FREEPRESS n.37
MARZO 2018
MUSICA • TEATRO • LIBRI • ARTE • CINEMA • GUSTO • RUBRICHE
Prezzo €AGG 0,08IO PIA OM CO ISSN 2499-0205
Bartolomeo Passerotti, Venditrici di pollame (Le pollarole), 1580, olio su tela. Firenze, Fondazione di Studi di Storia dell'arte Roberto Longhi in mostra ai Musei di San Domenico a Forlì
OPERE D’ECCEZIONE LA MOSTRA DEDICATA AL ‘500 AL SAN DOMENICO DI FORLÌ MERITA TEMPO E ATTENZIONE
Via Faentina 218s Fornace Zarattini Ravenna tel. 0544 463621 www.ravennainterni.com www.facebook.com/RavennaInterniM
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INTERVISTA ELIO TRA MOZART E LA FINE DELLE STORIE TESE
MUSICA PARLA GHEMON, IL RAPPER CHE VUOLE LASCIARE UN SEGNO
TEATRO LO SPETTACOLO DELLE ALBE “VA PENSIERO” A CESENA
CINEMA IN ARRIVO IL FILM RIVELAZIONE “LADY BIRD”
COPERTINA LA RECENSIONE DELLA GRANDE MOSTRA A SAN DOMENICO
ARTE L’INNOVAZIONE DELLA GRAFICA DELLA COPPIA LICALBE STEINER
LIBRI INTERVISTA A DAVID SZALAY TRA SCRITTURA E CONFINI
GUSTO LA QUARESIMA SULLE TAVOLE E IL PESCE “DEL SACRIFICIO”
DA NICO A BOWIE: STORIE DI MUSICA AL CINEMA Ultimi appuntamenti con “Across the movies”, rassegna di film musicali d’autore al cinema Eliseo di Cesena. Giovedì 1 marzo l’appuntamento è con Nico, road-movie del 1988 dedicato agli ultimi anni della musa di Warhol, cantante dei Velvet Underground (con musica dal vivo di Angela Baraldi e Corrado Nuccini dei Giardini di Mirò); l’8 riflettori su George Michael, protagonista di “Freedom” (intervento musicale di “Houdini” Righini e Federico Mecozzi); il 15 la rassegna termina con David Bowie e il documentario sugli ultimi cinque anni della sua carriera, “The last five years” (nella foto), con live di Cappadonia. Le proiezioni iniziano alle 21, precedute da aperitivo e introduzione del dj Luigi Bertaccini. A seguire, Aftermovie Party alla Cantera
R&D Cult nr. 37 - marzo 2018
Autorizzazione Tribunale di Ravenna n. 1427 del 9 febbraio 2016 Editore: Edizioni e Comunicazione srl Via della Lirica 43 - 48124 Ravenna - tel. 0544 408312 www.reclam.ra.it Direttore Generale: Claudia Cuppi Pubblicità: direzione@reclam.ra.it tel. 0544 408312 Area clienti: Denise Cavina tel. 335 7259872
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Gardelli, Sabina Ghinassi, Enrico Gramigna, Giorgia Lagosti, Linda Landi, Filippo Papetti, Guido Sani, Serena Simoni, Elettra Stamboulis. Redazione: tel. 0544 271068 redazione@ravennaedintorni.it Poste Italiane spa Sped. in abb. post. D.L. 353/2003 (conv. di legge 27/02/2004 n. 46) art. 1 comma 1 DCB C.R.P.- C.P.O. RAVENNA
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l’intervista AGENDA MUSICA CLASSICA A Ravenna Musica anche le orchestre laBarocca e Sinfonica Rossini Dopo Elio (che intervistiamo in questa pagina), gli altri due appuntamenti di marzo di “Ravenna Musica” prevedono due fra le più importanti compagini italiane: l’Orchestra laBarocca e l’Orchestra Sinfonica Rossini, all’Alighieri rispettivamente giovedì 22 e lunedì 26 (tutti i concerti alle 20.30). La prima ha sede a Milano ed è specializzata nella prassi esecutiva del periodo barocco; l’altra ha la doppia sede a Pesaro a Fano ed è una delle orchestre del Rossini Opera Festival.
Il soprano Eleonora Buratto con Carusi per Mikrokosmos Prosegue alla sala Corelli del teatro Aighieri di Ravenna (alle 11 del mattino) la rassegna organizzata dalla scuola di musica Mikrokosmos. Il 4 marzo sul palco un duo di pianiste a 4 mani composto dalle gemelle Eleonora e Beatrice Dallagnese. L’11 marzo il soprano mantovano Eleonora Buratto, accompagnata dal pianista di fama Nazzareno Carusi. Il 18 marzo un inedito duo (pianoforte a quattro mani) formato dallo stesso Carusi e Olaf John Laneri e il 25 marzo i migliori allievi della masterclass di pianoforte di Davide Cabassi.
A Forlì il pianista Lucchesini e la festa di Danilo Rossi Al teatro Fabbri di Forlì la stagione musicale prosegue venerdì 9 marzo (alle 21) con il pianista toscano di fama internazionale Andrea Lucchesini per un concerto dal titolo “Il pianoforte romantico”. Nel programma brani di Schumann e Chopin. Martedì 27 marzo invece al Fabbri andrà in scena la festa per i 30 anni di concerti del direttore artistico della rassegna, Danilo Rossi (da tre decenni prima viola al Teatro alla Scala di Milano) insieme all’inseparabile pianista Stefano Bezziccheri. A presentare Oreste Bossini di Rai Radio 3.
A Faenza la violoncellista Chiesa omaggia Schumann La stagione di Emilia Romagna Festival al Masini di Faenza si chiude il 19 marzo con la grande violoncellista Silvia Chiesa che, accompagnata al pianoforte da Maurizio Baglini, presenterà un programma dedicato a Robert Schumann.
A Bagnacavallo l’Agitata di Bizantina e Delphine Galou Gran finale della stagione di classica al Goldoni di Bagnacavallo che il 22 marzo ospita Accademia Bizantina (che cura la rassegna) e la cantante francese Delphine Galou, diretti dal maestro Ottavio Dantone. Presenteranno dal vivo il nuovo album “Agitata”: un programma di musica sacra, mottetti, cantate e stralci di oratori.
A Lugo torna la Wunderkammer: sul podio Tenan, al piano Vergini Venerdì 23 marzo alle 20.30 al Rossini di Lugo secondo appuntamento con la pesarese Wunderkammer Orchestra: sul podio ancora il veneto Carlo Tenan – allievo prediletto di Lorin Maazel – al pianoforte il pesarese Marco Vergini, uno dei migliori talenti pianistici usciti dall'Accademia “Incontri col Maestro” di Imola.
Al Bonci di Cesena l’omaggio a Verdi dell’Orchestra Corelli Domenica 25 marzo alle 21 al teatro Bonci di Cesena l’Orchestra Corelli diretta dal ravennate Jacopo Rivani presenta un omaggio a Giuseppe Verdi dal titolo “Pianse ed amò per tutti”. Clarinetto solista, Nicholas Gelli.
Elio e la fine delle Storie Tese «Siamo al top. Quindi ci sciogliamo» Il cantante a Ravenna con Il flauto magico: «Avviciniamo i bambini alla classica» Ha fondato nel 1980 quello che secondo molti addetti ai lavori è stato il gruppo italiano più geniale di sempre, con dieci album in studio alle spalle, tutti (stando perlomeno a Wikipedia) certificati disco d’oro. Non ha comunque certo bisogno di presentazioni Stefano Belisari, in arte Elio, in procinto di sciogliere definitivamente le sue Storie Tese dopo l’annuncio arrivato sul finire del 2017 e il concerto d’addio del 19 dicembre al Forum d’Assago. Concerto che poi è diventato un tour, le cui date proseguiranno anche in primavera (con tanto di tappa al palazzetto di Rimini il 23 maggio), con la “scadenza” definitiva fissata in giugno. Abbiamo parlato di tutto questo con Elio in una chiacchierata al telefono mentre era in auto con Faso e Cesareo, diretti verso Torino per presentare l’ultimo disco (Arrivedorci, un live con due inediti), come un gruppo qualsiasi. Ma ancor prima abbiamo parlato di musica classica, visto che Elio sarà sul palco del teatro Alighieri di Ravenna (il 6 marzo alle 20.30) con una sua rivisitazione de Il flauto magico, nell’ambito della stagione musicale dell’associazione Mariani (gli altri appuntamenti nell’agenda qui a fianco). Lui che ha una formazione classica e non ha mai del tutto abbandonato l’interesse verso questo ambito musicale. «L’errore, quando si entra nel “classico” – dice – è che ci si irrigidisce tutti, dimenticandosi che i compositori di queste opere le hanno scritte a vent’anni ed erano tutt’altro che rigidi. La musica classica raggiunge livelli di qualità raramente toccati in altri generi musicali, ma soffre moltissimo per la forma e il modo con cui viene presentata. Bisogna tornare invece a invogliare in primis i bambini a “frequentare” la classica». Quindi inviti anche i bambini a teatro a Ravenna? «Assolutamente sì, la mia speranza è che tra il pubblico ci siano innanzitutto bimbi, perché da loro si ottengono le reazioni più genuine. E poi sarà che io rido per le stesse battute che fanno ridere loro. Ogni tanto penso ancora alle risate quando vidi per la prima volta apparire in tv Cochi e Renato, davanti alla faccia stupita dei miei genitori: i bambini sono così spontanei, puri, senza influenze». Come è nata la collaborazione con i musicisti dei Berliner Philharmoniker che saranno sul palco con te? «Mi è stata offerta questa possibilità e ho accettato, sempre con l’intento di abbattere le barriere. Oltretutto uno potrebbe pensare ai musicisti dei Berliner come a persone ingessate, e invece posso assicurare che è tutto il contrario». Arrivando allo scioglimento delle Storie Tese, non è che, come scrive qualcuno sui social, si rivelerà essere solo uno scherzo per promuovere il tour? «I social non capiscono un cazzo, è inutile, nessuno mi farà mai cambiare idea. E il fatto che mettano in dubbio lo scioglimento ne è una prova. Adesso, per esempio, stiamo andando
verso Torino per presentare il tour d’addio e l’ultimo disco, ci sentiamo come in marcia contro i miscredenti». Perché allora non fermarsi al concerto del Forum? «Perché a Baglioni (il direttore artistico dell’ultimo festival di Sanremo, a cui gli Eelst hanno partecipando arrivando ultimi, ndr) non si può dire di no e poi perché non è stato sufficiente quel concerto, per soddisfare tutti. Così ci abbiamo attaccato un tour che ripeterà a grandi linee quel concerto, con il palco a forma di bara e una lapide virtuale. Suoneremo come se non ci fosse un domani per tre ore, saluteremo tutti quelli che ci hanno voluto bene, i nostri cari. Perché sarà l’ultima volta in cui sarà possibile ascoltare dal vivo questa band». Contenti di essere arrivati ultimi all’ultimo Sanremo nell’ultimo anno della vostra esistenza, immagino... «Era quello che volevamo, l’ultimo posto a Sanremo è una medaglia che ci mancava in mezzo a tante altre medaglie che arricchiscono la nostra uniforme». E ora cosa farete? Dopo lo scioglimento intendo... «Abbiamo tantissime idee. Per esempio, proprio Sanremo, in mezzo a tanta merda, ha fatto fiorire alcuni fiori come i Neri per caso (con cui hanno duettato all’ultimo Festival, ndr) che abbiamo scoperto essere nostri fan accanitissimi, non lo sospettavamo. Ecco, magari potrebbe nascere una collaborazione con loro. D’altronde uno dei tanti aspetti belli di sciogliersi è la libertà assoluta che poi comporta». Ma perché sciogliersi, in definitiva? «I motivi sono più di uno, ma uno molto valido è che siamo probabilmente al massimo delle nostre possibilità creative e tecniche sul palco ed è quindi una scelta perfettamente in linea con la nostra carriera controcorrente: lasciare al top». Qual è la cosa di cui vai più fiero, con le Storie Tese? «Sicuramente di aver scelto insieme come prima cosa, all’apice del nostro successo popolare, subito dopo “La terra dei cachi”, di fare il film di Rocco Siffredi (Rocco e le storie tese, film porno del 1997 che vede la partecipazione del gruppo, che ha anche firmato la colonna sonora, ndr)». E la cosa che non rifaresti? «Rifarei tutto, come si dice in questi casi (ride, ndr)». Anche il giudice a X Factor? Che idea ti sei fatto dei talent show televisivi? «Se reputo una proposta interessante l’accetto e non escludo di poterlo rifare in futuro, ma dovrebbero prima chiedermelo. Grazie ai talent, almeno, la musica è tornata in televisione e al centro delle discussioni. Non nego che ci siano anche aspetti negativi, ma certo non sono i talent i responsabili della crisi del settore. La musica è in crisi da tantissimo tempo: la discografia si può dire che sia in crisi da quando gli imprenditori puri sono stati sostituiti dai cosiddetti esperti...». Luca Manservisi
«La cosa di cui vado più fiero? Il film con Rocco all’apice del nostro successo L’ultimo posto a Sanremo è la medaglia che ci mancava»
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marzo 2018
canzone italiana
LA ROMAGNA IN CUFFIA
Il balzo in avanti dei Rigolò
JOVANOTTI DA TRIPLA Arriva al palazzetto di Rimini il tour 2018 di Lorenzo Jovanotti: l’appuntamento è per ben tre date, il 3, 4 e 6 marzo all’Rds Stadium.
BARBAROSSA ROMANESCO Il 18 marzo il tour teatrale di Luca Barbarossa fa tappa al Novelli di Rimini dove, oltre al suo repertorio storico, presenterà il nuovo lavoro discografico in romanesco.
BRUNORI SOLD OUT Il 7 marzo è in programma l’unica data in Romagna del tour teatrale di Brunori Sas. L’appuntamento (già sold out) è per il 7 marzo all’Alighieri di Ravenna
DENTE & CATALANO L’11 marzo al Novelli di Rimini torna in Romagna il tour che vede insieme sul palco il cantautore Dente e il poeta Guido Catalano
di Luca Manservisi
Saltando inutili preamboli, deciso balzo in avanti per i Rigolò – band ravennate di pop-folk con un piccolo seguito che va ben oltre i confini provinciali – che con il loro quarto album Tornado (il terzo con una formazione più stabile attorno al fondatore Andrea Carella) confezionano il loro lavoro più compiuto e maturo. Passando così dalla sorta di promettenti bozzetti del passato (e dell’ultimo Gigantic, di ormai tre anni fa), a canzoni più strutturate, con un suono più pieno e ricco (pur restando piuttosto minimale, ma la differenza è evidente se si ascoltano i due album in successione). Canzoni circolari nel loro modo di alternare parti strumentali, ritornelli e crescendo melodici senza tralasciare la “chiusura” (esemplare l’evocativa “Happyness”) e valorizzate dalla scelta di affiancare più spesso la voce femminile di Jenny Burnazzi a quella di Carella, già di per sé notevolmente cresciuta (e consapevole dei propri mezzi) rispetto al passato, forse anche perché semplicemente meno nascosta. Inevitabili i rimandi a gruppi che hanno puntato tanto sugli impasti tra più voci e su una malinconica lentezza, penso per esempio ai Galaxie 500 e poi di conseguenza ai Luna (la splendida “Mexico” non sfigurerebbe tra i loro pezzi più eterei), per poi proseguire con i riferimenti citando gli Young Marble Giants per lo stile minimale, i primi Belle & Sebastian (nella conclusiva, saltellante, “Bon Voyage”) o perfino echi morriconiani (in “Borders”) e nel cuore dell’album momenti più astratti (la sognante “Two tickets to fly” o l’intro post-rock di “Tempesta”). Senza contare l’inevitabile rimando agli australiani Sodastream (troppo spesso dimenticati), grazie in particolare al sempre presente (ancora un valore aggiunto) violoncello di Burnazzi. A lasciare l’amaro in bocca (ancora una volta) l’esiguità della durata: otto canzoni, trenta minuti, troppo poco per ambire a diventare un disco così importante (restando pur sempre in una nicchia) in ambito nazionale e, perché no, internazionale (a occuparsi del mastering, tra l’altro, è nientemeno che Brian Deck, al lavoro anche con Califone e Modest Mouse) ma comunque un gioiellino da custodire per gli amanti di “piccole” canzoni tra melodia e malinconia cantate in inglese.
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marzo 2018
rock club ravenna/1
DOPO X FACTOR, I BELIZE SUONANO AL BRONSON E dal Texas ecco i Balmorhea Poi i live di Moog e Abajur Al Bronson di Madonna dell’Albero (Ravenna) in marzo continuano i live di caratura internazionale, ma si parte (il 3 marzo) con uno dei progetti più interessanti del panorama indie italiano, quello del cantautore romano Marco Zitelli, in arte Wrongonyou, neo folk in lingua inglese ispirato da artisti come Bon Iver e Fleet Foxes (in apertura il rock melodico dei cesenati Sunday Morning) per proseguire il 10 marzo con i lombardi Belize, già seguiti con interesse da Manuel Agnelli nei casting dell’ultima edizione di “X Factor” (tra rock, elettronica e trip hop). Il 17 marzo appuntamento al Bronson con le L.A. Witch, trio al femminile della scena acid-rock di San Francisco (in apertura le ferraresi Frown), per poi concludere il mese (venerdì 23) con un’altra band americana, i texani Balmorhea, con il loro sound strumentale tra post-rock e post “classical”. In centro a Ravenna, invece, continua la programmazione di ottimo livello (a ingresso gratuito) di due piccoli club. Al Moog di vicolo Padenna si parte il 1 marzo con i Cristallo, side project dei bolognesi Melampus (dream-pop elettronico in italiano) – attesi anche il 14 marzo al Diagonal di Forlì – per poi proseguire l’11 con gli americani Loch Lomond (chamber pop), il 18 con i danesi Rome in Reverse (electroambient, trip hop) e il 25 marzo con gli irlandesi The Altered Hours (alt-pop psichedelico). Al circolo Abajur di via Ghibuzza invece in marzo si parte il 2 con Mr. Deadly one Bad man, progetto garage blues nato da una costola dei marchigiani The Gentlemens, che saranno all’Abajur il 9 marzo. L’11 ecco il cantautore ravennate Giacomo Scudellari che presenta il nuovo album (in apertura la concittadina Mara), così come stanno promuovendo il loro nuovo lavoro i ravennate Rigolò (indie-folk), sul palco il 16. Il 18 invece arrivano dalla Francia Les Lullies (punkrock) e il 30 appuntamento con il garage pop dei veneti Miss Chain & The Broken Heels. Concerti alle 21.30 (domenica alle 18). L.A. Witch, al Bronson
Giovanni Succi, al Cisim
rock club ravenna/2
SUCCI E MURUBUTU, STRANA COPPIA AL CISIM Al Kinotto invece i cantautori Lucio Leoni e Matteo Fiorino Restando nei dintorni di Ravenna, da segnalare gli appuntamenti (oltre al festival Under di cui parliamo a pagina 9) del Cisim di Lido Adriano che venerdì 9 marzo ospita il pop elettronico dei bolognesi Two Moons e il giorno dopo invece l’hardcore punk dei ravennati Actionmen e l’atipico (due bassi e batteria) trio punk-funk Le Singe Blanc. Appuntamento da non perdere al Cisim il 16 marzo con il cantautore emiliano (con il suo rap di ispirazione letteraria) Murubutu e il piemontese Giovanni Succi, leader dei Bachi da Pietra che presenta il suo disco solista, acclamato dalla critica, Con ghiaccio. Passando invece al circolo Arci Kinotto (vicino a Mezzano, sempre nei dintorni di Ravenna) giovedì 1 il pop-rock dei faentini MoMa per poi proseguire il 4 con Il Re Tarantola (progetto lo-fi/indie/rock del bresciano Manuel Bonzi); l’11 con i Vinsanto del faentino Bruno Orioli; il 17 con Lucio Leoni, cantautore romano da molti considerato erede di Daniele Silvestri, che presenta il nuovo album “Il lupo cattivo”; il 18 marzo i Kitchen Implosion, progetto che nasce dall’esperienza folk-rock dei piemontesi In The Kitchen e il 25 marzo il cantautore ligure Matteo Fiorino. I concerti iniziano alle 21.30, tranne quelli della domenica al Kinotto, all’ora dell’aperitivo.
