AL Mensile di informazione degli Architetti Lombardi
Ordini degli Architetti delle Province di: Bergamo, Brescia, Como, Cremona, Lecco, Lodi, Mantova, Milano, Pavia, Sondrio, Varese
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EDITORIALE
marzo 2005
Direzione dei lavori
Direzione dei lavori
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FORUM Direzione dei lavori interventi di Enrico Bertè, Marco Brandolisio, Emilio Pizzi, Piero Torretta Tre domande a... Guido Canella
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FORUM ORDINI Bergamo Como Lodi Milano Varese
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OSSERVATORIO Argomenti Conversazioni Concorsi Riletture Libri Mostre e Seminari Itinerari
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PROFESSIONE Legislazione Normative e Tecniche Strumenti
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INFORMAZIONE Dagli Ordini Lettere
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INDICI E TASSI
Consulta Regionale Lombarda degli Ordini degli Architetti via Solferino, 19 – 20121 Milano Anno 28 – Sped. in a.p. – 45% art. 2 comma 20/B – Legge 662/96 – Filiale di Mlano
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FORUM GLI MARZO INTERVENTI 2005
Mensile di informazione degli Architetti Lombardi
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Maurizio Carones
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I Forum di “AL” alternano argomenti di carattere generale, riferiti agli oggetti del lavoro dell’architetto, al “cosa si fa”, ad altri che propongano più specificamente una riflessione sulle modalità che riguardano lo svolgimento del nostro lavoro, il “come si fa”. Alcuni temi appartenenti alla seconda specie costituiscono un’occasione per rivolgere una particolare attenzione ai cambiamenti, anche profondi, che stanno avvenendo nel nostro mestiere. Il tema della Direzione dei lavori, trattato in questo numero, si presta ad esserne una buona esemplificazione. Sino a qualche anno fa la direzione dei lavori è stata un’attività che, o era considerata un complemento dell’attività progettuale, insita nell’attività dell’architetto che intendeva seguire l’edificio da lui progettato sino alle ultime fasi della realizzazione, oppure era lasciata a tecnici, a volte riferibili alle stesse imprese di costruzioni, poiché ritenuta, soprattutto per lavori complessi, un campo non del tutto riguardante l’architettura. C’erano dunque architetti che svolgevano l’attività di Direttore dei Lavori secondo un costume quasi artigianale, altri invece che si “liberavano” dell’incombenza delegando tale ruolo. Più recentemente, di fronte al progressivo complicarsi del processo costruttivo, del quadro legislativo e delle normative, i temi della progettazione esecutiva, del cantiere e della direzione dei lavori sono tornati ad essere ambiti che si propongono in tutta la loro ricchezza di relazioni con l’attività progettuale ed architettonica. Ambiti da non considerare come secondari e nemmeno da lasciare ad altre competenze, poiché luoghi in cui riaffermare gli aspetti disciplinari dell’architettura che, come in un frattale, si rigenerano ad ogni passaggio di scala, riproducendosi in modi ugualmente interessanti. Tutto ciò propone, ancora una volta, la questione dei cambiamenti in atto nel nostro mestiere, sempre più un lavoro collettivo in cui, da una parte, sono necessarie specializzazioni e, dall’altra, si deve avere un’unica tendenza verso il progetto di architettura, come prodotto che, pur rispondendo ad una serie di diverse istanze, ha un comune fine ed un unico interesse. Se è, infatti, innegabile che la direzione dei lavori, soprattutto delle opere più importanti, debba essere di competenza di tecnici particolarmente rivolti a tale specializzazione, è anche auspicabile che l’architettura riesca ad essere un valore conosciuto e condiviso da tutti i diversi specialisti: disciplina, anche nella formazione, al centro del procedimento progettuale e in grado, allo stesso tempo, di raccogliere i differenti problemi che la costruzione pone. In questo numero diverse opinioni si confrontano. Da tale confronto emerge il valore che la direzione dei lavori assume nel processo costruttivo contemporaneo, il suo carattere di impegno professionale carico di responsabilità e potenzialità. È quindi opportuno che gli architetti mantengano e consolidino le competenze per svolgere anche questo ruolo, senza delegarlo ad altre professioni, pensando che la costruzione è sempre stata sostanziale in una concezione dell’architettura come mestiere socialmente necessario.
Direzione dei lavori
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Nel forum di questo numero intervengono Enrico Bertè, vice presidente dell’Ordine degli Architetti di Varese, Marco Brandolisio, contitolare dello studio di architettura Arassociati, Emilio Pizzi, professore ordinario di Architettura tecnica presso la VI Facoltà di Ingegneria Edile Architettura del Politecnico di Milano e Piero Torretta, presidente di Assimpredil, Associazione Imprese Edili e Complementari delle province di Milano e Lodi. Guido Canella, professore ordinario di Composizione architettonica ed urbana presso la Facoltà di Architettura Civile del Politecnico di Milano, ha risposto a tre domande di Maurizio Carones sul tema del numero. Ringraziamo tutti i partecipanti per i loro contributi.
Considerazione sul tema della direzione lavori di Enrico Bertè
La pratica professionale nella direzione dei lavori comporta, per gli architetti che assumono tale incarico, la conoscenza di numerose norme e altresì comporta responsabilità penali e rischi economici, in qualche caso soltanto parzialmente coperti dai contratti di assicurazione mentre è noto che niente ripara il professionista, direttore dei lavori, agli effetti penali. La recente introduzione nei cantieri edili della figura del coordinatore per l’esecuzione dei lavori (Art. 10 comma 2, Decreto legislativo 14 agosto 1996, n. 494) se può essere considerata un elemento favorevole alla buona conduzione dei lavori per l’eliminazione dei rischi (che sono tanti) nei cantieri edili, tuttavia non toglie alcuna responsabilità penale al direttore dei lavori, nel caso d’incidente grave. Cioè, invece di rispondere in tre, proprietario, appaltatore e direttore dei lavori, di fronte alla giustizia, si risponde in quattro, aggiungendosi ai primi tre il sopra menzionato coordinatore per la sicurezza. Secondo il tipo e la gravità dell’incidente occorso e le singole responsabilità nel merito, il tribunale penale scagionerà o condannerà qualcuno dei quattro citati attori. Fatta questa necessaria premessa corre l’obbligo di soffermarsi su un fatto, registrato in questi ultimi tempi. Un committente, che affida l’incarico di progettista dell’opera a un architetto libero professionista, il più delle volte propone allo stesso di assumere l’incarico della direzione dei lavori, spinto a ciò dalla considerazione che, incaricando un solo architetto per il doppio ruolo di progettista e di direttore dei lavori, risparmia due volte il 25% per incarico parziale sul compenso previsto dalla tariffa professionale, che due volte dovrebbe pagare nel caso si avvalesse delle prestazioni distinte di due professionisti. Quando all’architetto assai capace di progettare ma insicuro nella pratica della direzione dei lavori, il committente pone il dilemma: “o assume ambedue gl’incarichi oppure mi rivolgerò a un altro suo collega”, in un momento così difficile per la libera professione, il più
Montaggio delle facciate vetrate nei blocchi di servizio della galleria centrale, luglio 2004.
delle volte si verifica che l’architetto accetta, pur di non perdere il lavoro. E se qualche volta va bene qualche altra volta potrebbe andare male, perché la direzione dei lavori è difficile ed i Politecnici e le Università mentre hanno formato buoni progettisti, in qualche raro caso hanno preparato, con specifici corsi di studio, gli studenti all’approfondimento delle conoscenze necessarie per lo svolgimento della direzione dei lavori. Recentemente è stata pubblicata, a cura del Collegio degli Ingegneri e Architetti di Milano, con la partecipazione dell’Assimpredil, la ristampa 2004 riveduta e corretta del “Contratto di appalto per opere edili con riferimento agli appalti privati”. Si ritiene di fare cosa utile ai colleghi riportando di seguito, del predetto contratto, l’intero Art. 9 dal titolo “Compiti del direttore dei lavori”. “Il Direttore dei Lavori è un ausiliario della Committente e ne assume la rappresentanza in un ambito strettamente tecnico. In particolare il Direttore dei Lavori è tenuto a: • accertare che, all’atto dell’inizio dei lavori, siano messi a disposizione dell’Appaltatore da parte della Committenza gli elementi grafici e descrittivi di progetto necessari per la regolare esecuzione delle opere in relazione al programma dei lavori di cui al seguente Art. 13; • accertare che, sempre all’atto dell’inizio dei lavori, sia stata presentata denuncia di inizio attività o sia stata rilasciata concessione/autorizzazione edilizia/permesso di costruzione comunale, che essa non sia scaduta e siano stati definiti i punti fissi e di livello; • vigilare perché i lavori siano eseguiti a regola d’arte ed in conformità al progetto, al contratto ed al programma dei lavori, verificandone lo stato e richiamando formalmente l’Appaltatore al rispetto delle disposizioni contrattuali in caso di difformità o negligenza; • effettuare controlli, quando lo ritenga necessario, sulla qualità dei materiali impiegati ed approvvigionati; • trasmettere durante il corso dei lavori, tempestivamente, ed in relazione alle richieste dell’Appaltatore, ulteriori elementi particolari del progetto necessari al regolare ed ordinato andamento dei lavori; • dare le necessarie istruzioni nel caso che l’Appaltatore abbia a rilevare omissioni, inesattezze o discordanze nelle tavole grafiche o nella descrizione dei lavori, con riferimento anche alla situazione di fatto; • sollecitare l’accordo fra la Committenza e l’Appaltatore in ordine ad eventuali variazioni del progetto necessarie, ai sensi dell’Art. 1660 C. C., per l’esecuzione dell’opera a regola d’arte; • coordinare l’avanzamento delle opere appaltate, la consegna e la posa in opera delle forniture e l’installazione degli impianti affidati dalla Committente ad altre ditte in conformità al programma dei lavori di cui al seguente Art. 13; • fare osservare, per quanto di sua competenza, le prescrizioni delle vigenti leggi in materia di costruzione (opere in conglomerato cementizio armato o a struttura metallica, impianti, ecc.);
Torri di raffreddamento, inizio delle opere di demolizione, dicembre 2001. Primo plinto: postazione di rilievo topografico, gennaio 2002. Costruzione della fondazione perimetrale del padiglione 10, giugno 2003. Manovre di sollevamento di una trave reticolare sul padiglione 9, settembre 2003.
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Piastre di giunti strutturali pronte per il montaggio, settembre 2003. Posa delle solette prefabbricate sulle travi reticolari, novembre 2003. Centro servizi, costruzione della struttura portante, novembre 2003. Sollevamento del lucernario nel padiglione 7, febbraio 2004.
Veduta della galleria vetrata a vela verso la porta ovest, settembre 2004.
Copertura vetrata della volta a vela presso la porta est, aprile 2004. Struttura di fondazione dell’impluvio della porta ovest, luglio 2004. Piloni della rampa sopraelevata di accesso ai padiglioni 7 e 9, settembre 2004.
Smontaggio delle impalcature sulla cuspide del Logo, novembre 2004. Fase di completamento della galleria vetrata a vela presso la porta ovest, novembre 2004. Fronte della galleria vetrata a vela presso la porta ovest, dicembre 2004.
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Facciata del padiglione 10, veduta in trasparenza del lucernario, febbraio 2004.
La selezione di immagini presentate in questo numero sono state cortesemente concesse da Fondazione Fiera Milano per rappresentare un itinerario cronologico della costruzione del Nuovo polo fieristico progettato da Massimiliano Fuksas. Questa realizzazione, posizionata nel sito bonificato della ex-raffineria AGIP di Pero, è attualmente uno dei maggiori impianti fieristici europei. L’imponente trasformazione territoriale e le attività di costruzione strutturale, impiantistica e architettonica (2002-05) sono coordinate da Fondazione Fiera, attraverso Sviluppo Sistema Fiera, e realiz-
zate dal gruppo di imprese denominato N. P. F. Scrl Milano. Dagli inizi dell’attuale trasformazione territoriale della attività di bonifica e costruzione nel cantiere, ho curato e realizzato una sistematica campagna di documentazione visiva dei lavori in corso. Tale raccolta costituisce un fondo fotografico digitale formato da più di 5.000 immagini che sono catalogate, implementate e consultabili in un database informatico realizzato da Engitel S.p.A; vedi: “Banca Immagini” in www.fondazionefieramilano.it oppure www.nuovopolofieramilano.it
L’intervento, per l’articolata e complessa programmazione, si pone come un caso emblematico nel tema della cantieristica e direzione lavori, vista anche la tempistica con cui è stato attuato il progetto generale. Federico Brunetti Veduta aerea del Nuovo polo fieristico, novembre 2004.
Progettazione e direzione di Marco Brandolisio
Progettazione e direzione ovvero pensare ed eseguire uno spartito che però in campo architettonico è tutt’altro che etereo, anzi è fatto per rimanere concreto nello spazio il più a lungo e bene possibile. In architettura i due atti difficilmente possono essere disgiunti tra loro e comunque non totalmente, se per “progettazione” intendiamo un’ipotesi di costruibilità mentre per “direzione” la verifica fisica della sua coerenza nella realizzazione ed il cui responsabile operante dovrebbe essere di norma lo stesso. Tutto questo potrà sembrare banale, ma nella pratica professionale non tutto ciò che sembra logico è altrettanto semplice. Negli ultimi dieci anni abbiamo assistito ad una chiara
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• svolgere l’alto controllo della contabilizzazione delle opere eseguite, provvedendo all’emissione dei certificati di pagamento e alla liquidazione finale delle opere; • chiedere l’allontanamento di dipendenti dell’Appaltatore che ritenesse, a suo giudizio, non idonei per l’esecuzione delle opere; • redigere in contraddittorio con l’Appaltatore i verbali di: consegna dell’immobile ed inizio dei lavori; sospensioni e riprese dei lavori; ultimazione delle opere; verifica provvisoria dei lavori ultimati; • redigere la relazione finale sull’andamento dei lavori e sullo stato delle opere, comprendente il giudizio sulle eventuali riserve formulate dall’Appaltatore e la proposta di liquidazione; • assistere ai collaudi; • redigere, se richiesto dalla Committenza, il certificato di regolare esecuzione. Nello svolgimento delle mansioni sopraindicate il Direttore dei Lavori può essere coadiuvato da uno o più assistenti a lui subordinati”. A conclusione di quanto sopra scritto si possono fare due semplici considerazioni. Se è vero, com’è vero, che alla base del rapporto tra un committente ed un architetto il primo e più importante elemento sia costituito dal rapporto fiduciario, l’architetto, prima di assumere l’incarico di direttore dei lavori, nel proprio interesse ma anche nell’interesse del committente, deve fare un esame di coscienza e declinare comunque l’incarico di direttore dei lavori se non si sente capace di svolgere responsabilmente tale ruolo. In questo ultimo decennio il contenzioso, relativamente al settore edilizio, è aumentato ed in qualche caso la scarsa preparazione tecnica oppure la poca partecipazione del direttore dei lavori durante l’esecuzione delle opere nel cantiere edile, hanno contribuito all’insorgere delle controversie tra il committente e l’appaltatore. Due semplici considerazioni finali, che però ci invitano a qualche riflessione.
Veduta panoramica del centro servizi in costruzione.
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evoluzione nel campo della progettazione architettonica così come in quella dell’organizzazione del cantiere e di conseguenza anche delle richieste in merito alle prestazioni professionali da svolgere (un problema aperto è l’adeguamento tariffario rispetto agli standard europei). Questo non solo per effetto della Legge Merloni ma soprattutto per il riconoscimento di un’intrinseca complessità di ragioni legate alla costruzione degli edifici che, via via, ha reso sempre più specialistici i rapporti tra le differenti discipline progettuali. Le normative quindi, così come i caratteri prestazionali dei materiali ma più in generale degli edifici, ed anche il rapporto con una committenza che, da un lato, ha la necessità di confrontarsi con un unico referente, ma, nello stesso tempo, si trova di fronte ad una molteplicità di discipline per veder realizzata la sua opera, ha portato ad un’evoluzione complessa del prodotto architettonico ed edilizio. Un prodotto che comunque, in ultima analisi, si rende palese nel risultato formale ed anche estetico dell’edificio ed è la qualità da aggiungere alla tecnica che viene richiesta all’architetto; figura per la quale tutto ciò ha comportato necessariamente il dover affrontare due questioni, se non proprio deontologiche almeno etiche, nel rapporto con il proprio mestiere. La prima riguarda l’obbligo ad una maggiore responsabilità nei confronti del progetto, ovvero pensandolo come bene costruibile e quindi accompagnandolo in tutte quelle fasi che lo conducono infine alla realizzazione. La seconda è un atteggiamento di confronto: il riconoscere che proprio per le tante implicazioni specialistiche è impossibile per lui gestire tutte le parti complesse che integrano il progetto con le stesse competenze e quindi il
dover coesistere con altre professionalità senza per questo perdere la regia generale dell’opera. L’usare il termine regia però implica questioni più complesse di quanto non possa far pensare una semplice analogia cinematografica. Il coordinamento della progettazione e la direzione lavori, in cui è compresa anche la direzione artistica, sono ambiti in cui concorrono aspetti tecnici, normativi, economici e non solo formali, anche se sono quelli che più ci interessano; aspetti che inoltre rappresentano anche l’eterogeneo panorama professionale dell’architetto. È bene perciò chiarire la propria posizione nell’ambito del mestiere e di una professione che consente ampi sconfinamenti o trasversalità tra competenze che sono ad appannaggio anche di altri tecnici. Nell’impossibilità perciò di conoscere tutto e nel contempo avendo la possibilità di essere riconosciuti per il senso del proprio mestiere, ci si può appellare a ciò che rende diversa l’opera di un architetto da quello degli altri tecnici o professionisti del campo ed in tal senso il limitare la propria esperienza all’interno delle cose che si sanno fare è salutare. Questo vale per la progettazione ed anche per la direzione. In fine dei conti, nel rispetto delle reciproche competenze, se la progettazione è bene venga eseguita in tutte le sue fasi dallo stesso architetto (comunque almeno controllate e coordinate nella fase esecutiva), per la direzione lavori è più necessario un intervento specialistico (anche più direttori dei lavori coordinati da un responsabile generale), ma al suo interno è assolutamente importante per l’architetto mantenere il totale controllo della direzione artistica.
La direzione dei lavori come strumento di riappropriazione delle idee progettuali di Emilio Pizzi
Tra le tante anomalie che abitualmente si imputano alla vigente normativa sui lavori pubblici vi è quella della frammentazione del processo progettuale. Un processo progettuale che viene portato a compimento da soggetti diversi spesso poco inclini al rispetto del contributo ideativo originario, con il risultato che il progetto esecutivo finisce per assumere sembianze diverse a seconda degli apporti dei singoli autori e la sua forza propositiva si spegne progressivamente di fronte al prevalere delle logiche interne ai diversi saperi che si misurano nell’affinamento del progetto. Non aiuta certamente il meccanismo di affidamento dei lavori rivolto a privilegiare sempre più l’appalto integrato o la concessione di progettazione e costruzione rispetto alla licitazione privata che assegnano all’impresa il compito di portare a compimento la progettazione con tutte le semplificazioni spesso utili ad addomesticare il risultato all’offerta economica con cui l’appalto è stato aggiudicato. Anche la direzione dei lavori che nella maggior parte dei casi viene affidata ad altri soggetti rispetto a quelli impegnati nel percorso progettuale finisce per diventare un ulteriore elemento di allontanamento del risultato finale della costruzione dalle idee progettuali che l’avevano originata. In questo processo che si vorrebbe di progressiva definizione progettuale e che, con termine improprio, viene spesso chiamato ingegnerizzazione del progetto, si finisce il più delle volte con il tradire l’unitarietà del progetto in tutte le sue componenti. L’effettiva complessificazione dei progetti e l’esigenza di una
corretta impostazione delle problematiche decisionali che investono il cantiere hanno portato a rivedere il ruolo tradizionale della direzione dei lavori individuando nel Project and Construction Management l’ambito di competenze specifiche indirizzato al governo del processo realizzativo. Ne fanno parte la gestione temporale dei lavori, attraverso gli strumenti della programmazione ed il controllo delle metodologie realizzative; la gestione della qualità realizzativa attraverso la messa a punto di strumenti capitolari, la verifica delle soluzioni progettuali e il controllo delle fasi esecutive; la gestione della sicurezza del cantiere attraverso la programmazione ed il controllo delle attività. Si tratta di ambiti specialistici che richiedono competenze ed esperienze appropriate che spingono in direzione della formazione di figure professionali ad esse specificamente dedicate. Lo stesso mercato del lavoro si va orientando in questo senso e le gare per l’affidamento incarichi di direzione dei lavori finiscono per premiare quei soggetti aventi consistenti fatturati in quest’ambito grazie alla costituzione di raggruppamenti particolarmente numerosi. Di fronte a tutto questo ci si domanda se esiste una specificità del ruolo di Direttore dei Lavori e se questo può essere disgiunto da specifiche competenze progettuali. Le esperienze formative svolte all’interno della Sesta facoltà di Ingegneria edile-architettura del Politecnico di Milano nell’ambito dei corsi di laurea in Ingegneria EdileArchitettura ed in Ingegneria Edile, nonché nel Master sulla progettazione e gestione dei lavori pubblici si incentrano sul riconoscimento di specifiche competenze progettuali anche per chi dovrà svolgere il ruolo di Direttore dei Lavori.
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Montaggio delle travi reticolari nel padiglione 2, luglio 2003.
