalla provincia romagnola degli anni novanta sa benissimo di che cosa sto parlando: l’identikit del punk/skater/metallaro che si fa 20 serate in discoteca l’anno era assolutamente plausibile, anche se sporcato di un po’ di patina snob – lo facevamo con quel senso stile “questa non è musica ma questi sono i miei amici” che ci ha impedito di pomiciare per quattro anni grassi. Naturalmente il mio mindset dell’epoca non era positivissimo nei confronti di questa cosa: mi sembrava di stare perdendo un sacco di tempo e di soldi che avrei potuto investire per andarmi a vedere un concerto dei Black Colon, “e invece sono qui a bere il vodka lemon con sotto questa tunz del cazzo”. Non avevo idea che un giorno la cultura italiana avrebbe sbroccato e che praticamente tutta l’intellighenzia culturale sarebbe stata composta da sfigati come me, che ascoltavano Fugazi e Gala uno di fila all’altra. Per dire, Lorenzo Senni ha usato in modo creativo un’adolescenza passata a fare la spoletta tra il CSA Confino e il Peter Pan, e ora pubblica roba fichissima che tutti ascoltano e capiscono perché hanno lo stesso retroterra. Sto divagando. I miei due amici di cui sopra avevano questo vezzo intellettuale di chiamare tutte le persone famose con il loro nome di battesimo, o quello che supponevano essere il loro nome di battesimo, e questa cosa mi mandava via di testa. Ad esempio se parlavano di PAMELA dovevo capire che parlavano di Pamela Anderson e non di quella che tutti all’epoca in Italia chiamavano Pamela, cioè una tizia di “Non è la Rai”. Se parlavano di BOBBY era Bobby Brown (il marito violento di Whitney Houston, in quegli anni in classifica con la fondamentale hit “Two Can Play That Game”), poi si discuteva dei capelli di FEDERICA (Panicucci), del culo di CINDY (Crawford, il film era il fondamentale Facile Preda con William Baldwin) si andava a vedere i film di ANTONIO (Banderas ma a volte anche Albanese) e TINTO (ok, questa è facile). Mi sentivo un ritardato, davvero: riuscivo a inquadrare sì e no la metà delle persone di cui parlavano. Così quando uno dei due iniziò a manifestare la scimmia per GIORGIA non riuscivo a capire di chi cazzo stesse parlando. Ho fatto finta di capire di chi stesse parlando, mentre iniziavo a cercare febbrilmente notizie su una cantante che si chiamasse Giorgia qualcosa. Il fatto che si riferisse a Giorgia, intendo la cantante italiana che si faceva chiamare soltanto Giorgia, mi sembrava troppo facile. Dopo due o tre settimane di crisi nera dovuta all’assenza di fonti, i primi riferimenti alle canzoni mi fecero capire che stava parlando di quella Giorgia lì. Di lei aveva iniziato a raccogliere febbrilmente materiale, e vi giuro che all’epoca raccogliere materiale su un cantante – anche ultra-mainstream – non era affatto semplice. Esempio pratico: come si fa, nel 1995, ad avere il video di un suo concerto? Se vai al negozio di dischi, o meglio al Media World, puoi beccarti il disco di studio. Se va grassa c’è anche un live, ma solo per i cantanti che sono in giro da parecchio; il resto tocca inventarselo, ad esempio registrando su VHS le sporadiche apparizioni di Giorgia alla Tv generalista, ma non al Festivalbar perché lì suonano in playback. Magari certe cose che fanno nei contesti natalizi con 10 cantanti ospiti che cantano una o due canzoni a testa, se va molto bene una delle loro. Oppure se sei un cantante con un pubblico giovane
potrebbe esserci qualcosa su Videomusic, che nel mio paese purtroppo non prende per via delle colline attorno che disturbano il segnale. Così il mio amico s’era armato di pazienza, consultava TV Sorrisi e Canzoni e registrava ogni apparizione televisiva di Giorgia. È stato così che qualche mese dopo mi parlò esaltato del prossimo concerto della cantante, che era da vedere assolutamente perché Giorgia tutte le volte che fa una canzone “la cambia” rispetto alla volta prima. Gorgheggi, vocalizzi e roba così. Di Giorgia non so molto, tuttora. Non mi è mai saltato in mente di andare a cercare una sua biografia, non ho mai sentito davvero la necessità di comprare un suo disco – anche se qualcuno l’ho scaricato. La conobbi quando stravinse il Sanremo Giovani del ’94 con “E poi”. Mio babbo disse che era «figlia di un discografico molto famoso» (una cosa che ho creduto fosse vera fino a cinque minuti prima di scriverla) e che quindi la sua vittoria era stata pilotata. O
Giorgia in una foto al festival di Sanremo del 1995
IL CANTAUTORE
Mannarino a Cesena con il suo “Apriti cielo” Fa tappa il 21 aprile al Carisport di Cesena il tour di “Apriti cielo”, l’ultimo album – il quarto – del celebre cantautore romano Mannarino, uscito lo scorso 13 gennaio, debuttando al primo posto nella classifica Fimi dei dischi più venduti. Un album registrato insieme a circa 30 musicisti e ispirato anche da bossa nova e samba che sul palco verrà reso grazie a una band numerosa e variegata: daranno il loro contributo oltre trenta tipi di strumenti musicali, provenienti da tutto il mondo, tra cui il ronroco, flauti indiani, sitar, shalumeau.
LA FESTA DAI TALENT SHOW ALL’EX POOH: PASQUA LIVE A BELLARIA IGEA MARINA
IL CONCERTO LA CANTANTE PRESENTA IL SUO ULTIMO DISCO (DI PLATINO) IL 15 A RIMINI Fa tappa il 15 aprile al 105 Stadium di Rimini il tour di Giorgia. La cantante sta girando i palazzetti italiani per presentare “Oronero”, suo decimo album di inediti uscito lo scorso ottobre e certificato lo scorso febbraio disco di platino.
forse era la vittoria ai big di Sanremo nell’anno successivo, non ricordo. La sua carriera è stata accompagnata dalla diceria secondo cui una cantante così dotata, se avesse avuto pezzi migliori, avrebbe fatto la storia della musica italiana. Io non so cosa pensare di questo: mi sembra un’idiozia, o comunque preferisco il suo greatest hits a quello di quasi tutti i suoi contemporanei italiani. E comunque per me c’è stato un momento in cui la storia della musica italiana l’ha fatta. È successo al Sanremo del 2001: l’edizione agghiacciante condotta da Raffaella Carrà con Megan Gale e Ceccherini che sembrava sotto metanfetamine; Giorgia si presentò con “Di sole e d’azzurro” e portò a casa quella che, parere personale, è la performance più intensa e stupefacente dall’82 in poi sul palco dell’Ariston. Non riuscì manco a vincere, arrivò dietro ad Elisa. Pazienza. Mensilmente attacco Youtube e mi guardo il video. Ho smesso di uscire con quei due ragazzi prima di riuscire ad andare a vedere il concerto di Giorgia, comunque. Ai tempi mi sarebbe sembrato troppo, oggi mi dispiace un po’ averla persa. Magari riesco a fare un salto a Rimini. * fondatore e autore del blog Bastonate
Una due giorni di eventi a Bellaria Igea Marina sabato 15 e domenica 16 aprile in piazza Matteotti. Dalle 21.30 i live dedicati alla musica italiana: sabato l’appuntamento è con il vincitore del talent “Amici” Sergio Sylvestre, Alessio Barnabei dei Dear Jack, Roshelle (nella foto, in un servizio pubblicato da Rolling Stone) dell’ultima edizione di X Factor e la cantante Alexia; domenica invece l’appuntamento è con il trio di Dodi Battaglia dei Pooh (ospite anche Katia Ricciarelli).
MUSICA
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7 LA ROMAGNA IN TOUR
I Soviet Soviet
Dal rock dell’Almagià al 1° maggio di Forlì E i concerti di Moro, Farnedi, Amycanbe... I canadesi Belvedere: saranno il 25 aprile Sono in tour diverse band romagnole che stanall’Almagià di Ravenna con gli Actionmen no promuovendo i loro album, alcuni dei quali davvero di caratura nazionale e pure internazionale. A partire da quello, di cui si è parlato il mese scorso anche su queste pagine, dei forlivesi Moro & The Silent Revolution (folk-rock), che saranno in concerto il 5 aprile al Diagonal di Forlì e il 26 al Magazzino Parallelo di Cesena. Sono impegnati a promuovere il loro “Celestino” anche i Visioni di Cody, alternative rock band da San Piero in Bagno: il 9 aprile suoneranno al Borgo Est di Santarcangelo, il 21 al Kinotto di Ravenna, il 29 al Cinetico Bike Bar di Montaletto di Cervia e il 30 all’ex deposito Atr di Forlì dalle 18, con gli stessi Moro & The Silent Revolution in occasione del “Primo maggio d’amore”, che in serata prevede il concerto folk dei Musicanti di San Crispino. Questi ultimi saranno poi il pomeriggio del 2 alla biblioteca di Conselice, quello del 16 aprile al bagno Polka di Marina Romea e il 22, in serata, alla festa di primavera di Pieve Corleto (Faenza). Tornando al Cinetico di Montaletto da segnalare anche il cantautore cesenate Enrico Farnedi che omaggia Dalla (1 aprile), il desert rock dei cervesi Them Bulls (14 aprile), il reggae rivisitato dei longianesi Afreak (16 aprile) e il rock-blues dei cesenati Lu Silver & String Band (28 aprile). E ancora, al Kinotto in aprile l’appuntamento (oltre che con i toscani Super Trutux e Piaceri Proletari, con i piemontesi Uli e gli spagnoli Bolboreta, rispettivamente l’1, il 2, il 9 e il 16 aprile, dalle 20) è con una delle tappe regionali delle selezioni del festival Arezzo Wave con le esibizioni dal vivo di sabato 8 di Dulcamara e In Between, progetto quest’ultimo del ravennate Luca Maria Baldini in tour in aprile anche all’estero, in Europa. E, come curiosità, segnaliamo anche il tour addirittura in Russia dei ravennati Sunset Radio con il loro punk-rock melodico di ispirazione californiana. Arrivano sempre da Ravenna i Liquid Desire, band che si muove tra elettronica e musica psichedelica di Gabriele Bombardini e Matteo Scaioli che si rimette in tour per due tappe anche in zona in aprile: il 6 al Clandestino di Faenza e il giorno dopo al Mama’s di Ravenna. E a Ravenna è in programma un vero e proprio festival (Around the rock) dedicato alle band locali, dal 6 all’8 aprile all’Almagià, all’insegna del rock più o meno duro (e anche derive metal) con Arcana 13, San Leo, Postvorta, Aporia, Quarto Piano, Elyne, Next Time Mr fox, Yolao e come ospite d’eccezione (extra Romagna) i Bologna Violenta. All’Almagià è atteso – ma per il 25 aprile – anche il ritorno nella loro città degli Actionmen, band hardcore con fan anche oltre i confini nazionali, che per l’occasione apriranno per i canadesi Belvedere. Fa tappa in Romagna solo l’8 aprile al Teatro Verdi di Cesena il tour dei riminesi Rock’n Roll Kamikazes, così come quello del concittadino Urali, ossia Ivan Tonelli (ex Cosmetic), il 16 aprile al Brews di Cesenatico. Sempre a Cesenatico, ma il 7 aprile allo Sloppy Joe's, tornano i cervesi Amycanbe, dopo la brutta disavventura dell’ultimo tour (con il furto della strumentazione) e la buona notizia invece di una loro canzone nella colonna sonora della serie tv messicana Ingobernable, su Netflix. Il duo cesenate Io e la Tigre (punk-rock melodico), infine, concluderanno il loro “tour delle benedizioni pasquali” l’8 aprile al Mazapegul di Civitella di Romagna.
LA ROMAGNA IN CUFFIA
L’America dei Sunday Morning di Luca Manservisi
LA CURIOSITÀ
Arrestati negli Usa, i Soviet Soviet tornano all’Hana-Bi A inizio marzo sono finiti loro malgrado sulle pagine di cronaca dei giornali nazionali per essere stati prima interrogati per ore poi, essendo sprovvisti del visto lavorativo, arrestati e infine espulsi come immigrati clandestini dagli Stati Uniti, dove erano appena atterrati (all’aeroporto di Seattle). Si tratta dei marchigiani Soviet Soviet (tra post-punk e new wave) che ora, tornati alla normalità, saranno in concerto per l’inaugurazione della stagione sulla spiaggia del bagno Hana-Bi di Marina di Ravenna. L’appuntamento è per il 24 aprile, dalle 20, come sempre a ingresso gratuito.
IL CIRCOLO MIRÒ IN CONCERTO AI PASSATELLI Giovedì 13 aprile, sul palco dell’osteria Passatelli del Mariani, a Ravenna, Andrea Mirò in concerto. Polistrumentista, attrice, autrice, cantante e direttore d’orchestra con sette album all’attivo, ha diretto diverse volte l’orchestra del Festival di Sanremo partecipandovi quattro volte come concorrente e duettando anche con il compagno Enrico Ruggeri.
Si parte catapultati nel cuore degli Stati Uniti, con una “Carry me home” che raccoglie la migliore tradizione del folk-rock, della West Coast e anche della cosiddetta Americana, sottogenere la cui influenza caratterizza un po’ tutto il nuovo disco dei Sunday Morning. Non per niente suoneranno infatti in questi giorni in apertura del mini-tour italiano del folksinger americano Micah P. Hinson (il 31 marzo al Bronson di Ravenna e poi tutti i giorni fino al 6 aprile tra nord e sud della Penisola), con cui condividono certamente almeno quella dose di malinconia che caratterizza molti dei brani anche di questo “Let it burn”, secondo disco dei cesenati dopo il ritorno (quasi dieci anni dopo) del 2015 di “Istant Lovers”, pubblicato alla fine dell’anno scorso da Bronson Recordings. Lo riascoltiamo ora in occasione del nuovo tour ed è un po’ come non avere mai smesso, grazie a un suono dalla presa melodica immediata e – guardando l’altra faccia della medaglia – un immancabile in questi casi effetto “già sentito”. D’altronde i riferimenti sono chiari: dai Big Star a (soprattutto) Neil Young, dai Beatles ai (soprattutto) i Byrds, dai Galaxie 500 fino ai contemporanei Okkervil River. Con alcune sorprese come una “I See The Sun (But It Doesn't Shine For Me)” che ricorda la svagatezza del migliore Sondre Lerche o il battito reggae della trascinante “Plans”. Quasi tutto (“Stories from a small town” si riduce per esempio a un mero esercizio di stile pure un po’ fastidioso) funziona, il disco, pur nella sua prevedibilità, è bello, solido e riuscito, grazie soprattutto a suoni e arrangiamenti curati e a una voce – quella di Andrea Cola – in grado di toccare vari registri. Un altro tassello da aggiungere all’ormai corposa lista di album romagnoli in grado di gareggiare senza sfigurare con quelli di oltreoceano e oltremanica.