i canadesi Courage My Love. Ancora pop-punk sabato 17 marzo con uno degli astri nascenti della scena americana, da Houston, i Waterparks (in apertura i britannici Dead!). Infine, il 31 marzo a Pinarella arrivano gli svedesi Satanic Surfers, nell’olimpo delle punk-rock band che hanno avuto grande successo negli anni ’90, durante il periodo d’oro del revival punk. Restando in zona, da segnalare a Cesenat ico, al pub The Brews, serate con cantautori folk-rock internazionali tra cui il 10 marzo l’israeliano Yotam Ben Horin (della punk-band Useless ID) e il francese Mike Noegraf mentre il 18 l’italiano giramondo Gipsy Rufina. Il 16 marzo, sempre a Cesenatico, al Caffè degli Artisti appuntamento con la rock n' roll bar band dell’americano Bill Toms, ex chitarrista degli Houserockers (la storica band di Joe Grushec ky che spesso ha accompagnato Bruce Springsteen).
rock club forlì-faenza
AL DIAGONAL TRA POP, FOLK ED ELETTRONICA E al Clandestino arrivano i russi Gnoomes A Forlì – detto del programma dell’Area Sismica di Ravaldino a pagina 9 – l’appuntamento con i concerti rock (con una particolare attenzione verso l’elettronica) è allo storico Diagonal Loft Club, tutti i mercoledì. Il 7 marzo sul palco i toscani /handlogic (tra pop ed elettronica, passando per accenni jazz e R&B); il 14 con i bolognesi Cristallo (dream pop elettronico, side-project dei Melampus, attesi anche l’1 marzo al Moog di Ravenna); il 21 con il chiacchierato (nel mondo indie italiano) alt-pop dei lombardi Generic Animal e il 28 con Gigante, mix di folk e new wave, con sfumature post punk ed elettronica del leader dei pugliesi Moustache Prawn. Nella vicina Faenza da segnalare tra gli altri il concerto del 3 marzo al Clandestino dei russi Gnoomes (spacerock).
rock club cervia-cesenatico
I SATANIC SURFERS A PINARELLA Punk melodico anche con gli As It Is e i Waterparks Allo storico Rock Planet di Pinarella continuano i concerti di caratura internazionale all’insegna delle sonorità “dure”. Sabato 3 marzo serata all’insegna del punk melodico con uno dei punti di riferimento della scena internazionale, i britannisi As It Is. In apertura gli WSTR, da Liverpool, e
I Cristallo, attesi al Diagonal e anche al Moog
Naddei
rock club cesena-savignano
AL SIDRO DAL “TEMPIO” FINO AL DUO BUCOLICO Naddei e Senni al “Magazzino” Band francese a Gambettola A Cesena, detto di Ghemon (intervista nella pagina a fianco) al Vidia (che poi si limita a ospitare un tributo ai Coldplay il 3 marzo e l’irish folk dei cesenati Lennon Kelly il 10), da segnalare i concerti del Magazzino Parallelo: venerdì 2 marzo folk balcanico con i marchigiani Marca da Ballo; sabato 3 il nuovo progetto (che si chiama semplicemente Naddei) del cantautore e produttore forlivese Franco Naddei (noto anche come Francobeat) e il 14 marzo voce e piano con il cesenate Francesco Senni (dei Consorzio Portuali). Nella vicina Savignano, al Sidro Club il 10 marzo suonano i “padroni di casa” Vox Kernel (emo, rock, noise, pop) e i toscani Il Tempio (altrock); il 17 i lombardi His Electro Blue Voice (noise) e i forlivesi Havah (new wave), il 23 Black Gremlin (rock'n'roll da Parma) e i forlivesi Carnero (hardcore) e il 31 il pop-rock demenziale del riminese Duo Bucolico. Restando in zona, al Treesessanta di Gambettola da segnalare il live di rock psichedelico dei francesi You Said Strange, il 3 marzo.
rock club rimini
DA PALETTI A CIMINI: L’INDIE PARLA ITALIANO Al Bradipop pure il progetto del batterista dei Verdena Con l’addio gli anni scorsi del Velvet, a Rimini il rock club è il sabato sera al Bradipop (alla discoteca Ecu). I concerti in marzo partono il 3 con i Dunk progetto nato dall'incontro tra i fratelli Ettore e Marco Giuradei (dei Giuradei, appunto), Luca Ferrari dei Verdena e Carmelo Pipitone (Marta sui Tubi; O.R.K.); il 10 sul palco il cantautore folk-rock Giancane, componente del gruppo romano Il Muro del Canto; il 17 The Urgonauts, collettivo rocksteady e ska dalle colline romagnole; il 24 con il cantautore lombardo Paletti e il suo electro-pop; il 31 il cantautore calabrese Cimini. Al Wave di Misano Adriatico, invece, da segnalare il 3 marzo il concerto del pesarese Lucy Anne Comb, voce fuori dal tempo che ammicca al folk e songwriting americano.
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marzo 2018
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Dalla depressione a Sanremo: il rapper che vuole lasciare il segno
I COLLE DER FOMENTO ALL’UNDER FESTIVAL A fine marzo a Ravenna anche Shorty e Real Rockers
Intervista a Ghemon, in concerto il 31 marzo al Vidia di Cesena e in procinto di pubblicare il suo primo libro: «Sarà un diario di appunti, non una biografia» di Filippo Papetti
Giovanni Luca Picariello, meglio noto come Ghemon, è senza dubbio uno dei miglior rapper della sua generazione. Negli ultimi anni, perlomeno dalla pubblicazione del penultimo album Orchidee (2014), e dopo un percorso di studio sulla propria voce che va avanti da almeno un decennio, Ghemon ha incominciato anche a cantare, seguendo una via intrapresa anche da altri – come Neffa – ma mantenendo una traiettoria molto personale, figlia di un background ben preciso fatto di soul e hip hop di un certo tipo, e ben lontana dalla ricerca del successo radiofonico a tutti i co sti. Mezzanotte, il suo ultimo disco, prosegue questo discorso ma in maniera più oscura e catartica, essendo un album incentrato in gran parte sul racconto della depressione clinica che l'ha colpito negli ultimi anni e che l'ha costretto a fare i conti con se stesso. È stato quindi un piacere vederlo in gran forma sul palco dell'Ariston per l'ultimo Festival di Sanremo, a suggellare il superam ento del brutto periodo duettando con Roy Paci e Diodato cantando “Adesso è tutto ciò che avremo”. In quella che, se ce ne fosse stato bisogno, è stata l'ennesima conferma di un grande talento della scena hip hop nostrana, a suo agio anche nel tempio della canzone italiana. Questa è la chiacchierata che ci siamo fatti in occasione del suo live al Vidia di Cesena, il 31 marzo. Mezzanotte è uscito or mai da qualche mese. Sei contento di com'è stato recepito, considerando anche che è un disco complesso e molto profondo? «Ancora no. Penso che questo disco abbia ancora tantissimo da rivelare e me ne rendo conto da quanto sia aumentato il numero di persone che mi scrivono oggi “inizialmente non lo avevo apprezzato e lo avevo messo da parte, penso di essermi sbagliato”. Non che io desideri un plebiscito, l’arte bella è pure divisiva, ma penso che soprattutto coi concerti il disco possa sprigionare ancora molta energia» Com’è cambiato il tuo metodo di scrittura e il tuo modo di lavorare in studio da quando sei passato dalle produzioni musicali di un beatmaker, al suonare con una band vera e propria? «È semplicemente più libero e ne sono felice, ma ho conservato anche una parte di quello che facevo prima, perchè il beatmaker sono diventato io. Il primo approccio alle strumentali è sempre mio: accendo il computer, stendo un loop di batteria, faccio un basso, qualche accordo di piano e poi ci disegno una melodia con la voce. È più lungo come processo ma più divertente». Nel corso degli anni sei sempre stato in continua evoluzione e non hai mai smesso di studiare. Perché? È così importante per te superare costantemente i tuoi limiti? «Non sopporto l’idea di non sapere fare una cosa verso cui mi sento portato. Anzi, odio l’idea di non provarci nemmeno. Però prima di provarci sudo, studio. A volte sarei potuto passare alla pratica anche più velocemente, credo di essere ossessionato dal rispetto nei confronti dell’arte. Se altri hanno speso anni per diventare bravi in qualcosa, non mi va di improvvisarmi». A breve uscirà il tuo primo libro. Puoi darci qualche anticipazione, di cosa si tratta? «Posso dirti cosa non è, cioè una biografia. È un diario di appunti, un taccuino di vita, a volte ci sono capitoli lunghi, a volte una poesia. Ci sono tante battute e freddure, c’è un racconto, ci sono i momenti duri, ma non è un focus sulla mia vita perchè ci sono tante esperienze più recenti di cui mi sentivo di parlare. Ho provato a compilarlo in modo quanto più personale possibile». Io ti seguo fin dai tempi del tuo primo demo con i SangAmaro, probabilmente non ti ricordi ma mi spedisti proprio tu la cassetta nel lontano 2000. Ti saresti mai aspettato di fare tutta questa strada? «Bella domanda! Ho sempre ambito molto in alto, sapevo che volevo in qualche modo lasciare il segno. Non credo di essermi mai immaginato sarebbe successo in questo modo. A questo punto penso che per me conti più il cammino che il punto d’arrivo. Spero di avere sempre la fame per considerare tutti i traguardi come tappe e non come arrivi».
Ghemon nel corso della prima puntata di “Ossigeno”, il nuovo programma di Manuel Agnelli in onda su Rai 3, di cui è stato ospite
La quinta edizione di Under Festival, rassegna con protagonisti del rap underground italiano nata da un’idea del rapper ravennate Moder (che quest’anno cura la direzione artistica insieme a Kenzie), è in programma al Bronson di Ravenna da giovedì 29 a sabato 31 marzo. Giovedì 29 marzo si parte con un incontro tra artisti e addetti ai lavori per discutere sul rapporto e le connessioni tra i musicisti e l’hip hop, venerdì 30, invece, cominciano i concerti, tra live canonici ed esibizioni intrecciate. Tra i protagonisti: il cantautorato urban di Davide Shorty, in libero movimento tra neo soul e hip hop; Egreen e la crew Real Rockers, formata da artisti di fama come Ensi, Moddi, Macro Marco e Madkid. Sabato 31 marzo si esibiranno due simboli di Bologna: Brain e Inoki. Chiuderà il festival il live di una formazione che ha segnato la storia del rap italiano, i romani Colle Der Fomento.
«Non mi va di improvvisarmi: prima di fare, studio Sono ossessionato dal rispetto verso l’arte»
Ristorante
ZI TERESA PASQUA 2018 Menù Vegano
Menù Tradizionale
Antipasto primavera
Antipasto primo sole
Zuppa di stagione Tagliatelle carciofi e asparagi
Tortellini in brodo Tagliolini carciofi e pancetta
Tofu con porri e zucca Sushi con tonno veg Contorni misti
Faraona aromatica Vitello ripieno Patate dorate / Contorni misti
Millefoglie alle fragole Cubotti alla gianduia
Cestino croccante con fragole Cubotti alla gianduia
Acqua, vino della casa, caffè
Acqua, vino della casa, caffè
Euro 35,00
Euro 35,00
Venite a trovarci e a provare i nostri piatti di qualità!
Via Valliano, 31 - Montescudo - M. Colombo (RN) Tel. 0541 984312 Ristorante Zi Teresa
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suoni CONSIGLI D’AUTORE
Cinque dischi stravaganti
marzo 2018
avanguardie
Mats Gustafsson, il sassofonista alla Dario Hubner
a cura di Ponzio Pilates *
Salve amici, oggi vi riveleremo i dischi più garbati che abbiamo ascoltato dalla nostra nascita e nei vari tour e trasferte musicanti a bordo del super Camper di Ginardo che di fatto è il Ponzio Bus. È tutta roba abbastanza gustosa per le orecchie, eterogeneamente stravagante: Mort Garson - Plantasia Come le piante, che accarezzate da queste sonorità traggono uno strano giovamento, pare, anche noi abbiamo goduto dei benefici fisici e mentali indotti da Plantasia: un mondo diverso e colorito, in cui la stasi e la dinamica combaciano imprevedibilmente, e per entrarci non c’è quasi bisogno di codici segreti, chiavi sacre o sostanze esterne, solo di chiudere gli occhi e lasciarsi andare. Quasi. Xtravagance Core - Cabaret Terror Balera Un po’ per la vicinanza al progetto, un po’ perché nella macchina di Violence (la nostra cantantepercussionista) era l’unico disco disponibile – ed essendo la sua macchina uno dei pochi mezzi di trasporto in possesso dei Ponzio fino a poco fa – era un ascolto continuo e forzato, ma sempre gradito. Fra gente matta, del resto, ci si intende bene, mentre si viaggia verso un mondo felice. Ascoltatelo e capirete tutto quello che non avete capito sin’ora, dimenticando però tutto il resto. I Cavalieri del Re - Manga's Melody e Songs In realtà sarebbero da aggiungere chiaramente anche Cristina e Giorgio, ma l’album più rappresentativo dei nostri ascolti di sigle di anime, videogiochi o cartoni in generale, che fidavi rappresentano buona parte dei nostri ascolti, sicuramente è quello dei Cavalieri del Re, che sempre e da sempre vegliano su di noi anche se non lo sappiamo, e forse non lo sanno neppure loro. Rimane il fatto che le loro canzoni continuano a ispirarci e a insegnarci tanto in ogni fase del nostro viaggio, dagli inizi a ora. E ci fanno cantare, sempre come se fosse la prima volta. Consigliato a dir poco. Califonia Crisis - OST A conferma che ci piacciono molto i brani composti nelle terre del Sol levante, questa colonna sonora è stata composta per l’anime California Crisis, e a nostro parere è una bomba. Aah quanti pomeriggi sognanti, quanti viaggi in macchina col braccio fuori… Questa è la colonna sonora di un’estate di viaggi nel tempo e scanate ruspanti sulla spiaggia, di concerti ufficiali e abusivi, di sudore e di scaglia potente. Se volete sentirvi il protagonista di una storia jappo anni ’80 questa è un’ottima occasione. Lasciatevi corteggiare dalla voce di Miho mentre sognate di sfrecciare in moto con gli sbirri alle calcagna… Un autentico viaggio. Cacao - Astral Pace, Amore, e lunga vita ai Cacao. Sicuramente tanta Pace. Li abbiamo visti, sentiti, abbracciati: i Cacao sono amici e ispiratori autentici, padroni delle atmosfere coinvolgenti e abili ammaliatori. Questo disco ci piace ascoltarlo in stato di totale abbandono, lasciando il corpo libero di profondare e la mente tesa all’ascesi… Ma che sia stato scritto con questi presupposti o meno, il risultato è sempre un autentico sballo. Ascoltateli, e se li vedete in strada, dategli dei morsi amorevoli, ne saranno felici. * I riminesi Ponzio Pilates sono una piccola scheggia impazzita della scena underground italiana, band-collettivo che si muove tra rock psichedelico e ritmi sudamericani, per una miscela di quella che loro stessi hanno sempre definito “narcosamba esplosiva”. Nel 2016 hanno pubblicato un Ep, Abiduga, che ha incuriosito (e anche entusiasmato) la critica, in primavera daranno alle stampe il loro primo album vero e proprio, Sukate, per cui è in corso anche una campagna di crowdfunding sul web
Il 2013 è un anno un po’ particolare della mia esistenza per tanti motivi – molti dei quali riguardano la sfera squisitamente umana più che musicale, il che per me è abbastanza una novità – intendo, avere esperienze umane non necessariamente collegabili a una colonna sonora specifica. Nel 2012 comunque il disco che ho preferito è stato il bizzarro ritorno di Neneh Cherry, che invece di menarla sul revival anni ‘90 si ripresenta assieme a un gruppo jazz-metal corazzato e incazzosissimo. Si chiamano The Thing e sono attivi da quasi dieci anni: il batterista Paal Nilssen-Love, il bassista non-mi-ricordo-mai-come-cazzo-si-chiama e il sassofonista Mats Gustafsson. Gustafsson è il principale motivo per cui mi trovo ad ascoltare il disco. L’ho conosciuto una dozzina d'anni prima, in un periodo storico nel quale stava smettendo di fare il sessionman per la vecchia scuola free-impro-jazz (Evan Parker, Brotzmann e tutta quella gente) e iniziava a cercare di diventare una specie di satellite dell'avant-rock di quegli anni. Mats Gustafsson è uno di quei personaggi che attraggono la gente come me: rudi e incazzosi, poco glamour, tanti risultati, tanta concretezza. Una specie di Dario Hubner musicale. Avete presente Dario Hubner? Se la risposta è “no”, probabilmente non siete di Cesena. Dario Hubner era un calciatore, in ogni caso. Non gioca più: l’anno scorso ha compiuto 50 anni. Per l'occasione è pure uscito qualche articolo celebrativo, quelle cose tipo “giocatori di culto che han raccolto meno di quanto han seminato”. In uno degli articoli qualcuno gli chiede, cito a memoria, «quali sono i tifosi che ti hanno amato di più?». Lui risponde: «Quelli che mi avevano al fantacalcio». Persona semplice, bestemmiatore accanito, poco incline alle sottigliezze. Giocava davanti, correva come se lo stessero inseguendo i poliziotti, segnava un sacco di gol. Nella storia del gioco figura come l’unico giocatore, assieme a Protti, a essere stato capocannoniere in serie A, B e C. La storia di Hubner richiama un po' certe storie di giocatori anni 30-'40 alla Valentino Mazzola, se avete presente: quei tipi che sembravano venire dalla classe operaia, e in effetti Hubner da lì veniva. Fino ai vent’anni aveva fatto il muratore, poi era stato preso da una squadra che giocava in Interregionale, e da lì aveva scalato la catena alimentare a furia di gol. Cinque anni indimenticabili al Cesena, e poi viene comprato dal Brescia che lo fa esordire in serie A. Una specie di gag: ha già 30 anni, un'età in cui la maggior parte dei calciatori in A imbocca la parabola discendente. Alla seconda giornata ha già picchiato una tripletta, ai danni della Sampdoria. Giravano que-
Mats Gustafsson (nella foto) terrà un concerto in solo (e al buio) l’11 marzo alle 18 all’Area Sismica di Ravaldino in Monte (Forlì), che il 18 marzo, sempre alle 18, ospiterà invece “VideoKlipMusik!”, progetto che mette in dialogo “il vedere, il sentire, rumori, silenzio e l’assenza di immagini”, con al sassofono una leggenda come Evan Parker.
di Francesco Farabegoli
“Una sorta di Azealia Banks dei poveri senza un decimo del talento di cui già l’Azealia originale è priva”
ste voci incredibili secondo cui si fumava una sigaretta tra il primo e il secondo tempo, più un birrino di circostanza a fine partita prima di infilarsi sotto la doccia. Non so quanto fosse vero, e anche se lo fosse stato non sembrava influenzare troppo il suo gioco – tendeva a giocare quaranta metri di campo a rotta di collo. A un certo punto col Piacenza fu capocannoniere in serie A, ma l'impresa non gli valse mai una convocazione in nazionale; è che certi giocatori non hanno il phisique du role, o non sembrano essere indicati per certi lavori, non so. Però ha giocato fino a 43 anni, per chiunque avesse abbastanza lungimiranza da fargli firmare un contratto. Un'altra cosa che ha sempre detto: «Ho sempre giocato per divertirmi». Qualunque sia la morale di questa storia l’ho persa sei o sette righe fa, e immagino sia un bene per tutti, ma se mi si chiede di parlare di Mats Gustafsson per me è inevitabile pensare a Dario Hubner. L’anno 2013, dicevo: così pieno di cose extramusicali che per la prima volta mi trovo a compilare la classifica di fine anno a fine anno, senza averci pensato troppo. Alla fine di una compilazione sommaria sono sconvolto. Il mio disco preferito è la jam session The Ex & Brass Unbound, al secondo posto un bellissimo disco accreditato alla Fire! Orchestra (che sarebbero appunto i Fire! in versione allargata). Al terzo posto l'ultimo disco dei The Thing di Mats Gustafsson. Mica male essere sul mio podio annuale per due anni di fila, no? Ok, forse no. Ma Gustafsson suona anche nei dischi di The Ex e Fire! Orchestra, o meglio è un membro decisivo di entrambi i progetti. Uno così lo devi rispettare per forza. La prima volta che ho visto Gustafsson suonare è stata a uno Zufest che si tenne al TPO di Bologna a fine 2004: evento principale i Lightning Bolt, nella loro prima calata italiana. Mats Gustafsson apre la serata e spacca il culo a tutti: io di sassofonisti non ne so niente, ma questo improvvisa per tutto il suo concerto urlando dentro al sax con la gente in fotta che lo carica e le vene del collo che sembrano dover esplodere da un momento all'altro come in una puntata di Ken il Guerriero. A fine serata mi trovo a dover tener ferma la batteria dei Lightning Bolt per proteggerla dagli assalti di un esagitato biondone di un quintale che mi sta accanto, suda a torso nudo e urla bestemmie in una lingua incomprensibile. Qualcuno a fine concerto mi dice che è il tour manager di Mats Gustafsson, anche se francamente non ho mai pensato di fare fact-checking su questa particolare cosa. Se ripercorrete all'indietro la sua discografia c'è da mettersi le mani nei capelli: ha suonato in più dischi buoni di chiunque altro io abbia conosciuto. Nonostante questo è ancora relativamente sconosciuto, o comunque costretto a lavorarsi da solo la metà campo avversaria in serie B. È che i sassofonisti non sono proprio i primi a raccogliere la gloria. Un po' alla Dario Hubner, se ci pensate, e a lui unito in una sempiterna passione per certe grappe venete underground...