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Viene riconosciuta, infatti, la capacità decisionale del Direttore dei Lavori quale regista unico, nella fase di esecuzione delle opere, delle sorti del progetto che gli viene affidato. Di fatto il Direttore dei Lavori diviene il garante della intera continuità del processo progettuale ed a lui spetta il compito precipuo di individuare gli elementi di discontinuità e le zone d’ombra della progettazione. Non si sostituisce al progettista ma insieme a tutti coloro che hanno preso parte all’iter progettuale ivi compresi gli enti che hanno formulato indicazioni modificative al progetto nelle diverse fasi dell’iter di approvazione ha l’obbligo di indirizzare tutte le scelte verso la fattibilità concreta di quanto previsto dal progetto nel rispetto dei patti contrattuali. Nell’ambito degli insegnamenti dei corsi di laurea che fanno capo alla VI Facoltà del Politecnico si sottolinea come il Direttore dei Lavori debba obbligarsi ad operare nel rispetto dei tempi prefissati e come questo costituisca il primo vero impegno nei confronti della committenza. In questo compito egli può essere agevolato dagli strumenti della programmazione e della piena conoscenza delle tecnologie realizzative in modo da valutare in modo adeguato le proposte formulate dall’appaltatore. Si insegna inoltre la particolare attenzione che il Direttore dei Lavori deve riservare a tutti i processi esecutivi. Data, infatti, la particolare disarticolazione del mercato dei subappaltatori delle opere specialistiche le regole e procedure per quanto chiaramente individuate a livello di specifica tecnica possono variare sensibilmente inficiando la qualità finale dell’opera realizzata. Per questo sono previsti stages per gli studenti presso imprese di costruzione in modo da consentire di acquisire una piena conoscenza delle dinamiche del cantiere edilizio e poterle così trasferire problematicamente all’interno dei corsi progettuali svolti nel curriculum di studi. Analogamente anche la conoscenza dei materiali e delle specifiche tecnologie applicative diviene strumento importante ai fini dell’individuazione delle interrelazioni che possono nascere all’interno di soluzioni che vedono l’impiego congiunto di più materiali aventi tra loro comportamenti e logiche relazionali differenti. Al riguardo all’interno dei corsi vi è un’azione costante di informazione e valutazione critica dei prodotti offerti dal mercato attraversi seminari con i produttori stessi. In ogni caso non si rinuncia mai a sottolineare come il momento dell’esecuzione dei lavori sia il momento decisivo capace sì di mettere in luce gli elementi irrisolti del progetto ma anche un momento delicato nel quale è possibile dare una risposta positiva a tutte le aspettative riposte nel progetto. La direzione dei lavori può essere appunto uno strumento per la riappropriazione delle idee progettuali in un contesto che spesso spinge alla semplificazione e alla banalizzazione. Per una piena consapevolezza dell’importanza di questo ruolo occorre, tuttavia, che la scelta del Direttore dei Lavori venga effettuata sin dalla fase iniziale di avvio della progettazione in modo da rendere quanto più pos-
sibile partecipe il Direttore dei Lavori ai meccanismi delle scelte progettuali. Occorre che da parte del R. U. P. vengano trasmessi tutti gli elementi ostativi al progetto emersi in sede di studio di fattibilità e di verifica normativa e soprattutto che si proceda a una anticipazione sin dalle fasi del progetto preliminare delle scelte costruttive in relazione ai materiali, alle soluzioni tecnologiche e agli impianti in modo da caratterizzare in modo compiuto il progetto sin dalle sue battute iniziali. Solo operando in questa direzione si potrà ricostituire il senso positivo di quella realtà straordinaria che è da sempre il cantiere di ogni opera di architettura.
Direzione lavori: un fatto di cronaca di Piero Torretta
La funzione della direzione lavori è quella di realizzare gli obiettivi d’efficienza e d’efficacia, consentendo al committente, pubblico o privato che sia, di realizzare l’opera nei tempi e nei modi previsti e senza esborsi diversi da quelli preventivati. La funzione si svolge in un contesto di rigore formale, ma non solo formale, perché la forma è strumento cui è affidata la voluta efficienza ed efficacia che sarebbero negate dal mero rispetto della forma (Rosini, Il giudice e l’architetto, Padova, 2000). Della sostanza della funzione mi occupo in questa sede, prendendo spunto da fatti di cronaca, per formulare in fine un auspicio. Il fatto di cronaca è il seguente: un’amministrazione affida l’incarico di progettare una certa opera; approva il progetto, esperisce la gara ed individua l’impresa esecutrice. A questo punto il Direttore dei Lavori comunica che non è in grado di consegnare i lavori perché rileva “la non rispondenza tra i dati (esposti nel progetto) e le attuali condizioni e circostanze locali, e più dettagliatamente da: • l’impianto previsto alla Loc. Serra, progettato per altro sito, non trova rispondenza rispetto alla morfologia del sito sui cui si dovrebbe insediare; • l’impianto previsto alla Loc. Montagna non è servito da alcun collegamento e rimane pertanto irraggiungibile se non mediante la costruzione di una strada per la cui realizzazione non è prevista alcuna disponibilità economica; • per ognuno dei vari impianti non è prevista alcuna disponibilità economica per la realizzazione d’impianti per la fornitura di acqua, energia elettrica e scarichi di acque nere; • il progetto è carente di elaborati atti ad individuare, con la dovuta chiarezza, i siti su cui i vari manufatti dovranno insediarsi; • nelle relazioni allegate al progetto si fa riferimento a camping, campi da tennis, di calcetto, di bocce, piste ciclabili e strutture atte a trascorrere il tempo libero, ma per nessuna delle accennate attività esiste l’indicazione del sito o alcun elaborato tecnico cui riferirsi”.
Asse centrale della galleria vetrata a vela. Fase di completamento della copertura presso la porta ovest, novembre 2004.
Veduta dalla gru di porta ovest dell’asse centrale in costruzione, luglio 2004.
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Seguiva una serie di deliberazioni di nomina e revoca di Direttori Lavori con consegna dei lavori, da parte di alcuni, e con sospensione dei lavori da parte di altri. Dall’altra parte c’è l’impresa che esegue, che sospende e che è creditore per lavori eseguiti, per danni e per maggiori esborsi. L’amministrazione risolve il contratto, l’impresa notifica domanda di arbitrato e il collegio arbitrale accoglie le domande dell’impresa e condanna l’amministrazione. Del danno dell’amministrazione si discute innanzi alla
Corte dei conti (sezione giurisdizionale della Basilicata, 12 novembre 2004, n. 270), la quale ritiene che un comportamento minimamente diligente da parte del Direttore dei Lavori doveva indurlo a non procedere alla consegna dei lavori. E aggiunge, la Corte, che la gravità della colpa del Direttore dei Lavori è accresciuta dal fatto che egli fosse stato anche il redattore del progetto. L’auspicio che formulo doverosamente è di non leggere più storie del genere.
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Tre domande a…
M. C. A partire dalla sua esperienza di progettista che ha realizzato numerose delle architetture progettate, qual è secondo Lei il ruolo del Direttore Lavori in rapporto a quello del progettista? È bene che la direzione lavori sia svolta dallo stesso progettista? G. C. Nell’opera dell’architetto la fase di progettazione si completa nella altrettanto decisiva fase di costruzione, quando insorgono fatalmente problemi che spesso è impossibile prevedere nel progetto esecutivo e che richiedono coerenti e tempestivi provvedimenti. Eppure, dato che avevamo deciso di rinunciare ad incarichi privati, per un lungo periodo della nostra attività professionale non ci venne affidata la direzione lavori, poiché le amministrazioni pubbliche, seguendo in generale una logica spartitoria, ne affidavano l’incarico ad altri professionisti. Pertanto la nostra presenza in cantiere si limitava ad un rapporto dialettico con la direzione lavori; confronto che risultava più o meno costruttivo a seconda della sua disponibilità o capacità di cogliere e aderire all’essenza del progetto. Come caso particolarmente fortunato, possiamo citare l’apporto costruttivo di Enrico Bertè, non a caso architetto, nella direzione lavori del Quartiere IACP di Bollate. M. C. Le sempre maggiori articolazioni e complessità del progetto e del processo costruttivo tendono a separare sempre più spesso i ruoli all’interno del nostro lavoro: in questo senso quali possono essere gli apporti del Direttore dei Lavori nell’ambito della definizione del progetto architettonico alla scala esecutiva? G. C. Fino a tutto il XIX secolo, capitava spesso che gli architetti non fossero soltanto Direttori dei Lavori, ma addirittura impresari della fabbrica edilizia. Mentre ormai i processi costruttivi richiedono sempre più collaborazioni specialistiche, che necessariamente devono essere utilizzate in fase di impostazione progettuale, in modo da risultare organiche negli elaborati esecutivi. Se fino a qualche decennio fa era la componente portante dell’edificio complesso a richiedere l’apporto specialistico dell’ingegnere strutturista, via via che gli edifici si pretendono sempre più “intelligenti”, è la componente impiantistica a condizionare il progetto fin dalla fase di impostazione, sia in termini dimensio-
nali che per gli effetti sulla struttura portante. Mentre l’apporto della direzione lavori può risultare utile nelle scelte finalizzate a razionalizzare le procedure implicate dagli elaborati esecutivi. M. C. A Suo giudizio il campo della direzione lavori, anche sul piano della formazione accademica, è bene che sia di competenza di un ambito disciplinare strettamente architettonico oppure di uno tecnico, più vicino all’ingegneria? G. C. Dall’avvento dell’università di massa, ma per la verità anche in passato quando era d’élite, tanto le facoltà di architettura quanto quelle di ingegneria civile non sono riuscite a garantire la formazione degli allievi nell’esperienza di cantiere; esperienza che necessariamente va dunque acquisita esternamente alla scuola. Per questa ragione da sempre vado sostenendo ciò che spesso avviene all’estero, quando gli ordini professionali di architetti e ingegneri civili si preoccupano di completare la formazione pratica dei giovani laureati, proponendo a enti pubblici, imprese, società di ingegneria, studi professionali, ecc., un contrattotipo convenzionato e retribuito pro-tempore, per uno stage pre o post-lauream da certificare in occasione dell’esame di stato. Comunque, poiché il Direttore dei Lavori è parte decisiva del processo costruttivo, è da ritenere che per lui sia auspicabile una formazione nell’ambito disciplinare dell’architettura, poiché l’interpretazione del progetto richiede, come ho già detto, la disponibilità e la capacità di cogliere e aderire alla sua essenza autentica.
FORUM GLI INTERVENTI
Guido Canella
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Bergamo a cura di Antonio Cortinovis e Gabrio Rossi
L’esperienza del cantiere Alberto Sartoris, nell’intervista rilasciata ad Eugenio Guglielmi, la prima che fu raccolta da uno studioso italiano dopo un lungo silenzio e riportata nel catalogo della mostra Ideologia e Architettura 1930 – 1945 organizzata dall’Ordine Architetti P.P. e C. di Bergamo dal 2 al 23 dicembre 2004, a pag. 180 in risposta ad una domanda circa i rapporti tra architetto e struttura logistica realizzativa della costruzione e se amasse delegare o essere presente in cantiere, così rispondeva: “Io trovo che la cosa più bella per un architetto è poter dirigere in prima persona il lavoro. Certamente all’artigiano, all’operaio, bisogna dare un disegno che sia perfetto se si vuole che il prodotto sia tale.” Inoltre a pagina 181 così proseguiva: “Ho sempre pensato di risolvere il problema della collaborazione per la realizzazione di un’opera anche in chiave didattica. In una scuola di architettura io vorrei ci fosse una classe anche per i muratori, per poterli fare vivere insieme agli architetti e viceversa. Si pensò di fare tutto questo alla Bauhaus.” Giovanni Michelucci, riferendosi alla Chiesa di S. Giovanni Battista costruita di lato all’autostrada, a Firenze, così affermava: “Ho sempre creduto, infatti, e ripetuto, che occorre ritrovare – sia pure in termini di attualità – nei rapporti umani, su un piano di lavoro quotidiano, a un livello base-comune, quella verità che giustifica la collaborazione antica tra ideatore ed attuatore”. Considero queste affermazioni illuminanti su uno stato di cose che appena pochi decenni fa era patrimonio culturale diffuso e condiviso circa le consolidate sfere di competenza e di intervento dell’architetto. In quella realtà, non tanto remota, non si facevano distinzioni tra il ruolo di progettista e quello di direttore dei lavori, anzi l’uno era considerato preparatorio dell’altro e l’altro la necessaria indispensabile prosecuzione della fase strettamente progettuale. Di Le Corbusier è notissimo il fatto che, nel lasso di tempo di costruzione della Cappella di Notre Dame du Haut, a Ronchamp, la sua opera più nota, ammirata, da subito considerata un capolavoro, (rivoluzionaria per aver sconvolto tutta la sua prassi antecedente di padre nobile del razionalismo internazionale, anticipando in questa un forte segnale di crisi degli esiti formali del razionalismo), abbia passato moltissimo tempo nel cantiere, definendo ogni piccolo particolare sia della costruzione, le finestre, le aperture, le vetrate, il disegno del pavimento, la porta d’ingresso principale, gli arredi – in particolare la croce con il piccolo crocifisso – e ogni minimo dettaglio sia progettuale e sia costruttivo. In buona sostanza si potrebbe dire che per quest’opera di
altissima spiritualità e che egli, ormai maturo, considerava un suo manifesto culturale, abbia fatto oltre che il progettista anche il direttore dei lavori, in una parola l’Architetto. Nell’attualità dobbiamo constatare che, per le note amnesie della scuole di architettura, si sono persi i fili di un dialogo che durava da secoli e che costituiva l’ossatura dell’Arte del Costruire che si dipanava tra il progettista-direttore e il costruttore-esecutore. Quale patrimonio di cultura materiale è stata lasciato in disparte! In decenni di maldestri tentativi di industrializzazione del processo edilizio, all’allievo architetto non sì è insegnato il piacere di stare in cantiere, impedendogli di accedere a quella “biblioteca del saper costruire bene” che è il cantiere. Questa carenza del bagaglio di conoscenza non potrà essere sostituita da alcuna simulazione tecnologica, alcuna materializzazione o dematerializzazione visiva, nessun artificio scenografico illusorio, pena la decadenza. È non solo nelle scuole di architettura, ma soprattutto in cantiere che il giovane architetto potrà dimostrare di volere e saper essere come una spugna che assorbe l’esperienza di chi prima di lui ha provato la gioia di costruire, dove può accedere ai segreti della padronanza della “materia”, dove può dimostrare di voler essere Architetto e raggiungere vette di Artista. A. C.
Como a cura di Roberta Fasola Difficile parlare di un argomento come la direzione lavori senza scadere nelle banalità del “già detto” o sconfinando in trattati e ragionamenti che richiederebbero ben più ampi spazi di scrittura. Per questo si è scelto di interpellare due colleghi - l’arch. Giovanni Castelli e l’arch. Michele Pierpaoli – in grado di apportare testimonianze ricche di esperienze vissute nel tempo, anche attraverso collaborazioni come consulenti d’impresa: il corso degli anni e dei lavori a verificare tempi e documentare mutazioni di una figura professionale tanto complessa e delicata, in quanto carica di attese e responsabilità, quale quella del Direttore dei lavori. R. F.
Direzione dei lavori (o Prova d’Orchestra?), alcuni appunti personali Dirigere i lavori: edili, strutturali, impiantistici, coordinando uomini, mezzi, tempi, risorse in relazione al progetto. Per l’attuazione del progetto, del nostro progetto.
attenti a responsabilità e assicurazioni, forse più “amministrativi” che architetti. Però comunque so che non ci si può sottrarre, e che quell’opera realizzata non sarebbe la stessa se non l’avessi seguita personalmente fino in fondo, anche nella direzione lavori, perchè l’approdo completa il senso dell’esperienza progettuale e questa trova valore nell’esperienza del cantiere. Michele Pierpaoli
La direzioni lavori e il rapporto con le nuove norme L’argomento “direzione dei lavori”, almeno per quanto riguarda il mio lontano excursus universitario, è stato trattato tanto superficialmente da farmi pensare che, se negli attuali piani di studio non è oggetto di maggiore considerazione, si può in parte capire perché questo importante aspetto della professione risulti ostico a molti colleghi. Ma non si deve dimenticare che l’esercizio dell’aspetto normalmente più ambìto della professione che è quello del progettare non può prescindere da un parallela pratica di direzione dei lavori (ovviamente si fa riferimento a opere di normale entità e importanza perché i grandi lavori comportano una notevole frammentazione delle varie mansioni che vengono perciò affidate a più specialisti). Della direzione lavori non esiste una precisa definizione in un testo normativo ma se ne possono individuare funzione, compiti e responsabilità da un insieme di più norme. La legge Merloni ha profondamente innovato la materia che ancora sino a qualche anno addietro era regolata da una legge e da un regolamento risalenti al 1865 - introducendo nel processo di controllo della costruzione di opere civili ed edili figure professionali con responsabilità e compiti analoghi a quelli del sistema anglo-americano (il Responsabile del Procedimento corrisponde al Project Manager anglosassone, l’ATI, Associazione Temporanea di Imprese, alla Joint Venture, ecc.). Con la 109/94 e una serie di leggi e decreti successivi, per le opere pubbliche cambia radicalmente la struttura della direzione lavori. Alla persona singola si sostituisce un “Ufficio di direzione lavori” nominato dal Responsabile del Procedimento e composto oltre che dal Direttore da uno o più assistenti con incarichi di “Direttore Operativo”, veri e propri coadiutori della D.L. con il compito di coordinare e programmare le attività di altri assistenti denominati “Ispettori di Cantiere” cui competono mansioni che – prima della Merloni ma ancora oggi nella gran parte dei lavori privati – facevano capo all’“Assistente di Cantiere”. E il Direttore dei lavori, anche se mantiene intatta la sua la sua assoluta indipendenza professionale, è tenuto a rispettare le decisioni del Responsabile del Procedimento la cui funzione non è tanto quella di controllo bensì quella di assicurare efficienza e trasparenza all’azione amministrativa. Anche se nella pratica può non risultare del tutto chiara
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La direzione dei lavori è un completamento necessario del lavoro degli Architetti, una sorta di diritto-dovere con cui ci si dovrebbe confrontare con piacere e serenità. Eppure, ricordo, non molti anni fa un giovane ma già abbastanza esperto collega, di fronte ad un progetto per una Pubblica Amministrazione che stava per essergli affidato, mi confessò che avrebbe preferito ricevere l’incarico limitato alla sola progettazione per evitare le tribolazioni della direzione lavori. Perché? Dei cantieri ricordo sempre il giorno d’inizio: un varo per una rotta data ed un approdo chiaro. Però queste navigazioni diventano sempre più incerte, rischiose, faticose, a volte prive di quelle soddisfazioni che ci si potrebbe aspettare. Perché? Perché tanti colleghi mostrano visibili segni di affaticamento di fronte alla direzione lavori? Siamo noi, le imprese, le norme, i committenti che rendono gravose queste direzioni? Forse un po’ tutti, nel loro complesso, tendono ad allontanarsi dal preciso scopo. Gli architetti dalla esatta conoscenza delle modalità del costruire e del cantiere (per quanto non si debba mai confondere la direzione dei lavori con quella di cantiere), le imprese dal rispetto delle corrette modalità esecutive, le norme dal senso della realtà (sapete cosa è la procedura per una variante in corso d’opera in zona tutelata…), i committenti dal loro ruolo (poiché io pago, io decido) e con idee un po’ confuse (perché l’architetto non era presente tutti i giorni in cantiere?). Senza generalizzare sia chiaro, non sempre è così, per fortuna. Per gli architetti più anziani, imprevisti o piccole varianti, migliorie, aspetti da precisare o soluzioni da concordare o risolvere in cantiere, costituivano il “sale” della direzione lavori. Per i più giovani queste eventualità possono tradursi in un incubo: massimo 5% di varianti se i lavori sono pubblici, se sono privati non c’è limite ma le imprese sono in agguato appena esci dal capitolato; fermo dei lavori se fai una variante. Morale: cerca di non cambiare nulla anche se hai intravisto soluzioni più interessanti. Risolvi assolutamente tutto nel progetto per poi avere una D.L. più tranquilla possibile. Perfetto. Ma si può risolvere davvero tutto nel progetto? E se così fosse, allora significherebbe che la D.L. è solo una procedura di mera verifica e coordinamento tecnico-contabile? Ecco forse il problema: la D.L. di un architetto è quanto sopra ma anche un completamento della fase progettuale in sede esecutiva in un’epoca che non vuole riconoscere più questo aspetto perché troppo poco prevedibile e quindi rischioso. Forse così deve essere, perché i tempi sono questi ed è già difficoltoso il solo controllo e coordinamento tecnicocontabile in tantissime occasioni (LL.PP. in particolare). Così ci ritroviamo sempre più spesso al telefono a rincorrere fornitori che non arrivano, impresari che non seguono esattamente il progetto, clienti che lo cambiano, siamo preoccupati di rimanere nel budget, studiosi di norme e regolamenti, di procedure, Merloni bis o ter, ecc.,
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la suddivisione dei compiti tra le citate figure, alle quali si deve aggiungere quella del Coordinatore della Sicurezza in fase di Esecuzione, la struttura concepita dalla legge per portare un’idea progettuale alla sua realizzazione è quella che consente di raggiungere i migliori risultati sotto tutti i punti di vista nel rispetto degli interessi sia del committente sia del progettista che ha diritto a vedere realizzata al meglio la sua opera. Della validità di queste procedure è prova il fatto che sono sempre più utilizzate per grandi lavori anche della committenza privata e, nella sostanza, sono adottate da tutte le società di engineering. Sono molto diffuse all’estero dove sono anche stati messi a punto appositi modelli e schemi contrattuali (per esempio quelli dell’“E.C.E.” – Economic Commission for Europe) che possono essere utilizzabili indipendentemente dai diversi ordinamenti giuridici. Per i normali lavori della committenza privata, la D.L. solitamente viene affidata a uno o più professionisti che per le mansioni di controllo si avvalgono di Assistenti di Cantiere. Per i lavori pubblici come per quelli privati i compiti della direzione dei lavori sono analoghi anche se per i privati l’aspetto burocratico è più contenuto. In tutti i casi si deve rispettare un insieme sempre più complesso di norme che hanno come obiettivo, oltre la miglior qualità e la durata del bene costruito, anche la sicurezza degli operatori e degli utenti finali nel rispetto sempre più consapevole del contesto economico, sociale e ambientale in cui viene realizzato. Giovanni Castelli
Lodi a cura di Antonino Negrini
Dai Maister al Computer Gli anni di esperienza professionale, la sensibilità sviluppata nel campo dell’architettura e dell’urbanistica, la capacità di catturare l’attenzione del lettore, permettono di apprezzare l’articolo del collega Antonio De Vizzi. Antonio De Vizzi, iscritto tra i primi numeri dell’Albo degli Architetti della Provincia di Lodi, ha accumulato negli anni una profonda esperienza nel campo della direzione lavori, partecipando a quelle trasformazioni che il “cantiere” ha subito con il trascorrere degli anni. Augurando una buona lettura, ringrazio Antonio per il contributo offerto alla rivista. A. N. Parlare della direzione lavori non è sicuramente facile. Ognuno di noi ha il proprio approccio (al di là delle normative e della legislazione vigenti che ci accomunano). Per questo ho preferito una visione del tutto “personale”.