R&DCULT aprile 2017
MUSICA
8 ROCK CLUB
CONSIGLI D’AUTORE
COLD CAVE, WOODS, ZU, JULIE’S HAIRCUT E GNOD AL BRONSON
Una 131 Supermirafiori bianca e quelle playlist della nostra infanzia
La storica rock band emiliana Julie's Haircut (nella foto) presenta il nuovo album il 28 aprile al Bronson di Ravenna, in apertura del concerto degli inglesi Gnod (rock psichedelico). Ma il mese del club si apre già sabato 1 con la darkwave dagli Stati Uniti del progetto di culto Cold Cave per poi proseguire il 2 con gli americani Woods (psych-folk); il 5 con due nomi forti della scena underground italiana, Zu e In Zaire e il 16 con gli emiliani Gazebo Penguins (emo-core).
di Marco “Borguez” Borghesi *
Ricordo di aver iniziato a compilare liste di musica assai precocemente dannandomi nel difficile equilibrio di play-rec-pause sopra un antelucano radioregistratore grigio. Un tempo preadolescenziale in cui si cercava di carpire al volo brani dalle radio fm locali, i successi da classifica da allineare uno di seguito all'altro su qualche cassetta deflorata e sovraincisa svariate volte. Quelle cassette masticate a oltranza erano trofei d'infanzia di un bambino che, ancora ignaro, obbediva a un istinto irrefrenabile che lo appiccicava alla musica. L'arrivo di un vero e proprio impianto hi-fi Marantz (che quarant'anni dopo è ancora qui a dispensare suoni) semplificò a dismisura l'esercizio: anche perché la gloriosa Filodiffusione aveva programmi dettagliatamente schedulati dalle pagine finali del Radiocorriere TV e farsi trovare al posto giusto al momento giusto era un gioco da ragazzi. E con lo stereo sono arrivati i vinili e da quel momento non ci si poteva più sbagliare: il play-rec-pause assunse abilità professionali! Realizzare playlist è stata l'attività ludica più soddisfacente della mia adolescenza e, mentre ho dovuto smettere con quest'ultima (con l'adolescenza intendo), non si è ancora arrestato il desiderio di mettere in fila musica per i più disparati motivi: per vanagloria, per far ballare, per dormire, per tentare l’incantesimo dell’innamoramento, per compiacersi e persino per rattristarsi. E così la musica non se ne è più andata dalla mia vita e una decennale attività di blogger potrebbe partorire infinite liste di musica che con immancabile tempestività rinnegherei un’istante dopo, perché sono illusoriamente convinto che le musiche della mia vita siano quelle che debbo ancora ascoltare. Ma quando mi è stato chiesto di scrivere qualche riga a proposito di una possibile playlist la mia memoria è tornata ad un’entità totemica che si annida nei miei ricordi e alla quale mi convinco di dover far risalire questa mia insanabile passione: una 131 Supermirafiori bianca. Metà degli anni '70, molto prima del radioregistratore e assai prima dell'impianto hi-fi casalingo: i dettagli temporali sono vaghi, per il tempo passato e per la mia età acerba di allora (6, 7 o forse 8 anni) oltreché per l’impossibilità di poter chiedere certezze all'unica persona che avrebbe potuto mettere ordine a tutto questo: mio padre. Sua, naturalmente, l'automobile, come sua la passione musicale che lo spinse ad installare nel bel mezzo del cruscotto un'autoradio mangiacassette di ultimissima generazione: due pomelli, qualche tasto, il sintonizzatore manuale e naturalmente l'antro delle meraviglie che inghiottiva plastica e restituiva musica! Io dentro l’abitacolo di quella 131 Supermirafiori vagheggiavo e immaginavo, ma soprattutto ne approfittavo quando non viaggiava. Nel cortile, nel garage o nelle lunghe soste prendevo il posto del pilota e puntavo diritto verso lo scrigno meraviglioso di un portacassette di plastica nera che si apriva come un'ostrica a mostrare una fila ordinata di perle in forma di musicassette: attorno a quella compilazione di dischi benevolmente imposti dal gusto di mio padre si dibatte la mia memoria, il mio imprinting sensoriale e probabilmente molto di quanto sono oggi (musicalmente parlando). La valigetta ne conteneva forse una dozzina, il mio ricordo poco meno: i successi di Gianni Morandi nell’edizione RCA dei LineaTre e quelli di Domenico Modugno (medesima edizione), la Pastorale di Beethoven, i successi di Secondo Casadei e della sua Orchestra, Billie Holiday in una qualche best of e i due volumi (rosso e blu) dei Beatles! Morandi era cappellone, Modugno aveva baffi da canaglia, la Pastorale ritraeva un qualche quadro rasserenante, Secondo Casadei era schierato con l'orchestra in posa esotica sul lungomare, Billie Holiday aveva concio e orchidea su sfondo virato viola e i Beatles si affacciavano dalla celebre tromba delle scale. Non credo ci sia bisogno di raccontare quelle musiche: sono oramai patrimonio dell'Unesco! Tutt'al più potrei stilare una piccola playlist nella playlist: “Occhi di Ragazza” era il viaggio con il naso appiccicato al finestrino, “La Donna Riccia” mi incantava e (probabilmente) mi avvertiva, ma io restavo imbambolato a comprendere quel siciliano dolce e amaro, “Un bès in bicicleta” me la aveva insegnata mio nonno e la richiedevo immancabilmente, “When You're Smiling” si srotolava a perdifiato e mi diceva già tutto quello che c'era da sapere (ma io non capivo l'inglese) e poi “Yellow Submarine” che mi circuiva nei suoi mesmerici rumori di fondo! Credo che ciascuno di noi abbia una propria playlist legata all’infanzia: una manciata di musiche che si sono ficcate in fondo al cuore quando meno ce lo aspettavamo e che riascoltate oggi non possono che suscitare il sorriso, la nostalgia, il ricordo e tutta la fascinazione del tempo che è passato. Ma in quelle musiche (in quelle mie cassette) mi ostino a cercare l'imprinting del mio gusto adulto, la traiettoria che ha intrapreso la mia caccia a tutti i suoni che non ho mai più smesso di cercare e le dinamiche segrete che hanno plasmato il ritratto dell'ascoltatore da cucciolo! Per cui oggi che le playlist sono ovunque, oggi che addirittura si può pagare un servizio (!?!) per farci fare le playlist da altri (la cosa dovrebbe dare da pensare, no?), oggi che un'operazione di calcolo numerica stabilisce quale sarà il prossimo brano che dovremmo assolutamente ascoltare, io mi figuro un'elaborazione sensibile e pregressa che risalga a rovescio la nostra biografia aurale fino a giungere a quella manciata di musiche appiccicate alla nostra infanzia, un algoritmo salmone che ritorni laddove fummo presi per incantamento e ci spieghi perché ascoltiamo ciò che ascoltiamo e come siamo divenuti gli ascoltatori di oggi: o anche solo perché, quarant'anni dopo, sono ancora qui a fischiettare “Occhi di Ragazza”! * Ravennate classe 1968, gestisce da oltre 10 anni un blog musicale (www.borguez.com) che è necessario sostentamento all'attività di speaker radiofonico (la radio uabab va in onda settimanalmente su Radio Sonora). Dj saltuario e co-autore assieme a Gianni Gozzoli di Zen.Zero (zenpuntozero.wordpress.com), una trasmissione telefonica di brevi storie leggere (e leggiadre). In breve: appassionato di musica oltreché portalettere a tempo perso.
I Beatles
ZEN CIRCUS, DEROZER E TUTTA LA FOLLIA DEI POP X AL VIDIA Tra cantautorato elettronico, musica commerciale, non-sense e demenziale, i Pop X (foto qui sopra a destra) sono il caso dell’anno, in Italia, e continuano a registrare sold out. Saranno sabato 8 aprile al Vidia di Cesena, club che ospiterà anche il punk rock della storica band veneta Derozer e uno dei gruppi di punta della scena alternativa italiana, gli Zen Circus (domenica 16). Il cartellone di aprile si aprirà l’1 con i tosco-siciliani La Rappresentante di Lista
SICK TAMBURO E TODO MODO AL BRADIPOP Rock alternativo italiano al Bradipop di Rimini: i Sick Tamburo (nella foto qui a destra) presentano il nuovo album il 29 aprile; l’8 concerto dei Todo Modo (di Giorgio Prette, Paolo Saporiti e Xabier Iriondo) e il 15 il latin rock degli Espana Circo Este
I FINLEY E GLI ATTILA AL ROCK PLANET
SIENNA SKIES AL WAVE
Idoli dei più giovani, i Finley con il loro pop-punk melodico saranno il 15 aprile al Rock Planet di Pinarella di Cervia che questo mese ospita anche due eventi di caratura internazionale: il 22 aprile unica data italiana degli americani Attila, tra rap e metalcore, il 24 aprile il supergruppo americano The Kyle Gass Band, dell’omonimo compagno di Jack Black nei Tenacious D.
Gli australiani Sienna Skies (nella foto) saranno con il loro posthardcore l’8 aprile al Wave di Misano, dove sabato 1 l’appuntamento è invece con il punk degli inglesi i Dirt Radicals
MUSICA
R&DCULT aprile 2017
9
RAP
Il ritorno di Under e la rinascita di Moder Parla il rapper e direttore artistico del festival ravennate: «Pronto a rimettermi in gioco» di Filippo Papetti
Lanfranco Vicari, meglio conosciuto come Moder, è uno dei personaggi cardine della scena hip hop romagnola degli ultimi dieci anni. Rapper, organizzatore di eventi, co-gestore del Cisim di Lido Adriano e molto altro, ha alle spalle una lunga attività sui palchi di tutta Italia: prima con Il Lato Oscuro della Costa, poi da solista. Da qualche mese è uscito il suo primo album ufficiale, 8 Dicembre, suo giorno di nascita nonché data del tragico incidente in cui ha perso la vita suo padre, quando lui aveva appena 11 anni. Un album che ha riscontrato un ottimo successo di pubblico e critica e l'ha riportato sulla scena dopo qualche anno di silenzio discografico. Lo abbiamo incontrato in occasione della quarta edizione dell'Under Festival, rassegna di hip hop underground di cui è direttore artistico, e che porterà in città – vedi box per i dettagli – una folta schiera di artisti (e non solo) provenienti da ogni parte d'Italia. Siamo giunti ormai alla quarta edizione dell'Under Festival, cosa dobbiamo aspettarci quest'anno? «Più o meno la formula è rimasta quella degli scorsi anni: ossia una serie di showcase molto veloci intervallati tra loro, con più persone sul palco al scambiarsi il microfono, per dare un po' l'idea della jam vecchia maniera, stile anni Novanta. Il primo Under lo avevamo ideato io e Brain, quest'anno invece è stato Kenzie ad aiutarmi nella direzione artistica. Abbiamo chiamato molti artisti a partecipare, più o meno conosciuti. Nella serata finale poi ci sarà il live di Promoe dei Looptroop Rockers, storico gruppo rap svedese. Quest'anno inoltre abbiamo voluto organizzare anche una
sorta di tavola rotonda con tutti i media che si occupano di hip hop in Italia, per dare ulteriore spessore al tutto. Chicca finale: la presentazione del documentario “Diggin' in New York” diretto dal Danno dei Colle der Fomento, che subito dopo farà anche un dj-set esclusivo». Tu sarai sul palco a presentare 8 Dicembre, sei soddisfatto di com'è stato recepito il disco in questi mesi? «Sì, è andata molto bene. E non me l'aspettavo. Ero convinto di aver fatto un buon disco ma essendo un lavoro molto personale sinceramente non sapevo cosa sarebbe saltato fuori in termini di ricezione. Invece è piaciuto, a pubblico e critica. Mi ha permesso di suonare moltissimo dal vivo – sono addirittura finito a fare un live a Londra – e ancora oggi, a mesi di distanza, ci sono tante persone che mi scrivono per dirmi quali sono i loro pezzi preferiti o per farmi i complimenti. Inoltre per me è stato un album importante anche a livello di evoluzione perché è stato realizzato con una metodologia di lavoro che di sicuro impiegherò in futuro». Cioè? «A stretto contatto con Duna del Duna Studio. Io negli anni ho sempre preferito più la dimensione live rispetto alla fase di registrazione; e invece registrando 8 Dicembre mi sono molto concentrato sul
A sinistra Moder; in alto Promoe
lavoro in studio, me lo sono proprio goduto. A dire il vero “ci” siamo concentrati, perché Duna mi ha dato una grandissima mano e per questo ho deciso di mettere il suo nome in copertina come featuring. Nella pratica siamo partiti da alcuni beat forniti da diversi beatmaker e li abbiamo “aperti”. Abbiamo poi chiamato vari musicisti a suonarci sopra e siamo stati mesi a lavorare all'arrangiamento dei pezzi. Per me è stato davvero un piacere collaborare con persone della zona che conosco da tanti anni e con cui c'è un rapporto di stima. E anche a livello visuale – con la grafica di Nicola Varesco e le fotografie di Alessandra Dragoni – ho cercato questo tipo di collaborazione». Quanto ha influenzato 8 dicembre
IL PROGRAMMA SUL PALCO ANCHE LO SVEDESE PROMOE Dal 13 al 15 aprile quarta edizione di Under, festival hip hop di Ravenna che parte al palazzo dei congressi alle 18.30 con una tavola rotonda sullo stato di salute del rap; a seguire il documentario Diggin in New York di e con Simone “Danno” Eleuteri, storica voce del Colle der fomento che sarà presente in sala e, dopo la proiezione, darà vita a un dj set con incursioni beatbox di Alien Dee. La seconda serata, venerdì 14 aprile al Bronson, vedrà tra gli altri sul palco il veterano della scena rap italiana, Ice One, che in questo caso accompagna Don Diegoh; due nomi lodati dalla critica come Willie Peyote e Murubutu e due artisti di culto come Wild Ciraz e Dj FastCut. La terza e ultima serata, sabato 15 aprile sempre al Bronson, vede alternarsi al microfono uno specialista del freestyle come Ares, l’MC e videomaker romano della Do Your Thang, Pacman XII, due pesi massimi dell’attuale scena milanese come Warez e Axos, gli Star Trick (il progetto di Johnny Roy e Kenzie), lo stesso Moder e uno dei punti di riferimento del rap undergroud d’autore, Claver Gold. Ospite speciale della serata è lo svedese Promoe, membro fondatore dei Looptroop Rockers, uno tra i pochi gruppi europei ad avere legami con la scena statunitense.
la tua partecipazione allo spettacolo del Teatro delle Albe sui morti sul lavoro, “Il Volo – La ballata dei pichettini”? «Il periodo in cui scrivevo i brani del disco è lo stesso in cui stavamo preparando lo spettacolo e quindi l’influenza è sicuramente presente. Ho dovuto limare alcuni miei tic da rapper. “Il Volo” è una sorta di conferenza-spettacolo dove tutta l'introspezione è deputata alla musica e al mio rap. Tratta del disastro della Mecnavi, una vera e propria tragedia, e non è stato facile per me pesare le parole. È stata un'esperienza che mi ha arricchito molto sul piano artistico e ovviamente anche a livello personale, ad esempio una volta a fine spettacolo è venuto a salutarci in lacrime uno dei pom-
pieri impiegati nelle operazioni di salvataggio. È stato molto commovente». Hai intenzione di portare avanti il tuo rap anche a teatro? «Non lo so, se mi chiamano sarò molto contento di partecipare. Da poco è uscito anche il disco dello spettacolo e son curioso di sapere come andrà. Adesso come adesso sono concentrato sul fare musica: mi sento come se avessi ri-iniziato. Con 8 Dicembre credo di aver elaborato il lutto dello scioglimento de Il Lato Oscuro della Costa, che io ho vissuto piuttosto male, perché sono stati anni molto intensi e ci avevo messo tutto me stesso. Ma ora ho proprio la consapevolezza che il lavoro fatto non è andato perduto, e sono pronto a mettermi di nuovo in gioco».
ROSSINI Stabat Mater Prezzi
YOUNG MUSICIANS EUROPEAN ORCHESTRA Strumentisti della Tehran Symphony Orchestra
Navata centrale numerata primo settore prezzo intero euro 30, ridotto (fino a 25 anni e sopra i 65 anni) euro 20 Navata centrale numerata secondo settore prezzo intero euro 18, ridotto euro 10 Navata laterale non numerata prezzo unico euro 8 Diritti di prevendita 10%
CORO DEL TEATRO COMUNALE DI BOLOGNA Maestro del coro Andrea Faidutti Soprano Maria Francesca Mazzara - Mezzosoprano Cristina Melis Tenore Marco Ciaponi - Basso Francisco Crespo
Direttore PAOLO OLMI
Per informazioni erconcerti@yahoo.it
R&DCULT aprile 2017
MUSICA
10 JAZZ & AVANGUARDIA
OTOMO YOSHIHIDE E ROB MAZUREK ALL’AREA SISMICA Due grandi protagonisti della scena tra jazz e avanguardia mondiale all’Area Sismica di Ravaldino in Monte di Forlì: domenica 23 aprile alle 18 l’appuntamento è con il giapponese Otomo Yoshihide e il suo progetto Far East Network (con affermati musicisti dall’estremo oriente nell’ambito della musica elettroacustica) e domenica 30 aprile alle 18 concerto solo di Rob Mazurek – tra le figure chiave della musica contemporanea americana, protagonista della scena musicale di Chicago e con, tra gli altri, Sao Paulo Underground ed Exploding Star Orchestra. Da segnalare anche il concerto all’Area Sismica della jazz band Ou del 15 aprile dalle 22.
JAZZ & WORLD
WORLD & POP
Roy Paci, Carmen Souza, Rava e Cafiso a Crossroads
Noa al Bonci per i 170 anni del teatro L’artista israeliana presenta con la band a Cesena il suo ultimo album
Prosegue in tutta la regione il festival itinerante di jazz e dintorni “Crossroads”, organizzato da Jazz Network. In aprile in Romagna si parte giovedì 13 al teatro comunale di Gambettola (ore 21) con il quartetto (voce-chitarra-basso-batteria) della cantante franco-africana Mina Agossi. Autrice di canzoni che versano una buona dose di vetriolo sul jazz downtown newyorkese, la Agossi non si sottrae alla prova delle più note jazz songs, alle quali sa applicare i più inaspettati travestimenti: i groove più attuali si affiancano a pose cabarettistiche, mentre una sana vena di humour rende possibile il matrimonio tra underground e canzoni di Cole Porter. Martedì 18 aprile (ore 21.15) si passa a Villa Torlonia (San Mauro Pascoli) con l’ultimo progetto di Enrico Rava, il Rava New Quartet. Il grande trombettista, a quasi ottant’anni, sarà accompagnato da tre giovani musicisti in grande ascesa: il chitarrista Francesco Diodati (classe 1983), dal suono pittorico, carico di effetti elettronici eppure ben radicato nel linguaggio della tradizione afroamericana; il contrabbassista Gabriele Evangelista (1988) e il batterista Enrico Morello (1988), che già spazia sulla scena internazionale e nel cui drumming si rispecchia una curiosità capace d’abbracciare stili musicali, nonché epoche jazzistiche, diversi. Domenica 23 aprile primo dei due appuntamenti del mese (sempre alle 21) al teatro comunale di Russi con il sestetto del sassofonista siciliano Francesco Cafiso (unico musicista italiano invitato a suonare in occasione dell’insediamendo presidenziale di Barack Obama) che presenterà il suo ultimo progetto “La Banda”, ispirato appunto alla tradizione bandistica e al crocevia culturale del Mediterraneo. L’altro appuntamento russiano è quello di domenica 30 con il “Penta Blues”, ideato da Roy Paci e Mauro Ottolini, un viaggio lungo le orme musicali di William Christopher Handy (1873-1958), che con la sua prolifica vena compositiva contribuì a definire la forma del blues come la conosciamo oggi. Nel mezzo, da segnalare venerdì 28 aprile a Savignano sul Rubicone (alle 21.15 al cinema teatro Moderno) la presentazione di ORLD “Creology”, nuovo tassello della lunga e fruttuosa collaborazione DALLA FRANCIA ALL’ARGENTINA, tra Carmen Souza e Theo PASSANDO PER I BALCANI Pascal, in cui i due sterzano verso TRA CAFFÈ ZAMPANÒ E MAMA’S l’universo musicale afro, inteso in senso largo, con tutte le mutazioni Prosegue il 5 aprile (concerti sempre dalle 21.30) che ha assunto con la dispersione al Caffè Zampanò di Cesena la rassegna di geografica del popolo africano tra “Musiche dal mondo” con la cantante Sara Jane batuque, funana, semba, quilaGhiotti e il fisarmonicista Giacomo Rotatori per un panga. Nata a Lisbona nel 1981 omaggio a Edith Piaf e alla “chanson” francese. da una famiglia originaria di Capo L’ultimo appuntamento è invece in programma il Verde, Carmen Souza si è imposta 19 aprile e sarà dedicato alla musica popolare balcome una delle più interessanti canica con il gruppo Gjamadani (fisarmonica-violivoci della world music, nella cui no-percussioni-voci). ricetta ha fatto confluire ingreAltra rassegna di musica dal mondo al Mama’s di dienti assai diversi, dal jazz al soul Ravenna che si conclude con due appuntamenti in a varie musiche tradizionali afriaprile (sempre alle 21.30). Sabato 1 aprile musica cane. Ad accompagnarla il talenklezmer con il ravennate Quartetto K; sabato 8 tuoso contrabbassista portoghese omaggio all’Argentina con i romagnoli d’adozione Theo Pascal, compositore, arranDel Barrio di Hilario Baggini, Andrés Langer e giatore e produttore, e alla batteMarco Zanotti. ria Elias Kacomanolis.