Ha suonato in più dischi buoni di chinque altro, ma è ancora costretto a lavorarsi da solo la metà campo avversaria in serie B...
IN CONCERTO L’11 MARZO IN SOLO E AL BUIO ALL’AREA SISMICA ATTESO ANCHE EVAN PARKER
POPPONI Il Decameron del pop, limitatamente a quel che succede il mese prossimo in un raggio di 30 km
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marzo 2018
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UN DISCO AL MESE
LEE “SCRATCH” PERRY A GAMBETTOLA Con oltre quarant’anni di attività, il giamaicano Lee “Scratch” Perry è considerato uno dei pionieri della musica reggae e dub. Festeggerà gli 82 anni nel corso di un nuovo tour italiano che farà tappa anche in Romagna, il 16 marzo a La Fragola de Bosch di Gambettola.
BLUES Luke Winslow-King, il chitarrista dalla Lousiana a Punta Marina aspettando Spiagge Soul Il cantante, chitarrista, compositore e produttore americano Luke Winslow-King torna in Italia per un “acoustic set” accompagnato dal chitarrista Roberto Luti. L’unica data in Romagna è in programma il 17 marzo al Marlin di Punta Marina (Ravenna) nell’ambito di una serie di concerti “aspettando” il festival Spiagge Soul (il 9 marzo l’appuntamento all’insegna del suono di New Orleans è con i forlivesi The Indians). Winslow-King – da New Orleans – è noto in particolare per la sua slide guitar e la sua musica è un eclettico mix che combina il delta blues del Mississippi, la musica folk, il jazz tradizionale e radici del rock and roll.
La straordinaria potenza evocativa di una musica nera come la pece di Bruno Dorella *
Ifriqiyya Electrique - Rûwâhîne (Glitterbeat Records, 2017) Ho ascoltato talmente tanta musica che sono rarissimi i dischi che mi fanno fare ancora il proverbiale salto sulla sedia. E di solito succede per caso. Ascolto questo gruppo dal nome impronunciabile senza avere idea di cosa si tratti, ma capisco subito che è roba grossa. Parte con quello che sembra un canto tribale (so solo che è roba tunisina). Poi entrano le percussioni ed è subito chiaro che non si tratta di un disco etnografico, né tantomeno del solito producer che ci mette sopra un bel beat per farci ballare scalzi sulla sabbia vestiti di lino bianco. Qui si entra in qualcosa di nero, di guerriero, di rituale, ma soprattutto in qualcosa che è veramente tribale, ma anche profondamente occidentale. Perché ci sono i beat elettronici, persino i bassi e le chitarre elettriche. Ma allo stesso tempo il tutto riesce a mantenere una forza originaria. E non è per niente piacione, anzi è disturbante ed oscuro. Finito il viaggio mi informo e capisco. Dietro il progetto c’è François Cambuzat, eroico stakanovista del rock, già in gruppi straordinari come Enfance Rouge e Gran Teatro Amaro, nonché nella meteora anni 80 Kim Squad. Qui è affiancato dall’inseparabile Gianna Greco
(che suona con lui anche nel Putan Club), e da tre musicisti tunisini che oltre a voce, tabla e tchektchekas (tamburi di metallo) hanno ruoli ben precisi nel rituale. François e Gianna infatti sono andati nel deserto del Sahara a registrare un’ancestrale cerimonia musulmana, in cui gli spiriti (Ruwahine) si impossessano dei corpi durante la danza. Una cosa molto vicina ai tarantolati pugliesi, ma non fraintendetemi: questa musica è nera come la pece, niente che possa in alcun modo piacere al gruppo vacanze di turno. La cosa più straordinaria è come la musica occidentale entri in maniera naturale, ma anche violenta, in questo discorso. Per una volta non è per compiacere, ma per intossicare ulteriormente. Da anni François mi parlava del suo desiderio di entrare nel circuito da lui stesso definito “etnominchia”, quello della world music all’acqua di rose, con qualcosa che la facesse a brandelli. Complimenti François, ci sei riuscito con un album di straordinaria potenza evocativa.
* Batterista di Bachi Da Pietra e OvO, chitarrista di Ronin e Tiresia, factotum come Jack Cannon, membro della Byzantium Experimental Orchestra e dei Sigillum S, ex discografico, orgoglioso ravennate d'adozione.
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suoni
marzo 2018
rassegne/1
rassegne/2
Tutte le sfumature del jazz alla maratona di Crossroads
DAL SONGBOOK AMERICANO FINO A MINA A “JAZZENATICO” Prosegue e termina in marzo l’edizione invernale del festival Jazzenatico, con la direzione artistica dei musicisti Fabio Nobile e Alessandro Fariselli, al teatro Comunale di Cesenatico. Venerdì 2 marzo alle 21.15 l’appuntamento è con il “Rocky Trio” del compositore e pianista riminese Massimiliano Rocchetta. A seguire spazio alla grande canzone italiana, con Cristina Di Pietro che omaggia Mina (a presentare il poliedrico artista riminese Sergio Casabianca). Jazz-funk invece il 16 marzo (sempre dalle 21.15 con il quartetto del trombettista Giuseppe Zanca; a seguire, un vero e proprio viaggio sonoro attraverso il “Great American Songbook” (a introdurre gli artisti nel corso della serata il pianista dei Khorakhanè, Luca Medri). A chiudere il cartellone, un concerto unico che vedrà protagonista una joint venture di musicisti italiani e internazionali: venerdì 30 marzo alle 21.15 jazz contaminato da funk, blues e musica latina con il quartetto di Luca Di Luzio “feat.” Max Ionata, Jimmy Haslip e Sonny Emory. Info e prenotazioni: 0547 79274.
RASSEGNE/3
Al via in Romagna il festival itinerante: tra i protagonisti Fresu-Rea, Moroni-Ionata, i Licaones e l’australiana Sarah McKenzie Alfredo Rodriguez, atteso all’Auditorium di Fusignano il 30 marzo
MARKOWITZ-BROCK ALL’ARTUSI Un concerto di caratura internazionale chiude l’Artusi Jazz Festival, il 17 marzo alle 21.45 alla chiesa di San Silvestro di Bertinoro. L’appuntamento è con il duo americano composto dal pianista Phil Markowitz («Uno dei più sensibili, poetici e fantasiosi pianisti di tutti i tempi», secondo Chet Baker) e il violinista Zach Brock (foto), per un repertorio che attinge alla tradizione jazz, alla classica contemporanea e alle radici pop. Il giorno prima, 16 marzo, l’appuntamento è con gli Hobby Horse, al secolo Dan Kinzelman (sassofoni e clarinetti), Joe Rehmer (contrabbasso) e Stefano Tamborrino (batteria), trio di punta della scena italiane ed europea della musica improvvisata.
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Una maratona jazz da guinness: quasi cento giorni di programmazione con oltre 65 concerti che coinvolgeranno più di 500 artisti. Questo è Crossroads, il festival itinerante in tutta l’Emilia-Romagna, la cui 19esima edizione è partita il 24 febbraio e proseguirà sino all’1 giugno. Ecco gli appuntamenti in programma in marzo in Romagna. In cartellone come da tradizione big del jazz italiano, a partire dal trombettista Paolo Fresu impegnato (il 26 marzo al teatro Novelli di Rimini) in un duetto d’eccezione con il pianista Danilo Rea, due dei più amati jazzisti nazionali, che ben raramente si sono fatti ascoltare in tale contesto. Dado Moroni e Max Ionata daranno vita invece a un duo piano-sax dedicato alle songs di Stevie Wonder e ai temi di Duke Ellington (Massa Lombarda, Sala del Carmine, 24 marzo). Il trombonista Mauro Ottolini si esibirà (il 9 marzo all’Auditorium Corelli di Fusignano) con Francesco Bearzatti, Oscar Marchioni e Paolo Mappa, ovvero la rinascita di una formazione a tutto groove, i Licaones. Tra i protagonisti anche decani del jazz internazionale che hanno attraversato sempre sulla cresta dell’onda la storia musicale di tutta la seconda metà del Novecento. Tra questi il sassofonista Michel Portal, ambasciatore per antonomasia del jazz francese (in quartetto a Rimini, Teatro degli Atti, il 15 marzo). L’estensione del programma di Crossroads rende possibile esplorare anche direzioni eccentriche e rotte poco battute, muovendosi sul crinale che dal jazz porta ad altri linguaggi musicali. Ben radicate nella matrice jazzistica ma provenienti da geografie “esotiche” sono proposte come quella della cantante e pianista australiana Sarah McKenzie (Massa Lombarda, Sala del Carmine, 8 marzo) o del Tingvall Trio, le cui sonorità terse e incalzanti provengono contemporaneamente da Svezia, Germania, Cuba (Solarolo, Oratorio dell’Annunziata, 22 marzo). La cantante franco-israeliana Emmanuelle Sigal sposta invece lo swing verso coordinate pop-rock dal tocco leggiadro (Auditorium di Fusignano, 23 marzo), mentre il pianista cubano Alfredo Rodriguez, pupillo di Quincy Jones, è uno dei più talentuosi giovani esponenti della sempre esplosiva miscela tra jazz e musica afrocubana (sempre all’Auditorium di Fusignano, il 30 marzo).
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FOLKLORE Al Mama’s e allo Zingarò si omaggia il liscio romagnolo Continuano le operazioni di rivisitazione e omaggio al liscio romagnolo. In marzo segnaliamo qui due appuntamenti. Al Mama’s di Ravenna (che ha anche un cartellone di concerti di musica popolare dal mondo, tutti i sabati, tra cui sabato 3 fado con la cantante Elisa Ridolfi, info: www.mamasclub.it) il 31 marzo Eraldo Baldini e Susanna Venturi presentano il loro libro Prima del “Liscio” – Il ballo e i balli nella vecchia tradizione della Romagna e per l’occasione verrà presentato dal vivo anche l’album Il respiro della mia gente – tutto è romagna mia di Christian Ravaglioli. Allo Zingarò di Faenza invece il 28 marzo “Secondo”, progetto ideato dal clarinettista Claudio Zappi come tributo a Secondo Casadei.
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marzo 2018
musica&teatro
«Il nostro “piccolo” omaggio, a Gaber e Jannacci» Parla Alessandro Besentini di Ale e Franz, attesi a Ravenna a fine marzo con uno spettacolo-concerto dedicato ai due grandi artisti e alla loro Milano di Luca Manservisi
Ale e Franz – una delle coppie comiche più popolari d’Italia – saranno al teatro Alighieri di Ravenna da martedì 27 a venerdì 30 marzo con lo spettacolo musicale Nel nostro piccolo, un viaggio «alla ricerca del nostro punto di partenza». Che poi in realtà sono due «che ci hanno, grazie al cielo, condizionato»: Giorgio Gaber e Enzo Jannacci. Ne abbiamo parlato con Ale, al secolo Alessandro Besentini, 47 anni a maggio. «Si tratta di un progetto realizzato negli anni scorsi per “Milano per Gaber” (la rassegna nata con lo scopo di mantenere viva, soprattutto tra i giovani, la conoscenza dell'autore che ha inventato in italia la forma del teatro-canzone, ndr) che poi però si è espanso con il tempo fino a diventare secondo me il nostro spettacolo più bello, di certo il più maturo. A Gaber abbiamo aggiunto Jannacci e più in generale la città che ci accomuna a loro, Milano, l'aria che qui si respira...». Canterete le loro canzoni? «In generale lo spettacolo è scritto da noi, abbiamo recuperato le prime cose che abbiamo scritto, abbastanza surreali, in linea con i testi di Gaber e Jannacci, con tutto il rispetto. E in pratica così facendo abbiamo costruito prologhi o epiloghi di alcuni loro racconti in musica. I nostri pezzi, nello spettacolo, concludono o sfociano nelle loro canzoni, che cerchiamo pure di cantare...». In fondo siete anche musicisti, no? «Musicisti è una parola grossa, siamo autodidatti con chitarra e tastiere (hanno anche accompagnato in tour Enrico Ruggeri, la cui band li accompagna sul palco in questo spettacolo, ndr). Personalmente sono sempre stato appassionato di musica, dal rock fino naturalmente ai cantautori». Quando avete scoperto Gaber e Jannacci? Li avete mai incontrati? «Gaber e Jannacci li metabolizzi quando sei un po’ più maturo. Gaber l’ho incontrato una volta a Napoli molti anni fa, nel ‘98 (il duo si è formato nel 1992, ndr), e ci siamo solo salutati. Con Jannacci invece abbiamo avuto la fortuna di lavorarci, anche recentemente con il figlio Paolo». Cosa ci hanno lasciato Gaber e Jannacci? «Gaber era molto impegnato sull’aspetto sociale e politico, ci ha lasciato una grande testimonianza della sua generazione che ha perso, per citare il titolo del suo album. Jannacci invece ha raccontato pezzi di vita, ha dato voce agli ultimi, a modo suo, con grande ironia e soprattutto poesia. Secondo me deve essere considerato come uno dei più
Anche a Gambettola rivive il Signor G. Oltre allo spettacolo di Ale e Franz a Ravenna di cui parliamo nell’intervista, in marzo va in scena un omaggio a Giorgio Gaber anche al teatro comunale di Gambettola. L’appuntamento è per sabato 24 marzo con i romagnoli Formazione Minima (il “cantattore” Lorenzo Bartolini, il chitarrista Lorenzo Gasperoni e il disegnatore Sergio Gerasi).
MUSICA A TEATRO Al Novelli i nuovi lavori di Amati e Raggi e gli omaggi a Berté e U2 Al teatro Novelli di Rimini (oltre a Barbarossa, vedi pagina 5) continuano anche in marzo gli appuntamenti con i cantautori riminesi. Il 2 sarà Andrea Amati a presentare il suo secondo disco, Bagaglio a Mano, in parte ispirato dall'omonimo libro di Gabriele Romagnoli; il 10 invece sul palco Chiara Raggi con il suo nuovo album La Natura e la Pazienza, in collaborazione con l'Orchestra da Camera di Rimini. Il 23 marzo al teatro Novelli di Rimini termina la rassegna “Contaminando” con un concerto diviso in due parti: nella prima la protagonista sarà la cantante riminese Cristina Di Pietro nel nuovo progetto dedicato alle sorelle Berté. Nella seconda parte, Filippo Malatesta tornerà a cantare gli U2 dopo i sold out del Museo (sempre a Rimini) del 14 gennaio.
Ho visto Nina Volare: a Coriano si celebra l’8 marzo Giovedì 8 marzo al teatro Corte di Coriano Ho visto Nina volare è uno spettacolo in forma di concerto dove, attraverso la musica, il teatrodanza e la fotografia, si darà voce all’universo femminile cercando di far emergere tutte le sue sfumature. Un progetto di e con: Silvia Antonini, Laura Benvenuti, Elisa Brandi, Linda Hermes, Francesca Qoya, Elena Sanchi, Elena Tenti.
La bolognese Eloisa Atti presenta il suo Edges al Petrella Venerdì 9 marzo alle 21.30 al teatro Petrella di Longiano la cantautrice bolognese Eloisa Atti presenta in anteprima l’album Edges, un lavoro che unisce il suond americano, tra country-jazz, blues e folk, con il gusto italiano per la melodia.
grandi poeti del secolo scorso». Oggi come scriverebbe Gaber la canzone “Destra-Sinistra”? Voi come artisti credete di dover intervenire nel dibattito politico? «Beh, la canzone di Gaber è sempre più attuale perché non si sa più dove sia finita l'una e dov'è finita l'altra, a parte magari qualche fatto eclatante di queste ultime settimane. Credo che sia sempre più difficile prendere posizione, come artisti, non c'è più nulla di netto, non c'è più senso di appartenenza, c'è molta confusione e noi comunque abbiamo sempre preferito la satira di costume a quella politica. Personalmente mi limito a constatare che purtroppo nella società in cui stiamo vivendo è sempre più facile prendersela con le persone e non con il sistema che ha causato o non sa gestire un fenomeno, penso per esempio al tema dell’immigrazione». Voi siete diventati famosi grazie a una trasmissione televisiva come Zelig: oggi sembra non esserci un ricambio generazionale tra i comici, forse anche perché la tv non ha più lo stesso appeal tra i giovani? «Ho due figli e so benissimo come la tecnologia e internet in particolare abbiano preso il posto della tv. Ma il teatro, la musica dal vivo e il cinema resteranno sempre, anzi, saranno sempre più necessari. Anche per i comici, credo sia tutta una questione fisiologica, che sia un momento di stanca in una fase ciclica, ma che poi tutto riprenderà come sempre...».
«“Destra-Sinistra” resta un pezzo più attuale che mai: è difficile oggi prendere posizione, c’è molto caos»
Al Socjale il tour di Zibba e l’omaggio a Dalla e Modugno di Peppe Servillo Al Teatro Socjale di Piangipane (Ravenna) il 16 marzo va in scena un viaggio attraverso le musiche di Astor Piazzola, Domenico Modugno, Lucio Dalla, Osvaldo Pugliese con la voce del cantante e attore campano Peppe Servillo, accompagnata dal piano di Natalio Mangalavite e dai sassofoni di Javer Girotto (presenteranno il loro ultimo progetto Parientes). La stagione del Socjale terminerà poi il 23 marzo con il concerto del cantautore ligure Zibba, che presenterà il suo ottavo album Le cose. Dopo una lunga gavetta culminata con un premio Tenco nel 2012, la carriera di Zibba svolta nel 2014 con il premio della critcia a Sanremo, dove si fa conoscere al grande pubblico.
A Cattolica Sarah-Jane Morris con l’attore Silvio Castiglioni Giovedì 22 marzo sul palco del teatro della Regina di Cattolica una nuova collaborazione tra l’attore Silvio Castiglioni e la cantante e autrice inglese Sarah-Jane Morris. Con la sua inconfondibile voce, Morris nella sua carriera artistica ha spaziato dal pop al blues approdando al jazz; negli anni ha collaborato con note band musicali londinesi, memorabile la sua interpretazione di “Me and Mrs Jones”.
12 /
scene
marzo 2018
la recensione
Va Pensiero, quell’affresco fatto di testo e narrazione Le Albe affrontano il tema delle mafie: quadri di indubbia bellezza, cali di tensione fisiologici, splendido monologo di Ermanna Montanari
AGENDA TEATRO CONTEMPORANEO Il Cristo dell’Amiata rivive con Simone Cristicchi Simone Cristicchi porta il 7 marzo al Fabbri di Forlì Il secondo figlio di Dio, spettacolo ispirato alla vicenda incredibile, ma realmente accaduta, di David Lazzaretti, detto il “Cristo dell’Amiata”. Il testo è di Cristicchi, scritto insieme a Manfredi Rutelli, mentre la regia è firmata da Antonio Calenda. In cima a una montagna, davanti a una folla adorante di 4mila persone, un uomo si proclama reincarnazione di Gesù Cristo. È il luglio del 1878. L’inizio di una rivoluzione possibile, che avrebbe potuto cambiare il corso della Storia.
Michele Riondino dà voce a Fabrizio De André e don Andrea Gallo Michele Riondino dà voce agli ultimi attraverso le parole di Fabrizio De André e don Andrea Gallo, grazie alla drammaturgia di Marco Andreoli, in un spettacolo con musiche dal vivo. Al Fabbri di Forlì il 17 marzo.