Anche perché la pubblicistica, in tal senso, è molteplice e molto puntuale. Il mio numero di iscrizione all’Albo è il 9. Questo risulta molto significativo. Ho incominciato da autodidatta, non sono stato “a bottega” (e me ne dispiace molto). Nato in una splendida cascina ho scelto la terra, la mia terra, un vivere ed un operare provinciale cui mancava l’interscambio culturale e le tensioni metropolitane. Ma ho letto molto e soprattutto ho viaggiato molto per “palpare” (scusate il termine) architettura dal vivo. La luce di Siza, i perfezionismi di Scarpa, gli spazi di Meyer. L’uso dei materiali dai Dogon alle raffinatezze di Nouvel. Non tralasciando i vecchi grandi: tutto le Corbusier. Non ho prodotto molto – perché certe mie idee cozzavano molto spesso con “l’incoltura locale?” – e forse per la mia mania che si potesse, insieme, fare di più, accontentando progettista e committenza. Volevo fare lo psichiatra (sarebbe stato meglio dirà qualche collega) me lo hanno impedito i miei genitori. L’alternativa è stata dettata dal mio professore del liceo (architetto) che mi disse sarebbe stato un peccato sprecare la mia sensibilità del segno. Non ho rimpianti, in tutti e due i casi. Nei due casi ci sono i due momenti della diagnosi (il progetto) e della terapia (la direzione lavori). E. N. Rogers ci diceva “lo sgomento del foglio bianco”, io aggiungerei “il timore della posa della prima pietra!”. Infatti la direzione lavori di qualsiasi edificio privato e/o pubblico mi pare il momento di maggior tensione e contemporaneamente di maggior innamoramento dell’intero iter progettuale. Se alla committenza si aggiunge, soprattutto per gli appalti pubblici imprese non preparate, la tensione sale, le frequentazioni in cantiere si fanno più fitte in alcuni casi, esasperanti. Il rapporto con il capo cantiere diventa un interscambio di esperienza/e, ma soprattutto vedi nascere, in concreto, le tue idee progettuali, gli sbagli, gli sfizi, i volumi, la luce e i particolari. C’è stata una generazione che ha potuto progettare in cantiere e, forse, al di là dei costi, sono nati capolavori. E i nomi, tanti, li conosciamo tutti. Ma questi grandi hanno operato spesso per una committenza “ricca” o “colta” in un momento di transizione dove esisteva ancora l’antica sapienza dei “maister” e dove non esistevano i lacci e lacciuoli dell’odierna normativa di cui tutti siamo a conoscenza, che spesso deve supplire all’insipienza, alla scarsa cultura e alla speculazione, o, semplicemente a tempi mutati. Infatti anche oggi, come ieri, ci sono ancora i grandi, perché “la matita” l’hanno succhiata già con il latte materno. Tranne che, mentre crescevano diventando grandi è nato uno strumento rivoluzionario anche nel campo della progettazione architettonica: il computer. Mentre con il fenomeno casa, di questi ultimi anni, è andata a diminuire la qualità (bontà) dalla piccola alla grande impresa. Tranne rarissimi casi. Per una buona direzione lavori, oltre la presenza in cantiere, sono comunque fondamentali, per controllare e pilota-
Antonio De Vizzi
Milano a cura di Roberto Gamba
Direzione dei lavori, formazione professionale, progetto e architettura L’incarico di Direttore dei Lavori conferisce il massimo potere esecutivo nella conduzione di un intervento costruttivo e deve essere affidato a un professionista qualificato, che non può dimostrare alcuna incertezza decisionale e tecnologica, per il raggiungimento dell’obiettivo progettuale e della regola dell’arte. Pertanto la figura del D. L. non può prevedere in “corso d’opera” alcuna carenza cognitiva e non può essere basata su una preparazione di pura teoria scientifica, che non si confronti con una costante e solida esperienza professionale e di cantiere. Ciò nonostante, riguardo a argomenti specifici, di carattere tecnico, procedurale, amministrativo, esistono corsi di aggiornamento, che consentono al Direttore dei Lavori di contare su una migliore padronanza della complessità del progetto contemporaneo. A Milano sono state indagate le attività e le iniziative degli organismi associativi, che coinvolgono il mondo delle costruzioni e che raggruppano ingegneri e architetti. L’Esem e il Collegio ingegneri e architetti hanno accettato di presentare le proposte che riguardano i temi della conduzione dei lavori. L’argomento cui si riferisce questo numero del bollettino, sarebbe stato inoltre interessante affrontarlo, secondo un altro aspetto; esemplificando la vicenda di un importante cantiere contemporaneo, diretto da un professionista, preposto a questa carica, senza essere contemporaneamente progettista dell’opera; bensì incaricato specificamente a tale funzione, per la sua capacità interpretativa del progetto; per la sua competenza tecnologica; per la sua sensibilità architettonica. Ma non ce ne è stato il tempo, o forse è mancata l’occasione. R. G.
La formazione professionale del Direttore Lavori: una competenza in equilibrio tra il “sapere” e il “fare”
Banca Popolare di Lodi, la costruzione.
Nella realtà italiana contemporanea, contrariamente a quanto avvenuto per esempio nell’area anglosassone, l’ampliamento delle potenzialità tecnologiche, invece di essere colto nella sua dimensione propositiva, è stato spesso interpretato come l’occasione per trascurare il progetto esecutivo, demandando al sapere tecnico del Direttore Lavori e anche all’operato dell’impresa esecutrice il compito di risolvere a posteriori qualsiasi richiesta del progettista. Questa debolezza del progetto esecutivo, che spesso non raggiunge la scala di dettaglio auspicabile, unita alle
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re una costruzione, tavole a diverse scale e una miriade di particolari. Per chi l’ha conosciuto da vicino pare che in tal senso Renzo Piano più che puntuale sia ossessivo. E in questo senso grande maestro fu Scarpa, lo leggi negli “scuretti”, nell’uso sapiente dei materiali dei pavimenti, nella raffinatezza dei serramenti. Il tutto ti dà la sensazione che Scarpa vivesse a Castel Vecchio. La direzione lavori, sia per la particolare assidua e necessaria presenza in cantiere, sia per la necessità di un continuo ribaltamento di varianti (soprattutto in campo privato) risulta una tranche del tariffario, sottostimata e sottopagata. Per questo molti progettisti preferiscono escluderla dall’iter progettuale, non solo per “vil moneta”, ma per scrollarsi di dosso ogni responsabilità civile e penale. Nuove tecniche (la bioarchitettura) e nuovissimi materiali si sono affacciati ormai da anni nel mondo dell’architettura; questi prevedono non solo il segno iniziale, ma la capacità di controllarli. È chiaro che chi “scimmiotta” è perdente. C’è stato un precedente: il post-modern (da me non è stato mai amato) che ha creato confusione culturale e cattivi allievi! Un carissimo amico architetto che ha operato in Germania mi spiega la differenza che esiste fra i due paesi. Tutti sappiamo, o dovremmo conoscere l’iter procedurale e legislativo di una costruzione; in Germania il Direttore dei Lavori è anche direttore di cantiere, responsabile della qualità (dalle strutture, all’intonaco). Inoltre è responsabile delle competenze manageriali (tempi e costi) secondo precise norme D. I. N. che definiscono i parametri che inquadrano la “regola d’arte”. Ciò comporta un approccio più disciplinato eliminando controversie fra direzione lavori, impresa, e committenza, e la direzione lavori si assume ogni responsabilità. Sarebbe opportuno, a mio avviso, vista la possibilità di operare in tutti i paesi della U. E., una unificazione delle direttive procedurali evitando, in tal modo, defaticanti norme dei singoli paesi associati.
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crescenti responsabilità che la legislazione e la normativa assegnano al Direttore lavori, quale professionista demandato alla certificazione della corretta realizzazione operativa, impongono un’approfondita riflessione su quali competenze debba detenere un professionista per svolgere adeguatamente questa professione. Se la formazione tradizionale garantita dalle università non è spesso sufficiente per permettere l’interpretazione della complessità operativa contemporanea e l’esperienza sul campo è spesso “costosa” (in termini di errori commessi) ed altrettanto inaffidabile per quanto riguarda la velocità di aggiornamento e la capacità di gestione delle innovazioni che il settore e la normativa propongono, non resta che ricorrere agli strumenti di aggiornamento continuo che il settore edile ha messo a punto per supportare l’inarrestabile processo evolutivo che stiamo vivendo. In tale sistema le problematiche dell’apprendimento nella preparazione della figura dell’architetto Direttore dei Lavori sono principalmente legate all’approfondimento della conoscenza dei processi produttivi, in rapporto alla configurazione del processo edilizio, per sviluppare la consapevolezza e la capacità di controllo delle interrelazioni strutturali esistenti fra i fattori tecnico-economici e le determinazioni progettuali e realizzative dell’architettura. La professionalità del direttore lavori esige quindi l’assunzione di nuove responsabilità, basate su competenze articolate che consentano la riacquisizione del ruolo di principale coordinatore dei vari operatori edilizi. Essa dovrà essere caratterizzata sempre più dalla multidisciplinarietà della preparazione, in quanto il vincolo che condiziona il progetto non sarà più né una “regola dell’arte” consolidata nei secoli, bensì sarà un scelta costruttiva che si configura come assemblaggio unico ed irripetibile di tecniche, tecnologie e prodotti di volta in volta diversi ed afferenti a discipline (chimiche, industriali, economiche, ecc.) sempre differenti. Questo processo di crescita, però, potrà essere compiutamente intrapreso solo se il settore della formazione professionale saprà a sua volta evolversi verso l’erogazione di attività di formazione continua, organizzate in brevi moduli, mirati a conferire competenze specifiche e certificabili. I professionisti, come anche la piccola impresa edile, potranno, infatti, permettersi di integrare, all’interno delle proprie attività, i momenti formativi solo se questi sapranno rispondere rapidamente e in tempo reale alle specifiche esigenze manifestatesi all’interno del quotidiano agire lavorativo. È sulla base di queste riflessioni che Esem ha cercato di offrire un proprio contributo. Nel 2004/05 sono stati attivati due diversi ambiti di aggiornamento e riqualificazione rivolti ai professionisti e ai tecnici di settore. In entrambi i cicli di formazione proposti, le attività di studio sono strutturate in brevi corsi monografici di 4/5 incontri, i cui docenti sono selezionati tra i migliori professionisti del settore. La metodologia didattica è improntata alla massima pragmaticità operativa. Il primo ciclo, intitolato “Recupero, restauro e manuten-
zione conservativa degli edifici”, è finalizzato a proporre un’investigazione delle principali problematiche connesse con i cantieri di ristrutturazione. Il secondo ciclo, intitolato “Gestione ed organizzazione della produzione”, investiga gli aspetti più strettamente tecnico-economici dell’attività professionale, con particolare attenzione alle problematiche contabili connesse con le opere pubbliche e con le grandi commesse private. Esem è un ente di formazione no-profit, costituito in base ad un accordo tra le parti sociali (Imprese – Sindacati) per la qualificazione e l’aggiornamento degli operatori e dei tecnici d’impresa del settore delle costruzioni. È diretto da un Consiglio di amministrazione composto pariteticamente dagli imprenditori edili della provincia di Milano (Assimpredil) e dalle Organizzazioni sindacali dei lavoratori (FeNeal-UIL, Filca-CISL, Fillea-CGIL). Ha adottato un sistema di gestione della qualità ISO 9001:00 certificato dal TUV. Cicli di formazione proposti: • Ciclo recupero, restauro e manutenzione conservativa degli edifici A.3.08 – Approccio alle problematiche di recupero degli edifici A.3.09 – Patologie edilizie e tecnologie di recupero A.3.10 – Patologie strutturali e tecnologie di intervento A.3.11 – Recupero e restauro degli edifici storici soggetti a tutela A.3.12 – Tecniche di consolidamento strutturale nell’ambito di A.3.13 – Le problematiche di integrazione degli impianti A.3.14 – Approccio alle problematiche di manutenzione degli edifici • Ciclo gestione ed organizzazione della produzione A.4.11 – Computo metrico A.4.12 – Scritture contabili di cantiere A.4.02 – Analisi dei costi e preventivazione dei lavori (base) A.4.03 – Analisi dei costi e preventivazione dei lavori (avanzato) A.4.04 – Analisi dei tempi e programmazione dei lavori edili D.2.04 – Programmazione lavori. Corso avanzato di informatica A.7.01 – Nozioni di tecnica catastale D.3.02 – Accertamento proprietà immobiliare urbana (Docfa) Claudio Conio ESEM, Ente Scuola Edile Milanese tel. 0240070217– info@esem.mi.it
Sede dell’Ente Scuola Edile Milanese.
Varese
Corso di aggiornamento del Collegio degli Ingegneri e Architetti di Milano
Clara Rognoni Collegio degli Ingegneri e Architetti di Milano corso Venezia 16 – tel. 0276003509
a cura di Enrico Bertè e Claudio Castiglioni
La direzione dei lavori: alcune brevi considerazioni Anche nei diversi Comuni della Provincia di Varese sono numerosi gli architetti che hanno svolto e tuttora svolgono l’incarico della direzione dei lavori. In qualche caso relativamente ad opere da loro progettate ed in altri casi relativamente ad opere, la cui progettazione porta il nome di colleghi. Soprattutto ciò si è verificato e si verifica in particolare per gli appalti pubblici dove la regia è di competenza delle pubbliche amministrazioni. In alcuni casi le amministrazioni comunali, preferiscono affidare la progettazione delle opere ad un architetto e la direzione dei lavori ad un ingegnere civile. Raramente, per ciò che ci risulta, si è verificato il contrario. In un’epoca in cui nei cantieri edili è un équipe di tecnici che deve operare in sintonia sia dal punto di vista culturale sia dal punto di vista scientifico, a nostro avviso, dovrebbero essere le pubbliche amministrazioni (ma ciò vale anche nei rapporti con le committenze private), a scegliere i liberi professionisti non soltanto secondo il loro titolo di laurea ma soprattutto considerando le loro capacità professionali, garantite da curricula a dimostrazione di una buona preparazione tecnica e di una accertata esperienza. Del resto, sempre a nostro avviso, dovrebbero essere i professionisti stessi a riconoscersi capaci di potere svolgere responsabilmente un incarico o meno. Diceva l’arch. Gio Ponti, quando insegnava alla facoltà di Architettura del Politecnico di Milano, (ci riferiamo ai lontani anni accademici 1945-1946 e 1946-1947), ma l’abbiamo sentito ripetere qualche anno dopo quando egli era presidente del Collegio regionale lombardo degli Architetti: “per la buona riuscita di un’opera architettonica è necessaria la perfetta collaborazione tra un architetto ed un ingegnere”. Nella provincia di Varese sono in corso attualmente opere di rilevante importanza architettonica ed edilizia. In alcuni casi la direzione dei lavori è svolta da architetti, in altri casi da ingegneri civili ed in qualche altro caso da architetti o ingegneri, dirigenti degli uffici tecnici delle aziende committenti le opere appaltate. Nel complesso, con risultati più che soddisfacenti. E. B.
FORUM ORDINI
Nell’ottobre 2004 si è svolto, presso la sede del Collegio Ingegneri e Architetti di Milano, in corso Venezia 16, un corso su La direzione dei lavori, organizzato in collaborazione con Agorà – Ricerca e Formazione. È stato sviluppato in due moduli, di due incontri ciascuno: uno specifico sulla direzione lavori negli appalti privati ed un secondo relativo alla D. L. negli appalti pubblici. Rivolto a professionisti del settore, i diversi moduli prevedevano la formazione e l’aggiornamento in tema di direzione lavori e contabilità, illustrando e mettendo a confronto i princìpi del nostro ordinamento e la prassi operativa in tema di lavori in ambito privato e nell’ambito degli appalti dei lavori pubblici, ed in quest’ultimo caso evidenziando l’importante evoluzione subita dal quadro normativo di riferimento, con l’illustrazione e l’esame dell’attuale sistema normativo. I requisiti e compiti della direzione lavori sono stati esaminati in ogni loro aspetto: rapporti con il progettista, aspetti deontologici con le diverse figure professionali che concorrono alla realizzazione del progetto, contabilità nelle diverse forme d’appalto, procedure inerenti le varianti in corso d’opera, conduzione del cantiere, sicurezza del luogo di lavoro, rischi, obblighi e responsabilità del D. L., sia nei rapporti con il committente, sia esso pubblico che privato, sia verso l’appaltatore e l’amministrazione pubblica, per finire con le procedure di collaudo ed esame delle riserve. Ogni tema è stato trattato da esperti del settore specifico: l’ing. M. Biolcati, docente presso la Facoltà di Ingegneria di Ferrara, l’ing. L. Matarazzo, presidente della commissione sicurezza dell’Ordine degli Ingegneri di Roma, l’ing. A. Messina, esperto di appalti pubblici e di conduzione di procedimenti; per il collegio, il vicepresidente ing. C. Valtolina, strutturista, e il segretario arch. C. Rognoni, esperta in procedure amministrative. Quest’ultima ha illustrato le diverse procedure, necessarie all’istruzione delle pratiche di variante in corso d’opera e quelle per la richiesta di abitabilità. Gli avvocati L. Benzoni e G. Gualtiereri, professionisti rispettivamente nel campo urbanistico e penale, hanno trattato il tema degli errori progettuali, delle difformità nella realizzazione del progetto e della responsabilità civile e penale della figura del D. L. nella vigente legislazione. I corsisti, fra cui numerosi tecnici di amministrazioni comunali, hanno ricevuto un volume, edito da Agorà, con i testi di tutti gli interventi e un’ampia documentazione normativa ed esplicativa utile nella pratica applicazione. Probabilmente il corso verrà riproposto nel prossimo autunno.
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Allo IUAV l’archivio Trincanato Lo Iuav di Venezia ha recentemente ricevuto l’archivio privato di Egle Renata Trincanato. L’archivio contiene documenti che vanno dal 1910 al 1998 e testimonia la presenza della grande studiosa nella cultura e nelle istituzioni veneziane dell’ultimo secolo. Nata a Roma nel 1910 Egle Renata Trincanato fu la prima donna iscritta all’Istituto Superiore di Architettura di Venezia dove conseguì la laurea nel ’38. Fu docente allo Iuav a partire dagli anni Quaranta del Novecento, capo della divisione tecnico-artistica presso il Comune di Venezia, direttore di Palazzo Ducale dal 1954 al ’64 e presidente della Fondazione Querini Stampalia dal 1990 al ’94. Come libero professionista partecipò alla realizzazione del quartiere INA-Casa di San Giuliano a Mestre (‘59) e a importanti concorsi come quelli per la nuova sacca di Tronchetto (’64) e per la Défense a Parigi (’82). Come funzionario curò i lavori di riordino e restauro del museo Correr, di Ca’ Rezzonico, Ca’ Pesaro, Casa Goldoni e Palazzo Ducale dove seguì la formazione del museo dell’Opera del palazzo. Nel ’54 coordinò le ricerche per la preparazione della grande mostra Venezia viva allestita a Palazzo Grassi. Tra i suoi numerosi scritti ricordiamo l’opera più nota, Venezia minore, pubblicato nel 1948. L’archivio comprende, assieme al numero consistente di materiali grafici relativi a progetti di
architettura, al piano regolatore di Ancona e agli studi sull’architettura storica, una notevole raccolta di materiale fotografico, carte legate alle ricerche e alle pubblicazioni della Trincanato e la corrispondenza scambiata con eminenti personalità della storia dell’architettura contemporanea, tra cui Le Corbusier, Richard Neutra, Giuseppe Samonà, Carlo Scarpa e Frank Lloyd Wright. La schedatura dei documenti sarà consultabile via internet e si potranno scaricare riproduzioni digitali di disegni e fotografie. Archivio Progetti Università Iuav di Venezia Dorsoduro 2196, 30123 Venezia tel. 041 710025 archivioprogetti@iuav.it www.iuav.it/archivioprogetti Irina Casali
Riqualificazione cromatica di Monza L’“Osservatorio Colore Liguria” coordinato dai professori Aldo Bottoli e Giulio Bertagna, ha recentemente intrapreso una collaborazione con l’Ufficio Tecnico del Comune di Monza per avviare Piano di Riqualificazione Cromatica della Città, PRC, cosa ben diversa dal tradizionale Piano del Colore. Il PRC è uno strumento innovativo e articolato, concepito per considerare tutto il territorio comunale, che ha l’obiettivo di semplificare e ottimizzare la gestione e la valorizzazione dell’identità cromatica locale. Il progetto affronterà non solo il
centro storico, ma l’intera città di Monza. È questa una delle novità più attese: considerare la città nel suo complesso. Sono da segnalare almeno due aspetti peculiari di questo nuovo approccio al tema del colore e della città: l’intento di innescare fin da subito un volano virtuoso d’interventi su elementi particolarmente impattanti (Progetti Pilota) e la possibilità, da parte dell’Ufficio Tecnico del Comune, di avviare, in pratica da subito, una gestione completa del territorio. Questo non porta a un irrigidimento del sistema e alla conseguente riduzione di libertà d’intervento da parte dei tecnici e delle proprietà degli immobili, ma a linee guida flessibili seppure coerenti con una ritrovata identità cromatica della città. L’ambizioso obiettivo della riqualificazione percettiva della città prevede la diversificazione di metodologie, processi e soluzioni progettuali coerenti con il contesto nel quale si dovrà intervenire. Per la parte storica si adotterà un prudente approccio che trarrà spunto dai contenuti emersi dall’ormai ricco patrimonio d’esperienze già attuate in molte città italiane. Per le periferie gli interventi cercheranno di creare coerenza percettiva e, dove necessario, “frammentazione e riassemblag-
gio percettivo” delle superfici per dare nuova plasticità a un’edilizia che ne è povera e che si è allontanata, per ragioni di scarse risorse o di speculazione, da quelle ricchezze formali presenti fino ad un certo periodo storico, che mantenevano un corretto “rapporto biologico” tra uomo e architettura. Il PRC si prefigge di ricompattare l’identità sociale, storica e architettonica per mezzo del Colore, al fine di rimettere in dialogo tradizione e contemporaneità e i nuovi confini della città con il paesaggio naturale circostante. La città diffusa ha creato nuovi paesaggi urbani che vanno tenuti, per quanto possibile, in coerenza con il paesaggio naturale extraurbano. Il PRC insiste sull’importanza di tematizzare quelle aree della città che non fanno parte del nucleo storico, ma che oggi ne costituiscono la parte più ampia. Aldo Bottoli
A Chiasso un Museo dedicato a Max Huber Nei prossimi mesi è prevista l’inaugurazione, a Chiasso, di un nuovo museo dedicato alle arti visive, alla grafica, al design e all’architettura.