W
Venerdì 28 aprile alle 21 al Bonci di Cesena evento conclusivo delle celebrazioni del 170esimo anniversario del teatro con il concerto di Noa, artista israeliana famosa in tutto il mondo. Insieme al compositore e chitarrista Gil Dor (che l’accompagnerà sul palco di Cesena insieme ad Adam Ben-Ezra al contrabbasso e Gadi Seri alle percussioni) da 15 anni canta le sue molteplici appartenenze: yemenita, israeliana e anglo-sassone. Al Bonci presenteranno l’ultimo album “Love medicine” dove compaiono anche tracce dedicate al Brasile che rendono omaggio a grandi artisti come Joao Bosco, Milton Nascimento e Gilberto Gil, oltre a una canzone composta per Noa da Pat Metheny e un insieme di pezzi scritti da Noa e Gil Dor per un musical sulla vita di Papa Giovanni Paolo II. Noa è l’unica artista israeliana che sin dal 1993, prima di ogni accordo di pace, viene invitata ai festival palestinesi, un punto di riferimento del movimento pacifista israeliano. Nell’ottobre del 1994 ha cantato l’Ave Maria in Piazza San Pietro davanti al Papa, prima volta per un’artista ebrea. Il 16 ottobre 2003 a Roma ha ricevuto alla presenza di 138 tra capi di stato e primi ministri, l'alta onorificenza di Ambasciatrice Fao nel mondo.
JAZZ PIANO
SOLO DI
ALESSANDRO LANZONI
E IL DUO
VOCIONE
AL
PETRELLA
Domenica 30 aprile alle 21.30 al teatro Petrella di Longiano doppio concerto in occasione dell’Unesco International Jazz Day. Sul palco, in solo, il pianista Alessandro Lanzoni, fra gli artisti di maggiore personalità della scena italiana, e in apertura il duo Vocione – inedita formazione voce e trombone – tra composizioni originali, brani presi in prestito dalla tradizione jazzistica e da quella brasiliana, spirituals, ballate rinascimentali, arie barocche e molto altro ancora: il tutto condito con disincanto e ironia.
IL
TRIO DEL SASSOFONISTA
CARLO ATTI
A
GAMBETTOLA
Sabato 29 aprile alle 21 il sassofonista emiliano Carlo Atti suonerà con il proprio trio (Marco Palmieri al basso ed Enzo Carpentieri alla batteria) al teatro comunale di Gambettola: in programma standard della cultura jazzistica rivisitati.
ALLO ZINGARÒ
SPAZIO AL TANGO CON IL
“TRES” DI SILVIO ZALAMBANI
Mercoledì 12 aprile (ore 22) allo Zingarò di Faenza il terzetto Tango Tres – che festeggia il ventesimo anno di attività – presenta “Entrada Prohibida”, nuovo disco che si distingue per la ricerca sul repertorio delle origini del tango, con brani dei maggiori compositori del periodo a cavallo tra Ottocento e Novecento. Gli arrangiamenti, tutti originali, sono curati da Silvio Zalambani, sassofonista faentino e ideatore del progetto.
ANCHE VINCE VALLICELLI
AL
CA’ LEONI
DI
FORLÌ
Prosegue la rassegna del Ca’ Leoni di Forlì. Giovedì 6 aprile l’appuntamento è con il Trio della cantante Alessandra Catania; giovedì 20 si continua con l’Hot Boogie Trio e giovedì 27 aprile con il gruppo del noto batterista romagnolo Vince Vallicelli (affiancato da Nahuel Schiumarini alla chitarra e da Roberto Villa al contrabbasso).
MUSICA
R&DCULT aprile 2017
11
CLASSICA/1
LO SPETTACOLO
Con Accademia Bizantina la musica antica torna tra la gente di Enrico Gramigna
Bagnacavallo è un piccolo grazioso comune nel cuore della bassa Romagna, tuttavia il fervore culturale è palpabile. Proprio questa atmosfera ha fatto sì che nel bellissimo teatro intitolato al celeberrimo commediografo veneziano Carlo Goldoni prendesse il via quest’anno la rassegna “Libera la Musica – Bagnacavallo Classica” che ha affiancato la già consolidata stagione di prosa. Artefici di questa impresa sono state le menti dell’Accademia Bizantina che hanno proposto 5 appuntamenti votati alla diffusione della musica più o meno antica. Raggiunto telefonicamente, il vicepresidente della cooperativa Accademia Bizantina, il violoncellista Paolo Ballanti, ha risposto ad alcune domande tirando le somme della prima stagione bagnacavallese che si concluderà con il concerto del 22 aprile al Goldoni. La prima cosa da chiedere in questi casi è sicuramente quale sia il bilancio di questa stagione. Come è andata? «Ogni stagione nei primi anni di attività è soggetta a fluttuamenti e a riscontri non sempre all’altezza dell’impegno profuso dall’organizzazione, tuttavia noi non possiamo che dirci soddisfatti. Ovviamente la stagione non è paragonabile coi numeri che fa quella di prosa a Bagnacavallo, ma questa è una realtà che è attiva da lungo tempo, perciò è già rodata». Già, incredibile che il teatro Goldoni avesse un’importante stagione di prosa, ma mancasse completamente la proposta musicale. È stata questa la molla che vi ha fatto partire? «Era giusto che il comune di Bagnacavallo avesse una propria stagione musicale in questo bel teatro ed essere in prima linea sul territorio per la diffusione della cultura musicale è un impegno concreto di Accademia Bizantina, perciò Libera la musica è stata la naturale evoluzione e dell’esigenza e dell’attitudine. D’altro canto, la gente ha sempre più bisogno di avvicinarsi alla musica, arte che nei secoli scorsi faceva parte del quotidiano e che oggi è stata allontanata dalla vita frenetica, quindi la proposta di cultura è necessaria per recuperare una parte importante del nostro retaggio». Avvicinare il grande pubblico al repertorio barocco può non essere così semplice. La scelta del repertorio può favorire questo ritorno all’ascolto? «Indubbiamente ci sono concerti più di richiamo ed altri meno “appetibili” alla massa, tuttavia in questa prima stagione si è sempre cercato di mediare tra una ricerca all’arma bianca e un repertorio nazionalpopolare». L’inaugurazione della stagione ha visto la vostra orchestra protagonista insieme a un giovanissimo cantante del ravennate, il talentuosissimo Carlo Vistoli. Un caso o una scelta precisa? «Per il concerto di Natale ormai è tradizione che Accademia Bizantina scelga un giovane cantante di talento, ma non ancora completamente affermato, in modo da poter contribuire allo sbocciare della carriera. Carlo è un eccellente cantante, dotato di ottimo fraseggio e grande intelligenza, è stato un piacere collaborare con lui». In cartellone, tuttavia, si nota che l’orchestra a pieno organico sarà presente solo nell’ultimo appuntamento della stagione del 22 aprile. Scelta o necessità? «Entrambe. Certamente sarebbe stato bello poter impiegare tutta l’orchestra il più possibile, tuttavia le orchestre hanno dei costi che non è sempre possibile sostenere. Vi è da dire che, però, la scelta dei repertori a parti reali è stata fatta in base alle possibilità sonore che la mancanza dell’orchestra piena lasciava: un esempio su tutti sono i concerti per clavicembalo di Bach che, data la scrittura fortemente contrappuntistica, risultavano più essenziali e più comprensibili, scevri da ogni possibile fraintendimento». Una domanda tecnica. Accademia Bizantina è specializzata nella prassi esecutiva del periodo Barocco, tuttavia vi sono state proposte musicali che strizzavano l’occhio addirittura al Romanticismo. Com’è suonare questi brani con una consapevolezza “antica”? «Aver studiato i periodi precedenti aiuta a contestualizzare la provenienza di stilemi e mezzi retorici che costituiscono il vero focus di ogni interpretazione critica». Concludendo, la stagione volge al termine tuttavia l’ultimo appuntamento è forse quello più atteso. Le quattro stagioni di Antonio Vivaldi. Un tentativo di captatio benevolentiae o una scelta indipendente da ciò? «Non saprei dire quale delle due opzioni sia la più vera. Probabilmente entrambe (ride, ndr)». Info: www.accademiabizantina.it
Il premio Oscar Nicola Piovani al Bonci Il 2 aprile (alle 21) al teatro Bonci di Cesena appuntamento con il concerto del maestro premio Oscar Nicola Piovani, “La musica è pericolosa”. Alternando l’esecuzione di brani teatralmente inediti a nuove versioni di brani più noti, lo spettacolo intreccia parole, musica dal vivo e video: parti di film, spettacoli e immagini che artisti come Luzzati e Manara hanno dedicato all’opera del compositore romano.
Il violoncellista Paolo Ballanti di Accademia Bizantina
CLASSICA/2
Dall’Ensemble d’Oggi fino ai Solisti Veneti, il gran finale della stagione dell’Alighieri
Claudio Scimone dei Solisti Veneti
Termina in aprile (concerti alle 20.30) la stagione “Ravenna Musica” dell’associazione Mariani, al teatro Alighieri. Musica contemporanea l’8 aprile quando i brani di due premi Oscar, Bacalov e Morricone, apriranno il concerto dell’Ensemble Musica d’Oggi, gruppo vocato alla diffusione del repertorio moderno della musica colta. Da Bach a Brahms sarà il concerto che vedrà protagonisti l’11 aprile il violoncellista Alban Gerhardt e il pianista Steven Osborne, impegnati in un repertorio variegato che spazierà dal barocco bachiano fino al romanticismo tedesco brahmsiano, senza trascurare l’onnipresente Beethoven e il sempre troppo poco considerato Debussy.
Il 18 aprile sarà la volta dell’Ensemble Zefiro che delizierà il pubblico ravennate con un concerto interamente dedicato alla musica di Mozart. Aprirà il concerto la Serenata Gran Partita KV 361/370a che si concluderà con Harmoniemusik arrangiata da Alfredo Bernardini, anche direttore dell’ensemble. Concluderà la stagione ravennate il concerto del 28 aprile che vedrà i Solisti Veneti, diretti dall’inossidabile Claudio Scimone, cimentarsi in una cavalcata barocca, da Albinoni a Vivaldi. Perla della serata sarà il concerto di Dragonetti per contrabbasso e archi, uno dei rari, e più riusciti, esempi di concerto per questo gigante ad arco.
CLASSICA/3 FEDERICO MONDELCI E PIERO BONAGURI AL FABBRI DI FORLÌ
Martedì 4 febbraio alle 21 al teatro Fabbri di Forlì concerto dell’orchestra Bruno Maderna sulla musica nel cinema con il sassofonista Federico Mondelci, solista, camerista, direttore d’orchestra, docente e organizzatore, da oltre trent’anni tra i più apprezzati interpreti della scena internazionale. La rassegna prosegue il 26 aprile sempre alle 21 con i Virtuosi della Maderna accompagnati in questo caso dal celebre chitarrista Piero Bonaguri (nella foto) per un omaggio ad Andrés Segovia.
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TEATRO
L’INTERVISTA
I Giuramenti della Valdoca nato tra i boschi In scena al Bonci il nuovo spettacolo della storica compagnia spinta da una forza «solenne ed esortativa» di Matteo Cavezzali
Sta per giungere al termine il viaggio di Teatro Valdoca verso la nuova produzione, Giuramenti, dopo la residenza creativa di tre mesi presso L’arboreto – Teatro Dimora di Mondaino. Uno spazio amato e congeniale alla Compagnia, che qui ha messo a punto alcuni tra i lavori più importanti. Da gennaio lo spazio si è trasformato in una “Bella Scola” di training fisico nei boschi, cori e canti polifonici, esercizi di silenzio, di attenzione, di memoria, di studio. E prove. Ogni giorno ore di prove, in teatro e nel bosco circostante, non basate su un rigido progetto ma aperte all’accadere degli eventi, alle improvvisazioni degli attori, ai dettami della regia, ai suggerimenti portati dal testo. In questi tre mesi è cresciuto moltissimo il gruppo dei giovani interpreti, insomma è nato un Coro, di grande coesione, vitalità e intensità. Dopo il primo “avvicinamento” a L'arboreto - Teatro Dimora a marzo, e il secondo “avvicinamento” al Teatro Petrella, Per Contagio (9 aprile), lo spettacolo “Giuramenti” debutterà al Teatro A. Bonci il 12 aprile, in prima assoluta, e lì sarà in replica anche il 13 e 14 aprile. Il lavoro con i giovani è diventato un presupposto molto importante della vostra poetica, come siete arrivati a Giuramenti? Cesare Ronconi: «Pasolini scrive che la giovinezza è un sentimento e io sono d’accordo, ma certo c’è una vitalità che riguarda il dato anagrafico e che è molto necessaria quando si porta in scena il verso, così come lo porta la mia regia, cioè senza trama, senza personaggi definiti ma lapidario, frontale e al presente. C’è una vita dei corpi che alleggerisce la monumentalità della parola di Mariangela, una parola alta e da me molto amata, una parola che impasto con tutto il resto, perché voli alta e potente, strappata alla pagina scritta e dotata di vita sonora. Non procedo progettualmente e dunque ad un certo punto è nata in me un’urgenza espressiva, che chiedeva un grande movimento di forze e di scrittura: così è arrivato Giuramenti». Come avete lavorato con questi undici ragazzi in questi tre mesi? È vero che vi siete esercitati anche nei boschi? Mariangela Gualtieri: «Sono attori e attrici che hanno fra i 20 e i 27 anni. Sì, non solo ci siamo esercitati nel bosco, ma ogni mattino lo abbiamo percorso, esplorato lì dove è meno accessibile, andando a perderci come facevano i cavalieri che cercavano il Graal, e che avevano speranza di trovarlo solo se si perdevano. Ogni mattino dunque è cominciato con un’avventura, fra radici e rovi, fango e cascatelle a fondo valle, improvvise radure coi loro chiari di bosco, arrampicate, strisciamenti, scivolate. Questo tempio vegetale ha dato a tutti grande energia, grande pulizia interiore, come se il particolare silenzio sonoro del bosco avesse un potere cura-
L’ultimo “avvicinamento” sarà in scena il 9 aprile a Longiano
tivo, balsamico. E lì in quel silenzio a volte si recitavano le parole del Coro. Io credo che il bellissimo Coro di Giuramenti sia nato nel bosco. È stato decisivo anche stare tre mesi un po’ fuori dal mondo, per amarlo da lontano e raccogliere le forze». Teatro Valdoca, più o meno ogni cinque anni, si cimenta in una grande opera teatrale, sorta di
grande affresco, molto vitale e, per chi vi partecipa, frutto di un intenso tempo di vita in comune. Cinque anni sono un tempo lungo, soprattutto in una società frenetica come la nostra, in teatro ci si può ancora (o ci si deve) concedere il prezioso e meraviglioso lusso del tempo? Mariangela Gualtieri: «Abbiamo lasciato il contributo ministeriale, per
protesta contro una volontà aziendalistica che ci imponeva scelte mortificanti per chiunque coltivi e serva un’arte, e anche per poterci muovere in questo lusso, in obbedienza ai dettami della nostra arte. Non confezioniamo prodotti, piuttosto stiamo in ascolto della nostra urgenza espressiva, e quando si è accumulato abbastanza, poi si scoppia “come un tuono al culmine” – così dice Emily Dickinson – e arriva l’immensa energia che serve per mettere insieme un’opera, una grande opera, in questo caso, rispetto ai mezzi minimi di cui disponiamo. Dunque viviamo in un lusso di tempo assolutamente necessa-
rio all’arte e in una parsimonia di mezzi massima. Siamo ricchissimi e poverissimi». Lo spettacolo avrà una serie di esiti intermedi che avete chiamato “avvicinamenti”, in cosa consisteranno e come saranno legati poi allo spettacolo? Mariangela Gualtieri: «Gli avvicinamenti sono un modo di rendere grazie ai geni dei luoghi che ci ospitano, alle persone che hanno cura di noi, e anche un modo di fare il punto su una parte di percorso. Hanno i colori e le temperature dello spettacolo, ma riguardano il processo e non l’opera compiuta. Chi segue il nostro lavoro può avere, da questi avvicinamenti, preziose indicazioni su come si è sviluppato il lavoro e un’anticipazione sul particolare tipo di energia che muoverà lo spettacolo». Parlando di questo lavoro avete scelto parole molto evocative come “ardore”, “nutrimento”, “contagio” e infine il titolo Giuramenti. Sappiamo che Mariangela Gualtieri è una poetessa molto attenta al peso delle parole cosa vi ha portato a scegliere queste? Mariangela Gualtieri: «Sentivo che Cesare era mosso da una particolare energia per questa nuova opera, una forza solenne, esortativa, impavida, mossa da necessità profonde, e come sempre una forza frontale e vitale. Così queste parole, scritte prima di sapere cosa sarebbe stato lo spettacolo, hanno creato gli argini entro cui si è mosso tutto il processo. Io credo nell’energia della parola, penso che ogni parola possa essere parola magica, e dunque mi dispongo ad un certo ascolto quando cerco un titolo. Ma forse più che cercarlo appunto lo aspetto e spesso arriva nel sonno, o mi sveglia la notte per essere scritto».