A Longiano, il secondo capitolo della nuova trilogia di Celestini Dopo la data di Rimini, Ascanio Celestini torna in Romagna con il suo Pueblo, questa volta al teatro di Longiano, sabato 17 marzo. Pueblo è la seconda parte di una trilogia iniziata con Laika e sempre ambientato nel paesaggio urbano della periferia, fatta di bar, supermercato, marciapiede, fabbrica.
Il Macbeth in sardo che ha vinto l’Ubu al Ridotto del Masini
Un affresco drammaturgico di tre ore; 40 persone in scena fra coro verdiano e attori; un tema complesso, quello della penetrazione delle mafie in Emilia-Romagna, che sulla scena deve scampare al doppio pericolo della Scilla del moralismo, che svilisce il pubblico, e della Cariddi dell’estetismo, che edulcora la realtà. Sono queste le premesse di Va Pensiero (in scena al Bonci di Cesena dall’1 al 4 marzo) l’ultima produzione del Teatro delle Albe. Il punto di partenza è apparentemente umile: si racconta la storia di un vigile urbano, Vincenzo, in un paesello non meglio identificato, sul trattino che separa e unisce l'Emilia dalla Romagna, licenziato dalla sindaca corrotta (la “Zarina”) per aver denunciato la presenza di economie mafiose nel placido e rispettabile comune rosso. La salda certezza di un’insita integrità morale dei cittadini, quasi inalienabile eredità del comunismo, s'infrange di fronte alla realtà di una vera e propria invasione delle mafie che, come nutrie esportate al nord, hanno trovato senza troppa fatica un ventre molle da rosicchiare. Ma se lo spunto drammaturgico è semplice, il suo sviluppo è tutt'altro che scontato. Il testo di Martinelli ha l'ambizione di seguire le orme dei grandi narratori ottocenteschi, Charles Dickens ante omnia. Si spiegano così i grandi pregi di questo testo: polifonia, realismo, attenzione psicologica, sapiente orchestrazione dell'intreccio. L'ambizione narrativa modula il ritmo dello spettacolo e l'interpretazione degli attori: i tempi sono dilatati, si rendono necessarie alcune scene di raccordo che, inevitabilmente, hanno un fluire più lento. In breve: il testo, in Va pensiero, è il perno su cui ruota ogni altra cosa. Di fianco a quadri di indubbia bellezza, ci sono alcuni cali di tensione, forse fisiologici per un lavoro di tale portata. Il testo indulge in gag un po’ scontate; risente di un certo lucarellismo e prende a prestito qualche formula da serie televisive; ospita qualche espressione venata da una certa retorica. Pur non essendo la lunghezza un problema per la fruizione di Va pensiero (spesso chi si lamenta di tre ore a teatro è prontissimo a buttarne via decine guardando serie tv di dubbio valore), si ha l’impressione che alcune scene potrebbero essere asciugate con un qualche beneficio per il ritmo complessivo. Altre scene confermano invece la visionarietà semplice e profonda delle Albe. Penso allo splendido monologo de “Le tavole della legge”, cuore concettuale dello spettacolo, nel quale Ermanna Montanari, finalmente sola sul palco, sprigiona tutto il suo potenziale. Una provocazione lanciata alla platea, che si trova a riflettere sulla corruzione e sulla tentazione («Perché no?»), sulla fragilità degli imperativi morali a fronte delle più basse pulsioni edonistiche, sulla pervasività di queste debolezze, trasversali alla geografia. Colpiscono e straniano gli attori delle Albe (Magnani, Argnani, Renda, Redaelli) per il grande sforzo di naturalismo che hanno messo nella recitazione – se per naturalismo intendiamo l'abbandono di certi tic attoriali a cui ci avevano abituato negli ultimi spettacoli. Ottime le interpretazioni degli “esterni” alla compagnia. Penso a Ernesto Orrico, l'anima nera di Va pensiero, volgare ’ndranghetista di provincia, che riesce a convincere senza mai cadere nel macchiettismo alla Gomorra, a cui siamo oramai anestetizzati. Celato dietro un magnifico velatino, per tutta la durata dello spettacolo sta il coro verdiano, diretto da Stefano Nanni: un contrappunto musicale alla storia. Interviene nel vivo della trama una sola volta, all'inizio del secondo atto, e allo scioglimento – quando, eseguendo la famosa aria del Nabucco, avanza speranzoso verso il pubblico in una reminiscenza ultra-ottocentesca de Il quarto stato. È questo il Verdi delle Albe: il correlativo oggettivo di una speranza di riscatto per questo paese impantanato; un’ipotesi di futuro per un paese ossessionato dalla perdita di un’età dell’oro. Mai esistita. Iacopo Gardelli
Lo spettacolo sarà in scena al Bonci di Cesena dall’1 al 4 marzo
Il 21 marzo alle 21 al Ridotto del Masini di Faenza va in scena Macbettu di Alessandro Serra. Il Macbeth di Shakespeare recitato in sardo e, come nella più pura tradizione elisabettiana, interpretato da soli uomini. L’idea nasce nel corso di un reportage fotografico tra i carnevali della Barbagia. I suoni cupi prodotti da campanacci e antichi strumenti, le pelli di animali, le corna, il sughero. Tra i numerosi premi ricevuti, spicca quello per “Spettacolo dell'anno” ai Premi Ubu 2017.
Nessun luogo è lontano di Rappa, teatro tra Pinter e Bernhard Mercoledì 21 marzo alle 21 al teatro Novelli di Rimini è in scena Nessun luogo è lontano per la regia dell’autore e regista genovese Giampiero Rappa. Dalla critica è stato definito «un teatro sospeso tra Pinter e Thomas Bernhard». «Tutta l’azione scenica – scrive Rappa – avviene all’interno di una baita, metafora di quel luogo dove ci si isola per proteggersi e capire cosa si desidera veramente dalla vita. I tre personaggi hanno i difetti, i caratteri e il modo di parlare tipici della commedia. Mario, 50 anni, ex scrittore di successo, difende la propria solitudine, mentre, scena dopo scena, i due giovani provano in tutti modi a smascherarlo. In questa ricerca affannosa e tragicomica i due ragazzi (interpretati da Alice Ferranti e Giuseppe Tantillo) finiranno per conoscere meglio se stessi e ritornare al mondo più adulti».
Paolini si misura con il futuro (e il presente) del rapporto tra uomo e tecnologia Il 27 e il 28 marzo al Bonci di Cesena è la volta de Le avventure di numero primo, un testo scritto da Gianfranco Bettin e Marco Paolini e intepretato da quest’ultimo, vero e proprio maestro del teatro di narrazione. In un futuro probabile fatto di cose, bestie e umani, il tema affrontato è quello del rapporto con le tecnologie, sul sottile confine tra intelligenza biologica e artificiale.
Una lettura scenica dedicata al genio di Ingmar Bergman Mercoledì 28 marzo alle 21 al teatro degli Atti di Rimini, Silvio Castiglioni e Daniela Giovannetti interpretano la lettura scenica dedicata a Ingmar Bergman di Davide Brullo. Il testo è un viaggio nella mente del genio della cinematografia mondiale a 100 anni dalla nascita. Un testo inedito liberamente ispirato ai Tre diari che raccontano il precipizio della malattia di Ingrid e la sua morte.
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l’intervista
La classe operaia va ancora in paradiso Lo scrittore Paolo Di Paolo racconta come ha riattualizzato il testo del leggendario film per dar vita a uno spettacolo che parla di oggi Alla sua uscita nelle sale cinematografiche nel 1971, La classe operaia va in paradiso di Elio Petri riuscì nella difficile impresa di mettere d’accordo gli opposti. Industriali, sindacalisti, studenti, intellettuali e critici cinematografici impegnati fecero uno strano fronte comune per stroncare il film. Qualcuno giunse ad invocare il rogo della pellicola, a lungo mal vista in patria nonostante i numerosi premi vinti e, soprattutto, nonostante lo stato di grazia dei protagonisti, da Gian Maria Volonté a Mariangela Melato e Salvo Randone. L’opera innescò un duro dibattito all’interno della sinistra italiana, mettendone radicalmente in discussione, nel periodo turbolento dei primi anni di piombo, l’identità ideologica e l’effettiva capacità di rappresentanza del proletariato. Lo spettacolo, costruito intorno ai materiali di sceneggiatura di Petri e Pirro e ai frammenti che testimoniano la storia del film, riassemblati in una nuova tessitura drammaturgica da Paolo Di Paolo e saldati con la regia di Claudio Longhi a un impianto musicale ricco e articolato eseguito dal vivo dallo stesso ensemble di attori, tra cui spicca la presenza di Lino Guanciale, coinvolti nella messinscena, torna ora sul palco a quasi cinquant’anni dal debutto sui grandi schermi. Lo spettacolo sarà al teatro Alighieri di Ravenna per la “Stagione dei Teatri” dall’8 all’11 marzo e al Novelli di Rimini dal 13 al 15 marzo. Ne abbiamo parlato con il drammaturgo Paolo Di Paolo, classe ’83, autore di numerosi libri tra cui i romanzi Mandami tanta vita (Feltrinelli) finalista al Premio Strega a soli trenta anni e Una storia quasi solo d'amore (Feltrinelli). Il suo ultimo libro è Vite che sono la tua. Il bello dei romanzi in 27 storie (Laterza). Quando uscì al cinema La classe operaia va in paradiso tu non eri nato, ricordi la prima volta che hai visto il film? Che effetto di ha fatto lavorare su un film così distante dalla nostra generazione? «La classe operaia va in paradiso ha un titolo talmente proverbiale che è entrato nell’immaginario anche di chi non lo conosce bene, un po’ come La dolce vita. Io credo di averlo visto alle superiori, quando avevo un professore fissato con Gian Maria Volonté e ci faceva vedere tutti i suoi film, però ne avevo un ricordo vago. Una delle prime impressioni che ho avuto rivedendolo è stata quella di un film molto legato all’aria di quel tempo, che è il suo limite, ma anche il suo fascino. Per essere visto da dei ventenni di oggi avrebbe biso-
gno delle note a pie pagina, perché dà per scontato un contesto sociale molto diverso dal nostro. Il progetto è nato dopo l’esperienza di Istruzioni per non morire in pace, fatto con la stessa compagnia sulla Grande Guerra, con la voglia di riscoprire un pezzo di storia d’Italia». Adattare un film al teatro è un’impresa molto pericolosa, come hai deciso di affrontarlo? «Non mi convince mai il passaggio dal cinema al teatro. Tutte le cose che ho visto tratte da film sembravano ammiccare al pubblico dicendo “Ti ricordi questa scena? È come nel film”. Sembrava quasi un modo di fare posticcio, dilettantesco. Fare il verso al film è una cosa insulsa. Il teatro deve avere una sua autonomia. Il rischio era quello di costringere gli attori a ripetere quello che già altri attori avevano fatto. E si trattava di Gianmaria Volontà, Mariangela Melato e Salvo Randone, quindi era facile farsi del male… Bisognava allontanarsi dal film senza tradirlo». E come avete fatto? «La strategia è stata quella di allargare sul contesto. Mi sono messo nel punto di vista di uno spettatore che ha visto il film e conosciuto gli anni ’70, ma anche uno spettatore che non li ha vissuti. Immagina di vedere la storia del film, con Lulù e il suo rapporto con la moglie, con l’amante, ma la pellicola è squarciata e si vede quello che c’era dietro. E dietro c’è l’Italia del 1972, che vede il film vincere a Cannes ex-equo con Il caso Mattei, ma anche il Paese in cui due giorni prima viene ucciso Calabresi a Milano. Quegli anni dovevano entrare nello spettacolo. Abbiamo inserito anche la vita degli spettatori che in quei giorni vedevano il film, entrando nelle loro vite e nell’Italia di quei giorni». E l’aspetto politico, legato a un mondo ormai tramontato, come lo hai raccontato? «Questa era la questione più difficile. In questa ricontestualizzazione del film diamo una lettura contemporanea. Abbiamo lavorato sulla distanza da quella identità politica ormai archiviata come novecentesca, ma anche sulla caricatura di certi personaggi come lo studente e il sindacalista che recita in “sindacalese”. Per quanto alcuni lo abbiano avvicinato al neorealismo, anche il cinema di Petri non era affatto realistico, ma tendeva a portare a tinte espressioniste il Paese e narrarle in un clima irreale». Hai potuto lavorare non solo sulla sceneggiatura
Tra gli interpreti in scena anche il noto volto televisivo Lino Guanciale
su documenti inediti legati al dietro le quinte del film, materiale dattiloscritti, lettere, diari di scena. Cosa hai scoperto che non saresti aspettato? «Ho scoperto che fu un film segnato da forti tensioni sul set. Il rapporto tra il regista Elio Petri, lo sceneggiatore Ugo Pirro e l’attore Gian Maria Volontà era molto complesso e segnato da scambi molto duri. Volonté voleva un film più ortodosso ideologicamente, Petri e Pirro invece volevano e hanno fatto un film più analitico e provocatorio così che ancora oggi può porre domande attuali. Ho usato anche molta letteratura di quegli anni come Pagliarani, Ottieri, Nanni Balestrini, e la Lidia Ravera di Porci con le ali, per scaldare il racconto». Quando uscì nelle sale il pubblico fu molto colpito dal film, che suscitò molte polemiche. Come si può porre il pubblico oggi davanti a questo spettacolo? «Spero che riesca a recuperare la tensione di quel periodo. La classe operaia non esiste più, ma il lavoro e lo sfruttamento sì. Oggi gli operai di quegli anni non ci sono più, ma se prendi uno smista i pacchi per Amazon e metti il suo lavoro a confronto con una catena di montaggio vedi che non c’è poi tanta differenza. Sono altrettanto stranianti e alienanti. Vorrei che usciti da teatro le persone si chiedessero cos’è oggi la “classe operaia”? La nostra costituzione dice che “L’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro” quando oggi il lavoro è il principale problema dell’Italia. Questo, con tutto il rispetto, suona quasi ironico. Sicuramente angosciante». Scrivi sia per il teatro che la narrativa. Cosa cambia nel tuo modo di scrivere per il teatro rispetto al romanzo? «La scrittura teatrale è molto più duttile e slegata da quelli che uno considera i propri stilemi. Si è più in mare aperto, senza appoggi. Ci sono però molti input che nascono dialogando con il regista e la compagnia. Io non scrivo una drammaturgia e basta, ma scrivo un testo per loro e quindi ho già in mente chi dirà le battute e questo ovviamente condiziona molto la scrittu ra. È una evoluzione continua, è un cantiere dove si è in tanti e la linea autoriale diventa condivisa ed espansa. È una scrittura “di folla”». Matteo Cavezzali
Appuntamento in marzo al teatro Alighieri di Ravenna e al Novelli di Rimini
17 marzo 2018 ore 9:30 MINICROCIERA LUNGO LA COSTA SINO ALL’ISOLA DELL’AMORE Porto Garibaldi - Comacchio (Fe) Dal porto di Porto Garibaldi, le nostre motonavi risaliranno la costa adriatica sino alla Sacca di Goro e verso il delta del fiume, per una piacevole sosta sulla spiaggia dell’Isola dell’Amore, l’ultimo lembo di terra che separa il fiume dal mare. A bordo sarà servito un ottimo pranzo a base di pesce.
17 MARZO - 24 GIUGNO 2018 14 settimane di eventi dedicati al birdwatching e al turismo naturalistico, alla fotografia naturalistica, al cicloturismo, al turismo fluviale, all’enogastronomia, alle tradizioni e cultura, alla didattica ambientale, al turismo sportivo en plein air nel Parco Delta del Po Riserva di Biosfera MAB UNESCO
17 marzo 2018 PASSEGGIATA A CAVALLO Lido delle Nazioni - Comacchio (Fe) Passeggiata a cavallo della durata di circa 1 ora in sella ai docili cavalli bianchi di Razza Delta per vivere un’esperienza emozionante alla scoperta del Delta
31 marzo 2018 ore 15:00 PASQUA SLOW IN SALINA Comacchio (Fe) Escursioni a piedi, con l’accompagnamento delle guide, pensate per le famiglie, durante le quali sarà possibile fare piccoli esperimenti per misurare la salinità dell’acqua, osservare i microrganismi al microscopio, oltre a fare birdwatching lungo i percorsi attrezzati, visitare la Torre Rossa, la salinetta didattica e la sala espositiva.
1 aprile 2018 ore 8:00 DELTA ADVENTURES: ESCURSIONI IN ECO 4×4 OFF ROAD Comacchio (Fe)
per info www.primaveraslow.it
Comacchio a Teatro 2018 Spettacoli presso SALA POLIVALENTE DI PALAZZO BELLINI via Agatopisto 7 - Comacchio Infoline 349 0807587 www.comacchioateatro.it Prevendita da dicembre ogni martedì ore 15-18 in biblioteca a Palazzo Bellini (via Agatopisto 5), online su circuito vivaticket Inizio spettacoli ore 21 apertura biglietteria nei giorni di spettacolo ore 20.
Suggestiva escursione per fotografi naturalisti, paesaggisti e turisti a bordo di fuoristrada Eco 4×4, un modo unico ed esclusivo per addentrarsi negli scenari ponte tra terra e acqua nel Parco del Delta del Po
VI edizione
PROGRAMMA DI MARZO Venerdì 2 marzo ore 21
LE SORELLE MARINETTI Topolini, mici e pinguini innamorati. Storie dal fantastico zoo dello swing italiano Con
Le Sorelle Marinetti e il M° Christian Schmitz Testi e Regia
Giorgio Bozzo
Venerdì 16 marzo ore 21 MARIA PIA TIMO Doppio Brodo Show di Roberto Pozzi e Maria Pia Timo Consulenza musicale Anna Galletti
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contemporaneo
classici
IL MONDO NON MI DEVE NULLA AL ROSSINI
DELITTO E CASTIGO CON ENZO VETRANO
Testo di Carlotto ambientato in una Rimini fuori stagione
Il capolavoro di Dostoevskij all’Alighieri di Ravenna
Il testo di Massimo Carlotto Il mondo non mi deve nulla è al terzo anno di tournée nei teatri di tutta Italia, con la regia di Francesco Zecca e l’interpretazione di Pamela Villoresi e Claudio Casadio. Un testo fortunato che sarà in scena dal 2 al 4 marzo al teatro Rossini di Luogo. L’ambientazione è quella di una Rimini fuori stagione. Adelmo, un ladro stanco e sfortunato, nota una finestra aperta sulla facciata di una palazzina ricca e discreta. La tentazione è irresistibile e conduce l’uomo a trovarsi faccia a faccia con Lise, la stravagante padrona di casa, una croupier tedesca in pensione. Nessuno dei due corrisponde al ruolo che dovrebbe ricoprire e, in una spirale di equivoci, eccessi e ironia, si sviluppa un rapporto strano, bizzarro ma allo stesso tempo complesso e intenso sul piano dei sentimenti. Un testo intenso, una commedia ironica e amara a ritmo di mambo; una riflessione sul senso che diamo alle nostre vite, sul peso del caso e della nemesi, sulla libertà di scelta delle nostre coscienze
Anche Enzo Vetrano, attore, autore e regista siciliano, sarà nel cast della trasposizione teatrale del capolavoro di Dostoevskij Delitto e castigo che vedremo ne La stagione dei teatri di Ravenna, per la regia del moscovita Konstantin Bogolomov. Vetrano da molti anni lavora in coppia con Stefano Randisi, con cui ha fondato l’associazione culturale Diablogues. Bogomolov è tra le voci più lucide della scena contemporanea russa, connotato da uno stile irriverente, provocatorio e contemporaneo. Non nuovo ad adattamenti teatrali di Dostoevskij anche in questo allestimento si allontana dalle influenze formali di ambientazione russa. Al teatro Alighieri, martedì 13 e mercoledì 14 marzo.
commedie
DAI PARENTI SERPENTI ALLE CALENDAR GIRLS Spettacoli per riflettere con ironia sul temi della vita Dal 22 al 24 marzo al Masini di Faenza va in scena la commedia Parenti Serpenti con Lello Arena per la regia di Luciano Melchionna che riprende il noto film di Monicelli che raccontava un Natale in famiglia per mettere in mostra l’ipocrisia di tanti rapporti. Al Novelli di Rimini arriva in vece, il 10 marzo, Calendar Girls, spettacolo di successo di Tim Firth reso celebre in Italia dall’interpretazione di Angela Finocchiaro per la regia di Cristina Pezzoli (traduzione e adattamento della scrittrice Stefania Bertola) basato sulla vera storia di un gruppo di donne dello Yorkshire che produsse un calendario sexy con loro fotografie di nudo per raccogliere fondi a sostegno della ricerca contro la leucemia. A Riccione, invece, allo spazio Tondelli si ironizza sul tema della separazione con Finché giudice non ci separi il 17 marzo per la regia di Augusto Fornari che porta in scena quattro amici, tutti separati che si scambiano consigli proprio su come affrontare questo evento della propria esistenza. Commedia anche al teatro Binario di Cotignola con Gaia de Laurentiis e Ugo Dighero protagonisti de L'inquilina del piano di sopra", classico della comicità di Pierre Chesnot dai buoni sentimenti che ride dei rapporti di coppia e di eventi come il tentativo di suicidio più volte minacciato dalla protagonista. In scena l’8 marzo.