Il m. a. x. Museo (il cui nome, m. a. x., è un acronimo in cui “m” sta sia per museo che per Max, “a” per Aoi e per arte e “x” rappresenta l’incognita) comprenderà, oltre alle aree espositive, dedicate ad esposizioni temporanee, e alla sala video, spazi da utilizzare per scopi didattici. Una parte dell’edificio ospiterà l’esposizione permanente delle opere grafiche e pittoriche di Max Huber, il cui Archivio Grafico è divenuto patrimonio della Fondazione. Il progetto del nuovo edificio è stato affidato a Pia Durisch e Aldo Nolli, che dicono di averlo ideato pensando a Max Huber e alla sua opera dal momento che, scrivono, esistono “molte affinità fra il nostro modo di intendere l’architettura e il suo modo di operare. Il m. a. x. è un edificio semplice. I suoi ambien-
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ti sono ampi e luminosi, neutri e semplici, in modo da lasciare spazio ai contenuti. La facciata del m. a. x. è una grande vetrina traslucida. Sarà, di volta in volta, espressione dei contenuti espositivi momentanei del museo (…) Di notte, l’intercapedine della facciata sarà illuminata, rendendo visibili i suoi contenuti e illuminando la città (…) Il volume chiaro e netto del museo riqualifica l’intero comparto urbano della città di Chiasso dedicato alla cultura, che comprende il Cinema Teatro, appena restaurato. Nasce così un nuovo pezzo di città, un polo fortemente urbano, caratterizzato da contenuti espositivi e culturali”. m. a. x. Museo Chiasso, via Dante Alighieri 5 tel. +41 91 6825002 fax +41 91 6837465 info@maxmuseo.ch www. maxmuseo.ch
rapporti di collaborazione con grandi aziende, tra le quali Olivetti, di cui è responsabile per il design per oltre trent’anni. Sottsass ha rinnovato profondamente la concezione del “funzionalismo” propria della prima metà del ‘900, restituendo agli oggetti uno spessore simbolico ed emotivo. La mostra prenderà in esame l’intera e sfaccettata attività di Sottsass. La sua opera di architetto e designer, verrà ripercorsa attraverso due sezioni tematiche distinte. Nel campo del design, l’attività di Sottsass, durata oltre cinquant’anni, sarà presentata attraverso le varie tipologie progettuali che ne hanno caratterizzato la ricerca. Si andrà dai gioielli ai vetri, passando per le ceramiche – la cui sezione costi-
trale dell’attività, considerato dallo stesso architetto un’occasione di dichiarazione d’intenti e di poetica. La sezione dedicata all’architettura costituisce la prima mostra antologica sull’attività di Ettore Sottsass architetto e ripercorre l’intero arco della sua attività: dai primi lavori in collaborazione con il padre degli inizi degli anni Cinquanta, al periodo dell’“architettura radicale”, momento di forte critica nei confronti del contesto culturale contemporaneo, in cui il progetto di architettura tradizionale viene sostituito da progetti concettuali e utopici dalla forte carica ironica, sino ai progetti attualmente in corso nello studio Sottsass Associati. La mostra sarà accompagnata da un volume monografico dedicato ai disegni di Ettore Sottsass, curato da Milco Carboni.
tuisce la più importante retrospettiva mai realizzata sul lavoro di Sottsass in questo ambito. Un’altra parte sarà dedicata al disegno del mobile che, ordinata cronologicamente, consentirà di leggere l’evoluzione del suo pensiero in un campo cen-
MartRovereto 26 febbraio – 22 maggio 2005 corso Bettini, 43 38068 Rovereto (TN) info: 800-397760 www.mart.trento.it
Martina Landsberger
Sottsass al MART Il Museo d’Arte Contemporanea di Trento e Rovereto ospiterà un’importante mostra dedicata a Ettore Sottsass jr. a cura di Gabriella Belli e Milco Carboni, in collaborazione con lo Studio Sottsass Associati. Nato a Innsbruck nel 1917 ed accostatosi all’architettura sulle orme del padre, Sotsass è tra i più significativi esponenti della cultura progettuale italiana del ‘900. A partire dagli anni Cinquanta affianca all’attività architettonica la ricerca sul design, avviando
I. C.
OSSERVATORIO ARGOMENTI
Il m. a. x. Museo, frutto dell’impegno della Fondazione Max Huber Kono, voluto per ricordare la figura di Max Huber (Baar 1919 – Mendrisio 1992) sorgerà sull’area dell’ex Martinelli, in prossimità del ristrutturato Cinema Teatro, edificio con cui intende costruire nuove relazioni in modo tale da costituire un nuovo polo culturale nella cittadina svizzera. La Fondazione Max Huber. Kono, voluta e presieduta da Aoi Huber Kono in memoria del marito e del padre Takashi Kono, protagonisti, entrambi, della grafica, della progettazione e del design della seconda metà del ‘900, intende promuovere arte e cultura. È in quest’ottica che va collocata la realizzazione del nuovo edificio museale.
a cura di Antonio Borghi
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Intervista a Julia Bolles-Wilson e Peter Wilson L’incarico per la Biblioteca Europea di Informazione e Cultura che in questo periodo vi porta spesso a Milano deriva da un concorso internazionale di progettazione, uno strumento importante per la selezione dei progetti al quale spesso fanno ricorso le amministrazioni pubbliche. Quali altri strumenti ha un’amministrazione per perseguire la cosiddetta qualità urbana? J.B.W. Io sto facendo un’esperienza molto positiva nel Gestaltungsbeirat di Salisburgo. Si tratta di una commissione indipendente nominata dalle alte cariche politiche e composta di professionisti internazionali di chiara fama. Ci riuniamo periodicamente, prendiamo in esame tutti i progetti che interessano la città e il nostro parere è decisivo per lo sviluppo dei progetti. Naturalmente il nostro ruolo non
è di “opposizione” quanto piuttosto di “persuasione”. Nel caso ad esempio che un Developer arrivi col progetto sotto il braccio per una grande area urbana, noi riusciamo quasi sempre a convincerlo a bandire un concorso che preveda per il primo classificato almeno il 75% delle prestazioni professionali del totale. In questo modo si lega l’investimento alla qualità del progetto, e il risultato è sempre migliore delle correnti operazioni di sviluppo immobiliare. La commissione di Salisburgo opera dal 1983, ha dovuto quindi coabitare con molte amministrazioni diverse, ma questo non è un problema. I membri propongono agli amministratori i nomi dei loro successori e di norma sono questi ad essere nominati. Commissioni di questo tipo si trovano in ogni città olandese e in molte altre grandi città europee. Spesso ci abbiamo a che fare anche come professionisti e non è sempre piacevole, ma è un metodo che in genere da ottimi risultati.
Contemporaneamente alla BEIC avete altri progetti importanti in corso, come la Biblioteca Nazionale del Lussemburgo. J.B.W. Sì, ma per fortuna i due progetti sono sfalsati. Abbiamo sviluppato il progetto in Lussemburgo dopo aver vinto il concorso a Milano e oggi che siamo in attesa che l’edificio esistente venga svuotato per iniziare i lavori, possiamo dedicarci allo sviluppo della BEIC per la consegna del progetto preliminare a fine marzo. A Milano avete come referente alterstudio partners, uno studio di giovani architetti italiani. Come vi trovate a collaborare con loro? P.W. Siamo uno studio affermato con una grande esperienza internazionale e loro sono il nostro referente locale. Fin dall’inizio abbiamo sentito l’esigenza di avere qualcuno che ci rappresentasse a livello locale e oggi, avendo un committente importante a Milano, questa esigenza è ancora più forte. Dobbiamo avere qualcuno in grado di rispondere immediatamente alle questioni che sorgono durante la fase progettuale.
spazio aperto con diversi team di progetto. Ogni gruppo ha un responsabile di progetto e una chiara suddivisione dei compiti, per evitare le zone grigie dove sfugge sempre qualcosa. Abbiamo anche collaboratori da altri paesi, soprattutto da quei paesi dove lavoriamo. P.W. I nostri collaboratori sono selezionati e non cambiano spesso. Non abbiamo groupies che vanno e vengono solo per farsi un’esperienza. Le collaborazioni sono ben pagate, non cerchiamo di sfruttare la notorietà per avere mano d’opera sottocosto. Per il resto normalmente Julia si occupa dei progetti in Germania e io di quelli all’estero.
Avete intenzione di aprire un vostro studio a Milano quando verrà avviato il cantiere? J.B.W. A cantiere avviato la nostra presenza sarà certamente più assidua, ma è ancora presto per dire come ci organizzeremo. Dipende da molte circostanze che sono diverse in ogni progetto. Naturalmente ci piacerebbe molto vivere e lavorare a Milano per il periodo del cantiere, ma il nostro studio è a Münster e quindi avremo bisogno di referenti locali. P.W. In questo caso il contratto prevede che avremo la responsabilità dell’intero processo progettuale, come Generalplaner, il che significa anche poter scegliere liberamente tutti gli ingegneri e specialisti necessari in un progetto di queste dimensioni. Dovremo stabilire con chi lavorare e come distribuire i compiti e le responsabilità, il che da un lato aumenta il carico di lavoro, ma dall’altro garantisce un adeguato controllo qualitativo sul prodotto finale.
Entrambi avete anche una intensa attività didattica. Come riuscite a conciliarla con il carico di lavoro in studio? P.W. Negli ultimi anni ho smesso di insegnare, faccio solo qualche lezione e conferenza ogni tanto, come quella dello scorso anno in Triennale. J.B.W. A me piace molto insegnare. Naturalmente il tempo non c’è, ma si trova. Mi piace lavorare con gli studenti, sentire le loro idee e comunicare loro le mie. È uno sforzo che viene ripagato, anche nel lavoro in studio. È necessario impegnarsi nell’insegnamento per garantire la formazione delle prossime generazioni, in particolare delle donne che all’università sono il 50%, ma poi nella vita professionale hanno ancora grandi difficoltà ad affermarsi rispetto ai colleghi uomini. P.W. un nostro committente ci ha raccontato che in un cantiere precedente aveva avuto una donna come direttore dei lavori, un fatto piuttosto straordinario. Ma anche straordinariamente positivo, perché l’atteggiamento di questa donna architetto era quasi materno nei confronti dell’edificio, con una attenzione ai dettagli che di solito gli uomini non hanno. E un senso di responsabilità molto profondo. J.B.W. Una donna non abbandona mai il cantiere se anche una piccola cosa non è stata portata a compimento. Sono più tenaci e costanti.
Potreste descrivere in breve il vostro modo di lavorare? J.B.W. Lavoriamo in un grande
Una particolarità del vostro studio è di essere molto conosciuti a livello internazionale,
A quanto pare siete specializzati in edifici per la cultura, dopo il successo della biblioteca di Münster e del teatro Luxor a Rotterdam. J.B.W. È vero che abbiamo realizzato molti edifici per la cultura, ma ne abbiamo almeno fatti altrettanti per la residenza, per il commercio eccetera. In questo momento il nostro cantiere preferito è un loft che si affaccia sul porto di Münster e verrà completato nell’estate prossima. Sarà la nuova sede del nostro studio e non vediamo l’ora di trasferirci. Tra poche settimane sarà inaugurato lo showroom Kaldewei ad Ahlen, un altro progetto non molto grande, ma che ci sta molto a cuore.
Che differenza c’è tra progettare una biblioteca a Milano, a Münster o a Seoul, dove siete invitati al concorso per una nuova biblioteca digitale ad ampliamento della biblioteca nazionale della Corea? In altre parole come vi ponete nei confronti di contesti così diversi? J.B.W. Riguardo al contesto abbiamo una attitudine molto pragmatica. Vivere in una città e conoscerne tutti i dettagli non sempre aiuta, anzi, più spesso è un vincolo allo sviluppo di nuove idee. Lo stretto legame ad un luogo è spesso un ostacolo alla libertà che si solito si esprime in un buon nuovo progetto. La distanza offre molti lati positivi in questo senso perché lo sguardo è più fresco ed ingenuo, meglio predisposto nei confronti di una realtà sconosciuta. Questo succede nella maggior parte dei progetti d’architettura ed è uno dei lati più affascinanti del nostro mestiere. P.W. Fin dall’inizio, dopo aver aperto lo studio a Londra, abbiamo lavorato in contesti differenti e questo fa parte del nostro bagaglio culturale. È un dato di fatto che il prestigio che deriva dal lavorare all’estero aiuta a realizzare con maggiore coerenza i propri progetti. In ogni contesto l’architetto locale è maggiormente esposto allo scetticismo dei committenti e alle invidie dei colleghi. È difficile dare una etichetta nazionale alla vostra partnership, a cavallo tra l’Australia, Londra e la Germania… J.B.W. Per molti anni abbiamo lavorato entrambi a Londra e ancora oggi ci sentiamo sempre un po’ nomadi. Forse oggi è un vantaggio… P.W. A parte qualche piccolo lavoro in Australia siamo concentrati sull’Europa, direi che è questa la nostra patria. Non ci interessano le avventure cinesi. Che impressione avete dell’Italia? Come vi trovate a lavorare a Milano? J.B.W. Per adesso la nostra unica esperienza è legata al concorso della BEIC, per cui abbiamo avuto un’esperienza molto positiva. Nello sviluppo del progetto non abbiamo trovato grandi differenze rispetto agli altri paesi europei, tranne forse l’im-
patto con la Legge Merloni che regola gli appalti pubblici. In qualità di Generalplaner siamo responsabili anche della stesura del contratto e in questo troviamo molti aspetti difficili da comprendere. P.W. Per me l’Italia è sempre stato un punto di riferimento importante. Quando ero studente a Londra venivo spesso a Firenze e Milano per incontrare gli architetti radicali e quel periodo mi ha dato molto. Più tardi ho fatto qualche piccolo lavoro per Studio Alchimia e ancora oggi, ogni tanto, incontro gli amici di allora. Nel 1980 abbiamo partecipato per la prima volta alla Biennale di Architettura di Venezia e da allora cerchiamo sempre di visitarla. Tra gli architetti italiani, diciamo del XX secolo, chi stimate di più? P.W. Adalberto Libera, perché è razionalista, ma allo stesso tempo teatrale, come gran parte dell’architettura italiana. J.B.W. Direi Gio Ponti, soprattutto per i suoi edifici milanesi. Milano è una città italiana che
funziona benissimo anche senza turismo, una vera città di pietra, monumentale, impressionante per la sua densità. Gio Ponti e i suoi contemporanei si sono inseriti in questo contesto e lo hanno aggiornato. Hanno “alleggerito” gli edifici senza contraddire o tradire la loro matrice linguistica, con grande eleganza e raffinatezza. È una qualità architettonica diffusa e coerente che a ogni visita ci meraviglia e ci emoziona. E due architetti italiani viventi? J.B.W. Non conosciamo molti colleghi italiani. Mi pare che in questo momento Cino Zucchi sia una figura importante in Italia e la sua casa alla Giudecca è molto bella. P.W. In Italia come altrove bisogna stare attenti a fare un nome, perché ci saranno sempre molti delusi e si viene subito etichettati in un certo modo. È una domanda difficile… Trovo molto interessante il lavoro teorico di Stefano Boeri e quello che sta “costruendo” con “Domus”, ma non conosco la sua architettura.
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in qualche modo parte dell’attuale star system, ma anche molto radicati localmente in una piccola città come Münster. P.W. Un giornalista italiano ha dato di noi una definizione che ci ha fatto molto piacere, dicendo che non eravamo delle star, ma degli ottimi professionisti. Ci piace essere considerati tali perché pensiamo che il compito dell’architetto non sia quello di comparire il più possibile sui giornali, ma di fornire una prestazione professionale nel migliore dei modi. Naturalmente ci sono diversi criteri per giudicare la qualità di un’opera d’architettura. A livello politico ad esempio è molto importante avere un consenso immediato e questo consenso può essere raggiunto suscitando stupore e meraviglia nei cittadini. Le star dell’architettura sono specializzate nel realizzare edifici che producono questo effetto, che nella maggior parte dei casi ha un carattere effimero, mentre l’architettura è fatta per durare. Per questo cerchiamo di misurare il gradimento dei nostri edifici su un arco di tempo più esteso. Siamo particolarmente fieri che la nostra biblioteca di Münster, a dieci anni dall’inaugurazione, sia ancora tra le più apprezzate, secondo una indagine condotta recentemente tra visitatori e personale di varie biblioteche in Germania. La soddisfazione di chi la frequenta giorno per giorno è per noi la riprova della “genuinità” del nostro lavoro.
a cura di Roberto Gamba
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Riqualificazione dell’area urbana di Borno (Bs) Il Comune di Borno ha redatto nel 2002 il bando per il concorso di idee sul tema: riqualificazione urbanistica e ambientale dell’area urbana e di collegamento tra la piazza, le scuole, il cimitero e gli spazi adiacenti di rilevante interesse pubblico. Gli obiettivi sono riscattare piazza Mercato dall’attuale ruolo di parcheggio, perché diventi un luogo con una propria identità e caratterizzazione, estetica e multifunzionale, in grado di recepire più istanze e sostenere più ruoli; realizzare un ingresso al cimitero, adeguato funzionalmente ed esteticamente, mediante elementi formali significativi e identificativi, che si estendano anche oltre la cinta muraria cimiteriale, nell’intento di ricostruire (anche con la vicina cappella di Santa Barbara) un “Luogo della Memoria”,
come anticamente, era assegnato al “Dos de la Mul”; riorganizzare il sistema della mobilità (veicolare e pedonale); costruire un luogo urbano accogliente e spazialmente leggibile in modo unitario. Erano richieste 3 tavole in formato A0. La giuria era costituita da Antonio Maisetti, Mario Gheza, Francesco Mazzoli, Franco Maffeis, Riccardo Mariolini; supplenti: Gaetano Nucifero, Mario Mento, Raffaele Ghitti. Al vincitore sono stati attribuiti euro 9.000,00; al secondo classificato euro 6.000,00; al terzo classificato euro 4.000,00. Altri 3.000,00 euro sono stati divisi tra i progetti classificatisi al quarto posto (Pietro Stabiumi), al quinto (Dario Lambertenghi, Dario Gheza) e al sesto (Gian Pietro Imperadori).
1° classificato: Amerigo Quagliano con Silvana Feleppa (Napoli)
cemento armato, rivestita in pietra, collocata di traverso ai loculi che la fiancheggiano, ritagliata per ospitare la nuova porta-cancello, mentre in adiacenza, è stata realizzata una piazza-percorso. Nell’area di piazza ex Mercato si è creato un organismo che ospita diverse funzioni, a vari livelli: due piani di parcheggio interrati; uno spazio pluriuso coperto, disponibile come mercato; uno destinato alle attività collettive e uno a piazza-belvedere. Sulla copertura del parcheggio seminterrato, si prevede un campo di calcio.