RAVENNA
RICCIONE
Abramo, per ragionare su dio
Fausto Paravidino al Tondelli
Dopo il festival Enter (vedi pagina 13) si torna al Rasi di Ravenna il 12 aprile per Abramo di Ermanno Bencivenga, portato in scena da Teatri di Bari/Kismet, in cui il filosofo e saggista s’interroga sul senso della fede e sull’idea che l’uomo ha del proprio dio. Adattamento e regia Teresa Ludovico.
Allo Spazio Tondelli di Riccione va in scena il 2 aprile I vicini di Fausto Paravidino, che ne è anche interprete, e racconta la guerra domestica di due coppie attraverso toni noir. Un testo commissionato dal Théâtre National de Bretagne, Paravidino è infatti messo in scena anche dalla Comédie française.
TEATRO
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LA NOVITÀ Dall’1 al 9 aprile il Teatro Rasi e altri luoghi di Ravenna saranno pervasi da una rinnovata energia artistica, con un calendario di nove giorni in cui si intrecceranno spettacoli, dialoghi e seminari: Enter è il titolo di questa “chiamata agli artisti in forma di festival”, un progetto inedito a cura di Ermanna Montanari e del Teatro delle Albe, in cui l’attrice intende segnare in maniera indelebile la scena contemporanea con la messa in gioco di una visione radicale del rapporto tra arte e vita. «Ispirandomi al libro di Cristina Campo, ho rivolto l’invito agli “imperdonabili” – spiega la direttrice artistica – cioè a quelle figure, quegli artisti, che sappiano aprire gli occhi sulla bellezza e sulla sua terribilità, in quest’epoca di crocifissione della bellezza». «Con la collaborazione di Silvia Pagliano e Cristina Ventrucci – aggiunge – ho cercato dei percorsi che segnassero passi senza ritorno nel teatro, nella danza, nella performance e nel cinema, che entrassero in luoghi segreti, in un interiore che si avvicina per fragilità alle pareti dell’intestino, l’enteron greco per l’appunto da cui deriva il nome del festival» precisa Montanari. Fra gli “imperdonabili” ci sarà Yuri Ancarani (vedi box), talento della videoarte e regista ravennate di fama mondiale, che giovedì 6 aprile, alle ore 20.30 nella sala 1 del Cinemacity, presenterà a Ravenna il suo primo lungometraggio intitolato The Challenge, premiato al Festival di Locarno. Per l’occasione, sarà presente il critico e produttore cinematografico Marco Müller. A inaugurare Enter sabato 1 aprile, alle ore 19, ci sarà letteralmente il fuoco: con la performance [ante] Lumen di Luigi De Angelis e Emanuele Wiltsch Barberio, «il pubblico e gli artisti dovranno passare attraverso il varco di fuoco in cui verrà trasformato l’ingresso del Teatro Rasi, come se si trattasse di un battesimo, di un rito iniziatico» sottolinea Montanari. A seguito di uno studio e un lavoro sui canti e sulla musica sciamanica, De Angelis e Wiltsch Barberio propongono una performance in cui la possessione del fuoco e l’abbandono ancestrale al suono si uniscono, per ritornare al ritmo universale e atavico. A seguire, alle 20 all’interno del Rasi, andrà in scena La vita ferma di Lucia Calamaro; si tratta di un ritratto grottesco e psichico sul rapporto con la memoria e la sua tragica inconsistenza incentrato su tre figure, dove padre e figlia dovranno rapportarsi con la scomparsa della madre, la cui presenza sarà «più viva dei vivi». Il calendario serrato continua domenica 2 aprile con Napucalisse: al teatro Rasi, ore 21, il drammaturgo e attore partenopeo Mimmo Borelli si esibirà in un monologoinvettiva-preghiera per Napoli, entrando nelle viscere di un’umanità dolente e arrabbiata destinata a esplodere. «Napucalisse bisogna vederlo da vicino» spiega la direzione artistica, per questo i posti sono
Enter: Ermanna Montanari invita al Rasi gli artisti “imperdonabili”
Dall’1 al 9 aprile
a Ravenna il primo festival ideato dall’attrice del Teatro delle Albe limitati e quindi è obbligatoria la prenotazione. Attraverso il linguaggio della musica e della danza, con Sleep Technique la giovane formazione Dewey Dell si calerà nella vertigine del tempo per esplorare il mistero custodito nella grotta di Chauvet, in Francia, e dialogare con i dipinti murali in essa custoditi risalenti a trentaseimila anni fa. Sleep Technique è una prima nazio-
Da sinistra: Ermanna Montanari (foto di E. Fedrigoli), “Sleep technique” (foto di John Nguyen) e “La vita ferma” (foto di Lucia Baldini
nale, e andrà in scena al Rasi mercoledì 5 aprile, alle 21. In occasione di La vita ferma, Napucalisse, Sleep Technique e The Challenge è prevista l’organizzazione di un pullman per il rientro a Bologna. In questa prima edizione di Enter, oltre agli artisti che proporranno poetiche molto diverse tra loro, ci saranno altri importanti appuntamenti: i Parlamenti di Aprile (al Teatro Rasi dalle 16),
LA FESTA DI DOPPIOZERO
quest’anno Sulla Bellezza – il 5 aprile con il filosofo Giuseppe Fornari, il teologo Giovanni Gardini e lo scrittore e biblista Gianni Vacchelli (l’incontro terminerà con una visita aperta a tutti alla Basilica di Sant’Apollinare Nuovo) – e il giorno seguente Sul narrare (vedi pagina 21). L’8 e il 9 aprile ci sarà la prima Festa di doppiozero, Gli irregolari, dove la redazione della rivista
web festeggerà la comunità dei lettori e dei collaboratori cresciuta dal 2012, con incontri a più voci tra artisti, scrittori, pensatori (vedi box). Per tutta la durata di Enter, dal 2 al 9 aprile, ore 15-19, sarà possibile visitare la mostra di Antonino Costa Scorciatoie, presso lo Studio Danilo Montanari (vernice alla presenza dell’autore il 2 aprile alle 12). Simona Guandalini Per informazioni: uffici di Ravenna Teatro / Teatro Rasi, aperti dal lunedì al venerdì, 10-13 e 15-18, oppure tel. 0544 36239 (sabato e domenica 333 7605760), info@ravennateatro.com. Per essere aggiornati sul programma ravennateatro.com, teatrodellealbe.com e doppiozero.com e sulle pagine Facebook, Twitter e Instagram.
NEL DETTAGLIO
DA SIMONA VINCI A GIOVANNI LINDO FERRETTI
IL FILM PREMIATO A LOCARNO DI YURI ANCARANI PER LA PRIMA VOLTA A RAVENNA
Le due giornate della Festa di doppiozero nell’ambito di Enter porteranno a Ravenna alcune delle voci più interessanti del panorama culturale italiano spaziando tra generi e linguaggi. Ecco il programma nel dettaglio:
Yuri Ancarani, ravennate classe ’72, è diventato nei suoi 25 anni di studio, lavoro e ricerca uno degli artisti visivi e videomarker più conosciuti a livello internazionale. Le sue opere, una commistione fra cinema documentario e arte contemporanea, esplorano paesi poco conosciuti o visibili nel quotidiano; nel corso della sua carriera Ancarani ha presentato i propri lavori a numerose mostre e musei nazionali e internazionali, tra cui la 55esima Biennale di Venezia, il MAXXI - Museo Nazionale delle Arti del XXI secolo (Roma) e il R. Solomon Guggenheim Museum (New York, Usa). Yuri si definisce un «neo viaggiatore, con la casa a Ravenna e lo studio a Milano». Nel festival Enter presenterà in anteprima nella sua città natale (giovedì 6 aprile, alle ore 20.30 nella sala 1 del Cinemacity) il primo lungometraggio della sua carriera intitolato The Challenge: frutto di un lavoro di tre anni svolto nel deserto del Qatar, il film racconta uno stralunato “week-end nel deserto”, dove la caccia al falco, arte con alle spalle una tradizione millenaria, viene praticata in questi luoghi per mantenere ancora oggi un rapporto stretto con il deserto. «The Challenge ha una visione fluida e distesa, ma è un film complesso, con più chiavi di lettura – precisa il regista – girato in uno stato ancora poco noto, che negli ultimi anni si è arricchito a dismisura e dove le persone possono permettersi di non lavorare nella loro vita». È una sorta di film «sul non-lavoro», come l’ha definito Ancarani, che nasce in contrapposizione al cortometraggio del 2011 Piattaforma luna, nel quale in una dimensione eccezionalmente epica viene raccontata la vita di una lavoro a molti sconosciuto, quello dei palombari. Il 7 e l’8 aprile nella rassegna Cinema a KM Zero, alll’Osteria del Pancotto di Gambellara (vedi pagina 19), Marco Müller curerà una retrospettiva su Yuri Ancarani; il secondo giorno è prevista la proiezione di Piattaforma luna.
sabato 8 aprile dalle 15 alle 19 – Teatro Rasi incontri con Simona Vinci in dialogo con Pietro Barbetta Margherita Manzelli in dialogo con Anna Stefi Yervant Gianikian e Angela Ricci Lucchi in dialogo con Annalisa Sacchi Giovanni Lindo Ferretti in dialogo con Marco Belpoliti domenica 9 aprile dalle 11 alle 12.30 e dalle 15 alle 19 – Teatro Rasi incontri con Luca Santiago Mora in dialogo con Nicole Janigro Piccola liturgia per Santa Chiara improvvisazioni con i ragazzi dell’Atelier dell’Errore Giovanna Durì in dialogo con Luigi Grazioli Paolo Gioli in dialogo con Elio Grazioli Aldo Zargani in dialogo con Luigi Grazioli Umberto Fiori in dialogo con Roberto Gilodi Vòltess concerto di Umberto Fiori e Tommaso Leddi su testi in milanese di Franco Loi a chiudere, Voltess concerto di Umberto Fiori
TEATRO
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DANZA/1
DANZA/2
L’incanto dei Momix all’Alighieri
Traditional Future a Rimini Il 6 aprile al teatro degli Atti di Rimini va in scena Fernando Anuang’a con Traditional Future
Momix, foto di Giulio Lapone
In scena la MM Dance Company In scena a Russi l’11 aprile la MM Contemporary Dance Company con il doppio spettacolo D’amore e d’ombre
Toren dei Sonics Torna sul palcoscenico dell’Alighieri di Ravenna il genio di Moses Pendleton per una nuova magia: con grazia e leggerezza, ma anche grande arguzia, da oltre 35 anni i Momix manipolano e intrecciano danza, musica, costumi, attrezzi, luci e proiezioni in una sfida all’incredulità. W Momix Forever (4, 5 e 6 aprile alle 20.30) conclude la stagione Opera e Danza 2016/2017 del teatro ravennate con una spettacolare raccolta di quattro nuove creazioni e delle più suggestive coreografie della compagnia americana, festeggiandone così un’intera carriera trascorsa a calcare le scene più importanti del mondo.
In scena al Teatro della Regina di Cattolica il 9 aprile e al Goldoni di Bagnacavall o l’11 e il 12 aprile lo spettacolo Toren dei Sonics.
DANZA/3
Coreografie del contemporaneo Due appuntamenti a Forlì con Mosca, Bertozzi e Billy Cowie Spazio alla scena contemporanea della danza a Forlì, in aprile. Al Teatro Félix Guattari venerdì 7 aprile in scena ci sarà Roberta Mosca (ore 21) con Ci vorrebbe quel sole che scalda le ossa, performance che vede l’unione della sensibilità della danzatrice e coreografa Roberta Mosca a quella di Canedicoda, artista multidisciplinare, conosciuto soprattutto in ambito musicale. Movimento, suono, spazio e idee vengono proposti come un tutt’uno nella prospettiva di invitare il pubblico a vivere un’esperienza immersiva, sottile e distesa. La serata prosegue su questa doppia cifra acustica e coreografica con Anatomia di Simona Bertozzi (ore 22) interamente basato e “intriso” delle sonorità di Francesco Giomi. Il 21 aprile, infine, la Fabbrica delle Candele ospiterà ancora una volta un doppio appuntamento ma con uno stesso artista: Billy Cowie alle ore 21 presenterà Under Fly Sky e alle ore 22 Art of mouvement. Cowie è artista scozzese poliedrico, coreografo ma anche musicista, estremamente interessato alle nuove tecnologie nella fertile relazione che possono intessere con le arti, e con la danza in particolare. Con questi due lavori Cowie saprà interrogare, ma anche coinvolgere a livello percettivo il pubblico. Nella prima performance della serata, gli spettatori si immergeranno in un sogno fatto di atmosfere poetiche grazie alle opere grafiche dell’artista tedesca Silke Mansholt, figura di riferimento per la creazione del paesaggio visivo del videomaker scozzese. I due performer presenti in scena sono in dialogo con le animazioni dello sfondo, fino a venirne inglobati. In Art of mouvement invece due danzatrici sono costrette a danzare in uno spazio ristretto di mezzo metro quadrato (nella foto a destra) e sono anch’esse immerse nei paesaggi della Mansholt. La performance rappresenta un “catalogo” di tecniche coreografiche inventate dallo stesso Cowie che vengono presentate e introdotte da un lettore.
The man di Rbr Dance Company In scena al Fabbri di Forlì The Man - The Passion of Christ il 13 aprile, della Rbr Dance Company Verona
TEATRO
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PROSA/1
Prima che cali il sipario
LO SPETTACOLO
Gli ultimi titoli delle stagioni: da Pirandello all’omaggio a Shakespeare Ultimi spettacoli per quasi tutte le stagioni teatrali in Romagna e tra gli appuntamenti della grande prosa ce n’è però per tutti i gusti. Al Teatro Bonci di Cesena, per esempio, dal 6 al 9 aprile sarà di scena Qualcuno volò sul nido del cuculo tratto dal best seller di Ken Kesey da cui fu tratto l’omonimo film con Jack Nicholson. L’adattamento è dello scrittore Maurizio De Giovanni e la regia di Alessandro Gassmann. A Rimini invece per la prosa l’appuntamento è con un evento realizzato per l’anniversario di William Shakespeare (1616-2016) e cioé la messa in scena di Thomas Moore, dramma elisabettiano composto tra il 1595 e il 1600 nel cui manoscritto compaiono alcuni rarissimi fogli autografi di Shakespeare e che è stato rappresentanto integralmente solo una volta nel 2005 dalla Royal Shakespeare Company e ora da Compagnia Bella per la regia di Otello Cenci che ne cura anche la drammaturgia con Giampiero Pizzol. In scena l’8 aprile al Novelli. Da un grande romanzo di Aldo Palazzeschi, Sorelle Materassi, è tratto lo spettacolo firmato da Ugo Chiti Le sorelle Materassi, in scena al Comunale di Conselice con la regia di Geppy Gleijeses e l’adattamento di Ugo Chiti che vede in scena Lucia Poli, Milena Vukotic e Marilù Prati. Infine, un grande classico italiano è quello che chiude (il 26 e 27 aprile) la Stagione dei Teatri all’Alighieri di Ravenna: I giganti della Montagna di Luigi Pirandello nell’adattamento e regia di Roberto Latini (Ubu 2015 come Miglior progetto sonoro o musiche originali, tra gli altri), che di questo spettacolo scrive: «I giganti della montagna è il mito dell’arte. La vicenda è quella di una compagnia di attori che giunge nelle sue peregrinazioni in un tempo e luogo indeterminati: al limite, fra la favola e la realtà (…) È un classico che penso si possa permettere ormai il lusso di destinarsi ad altro possibile. Dopo le bellissime messe in scena che grandi registi e attori del nostro Teatro recente e contemporaneo ci hanno regalato, penso ci sia l’occasione di non resistere ad altre tentazioni. Voglio rimanere il più possibile nell’indefinito, accogliere il movimento interno al testo e portarlo sul ciglio di un finale sospeso tra il senso e l’impossibilità della sua rappresentazione».