BAEDEKER
Guida teatrale per spettatori nomadi
Lavoro, tecnologia, lingue criptiche ma anche un tocco di leggerezza di Iacopo Gardelli
IL TRAGICO E IL BUFFO IN SHAKESPEARE Sul palco a Lugo e al teatro degli Atti di Rimini Al Rossini di Lugo, dal 16 al 18 marzo, il Teatro dell'Elfo di Elio De Capitani arriva con l’Otello di Shakespeare, diretto (insieme a Lisa Ferlazzo) e interpretato dallo stesso Elio de Capitani. «Mettere in scena Otello oggi – dicono i registi - è un modo per fare i conti con la singolare attrazione che la vicenda del Moro esercita in tutti noi, come un congegno misterioso messo lì per “innescare” una risposta emotiva sui presupposti ideologici e i fantasmi dell'inconscio collettivo con cui una società costruisce i propri parametri proiettando “fuori di sé”, sullo straniero, tutto ciò che ha di inconfessabilee». Ed è incentrato sul bardo inglese anche il Riccardo III dei Korekané con Alberto Guiducci e Tiziano Paganelli capitolo I del progetto Raccontare Shakespeare (al teatro degli Atti di Rimini). E sempre a Rimini al teatro degli Atti ma il 18 marzo, torna il testo di Sheakespeare della Factory Company La bisbetica domata, una delle commedie più note e rappresentate che qui diventa una sorta di opera buffa.
INTRIGO E AMORE DI FRIEDRICH SCHILLER Al Bonci di Cesena dal 15 al 18 marzo Scritta da uno Schiller di 24 anni nella Germania preromantica dello Sturm und Drang, Intrigo e amore è la tragedia di un legame profondo e impossibile, del conflitto inevitabile tra ragione, politica e sentimenti. A portarla in scena la versione italiana di Danilo Macrì è il teatro stabile di Genova al teantro Bonci di Cesena dal 15 al 18 marzo,
Dopo lo spensierato ventennio berlusconiano, all'insegna di ristoranti pieni e finanza creativa, pare che stia tornando di moda il tema del lavoro. Anche i più timidi sembrano essersi accorti che questo paese soffre di un qualche problema d'occupazione: schiere di ragazzi sottopagati e privi di prospettive concrete di stabilità; caporalato e migranti schiavizzati; concentrazione del capitale nelle mani della più ignorante classe dirigente d'Europa. Ce n'è di che riempire quaderni gramsciani; ce n'è di che allestire interi spettacoli. La classe operaia va in paradiso, nuova produzione di ERT a firma di Claudio Longhi, risponde esattamente a questa rinata domanda di riflessioni sul lavoro. Libero adattamento teatrale del classico girato da Elio Petri nel 1971, lo spettacolo è nato da un'idea di Lino Guanciale e la drammaturgia è stata curata da un narratore romano ormai piuttosto conosciuto al grande pubblico, Paolo di Paolo (vedi intervista p. 14). In Romagna ci saranno due occasioni per vederlo – all'Alighieri di Ravenna (8-11 marzo) o all'Ermete Novelli di Rimini (1315) – e per valutare se questa rilettura riesca a raggiungere i suoi intenti (parlare della scomparsa della classe operaia e riflettere sulla mancanza di un'ideologia che aiuti ad orientarsi nel presente) o se si risolva in un'esercizio attoriale per amanti del vintage. Al ridotto del Masini di Faenza il 21 marzo, arriva il Macbettu di Alessandro Serra, che si è aggiudicato il premio Ubu 2017 come spettacolo dell'anno. La tragedia di Shakespeare tradotta in sardo e interpretata da soli uomini: sarebbe facile fare ironia preventiva sulla necessità di quest'opera, che cita Dioniso e le maschere di carnevale sarde, che accosta la Scozia alla Barbagia nel segno dell'atavi-
smo e del visceralismo di una lingua criptica; non lo farò. Il premio Ubu vinto da Serra sembra stare lì proprio per questo, per scacciare snobismi intellettuali e prevenzioni, e per vincere il sospetto dei più critici. Passando al teatro di narrazione, si segnala la presenza di Marco Paolini al Teatro della Regina di Cattolica (26 marzo) e al Bonci di Cesena (27-28), in scena con l'ultimo spettacolo Le avventure di Numero Primo. Scritto assieme al politico e allo scrittore veneto Gianfranco Bettin (deputato dei Verdi), questo lavoro di distacca notevolmente dal Paolini più conosciuto. Gli amanti degli Album o delle grandi “orazioni civili” potrebbero restare spiazzati. Siamo qui alle prese con il racconto di un futuro prossimo – o forse già arrivato senza che ce ne fossimo accorti: Numero Primo è un Nicola del futuro, un essere super intelligente un po' Pinocchio, un po' Gesù, probabile risultato di un'esperimento di intelligenza artificiale fuggito chissà come dai laboratori per trovare rifugio nella casa di un fotografo, Ettore Achille. La narrazione di Paolini è intarsiata di concetti e citazioni scientifiche, ma riesce a rimanere leggera, efficace – o almeno lo era nello studio preparatorio visto nell'ormai lontano 2015 a Faenza. Chiudo questo Baedeker con una nota di leggerezza, per addolcire la convalescenza del lettore dal probabile shock delle elezioni: il 18 marzo al Diego Fabbri di Forlì arriva la celeberrima Familie Flöz, che non ha bisogno di grandi presentazioni. La “familie” berlinese, probabilmente la più importante compagnia di teatro del corpo europea, porterà le sue maschere e il suo teatro silenzioso a Forlì con uno dei suoi spettacoli più conosciuti, il “thriller” Hotel Paradiso.
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Monologhi, racconti e lettere del cuore con i grandi interpreti In scena a marzo Giuseppe Cederna, Lella Costa e Lucrezia Lante della Rovere Giuseppe Cederna in “Da questa parte del mare”
SEI “ANIMALI” NOTTURNI AL BANCONE DEL BAR Sei animali notturni, illusi perdenti, che provano a combattere, nonostante tutto, aggrappati ai loro piccoli squallidi sogni, ad una speranza che resiste troppo a lungo. Come quelle erbacce infestanti e velenose che crescono e ricrescono senza che si riesca mai a estirparle. È questo il nucleo di Animali da bar di Gabriele de Luca che ne cura la regia con Alessandro Tedesci e Massimiliano Setti. In scena il 6 marzo al Goldoni di Bagnacavallo.
Il teatro di narrazione conosce ormai molte forme, ma continua ad avere la costante di affidarsi innanzitutto al testo e a un interprete che gli dà voce, spesso solo, magari con un accompagnamento musicale. E allora ecco che forse si può accostare proprio a questo genere lo spettacolo Da questa parte del mare di Gian Maria Testa, libro pubblicato da Einaudi dieci anni dopo l’uscita dell’omonimo disco. Dal disco e poi dal libro, Cederna con Giorgio Gallione (regia), hanno tratto un omaggio commosso all'amico e al suo testamento. Lo spettacolo sarà al comunale di Russi l’1 marzo e il 3 marzo al teatro Turrioni di Sogliano, dove il 17 marzo arriverà anche Lella Costa, con Questioni di cuore. L’attrice in scena interpreta le lettere arrivate a Natalia Aspesi per la rubrica su Il Venerdì di Repubblica e pubblicate sul libro Amore mio ti odio su musiche di Ornella Vanoni. Lo spettacolo sarà in scena anche il 14 e 15 marzo al teatro comunale di Cervia. Protagonista solista al femminile è anche Lucrezia Lante della Rovere che continua a dare voce a profili di donne straordinarie che hanno costruito la cultura del ‘900, conducendoci questa volta nell’universo di memorie e confidenze della fascinosa personalità di Misia Sert: in scena al CorTe Coriano il 25 marzo. E ancora di donne parla Marta Cuscunà autrice e inteprete de La semplicità ingannata, una satira per attrice e pupazze sul lusso d’esser donne. Si tratta della seconda tappa del progetto sulle Resistenze femminili in Italia ed è liberamente ispirato alle opere letterarie di Arcangela Tarabotti e alla vicenda delle Clarisse di Udine. In scena al teatro di Gambettola il 18 marzo.
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IL GIURAMENTO, SECONDO CLAUDIO FAVA Dall’1 al 4 marzo, al Diego Fabbri di Forlì è in scena Il giuramento, scritto da Claudio Fava, che racconta la storia di Mario Carrara, uno dei dodici docenti universitari che nel 1931 rifiutò di effettuare il giuramento fascista che veniva richiesto alla sua categoria La regia è di Nanni Bruschetta, la produzione del Teatro Stabile di Catania.
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L’ULTIMO HAREM Liberamente ispirato a le Mille e una notte e al lavoro della scrittrice turca Nazli Eray, al comunale di Conselice va in scena domenica 4 marzo lo spettacolo L’ultimo harem scritto da Angelo Savelli e interpretato da Serra Yilmaz, Valentina Chico, Riccardo Naldini. Siamo nel 1909, alla vigilia della chiusura degli harem.
spettacolo itinerante
MALATESTA AL CASTEL SISMONDO All’interno delle celebrazioni malatestiane, per la stagione del Novelli di Rimini, dal 23 marzo all’8 aprile, avrà luogo lo spettacolo itinerante all'interno di Castel Sismondo, tratto da Malatesta di Henry de Montherlant, ideazione e regia Gianluca Reggiani. Il pubblico incontra un Sigismondo cinquantenne sulla via del tramonto, stanco ma non domo, isolato: gli è rimasta solo la sua amata Rimini che rischia di perdere per il complicarsi delle relazioni con Papa Paolo II. In un’atmosfera carica di tensione il sprotagonista si muove come una belva in gabbia facendo emergere la sua irrequietezza, il suo entusiasmo, la sua volubilità e tutte le sue contraddizioni con un epilogo finale tragico degno della sua incredibile vita.
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comico
GENE, IL PROCACCIATORE
LO SHOW DI PANPERS E DEL BUFALO
Il procacciatore è lo spettacolo interpretato da Gene Gnocchi, che il comico ha scritto con Simone Bedetti. Al Masini di Faenza il 3 marzo
Al Fabbri di Forlì, il 10 marzo, lo Show di Panpers & Diana Del Bufalo, una serie di gag e canzoni parodistiche.
LA BIBBIA DI CEVOLI Ancora una data per Paolo Cevoli e la Bibbia raccontata alla sua maniera. Questa volta a Verucchio il 18 marzo.
DANTE SECONDO FULLIN Lunedì 12 marzo a Ravenna, all’Alighieri, la Commedia di Dante secondo Alessandro Fullin ne La Divina.
LA LINGUA DI MARESCOTTI Al Goldoni di Bagnacavallo il 16 marzo lo spettacolo di Ivano Marescotti giocato sulle contaminazioni (deteriori) dell’italiano ne La lingua neolatrina.
I 20 ANNI DI SGRILLI 20 in poppa, i vent’anni di carriera per uno dei volti di Zelig, Sergio Sgrilli. In scena al Comunale di Cervia il 23 marzo.
Piazza della Libertà 15 Bagnacavallo (RA) Tel. 0545 64468 www.malabocca.it Osteria Malabocca
L'Osteria Malabocca è un piccolo e confortevole locale a gestione familiare situato nella piazza principale di Bagnacavallo. Ci piace dire che la nostra cucina è priva di etichette, se non quella della "stagionalità", infatti i nostri menù cambiano con il mutare dei prodotti che la natura mette a disposizione, cercando di lavorarli nella maniera più semplice possibile. Tutto viene preparato giornalmente da noi, compresi le paste, i dolci e il pane. Roberto e Denise vi aspettano tutti i giorni escluso il mercoledì, mettendo a vostra disposizione un menù vegetariano, uno di pesce e uno di carne oltre ad una selezione di piatti dedicati ai sapori e ai profumi del territorio. Aperto dalle 12 alle 14,30 e dalle 19,30 alle 22,30
Chiuso il mercoledì
SOGNO DI MEZZA ETÀ Il comico Sogno di una notte di mezza età di Debora Villa e di una donna alle prese con i 40 anni. A Verucchio il 18 marzo. Stesso palco per il cabaret di Horny il 3 marzo.
IL DOPPIO BRODO DI TIMO Al teatro Binario di Cotignola, Maria Pia Timo in Doppio Brodo show il 25 marzo (alle 17.30).
FUORI ABBONAMENTO Il “Gioco” del mentalista Francesco Tesei Sabato 24 marzo alle 21 al Goldoni di Bagnacavallo spettacolo fuori abbonamento di Francesco Tesei, noto anche come il mentalista, con lo spettacolo The Game (Il gioco), che segue il successo di Mind Juggler.
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danza
A sinistra: la Giselle, foto di Matteo Carattoni; a destra Rossini ouvertures, foto di Cristiano Castaldi
La passione del contemporaneo sui palchi della Romagna
TEATRO MUSICALE La Cavalleria rusticana diretta da Rivani Domenica 4 marzo alle 18, sul Palco del Comunale di Cervia debutta Cavalleria Rusticana, opera in un unico atto di Pietro Mascagni, tratto dalla novella omonima di Giovanni Verga, diretta da Jacopo Rivani per la regia di Lorenzo Giossi, con l’Ensemble Tempo Primo e un cast vocale di giovani talenti.
In scena anche la rivisitazione di Giselle del Teatro di Roma Diversi gli appuntamenti con la danza nel mese di marzo sui palchi della Romagna, con una forte prevalenza di contemporaneo. Si comincia martedì 6 marzo al teatro della Regina di Cattolica con Lionel che i creatori e gli interpreti, Teresa Noronha Feio e Francesco Sgrò, definiscono «una pratica performativa con le sue radici nell’estetica dello sport. Lionel presenta l’incontro non lineare né cronologico di tre personaggi: lui, quello che crea situazioni; lei, quella che diventa altro; Lionel, la palla che esiste e crea il campo di gioco». La performance è la prima creazione del collettivo Fabbrica C, associazione creata da cinque artisti nel 2016 per sostenere e diffondere la ricerca in campo artistico. La drammaturgia è di Carlota Scioldo, le musiche originali Andra Alessandra Bossa. Domenica 11 marzo al teatro Bonci di Cesena in scena due coreografie interpretate dalla Mm Contemporary Dance Company: Le silfidi (di Gustavo Ramirez Sansano) e Pulcinella (di Michele Merola). In alto Le Silfidi, Martedì 13 marzo ci si sposta invece al sotto: Bliss Rossini di Lugo per la Spellbound Contemporary Ballet e le Rossini Ouvertures con coreografie di Mauro Astolfi su musiche del grande autore di cui ricorre il 150° della morte nel corso del 2018. Sabato 17 è la volta di Aterballetto che all’Alighieri di Ravenna porta Bliss, del coreografo Johan Inger che spiega: «Il punto di partenza di questo nuovo spettacolo è la musica del Köln Concert di Keith Jarrett, che, oltre che il sottoscritto, ha ispirato e toccato milioni di persone grazie al suo perfetto tempismo nell'attirare una generazione che si muoveva da una parte all'altra della propria vita». Nella stessa serata in scena anche Words and Space, firmata invece da Jirì Pokorny che rappresenta la metafora di un dialogo intrapersonale con il corpo di un individuo all’interno di uno spazio nell’atto di cimentarsi in un monodialogo (in replica il 18). E contemporanea è anche la Giselle che il Teatro di Roma porta al Fabbri di Forlì il 23 marzo: uno spettacolo che è sulle scene da centosettantacinque anni e non smette di rinnovarsi. In questo caso la coregrofia è stata commissionata a Itamar Serussi Sahar e Chris Haring, impegnati rispettivamente nel I e nel II atto.
La Butterfly per i più giovani con Kinkaleri Al teatro Astra di Bellaria, domenica 11 marzo alle 17.15, la compagnia Kinkaleri, nota per la commistione di linguaggi che includono anche la danza, propone la sua Butterfly in una versione per far scoprire ai più giovani l’attualità dell’opera lirica in un continuo ribaltimento di figure e sagome. Il performer Marco Mazzoni interpreta i vari personaggi, mentre Yanmei Yang ripropone dal vivo le arie più celebri.
Circo e musica dal vivo con Scintille Al teatro Mentore di Santa Sofia sabato 24 marzo, alle 21, il Veronique Ensemble porta in scena uno spettacolo di circo, musica dal vivo e teatro con le musiche di Davide Salata dal titolo Scintille.
lirica
IL “SIMON BOCCANEGRA” CHIUDE LA STAGIONE DELL’ALIGHIERI Venerdì 2 marzo alle 20.30 (replica domenica 4 alle 15.30) va in scena l’ultimo appuntamento con l’opera della stagione 2017/2018 del teatro Alighieri a Ravenna. In particolare la chiusura è affidata al Simon Boccanegra: un’opera «triste – nelle parole di Verdi – perché dev’essere triste, ma intensa», un intreccio fatale di equivoci e tradimenti dove il dramma privato convive con quello pubblico della guerra civile. La coproduzione ripropone la collaborazione fra Fondazione Teatri di Piacenza e Teatro Alighieri – cui si aggiunge quest’anno l’Opéra de Marseille – ed è affidata alla regia di Leo Nucci. L’allestimento da lui ideato è orientato a definire uno spazio scenico fortemente tradizionale. In buca l’Orchestra dell’Opera Italiana diretta da Pier Giorgio Morandi; il coro è quello del Teatro Municipale di Piacenza.
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visioni
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il film
CONTROCINEMA Esplorazioni atipiche dentro le nuove forme del cinema
La rivelazione del cinema indie americano: Lady Bird
di Albert Bucci
Direttore artistico del Soundscreen Film Festival e consulente alla selezione del Ravenna Nightmare, è stato docente di Sceneggiatura alla Iulm di Milano, e produttore esecutivo di spot pubblicitari.
Girato dalla giovane Greta Gerwig, ha fatto il pieno di premi con una classica storia di formazione, di passaggio all’età adulta
la rassegna
AL MASINI TORNA IL CINEMA DELLA VERITÀ Terza edizione dedicata ai documentari Sei le proiezioni in programma
A marzo esce nelle sale una piccola grande rivelazione del cinema americano indipendente: il fenomeno Lady Bird, della giovane regista Greta Gerwig, che partendo in sordina ha avuto grandissimi riconoscimenti e premi tra festival, critica, e soprattutto pubblico, un effetto a valanga che l'ha portato ad avere 5 nomination Oscar 2018, tra cui miglior film, miglior regia e miglior attrice protagonista. La storia è il classico romanzo di formazione in versione indie. È il 2002, da un anno c’è stato l'attentato alle Torri Gemelle, e siamo a Sacramento, la città meno interessante della California per la protagonista Christine “Lady Bird” (interpretata da un'ottima Saoirse Ronan, che avete già apprezzato in Amabili resti di Peter Jackson e in Grand Budapest Hotel di Wes Anderson). Christine è all'ultimo anno della high school, ed è nella fase critica della fine dell'adolescenza. Ha deciso di cambiarsi il nome in Lady Bird; vorrebbe andare a studiare a New York e non nello squallido college sotto casa; e in più la scuola che frequenta è un liceo cattolico, scelto solo per non trovarsi in mezzo alle gang della scuola pubblica. Si aggiunga che la famiglia è in crisi economica: il padre ha perso il lavoro ed è in crisi depressiva, la madre psichiatra è costretta a turni doppi in ospedale, il fratello adottivo deve lavorare in un bar dopo la laurea. In questo fase di crisi generazionale, Lady Bird vorrebbe evadere, ma al tempo stesso cerca anche l’amore. Durante le prove per
il musical di fine anno della scuola, conosce il bravissimo ragazzo Danny, di famiglia benestante, anche se tipicamente cattolica e tipicamente reaganiana. L'amore per Danny, il primo della sua vita, sembrerebbe bellissimo, ma... Ovviamente non si deve spoilerare nulla oltre il primo terzo di film. La storia di Lady Bird è e rimarrà quella del coming of age, del passaggio all'età adulta, ma con un pregio assoluto che le rende universale e meritevole del successo: non è mai scontata né banale. Tutti i passaggi narrativi sono per certi versi “classici” nel genere, ma sempre sviluppati con una grazia, un cuore e un'intelligenza rarissime. La giovane regista Greta Gerwig parte da qualcosa che potrebbe essere autobiografico (è lei stessa originaria di Sacramento), ma subito ci si rende conto che la scelta del luogo non è riferita a se stessa, bensì alla conoscenza profonda delle dinamiche delle tranquille città di provincia americane. Con stile sereno, in realtà comprendiamo le divisioni di classe nella società americana e il senso di vergogna che si ha nell'essere poveri, vergogna che in Lady Bird porta a cambiarsi il nome, in quanto vergogna di se stessi di fronte agli altri. E la maturazione passerà attraverso rituali di passaggio ancestrali: il ballo a scuola, il primo bacio, la prima volta che si fa sesso, le litigate con le amiche... Un film solo apparentemente leggero, non convenzionale nell'affrontare un tema eterno come l'adolescenza, che promette di raccogliere qualcosa anche nella notte degli Oscar.