Il progetto ha modificato la rete viaria nell’andamento plano-altimetrico e con la disposizione di piazze-rotonde. In superficie sono stati previsti circa 360 posti auto, mentre nell’area orientale circa 120 posti auto sono seminterrati. La rete pedonale è stata sviluppata in tre rami, raccordati tra loro. Nuova è la sistemazione dell’ingresso del cimitero: è stata installata una lastra inclinata di
2° classificato: Anna Rizzinelli, Cesare Archetti, Dario Quarantini (Brescia) Dal tema di base della riconnessione, è nata l’idea di un filo rosso, ispirato al nastro di Moebius, che diventi l’elemento legante fra vari interventi puntuali, che unisca e colleghi luoghi e funzioni. L’ingresso monumentale al cimitero è realizzato tramite due portali fuori scala, rivestiti in pietra locale, sottolineanti la preesistenza; quinte sceniche, cioè muri rivestiti in pietra, che mitigano la visuale del cimitero e che fanno da supporto ai percorsi in quota su passerelle metalliche; muri di
protezione in pietra, come supporto ai percorsi pedonali; muri e portali attrezzati per arredo urbano e illuminazione, dislocati in punti di sosta, in snodi pedonali, di ausilio ai parcheggi esterni temporanei; blocchi di collegamento, scale e ascensore per il parcheggio seminterrato (volumi rivestiti in diorite); piazza polifunzionale su due livelli (piazza e parcheggio), attrezzata, arredata e dotata di servizi. La pavimentazione è una commistione fra tratti con pavé a cubetti in colori caldi e armonici; i muri verticali e i portali sono in pietra locale e le zone di “disegno” a terra, sono in porfido diorite, in lastre di vario formato con taglio di testa in diagonale.
L’episodio principale è un nuovo centro civico polifunzionale, su tre livelli, di cui uno ipogeo, compatto sul lato piazza e frastagliato da aperture e rivestito in scandole di legno. Il volume del foyer d’ingresso è invece in acciaio corten. La copertura, ben visibile dall’alto, è invece una vera “quinta” piantumata con essenze arbustive. L’intera piazza viene riqualificata, mediante una nuova pavimenta-
zione in gran parte in porfido e granito, con campiture in ghiaia e cementi colorati in pasta. Si conclude, dalla parte opposta, con una quinta lignea semicircolare in legno e acciaio zincato. È stata stabilita una connessione, mediante una gradinata, fra il livello piazza e il livello di accesso sia al cimitero che alla cappella. Nell’area della segheria, è stato progettato un nuovo edificio con funzione terziaria, di due piani, rivestito in doghe di legno. Per i nuovi spogliatoi e per la copertura delle tribune si opterà per una tecnologia protetta da “alberi” in acciaio, con stralli che sospendono la copertura.
Riqualificazione urbana di cinque piazze a Lecco Il comune di Lecco ha bandito nell’autunno del 2003 un concorso per la riqualificazione di cinque aree cittadine: piazza Era, rione di Pescarenico; piazza dell’Oro, rione di Castello; piazza Felice Cavallotti, rione di San Giovanni; piazza Della Vittoria, rione di Acquate; comparto tra la via Innominato e la via Agnesi e tratto di via del Sarto, rione di Chiuso. Al primo classificato per ciascuno dei temi di progetto, è stato assegnato un premio di euro 8.000,00.
L’Amministrazione si riserva di affidare l’incarico professionale per la redazione dei successivi livelli di progettazione definitiva, esecutiva, direzione lavori, contabilità e quello di coordinatore della sicurezza in fase di progettazione ed esecuzione. I partecipanti sono stati 44. Oltre ai progetti proclamati vincitori, sono stati segnalati i lavori di Marco Castelletti; Patrik Spreafico (con Tommaso Giudici, Noè Marco Sacchetti); Michele Riva, Domenico Delfini (sia per piazza
dell’Oro che per piazza Cavallotti); Giovanni Ripamonti, Studioata (con Giorgia Amodeo, Silvia Chierotti, Alessandro Cimenti, Andrea Coppola, Elena Di Paler-
mo, Elisa Dompè, Daniele Druella, Gian Luca Forestiero, Giulia Giammarco, Alberto Rosso, Romina Musso); Bruno Cesana, Diego Toluzzo.
vincitore Area 1: piazza Era Alfredo Gardella (Milano)
posta a cavaliere fra la piazza e la via dei Pescatori; inoltre la totale percorribilità delle sponde, regolarizzate e pavimentate in granito, configurate a gradoni e dotate di scivoli per l’alaggio delle imbarcazioni e di scale di accesso al fiume. Una pista ciclabile sarà inserita nella successione degli spazi riqualificati, in tangenza a una ampia pedana in legno, dotata di una tenso-copertura protettiva, rimovibile, leggermente sopraelevata e delimitata da una lunga seduta rivestita in pietra e legno. Sarà creato un molo per l’attracco di natanti e battelli.
Si istituirà una zona a traffico limitato, nella parte della piazza di maggiore qualità ambientale, ove la esistente pavimentazione in porfido sarà conservata e restaurata. La restante parte avrà una nuova configurazione, a forma semicircolare, piantumata, che potrà accogliere un congruo numero di parcheggi. Alla organizzazione del traffico automobilistico si integra quello pedonale, grazie anche agli accessi attraverso gli anditi voltati presenti nella cortina edilizia
vincitore Area 2: piazza dell’Oro Leonardo Ravotti, Marco Mori (Alassio – Savona) È stata conferita importanza ad elementi in grado di generare luoghi di aggregazione come la fontana e il monumento e, come collegamento tra questi, è stato posto il sagrato. Lo spazio antistante la chiesa, opportunamente dotato di panche, ritmato dall’alternanza di pavimentazioni in lastre di porfido e ciottoli e delimitato sui lati da alberi e dissuasori di sosta in pietra, è stato liberato dalla percorrenza veicolare che lo attraversava. La definizione di un ambito di ac-
cesso alla piazza è stata effettuata mediante l’impiego di alberature e apparecchi luminosi, che hanno focalizzato la prospettiva verso la chiesa e verso la cancellata di una villa storica e che hanno creato un contrappunto con Palazzo Belgiojoso e il suo giardino. La zona a lato della navata sud della chiesa, portata alla quota della base della fontana e definita da un lungo muro listato, è stata concepita come spazio ludico e di sosta a servizio della scuola, della chiesa e del rione. L’illuminazione a pavimento, come del resto anche la panca sotto il pergolato, ha delimitato lo spazio in maniera permeabile.
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3° classificato: Valentina Gallotti con Marco Imperadori, Max Casalini e con Mari Pievaioli e Paola Trivini (Milano)
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vincitore Area 3: piazza Felice Cavallotti, Alfredo Gardella (Milano) La riqualificazione della piazza ha reso indispensabile la definizione della sua “centralità”, che comprenda la sistemazione del sagrato e la valorizzazione del monumento dedicato a Cavallotti.
vincitore Area 4: piazza della Vittoria Michele Riva (Lecco) con Emilio Caravatti, Emanuele Panzeri, Maddalena Merlo, Patricia Malavolti, Monica Siligardi, Aldo Franchini, Martina Zappettini, Emiliano Bugatti, Paolo Granara, Massimo Dell’Oro L’ipotesi progettuale ha previsto la tripartizione longitudinale della piazza, le cui linee di separazione ribadiscono la curva che compiono le facciate degli edifici a sud-ovest. La prima fascia è stata destina-
I contenuti specifici del progetto si fondano sulla assunzione di un disegno della pavimentazione, di forte connotazione, quale elemento ordinatore che ricuce, evidenziandola, la continuità dei percorsi interrionali. La tessitura dei diversi campi del sagrato riprende la partizione delle lesene caratterizzanti la facciata della Chiesa.
ta a un marciapiede di rispetto per gli edifici stessi e al transito veicolare maggiore; la fascia centrale, separata dalla prima, mediante un leggero salto di quota, è stata destinata a ospitare i veicoli in sosta; l’ultima, è la parte in cui la vita della piazza riprende funzioni di incontro: vi è ipotizzato un alternarsi di sedute e nuove piante. Una raggiera trasversale definisce ulteriormente la semplice morfologia della piazza. La quota inferiore della piazza viene evidenziata da un muro di contenimento che parte dall’albero maestro.
vincitore Area 5: comparto via dell’Innominato Marco Castelletti (Erba) con Stefano Santambrogio, Lorena Cavalletti, Anna Mastioni, Yetkin Paker, Valentina Viganò La strada è stata delineata da due fasce laterali in pietra, inclinate in modo da raccordare il piano stradale con la quota dei marciapiedi laterali. Nelle confluenze delle vie trasversali il piano della strada genera una serie di dossi che
costringono i mezzi di passaggio a velocità moderate. Il disegno della via è caratterizzato da un nastro centrale largo 3,2 metri, pavimentato in ciottoli, incanalato tra le due fasce di pietra inclinate, larghe 30 cm e da due marciapiedi laterali in cubetti di porfido posati a file parallele. La configurazione della via confluisce nella piazza della chiesa: qui il sagrato è costituito da un tappeto di pietra chiara, tagliato da un elemento a croce circondato da cubetti di porfido.
I cinque progetti che hanno concorso per la riqualificazione del quartiere storico di Fiera di Milano sono già stati esposti in una mostra alla Triennale di Milano, che ha documentato l’iter della gara iniziata nell’aprile 2004, con la prequalifica e terminata in luglio, dopo la seconda fase. Vi erano illustrate le trasformazioni del Polo urbano nel tempo (circa 440.000 metri quadrati, di cui due terzi sono stati oggetto del concorso); la metodologia del concorso che univa in un’unica procedura gli aspetti pianificatori-progettuali e quelli economico-finanziarii; la variante di piano regolatore generale adottata allo scopo dall’Amministrazione comunale (esclusione di attività produttive nocive e per la grande distribuzione commerciale; destinazione a verde di minimo il 50% dell’area – circa 130.000 mq; parcheggi per 3.000 posti). Il bando richiedeva ai partecipanti determinati requisiti – capacità multidisciplinare, progettuale e
immobiliare, conoscenza del contesto, organizzazione, capacità finanziaria – che hanno spinto a unirsi in “cordate” sei concorrenti; di questi, appunto solo cinque hanno consegnato il progetto come richiesto. La commissione giudicatrice era composta dal Consiglio di Amministrazione della Fiera – Claudio Artusi, Marcello Botta, Giorgio Montingelli, Rodrigo Rodriquez, Luigi Roth che, coadiuvato da una seconda commissione, formata da 11 esperti, Kenneth Frampton, Cristophe Girot, Guido Martinotti, Gaetano Morazzoni, Lorenzo Ornaghi, Bianca Alessandra Pinto, Marco Angelo Romano, Giorgio Rumi, Lanfranco Senn, Deyan Sudijc, Bernhard Winkler, analizzati i cinque progetti presentati, ha scelto tre raggruppamenti. Dei tre progetti finalisti sono state analizzate la proposte economiche ed è stato proclamato il vincitore, sulla base dell’offerta migliore.
1° classificato gruppo CityLife, composto da: Generali Properties, Gruppo RAS, Progestim, Lamaro Appalti, Grupo Lar progettisti: Zaha Hadid, Arata Isozaki, Daniel Libeskind, Pier Paolo Maggiora
Ci sono come simbolo forte della trasformazione tre torri; due complessi dedicati alle funzioni pubbliche (museo del design e il centro ad esso dedicato.) Il Palazzo dello sport viene conservato e trasformato in un padiglione rivolto alle fasce più giovani e più anziane della società. A completamento ci sono spazi ed edifici dedicati ai servizi, al tempo libero e alla residenza.
Il progetto individua un ampio parco che è anello di continuità tra San Siro e il parco Sempione; con un corso d’acqua di raccordo.
progetto finalista gruppo Pirelli Real Estate con Vianini Lavori, Roma Ovest Costruzioni, Unicredit Real Estate progettisti: Renzo Piano, Buro Happold, Centro Studi Traffico, Michel Corajoud, Paolo Del Debbio Il disegno formalizzato è basato su tre elementi: il compatto tessuto edificato nel semiquadrato superiore, il grande e imponente parco nel semiquadrato inferiore e, infine, la torre residenziale di duecentododici metri, a pianta triangolare, “sospesa”
su una base quasi invisibile sopra gli alberi. Il tracciamento a terra di tutto il progetto discende dal reticolo di maglie del tessuto urbano e imprime una chiarezza geometrica a tutto l’intervento. La diagonale tesa tra porta Domodossola e piazza Amendola viene utilizzata come spartiacque tra aree edificate e spazi verdi, offrendo alle architetture che vi si affacciano un margine di grande privilegio. I fronti dei nuovi edifici si aprono sulla vista del grande parco; all’interno di questo limite, strade di sezione più convenzionale con negozi e spazi urbani pavimentati.
OSSERVATORIO CONCORSI
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“Un nuovo centro per Milano”: riqualificazione del quartiere storico di Fiera Milano
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progetto finalista gruppo Risanamento con IPI, FiatEgineering, Astaldi, Chelsfield-PLC progettisti: Norman Foster, Frank O.Gehry, Rafael Moneo, Cino Zucchi, Richard Burdett, URB.A.M. È stato configurato un complesso di torri residenziale e ricettivo.
partecipante gruppo AIG/Lincoln Italia – IMMSI progettisti: David Chipperfield, Dominique Perrault, Foreign Office Architects, Skidmore, Owings & Merrill, Michele De Lucchi, SANAA, MVRDV, Aukett + Garretti, LAND, Büro Happold LLC, Freyrie & Pestalozza Sono state distribuite una serie di macroarchitetture di forte impianto scultoreo per la maggior parte sul perimetro del lotto e un parco, più interno, come grande luogo di svago,
La più alta consta di sessantaquattro piani per duecentotretasette metri di altezza, a giardini pensili. Gli uffici all’intorno hanno un’altezza di otto piani e un piede commerciale; le residenze sono su corte aperta. Nel parco dialogano il lago ed il Padiglione concepito come Kew Garden.
in cui l’acqua assume un’importanza anche ai fini della sicurezza e della delimitazione degli spazi. Una pavimentazione definita “bordo di pietra” delimita l’area dell’intervento: si tratta di un’area pubblica, dove grandi e piccole insenature, piazze urbane e strade di quartiere ritmano il susseguirsi di edifici, vetrine, ingressi di uffici e abitazioni. La soglia successiva è rappresentata da un canale, che lambisce il perimetro del parco, al centro del quale, vi sono un’alta torre per uffici, accompagnata da due torri residenziali.
partecipante gruppo Green-Way, formato da: Borio Mangiarotti, C.I.L.E., Costruzioni, Costruzioni Giuseppe Montagna, Delta Green, Generale Continentale, Giambelli, I.C.T. Impresa Costruzioni Angelo Torretta, Impresa Rusconi Carlo, Impresa Costruzioni Nessi & Majocchi, Mangiavacchi, P.R.P., Gruppo Paletti, Palladium Italia, Saces Costruzioni Edili, Sidecesio, Vinci-Construction Grand Project progettisti: Jean-Pierre Buffi, Michel Desvigne, Pier Luigi Nicolin, Italo Rota, Antonio Citterio, Anna Giorgi, Ermanno Ranzani
Si tratta di un ordito di tracce al suolo che regolano un insediamento dal profilo contenuto, interrotto da qualche misurata torre: un parco che accoglie edifici di varie altezze e opere d’arte secondo una relazione di reciproco vantaggio. L’intreccio di canali organizza lo spazio in settori di verde e di acqua gerarchicamente ben definiti: giardini, stringhe boscate e campi. Un asse centrale prospettico unisce piazza Giulio Cesare al velodromo Vigorelli e al tempo stesso divide il progetto in due settori principali di insediamento. Si apre così un varco che la presenza dei padiglioni e del recinto della Fiera avevano da anni interrotto.
La Ticosa (non quella commerciale che misura 40.000 mq ed è oggetto dell’asta) è un’area della città delimitata a nord dall’acqua del Lago (il vecchio sito della fiera), a sud da San Rocco, ad ovest dai Monti della Spina Verde ed ad est dalla linea delle mura cittadine; la sua morfologia è caratteristica perché allungata tra i monti e il vecchio tracciato del torrente Cosia, oggi strada tangenziale. Il nome Ticosa venne dato a questo comparto industriale nel 1902 all’acquisizione da parte della Gillet & Fils, di questo settore dell’impresa. L’idea di dare avvio all’industria della tintoria “di servizio” per l’attività serica comacina e milanese nacque nel 1871 intorno allo “Stabilimento Comasco per la stagionatura e l’assaggio delle sete”. Già nel 1863 intorno a Sant’Abbondio vi era installato il tintore milanese Saba Frontini che nel 1871 cedette tutto per ristrettezze economiche. Così un numero di mercanti/imprenditori serici comaschi decise di impiantare quella che divenne la più importante fabbrica di tintostamperia italiana. La storia recente è simile a tante altre, aree industriali abbandonate dopo la crisi e lasciate nel degrado a memoria di quella che fu la cultura materiale e imprenditoriale. È di questi giorni la notizia (riporto l’articolo del “Il giornale del Comune di Como”, 27 dicembre 2004) che si darà luogo all’asta per la Ticosa. “Un via libera storico, un fatto che a Como avviene ogni vent’anni e che speriamo questa volta sia definitivo”. Queste le parole del sindaco agli assessori che in giunta, la scorsa settimana, hanno approvato all’unanimità la delibera che mette all’asta l’area comunale denominata Ticosa sud e che comprende il corpo a “c”, gli shed e la Santarella. Un via libera “pesante” visto che già ha avuto la condivisione di tutti i gruppi politici di maggioranza che ora dovranno approvare la
proposta di consiglio (…) Così, viene da chiedersi se dopo lunghi dibattiti, numerose linee guida e un concorso internazionale di idee, al quale parteciparono architetti di chiara fama come Enrico Mantero, Guido Canella, e Luigi Snozzi (che risulterà alla fine il vincitore del concorso), questa vicenda debba risolversi con il sistema della vendita. A questo proposito sono andato un po’ a ritroso nel tempo, tra le pagine dei nostri giornali, e ho trovato due articoli che voglio riportare qui di seguito per un invito alla riflessione comune: il primo, comparso sul “Corriere di Como” del 6 settembre 2001 di Enrico Mantero (1934-2001, allievo di Ernesto Nathan Rogers e professore fin dagli anni ’60 al Politecnico di Milano) e il secondo di Michele Roda scritto sul medesimo giornale il 29 maggio 2000. Primo. In occasione della festa del patrono S. Abbondio, il vescovo monsignor Maggiolini aveva sollecitato i pubblici amministratori ad intervenire per risolvere l’annoso caso del recupero dell’ex Ticosa. Sull’argomento interviene l’architetto Enrico Mantero, uno dei tre saggi incaricati da Palazzo Cernezzi di studiare una soluzione al problema. Sembra finalmente, anche se con gerarchie minori, di essere tornati al ‘500, quando il Papa Sisto V, che a Roma tracciò, ponendo come caposaldo ai luoghi che divennero le sedi del potere di allora, il sedime degli obelischi (…) Sarà, come dice il Vescovo e come peraltro penso io, altrettanto valido il cosiddetto piano Ratti che purtroppo, nell’assenteismo di oggi, rimane ancora un documento di indirizzo su modalità e contenuti. È ora, salvo dichiarare che non si riconosce il ruolo pianificatore degli obelischi, di confrontarsi con progetti di carattere complessivo, che indichino con chiarezza le scelte viabilistiche, le localizzazioni di nuovi edifici e la loro definizione, come fece nei suoi contenuti il Piano regolatore di Giussani e di Catelli del 1919, prevedendo un grande parco che saliva al cimitero monumentale restituendogli il quel modo un ruolo urbano. È urgente quindi l’esigenza di
saper alzarsi così in alto da poter immaginare la nostra città nei prossimi cinquant’anni. L’articolo di Roda riporta un’intervista ad un altro architetto di chiara fama, Josef Paul Kleihues (1933-2004, fu tra i sostenitori del più importante programma di rinnovamento urbano europeo, il cosiddetto IBA di Berlino) che nel 1990, invitato a Como in occasione di una mostra organizzata dall’Ordine degli Architetti, rispose ad una questione con molta semplicità e chiarezza; per risolvere i problemi della città contemporanea ci vogliono più concorsi d’idee e più dibattito pubblico. Conosce bene Como (“Amo questa città”). E così le parole di Josef Paul Kleihues (“La carta vincente per i grandi problemi urbanistici sono i concorsi di idee internazionali”) non sono messaggi vuoti, ma stimoli precisi per una città che si è stupita davanti alle decine di opere dì rilievo del giovane ma già affermato architetto tedesco, illustrate l’altra sera alla Casa del Fascio nell’ambito di un’iniziativa dell’Ordine degli Architetti di Como (…) Il riscatto della capitale tedesca passa attraverso la riqualificazione dei grandi vuoti urbani. Pensi a Como, all’area Ticosa (...) “Anche a Berlino abbiamo molte aree inutilizzate. Alcune vengono risanate, certo. Ma in alcuni casi il lasciare la situazione come è, senza modificarla, può essere una scelta precisa: si creano dei limiti riconoscibili oltre cui la città non va. C’è anche questa possibilità”. Bisognerebbe parlarne (...) “Sta proprio qui il problema, la discussione. Lo sviluppo dell’architettura nella città passa attraverso il dialogo, il dibattito, anche la polemica se serve”. A Berlino succede questo? “È uno dei punti forti del nostro fare architettura. Tutti sono invitati a partecipare a riunioni e dibattiti in cui si delineano le linee di intervento. Certo diventa spesso problematico, il percorso può essere lungo e difficile. Ma è importante nell’ottica di una gestione democratica della progettazione urbana. Vedo e percepisco che in Italia, a Como, questo non succede. Invece, per rilanciare una città servono concorsi di idee, anche
in ambito internazionale. Como dovrebbe capirlo”. Pianificare e costruire oggi la città sembra sempre più difficile, in casi come questi le questioni sono molte e a volte nemmeno tutte appartenenti alla disciplina, eppure non bisogna generare una cultura dello spaesamento e della paura di fronte a questi temi. Di crisi del piano si è discusso molto, i P. R. G. sembrano strumenti desueti e statici, (incompatibili con la velocità dei mutamenti alle quali sono soggette le aree urbane) strumenti per nulla flessibili. Rimettere al centro la questione architettonica, la costruzione della città come tema civile e allo stesso modo operativo, sembra un obiettivo ancora lontano. Vista così, questa procedura dell’asta, e di una successiva proposta progettuale, in conformità al documento di inquadramento urbanistico, non sviluppa certo una cultura di fiducia nei confronti del progetto spacciandosi agli occhi del cittadino come sistema rapido e pratico per arrivare ad una soluzione (quale, economica o architettonica?). In questo modo la questione della forma della città viene rimandata, non si sa dentro quale iter-procedurale e neppure a quale altra competenza professionale, si crede di poter scegliere tutto dentro un percorso costruito da vincoli urbanistici, particolari d’occasione, modi di fare del tempo contemporaneo e un mix di fondamentalismo ambientale; ma non si progetta (immagina) nessuna architettura. L’invito di Mantero e Kleihues andavano in altra direzione. Francesco Fallavollita