“Ieri è un altro giorno”; a destra Natalino Balasso
Le Belle Bandiere a Novafeltria Le Belle Bandiere portano in scena il 2 aprile alle 18 al teatro sociale di Novafeltria "Non sentire il male - Dedicato a Eleonora Duse", di e con il premio Duse e premio Ubu Elena Bucci. A seguire la presentazione del libro graphic novel di Davide Reviati "Sputa tre volte" (Coconino Press, Fandango)
PROSA/2
Commedie per ridere dell’oggi Da Balasso a Cornacchione, gli appuntamenti con il comico E naturalmente, anche nelle ultime battute dei cartelloni teatrali, non manca ampio spazio alla commedia, linguaggio per esplorare il mondo che ci circonda con gli strumenti dell’ironia e della satira. Si comincia già dall’1 e 2 aprile al comunale di Cervia con Antonio Cornacchione, Gianluca Ramazzotti e Milena Miconi in Ieri è un altro giorno, spettacolo di grande successo che ha vinto diversi premi in Francia. Comicità allo stato puro anche a Cotignola, al teatro Binario, alle 17.30 di domenica 2 aprile con Glilia Poni e il suo monologo Ti lascio perché ho finito l’ossitocina. E un’esilarante commedia è quella che va in scena, anche la domenica successiva, sempre alle 17.30: I piccioni di campo Margherita, una storia incentrata su vari misteri e personaggi, incluso il maggiordomo. Dal 5 al 7 aprile al Masini di Faenza, allora, da non perdere Toni Sartana e le streghe di Bagdàd la seconda puntata della trilogia de La Cativissima con Natalino Balasso che ne é autore e protagonista e ha dato vita a uno spettacolo con una drammaturgia indipendente dal precedente ma che coglie ancora una volta l’inarrestabile decadimento della società in cui viviamo. Risate anche a Meldola, il 19 aprile, con I suoceri albanesi con Francesco Pannofino ed Emanuela Rossi, commedia sugli stereotipi e sulle certezze che crollano.
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“ALL’INSEGNA DELLA SPORCA INFORMAZIONE, SEMPRE IN BILICO TRA REALTÀ E FINZIONE” Lo spettacolo satirico dal vivo ideato e scritto dalla redazione di Lercio.it Cena con menù alla carta, è consigliata la prenotazione - Tel. 0544 215206
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Ravenna, via Ponte Marino 19
R&DCULT aprile 2017
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CINEMA
CONTROCINEMA
Soundscreen, tra film, biopic e documentari Seconda edizione per il festival che indaga il rapporto tra pellicola e musica a Ravenna di Albert Bucci *
Aprile è il mese del Soundscreen, il festival di cinema e musica, dall'1 al 9 aprile, al Palazzo del Cinema di Ravenna. Il rapporto tra Cinema e Musica è antico quanto lo sono i rapporti con le altre arti, e non sono pochi gli artisti capaci di praticare fecondi intrecci e contaminazioni. Come il regista Jim Jarmusch, che è anche chitarrista, del quale vedremo al festival l'ultimo documentario Gimme Danger, dedicato al gruppo The Stooges e al suo mitico leader Iggy Pop. O come Heart of a Dog, il primo film dell’artista e musicista d’avanguardia Laurie Anderson, vedova di Lou Reed, opera lirica e struggente che mescola animazione e film amatoriali, ed è riflessione esistenziale ed estetica sulla vita e la morte del suo cane e del suo compagno. Per proseguire in un percorso a più tracce, dalla trilogia di biopic sulle tre trombe del jazz Miles Davis, Chet Baker ed Enrico Rava; all'omaggio al Nobel per le letteratura più controverso, quel Bob Dylan che è stato anche attore e autore di colonne sonore; i Laibach, gruppo industrial sloveno che è riuscito a fare un concerto in Corea del Nord; un concorso internazionale in cui scoprire i rapper israeliano-palestinesi di Junction 48 in una Tel Aviv calibro 9 più simile al Bronx, l’horror polacco The Lure su due sirene che cantano in un night-club, i rocker filippini di Singing in the Graveyard e i Dj di techno iraniani perseguitati nel loro paese. Ma sicuramente l’evento che più caratterizzerà questa nuova visione del cinema sarà sabato 8 aprile la sonorizzazione dal vivo di Genuine, film muto dell'espressionismo tedesco del 1920 di Robert Wiene, musicato in sala dal leader dei Verdena Alberto Ferrari. Le sonorizzazioni sono state la regola nei primi 30 anni di vita del cinema, finché non arrivò il sonoro. Ma adesso, a distanza di quasi 100 anni, sono state “riscoperte”, e non come semplice appoggio alla proiezione, ma diventando evento nuovo, performance unica, soprattutto per l'interesse da parte di gruppi e musicisti contemporanei che hanno ri-scoperto la possibilità di agire creativamente sulla partitura sonora di un film: arrivando così a un’opera completamente a sé stante, che va al di là di ciò che reputiamo semplicemente “colonna sonora” nel cinema. Robert Wiene, pochi mesi dopo aver girato quello che sarebbe stato il suo grande successo Il Gabinetto del Dr. Caligari, realizzò Genuine, altro film a matrice horror esplicitamente segnato dalle avanguardie artistiche del 20mo secolo
A sinistra un fotogramma di Genuine, a destra Alberto Ferrari
Tra gli eventi clou, l’8 aprile, la sonorizzazione dal
vivo da parte di Alberto Ferrari, leader dei Verdena, di Genuine, mix di erotismo lascivo e horror grafico
A sinistra un fotogramma di Singing in the graveyards, a destra The Lure
Cubismo, Futurismo ed Espressionismo. Geometrie e spazi disegnano scenografie aggressive e claustrofobiche, costumi esasperati e iperreali – quasi un clima da set psichiatrico, una sorta di universo parallelo in versione cubista, o meglio reinterpretato dalla visione cubista ed espressionista, un contro-mondo fantastico creato ex novo dal cinema, che ora non ha più come referente la fotografia in movimento, bensì la pittura; dove anche la recitazione e la postura degli attori portano all’estremo l’espressività tipica del cinema muto, facendoli assomigliare a sculture futuriste. Genuine è un mix di erotismo lascivo e horror grafico che riprende il tema narrativo della sirena urlante e della sacerdotessa oscura, femmes fatales dell’antichità; ma è soprattutto messa in
scena di oscure nevrosi e desideri mortali che piagano il subconscio e governano i comportamenti consci, cupo profeta di quel periodo storico, gli anni '20, appena usciti da una guerra spaventosa e in attesa di un’altra guerra totale. Un film dalla immane potenza visiva che sta per incontrarsi con la creatività di Alberto Ferrari, in una performance di grande emozioni. *Albert Bucci (Ravenna, 1968) è direttore artistico del Soundscreen Film Festival e consulente alla selezione del Ravenna Nightmare. È stato docente di Sceneggiatura presso l'Università Iulm di Milano, e produttore esecutivo di spot pubblicitari. In una vita parallela, possiede anche una laurea in Fisica Teorica. (Il suo vero nome è Alberto, ma in effetti è meglio noto come Albert).
CINEMA
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LA RASSEGNA
L’INCONTRO LE
Al Pancotto il “Km Zero” secondo Marco Müller
AUTRICI DI
LUNADIGAS
IN SALA AL
SAFFI
Martedì 4 aprile alle 21.15 il circolo Arci AreaSismica organizza al cinema Saffi di Forlì la proiezione del film di Nicoletta Nesler e Marilisa Piga Lunadigas, monologhi impossibili scritti da Carlo A. Borghi. Lunàdigas è una parola della lingua sarda usata dai pastori per definire le pecore che in certe stagioni non si riproducono. Le autrici, che saranno presenti in sala per parlare con il pubblico, si mettono in gioco all’interno del film con le proprie storie e il proprio vissuto legato alla terra d’origine, Alto Adige e Sardegna, ai luoghi e alle persone incontrate negli anni.
DOCUMENTARI/1 “Gerry” di Gus Van Sant
Tre grandi registi, due compagnie teatrali d’avanguardia del panorama italiano e sei pellicole, tutte espressioni diverse di sguardi “a chilometro zero”, si ritrovano in un piccolo e storico circolo di campagna. Torna per la seconda edizione Cinema Km Zero, la rassegna cinematografica curata da Marco Müller, critico e produttore già direttore del festival di Pesaro, Rotterdam e Locarno, della Mostra del Cinema di Venezia, del Festival del Cinema di Roma e ora programmatore di eventi in Cina e Svizzera. Le opere saranno proiettate nel salone del Circolo IX Febbraio - Osteria del Pancotto di Gambellara (Ravenna) in quattro appuntamenti, il 7, 8, 30 aprile e il 20 maggio. A ogni evento è previsto, oltre alla proiezione, un dialogo tra gli artisti e il pubblico. A partire dalle prime due giornate (7-8 aprile), che vedranno presenti il regista Yuri Ancarani con quattro pellicole e il curatore della rassegna Marco Müller (il 6 aprile, l’anteprima della rassegna al CinemaCity di Ravenna con The Challenge all’interno di Enter, vedi p. 13). Domenica 30 aprile la compagnia teatrale Motus presenta Gerry di Gus Van Sant, infine, sabato 20 maggio la compagnia Fanny&Alexander chiude la rassegna con Grizzly Man di Werner Herzog. A ogni serata sarà abbinato un buffet a tema a cura dello chef Pierpaolo Spadoni, come ponte del concetto di “chilometro zero” tra grande schermo e tavola.
“DOC
È in corso l’edizione 2017 di “Doc in tour” la rassegna promossa dalla Regione e dedicata al cinema del reale che propone il meglio della produzione con al centro autori, contenuti e case di produzione dell’Emilia-Romagna. Nelle provincie romagnole, ad aprile si potrà vedere, a Cesena al cinema San Biagio il 3 La prima meta di Enza Negroni e il 10 aprile A seafish from Africa e al Cinema Eliseo, il 18 aprile, Ho conosciuto Magnus di Paolo Fiore Angelini. A Forlì, al cinema San Luigi il 4 aprile sarà proiettato A seafish from Africa e Il mio amico Banda di Giulio Filippo Giunti, l’11 aprile Dustur di Marco Santarelli, il 18 aprile The black sheep di Antonio Martino; al Saffi l’11 aprile Come in un film, La vera storia di Gabriele (Gastone) Tinti di Riccardo Marchesini, il 18 aprile Dert di Mario e Stefano Martone (sulla coop agricola Insieme e la Bosnia post-guerra, nella foto), il 25 aprile La fabbrica blu di Davide Maffei. Tutte le proiezioni nel Ravennate sono invece previste per maggio. A Rimini, al cinema Tiberio il 20 aprile è la volta di Circle di Valentina Monti e il 27 di Dert di Mario e Stefano Martone; al Settebello il 3 aprile La prima meta di Enza Negroni e il 10 Dustur di Marco Santarelli; a Santarcangelo appuntamento al Supercinema il 24 aprile sempre con Circle, al Settebello. A Cattolica, allo Snaporaz appuntamento il 4 aprile Finché lassù c’è il sol di Elisa Bucchi e Nicola Bogo, Come in un film La vera storia di Gabriele (Gastone) Tinti di Riccardo Marchesini e Circle, mentre il 5 tocca a The black sheep di Antonio Martino e A seafish from Africa e Il mio amico Banda.
DOCUMENTARI/2 IL CINEMA DELLA VERITÀ AL MASINI TRA LA BARACCOPOLI DI TORINO ED ETTORE SCOLA Al ridotto del Masini di Faenza continuano le proiezioni della rassegna “Cinema della verità” a ingresso gratuito, mercoledì 12 aprile alle 21 sarà proiettato I ricordi del fiume di Gianluca e Massimiliano De Serio dedicato al Platz, una delle baraccopoli più grandi d’Europa, che sorge lungo gli argini del fiume Stura a Torino da tanti anni. Mercoledì 26 aprile invece sarà proiettato Ridendo e scherzando di Paola e Silvia Scola in cui Ettore Scola incontra Pierfrancesco Diliberto, aka Pif, e ripercorre la sua carriera sotto l’attento e amorevole (ma anche brillante e ironico) sguardo delle figlie.
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LIBRI
L’INTERVISTA
Igort: «Si sta capendo che il fumetto è una delle forme del romanzo» Il grande autore sarà a Ravenna, per il festival Enter, il 6 aprile al teatro Rasi E dopo Coconino promette una nuova avventura «con gli stessi autori e lo spirito di prima» di Matteo Cavezzali
Igort, all’anagrafe Igor Tuveri, classe ’58, baffetto alla Fred Buscaglione e matita leggera, è un fumettista noto per il tocco lieve e le storie intense come Cinque è il numero perfetto e Quaderni giapponesi, oltre a essere conosciuto come fondatore della casa editrice Coconino (che ha lasciato nel 2017, vedi box), che per prima in Italia ha dato rilievo editoriale alla graphic novel. Igort sarà a Ravenna, ospite del festival Enter del Teatro delle Albe (vedi pagina 13) alle 16 al Teatro Rasi in un incontro dal titolo “Sul narrare. Parlamenti di aprile” con lo scrittore Andrea Bajani e gli illustratori e autori di graphic novel Leila Marzocchi e Davide Reviati. Il suo ultimo lavoro My generation parla degli anni ’70 e di grandi maestri di diverse arti come David Bowie e Lou Reed, Pasolini e Moebius. Era un modo per rendere un tributo a questi autori che hanno segnato gli anni della sua formazione? «La cosa che a me interessava era raccontare una scena artistica e capire cosa è cambiato. Non vuole esere un’operazione nostalgica, mi piace molto internet e credo sia una grande opportunità che abbiamo oggi e che prima non c’era, ma tra la metà degli anni ’70 e la metà degli ‘80 si era creata una scena in cui tutti gli operatori culturali erano collegati tra loro. C’era un tessuto molto connesso dalle radio libere, alla nuova scena cinematografica di Herzog, Wenders, Fassbinder, dalla New Wave che
inventò un approccio diverso e molto intellettuale alla musica al teatro che nasceva con quelli che sono oggi i suoi mostri sacri come La Societas Raffaello Sanzio e i Magazzini Criminali. C’era una grande cooperazione anche tra ambiti culturali diversi. Oggi ci sono tante isole, c’è una grande frammentazione». Erano gli anni della cosiddetta “controcultura”, che oggi è stata assorbita dal mainstream… «La cultura alternativa aveva una rilevanza di massa tenendosi distinta dal mainstream. Basti pensare che i Sex Pistols vendettero un milione seicentomila dischi, i Talking Heads vendettero oltre due milioni di copie. Era una alternativa valida e con un grande seguito. Era una scelta. Non tutti vendevano molto ovviamente, i Velvet Underground vendevano poco, ma erano comunque molto influenti. Le radio libere raccontavano questa storia diversa da quella del mainstream. Oggi le radio “libere” trasmettono pop e il concetto di “alternativo” è molto all’acqua di rose». Come è cambiato il fumetto dagli anni del primo Linus, di Frigidaire e di Andrea Pazienza? Che momento sta vivendo la graphic novel italiana? «Il mondo è totalmente cambiato, ma rimane l’idea di autorialità. La possibilità di raccontare se stessi attraverso disegni e parole sganciati dal genere e dalla serialità. Non ci sono più le riviste, ma ci sono più libri e c’è la possibilità di fare storie dal lungo respiro che in quegli anni erano impensabili».
LO STATUS SU FB IL DOLOROSO ADDIO A COCONINO Igort ha lasciato Coconino a febbraio 2017 e lo ha annunciato attraverso uno status di Facebook che qui riportiamo integralmente: «Lascio Coconino. Abbandono la creatura che ho creato, con altri nobili amici, 18 anni fa. Lo faccio con dolore, ma non ci sono alternative. Le ragioni sono semplici, semplicissime, non ci sono più le condizioni perché io svolga il mio lavoro serenamente. Come lo intendo. Negli anni Coconino è stata una fucina nella quale talenti geniali si sono incontrati, hanno avuto fiducia, sono cresciuti sino a diventare una scena artistica che probabilmente ha pochi eguali nel panorama attuale. Io ho amato e amo il lavoro di questi autori quanto il mio. Correre in loro compagnia è stato un dono, una cosa che mi ha fatto crescere come uomo, come autore, e come editor. Ora in casa Coconino questo lavoro, senza ingerenze, libero, sereno, non è più possibile svolgerlo. Per questo, con rammarico, ma anche con sguardo luminoso verso il futuro, dico addio alla nave sulla quale ho attraversato oceani immensi di racconto. Tooooot Toooot. Adieu».
In grande ritardo rispetto a paesi come la Francia, pare che finalmente oggi anche in Italia il fumetto sia stato riconosciuto come arte a tutti gli effetti, tanto che anche premi come lo Strega, notoriamente un po’ paludato sotto certi aspetti, ha visto tra i canditati negli ultimi anni anche due fumettisti: Gipi e Zerocalcare. Abbiamo finalmente superato anche noi lo stereotipato pregiudizio verso il fumetto?