Comprendiamo il senso di vergogna che si ha nell’essere poveri nella provincia americana
Per il terzo anno consecutivo, il Ridotto del Teatro Masini di Faenza propone una rassegna interamente dedicata al docufilm d’autore, “Il cinema della verità”. La rassegna 2018 si svilupperà in sei appuntamenti serali a ingresso gratuito, programmati nei mesi di marzo, aprile e maggio. Il grande schermo allestito sul palcoscenico della Sala dei Cento Pacifici del Mic proietterà opere ospitate in importanti Festival del cinema documentario internazionali, realizzate da affermati autori e registi che, di volta in volta, saranno presenti in sala per presentare e commentare col pubblico i loro film. Queste le proiezioni in programma: Punishment Island di Laura Cini (nella foto), regista anche del successivo L’ombelico del mondo (7 marzo); Sono Guido e non Guido (14 marzo) di Alessandro Maria Buonomo; Dove vanno le nuvole (28 marzo) di Massimo Ferrari; The Hate Destroyer (11 aprile) di Vincenzo Caruso e Bagnini e bagnanti di Fabio Paleari. Tanti e diversi i temi affrontati, con al centro il biografico di persone protagoniste di storie straordinarie: dalle donne di Akampene, una piccola isola ugandese, all’incontro tra un’anziana “guaritrice” della Versilia e una giovane che ne vuole diventare l’erede; dal “mistero” che si cela dietro il fenomeno letterario Guido Catalano ai racconti di persone che, in varie città d’Italia, hanno saputo trasformare “l’emergenza migranti” in un’opportunità di crescita; dalla caparbietà con cui una signora berlinese cancella, da oltre trent’anni, scritte e adesivi razzisti e omofobi dai muri della sua città fino ai racconti dei bagnini della riviera adriatica degli anni ’60 che rivelano meno machismo e più sensibilità di quanto si possa pensare.
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la rassegna
Pennabilli ricorda il suo Tonino Guerra, sceneggiatore da Oscar, poeta e artista A marzo una settimana di eventi: dal 16, giorno della nascita, al 21, giorno della sua morte, avvenuta sei anni fa di Erika Baldini
“Sta drètt che la belèzza l’a n pàisa” (Stai dritto che la belezza non pesa) chiosa una delle sue poesie più famose, La belèzza. Invece se mettiamo in fila tutte le opere e le creazioni di Antonio, detto Tonino, Guerra – classe 1920, uomo di cultura ed estrema sensibilità che ha espresso la sua poetica nelle forme artistiche più diverse, scrittore e sceneggiatore di fama mondiale, poeta, pittore, inventore il peso della bellezza si fa sentire eccome. Era monumentale Tonino, immenso. Soprattutto si sente oggi, a sei anni dalla scomparsa, il peso della sua mancanza. Orgogliose origini contadine, una laurea in pedagogia e un passato come maestro elementare, Tonino Guerra durante la II guerra mondiale venne deportato in Germania e visse la terribile esperienza del campo d'internamento a Troisdorf, dove per alleggerire la pena e l’orrore di quella reclusione, recitava ai compagni i versi in romagnolo di Olindo Guerrini. Il passo alla composizione personale fu breve. La parole guariscono. Nell’immediato dopoguerra pubblicò la sua prima raccolta di poesie in dialetto, I scarabócc. A questa ne seguirono altre, tra cui I Bu (1972), tappa fondamentale della sua opera. Come prosatore esordì nel 1952 con il racconto La storia di Fortunato, edito da Einaudi. 50 i libri pubblicati, tra racconti e poesie, innumerevoli i premi vinti, come il Pirandello, il Pasolini e il Gozzano. Nel 1953 il trasferimento a Roma dove la sua carriera ebbe una svolta notevole. Guerra primeggia come sceneggiatore, oltre 120 i film da lui scritti, titoli che sono la Storia del Cinema italiano, da L’avventura di Anto-
nioni ad Amarcord di Fellini, vincitore del Premio Oscar, passando dalle collaborazioni con gli altri grandi dell’epoca, Vittorio De Sica, i fratelli Taviani, Elio Petri, Mario Monicelli, Francesco Rosi, Theo Anghelopulos, Andrej Tarkovskij... A Roma resta trent’anni, con lunghe soste in Russia, una seconda patria dove incontrò l'amore, la moglie Lora. Alla fine degli anni ’80 torna in Romagna, una casa a Santarcangelo, dove nacque, e poi il trasferimento a Pennabilli, antico borgo malatestiano del Montefeltro dove scelse di vivere («qui si sta così in alto che si sente tossire il Signore») e dove riposa, da quando «alle 8.30 della mattina del 21 marzo 2012, in Piazza Ganganelli, a Santarcangelo, nella casa di Tonino Guerra è entrato il silenzio». A Pennabilli – dove Guerra ideò numerose installazioni artistiche permanenti, sempre visitabili, chiamate “I Luoghi dell'anima”, come “L'Orto dei frutti dimenticati” o Il Giardino pietrificato” – marzo è un mese speciale: ogni anno vengono organizzate le “Giornate di Marzo per Tonino”, a cura dell’Associazione Culturale Tonino Guerra, in collaborazione con il Museo Tonino Guerra di Santarcangelo (dove il figlio Andrea, pluripremiato compositore di colonne sonore, ha creato un piccolo ma suggestivo spazio dedicato al padre). Le giornate, come spiega Alice Paola Brizi, segretaria dell'Associazione «nascono come omaggio al Maestro e si concretizzano in una settimana di eventi tra il 16, data di nascita del poeta, e il 21 marzo, data della morte, nonchè Giornata Mondiale della Poesia. L'obietivo è ricordare un artista che ha segnato profondamente la cultura del XX secolo,
«Ha scritto oltre centoventi film per tutti i più grandi, da Fellini ad Antonioni»
In alto Tonino Guerra, in basso l’ingresso dell’orto dei frutti dimenitcati a Pennabilli
creando momenti di approfondimento e divulgazione della sua opera artistica e della sua vita... Le iniziative in calendario sono dedicate al grande pubblico ma anche ai più giovani, alla scuola, con cui già realizziamo iniziative durante tutto l'anno con la nostra associazione. Soprattuto ai giovani è imporatante far conoscere questa figura, solo apparentemente lontana dai loro interessi». La manifestazione è itinerante e si occupa d'arte a 360°: proiezioni, letture di poesie, spettacoli, escursioni guidate, tutto nei luoghi cari al poeta e alla presenza di ospiti prestigiosi, delle istituzioni e naturalmente della moglie e del figlio Andrea, dallo scorso anno presidente dell'Associazione Guerra. Marzo è quindi il mese giusto per visitare Pennabilli e Santarcangelo, la Valmarecchia. In attesa del grande evento: la celebrazione del centenario nel 2020. Per conoscere il programma completo degli eventi: https://www.facebook.com/ToninoGuerra/
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la recensione
Una mostra d’eccezione per indagare il Cinquecento La visita merita tempo non solo per alcune opere di Michelangelo, Correggio, Tiziano e Caravaggio, ma per la ricognizione sul periodo di Serena Simoni
Prendetevi molto tempo per gustare la bella mostra dedicata all'arte del ’500 da poco aperta ai Musei di San Domenico di Forlì: non solo alcune delle opere in mostra varrebbero da sole la visita – esposti Michelangelo, Correggio, Tiziano e Caravaggio – ma la ricognizione voluta dal comitato scientifico d’eccezione condotto da Paolucci riesce perfettamente nell'intento di ricostruire quel periodo difficile che va dagli anni precedenti alla Controriforma all’alba del nuovo secolo. Se può spaventare la lunghezza dell’esposizione suddivisa in dodici sezioni e la presenza di artisti sconosciuti al grande pubblico, consigliamo di munirvi di una guida o un'audioguida senza perdere questa occasione. La prima sezione allestita nella chiesa annessa ai musei illustra la situazione artistica italiana prima del Concilio di Trento a partire dai due modelli a cui nessun artista dell'epoca poteva sottrarsi: Raffaello e Michelangelo. Data la difficoltà di spostare opere dei due maestri la scelta è caduta su un famoso arazzo vaticano realizzato sui cartoni dell’urbinate con la “Pesca miracolosa” e alcuni calchi antichi dei “Prigioni” e del “Cristo portacroce” di Michelangelo, esposto assieme a una prima versione non portata a termine dall’artista. Nella navata si possono ammirare le opere degli artisti che si rifecero a questi modelli per tracciare percorsi differenti: chi rimase fedele al verbo di un classicismo rigoroso come gli scultori bolognesi Alfonso Lombardi e Antonio Begarelli, chi diede inizio a un approfondimento naturalistico come il bresciano Moretto, e chi infine, ispirato anche dagli esempi artistici del nord Europa, cominciò a imbastire un linguaggio anticlassico che paradossalmente superava i principi dello stile rinascimentale da cui era nato. Fra questi il Lotto, Beccafumi, Rosso Fiorentino e Pontormo, del quale si ammira una Sacra Conversazione in cui i due modelli –
A destra: Caravaggio, La Madonna dei Pellegrini, 1604-1606, olio su tela. Roma, Basilica di Sant'Agostino in Campo Marzio A sinistra: Federico Barocci, Deposizione dalla croce, 1567-1569, olio su tela. Perugia, Cattedrale di San Lorenzo
Raffaello per la sforbiciata delle gambe del Bambino e Michelangelo per le volumetrie e i colori tratti dalla volta della Sistina – vengono incalzati da un movimento e un’espressività che superano l’equilibrio rinascimentale. Altrettanto emozionante è la “Pietà” del Correggio, un’opera matura che accosta la dolcezza del modellato a una drammatica intensità espressiva quasi fiamminga. Più colta è la “Deposizione di Camaldoli” dipinta dal Vasari, il campione della corrente del Manierismo italiano che proseguendo l'anticlassicismo approda all'uso della “licenza” ovvero distorsio-
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ni, esagerazioni, complessità compositive e colori inusuali a scelta dell'artista. Un busto bronzeo di Michelangelo introduce la sezione seguente dedicata agli influssi scaturiti dalle invenzioni dell’artista: alcuni disegni permettono di analizzare il suo interesse verso l’anatomia e gli studi per alcune opere scomparse mentre copie a disegno o dipinte di altri collaboratori restituiscono le sue invenzioni donate a Vittoria Colonna, l’amica scrittrice legata a un circolo vicino a tesi non pienamente ortodosse. I testi di Juan de Valdés, religioso in stretto
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A sinistra: Pontormo, Sacra Conversazione, 1514, affresco staccato. Firenze, Basilica della Santissima Annunziata A destra: El Greco, Ragazzo che soffia su un tizzone acceso, 1571-72, olio su tela. Napoli, Museo e Real Bosco di Capodimonte
contatto con Erasmo da Rotterdam che fu a Roma e Napoli, costituiscono il filo rosso della sezione dedicata al movimento dei cosiddetti spirituali a cui si avvicinarono diversi artisti prima del Concilio di Trento: non solo Michelangelo e Sebastiano del Piombo ma anche Pontormo di cui in mostra sono i disegni preparatori per il ciclo di San Lorenzo a Firenze, poi scialbato a causa di un’iconografia eretica sul tema della giustificazione per sola fede. Gli influssi “tedeschi” criticati da Vasari non andavano solo in direzione di uno stile esageratamente nordico ma sottolineavano la mancanza di ortodossia. L’azione della Controriforma si dispiegò non solo attraverso le precise indicazioni dei trattati sulle opere d’arte ma anche nella definizione di un linguaggio architettonico attento alle tesi conciliari. I protagonisti della quarta sezione in mostra sono gli architetti al servizio dei Farnese per i palazzi a Roma e Caprarola, a cui si aggiungono le progettazioni per gli spazi sacri che rinnovarono la concezione delle chiese in epoca postridentina come la Chiesa del Gesù e quella di S. Andrea in Vallicella a Roma. Abbandonate la varietà e le stranezze delle architetture manieriste, lo spazio sacro ripartiva da una concezione unitaria e fedele all'ortodossia: fra le regole troviamo l'utilizzo degli ordini classici e l’abbattimento di qualsiasi ostacolo visivo fra lo spazio riservato ai fedeli e l’altare. Nonostante la difficoltà per vedere i ritratti dei papi della Controriforma collocati sul pianerottolo nella quinta sezione che fa da svincolo fra i due piani della mostra, si riesce a sostare il tempo dovuto davanti ai busti di Paolo III e Gregorio XIII, scolpiti rispettivamente di Guglielmo della Porta e Alessandro Menganti. Al potere dei Farnese è dedicata la sala successiva che si apre col famosissimo ritratto di papa Paolo III coi nipoti di mano di Tiziano. Se le sole committenze farnesiane varrebbero un'intera esposizione, lo stesso si colgono in mostra alcune delle collaborazioni prestate alla potente famiglia fra cui emergono opere diverse come il bel-
lissimo “Ragazzo che soffia su un tizzone” di El Greco o la pala della Pietà, eseguita da Federico Zuccari su invenzione del fratello, che anticipa il patetismo e la chiarezza compositiva richiesti all'arte dai lavori conciliari appena conclusi. Le opere devono d'ora in poi essere i libri degli analfabeti e dei poveri, dei Biblia pauperum in grado di spiegare alle masse le verità della fede: la mostra illustra bene le norme di aderenza ai testi sacri, chiarezza didascalica, naturalismo e coinvolgimento emotivo che i pittori dovevano seguire nei soggetti da porre in ambienti religiosi.
Tiziano, Paolo III e i nipoti Alessandro e Ottavio Farnese, 1546, olio su tela. Napoli, Museo e Real Bosco di Capodimonte
Fra questi qualcuno rimane legato ai modi della Maniera, espunta dai più pericolosi intellettualismi, mentre la maggioranza degli artisti giunge perfino a espressioni talmente auliche e purificate da apparire fuori dal tempo, come nel caso delle opere di Scipione Pulzone o del teatrale ed empatico “Cristo bendato” di Gaspare Celio. Il registro emotivo rimane importante per numerosi artisti che riescono a superare le griglie del rigido controllo formale ecclesiastico: illuminanti, carismatiche, trascinanti sono le opere dell'urbinate Federico Barocci, fra i pochi a mantenere un forte registro teatrale senza apparire mai stucchevole o artificioso. Altre due sezioni dedicate all'arte bolognese della seconda metà del '500 illustrano le strade differenti intraprese dagli artisti per convergere verso l'adesione al naturalismo e all'osservazione pre-scientifica: dai dipinti realistici alla maniera fiamminga di Bartolomeo Passerotti alle tavole degli artisti al servizio del naturalista Ulisse Aldrovandi, grande collezionista e osservatore di animali, pietre, erbe, si comprende quanto fosse stato preparato il percorso verso il realismo delle prime opere dei Carracci e dell'intero percorso di Caravaggio. Le opere del grande lombardo in mostra scoprono una fede popolare, umile e insieme teatrale, che emerge dal buio assecondando la metafora di uno scontro interno all'uomo fra parte spirituale e materiale che Michelangelo avrebbe probabilmente apprezzato. “L’eterno e il tempo, Tra Michelangelo e Caravaggio”, Forlì, Musei San Domenico, piazza Guido da Montefeltro fino al 17 giugno. Da martedì a venerdì: 9.30 - 19 sabato, domenica, giorni festivi: 9.30-20. Lunedì chiuso. 2, 23 e 30 aprile apertura straordinaria
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MATERIA OSCURA
Vergini, latte e sangue: l’ancestrale ri-creativo di Silvia Bigi di Linda Landi
Un nudo esplicitamente erotico, un velo bianco in testa e la storia dell’ultima “vergine giurata” si uniscono nella via circolare che collega i Balcani delle sperdute montagne albanesi alla Romagna delle altrettanto sperdute campagne di terra e nebbia: la materia oscura di Silvia Bigi è in mostra alla forlivese Fondazione Dino Zoli fino al 14 aprile con L’albero del latte, e ci approda dopo indagini di anni su temi fortemente connessi alle radici culturali e al femminile, spaziando tra fotografia e video. La ritroviamo ora in un bagno di “sudore, sangue e latte” dopo essersi imbattuta per caso nella foto di Stana Cerovic, scomparsa nel 2016, e ultima appartenente alla tradizione descritta nel Kanun (un antico codice che sancisce le usanze delle popolazioni rurali balcaniche) secondo cui una donna che non avesse fratelli maschi poteva sottrarsi a un matrimonio combinato ed essere considerata con lo stesso rilievo sociale riservato agli uomini, a patto di “trasformarsi” essa stessa in uomo e assumerne in toto i comportamenti e le sembianze. Rinunciando insomma, formalmente e intimamente, alla propria natura in una sorta di mutilazione identitaria. Bigi così si chiede, serrando il cerchio su un misterioso codice romagnolo riferito ai riti matrimoniali delle nostre zone, quale sia l’origine della disarmonia che costringe le donne a reclamare la stessa considerazione riservata agli uomini solo a patto di rinunciare a una fetta importante della propria femminilità. Perché questo accade anche nella nostra cultura, seppur in misura più mediata e meno patente
rispetto all’usanza delle vergini promesse nei Balcani. E l’Albero del latte che dà il titolo alla mostra altro non è che la definizione - sempre secondo il Kanun – della stirpe femminile ben contraddistinta da quella maschile, simboleggiata invece dall’Albero del sangue: così ne “Il sangue e il latte” i due “fluidi vitali” cercano una fusione di maschile e femminile dentro lo stesso bicchiere. Ne Il corredo della sposa si vede invece un evocativo baule (la dote è un’usanza incredibilmente ancora in auge in Italia fino al 1975, anno in cui venne abolita con la riforma del diritto di famiglia) contaminato da lucide anguille, animali simbolo della caparbietà riproduttiva in virtù dei loro viaggi di sola andata da e per la “nursery” del Mar dei Sargassi, dove arrivano per deporre e poi morire i genitori, e da cui ripartono i soli figli adagiandosi sulle correnti e sfidando l’aria e la terra che separano le acque da percorrere. Un lavoro serissimo, che tocca temi capitali del nostro spaccato di storia, quello in mostra alla Fondazione Zoli, e che vede la ri-creazione del rito intesa anche come momento parodistico in Esercizi di preparazione ai doveri della prima notte contraddistinto (e qui torniamo a bomba) da una messinscena esplicita dell’immaginario pornografico maschile: citando la curatrice Francesca Lazzarini, secondo un «principio di sovraidentificazione spinto fino all’ironia». Insomma, uomini e sostenitori più o meno consapevoli del patriarcato, avete un’altra occasione per riflettere.
CATTOLICA Vittorio Sgarbi porta in teatro Michelangelo Al Teatro Regina di Cattolica il 3 marzo alle 21.15 il critico d’arte, noto personaggio televisivo e della vita politica, Vittorio Sgarbi porta in scena Michelangelo, un racconto su uno dei più grandi nomi dell’arte di ogni tempo, contrappuntato in musica da Valentino Corvino (compositore, in scena interprete) assieme alle immagini rese vive dal visual artist Tommaso Arosio.
RIMINI Alla Far in mostra padre e figlio in Arcipelato Peretti Alla Far di Rimini è in corso la mostra Arcipelago Peretti che ripropone il tema del legame affettivo tra due generazioni di artisti, padre e figlio. Il tema insulare rappresenta il filo conduttore che lega le loro opere esposte nella mostra: Ferdinando Peretti presenta Cuba-Giannutri al piano superiore del Palazzo dell'Arengo mentre al piano terra il figlio Matteo presenta Pet Island, che si compone di numerose installazioni, alcune create site specific per l’esposizione romagnola. Fino all’1 aprile, orario: 10 - 13 e 16 - 19; chiuso il lunedì non festivo.