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La storia “Ticosa”. Un caso urbano, Como
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Architettura e mestiere Chiara Baglione, Elisabetta Susani (a cura di) Pietro Lingeri 1894-1968 Electa, Milano, 2004 pp. 406, € 93,00
Il libro, risultato di un approfondito studio degli archivi, offre, in una veste editoriale molto curata, con materiali iconografici inediti di grande qualità, una serie di contributi utili alla interpretazione del lavoro di Pietro Lingeri, uno dei protagonisti della vicenda architettonica italiana del ’900. A partire dall’ineludibile accostamento a Giuseppe Terragni, il libro tende infatti, in maniera critica, a distinguere l’opera di Lingeri, cercando anche di chiarire il complesso rapporto professionale tra i due architetti. Esso è quindi anche un contributo allo studio di un importante periodo dell’architettura italiana, fra gli anni ’20 e ’40, in cui Lingeri giocò un ruolo particolare nell’ambito di quella tensione ideologica verso il moderno che generava relazioni e divergenze, anche profonde, fra razionalisti comaschi e milanesi. Ma il merito forse più importante del libro è quello di consegnare ad uno spazio critico il complesso dell’opera di Lingeri, compresa tutta la sua lunga e molto prolifica attività dal 1945 in poi. Qui si vede come il suo lavoro, anche di natura strettamente professionale, abbia evidenti rapporti con le vicende precedenti, contribuendo a costruire una città che ha una diretta relazione con l’esperienza moderna fra le due guerre. Le famose cinque case milanesi di Lingeri e Terragni ed i meno noti condomini di Lingeri degli anni ’50 e ’60 appaiono allora come parti della stessa
città, risultato di un lavoro collettivo a cui hanno partecipato le figure più diverse. La sistematizzazione e lo studio degli archivi professionali hanno dunque anche il compito di riuscire a far cogliere il valore di manufatto architettonico della città, costruita da monumenti e da capolavori, ma anche da case che si confondono nella forma urbana. In questo senso “l’assenza di intellettualismo, la pragmaticità, la propensione all’impegno concreto” dell’architetto lariano determinano “una prosa – come dice Massimiliano Savorra nel suo saggio sull’attività di Lingeri a Milano negli anni Cinquanta – che consente di definire il ritratto più sincero di un professionista e del suo mondo, fatto di ricerca di regole e di rigorosa centralità del mestiere”. Maurizio Carones
Il cosa e il come del progetto Alberto Ferrari Le azioni del progetto Tre Lune Edizioni, Mantova, 2003 pp. 90, € 15,00 “Ogni come è sostenuto da un che cosa”, scrive Mies van der Rohe nel 1927. Con questa epigrafe si apre il volume che Alberto Ferrari dedica al progetto e al suo iter. Partendo dall’identificazione dei quattro Elementi dell’architettura operata da Gottfried Semper nella metà del XIX secolo, e se-
condo l’autore tutt’ora valida – il terrapieno, elemento di separazione/contatto con il luogo, il recinto, il tetto e il focolare –, vengono definite le questioni con cui qualunque progettista si deve confrontare affrontando un tema progettuale. In particolare i temi analizzati riguardano il rapporto con il luogo, l’organizzazione degli spazi del progetto, la loro connessione, suddivisione, aggregazione, ecc., la riconoscibilità del progetto nel contesto e le questioni costruttive, queste più facilmente riferibili al pensiero semperiano: il sorreggere, il recintare/proteggere, il coprire, e, in ultimo, il “filtrare”, nel senso del costruire i rapporti con l’esterno. Per ognuno di questi temi Alberto Ferrari, dopo un breve approccio teorico che definisce il problema da un punto di vista generale, sceglie di utilizzare esempi reali, desunti dall’architettura del XX secolo in rapporto ai suoi esiti riferiti all’architettura contemporanea, per chiarire il tema. In questo modo ai progetti di Mies van der Rohe vengono affiancati quelli Foster oppure di Siza o ancora di Eisenman, con un fine prettamente documentario. Il libro che nasce con un intento didattico, essendo il risultato di una serie di lezioni tenute nell’ambito di un Laboratorio di Progettazione dell’Architettura, è rivolto a tutti coloro che intendono affrontare il progetto cercando, ogni volta, di applicare un metodo razionale che permetta innanzitutto di scoprire il “cosa” per arrivare a rappresentarlo coerentemente con un appropriato “come”. Martina Landsberger
Il montaggio cinematografico Vincent Pinel Il montaggio. Lo spazio e il tempo del film Strumenti Cahiers du Cinema, Lindau, Torino, 2004 pp. 96, € 12,80 Un agile documento, tutt’altro che un manuale, parte di una collana dedicata agli elementi fondamentali che compongono il linguaggio cinematografico, ci informa di composizione, spazio, tempo, movimento e dell’“archi-
tettura formale di un film osservando la disposizione delle immagini e dei suoni” nell’arte che ha influenzato in maniera determinante il nostro modo di vedere. La prima parte racconta l’evoluzione dell’idea del montaggio: dal cinema composto da scene (tableau), all’introduzione della rivoluzionaria nozione di inquadratura, sino alla definizione di qualcosa che gli spettatori all’epoca degli esordi non sarebbero stati capaci di percepire: il montaggio, elaborato per la prima volta da Griffith come “scrittura narrativa”, un “vero e proprio attraversamento dello specchio” che delinea allo spettatore la geografia di un luogo immaginario. Seguono il virtuosismo compositivo di Ejzenstejn e del cinema sovietico degli anni Venti; l’invenzione di una nuova concezione temporale, con la creazione di sequenze, ellissi, flashback, tagli o raccordi tra inqua-
drature, e spaziale (campo-controcampo, ecc.); l’avvento del sonoro quale ulteriore elemento compositivo, ad esempio ne L’angelo azzurro di Josef von Sternberg; il piano sequenza, la profondità di campo e il flashback in Quarto potere di Orson Welles o nei film di William Wyler; il “sogno del film in una sola inquadratura, senza stacchi” realizzato da Alfred Hitchcock con Nodo alla gola (The Rope) nel 1948; l’invenzione delle inquadrature di raccordo, delle dissolvenze incrociate, del montaggio shock, del montaggio frammentato, la negazione del raccordo in Jean-Luc Godard, sino al montaggio virtuale nel 1990 permesso dall’invenzione delle tecniche digitali. La seconda parte è composta da schede dedicate a tecniche, docu-
Vittorio Prina
Nuova Enciclopedia dell’Arte AA.VV., Epigeo (a cura di) Enciclopedia dell’Arte Zanichelli Zanichelli, Bologna, 2004 pp. 1216, € 53,80 (con Cd-Rom)
Nelle premesse alla nuova Enciclopedia dell’Arte Zanichelli, è riportata una citazione di Kandinskij, da Lo spirituale nell’arte, in cui si preconizza la “stimolante forza profetica” con cui l’arte può esercitare “un’influenza ampia e profonda” sulla propria epoca. Assistiamo oggi ad un vero risveglio di interesse del pubblico globale nei confronti delle espressioni artistiche, sia che si tratti di opere conservate all’interno di tradizionali musei o di avveniristiche installazioni espositive, sia che si tratti di nuove architetture o addirittura di episodi di rinnovamento urbano. Il panorama mondiale dell’arte si presenta variegato di proposte e di nuove suggestioni. Accanto a nomi di fama consolidata si affacciano alla ribalta artistica nuove personalità, nuovi gruppi e tendenze. L’eclettismo dei linguaggi e l’eterogeneità dei registri espressivi spesso non rendono facile una collocazione degli esponenti in movimenti configurati. Nasce la necessità di strumenti che conducano verso l’individuazione di nuovi fenomeni artistici e che
aiutino la loro comprensione. All’interno di questo scenario, il recente volume enciclopedico si pone come un mezzo d’investigazione che spazia nella Storia dell’Arte, dalle incisioni rupestri alle ultime tendenze, con un repertorio di oltre 9500 voci sui personaggi, le tecniche e i generi artistici. Oltre alla documentazione sui grandi artisti di ogni epoca, particolare attenzione è stata data ai giovani talenti italiani e stranieri, ai quali
i curatori hanno riservato una apposita ricerca, talvolta inedita. L’Enciclopedia è corredata anche da un Cd Rom contenente l’intero testo. Attraverso il potente motore di ricerca, è possibile svolgere indagini su autori, movimenti, luoghi e periodi storici. Tramite una raccolta di collegamenti internet a siti di musei, gallerie e fondazioni, si può realizzare il continuo aggiornamento del patrimonio di informazioni e di immagini già raccolto nel complesso volume.
sue immagini, consegnando un epocale affresco della memoria. L’opera è anche una riflessione sull’etnologia, di cui il viaggio è insieme condizione e metafora. Con una scrittura che si libra tra assonanze di materiali eterogenei, l’autore rievoca luoghi emotivi, letterari e reali in una suggestiva composizione riecheggiando le diverse dimensioni della temporalità di cui è intessuta l’esistenza umana, tesa tra speranza, ricordo ed oblio. La “surmodernità” è dipinta come un’epoca violenta, senza passato né futuro, dove il tempo è schiacciato nella dimensione del presente. Qui non si producono più rovine, non se ne ha il tempo, ma solo macerie: detriti da rimuovere per riedificare. L’architettura attuale non mira all’eternità, ma ad un presente invalicabile costituito da uno spazio senza storia, come testimonia l’uniformità “generica” dei “nonluoghi”, che annulla diversità geografiche e culturali. A fianco a questi paesaggi consegnati all’istantaneità della “messa al presente” trapela il fascino dei cantieri, che Augè coglie nel loro carattere “poetico”: essi esprimono la “presenza di un tempo perduto” e al contempo “l’imminenza incerta di quanto può accadere”. La loro incompiutezza trattiene una promessa che si sottrae “all’evidenza del già qui’”.
Manuela Oglialoro
Figure del Tempo Marc Augè Rovine e macerie. Il senso del tempo Bollati Boringhieri, Torino, 2004 pp. 140, € 9,50 In un percorso attraverso vari siti del mondo – dalla Costa d’Avorio alla Cambogia, dall’Acropoli d’Atene al muro di Berlino – l’antropologo Marc Augé esplora il senso del tempo e le
Le rovine, invece, suscitano la sensazione di una “distanza fra un senso passato scomparso e una percezione attuale incompleta”. Nella loro “funzionalità perduta”, ci parlano di un’assenza. “La percezione di questo scarto è la percezione stessa del tempo”: un “tempo puro”, non databile, fuori dalla storia, “che l’arte talvolta riesce a ritrovare”. Il “tempo puro” permette di sfug-
gire al tempo che passa, il tempo “impuro della storia”, ma è la storia che si deve vivere. E se “l’umanità non è in rovina”, ma “in cantiere”, benché tutto aiuti a far credere che la storia sia finita, è necessario ritrovare il tempo per credere alla storia. Questa è forse “la vocazione pedagogica delle rovine”. Irina Casali
Percorsi di un progetto AA.VV. La costruzione di un progetto. Concorso internazionale “Giardini di Porta Nuova” a Milano Alinea, Firenze, 2004 pp. 142, € 20,00
A qualche mese di distanza dall’esito del concorso “Giardini di Porta Nuova” e dalla proclamazione degli Inside Outside quali vincitori, uno dei gruppi finalisti – quello coordinato da Giancarlo De Carlo – ha voluto racchiudere in una pubblicazione il racconto della propria esperienza progettuale. Dopo un cinquantennio di dibattiti e proposte, il contesto urbano coinvolto si appresta ora ad essere trasformato dal Palazzo della Regione di Pei/Cobb, dalla Città della Moda di Pelli/Hines e, appunto, dal parco “Biblioteca degli alberi” di Inside Outside. Assegnati gli incarichi, resta tuttavia una traccia della riflessione, della ricerca e della tensione creativa dell’équipe multidisciplinare che ha visto affiancarsi a De Carlo critici, architetti, ingegneri, associazioni e comitati di quartiere. Schizzi, disegni, foto dei partecipanti, accompagnati dai resoconti scritti degli incontri,
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menti, analisi di sequenze e altro spiegati citando frammenti e sequenze dei film più significativi.
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formano una sorta di diario informale delle fasi del lavoro svolto. In contrapposizione alle suggestive, sintetiche presentazioni dei progetti finiti, questo libro ha il merito di calarsi in quella complessità di ipotesi che precedono l’ultima soluzione. Se in un parco contemporaneo contano certamente l’immagine e l’occasione di ridisegnare in modo inedito una parte di città, sono altrettanto rilevanti – nell’ottica progettuale da sempre adottata da De Carlo nelle sue opere – temi quali la partecipazione degli abitanti, la trasformazione graduale dei luoghi, la lettura delle potenzialità dei contesti locali. In questo senso il libro arricchisce le conoscenze e il dibattito sull’area Garibaldi-Repubblica e su quelle limitrofe, come il quartiere Isola. Inoltre costituisce forse un prezioso contributo per la conservazione della cosiddetta “Stecca degli Artigiani”, giovane e attivo condensatore di eventi sociali e artistici. Mina Fiore
Mantova in tasca Cecilia Gibellini (a cura di) Mantova Skira, Milano, 2004 pp. 156, € 15,00
La guida Skira per Mantova realizza quel che promette nella nota introduttiva guida alla guida: di rendere accattivante il linguaggio degli specialisti e di integrare informazione scritta rigorosa a supporti grafici e visivi accattivanti, di essere quindi una guida per turisti non distrat-
ti ma curiosi e in cerca di profondità, che amano preventivare e proseguire il viaggio nella lettura casalinga oltre che trovare un cicerone scritto veloce e comprensibile nell’illustrare la visita diretta. Un opportuno schema cronologico iniziale introduce all’evoluzione storica degli eventi urbanistici fondamentali dagli albori ad oggi. Tre itinerari fisici da porta (urbana) a porta colgono di Mantova i fatti architettonici salienti nella trama del tessuto viario e delle sue opere cosiddette minori. Quattro itinerari tematici (forse impropriamente chiamati tematici) illustrano gli eventi architettonici speciali: Palazzo Ducale, il sistema delle piazze centrali con i cosiddetti luoghi del potere, palazzo Te, i dintorni con ville, chiese, conventi e cascine (non ho trovato la corte Virgiliana di Pietole), abitati di rilievo come S. Benedetto Po e Sabbioneta. Una cartina di tali dintorni da visitare, assieme a quelle opportunamente inserite degli itinerari centrourbani, avrebbe completato il quadro. Il tutto in un formato pratico, quasi tascabile, facile da consultare e da conservare in serie insieme ai libri di casa, con intelligenti richiami e approfondimenti, durante il viaggio fisico simulato, a personaggi, eventi e fatti edilizi mantovani, vere e proprie finestre intellettuali aperte nel viaggio. Un testo da usare, che stuzzica ad ulteriori viaggi culturali nell’argomento mantovano. La novità grafica è nelle assonometrie dei complessi monumentali (privilegiando la visione da fuori e dall’alto) in qualche caso accompagnate da parziali piante di supporto. Da architetto mi dispiace sempre la scomparsa delle piantine tradizionali ai vari piani (in bianco e nero o in bianco e rosso) degli edifici principali (quelle, per intendersi, che corredano le guide rosse T.C.I) e il dimensionamento in piccolo – comprendo: fatale – di alcune fotografie e degli schemi urbani per soglie storiche. Il mio personale desiderio sarebbe di trovare, proprio in questo tipo di guide per tutti, anche una piccola e sintetica antologia letteraria dei luoghi visitati (le migliori descrizio-
ni-narrazioni dei poeti e romanzieri) ma forse questo richiede un lavoro a sé. Giovanni Iacometti
Lo sguardo di Moneo Rafael Moneo La solitudine degli edifici e altri scritti. Volume II, Sugli architetti e il loro lavoro Allemandi, Torino, 2004 pp. 194, € 20,00 Ad alcuni anni dal precedente è stato pubblicato il secondo dei due volumi che raccolgono parte dell’attività teorica che Rafael Moneo ha sempre accostato all’opera di progettista. I due volumi, curati da Andrea Casiraghi e Daniele Vitale, oltre a presentare testi inediti in italiano e difficili da reperire in spagnolo e inglese, restituiscono la dimensione teorica del lavoro di Moneo e ne rivelano la capacità critica nei confronti dell’architettura. Questa attitudine critica si costruisce su una straordinaria natura di osservatore; una curiosità inquieta che porta Moneo a confrontarsi con mondi figurativi differenti con la stessa tensione a ritrovare al di là delle forme il senso profondo di un edificio. Gli edifici, citati nel titolo del libro, sono infatti l’oggetto che Moneo
osserva, descrive, analizza fino a svelarne meccanismi nascosti. L’attività critica non rappresenta dunque una strada differente da quella di progettista ne è anzi l’alimento. Il primo volume raccoglieva scritti legati alla formazione e all’insegnamento nelle università spagnole e indagava questioni generali: il tipo, il rapporto con gli edifici antichi. In questo secondo volume che
raccoglie scritti recenti, legati alla fortuna internazionale del lavoro di Moneo e all’insegnamento presso l’Università di Harvard, oggetto dell’osservazione sono invece opere di architetti contemporanei, sovente americani. Il rapporto tra America e Europa, visto attraverso le figure di Aldo Rossi, Eisenman, Pei, Gehry, Venturi, è dunque lo sfondo di questi testi. Rafael Moneo racconta di guardare le architetture ad occhi socchiusi. Come se questo modo di guardare, che sfuma i contorni e riduce le forme a figure essenziali, permettesse allo sguardo di ritrovare la distanza necessaria per diventare affilato, analitico, critico. Il ruolo centrale attribuito alla critica nella costruzione di un punto di vista sull’architettura è forse la ragione dell’intensità di questo libro. Angelo Lorenzi
4 opere di Brauen & Walchli AA.VV. Ueli Brauen & Doris Walchli. 1999-2004 Editions Virages, Neuchâtel, 2004 pp. 64, € 15,00 L’Associazione Archivio Cattaneo (via Regina 43 – 22012 Cernobbio, Como; tel. 031342396/513960) aveva in corso, alla fine del mese di dicembre, la mostra dedicata agli architetti svizzeri Ueli Brauen e Doris Walchli. Il libro ne è il catalogo e riporta una prefazione di controcopertina di Damiano Cattaneo (presidente dell’Associazione intitolata al padre Cesare); un’altra in francese di Luca Merlini (ticinese, progettista a Losanna e docente a Parigi).
Roberto Gamba
Ri-Omaggio a Terragni Omaggio a Terragni “L’architettura cronache e storia” n. 153 Mancosu, Roma, 2005 pp. 280, € 20,00 Omaggio a Terragni è il titolo del numero 153 della rivista “L’architettura cronaca e storia” del
1968; l’elegante copertina di M. Nizzoli e G. M. Oliveri in tono classico-monumentale riporta il titolo, in continuo, scritto in lettere nere “stile-romano” in campo bianco candido; si apre con l’editoriale di Zevi, L’héritage di Terragni (Eredità di Terragni), che espone le motivazioni di questo lavoro tutto dedicato alla figura dell’architetto comasco. Scrive Zevi: “L’idea di curare un’oeuvre complète di Giuseppe Terragni nacque nel 1953 per iniziativa del fratello Attilio. Non era pensabile, in effetti, che la figura emergente del razionalismo italiano, l’unica di rilievo internazionale tra le due guerre, restasse affidata a sporadici
saggi, al libretto di Mario Labò pubblicato nel 1947 ed ai capitoli di alcune storie dell’architettura moderna. Perciò ci mettemmo subito al lavoro”. C’è proprio tutto in questo numero, apparentemente storico ma attuale, della rivista che l’editore Mancosu di Roma ha deciso di ridare alle stampe. Il materiale riguardante i progetti, composto in successione, è completo di foto, disegni geometrici, schizzi, testimonianze, selezioni critiche e ricordi di P. M. Bardi, P. Bottoni, L. Figini, Le Corbusier, P. Lingeri, G. Pagano, G. Ponti, M. Radice, A. Sartoris, L. Zoccoli, insomma una vera prova preparatoria di lavoro monografico. Penso a questa ripubblicazione come ad un’operazione documentaria molto ricca e di valore pedagogico interessante, soprattutto per i giovani architetti e gli studenti che possono confron-
tare così testi nuovi con quelli pubblicati ormai cinquant’anni fa. Inoltre questa pubblicazione diventa uno strumento utile sia per lo studio dell’architettura che per il dibattito; vivo solo se vi è il ricordo e il faticoso lavoro di “trasmissibilità”. Francesco Fallavollita
L’architettura litica Alfonso Acocella L’architettura di pietra. Antichi e nuovi magisteri costruttivi Alinea-Lucense, Firenze, 2004 pp. 624, € 120,00 Agosto 1999 – settembre 2004, data d’inizio e di fine “lavori”; 1.850 immagini pubblicate tra fotografie (in gran parte inedite, a cura dell’autore) e disegni realizzati appositamente; 624 pagine complessive; questi sono solo alcuni dati che dovrebbero servire per farsi un’idea della dimensione dell’opera. L’autore, Alfonso Acocella, ordinario di Tecnologia dell’architettura presso la Facoltà di Architettura dell’Ateneo di Ferrara, non è nuovo ad imprese del genere: basta citare L’architettura del mattone faccia a vista (1989) o L’architettura dei Luoghi (1992), due volumi realizzati per le Edizioni Laterconsult di Roma, rispettivamente di 440 e 584 pagine e con oltre 700 immagini ognuno che, credo, possono considerarsi come antenati della sua ultima “fatica” letteraria. Ma, a parte la mole, quello che colpisce maggiormente è la dichiarazione di voler tentare di costituire una “nuova architettura” per questo tipo di volumi: “Nuova nella individuazione e nella strutturazione dei contenuti, nuova nello sguardo portato sul tema attraverso i diversi apparati iconografici, nuova nell’articolazione e gerarchizzazione dei livelli di informazione” e “nella progettazione grafica e nella comunicazione del tema”. Dunque, non si tratta più di un “semplice” trattato o manuale e neanche di un libro di storia o di critica d’architettura, ma di un’opera “a cavallo dei vari generi”, che coglie gli aspetti più importanti di ogni singola “famiglia” facendoli interagire tra di loro.