«Sta passando l’idea che il fumetto è una delle forme del romanzo, che è l’idea per cui fondai Coconino. Alcuni si accorgono oggi che è possibile lavorare usando anche immagini oltre alle parole. Stupisce che questa idea ci abbia impiegato tanto tempo a emergere. Però non è ancora accettata del tutto. Conosco diversi “signori della cultura”, alcuni che votano anche per lo Strega, che non si sognerebbero mai di votare per una graphic novel. Da Dino Buzzati in poi il fumetto è una
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21 forma aperta e ricca, porsi dei limiti è una forma di masochismo». Negli anni, attraverso Coconino, ha scoperto molti autori e portato in Italia autori stranieri che non erano mai stati tradotti. C’è qualcuno di questi di cui va particolarmente orgoglioso? «Vado orgoglioso di aver creato, io con loro, una scena che prima non esisteva. Una fucina che ora proseguirà al di fuori di Coconino con i miei autori. È un unicum a livello europeo, un luogo in cui gli autori si parlano tra loro, si confrontano, si consigliano, si influenzano tra loro. Ricorda quello che facevamo negli anni ‘80 io Mattotti, Tanino Liberatore, Pazienza, Tamburini, ognuno sperava di fare cose che sarebbero rimaste e ci sfidavamo tra noi». Lei ha anche introdotto una certa figura dell’editor nel fumetto, mentre prima era una cosa esclusiva della narrativa, come iniziò questo tipo di confronto tra autore e editor? «Con i giapponesi ho imparato l’importanza della figura dell’editor, che prima malsopportavo. Un editor bravo è uno specchio che ti aiuta a capire cosa vuoi, non che impone una sua visione. Questo è il metodo giapponese che ho applicato in Italia e che ha dato i suoi frutti. Ascolto e pongo domande per rendere il racconto più elaborato e consapevole». Nel suo lavoro si trovano molti tributi al Giappone, è stato anche il primo italiano a fare un manga nel 1994. Quanto è stata importante nella sua formazione? In che modo il Giappone ha modificato il modo di fare fumetti e ha spostato lo sguardo dagli Stati Uniti ad oriente? «È stato molto importante, e non solo per me. Io amo molto la raffinatezza visiva e narrativa dei giapponesi. A livello di racconto mi ha affascinato il fatto che non avessero limiti. Negli anni ’80 da noi una storia considerata “lunga” era di 60 pagine, da loro 60 pagine era un capitolo. Facevano storie di mille pagine, di 50 volumi. Per farlo bisognava tenere l’attenzione del lettore con storie articolate e decine di personaggi. Era una cosa che da noi non esisteva. È stato un modo per misurarsi con un’idea diversa di scrivere fumetti. Ho scoperto anche il silenzio. Loro raccontavano storie con lunghi silenzi, non avevano l’orror vacui che avevamo noi. Parlavano i gesti e gli sguardi. Il mio spettro di narratore si è molto arricchito lavorando in Giappone. Oggi se arriva Davide Reviati e mi porta 500 pagine per il suo nuovo libro non mi sconvolgo, perché le proporzioni del racconto si sono ampliate». Come sarà ora la sua nuova avventura editoriale dopo l’uscita da Coconino? «È ancora troppo presto per dirlo, ma sarà con lo stesso gruppo di autori e lo stesso spirito di prima. Però per ora non posso aggiungere altro».
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LIBRI
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IL NUOVO RAVENNAEDINTORNI.IT Incontro con Bonini e Bosetti sull’informazione tra carta e web e cena con lo show di Lercio
IL PERSONAGGIO
Tour per Roberto Saviano nelle città della Romagna Dopo polemiche e rinvii (a Forlì), dopo anni di attesa dal conferimento della cittadinanza onoraria (a Ravenna), arriva finalmente in Romagna Roberto Saviano con il suo ultimo libro La paranza dei bambini, in cui l’autore di Gomorra racconta, in forma letteraria, un destino comune a tanti quindicenni in diversi angoli di mondo – tra cui Napoli e il Sud Italia - dove la vera risorsa è non temere la morte e avere a disposizione molti anni per farsi la galera. La paranza dei bambini narra la controversa ascesa di una paranza – un gruppo di fuoco legato alla Camorra – e del suo capo, il giovane Nicolas Fiorillo. Appollaiati sui tetti della città, imparano a sparare con pistole semiautomatiche e AK-47 mirando alle parabole e alle antenne, poi scendono per le strade a seminare il terrore in sella ai loro scooter. A poco a poco ottengono il controllo dei quartieri, sottraendoli alle paranze avversarie, stringendo alleanze con vecchi boss in declino. Il noto autore e commentatore politico che non lesina critiche – l’ultima è stata quella spietata al governo Gentiloni per il decreto firmato dal ministro Minniti contro il degrado nelle città che, secondo Saviano, servirebbe solo a colpire i più deboli e i più poveri - terrà diversi incontri in varie città, sia con gli studenti sia aperti al pubblico. Ecco il calendario di questi ultimi: Rimini 4 aprile alle 21 al Teatro Ermete Novelli intervistato da Marco Missiroli; Forlì 5 aprile alle 20.30 al Palasport di Villa Romiti dove interverrà in solitaria; a Cesena il 6 aprile alle 10.30 al Carisport intervistato da Emiliano Visconti di Rapsodia (che ha organizzato anche alcuni degli appuntamenti con le scuole) e infine a Ravenna l’11 aprile alle 18 al Teatro Alighieri intervistato da Matteo Cavezzali di ScrittuRa Festival.
In occasione della messa on line del restyling del sito di informazione www.ravennaedintorni.it, che conterrà anche lo spazio R&DCult online (vedi editoriale a pagina 3), la testata R&D organizza martedì 4 aprile un incontro dal titolo “Giornalismo e informazione tra fake news e inchieste, carta e web” alle 18 alla Sala D’Attorre di Casa Melandri (via Ponte Marino 2, a Ravenna) con i giornalisti Carlo Bonini, firma di punta e inviato del quotidiano “La Repubblica”, e Giulia Bosetti, dal 2012 inviata e autrice delle inchieste filmate e dei reportage di “Presa Diretta” di Riccardo Iacona, su Rai Tre. La serata proseguirà poi con lo spettacolo “Lercio Live” al Mariani Lifestyle di via Ponte Marino 19. “Lercio live” è il primo spettacolo ideato e scritto dalla redazione di Lercio.it, il sito satirico italiano di “fictional news”, ossia false notizie di taglio umoristico, comico e grottesco che fanno il verso agli articoli tipici della stampa sensazionalistica. Il menù è alla carta ed è consigliata la prenotazione al numero 0544 215206.
LIBRI
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23 CESENA/1
TEATRO
A Gambettola per la Liberazione L’Agnese va (ancora) a Morire In occasione delle Festa della Liberazione, il 25 aprile alle 21, il teatro Comunale di Gambettola organizza l’evento tra teatro e letteratura L’Agnese va a Morire, liberamente ispirato al romanzo di Renata Viganò su un testo di Cristina Bartolini che ne è anche interprete, diretta da Sergio Galassi. «Abbiamo scelto di raccontare la storia dell’Agnese proprio così – dicono Bartolini e Galassi – come ci si era presentata leggendola, adattandola ai tempi del teatro e mantenendo la dimensione in minore di una storia che da personale diviene, come per quasi tutti negli anni bui della guerra, collettiva. L’Agnese è grossa, ha la schiena rigida e grassa…L’Agnese è una contadina cui la guerra sottrae il marito e regala, in cambio, una cupa, disperata volontà di resistere e un’istintiva ma fredda e muta tensione al sacrificio».
L’EDITORE “IL PONTE VECCHIO” FESTEGGIA I 25 ANNI ALLA MALATESTIANA
RUSSI
Sabato 1 aprile, alle 16.45, nell’aula magna della Biblioteca Malatestiana di Cesena la società editrice «Il Ponte Vecchio” festeggia i propri 25 anni di attività con un incontro in cui partecipano diversi autori della casa editrice che da un quarto di secolo pubblica libri e saggi in particolare dedicati proprio alla storia della Romagna. Conduce Elide Giordani e interverranno Eraldo Baldini, Giuseppe Bellosi, Angelo Turchini, Paolo Turroni e Marco Viroli. A tutti i partecipanti verrà donato il libro “La Romagna del mito”.
IL
DIALETTO COME LINGUA POETICA DI
NEVIO SPADONI
Martedì 4 aprile alle 18, nella biblioteca comunale di Russi, nell’ex Macello, il poeta romagnolo Nevio Spadoni presenta il suo E’ bal, testo poetico divenuto anche spettacolo teatrale. A conclusione della presentazione, lo scrittore realizzerà un incontro laboratoriale rivolto a giovani e adulti, aperto ai soli iscritti dalle 20 alle 22 sempre nello stesso giorno. Il titolo del suo seminario è: “La musicalità, il ritmo e il suono. Come scrivere e come leggere testi e poesie in dialetto?”. Per informazioni e iscrizioni: biblioteca comunale di Russi, via Godo Vecchia n. 10 Tel. 0544 587640. Email. ravru@sbn.provincia.ra.it.
CESENA/2
RAVENNA
TOBAGI E SCIANNA PER DIRE “PAROLEDIVERSE”
GEDA E GAMBERALE ALLA BIBLIOTECA DI ENRICO
Per la rassegna “#parolediverse - Libri e autori per riflettere insieme sulle differenze”, due gli appuntamenti di aprile a Cesena. Si comincia l’1 al Centro Cinema San Biagio alle 17 con Benedetta Tobagi che presenta La scuola salvata dai bambini, mentre il 29 aprile, sempre alle 17, ma in Biblioteca Malatestiana, Giorgio Scianna presenta La regola dei pesci, un romanzo, edito da Einaudi, che racconta di nuovo l’adolescenza partendo da un mistero impenetrabile.
Due gli appuntamenti di aprile alla Biblioteca di Enrico all’ospedale di Ravenna, eventi pensati per i degenti, i familiari ma aperti a tutta la cittadinanza. Domenica 2 aprile alle 20 l’ospite sarà lo scrittore Fabio Geda e dialogheranno con lui Livia Santini e Patrizia Baratoni. Geda è autore di diversi libri tra cui Nel mare ci sono i coccodrilli (Baldini e Castoldi) e Se la vita che salvi è la tua (Einaudi). Sabato 8 aprile è invece attesa Chiara Gamberale, prolifica autrice che nel 2017 ha dato alle stampe Qualcosa illustrato da Tuono Pettinato, Longanesi, 2017.
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LIBRI
24
LETTERATURA
Fabio Cremonesi, la voce italiana di Haruf Parla il traduttore dell’autore della Trilogia della pianura, caso editoriale per Nn editore di Gloria Bernabini
Sabato 8 aprile, nella cornice di Villa Torlonia, a San Mauro Pascoli, si terrà l’incontro Tradurre o Tradire, nell’ambito di SanMauroCheLegge, che vedrà protagonisti lo scrittore Andrea Tarabbia e il traduttore Fabio Cremonesi, voce italiana di Kent Haruf, autore che ha conquistato un vasto pubblico con la Trilogia della pianura, che NN Editore ha pubblicato a partire dall’ultimo volume, Benedizione. Abbiamo raggiunto al telefono Cremonesi, per parlare sia di questo straordinario scrittore e sia del mestiere del traduttore. Il fatto che si parli di traduzione nell’ambito di un piccolo festival dedicato alla lettura dimostra che questo mestiere ha acquistato una maggiore visibilità. «È vero, e per una serie di motivi. Negli ultimi anni c’è stato un grosso lavoro da parte di certi colleghi per dare più spazio al ruolo del traduttore. Penso a eventi come l’Autore Invisibile voluto da Ilide Carmignani al Salone del Libro di Torino, eventi nati per gli addetti ai lavori, ma che hanno finito per interessare il grande pubblico. E poi c’è sempre più gente che mastica almeno una lingua straniera e che riesce a rendersi conto della difficoltà che la traduzione comporta. Infine, la consapevolezza da parte del pubblico è anche frutto dell’esplosione dell’editoria indipendente degli ultimi vent’anni, che ha dato visibilità all’intera filiera editoriale». Nonostante Canto della pianura fosse già uscito per Rizzoli nel 2000, è stata NNE a far riscoprire e amare Kent Haruf al pubblico italiano. Come mai questo successo tardivo? «Pur nella sua apparente semplicità, Haruf era un autore in anticipo sui tempi. Quando uscì Canto della pianura trionfava una narrativa che interpretava la realtà con l’ironia e il cinismo. Erano gli anni successivi alla fine del mondo bipolare che avevamo conosciuto con la guerra fredda, anni che hanno coinciso con la fine delle narrazioni politiche di derivazione marxiana o liberale. Con il venir meno di tali strumenti di interpretazione della realtà, non sapevamo più come affrontare le grandi questioni della vita e per 25 anni le abbiamo affrontate con l’ironia, prendendone le distanze. Haruf fa esattamente l’opposto: non conosce l’ironia, né tantomeno il cinismo. Parla della morte di una persona cara, del nascere di un amore, delle grandi questioni che riguardano tutti, senza prenderne le distanze, affrontandole di petto». Haruf è un autore profondamente americano, nello stile, nei temi, nell’ambientazione… «Nato nel 1943, Haruf si è forma-
«Era in anticipo sui suoi temi:
quando uscì “Canto della pianura” trionfava una narrativa che leggeva la realtà tramite ironia e cinismo, Haruf fa esattamente l’opposto
»
In alto: Fabio Cremonesi, a destra Kent Haruf, sotto le copertine dell’edizione italiana della Trilogia della pianura
to sulla grande narrativa statunitense degli anni ’50 e ’60, una narrativa sostanzialmente rurale, dal punto di vista delle tematiche e della temperatura emotiva. Parlo soprattutto di Steinbeck, di Hemingway solo in misura minore. Poi vi sono analogie con gli scrittori della sua generazione, come Carver, da cui però lo separa una differenza enorme nello sguardo: quello di Carver è drammatico e disperato, laddove lo sguardo di Haruf è luminoso e pieno di fiducia nell’umanità. So che è paragone ardito, ma ho riscontrato anche la presenza di un grande nome della narrativa postmoderna come Don DeLillo, non per le tematiche o per il modo di raccontarle, ma per l’attenzione agli sguardi e ai corpi, per la capacità di ritrarre la psicologia di un personaggio dal modo in cui occupa lo spazio». I romanzi di Haruf sono tutti ambientati a Holt, un paese immaginario del Colorado. L’ambientazione assume un’importanza fondamentale, e il paesaggio è un elemento costante. «Haruf non interpreta mai né dà giudizi morali. Si limita a descrivere il paesaggio, ciò che fanno le persone e lo spazio in cui si muovono, e a decifrare le loro parole, come se raccontasse con una macchina da presa. Non dice mai quello che i personaggi pensano né spiega il perché delle loro azioni, lasciando quindi spazio all’interpretazione e alla sensibilità del lettore. Anche gli animali hanno un’importanza fondamentale. In ogni romanzo ci sono delle scene intere, a volte piuttosto brutali, che parlano di animali e che hanno una funzione narrativa precisa. Gli animali non sono una metafora, come nelle favole di Fedro, ma delle chiavi per leggere in controluce le ragioni degli eventi e delle scelte». Lo stile di Haruf è semplice, la lingua spoglia e precisa al tempo stesso. Ma non sempre un linguaggio semplice corrisponde a una traduzione facile. Quali sono state le maggiori difficoltà nel tradurlo? «Innanzitutto, i libri scritti bene sono sempre più facili da tradurre, la cosa più difficile per un traduttore è tradurre i libri scritti male. Il testo ben congegnato ti sostiene sempre nelle scelte traduttive, mentre quello scritto male ti lascia soltanto con dei dubbi. I dialoghi di Haruf sono tanto meravigliosi che avevo la sensazione che si traducessero da soli, come se una vocina me li dettasse all’orecchio. Le parti narrative sono diverse, prima di tutto perché il lessico è talvolta complicato; per esempio, il lessico della zootecnia è difficile da capire sia in inglese sia in italiano, per chi non se ne intende. Poi c’è l’aspetto legato alle scelte lessicali. Benedizione, in cui ogni parola è centellinata, mi ha posto di fronte a scelte difficili:
quando il lessico è ridotto a 500–600 parole e un termine ricorre trenta volte, è necessario trovare un unico traducente che vada bene in ogni contesto. Questo richiede un lungo lavoro, lavoro che è però l’aspetto più bello di questo mestiere». Haruf è scomparso nel 2014, poco prima della pubblicazione in Italia di Benedizione. È stato un ostacolo non poterti confrontare con lui? «Direi di no. Quando ho tradotto Benedizione era ancora vivo, è morto mentre stavo finendo. Soltanto alla fine, non sapendo della sua scomparsa, gli ho mandato un’e-mail, in cui però non c’era neanche una richiesta di chiarimento, ma in cui esprimevo la mia felicità per aver lavorato a un libro così bello e la soddisfazione per la possibilità di dare il mio piccolo contributo per farlo conoscere ai lettori italiani». Le nostre anime di notte, l’ultimo romanzo di Haruf uscito a febbraio, ha già scalato le classifiche. Quali sono gli elementi che lo accomunano alla trilogia, oltre al ritorno a Holt? «In primis, la sua voce, riconoscibile fin dalla prima frase, da quel “And then”, un incipit assolutamente “harufiano”. Poi c’è il suo sguardo luminoso e pieno di grazia. La differenza fondamentale è invece nel tempo. Innanzitutto, nel tempo che lui aveva a disposizione, ovvero 5 o 6 mesi anziché 5 o 6 anni. È sorprendente, oltre a dimostrare la grandezza dell’uomo, il fatto che una persona a cui è stata diagnosticata una malattia terminale abbia voglia di rimettersi in discussione come scrittore. All’interno del romanzo, poi, la percezione del tempo cambia completamente: nella trilogia è circolare, scandito dalle stagioni, mentre i riferimenti cronologici sono scarsissimi. In Le nostre anime di notte il tempo è lineare, con un inizio, uno svolgimento e una fine, e sembra incombere su tutti, a partire dai due anziani protagonisti che si stanno dando un’ultima chance in un ambito della vita in cui non pensavano di poterne più avere, chance che vivono all’insegna dell’urgenza. Il tempo non influenza soltanto la trama e la psicologia dei personaggi, ma anche lo stile: è un libro in cui si sente l’urgenza, in cui la scrittura non è perfetta come nella trilogia, ma più veloce, più incentrata sul contenuto». Haruf era molto disciplinato: per lui la scrittura era un “hard work” e scriveva e leggeva tutti i giorni, chiuso nel suo capanno di legno. Si può dire lo stesso della traduzione? «Sì, questo discorso vale ancora di più per la traduzione, perché, mentre scrivere è un’arte, tradurre è artigianato, benché abbia la sua parte di creatività. Per tradurre bisogna leggere molto, fare possibilmente revisioni sulle traduzioni dei colleghi e poi tradurre, tradurre tanto, con l’idea che questo allenamento renda le nostre traduzioni sempre un po’ migliori».