Dialogo tra la Romagna e gli Usa con Lombardini ed Evans La pelle del colore è il titolo della mostra allestita negli spazi di Augeo Art Space nella dimora storica di palazzo Spina (corso d’Augusto 217) fino al 7 aprile. In esposizione i cromatismi delle opere di Giovanni Lombardini e Edward Evans in un dialogo tra Rimini e gli Stati Uniti. «La pelle del colore, titolo dell’esposizione, lo dedico all’uso sapiente dei pigmenti che ne sanno fare i due protagonisti di questa mostra», scrive la critica e curatrice della mostra Sabrina Marin.
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design
I “partigiani” che fecero la storia della grafica: i lavori di Licalbe al Mar Dal marchio coop all’economica Feltrinelli, le grandi invenzioni della coppia Lica e Albe Steiner Partiamo dalla fine per spiegare meglio il percorso: il motto secco e onorevole che appare sulla lapide funebre di Albe e Lica Steiner non definisce la coppia per il lavoro svolto nel campo della grafica – furono fra i più grandi innovatori in Italia – ma semplicemente come “partigiano” e “partigiana”. Come dire che della loro vita ricca di attività, contatti e viaggi l'esperienza di militanti durante gli anni del fascismo costituisce il nocciolo esistenziale. In effetti c'è una tale connessione fra l'impegno politico e civile di questa coppia – talmente unita da essere soprannominati Licalbe – da rendere impossibile un'analisi del lavoro senza tener conto della tensione ideale che lo sostanzia. La mostra al Mar di Ravenna, curata dalla figlia Anna e sostenuta da Coop Alleanza 3.0, è un'occasione per conoscere la loro attività e comprendere il binomio fra attivismo e professione che è l'eredità più viva di quella generazione. La città che ospita l'esposizione rende questo secondo omaggio alla figura di Steiner a cui, ricordiamolo, venne dedicato un Centro professionale di formazione di altissimo profilo con vari insegnamenti fra cui la grafica, frequentato da ragazzi che spesso arrivavano da fuori provincia o addirittura da altre regioni. Più volte è stato ricordato che Albe, nato nel 1913 a Milano da padre cecoslovacco e madre italiana, aveva uno zio acquisito dal nome impegnativo: Giacomo Matteotti. Dal momento del suo assassinio o forse ancor prima, dalle idee liberali del padre, scappato dal paese natale dopo aver partecipato ai moti indipendentisti contro l'Impero, Steiner avvierà un percorso di riflessione politica intorno ai principi di libertà, uguaglianza, democrazia. Lica Covo, milanese e di un anno più giovane del compagno, non è esente da una vicenda familiare investita drammaticamente dalla storia: proviene da una famiglia di origini miste – francoitaliana e cattolica la madre, bulgaro ed ebreo il padre – e fin da giovane conosce l'antifascismo e il peso delle leggi razziali. Due vite simili si avvicineranno per amore, motivi etici e comuni interessi artistici. Albe aveva studiato grafica e design, Lica aveva frequentato la scuola superiore d'arte a Besançon e la loro formazione si riflette su tutto il lavoro successivo. Senza escludere un interesse verso il realismo fotografico, Albe coglie le sperimentazioni degli avanguardisti – dalle riproduzioni dinamiche del futurista Anton Giulio Bragaglia alle impressioni di oggetti su carta fotografica del surrealista Man Ray – dando priorità al costruttivismo russo, soprattutto nelle linee che si aprono dal lavoro del russo El Lissitzky. Dopo aver coinvolto pittura, fotomontaggio, collage e grafica in impianti formali geometrici su cui predominano i colori bianco, rosso e nero, Lissitzky si trasferisce a Berlino all'inizio degli anni ‘20 dove frequenta i Dadaisti locali. Qui collabora in modo stretto con l'ungherese László Moholy-Nagy che può essere considerato uno dei grandi padri della grafica, fotografia e design editoriale, divulgati attraverso l'insegnamento presso il Bauhaus almeno fino nel 1933, quando i nazisti decidono di chiudere la scuola. La ricchezza dell'esperienza del Bauhaus – diffuso attraverso riviste e collaborazioni di professionisti internazionali – sarà uno dei riferimenti costanti di gran parte della gioventù europea in cui si inserisce Steiner che proprio nel ‘33 espone a Milano insieme ad alcuni protagonisti dell'Astrattismo italiano. Far coppia con Lica dal 1938 significa anche fondare insieme il primo studio grafico che porta già nel logo LAS il condensato del nome e le novità di una grafica asciutta, moderna, comunicativa. Da qui a realizzare opere che si mettano al servizio di un ideale il passo è breve: secondo l'esempio già praticato da Lissitzky, si possono utilizzare insieme fotografia e grafica, tipografia e pubblicità, per informare e divulgare nuove idee politiche. L'impegno professionale non si disgiunge da quello politico: Lica e Albe si avvicinano al Pci e lavorano clandestinamente per la stampa antifascista e la Resistenza per spostarsi in Messico ala fine della guerra. Ai motivi familiari del viaggio - ritrovare i fratelli di Lica sfuggiti alle leggi razziali - si aggiungono quelli politici e professionali poiché il paese rappresenta in questi anni il luogo in cui sembra verosimile l'opzione socialista. In Messico la coppia collabora alla campagna di alfabetizzazione nazionale e partecipa alle iniziative del collettivo Taller de Gràfica Popular - in contatto coi muralisti messicani e con Hannes Mayer, ex direttore del Bauhaus - che ha come obiettivo quello di utilizzare ogni forma artistica per diffondere la causa rivoluzionaria. Nel 1948 Lica e Albe tornano in Italia, mantenendo vivo l'impegno mediante l'insegnamento di progettazione grafica nelle scuole e la collaborazione a numerose riviste e giornali dell'area della sinistra – l'Unità, la Rinascita, Movimento operaio, Tempi moderni, Italia contemporanea – e a case editrici quali Feltrinelli, Einaudi, Bompiani, Editori Riuniti, Zanichelli. La grafica colpisce per la chiarezza ed efficacia comunicativa oltre alla commistione di pratiche imparate sul campo e dalle sperimentazioni precedenti. Il lavoro spesso nasce da una collaborazione fra i due anche se la figura di Albe emerge per gli incarichi pubblici per ditte come la Rinascente, di cui è art director dal 1950 al '54, e la Coop per cui realizza il marchio. L'Universale Economica, una collana su cui si fonda l'identità storica della casa editrice Feltrinelli, è figlia della progettazione di Steiner così come la Pagina della Donna su l'Unità deve la sua comparsa alla progettazione di Lica. Nel 1974 l'improvvisa scomparsa di Albe interrompe una storia d'amore e professionale ma non l'effetto a catena dei loro insegnamenti: la storia della grafica e dell'editoria italiana continua anche grazie a loro. Serena Simoni
In alto: Albert e Lica Steiner, foto di Ugo Mulas; in basso a sinistra: Manifesto per l'apertura del primo magazzino cooperativo a libero servizio a Reggio Emilia, 1963; in basso a destra: Studio fotografico di Albe e Lica per la Radio, 1951, AS - Politecnico di Milano.
Licalbe Steiner. Alle origini della grafica italiana; Museo d’Arte della città di Ravenna; orari: 9-18 dal martedì al sabato, 14-18 domenica (ingresso libero)
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mostre
mosaico
TRA MACCHINA E SENTIMENTO
LE OPERE DI CACO3 TRA MODA E DESIGN
Dal 3 al 18 marzo al Magazzino del sale di Cervia in mostra le sculture “cinetiche” di Mavis Gardella e Aleksandra Popova sul tema “tra macchina e sentimento”
Il gruppo di artisti espone al negozio Biagetti di Ravenna Al Biagetti Design Store di Ravenna il 3 marzo dalle 18 cocktail d'inaugurazione (con musica dal vivo di In Between) della mostra personale del gruppo di artisti di mosaico contemporaneo CaCO3, nato a Ravenna e composto da Aniko Ferreira da Silva, Giuseppe Donnaloia e Pavlos Mavromatidis. Reduci da varie mostre a livello internazionale, espongono ora (fino al 31 marzo) un nucleo di circa trenta opere recenti che, appartenenti prevalentemente alle serie “Soffio”, “Entropia” e “Movimenti”, incontrano dialetticamente gli elementi di arredo del Biagetti Design Store, attraverso un allestimento site specific modulare, progettato dagli artisti stessi. La mostra rientra nel progetto Gallerie Migranti di Luca Donelli, avvocato penalista con la passione per l’arte contemporanea, e di Gianfranco Tondini, artista e scrittore.
migranti
UN DIARIO DI VITE DAL MARE DI SICILIA Alla biblioteca Classense “Touroperator” di Sansavini Dai legni degli scafi dei migranti approdati a Lampedusa, opere d’arte per ricordare quei viaggi della speranza e raccontare le storie di chi ha attraversato il Mediterraneo. “Touroperator - Diario di Vite dal Mare di Sicilia” è la mostra itinerante dello scultore Massimo Sansavini, patrocinata da Amnesty International, fino al 18 marzo nella Manica Lunga della Biblioteca Classense di Ravenna. Sansavini, formatosi al Liceo Artistico Nervi e successivamente all’Accademia di Belle arti di Ravenna, è l’unico artista ad aver ottenuto l’autorizzazione dal Tribunale di Agrigento per entrare nel “girone dantesco” del cimitero delle barche di Lampedusa, nell’ex-base americana Loran. Il legno prelevato dalle imbarcazioni abbandonate è stato trasformato dall’artista in sculture che raccontano i singoli naufragi. A ricordarceli il titolo delle diverse opere, cioè la data in cui sono avvenuti.
LE “IMPERDONABILI” A CESENA Dal 3 marzo al 2 aprile alla Galleria d'Arte Palazzo Ghini di Cesena si terrà la mostra del pittore Dino Benucci “Le Imperdonabili”, a cura di Marisa Zattini. Saranno esposti 13 ritratti di donne - filosofe, mistiche, letterate e intellettuali.
ANDREA DA MONTEFELTRO Prosegue fino al 31 marzo al Museo di San Girolamo di Sant’Agata Feltria la mostra delle sculture in pietra di Andrea da Montefeltro.
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marzo 2018
l’intervista
David Szalay per la prima volta in Italia: «Il mio libro, un ritratto dell’Europa contemporanea»
la rassegna
Il celebrato autore di Tutto quello che è un uomo a Ravenna, dove ha ambientato anche una storia: «Lì ci senti veramente l’enormità del passato»
FALCO, MARI, BARZINI: GLI ALTRI OSPITI ALLA CLASSENSE Oltre a David Szalay, il ciclo “Scritture di frontiera” alla Classense di Ravenna prevede anche gli incontri con i filosofi Ermanno Bencivegna e Donatella di Cesare sulla paura del diverso rispettivamente il 21 e 22 marzo, mentre il 4 aprile chiude Chiara Barzini con il romanzo Terremoto sulla migrazione di un’italiana nella California degli anni Novanta. La rassegna tematica si intreccia a quella che accompagna l’inverno ravennate chiamata “Il tempo ritrovato” (sempre a cura di Matteo Cavezzali) e che prevede anche il 7 marzo l’incontro con Giorgio Falco e il suo acclamato Ipotesi di una sconfitta e il 14 marzo con Marilia Mazzeo con Non troverai altro luogo. Infine il 28 marzo chiude il mese Alessandro Mari (nella foto) con il suo Cronaca di lei uscito per Feltrinelli. Tutti gli incontri sono alle 18 a ingresso gratuito fino a esaurimento posti.
Nato in Canada, vissuto in Inghilterra e in Ungheria, David Szalay è considerato una delle voci più interessanti della nuova letteratura internazionale. Finalista al Man Booker Prize, secondo il quotidiano britannico Daily Telegraph è tra i venti migliori scrittori under 40. Il suo quarto libro All That Man Is è stato pubblicato da Adelphi, tradotto da Anna Rusconi, con il titolo Tutto quello che è un uomo. Il libro racconta le vite di nove uomini, in diverse età della vita, dall’adolescenza alla vecchiaia in nove paesi diversi, tracciando indirettamente la biografia di un continente: l’Europa oggi. David Szalay sarà per la prima volta in Italia per l’incontro di “Scritture di Frontiera” (progetto nato da ScrittuRa Festival e l’assessorato all’Immigrazione del Comune) il 19 marzo alle 18 alla Biblioteca Classense di Ravenna. Ogni racconto è ambientato in un diverso paese d’Europa, in una sorta di ritratto corale, cosa unisce e cosa divide la cultura europea secondo lei? «Sì, volevo produrre una sorta di ritratto dell’Europa contemporanea e naturalmente è un ritratto di connessioni: ogni storia parla di un personaggio che viaggia da un paese europeo a un altro. Penso che l’Europa contemporanea sia una rete intricata di queste connessioni, che insieme creano una sorta di incipiente identità europea. In un certo senso l’Europa ha forse un’identità comune più forte adesso di quanta ne abbia mai avuta dal Medioevo, quando era la cristianità, mentre io non considero la cristianità una delle fondamenta dell’Europa odierna. Resta inteso che ci sono evidenti divari – la crisi dell’Eurozona ha messo in luce un divario tra nord e sud, la crisi dei rifugiati quello tra est e ovest. Si tratta di fenomeni reali – radicati nelle differenza dell’esperienza storica – ma c’è il rischio di esagerarli, rendendoli più acuti di quanto dovrebbero essere». Cosa sono per lei oggi le frontiere? «Credo che l’invisibilità delle frontiere in gran parte di Europa abbia un profondo effetto psicologico. Viaggio spesso dall’Ungheria all’Italia, attraverso la Slovenia, senza incontrare nulla che assomigli a una “frontiera” ufficiale. L’Europa si sente per molti versi un unico spazio. È facile darlo per scontato e dimenticare quanto fossero diverse le cose un tempo». Il libro si apre con un adolescente che, arrivato a Berlino dalla Polonia, si chiede “che ci faccio qui?”, una domanda geografica, ma anche esistenziale. Lei ha vissuto in diverse parti del mondo. È nato in Canada, ha vissuto in Inghilterra e ora è a Budapest. Si è mai posto questa domanda quando era ragazzo? Come si era risposto? «Sì, mi sono fatto la stessa domanda. E la risposta è sem-
pre piuttosto complicata. La mia storia personale che mi ha portato a vivere in molti paesi diversi e la mia famiglia che proviene da vari paesi hanno naturalmente condizionato il mio modo di vedere queste cose. Non mi identifico al 100 percento in nessun paese, quindi non esiste per me un luogo in cui per me non si ponga questa domanda. Questo implica ovviamente vantaggi e svantaggi. Mi permette di assumere una certa prospettiva del mondo, piuttosto interessante, ma allo stesso tempo mi nega un’altra prospettiva, quella di chi può provare un lineare senso di “casa”». Le voci della narrazione sono tutti uomini che attraversano una fase diversa della vita e affrontano un momento di crisi. L’uomo fa però, quasi sempre, una pessima figura accanto alle figure femminili. Crede che il “maschio” sia in crisi di identità in questa società in cui la donna ritrova finalmente il suo spazio? «Non sono certo che stiamo assistendo a una particolare “crisi del maschile” nel mondo contemporaneo. Se così è, direi allora che la crisi dura da almeno cento anni, e sì, uno dei fattori chiave è probabilmente il cambiamento del ruolo della donna nella nostra società, con l’inevitabile impatto che ha sul ruolo e l’autopercezione degli uomini. Penso che anche questa sia la natura stessa del “maschio”, cioé trovarsi in uno stato di “crisi”: volere sempre di più, non essere mai soddisfatto, sentirsi sempre minacciato. Gran parte della letteratura europea (scritta naturalmente soprattutto da uomini) a partire da Omero sembra parlare in qualche modo della crisi della mascolinità». The Spectator ha scritto che «nessuno coglie la super-tristezza dell’Europa moderna meglio di Szalay». Secondo lei cosa voleva dire? Ed era questo che voleva cogliere? «Mi è sembrato di capire cosa volessero dire, senza essere per questo in grado di metterlo in parole. Ed era in effetti qualcosa che volevo cogliere. Non credo sia necessariamente un fenomeno specificatamente europeo, però: il tempo passa ovunque ed è il passare del tempo ciò che ci rende tristi. Forse la differenza è che in Europa, più che in qualsiasi altro posto, il passato è visibile ovunque e ovunque ci ricorda che il tempo sta passando». Tutto quello che è un uomo ha una forma narrativa molto originale, non è un romanzo, ma nemmeno una raccolta di racconti, eppure è anche entrambe le cose. Pensa che ci si interroghi troppo su come categorizzare i libri? Basterebbe forse dividerli in buoni libri e cattivi libri? Quale era la sua intenzione di narratore?
«Non considero il libro una raccolta di racconti, per me è un unicum molto organico: è una sola cosa e non una raccolta di cose diverse. Anche se, come dici, è in realtà entrambi. Che sia un “romanzo” o meno, non lo so. È una domanda piuttosto interessante per la verità, ma non credo ci sia una risposta definitiva. È quello che è». Una scena molto bella del libro si svolge a Ravenna. È l’episodio dedicato all’anzianità dove il protagonista trova ristoro nella bellezza dei mosaici nelle “tende che si aprono sul niente” di Sant’Apollinare e in un piatto di ravioli in un ristorante in cui era già stato da giovane. Sembra trovare finalmente un po’ di serenità. C’è un motivo particolare per cui ha scelto Ravenna per questo episodio? «Conosco quella parte di Italia e trovo Ravenna un posto molto evocativo – lì ci senti veramente l’enormità del passato, da cui deriva una malinconia ben precisa. La sensazione che la storia ci sia passata attraverso e poi abbia proseguito. Il periodo di storia in cui Ravenna ha avuto un ruolo centrale, il cosiddetto “Tardo antico”, oggi è poco conosciuto dai più, ma mi affascina molto. Mi sembra che per molti versi il nostro tempo abbia molto in comune con quel “Tardo antico”. Il panorama circostante così piatto, poi, ha una sorta di tetra bellezza che mi sembrava adatta alla storia. Non ricordo esattamente quando ho deciso di ambientare lì la storia; probabilmente la storia e l’idea di ambientarla lì sono arrivate insieme». Il cinema e le serie tv sono strumenti narrativi sempre più popolari. Le immagini sono già più importanti delle parole? Avremo sempre bisogno della letteratura, e perché? «Sì, il cinema e la tv sono adesso le forme narrative dominanti. Se una storia può essere raccontata con la stessa efficacia sia con le immagini sia con le parole, allora dovrebbe essere raccontata per immagini, per quanto naturalmente sia più costoso... Per giustificare l’uso delle parole, deve essere una storia per cui le parole possono in qualche modo fare meglio delle immagini, o che le immagini non potrebbero affatto raccontare. Però non ho dubbi che la “letteratura” sopravvivrà in qualche forma, la gente ha sempre usato la lingua in modo artistico per esprimersi e dare forma al proprio mondo anche in società con alti livelli di analfabetismo, e non vedo perché dovrebbe smettere di farlo». Un’ultima domanda: cosa ama leggere? «Ho appena letto un libro bellissimo: Vola via di David Malouf (Frassinelli, traduzione di Franca Cavagnoli, ndr)». Intervista a cura di Matteo Cavezzali e Federica Angelini
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la rassegna
Gli itinerari letterari approdano a San Giovanni in Marignano
marzo 2018
ragazzi
Spettacolo per ragazzi al Masini di Faenza, domenica 11 marzo alle 16, tratto dal grande romanzo di Melville Moby Dick dal titolo I guardiani dell’oca. Un modo per scoprire la grande letteratura americana attraverso un adattamento teatrale a cura di Zenone Benedetto. È una storia avventurosa dai dialoghi intensi, comici e a volte poetici, una storia fatta di attori, pupazzi, sagome e ombre, che interagendo, nel gioco narrativo, cercano un delicato equilibro affabulatorio, capace di conquistare ogni attento ascoltatore.