Sicuramente i promotori dell’opera, l’autore e la Lucense di Lucca, devono aver pensato (almeno per un attimo, in questi cinque anni) anche di realizzare un “prodotto interattivo e multimediale”, ossia un Cd, meno costoso e più veloce da fare, ma troppo spesso, spacciato come il “vero” prodotto “moderno”. In realtà occorre distinguere tra essere “alla moda” ed essere “moderni”. Il volume di Acocella è moderno, nel senso che rigetta “vecchi” schemi – è proprio il caso di dirlo, visto che da almeno un secolo non si realizzano più trattati di architettura – e ne propone uno nuovo “contemporaneo”. Inoltre, il libro “prosegue” con un blog sul sito www.architetturadipietra.it dove si possono trovare post scriptum inediti, recensioni già pubblicate, commenti dei lettori, ecc. I capitoli sono: Gli Inizi, Muri, Colonne, Architravi, Archi, Superfici, Coperture, Suolo e Materia. L’autore ne propone una lettura trasversale individuando tre ambiti tematici: i fondamenti (le “basi” progettuali), i modi (la “tecnica”, le prassi esecutive) e le opere contemporanee (gli esempi). Infine, come succede per opere di questo genere, ogni lettore può divertirsi a stabilire un proprio percorso, a scegliere il capitolo più assonnante al modo di progettare, a cercare gli esclusi (personalmente ho trovato poco Schinkel) o quell’opera che ci sembra non meriti la pubblicazione, ecc., ma la prima “cosa da fare” è acquistare il volume o, ancora meglio, farselo regalare. Igor Maglica
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Più avanti compaiono il saggio di Christoph Allespach (docente di storia e teoria dell’architettura a Zurigo) e, in fondo, l’altro saggio, in tedesco, di Peter Mc Cleary (ingegnere scozzese, docente all’Università della Pennsylvania, in Usa). Le opere presentate su più pagine sono quattro, ciascuna con un testo descrittivo di Nadia Maillard e illustrate da numerose foto di insieme e di dettaglio e da piante, prospetti e sezioni, ridisegnati con efficace essenzialità. Si tratta di un parcheggio interrato a Losanna (2002); dell’ambasciata svizzera a La Paz, in Bolivia (2003); della casa dei Parlamenti di Ginevra, realizzata nel 2002, quale sede del Raggruppamento mondiale dei parlamenti nazionali, formatasi nel 1899; infine, del complesso sportivo di Sainte Croix (2003). In fondo, sedici foto e un elenco citano su due pagine altre opere e progetti. Questo elegante, vario e corretto repertorio di opere, cospicuo certamente per una coppia di giovani progettisti, è esemplificativo di un metodo creativo saldamente impostato sulla razionalità propositiva (da qui l’interesse dimostrato verso di loro dall’Archivio Cesare Cattaneo – architetto comasco – 19121943 – affermatosi nel primo dopoguerra), ma che si confronta con il linguaggio, gli strumenti della cultura e della tecnica contemporanee. In più le realizzazioni esprimono quell’attenzione – sicuramente elvetica – verso la proposta di innovazione e di modernità, che consente un controllo del paesaggio costruito, attraverso interventi e manutenzioni rispettosi del passato, ma che non rendono subordinato, bensì evidente, il segno dell’attualità.
a cura di Sonia Milone
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L’elogio dell’imperfezione Gaetano Pesce. Il rumore del tempo Milano, Palazzo della Triennale viale Alemagna 6 22 gennaio – 18 aprile 2005
Bello e dannato, apolide e visionario, Gaetano Pesce sfugge a ogni classificazione o “ismo”. Il suo lavoro è denso come la pece delle sue pareti, a volte gioioso, altre tortuoso, di certo mai banale né ripetitivo. L’antologica che la Triennale di Milano gli ha dedicato, curata da Silvana Annicchiarico, rende pieno merito alla sua complessità e, soprattutto, ha il merito di fare piazza pulita dell’equivoco secondo cui Pesce sarebbe da considerarsi soprattutto come un fantasioso “decoratore” o un improvvisatore di paradossali progettazioni. La mostra non cristallizza risposte, ma, al contrario, sollecita domande e apre questioni. Il transito e l’imperfezione, innanzitutto. “In un tragitto che va da A a B, Pesce non è interessato specificamente né dal punto di partenza (A) né da quello d’arrivo (B), quanto piuttosto da tutto ciò che sta nel mezzo. Da ciò che avviene nel mezzo. Da ciò che nel passaggio si trasforma, si muta, trascolora” afferma Silvana Annicchiarico. Lì, dove le cose si danno nella loro mutevolezza, nella loro congenita instabilità, lì “interviene” Pesce. Lui ama lavorare sulla confusione, sulla contaminazione, sulla mutazione. Non sulla stasi, non sull’immobilità, non sull’identità chiara e definita. Ecco allora che anche la mostra, nonostante gli inevitabili vincoli espositivi, è progettata dallo stesso Pesce per raccontare storie diverse, con lin-
guaggi eterogenei: il design, l’arte, l’architettura, la rappresentazione, la tecnologia, i materiali. La mostra assume forme mutevoli anche per la rotazione dei curatori, a Silvana Annicchiarico seguirà ogni 15 giorni un personaggio riconosciuto, a volte dei veri e propri outsiders come Billy Costacurta o Elisabetta Canalis, che sceglierà di mostrare alcune opere e nasconderne altre. La mostra sarà pertanto composta da opere visibili e invisibili e cambierà la sua rappresentazione a seconda dell’occhio del curatore temporaneo. Il percorso si snoda in 9 capitoli, ognuno dei quali mette a fuoco temi e questioni che, a partire da aspetti specifici dell’opera di Pesce, si allargano prospetticamente fino a coinvolgere nodi centrali nel dibattito contemporaneo sulla cultura del progetto. Ogni stanza della mostra viene presentata attraverso riflessioni e dichiarazioni dello stesso Gaetano Pesce: la personalizzazione della serie, dell’espressività: fra figurativismo e astrattismo, il canone della bellezza e il malfatto, nuovi materiali, nuove tecniche e nuovi linguaggi, il femminino come motore del progetto, design come espressione politica, design come dimensione religiosa e il rumore del tempo, un allestimento inedito realizzato per la mostra dove Pesce mette in scena una concezione autobiografica del tempo: irregolare, relativo, luminoso.
saggio italiano; quello odierno che si posa sulle immagini di allora e si interroga sulla nozione stessa di paesaggio e sul cambiamento dei luoghi e della loro percezione. Vengono riproposte le 86 fotografie inserite nel catalogo della mostra del 1984, suddivise, come quella volta, in 10 sezioni o tappe di un viaggio fisico e mentale: “A perdita d’occhio”, “Lungomare”, “Margini”, “Del Luogo”, “Capolinea”, “Centrocittà”, “Sulla soglia”, “Nessuno in particolare”, “Si chiude al tramonto”,” L’O di Giotto”. Strade, piazze, interni domestici, dove non accade nulla, “spazi della quiete” dove ciò che si muove – in virtù del potere dell’analogia in cui Ghirri credeva – è solo il pensiero. Se negli anni ’80 questa sensibilità verso l’ordinario era inedita, oggi che periferie, spazi interstiziali, fabbriche dismesse, tutto è diventato paesaggio, essa costituisce per molti un metodo di conoscenza. La mostra è anche l’occasione per visitare un nuovo museo pubblico, progettato dal Comune di Cinisello e dalla Provincia di Milano, con il contributo della Regione Lombardia e del Ministero per i Beni e le Attività Culturali. Realizzato all’interno della seicentesca Villa
Alba Cappellieri
Fotografie decentrate Racconti dal paesaggio 1984 – 2004. A vent’anni da Viaggio in Italia Cinisello Balsamo, Museo di Fotografia Contemporanea via Frova 10 28 novembre 2004 – 27 febbraio 2005 Già il titolo annuncia una “doppia esposizione”. Questa mostra è infatti sovrapposizione di due sguardi: quello di una generazione di fotografi che, guidati da Luigi Ghirri, vent’anni fa esposero le loro riflessioni sul pae-
Ghirlanda, adiacente a interessanti trasformazioni urbane (la piazza risistemata da Perrault e la futura nuova fermata della metropolitana 1), questo non è solo un polo espositivo, ma anche di archiviazione, restauro, digitalizzazione e divulgazione della fotografia. All’attività espositiva si affianca allora quella di ricerca, come testimonia la mostra in corso, accompagnata da un video di interviste agli autori, da workshop didattici e da un catalogo con interventi di tutti i fotografi e stimolanti saggi critici. Mina Fiore
Una finestra sull’anima Paesaggi. Pretesti dell’anima. Visioni ed interpretazioni della natura nell’arte italiana dell’Ottocento Pavia, Castello Visconteo viale XI Febbraio 35 20 novembre 2004 – 30 aprile 2005
La mostra promossa dal Comune di Pavia, curata da Carlo Sisi (curatore anche del catalogo edito da Skira) e allestita da Michelangelo Lupo nelle sale del Castello Visconteo completa l’itinerario ottocentesco iniziato con l’allestimento della Quadreria dell’Ottocento e della Collezione Morone. Il percorso della mostra è suddiviso in sei sezioni: prende avvio da “Sguardi” ove il tema della “finestra ritaglia una porzione di paesaggio con lo stesso nitore geometrico della cornice di un quadro” (Sisi) e prosegue con “Paesaggi del mito e della letteratura” dominato dalla passione letteraria, “Stati d’animo” che “traspaiono nella pittura di paesaggio”, “Impressioni” e “Le opere e i giorni” ove “panorami solen-
Vittorio Prina
Il fiume della modernità Monet, la Senna, le ninfee. Il grande fiume e il nuovo secolo Brescia, Museo di Santa Giulia via Musei 81 23 ottobre 2004 – 2 aprile 2005 La Senna, musa ispiratrice di molti artisti dell’Impressionismo, scorre fino a Brescia e porta la provincia lombarda al ruolo di importante polo espositivo italiano e internazionale. Prorogata fino al 2 aprile, la mostra ripercorre, seguendo il corso del fiume, la storia di una delle più intense avventure dell’arte, in un ondeggiare continuo fra pittura e paesaggio francese. Si affacciano così dalle rivepareti del Museo di Santa Giulia i paesaggi di Le Havre, sulla costa normanna, alla foce del fiume, dove Monet compie i
propri esordi pittorici; la foresta di Fontainebleau, di cui già Corot e Daubigny avevano scoperto l’incanto e anticipato la trasfigurazione della natura in un’architettura di luce; le rive parigine, dipinte in compagnia di Renoir, Sisley, Pissarro e Caillebotte; Argenteuil, ex territorio agricolo collegato alla capitale dalla nuova ferrovia e meta delle scampagnate della borghesia cittadina; le vedute di Vetheuil, piccolo villaggio poco più a nord, che offre invece la contemplazione di una natura incontaminata; e infine Giverny, dove Monet si trasferisce nel 1883. A bordo del suo bateau-atelier (acquistato nel 1872 quando non gli basterà più dipingere la Senna guardandola da lontano, ma gli sarà necessario starvi dentro, in mezzo, e da qui dilatare lo spazio in tutte le direzioni), trasportato lungo mille anse e canali, Monet è un nomade delle acque alla ricerca perenne della luce che svela le forme attraverso i colori Il percorso espositivo è dunque un viaggio che inizia dal mare, prosegue lungo il fiume e termina nello stagno delle ninfee che Monet costruì a Giverny deviando persino un ramo dell’Epte, piccolo affluente della Senna. Ossessione che lo accompagnerà dal 1897 fino alla morte (1926), le ninfee (fiori dell’acqua e della luce, che si aprono al mattino e si chiudono la sera), antinaturalistiche e informali, schiudono nuove albe, nuove stupefacenti visioni, assurgen-
do a simbolo del tramonto del grande ciclo della pittura naturalistica occidentale e inaugurando i nuovi orizzonti della modernità a-prospettica. In un susseguirsi di paesaggi continuamente cangianti a seconda dell’ora e della stagione, riflessi nelle acque specchianti della Senna, si può seguire Monet in tutte le sue peregrinazioni, in tutti i suoi luoghi, in tutti i suoi cicli pittorici, ma alla fine lo si troverà sempre intento a navigare fra flussi di verde e inondazioni di luce, nel segreto di una delle più geniali e poetiche interpretazioni del colore che artista abbia mai fatto. Senza Monet, oggi, ci sentiremmo tutti un po’ più miopi. Sonia Milone
Una scuola per il futuro Vchutemas: le origini dell’avanguardia russa. Progetti di architettura dalla collezione del Museo Marchi 1920-30 Firenze, Archivio di Stato viale Giovine Italia 6 22 gennaio – 22 febbraio 2005 Presentata a Firenze, grazie al sostegno della Fondazione Romualdo Del Bianco, la prima mostra dedicata alla Facoltà di Architettura del Vchutemas (Laboratori Artistico-tecnici della Russia), istituto affine per attività, obiettivi e ideali al Bauhaus
tedesco: “nati dalla rivoluzione sociale, generatori della nuova estetica e vittime del totalitarismo, le due scuole furono proprio quel crogiuolo dove si forgiava la Nuova Architettura” scrive il prof. Aleksandr P. Kudryavtsev, presidente dell’Istituto di Architettura di Mosca. Ma mentre il patrimonio del Bauhaus è stato accuratamente studiato e conservato, le conoscenze sul Vchutemas sono incomplete: le testimonianze fin’ora raccolte si devono all’impegno dell’Istituto di Architettura di Mosca Marchi, erede di questa scuola, che in quindici anni è riuscito comunque a formare una notevole collezione di materiali di studio e progetti dei professori e studenti della scuola. Una mostra dunque che colma un vuoto importante e illumina su aspetti inediti di quel fenomeno straordinario che è stato l’avanguardia architettonica russa degli anni Venti e Trenta che, insieme al razionalismo francese e al funzionalismo tedesco ed olandese, ha costituito un punto di svolta nella storia dell’architettura mondiale. “Architettura o rivoluzione”, riflette Le Corbusier. “Architettura – al servizio della Rivoluzione”, “Architettura – condensatore sociale dell’epoca”, affermano i costruttivisti sovietici, parole che il prof. Aleksandr P. Kudryavtsev sottolinea nel catalogo. La mostra mette bene in luce come il clima di quegli anni animi anche la scuola e si esprima nel fortissimo desiderio di penetrare in tutte le sfere sociali traducendo in forme architettoniche le idee utopiche sul mondo reale e sulle nuove forme di vita. L’esposizione sottolinea anche le polemiche sorte all’interno del Vchutemas e il ruolo che essa ebbe partecipando a mostre nazionali ed estere. Elda Curiotto
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ni fanno da sfondo alle quotidiane fatiche”, “La città nel paesaggio, il paesaggio nella città” che mostra “l’armoniosa convivenza di natura e di insediamenti urbani”. Protagonisti della mostra sono autori come Telemaco Signorini, Federico Zandomeneghi, Giovanni Fattori, Giuseppe Pelizza da Volpedo ed altri, ma le opere più interessanti sono “Dopo il diluvio” di Filippo Palizzi: un’arca arenata sullo sfondo e il primo piano animato da una congerie di animali in movimento che corrono a riprodursi; un metafisico “La Sacra di San Michele” di Giuseppe Pietro Bagetti che delinea un’irreale abbazia posta sulla sommità di una roccia come un’isola tra le nebbie; i due stupendi “Il ponte di diga Masetti” e “La massicciata della diga Mantova” di Domenico Pesenti, dal taglio estremamente verticale dominati dall’ampia superficie di cielo che corona due manufatti architettonici, nel primo uno scorcio di un ponte metallico posto lateralmente che lascia spazio alla città accennata sullo sfondo e nel secondo il primo piano di una massicciata in costruzione con folla assiepata sullo sfondo.
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Piero Portaluppi nelle valli dell’Ossola Luciano Bolzoni Probabilmente l’architetto cittadino che più ha contribuito a modificare l’assetto territoriale di un’area alpina è stato il milanese Piero Portaluppi, mediante i progetti elaborati per le valli dell’Ossola. La trasformazione del territorio ossolano è dovuta sostanzialmente alle strategie industriali di Ettore Conti che realizzerà le più imponenti opere impiantistiche di sfruttamento delle risorse idrauliche dell’area, chiamando il giovane Portaluppi a progettare le parti terminali di tali impianti, le centrali a valle. Le strategie dell’illuminato Conti prevedono dapprima lo sfruttamento delle risorse del Brembo, per poi spostarsi con la nuova azienda, la Società Anonima Imprese Elettriche Conti, su altri territori vergini, come appunto l’area di Domodossola; nel 1906 Conti progetterà di sfruttare i bacini del Toce e del Devero e nel 1909 nasce il primo impianto, la centrale di Foppiano. La prima centrale affidata alla progettazione di Portaluppi è quella di Verampio nel comune di Crodo, che entrò in servizio nel 1917. Il formato architettonico di quest’ultima deriva direttamente dagli accordi tra l’architetto milanese ed Ettore Conti, che in tema di architettura aveva le idee estremamente chiare. L’imprenditore chiedeva al progettista di utilizzare materiali locali e al tempo stesso di interpretare lo spirito e la dignità della valle con un edificio che fosse il più vicino possibile alla vitalità della valle stessa. Seguirà una lunga serie di centrali elettriche: Crego, Valdo, Sottofrua, Crevola, Cadarese, e il progetto per quella di Ponte a cui si aggiungono le relative opere a supporto, come i fabbricati accessori, lo studio della conformazione dei giardini e le abitazioni per il personale e gli uffici. Oltre alle opere legate alla società di Conti, lo stesso Portaluppi progetterà alcuni singolari episodi di architettura montana come la villa per otto coppie, l’albergo Formazza, il
Wagristoratore al Passo San Giacomo e le quattro baite rappresentanti le stagioni su supporto di cartoline illustrate. Come realizzazioni, oltre al vagone, demolito in tempo di guerra dalle truppe tedesche, Portaluppi disegnerà alcuni monumenti ai caduti (Crodo, Baceno, Premia) e si occuperà dell’ampliamento dell’albergo Cascata Toce (1925-29). L’ultima iniziativa progettuale sempre per Ettore Conti, la cui Società è stata nel frattempo assorbita dalla Edison (1926), è il progetto per la centrale di Ponte: disegno che elaborerà per un concorso, ma che non verrà realizzato secondo il progetto di Portaluppi. Da citare lo straordinario quanto ironico progetto della villa per otto coppie a Formazza del 1930, simbolo del ricchissimo repertorio portaluppiano, così carico di fantasia da considerarsi come un bizzarro compendio dell’abitazione montana, non si capisce se destinata ai residenti o ai turisti; poi l’incredibile episodio del Wagristoratore al Passo San Giacomo del 1930, inverosimile vagone ristorante, veicolo di modernità, trasportato a forza e con incommensurabile fatica in un contesto naturale dove è piuttosto improbabile trovare un veicolo ferroviario. Il Wagristoratore rappresenta per la sua assurdità il miglior commento costruito sull’influenza della modernità nel paesaggio alpino. Del repertorio portaluppiano sulle centrali elettriche si è detto e si è scritto di tutto; ciò che va sottolineato è che per il maestro milanese, al contrario del contemporaneo Muzio, l’architettura della centrale idroelettrica nel territorio alpino è l’occasione per sovvertire il dualismo stereotipato tra l’aspetto dell’involucro ed il suo complicato contenuto mediante una raffigurazione divertita del nuovo villaggio alpino, il villaggio elettrico. Bibliografia essenziale AA.VV., Accoppiamenti giudiziosi, Storie di progettisti e costruttori, Quaderni Assimpredil, Skira, Milano, 1995 AA.VV., Paesaggi elettrici – territori architetture culture, Enel, 1998 Bilancioni G., Aedilitia di Piero Portaluppi, CittàStudi, Milano, 1993 Biraghi M., Al Passo di San Giacom
pescatore conforto sarà il Wagristoratore, in “Casabella” n. 695-96, 2001 Bolzoni L., Architettura moderna nelle Alpi italiane dal 1900 alla fine degli anni Cinquanta, in “Quaderni di cultura alpina”, Priuli & Verlucca editori, Ivrea, 2000 Gonella M., L’architetto e la sua valle, in “La Rivista del VerbanoCusio-Ossola” n. 3, 1998 Molinari L., Fondazione Piero Portaluppi (a cura di), Piero Portaluppi. Linea errante nell’architettura del Novecento, Catalogo della mostra, Skira, Milano, 2003 Polatti F., Centrali idroelettriche in Valtellina: architettura e paesaggio 1900-1930, Laterza, Bari, 2003 Portaluppi P., Aedilitia, volume I & II, Milano, 1930 Selvafolta O., La centrale, il committente e l’architetto, in “Rassegna” n. 63, 1995 Referenze fotografiche • Immagini dell’Archivio Fondazione Piero Portaluppi di Milano Fotografie e disegni di: Villa per l’Ispettore Generale delle Imprese Elettriche Conti, Baceno; Progetto di Quattro baite; Progetto per l’Albergo Formazza; Progetto per la centrale idroelettrica di Ponte; Progetto di Villa per otto coppie; Cabina elettrica di Premia. • Immagini dell’Archivio Storico ENEL di Torino Riproduzioni fotografiche e di disegni delle Centrali di Verampio, Crego, Valdo, Crevoladossola, Cadarese e del Wagristoratore. • Foto di Luciano Bolzoni Monumenti ai Caduti di Premia, Crodo e Baceno; Centrale idroelettrica del Kastel; Albergo Cascata Toce.