ARTE
LA MOSTRA
Raphaël, tra pathos, solennità e antiretorica A Longiano un’antologica con sculture, dipinti e opere dell’artista che fu anima del cenacolo della “scuola romana” di Sabina Ghinassi
Una delle grandi protagoniste dell’arte del Novecento italiano è al centro della grande mostra antologica “Antonietta Raphaël. Disegni, sculture, dipinti e opere grafiche 1925-1974”, aperta sino al prossimo 25 aprile negli spazio della Rocca Malatestiana di Longiano, alla Fondazione Balestra, con curatela dello storico dell’arte Giuseppe Appella, autore del Catalogo Ragionato delle sculture dell’artista per le Edizioni Allemandi. Si tratta di un’occasione unica per incontrare le opere di un’artista straordinaria, paragonabile per molti aspetti a figure di artiste come Frida Kahlo o Georgia O’Keefe. Definita dal critico d’arte Roberto Longhi «sorella di latte di Marc Chagall», la Raphaël arrivò a Roma nel 1925. Era fuggita con la madre e gli undici fratelli da Vilnius a Londra, giovanissima, dopo la morte del padre rabbino; qui si era diplomata in pianoforte, mantenendo tutta la famiglia con le lezioni di solfeggio. Poi, nel ‘24, un viaggio la porta prima a Parigi, poi a Roma, luogo che da tappa di un probabile Grand Tour si trasforma nella” Casa del Cuore”. La città colpisce la giovane artista con i suoi colori e il suo fascino mediterraneo; lì incontra anche Mario Mafai, che diventerà suo compagno d’arte e di vita e padre di tre adoratissime figlie (tra cui la compianta Miriam Mafai). Prima pittrice e disegnatrice poi, a partire dal ’33, anche splendida scultrice, ma anche donna coltissima, appassionata,
anticonformista (in osservanza alle radici ebraiche in casa Mafai si accendevano le candele della Menorah, ma in modo totalmente anticonvenzionale: recitando poesie di Montale o Ungaretti al posto delle preghiere). Insieme al compagno e a Scipione, Pirandello, allo scultore Mazzacurati, Antonietta Raphaël fu anima del cenacolo artistico definito da Longhi “scuola di Via Cavour” e successivamente Scuola Romana, che, più che una vera scuola, definì un clima e una ricerca artistica accomunata da una decisa infrazione dei toni classicheggianti e monumentali del periodo e vicina ad atmosfere espressioniste, imbevute in un tonalismo in chiave spesso lievemente simbolista. Quel piccolo cenacolo di artisti era aderente a un’invenzione trasfigurata e lirica della vita quotidiana, attraverso un linguaggio appassionato e libero, sottilmente visionario e romantico. In quel cenacolo Raphaël si distingueva, tanto che Longhi scrisse a proposito dei suoi lavori nel ’29: «Un’arte eccentrica e anarcoide che difficilmente potrebbe attecchire fra noi, ma che pure è un segno da notarsi, nel costume odierno». Quel «difficilmente potrebbe attecchire da noi» del pungente Longhi sottolineava la distanza siderale di Raphaël, e di tutto il gruppo, dall’esasperazione del formalismo dell’arte coeva. Per lo stesso motivo vale la pena vedere questa mostra, anche novanta anni dopo l’affermazione di Longhi: perché anche in questo momento di full immer-
sion dell’arte di inizio secolo, è prezioso raccontare anche l’altra parte di quegli anni, quella in contrasto, forte e assoluto, come visione, utopia ed esperienza del mondo. Dalla pittura visionaria, fiabesca e yiddish del primo periodo romano, Antonietta dal ’33 passò, si diceva, alla scultura, nella quale filtrò agli esordi, con un linguaggio sempre personalissimo, la lezione del grande Aristide Maillol per poi scivolare verso forme più libere e pure. Uno dei temi che, forse per rispecchiamento esistenziale, la affascinò di più fu la maternità, ma anche la figura umana, spesso femminile ( tantissimi i ritratti delle tre figlie Miriam, Simona e Giulia), raccolta in un momento di solitudine. La materia plastica di Raphaël è piena e vibrante, antiretorica eppure densa di una solennità tutta umana, arcaica e sensoriale, alle volte violenta e tragica, alle volte teneramente dolce, morbida ed epidermica, sempre ricca di pathòs, vicina senz’altro al linguaggio di Arturo Martini nella scarna e potente sacralità. Oltre alle quindici sculture che vanno dal 1933 al 1971, in mostra sono presenti,altri cahier de vie del lungo viaggio dell’artista: cento disegni datati 19251974, il corpus completo delle opere grafiche datate 1948 – 1974 e quattro dipinti. Fondazione Tito Balestra Onlus, Piazza Malatestiana, 1, Longiano; info:0547 665850 - Aperto festivi e da martedì a domenica: 10/12 15/19; lunedì chiuso; la biglietteria chiude mezz’ora prima.
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ARTE
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LA VISITA
Dove il Risorgimento non è come te lo aspetti A Modigliana, tra la casa museo di don Giovanni Verità e la pinacoteca che porta il nome di Lega di Elettra Stambouils
Sappiamo tutti che Garibaldi fu profondamente anticlericale. Tuonò contro la Chiesa persino nel suo testamento, eppure fu proprio un prete, Don Giovanni Verità a contribuire alla sua salvezza durante la sua fortunosa fuga al termine della Repubblica Romana del 1849. Don Zvàn, come veniva chiamato, fu certo un sacerdote schiettamente romagnolo: non appena presi i voti, entrò nella Giovine Italia, proprio quella organizzazione mazziniana fortemente repubblicana. Era di Modigliana e proprio nella sua casa ospitò l'eroe dei due mondi in trafelata fuga insieme ai reduci dell'esperienza romana. Come Alessandro Gavazzi e Ugo Bassi, Verità fece parte di quel ristretto, ma temerario gruppo di uomini di fede che sostennero la nascita dell'Italia e difesero la propria libertà di pensiero politico, pur rimanendo cattolici. Una visita alla casa museo di Modigliana può evocare sicuramente quell'epoca tempestosa che fu il Risorgimento, molto meno impettita di quanto non ci raccontino i libri di testo. E dello stesso periodo è anche uno dei più importanti pittori italiani dell'epoca, che nacque sempre nel medesimo fascinoso paese che sta tra l'odore della Toscana e il sospiro della Romagna. Silvestro Lega fu molto legato alla vita del paese: partì per Firenze dove si legò con Telemaco Signorini e il gruppo dei Macchiaioli, tornò perché si sentiva un giovane vecchio, ripartì per combattere per questa patria immaginata. Insomma, ebbe un legame continuo e anche complicato con la sua patria familiare... Ma della sua presenza in paese ci sono molti segni: non solo i due ritratti, di Garibaldi e Verità, ma anche altre importanti tele che testimoniano la sua produzione nei vari passaggi. Soprattutto nella Pinacoteca che porta il suo nome si nota l'esito di un’idea, quella di intitolare a suo nome un premio di pittura, che ha portato questo spazio espositivo di confine a possedere opere di artisti poi quotati e conosciuti in tempi più recenti. Il premio Lega, che fu attivo dal 1959 al 1967 e poi dal 1975 al 1980, permise alla pinacoteca di arricchirsi di chi arte la faceva allora, nella convinzione che il dialogo del fare artistico non si deve interrompere. Accanto alle opere degli astrattitisti o della Op Art italiana, ci sono anche interessanti tele della collezione Campana (non Dino, Michele...) di impianto più ottocentesco, ma sicuramente importanti nel qua-
Silvestro Lega ebbe un legame continuo e anche complicato con la sua patria familiare dove tornò perché si sentiva un “giovane vecchio”
dro del passaggio dalla macchia alle avanguardie storiche. Poi come tante esperienze italiane, il premio si arenò e solo recentemente si era riaperto un cantiera Ora Elabora (sì, i titoli erano meglio una volta…) che per tre anni aveva invitato una bella selezione di artisti nell’ex convento dei Cappuccini a creare progetti site specific nelle celle. Curato da Giovanni Gurioli e da Claudia Casali (oggi al Mic di Faenza, all’epoca ancora al Mar di Ravenna), fu un’ulteriore esempio di come paese anche decentrati possano fare azioni culturali di alto profilo e di ricerca. Insomma, oltre al palato, su cui ultimamente sembra unicamente indirizzarsi l'offerta di promozione dei territori, c'è la possibilità di rifarsi anche la retina e scoprire un borgo del cuore che prima dei nuovi confini del 1861 ha dato i
In alto: Mazzini morente, sotto un ritratto di Don Giovanni Verità, a destra in basso il quadro vivente realizzato a Modigliana in autunno ispirato a quello illustrato sopra.
natali a figure che hanno indirizzato la storia di questo fragile Paese. Silvestro Lega morì quasi dimenticato a Firenze, eppure oggi di fronte a quadri come Il pergolato (conservato a Brera) o Il Mazzini morente (a Modigliana) non si può rimanere insensibili. Nel 2007 a Forlì ci fu un'importante antologica a lui dedicata che sostanzialmente aprì la stagione delle mostre di San Domenico e che ne decretò, se ancora ce n'era bisogno, l'importanza per l'arte pittorica italiana del secolo che vide nascere la fotografia e mutare l'arte per sempre. In aprile riaprono gli spazi museali, fioriscono le colline e vale la pena fare un viaggio fuori porta fino a Modigliana, ma sicuramente in settembre, quando gli abitanti si vestono con abiti ottocenteschi riproducendo i quadri di Lega, è sicuramente un'esperienza che va fatta almeno una volta nella vita. Pinacoteca "Silvestro Lega" Palazzo Pretorio - Tel. 0546 941431, ingresso: 3 euro; biglietto cumulativo (Pinacoteca e Museo): 5 euro. Ufficio Turismo - tel.366 9743320 turismo@comune.modigliana.fc.it
ARTE
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CESENATICO
Alla scoperta di Rambelli: un percorso
LE
Mostre a Lugo, Brisighella e Faenza fino al 23 aprile Dedicato a “Rambelli monumentale”, è stata pubblicata una monografia e allestito un trittico di mostre lungo un itinerario che comincia dalle straordinarie invenzioni esibite dallo scultore prima a Brisighella (1927) e poi Lugo (1936), e che porta fino a Faenza con il più tardo omaggio reso allo scrittore Alfredo Oriani. A Brisighella è infatti in corso la mostra Un’iconografia unica. Il fante che dorme al museo “Giuseppe Ugonia” sul monumento che fu inaugurato il 16 ottobre 1927. A Lugo, il percorso espositivo Ad Maiora. Lo scultore e l’eroe, dislocato in quattro sedi tematiche: alle Pescherie della Rocca in piazza Garibaldi (i disegni), nella Fondazione Cml in piazza Baracca 24 (le fotografie dal cantiere del 1936 agli studi contemporanei di Luca Nostri), alla biblioteca Fabrizio Trisi (i documenti) e al museo Francesco Baracca (il volto). Infine, al voltone della Molinella 2, c’è la terza e ultima mostra del trittico, intitolata “Un lungo cammino. Il monumento ad Alfredo Oriani”. Tutte le mostre sono visitabili fino al 23 aprile. Per informazioni, chiamare i numeri 0546 994415 (Brisighella), 0546 680251 (Faenza), 0545 38561 (Lugo). La monografia si intitola Romagna monumentale. Domenico Rambelli, un maestro dell’espressionismo italiano (Longo editore) ed è a cura di Elisa Baldini, Claudio Casadio e Daniele Serafini, con prefazione di Antonio Paolucci.
Il monumento di Rambelli a Baracca in piazza a Lugo
FIGURE FEMMINILI DI
DARIO FO
IN MOSTRA
In mostra i dipinti di Dario Fo dedicati alle donne nella Galleria Comunale Leonardo Da Vinci a Cesenatico. Si tratta di una selezione di circa 30 opere in cui non mancano quelle dedicate all’amata Franca, quelle che raccontano la comparsa di Eva nel giardino dell’Eden e che raffigurano le maschere femminili della Commedia dell’Arte, una selezione delle opere dedicate a Lucrezia Borgia, dipinte per illustrare il romanzo “La figlia del Papa” scritto da Dario Fo a Cesenatico durante l’estate 2013, e per finire una serie di quadri dipinti dall’artista nel 1998 tutti dedicati alle donne di Cesenatico. Fino al 9 aprile. Ingresso: gratuito.
CESENA CONTINUANO I “FUORI
MERCATO” ALLA
CANTINA CARBONARI
Presso la Galleria Cantina Carbonari di Cesena prosegue il ciclo di dieci mostre personali d’arte programmate da Paolo Degli Angeli dal provocatorio titolo “Fuori mercato” che pone l’iniziativa lontano da un certo sistema dell’arte che sembra costruito appositamente per far assurgere agli onori del mercato anonime figure con l’unico scopo di ricavarne profitto. Dall’1 aprile al 13 l’appuntamento è con Andrea Artusi; dal 15 al 27 con le opere di Luciano Paganelli; dal 29 aprile all’11 maggio Luciano Navacchia.
RAVENNA PIANETI, STELLE
E SOLI IN MOSTRA DA
ANNAFIETTA
La Bottega Anna Fietta di Ravenna propone a partire da sabato 8 aprile una mostra dedicata agli astri. Saranno esposti i mosaici realizzati dal laboratorio di via Argentario 21: si tratta di riproduzioni di pianeti, stelle, soli e tutto ciò che gravita sulle nostre teste e sarà visitabile fino al 7 gennaio.
I DIPINTI
DI
ELENA POMPIGNOLI
Fino al 17 aprile è in corso nella sala di vicolo degli Ariani a Ravenna la mostra di piuttura dell’artista ravennate Elena Pompignoli che privilegia paesaggi, vedute, tramonti, nature morte dai colori e dalle atmosfere del passato.
PETRONE ROMEO CELESTE
ALLA
NIART
Negli spazi niArt di Ravenna una decina di lavori del pittore Petrone Romeo Celeste, tra grande e piccolo formato. Raccontano una pittura deliberatamente gestuale, debitrice di una fascinazione verso l’action painting americano e di certe esperienze del grande Astrattismo italiano del Secondo dopoguerra, ma tutta contemporanea. Inaugurazione l’1 aprile alle 18. Fino al 15 aprile.
PAOLO GALAN
Galleria IL COCCIO Via A. Agnello, 6 RAVENNA Tel. 0544 34629
“Springtime”
ORARIO GALLERIA 9.00-12.00 / 16.00 - 17.00 chiuso domenica e lunedì
dal 15 al 26 aprile 2017
Inaugurazione
sabato 15 aprile ore 18
L’anima noir della laguna in un festival Prima edizione per la kermesse diretta da Simoni. Tra gli ospiti Lucarelli, de Giovanni, Strukul, Forte
Seconda edizione per la festa dei pesci marinati L’evento culturale ed enogastronomico dal 22 al 25 aprile alla Manifattura di corso Mazzini tra tradizione e modernità Dal 22 al 25 aprile, la Work and Services s.c.s., produttore della anguilla marinata tradizionale delle Valli di Comacchio, presidio Slow Food, organizzerà la seconda edizione della Festa dei Pesci Marinati, evento culturale ed enogastronomico che si terrà nell’antica Manifattura dei Marinati di Comacchio, in Corso Mazzini 200. L'evento è realizzato con il patrocinio del Comune di Comacchio e del Parco del Delta del Po Emilia Romagna. La prima edizione della Festa, spiegano gli organizzatori, è nata nel 2016 «per dire grazie» a coloro che hanno trasmesso una tradizione divenuto un patrimonio, «occasione di crescita, sviluppo personale, culturale, sociale e territoriale». Quest'anno la frase che accompagna la Festa, parla dei saperi che i padri trasmettono ai figli, e ammonisce gli eredi di riguadagnarsi ciò che ricevono. Viene sottolineata l'importanza di una tradizione che passa in modo naturale di generazione in generazione, ma che necessita di un nuovo sforzo da parte di chi ne entra in possesso, gli eredi devono mettersi in gioco avendo cura di un patrimonio che richiede un impegno vero, una passione che necessita di un’alimentazione costante. La festa dei Pesci Marinati diventa proprio questo: un momento di incontro in cui si festeggia una tradizione e la passione con cui la si porta avanti oggi come un tempo.