Tutte le domeniche di marzo incontri con i grandi nomi di scrittori italiani: Tobagi, Genovesi, Pascale, Postorino “D’Amore, di Storia, Bambini e Torri” è il sottotitolo della quinta edizione di Itinerari Letterari che, per la prima volta, approda nel Borgo di San Giovanni in Marignano. Gli incontri si terranno ogni domenica di marzo, alle ore 16.30, nella Sala del Consiglio. Emiliano Visconti, dell’associazione Rapsodia, ha spiegato, in un’anteprima, che «i bambini saranno i protagonisti dei primi due incontri: da una parte Benedetta Tobagi (4 marzo), che traccerà una mappa di come i bambini vivano nelle scuole italiane e le salvino con uno sguardo saggio ed intelligente». Bambino è anche il protagonista del nuovo romanzo di Fabio Genovesi che, «giorno dopo giorno, dalle scuole elementari fino alle medie, cerca di crescere nel precario equilibrio tra un mondo privato pieno di avventure e smisurato come l’immaginazione, e il mondo là fuori, stretto da troppe regole e dominato dalla legge del più forte» mescolando il registro comico con quello drammatico ne Il mare dove non si tocca (11 marzo). La vena comica emergerà anche con Antonio Pascale da poco uscito con due libri tra Attenuanti e Aggravanti Sentimentali che si svelerà in un monologo esilarante su quattro storie «in cui l’amore ti insegna e le donne ti danno bastonanti lezioni d'amore». A chiudere un libro che ha incassato ottime recensioni di una giovane autrice: si tratta del terzo romanzo di Rosella Postorino (25 marzo), intitolato Le assaggiatrici che racconta la vita di una delle donne che negli anni della Seconda Guerra Mondiale, assaggiavano i cibi che Hitler avrebbe dovuto mangiare. Donatella Di Pietrantonio di questo libro scrive: «La voce dell'assaggiatrice cattura il lettore e non lo libera mai, per quanto è vera, tesa, penetrante».
MOBY DICK CON PUPAZZI
l’evento/1
L’UOMO A VAPORE, OVVERO LA MODERNITÀ SECONDO MERCADINI La stagione del teatro Socjale di Piangipane si chiude con lo spettacolo del poeta e monologhista Roberto Mercadini che questa volta, insieme, si dedica al tema della modernità e del digitale ne Uomo a vapore. Lo spettacolo vede il coinvolgimento di Fiorenzo Mengozzi (batteria, concertina e glockenspiel), con la partecipazione di Graziano Versari (chitarre) e Veronica Fabbri Valenzuela (violoncello). Appuntamento per sabato 3 marzo.
l’evento/2
MONOLOGO SU CAMPANA Venerdì 16 marzo al Mama’s club di via San Mama, a Ravenna, la serata sarà dedicata al poeta di Marradi Dino Campana, autore dei celeberrimi Canti Orfici in una serata dal titolo “L’ultimo primitivo”. Il monologo è realizzato da Iacopo Gardelli e Elia Tazzari e interpretato da Lorenzo Carpinelli.
l’evento/3
LIPPERINI A LUGO Lunedì 26 marzo, alle 21, all’Hotel Ala d’Oro di Lugo per la rassegna Caffé letterario, appuntamento di spicco con la narrativa grazie a Loredana Lipperini che presenta il suo romanzo L’arrivo di Saturno, una doppia vicenda nata da un dolore mai sopito che mescola fatti reali e invenzione, memoria di un'amicizia e mito.
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LA ROMAGNA IN PAGINA
RIMINI Al Teatro degli Atti, La scienza dei commiati, il rapporto tra poesia e potere nella Russia del 1917 Martedì 9 marzo Davide Brullo e Silvio Castiglioni sono autori e interpreti de La scienza dei commiati al teatro degli Atti di Rimini, uno spettacolo che, ripercorrendo, per istanti e folgorazioni, la vita di alcuni tra i massimi poeti e scrittori russi del secolo scorso, intende indagare il rapporto tra arte e potere. 100 anni fa, nell’ottobre del 1917, i bolscevichi capeggiati da Lenin prendono il Palazzo d’Inverno, a San Pietroburgo. Imprimono, in questo modo, una svolta alla storia mondiale. Intorno alla Rivoluzione russa – spesso partecipi, comunque acuti osservatori – si muovono alcuni dei più grandi poeti e scrittori del Novecento: Boris Pasternak, Vladimir Majakovskij, Anna Achmatova, Aleksandr Blok, Maksim Gor’kij… Quasi subito, però, la rivoluzione delle arti, dei costumi, dello spirito, anelata dai poeti viene stroncata dall’azione dei governanti. Per i poeti le strade sono segnate: l’esilio o la prigione, oppure il silenzio, se non vogliono diventare i “megafoni’”del nuovo ordine sovietico.
Sapienza contro violenza: dialoghi con le autrici Al via la quinta edizione di “Parla con lei”, tra cineteca Comunale, Palazzo Gambalunga e Cinema Fulgor a Rimini per una rassegna di incontri che andranno da marzo a maggio e saranno incentrati sul tema delle donne. Si comincia sabato 10 marzo, alle 17.30 alla Cineteca Comunale Palazzo Gambalunga con Thomas Casadei filosofo del diritto, in dialogo con Giulia Palloni che presenta Diritto e (dis)parità. Dalla discriminazione di genere alla democrazia paritaria (Aracne, 2018). Sabato 17 marzo ore 17.30, ancora alla Cineteca la linguista Stefania Cavagnoli sarà in dialogo con la giornalista Vera Bessone sul tema: “La lingua di genere e la sua rappresentazione”. Venerdì 23 marzo ore 17.30 stessa sede per l’incontro con Maria Giuseppina Muzzarelli storica, in dialogo con Isa Valbonesi per presentare A capo coperto. Storie di donne e di veli, Il Mulino, 2016.
Talk show di tutt’altro genere: nuovo appuntamento al Bar Lento Proseguono a Rimini gli appuntamenti del ciclo “Pinkabbestia - incontri di tutt’altro genere”, sotto il segno di un ironico ravanello. Il 15 marzo alle 20 si svolge al Bar Lento (via Bertola 52) il secondo talk show dal vivo su temi che riguardano il genere, tra musiche migranti e degustazioni “etniche”. In particolare l’ospite sarà Marinella Manicardi per una serata dal titolo “Corpi impuri, il tabù delle mestruazioni. La purezza è adatta all’acqua potabile, non alle persone”.
Lunedì 5 marzo, ore 21.00
Rimini di Tondelli: la prima volta della capitale estiva nella narrativa di Matteo Cavezzali
Ci sono romanzi e film che riescono a cogliere il significato profondo di un momento storico, a raccontare l’anima di un luogo. Così, come la Roma della nascente vita notturna, disinibita e peccaminosa, aveva avuto bisogno del romagnolo Federico Fellini e del suo La dolce vita per essere raccontata, così la Rimini degli anni ’80, che rapprensentava l’Italia con la voglia di evadere, con i limiti e le contraddizioni, trovò nel reggiano Pier Vittorio Tondelli la sua voce. Rimini esce nel 1985, Tondelli è già un autore molto conosciuto dopo il successo di Altri libertini, uscito cinque anni prima, quando aveva soli 25 anni. Altri libertini, appena venti giorni dopo la pubblicazione, fu ritirato dalla Procura dell’Aquila che lo sequestrò per “oscenità”. Quel racconto della degradata periferie di Bologna divenne un fenomeno di culto tra i giovani. Tondelli scrisse Rimini per fugare ogni dubbio sulla qualità della propria scrittura. La trama è presto detta: Il giornalista milanese Marco Bauer viene mandato per l’estate a Rimini per curare l’inserto estivo. Bauer, ancora giovane, risoluto e con una storia d'amore da dimenticare, accetta di buon grado. A Rimini lo aspetta un’estate focosa, con intrighi politici, un’attrazione forte per una collaboratrice e l’ostilità di alcuni giornalisti della redazione locale. A metà tra il poliziesco e il romanzo di costume, Rimini è il primo libro che porta nella narrativa la capitale estiva, descrivendola senza
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falsi pudori e moralismi, in tutta la sua molteplicità di aspetti. Tondelli raccontava la «città che non sa dormire mai», in cui gli italiani cercavano un luogo di evasione e di perdizione, in cui si incontravano persone da tutta Europa. Nel romanzo si mercolano molte storie: c’è Susy la seducente collaboratrice del giornale, il complicato rapporto tra lo scrittore Bruno May e l’artista Aelred, c’è Beatrix, una signora tedesca alla ricerca della sorella scomparsa, il malinconico sassofonista Alberto, e ancora registi, famiglie in mezzo a un dissesto economico e persino un grande intrigo politico che coinvolge l’assassinio di un senatore. «È dunque questa della riviera adriatica una cosmogonia estiva e ferragostana della libido nazionalpopolare che, a dispetto dei decenni, delle mode e delle recessioni, persiste, più o meno intatta, nel costume e nelle manie della nostra gente, per cui ancora una volta sul fianco destro delle patrie sponde s’inscena la sfilata del desiderio in un missaggio di antiche forme e nuovissime attitudini». Così mentre le radio passano “Un’estate al mare” dei fratelli Righeira, Rimini scala le classifiche vendendo oltre 100 mila copie. La critica lo stronca, come aveva fatto anche con La dolce vita, lo bolla come un “romanzo da spiaggia”. Ci vorranno anni per far rivalutare quello che oggi è considerato, con pregi e limiti, un classico della letteratura italiana contemporanea.
Lunedì 19 marzo, ore 21.00
Hotel Ala d’Oro BRUNO D’AMORE “La matematica e la sua storia” (Bari, Edizioni Dedalo, 2017) Introduce Angelo Venturelli Sarà presente l’autore
Hotel Ala d'Oro GIOVANNI DE LUNA “La Repubblica inquieta” (Milano, Feltrinelli, 2017) Introduce Marco Sangiorgi Sarà presente l’autore
Sabato 10 marzo, ore 18.00
Venerdì 23 marzo, ore 21.00
Hotel Ala d'Oro Inaugurazione della mostra pittorica “INTERREGNUM"(Antropocene) di Lucia Baldini Introduce Carmine Della Corte
Hotel Ala d’Oro EMILIO GENTILE “Mussolini contro Lenin” (Bari, Laterza, 2017) Introduce Paolo Cavassini Sarà presente l’autore
Domenica 11 marzo, ore 18.00
Domenica 25 marzo, ore 18.00
Hotel Ala d’Oro In collaborazione con il Conservatorio G.B.Martini di Bologna MUSICA E POESIA Johannes Brahms & Friedrich Nietzsche Pianoforte : Leonardo Tommasini Voce : Giovanni Barberini I poeti del cuore raccontati attraverso i loro versi e la musica di grandi compositori.
Hotel Ala d’Oro In coll. con il Conservatorio G.B.Martini di Bologna MUSICA E POESIA Jorge Louis Borges & Carlos Guastavino Clarinetto : Paolo Ravaglia Pianoforte : Francesco Ricci Voce : Ruben Andres Costanzo I poeti del cuore raccontati attraverso i loro versi e la musica di grandi compositori.
Ingresso + aperitivo €. 8,00 Ingresso + aperitivo + cena a buffet €. 17,00
Ingresso + aperitivo €. 8,00 Ingresso + aperitivo + cena a buffet €. 17,00
Venerdì 16 marzo, ore 21.00
Domenica 18 marzo, ore 16.30
Lunedì 26 marzo, ore 21.00
Hotel Ala d’Oro PIERO BOITANI “Dieci lezioni sui classici” (Bologna, Il Mulino, 2017) Introduce Claudio Nostri Sarà presente l’autore
Ass. Culturale Entelechia Via Quarantola, 32/1- Lugo Maratona letteraria “IL LIBRO DI GIOBBE” Introduce il Rabbino Luciano Meir Caro
Hotel Ala d’Oro LOREDANA LIPPERINI “L’arrivo di Saturno” (Milano, Bompiani, 2017) Introduce Patrizia Randi Sarà presente l’autrice
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sapori
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tradizioni
Come il pesce diventa sinonimo di «sacrificio» Dai cappelletti di magro alla buzéga fino ai migliacci: i piatti con cui in Romagna si affrontava la lunga Quaresima
La Quaresima, ovvero i 40 giorni che intercorrono fra i bagordi del Carnevale e la Pasqua, sono il periodo dell’anno in cui la tradizione cristiana, nel ricordo del lungo periodo di digiuno di Cristo nel deserto, richiama alla penitenza, alla preghiera e ai sacrifici. In passato, in Quaresima, era imperativo mangiare di magro, era un dovere a cui non ci si poteva sottrarre, perseguito con una tale rigidità che, sotto il regno di Carlo Magno, chi trasgrediva mangiando carne veniva punito addirittura con la pena di morte. Era un periodo tanto lungo e rigoroso da aver dato origine al modo dire “lungo come la quaresima”, per rendere l’idea di qualcosa che sembra non finire mai. Gastronomicamente parlando la lista degli alimenti proibiti comprendeva prima di tutto la carne e i grassi animali come lo strutto, la sugna e il lardo. Non erano concessi neppure i latticini e i tuorli delle uova. Insomma, la cucina del periodo quaresimale, era basata principalmente su pane, polenta, cereali, ortaggi, legumi e naturalmente il pesce. Oggi, chi segue questo precetto, si limita a non consumare carne il venerdì, ma in passato, durante tutto il Medioevo, la distinzione tra giorni “di grasso” e giorni “di magro” non segnava solo i quaranta giorni della Quaresima, ma anche quelli delle quaresime minori e, ogni settimana, il mercoledì, il venerdì e il sabato. Poi c’erano anche le vigilie della festività principali. A quel tempo, questa ritmicità non fece altro che caricare i due alimenti, carne e pesce, di una netta differenza nutrizionale: se nei giorni di penitenza si poteva consumare solo pesce, logicamente esso assumeva la valenza di leggerezza, di poco nutriente e di povertà, era la carne quaresimale, era il cibo del digiuno.
Quel pesce necessario tra acqua di mare e acqua dolce Nel medioevo il pesce di mare era una casualità, una sorpresa perché per settimane il mare poteva essere inagibile e quindi non si poteva pescare. All’incertezza della pesca bisognava poi aggiungere la precarietà della freschezza: i trasporti erano difficili, lunghi svariate ore o addirittura giorni, risalendo fiumi o a dorso di muli e di cavalli per raggiungere le città nell’entroterra dove il pesce piccolo (sardine o acciughe) giungeva malconcio ed inappetibile e il pesce di maggiori dimensioni subiva una “frollatura” perdendo di sapore. Difficoltà che comunque dovevano essere superate, perché la necessità di evitare la carne e i suoi derivati e, nei giorni delle quaresime, anche latticini e uova, sulle tavole dei poveri poteva essere supplita da minestre e verdure, ma sulle tavole dei signori non poteva mancare il pesce, tanto più che nei giorni “di magro” non erano vietati i banchetti. Così i cuochi delle mense dei potenti o delle taverne utilizzavano pesce di acqua dolce la cui cattura era programmabile permettendo di osservare la ferrea alternanza imposta dal calendario liturgico. Molto apprezzato era lo storione ritenuto per lungo tempo carne fine ed adatta alla mensa dei signori. Poi anche l’anguilla ebbe molta fortuna poiché si poteva trasportare viva. Infine tinche e carpe che potevano vivere nelle peschiere di principi, monasteri, ma anche di borghesi e mugnai che utilizzavano i mulini ad acqua.
Per contro, la carne era considerata come “il mangiare ricco” per eccellenza, il massimo desiderio alimentare e riguardo ciò, la cultura medievale, non aveva dubbi: nell’immaginario collettivo il grasso aveva un valore forte, il magro era un semplice surrogato, era il sacrificio. Non crediate però che i cristiani di tutti i ceti sociali rispettassero sempre le regole. Per i nobili esistevano infatti numerosi piatti contraffatti, come li definiremmo oggi, oppure regole che cercavano di aggirare le limitazioni dei digiuni. In epoca medioevale si cercò, per esempio, di inserire la carne d’oca nella famiglia dei cibi permessi nei giorni di magro sfruttando una leggenda secondo cui le
oche si originavano da piccole conchiglie che si schiudevano in acqua e perciò erano molto più simili al pesce che alla carne degli animali terrestri. Questo accadeva nei ceti abbienti. Fra la povera gente invece furono la sapienza e la fantasia che crearono numerose e magnifiche ricette partendo da pochi elementi e da tanta necessità. In Romagna, sulle tavole delle famiglie lontane dallo storico anticlericalismo sviluppato nella popolazione oppressa dalla lunga dominazione dello Stato Pontificio, ecco allora i cappelletti di Quaresima ripieni solo di ricotta e Parmigiano Reggiano, oppure la ciambella quaresimale salata a base di verdure. Sulle nostre colline qualche
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Gli spaghetti da quaresima dell’Artusi
Ecco come nascono marinatura e scapece per le follie dei nobili (e non solo)
Ricetta n° 103 tratta da: La scienza in cucina e l'arte di mangiar bene «Molti leggendo questa ricetta esclameranno: – Oh che minestra ridicola! – eppure a me non dispiace; si usa in Romagna e, se la servirete a dei giovanotti, sarete quasi certi del loro aggradimento. Pestate delle noci framezzo a pangrattato, uniteci dello zucchero a velo e l'odore delle spezie e, levati asciutti gli spaghetti dall'acqua, conditeli prima con olio e pepe, poi con questo pesto a buona misura. Per grammi 400 di spaghetti, che possono bastare per cinque persone: Noci sgusciate, grammi 60. Pangrattato, grammi 60. Zucchero bianco a velo, grammi 30. Spezie fini, un cucchiaino colmo.»
Durante i giorni di magro era certo che il ricco o nobile signore, di fronte a zuppe e verdure, apprezzasse e prediligesse il pesce, soprattutto quello di mare: a volte era disposto a pagare anche venti volte il valore della carne per assicurarsi un pesce grande, bianco, “di scaglia” (branzino, orata, sogliola), più difficile da catturare rispetto al pesce piccolo (acciughe, sardine) pescato in maggior quantità e considerato “da poveri”. Ma non era facile reperirlo con frequenza e non era possibile conservarlo a lungo! Erano proprio questi i crucci che preoccupavano non solo i cuochi delle case signorili, ma soprattutto quelli delle taverne dove il consumo era incerto e si dovevano realizzare piatti “veloci”, quindi con prodotti conservati. Ecco allora che alla base di molte ricette della tradizione, per allungare la vita di questa difficile materia prima, presero piede il sotto sale, la marinatura e la scapece: dato l’obbligo di mangiare pesce di frequente, i cuochi impararono a partire da basi conservate, a variare le modalità di cottura e a trasformare il pescato in brodetti, arrosti, torte salate, pasticci. Infine, usavano le stesse salse delle carni vivacizzandole con succo di frutta e spezie: veniva così mascherata la freddezza di questa “carne di quaresima”.
famiglia prepara ancora la buzèga, una tipica zuppa di fagioli, castagne secche, patate, cipolle e passata di pomodoro. Pellegrino Artusi poi, il più famoso gastronomo d’Italia e della Romagna, nel suo libro La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene, presenta degli spaghetti di Quaresima (vedi box in alto). Da non dimenticare sono anche i migliacci, ovvero focacce a base di farina di mais e farina di castagne e i biscotti quaresimali preparati con un impasto di farina, zucchero, burro, e uova. Ancora c’è l’aglietto, cioè le foglie di aglio utilizzate soprattutto in frittata e la pasta con le sardelle. In alcune zone vicino a Faenza si possono an-
che oggi trovare i ben noti ravioli di Faenza fatti di pasta all’uovo con un ripieno di castagne e marmellata. Ma sopra a tutto, vero “companatico” della povera gente, quasi emblema del periodo, era l’umilissima aringa o saracca. Pesce povero e grande risorsa della cucina contadina, era molto diffuso un tempo nella nostra regione, soprattutto nelle terre lontane dal mare dove il prodotto fresco era raro o, vicino alle coste, quando il maltempo non permetteva ai pescatori di uscire in mare. Sulle tavole della miseria compariva più spesso l’aringa del baccalà: da cruda insaporiva pane e polenta, cotta invece, era la pietanza dei giorni di festa.
Dopo essere stata lavata e asciugata, veniva rosolata in padella o arrostita ai ferri o ancora bollita in pentola per essere poi accompagnata da polenta e verdure. Era addirittura frequente per la colazione invernale dei contadini che lavoravano duramente la terra e avevano bisogno di molte energie. Veniva accompagnata da semplici fette di pane. Arida e secca, ma forte di sapore e di odore, stuzzicante, stringata, economica. Doveva solitamente bastarne una sola per tutta la famiglia. Nelle case più povere in collina si teneva appesa alle travi, ad altezza d’uomo, per sfregarla sopra il pane perché prendesse un po’ di sapore. Giorgia Lagosti
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