A fine aprile un’importante novità letteraria per Comacchio: si svolgerà la prima edizione per “Nero Laguna - Comacchio Book Festival” a cura di Comune di Comacchio e Biblioteca Civica “L.A. Muratori” sotto la direzione artistica del noto scrittore Marcello Simoni. Sono previsti incontri con gli studenti delle scuole in mattinata e appuntamenti con autori in piazzetta Trepponti e proiezioni nell’antica Pescheria dal tardo pomeriggio alla sera. Si comincia il 28 aprile alle 17 in Piazzetta Trepponti con l’apertura ufficiale di Marcello Simoni che parla di “Comaccho e il noir”, alle 18.30 il primo degli incontri “Narratori di calibro” con Guido Conti e Carlo Martigli, alle 21 proiezione del film L'uomo che non c'era (dei fratelli Coen). Il 29 aprile ancora ritrovo alle 17 in piazzetta Trepponti con “Signore in Noir”: Barbara Baraldi, Cristina Marra, Marilù Oliva mentre alle 18.30 è la volta dei “Maestri del giallo italiano” Maurizio de Giovanni e Carlo Lucarelli; in serata proiezione Il libro della vita (regia di Jorge Gutierrez). Il 30 aprile appuntamento già alle 11 in Piazzetta Trepponti) con “Editori sull’acqua” per incontrare i lettori, mentre alle 17 si parla dei “Misteri della storia” con gli scrittori Franco Forte e Matteo Strukul e l’ospite delle 18.30 sarà la crimonologa Roberta Bruzzone. Per i giorni del festival in piazza Folegatti si terrà una piccola fiera dell'editoria, dove piccoli e medi editori che pubblicano romanzi gialli o noir possono esporre le proprie opere. Contatti: nerolaguna@comune.comacchio.fe.it
Per una primavera e una Pasqua slow Fino a giugno prosegue “Primavera Slow nel Parco del Delta del Po” con escursioni guidate durante i week end, proposte ecoturistiche e lezioni di birdwatching. Tutte le informazioni per scoprire il fascino di un ambiente naturale unico da girare a piedi, in bicicletta, in barca sono reperibili su www.primaveraslow.it. In particolare da segnalare la proposta “Pasqua slow” quando accanto alle escursioni si moltiplicheranno anche le iniziative culturali e i laboratori didattici per i bambini dedicati al tema della natura.
Come nella prima edizione, l’evento sarò dunque l’occasione di valorizzare non solo i prodotti marinati della tradizione comacchiese, ma anche i piccoli e medi imprenditori del territorio. Al fianco dei produttori gastronomici, vi sarà la "Piazza della Promozione Sociale", luogo in cui si potranno esprimere ed incontrare realtà che attraverso il lavoro artigianale accolgono persone fragili nel mondo del lavoro. Il 21 aprile si aprirà la Festa con una cena inaugurale all’Istituto alberghiero Remo Brindisi al Lido degli Estensi, con l'obbiettivo di valorizzare le eccellenze giovanili e raccogliere fondi per sostenere nuove progettualità educative. Le giornate di festa saranno rese vive da laboratori per bambini,visite guidate, incontri e momenti di intrattenimento nella Sala Fuochi, cuore della tradizione di marinatura del pescato di Valle.
INFORMAZIONI: Biglietteria, Informazioni e Accoglienza Turistica: tel. 0533 311316 - comacchio.iat@comune.comacchio.fe.it
JUNIOR CESENA
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CERVIA
L’aprile di Puerilia al teatro Comandini
Il 37° festival dell’aquilone, con preview È la novità del 37° Festival Internazionale dell’aquilone di Cervia, dal 22 aprile, e vuole rendere omaggio all’opera di Michel Gressier, il celebre artista del vento, attraverso un percorso espositivo che parte il 2 aprile da Milano Marittima per raggiungere, durante le giornate del Festival dell’Aquilone, il cuore storico della città di Cervia. Domenica 2 Aprile l’appuntamento è a Milano Marittima con l’installazione Velums che rivede lo spazio verde della centralissima Rotonda 1° Maggio, attraverso un intervento di Environment Wind Art giocato su proiezioni di vele sospese a esprimere l’immaginario cromatico dell’artista. Inaugura il 22 aprile fino all’8 maggio, appunto durante le giornate del festival, il secondo, più grande appuntamento con l’opera dell’artista: la mostra “Michel Gressier & ses Amis - Artisti fra Cielo e Terra”, ospitata nella splendida location dei Magazzini del Sale di Cervia
RAVENNA Prosegue fino al 4 maggio Puerilia a Cesena, in un teatro della città, il Comandini – ricavato dagli androni vasti di una scuola tecnica del primo Novecento – dove si prepara per i bambini l’esperienza scenica. Giornate di puericultura teatrale per i ragazzi e per chi sta loro vicino, dirette da Chiara Guidi e che invitano a un’esperienza che guarda alla figura del bambino «come alla possibilità di attingere a un sapere antico». «Credo che il teatro nasca su quella spalla dove il bambino, in braccio a un adulto, guarda – scrive Chiara Guidi –. Se, davanti a lui, all’improvviso qualcuno appare, lui ride o piange. Poi se si nasconde attorno al corpo di chi lo tiene in braccio, egli lo cerca e pare che dica: “Non c’è più? È sparito per sempre?”. Cosa accade in quel momento? Perché a volte piange? Perché ride? Perché ogni volta non ride sempre allo stesso modo, sebbene la mia intenzione sia rimasta invariata? Il bambino, fino ai sette anni, sa giocare meglio di me, per cui, il teatro che si rivolge ai bambini più piccoli dei sette anni deve avere le chiavi dell’origine delle emozioni! Io non le ho. Per questo mi rivolgo a bambini dai sette anni. Ho bisogno di loro per avvicinarmi a quell’infante che, privo di parole, può accedere a un luogo che io non posso raggiungere. Ma lo desidero. Ed è proprio lì che vorrei entrare: in quell’indistinto dove lo stupore si tramuta in pianto o in riso e porta comunque un pensiero sul mondo». Tra gli appuntamenti di aprile, due riallestimenti di Chiara Guidi, realizzati in nuove forme: Fiabe giapponesi e La pietra dello scandalo, entrambi in scena al Comandini, ma inclusi anche nel programma di Teatro ragazzi del Bonci. Fiabe giapponesi, di Chiara Guidi e Vito Matera, si compone di presenze che appaiono e scompaiono in un lampo. Non si vede quasi nulla, non accade quasi nulla, però l’aria è colma di passaggi che fuggono allo sguardo, chiedendo all’orecchio di allungarsi, piegarsi, mettere a fuoco. Vengono narrate fiabe i cui protagonisti aprono ciò che non devono aprire, e tutto ciò che si rivela, alla fine, scompare. Sono fiabe della tradizione giapponese, che non prevedono il lieto fine: «La condizione dell’inizio e quella della fine si toccano. C’era il vuoto e c’era il nulla. Il Vuoto e il Nulla hanno una forma? E quindi, nel non c’è, cosa c’è da sapere?», scrive l’autrice. In scena martedì 4, mercoledì 5, giovedì 6, venerdì 7 aprile alle 9 e alle 11. La pietra dello scandalo – realizzato attraverso il laboratorio del Metodo errante L’attore davanti agli occhi di un bambino – è la storia di una pietra vecchia come la terra, che prima fa inciampare tutti coloro che la incontrano lungo il cammino e poi dice loro la cosa più bella del mondo: “Diventerai Re!”. Ispirato a Macbeth di Shakespeare, pone gli spettatori (bambini e non) di fronte a un dilemma: quella voce ha creato un desiderio e lo si vuol raggiungere a tutti i costi, come a dire che per avere una cosa bella si deve fare una cosa brutta, che per avere, si deve togliere. «Il c’è e il non c’è si toccano. Il bello è brutto. Il brutto è bello. Lo faccio? Non lo faccio? È una bella domanda. Che riguarda tutti», scrive Chiara Guidi. In scena martedì 25 aprile ore 18.30 e mercoledì 26, giovedì 27, venerdì 28 aprile ore 10. Fanno parte degli spettacoli di Puerilia anche Edipo sveglia il tempo, frutto del laboratorio di Chiara Guidi con gli adolescenti, in scena lunedì 1 maggio alle 18.30, e Storia straordinaria di Peter Schlemihl, il 30 aprile alle 18.30. Tutti gli spettacoli sono consigliati per i bambini dai 7 anni (posti limitati, è consigliata la prenotazione). Societas, Teatro Comandini, Via Serraglio 22, Cesena, tel. 0547 25566 (dal lunedì al venerdì dalle 9 alle 17) prenotazioni@societas.es / societas.es.
RIAPRE L’ANTICO
PORTO E RIPARTONO I LABORATORI
Dopo la pausa invernale, a partire da sabato 1° aprile l’Antico Porto di Classe sarà riaperto al pubblico e sarà quindi nuovamente possibile visitare uno dei più importanti scali portuali del mondo romano e bizantino sviluppato intorno alla grande Basilica di Sant’Apollinare in Classe, tutti i giorni dalle 10 alle 18.30. In particolare, sabato 22 e 29 aprile e sabato 6 e 13 maggio vengono riproposti anche gli appuntamenti di primavera per grandi e piccini, visita guidata per adulti e laboratorio didattico per bimbi da 7 a 12 anni. A seguire aperitivo e merenda per i più piccoli. Evento a prenotazione obbligatoria: tel. 0544 478100 entro il giorno prima.
FORLÌ VISITE
E ATELIER PER I PIÙ PICCOLI ALLA MOSTRA SULL’ART
DÉCO
In occasione della mostra dedicata all’Art Déco nei musei di San Domenico a Forlì, nei week-end di aprile saranno disponibili laboratori didattici dedicati alle famiglie e in particolare rivolti ai bambini dai 6 agli 11 anni (prenotazione obbligatoria agli operatori di riferimento). Tutte le attività sono articolate in un unico incontro di due ore suddiviso in due momenti: visita guidata alla mostra, propedeutica (1 ora) nell’aula didattica appositamente predisposta. Info: http://www.mostrefondazioneforli.it
GUSTO
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LA TRADIZIONE
LA CURIOSITÀ LAMPÈZ, GIOCO PER
I PICCOLI, PRELIBATEZZA PER I GRANDI
Il rito della tavola di Pasqua per celebrare la rinascita L’agnello unisce la simbologia ebraica e cristiana
di Giorgia Lagosti
Da sempre Natale e Pasqua scandiscono il succedersi delle stagioni e, con i loro riti e le tradizioni legate alla tavola, celebrano sì due momenti cardine della cristianità, ma suggellano anche due importanti transizioni: il passaggio tra l’autunno e l’inverno, segnato dal solstizio che vede il punto più basso del cammino del sole, e l’arrivo della primavera (la
Pasqua cade la prima domenica dopo il plenilunio seguente all’equinozio del 21 marzo). E questi due momenti così diversi, quello in cui la natura “va a dormire” prima e rinasce poi, li ritroviamo molto chiaramente anche nella tradizione legata al cibo. Se il Natale infatti è il trionfo di autunno e inverno e dei loro frutti, il menù pasquale richiama di più la freschezza e la rinascita della natura.
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Le uova sono
immagine della vita e simbolo della Resurrezione di Cristo
Nelle case di campagna delle colline romagnole sopravvive qua e là la tradizione del lampéz, letteralmente “lampeggiare”. Un gioco per bambini, e una prelibatezza per gli adulti. Mentre l’agnello rosola sul girarrosto, girando sopra le braci del camino, si avvolge del lardo in un foglio di carta oleata, lo si infilza su uno spiedo e lo si mette nella fiamma. Quando brucia lo si alza sopra la carne. Il fuoco scioglie il lardo che cade a gocce sull’agnello facendo delle piccole fiammelle.
Poi c’è un altro aspetto, forse ancora più importante, che distingue le due tavole delle feste: il pranzo di Natale si rifà principalmente a tradizioni gastronomiche di origine popolare e contadina, cappelletti, cappone, arrosti, torrone.. mentre il pranzo di Pasqua ha un valore sacrale e simbolico estremamente pronunciato. Si può quasi dire che la tavola di Pasqua sia più un rito che un pranzo. E cominciamo con l’uovo, da sempre immagine della vita. In molte tradizioni e filosofie anche precristiane l’uovo è il simbolo dell’unità, della perfezione, della nascita e dell’eterno ritorno. In quella cristiana, questo eterno ritorno è la Resurrezione di Cristo: il guscio rappresenta il sepolcro che si “rompe” dentro il quale si ritrova la vita. E praticamente su tutto il territorio nazionale, fino a pochi decenni fa, l’uovo, benedetto in chiesa nella settimana precedente alla domenica pasquale, si faceva sodo e veniva messo nel piatto del commensale. In silenzio, dopo la preghiera, ognuno lo ripuliva dal guscio lo consumava. Così si
dava inizio a ogni pranzo di Pasqua. Poi, tradizione voleva che il guscio non si buttasse nell’immondizia, ma venisse bruciato nel camino, in quanto parte di un’unità benedetta. Quello a seguire era il pranzo vero e proprio e negli antipasti faceva da padrone i tutto ciò che si trovava di stagionale, erbe e carciofi, gli stridoli, i piselli, gli asparagi insieme agli affettati. Mai mancava il salame che molti avevano già consumato a colazione con la pagnotta pasquale. Circa i primi piatti, insieme agli immancabili passatelli, caldi e rassicuranti, ricchi di uova, formaggio, pane e noce moscata, profumati, si potevano trovare le lasagne verdi, le tagliatelle o gli strozzapreti, magari al ragù o con condimenti di verdure. Al posto dei passatelli però poteva esserci la più originale zuppa imperiale: un composto dei medesimi ingredienti con l’aggiunta del semolino, cotto al forno, tagliato a tocchetti e servito nel brodo di carne. Non si scappava, invece, sul piatto principale: l’agnello. Anche in questo caso, rispetto al
L'Albergo Cappello occupa uno dei più interessanti edifici del Rinascimento a Ravenna, il Palazzo Bracci del 1470
L'osteria offre un ampia selezione di vini locali e nazionali; ogni giorno dalle ore 18 un raffinato aperitivo con vini in degustazione.
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GUSTO
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31 L’uovo è da sempre simbolo della vita. Sotto, i passatelli nel brodo di pesce, un tipico piatto pasquale delle zone costiere.
Natale, il valore simbolico del pranzo è ben evidente: nel piatto si fondevano due tradizioni, quella ebraica, e quella cristiana. La parola Pasqua deriva infatti dall’ebraico “Pesach”, che significa passaggio e commemora l’esodo degli ebrei dall’Egitto attraverso il passaggio del Mar Rosso. Quella notte le famiglie degli ebrei consumarono un pranzo veloce a base di carne d’agnello ed erbe amare, e poi fuggirono. Da non trascurare poi che il Signore aveva ordinato al suo popolo di marcare gli stipiti delle loro porte con del sangue di agnello in modo che l’angelo sterminatore potesse riconoscerle ed evitarle, uccidendo invece i primogeniti d’Egitto. L’agnello era una ricchezza per le popolazioni, come quelle semiti-
che, dedite alla pastorizia, e per questo era l’animale destinato al sacrificio. L’agnello di Dio infine, Cristo, è anche il simbolo della Pasqua cristiana, il sacrificio per eccellenza. Quindi mangiare l’agnello è consacrare sia rituali ebraici che cristiani. Andando ora su preparazioni più locali, e quindi caratteristiche di areali piccoli e ben delineati, possiamo ricordare la torta al formaggio tipica di Rimini che risentiva dell’influsso del Montefeltro. E ancora è importante ricordare che sulla costa la Pasqua era, e lo è ancora oggi, anche “di mare”, di quel mare nostrum, l’Adriatico, che in questo periodo dell’anno offre bianchetti, sgombri, mormore, ma anche granceole e lumachini. Ed ecco allora
che i passatelli venivano cotti in brodo di pesce, che come secondo si preparavano le seppie in umido con piselli. Anche il brodetto era un classico, un piatto povero dei pescatori locali ma buonissimo. Si otteneva con diverse varietà di pesce fresco lasciate cucinare in una casseruola a fuoco basso insieme a olio, cipolla, aglio, conserva e vino bianco. Infine, un pranzo di Pasqua romagnolo, soprattutto in collina, non poteva essere considerato tale se sulla tavola mancava una bella fetta di pagnotta pasquale: dolce tipico della tradizione che si mangiava al mattino con l’uovo benedetto. In pratica si trattava di una ciambella ed era originaria della zona di Sarsina (vedi box).
LA RICETTA LA
PAGNOTTA DI
SARSINA
TRA STORIA E USANZE
La pagnotta è un tipico dolce di Sarsina e dintorni, che un tempo s’identificava con la stessa festività pasquale e allietava anche la tavola dei più poveri. Si cominciava a mangiarla, insieme all’uovo benedetto, la mattina del giorno di festa e si proseguiva a gustarla ai pasti anche nei giorni successivi, sino alla domenica dopo e anche oltre. Ogni componente della famiglia ne aveva di solito una a disposizione, e non era poco, trattandosi d'una pagnotta di trequattro chili. Nelle campagne della media Valle del Savio si preparavano anche in misure più ridotte e in forme cilindriche varie. A Sarsina la pagnotta si fa ancora durante il periodo quaresimale presso i fornai locali. Questa è la ricetta tradizionale, pubblicata da Vittorio Tonelli nel suo libro A tavola con il contadino romagnolo - Imola 1986, p. 192: - due chili di farina di grano; - uno di pasta lievitata; - sette etti di zucchero; - un etto mezzo di strutto (o margarina); - dieci uova; - buccia grattugiata di due o tre limoni; - due bustine di vaniglia; - un pugno di lievito di birra; - un pizzico di sale e, volendo, dell'uva secca. L'impasto, a forma di cupola, si lascia lievitare ore e ore, in attesa della cottura, che dovrà avvenire a fuoco lento, nel forno, sopra fogli di carta straccia. Prima, però, va “pennellato” con uova sbattute e superficialmente tagliato in alto perché abbia a “fioccare” bene. A cottura ultimata (dopo un'ora circa), la pagnotta si presenta nella sua profumata mole marroncina, alta venti centimetri e con un diametro base di quaranta. Un momento delicato e importante è quello ella lievitazione, che necessita di un ambiente caldo a temperatura costante. Anni fa le forme impastate si mettevano, addirittura, a lievitare nel letto, col “prete”, il quale non era altro che un vecchio attrezzo di legno ricurvo atto ad impedire alle lenzuola di bruciarsi a contatto col recipiente ripieno di carbone acceso.