committente (Ettore Conti) e i capitali a disposizione. Affatto secondaria inoltre la conoscenza dello stesso Conti dei luoghi e delle modalità costruttive dell’edilizia tradizionale locale; l’imprenditore chiede difatti a Portaluppi di rappresentare “il prestigio e la forza dell’energia e del lavoro ma anche il sorriso della loro bellezza”. Il complesso delinea un piccolo borgo legato al corpo di fabbrica principale della centrale, composto da edifici più piccoli, alloggi, la residenza del responsabile, officine, il tutto immerso in un grande giardino, il cui fulcro simmetrico è costituito dalla facciata principale della centrale. L’edificio principale si articola in due volumi ospitanti la sala di trasformazione e la sala macchine che alloggia le turbine di trattamento dell’acqua; all’interno di quest’ultima una ricca decorazione delle pareti e dei pavimenti stempera la brutalità della macchina ospitata. Risulta difficile oggi formulare un commento sull’incredibile episodio di centrale alpina che diventa maniero non solo nel concetto ma anche e soprattutto nelle forme identificate dal progetto. 2. Centrale idroelettrica di Crego, 1916-26 Crego, Crodo
1. Centrale idroelettrica di Verampio, 1912-17 Verampio, Crodo
La centrale di Verampio è probabilmente quella più nota fra tutte quelle progettate da Portaluppi e rappresentò per l’architetto milanese una grande occasione, visti la fiducia del
La centrale di Crego, insieme all’annessa casa del direttore, viene ultimata nel 1919 anche se il verbale di collaudo porta la data del 1926. È interessante soffermarsi sugli ostacoli incontrati dall’imprenditore Ettore Conti nell’esecuzione degli interventi, viste le avverse condizioni in cui si operava durante il periodo bellico e in aree così impervie, a testimonianza del carattere pionieristico dell’opera idraulica e delle difficoltà riferite a tali interventi. La centrale si ispira chiaramente
3. Villa dell’Ispettore Generale delle Imprese Elettriche Conti, 1920 Baceno, via Roma 123
Rispetto alle abitazioni delle centrali di Valdo, Crevola e Sottofrua, la villa di Baceno richiama i temi dell’architettura civile e in qualche modo riprende il linguaggio del maniero in cui risiederà, isolato e in posizione sopraelevata rispetto al villaggio, il dirigente della Conti. L’edificio di due piani, sovrastato da una copertura che individua un piano mansardato, è caratte-
rizzato dal volume delle scale che forma una torretta su cui un tempo era riportata la scritta Imprese Elettriche Conti, visibile dalla strada; annessa al corpo principale della villa, una sorta di veranda dal tetto piano, raccordata all’abitazione mediante la balconata esterna. 4. Centrale idroelettrica di Valdo, 1920-23 Valdo, Formazza
le superfici dei fronti trattati con granito e pietra, dove ogni particolare sembra voler continuare le tipicità di un paesaggio difficile. I richiami all’architettura montana vengono denunciati nell’utilizzo dei tipici materiali della tradizione costruttiva e nella casa del direttore, che deriva le proprie forme da quella architettura di montagna tipica del luogo; le stesse forme e modalità di assemblaggio dei volumi non possono prescindere dalla condizione ambientale in cui l’architetto ha operato con il suo progetto.
tura commemorativa mette in evidenza lo spirito portaluppiano; la planarità di Premia viene sostituita dal volume plastico della piccola costruzione che, in particolare a Crodo, diviene edificio. Quest’ultimo è costituito da una poliedrica tavola di pietra sorretta da sette pilastrini lavorati, riportanti le immagini fotografiche dei caduti. 6. Progetto di Quattro baite (Le quattro stagioni), 1921 Valdo, Formazza
5. Monumenti ai caduti di Premia, 1920-29 Crodo, piazza della Chiesa Baceno, via Roma Premia, via Principale
Nell’episodio della centrale di Valdo, come in quello della vicina Sottofrua, il contesto ambientale influenza fortemente il progetto; le condizioni del contorno suggeriscono soluzioni architettoniche che, seppur non perdendo la valenza di ricorrere a stilemi e particolari del tipico eclettismo portaluppiano, non consentono forse la stessa disinvoltura utilizzata per le centrali in bassa valle. Inoltre, l’innalzarsi dell’arditezza e della difficoltà legate alla realizzazione e alla conduzione dei grandi serbatoi artificiali d’alta quota consente, o meglio costringe a ricorrere a progetti più inclini nella concezione della forma ai concetti ingegneristici tipici del progetto dell’intero sistema impiantistico di sfruttamento idraulico. Il complesso è formato dalle abitazioni dei responsabili e dall’edificio della centrale che ospita la sala macchine, la stazione di trasformazione e la sala di comando; il contesto formale si è fatto più duro nel gioco dei rivestimenti e nel trattamento delle aperture. Prevalgono i grandi finestroni inquadrati entro
Oltre alle citate centrali idroelettriche per Ettore Conti, nella stessa area Portaluppi si occupa del disegno di tre piccoli monumenti in onore dei caduti di ogni singola località. A Premia (1921-22), Portaluppi si limita al progetto di una cappella votiva costruita in laterizio e semplicemente tinteggiata con l’iscrizione e le immagini dei caduti in guerra; unico apporto di tipo decorativo, una lampada in bronzo collocata all’interno dell’arco individuato dalle falde della copertura. Nelle opere di Crodo (1920-22) e di Baceno (1920-29) l’architet-
Concepiti per una fantomatica Mostra del Concorso Ossolano per le costruzioni alpine, i progetti sono in realtà quattro disegni che raffigurano quattro differenti villini individuati nelle stagioni dell’anno; ogni disegno rappresenta un prospetto di una casina montana che, probabilmente, non risulta essere così lontana nella concezione architettonica dalle vere abitazioni alpine costruite per le centrali di Crevola e di Valdo. In effetti i progetti, elaborati per l’Impresa Girola, paiono un’occasione professionale dove sperimentare una caricatura dell’architettura montana. I disegni diverranno delle divertenti cartoline riportanti dilettevoli motti goliardici (Le stagioni in Val Formazza). Singolare, ma non insolito per Portaluppi, presentare solo i prospetti delle casine senza alcun riferimento planimetrico. 7. Centrale idroelettrica del Kastel, 1922-23 Sottofrua, Formazza
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al modello morettiano dell’impianto idroelettrico, in particolare a quello di Trezzo d’Adda e della centrale di Piedimulera, disegnata nel 1906 da Gaetano Moretti all’imbocco della vicina Valle Anzasca, da cui ricava proprio l’effetto ambientale dell’inserimento nel frastagliato contesto alpino dove il corpo basso dell’involucro edilizio pare volersi saldare con la roccia. La stessa collocazione della centrale sull’argine del Toce e ai piedi della montagna sembra suggerire una soluzione architettonica che propende per il modello del grande edificio alpino, come il castello o la chiesa. La lavorazione dei fronti con il bugnato rustico e le ampie aperture incorniciate e soprattutto la merlatura superiore del fabbricato che ospita la sala di comando rimandano chiaramente al linguaggio architettonico dell’edificio fortificato. All’interno si ricordano, oltre che le usuali ricche note ornamentali, anche lo scalone a doppia rampa, inquadrato entro il grande arco nella sala che ospita le turbine. La casa del responsabile dell’impianto riflette più semplicemente i caratteri dell’architettura dell’edificio della centrale stessa.
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Committente di Portaluppi è la Società Serbatoi Alpini della Ettore Conti. La centrale è collocata in località Sottofrua, proprio al di sotto della celeberrima cascata, dove Portaluppi realizzerà l’ampliamento dell’omonimo albergo per la Società Alberghi de la Formazza. L’edificio della centrale è caratterizzato da un impianto rettangolare di piccole dimensioni con un tetto a due falde e con il fabbricato della casa del responsabile che ne riprende le forme e i materiali costruttivi. In questo caso, rispetto alle altre centrali più note, l’architettura rimanda alla funzionale edilizia tradizionale del luogo, ispirandosi alla rigorosa semplicità del fienile alpino; i materiali costruttivi sono quelli già utilizzati nelle altre centrali, il legno nei rivestimenti e nei tamponamenti, la pietra locale (conci di granito), gli intonaci colorati, ma le modalità di assemblaggio fanno riferimento all’ambiente circostante, avvicinandosi in maniera più marcata all’architettura di montagna. Attualmente la centrale non è più in funzione ed è utilizzata come residenza estiva giovanile. 8. Progetto per l’Albergo Formazza, 1922-23 Cascata Toce, Formazza
L’Impresa Girola, costruttrice di molti impianti idraulici della zona e delle relative opere infrastrutturali connesse, contribuì insieme alle Imprese Elettriche Conti allo sviluppo turistico dell’area. È innegabile difatti che tutti gli interventi concepiti nella zona e propedeutici alla realizzazione dei complessi di sfruttamento idrico abbiano contribuito alla diffusione di un nuovo modello turistico. Il progetto dell’Albergo de La Formazza, come lo descrive nel cartiglio del disegno lo stesso progettista, individua quasi sorprendentemente una tipologia architettonica non insolita per il luogo montano. Un corpo di fabbrica centrale costituisce il fulcro della costruzione da cui si diramano le ali delle camere in annessi di quattro piani, tetti spioventi, fasciatura in listelli di legno delle pareti esterne delle aree notte, tutti elementi compositivi non lontani dalle abitudini costruttive dei grandi alberghi alpini. L’usuale ironia è comunque visibile nel disegno dell’albergo nel quale Portaluppi piazza una lunghissima limousine guidata da un autista in divisa e stracarica di turisti e bagagli. 9. Centrale idroelettrica di Crevoladossola, 1923-25 Crevoladossola, via Edison
La centrale, ultimata nel 1925, è uno dei maggiori esempi dell’architettura industriale in Italia, nonché della concezione architettonica di Portaluppi in fatto di centrali: non tanto un semplice corpo di fabbrica a sostegno e a contenimento delle azioni produttive, quanto una eloquente rappresentazione del villaggio dell’elettricità. Crevola è l’impianto dove più manifestamente si palesa un linguaggio ricco di contaminazioni di ogni tipo. Sparisce l’idea del maniero alpino e appare come all’improvviso un agglomerato formato da due distinti fabbricati, la sala macchine e la cabina di trasformazione, raccordati dalla torre di raffreddamento che diventa pagoda nella parte sommitale. Nel primo edificio spicca un portale ad incorniciare l’ingresso dove risaltano, uno per parte, due finti isolatori in porcellana di colore verde collocati su due lesene; per contro, nel prospetto posteriore appare un porticato che riprende – a sorpresa – i temi formali del chiostro monastico. Di assoluto rilievo la casa del direttore, una vera e propria villa alpina che ricorda il tipico chalet vallesano, e il piccolo chiosco della fucina che non può essere semplicemente descritto per la sua incredibile vocazione irreale. L’esperienza linguistica della centrale di Crevola fornisce un repertorio che non può essere meramente considerato come la sommatoria di quanto già proposto dal maestro milanese; piuttosto appare come il risultato concreto di un lungo e paziente lavoro di aggiunta di strati linguistici, tutti diversi seppur nella coerenza di proposizione di un unico modo di intendere il manufatto industriale. 10. Centrale idroelettrica di Cadarese, 1925-29 Cadarese, Premia
L’impianto di Cadarese, disegnato per conto della Società Imprese Elettriche Conti, è costituito dalla centrale elettrica e da alcuni edifici accessori su cui spicca la pittoresca casa del direttore, posta su un piccolo dosso, che sovrasta un giardino dotato di fontana. Il corpo principale della centrale stessa, costituito da un solo edificio, pur rivelando un minor ricorso alla fantasia rispetto agli analoghi edifici ossolani realizzati da Portaluppi, appare comunque opera ricca di rimandi stilistici e di particolari sottratti all’edilizia locale; i tre differenti volumi che ospitano le funzioni operative si appoggiano uno all’altro ed ognuno è differente dal corpo adiacente. Lo stesso corpo della centrale è ricco di “episodi” e di particolari formali, come le saette in ferro poste agli angoli, i finti balconcini interamente in legno e la riquadratura del portale di accesso. L’architettura pare rappresentare una fusione tra i temi stilistici visti a Verampio (il ricorso al maniero alpino) e le forme della centrale d’alta valle riscontrabili a Valdo e a Sottofrua. All’interno del sedime dell’impianto viene realizzata la casa del responsabile in perfetto stile montano, dove l’esagerazione del ricorso ai linguaggi tipici dell’architettura locale appare quasi l’unica maniera di concepire in modo pittorico il linguaggio alpino; ne consegue una villetta che nel prospetto rivolto alla centrale pare il raddoppio della stessa immagine speculare. La casa giace su un terrapieno raccordato alla parte della centrale mediante una gra-
11. Albergo Cascata Toce, 1925-29 Cascata Toce, Formazza
Del preesistente albergo situato in cima alla Cascata sul Toce, Portaluppi elabora a più riprese il progetto di restauro e ampliamento. La parte edilizia determinata dal progetto si configura come un annesso aggiunto al vecchio corpo del 1867 che riprende le forme del rifugio alpino. Le murature esterne vengono conservate e ridecorate. L’ampliamento si esplicita inoltre in una terrazza-veranda e in un porticato sorretto da esili colonnine in legno lavorato. All’interno Portaluppi sistema una trentina di camere nei tre piani del volume e riprogetta le sale di rappresentanza al piano terreno ed i servizi alberghieri nei piani interrati.
in alta quota, in una località naturale dove tutto è possibile, eccetto trovare un veicolo ferroviario; inverosimile commento sul ruolo della modernità nel paesaggio alpino. Se nelle centrali idroelettriche Portaluppi utilizza la più infinita serie di citazioni stilistiche, seppur relazionandosi a una differente interpretazione del formato architettonico nel contesto alpino, nel wagristoratore non c’è citazione di alcun genere. Il wagristoratore stesso è una citazione. Cosa ci si aspetta di incontrare in montagna in una località di alta quota? Ed alla fine di una strada sterrata carrozzabile? Sicuramente non dei veicoli ferroviari montati su pilotis. Le carrozze ferroviarie divengono una “trovata” per consentire ad una ipotetica e pigra clientela di riposarsi e rifocillarsi in un ambiente improbabile, le due carrozze appunto. E non basta; i due vagoni sono solo le due ali di un piccolo rifugio collocato al centro della singolare composizione; difatti il progetto elaborato da Portaluppi prevedeva un corpo centrale che non può non ricordare il vero rifugio di montagna, il Città di Milano, progettato un anno prima dallo stesso architetto milanese e realizzato nel 1926 ai quasi 2600 metri di altitudine del gruppo dell’Ortles-Cevedale. Dell’opera rimangono solamente i pilastri.
Per la centrale di Ponte, Portaluppi presenta un progetto elaborato per un concorso privato indetto dalla Edison; il committente dell’architetto è quest’ultima e non già Ettore Conti, motivo o uno dei motivi per cui il progetto non si concluderà con la realizzazione secondo l’idea di Portaluppi. La centrale progettata era chiamata a sostituire gli impianti di Sottofrua e di Valdo e la collocazione in quota ne condiziona l’architettura, anche se l’apparato decorativo è limitato nelle intenzioni progettuali da un bagaglio ornamentale più vicino a quello utilizzato nella centrale cittadina di Piacenza, commissionata a Portaluppi nel 1926 dalla Società Generale Elettrica dell’Adamello. L’impianto si compone di due corpi accostati e paralleli sovrastati da una copertura a falde, dove l’emergenza è rappresentata dal motivo del grande timpano che chiude il fronte laterale della sala macchine, riscontrabile anche nell’impianto di Piacenza. Probabilmente il progetto di Ponte testimonia un certo disimpegno del maestro milanese nei confronti di una tipologia così caratterizzante come quella dell’impianto idroelettrico.
15. Cabina elettrica, 1920 ca. Premia, via Rodis
14. Progetto di villa per otto coppie, Formazza, 1930 Lago Toggia, Formazza
13. Progetto per la centrale idroelettrica di Ponte, 1930 Località Ponte, Formazza
12. Wagristoratore al Passo San Giacomo, 1929-30 Passo San Giacomo, Formazza
L’incredibile episodio del Wagristoratore al passo San Giacomo si configura come un improbabile vagone-ristorante montato su pilotis, veicolo, in senso lato, di modernità, trasportato a forza
e dando una vocazione turistico-pubblicitaria a tutto l’intervento, quasi si trattasse di un’iniziativa immobiliare legata alle vicende neo-turistiche della Val Formazza, trasformata dagli interventi già descritti. Il repertorio è infinito; le automobili arrivano alla costruzione, ma direttamente da sopra la terrazza che funge da copertura piana; il lago sottostante suggerisce una struttura a trampolino collegata con una passerella aerea, che funge anche da pilone dell’elettricità, alla costruzione che ospita le abitazioni per le otto coppie. E nella presentazione dei disegni, l’auto-referenziazione di Portaluppi è evidentissima: le prospettive sono popolate da omini affaccendati o divertiti dal loro stesso ruolo all’interno della vicenda.
Nel progetto di questa singolare villa-condominio, quasi una sorta di carrozza ferroviaria collocata lungo il suo asse verticale (wagristoratore?), Portaluppi anticipa quanto disegnerà Mollino per Breuil-Cervinia, unendo direttamente l’edificio alla montagna
L’itinerario si chiude con questa piccola architettura situata ai margini del centro abitato di Rodis e sicuramente attribuibile al lavoro professionale di Portaluppi. Il piccolo volume, oggi modificato nell’architettura, si presentava come una sorta di piccola costruzione montana, non lontana dal formato architettonico della cappella votiva alpina, la cui facciata principale è solitamente composta dall’entrata collocata al centro del prospetto e affiancata da due semplici aperture rettangolari.
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dinata di raffinato disegno che termina nel giardino anch’esso accuratamente disegnato e che, a sua volta, incornicia una tipica fontanella da giardini pubblici cittadini; dal terrapieno scende in modo sinuoso la scalinata che diviene un’appendice arredata di tutto l’impianto idroelettrico.
a cura di Walter Fumagalli
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Il direttore dei lavori nel testo unico dell’edilizia L’Articolo 19, lettera “g”, della Legge 2 marzo 1949 n. 143 descrive così l’attività del direttore dei lavori: “direzione ed alta sorveglianza dei lavori con visite periodiche nel numero necessario ad esclusivo giudizio dell’ingegnere (o dell’architetto n.d.r.) emanando le disposizioni e gli ordini per l’attuazione dell’opera progettata nelle sue varie fasi esecutive e sorvegliandone la buona riuscita”. In considerazione di questa funzione, da tempo il legislatore ha pensato bene di attribuire al direttore dei lavori anche il compito di controllare che le opere vengano realizzate nel rispetto delle norme urbanistiche ed edilizie: in proposito il D.P.R. 6 giugno 2001 n. 680 dedica al direttore dei lavori diverse disposizioni. • a) Il direttore dei lavori è anzitutto responsabile della conformità delle opere eseguite alle previsioni del permesso di costruire ed alle modalità esecutive stabilite dal medesimo (Articolo 29.1). Nel caso in cui le opere non siano conformi al progetto approvato con il permesso di costruire, quindi, il direttore dei lavori è passibile delle sanzioni penali previste dal successivo Articolo 44, è tenuto a rimborsare le spese relative all’eventuale demolizione d’ufficio (Articoli 31.5, 33.1, 34.1 e 35.2), ed in caso di opere eseguite in totale difformità o con variazioni essenziali da tale progetto può essere altresì sospeso dall’albo professionale per un periodo compreso fra tre mesi e due anni (Articolo 29.2). Tuttavia egli può liberarsi da tali responsabilità, evidentemente prima che l’abuso sia stato accertato dall’autorità competente (Articolo 29.2): – nel caso di opere eseguite in parziale difformità, contesti al titolare del permesso, al committente ed al costruttore le difformità riscontrate, ed al contempo ne informi il dirigente od il responsabile del competente ufficio comunale;
– nel caso di opere eseguite in totale difformità o in variazione essenziale dal permesso, oltre a contestarle ai responsabili e ad informarne il comune rinunzi contemporaneamente all’incarico. La legge non ha previsto la possibilità che il direttore dei lavori si liberi delle responsabilità di cui si tratta nel caso di opere eseguite senza permesso di costruire, ed anzi a ben vedere in tale caso non ha previsto neppure la sospensione dall’albo professionale, forse anche perché chi esegue abusi così radicali ben difficilmente si preoccupa di nominare un direttore dei lavori. Tuttavia la fattispecie potrebbe meritare una certa disciplina, soprattutto in relazione ai casi in cui vengano eseguite opere per le quali sia indispensabile il permesso di costruire, mediante la presentazione di una semplice denuncia di inizio di attività. • b) Con riferimento alle opere di conglomerato cementizio armato, normale e precompresso, e a struttura metallica, spetta al direttore dei lavori il compito di verificare che l’opera sia conforme al progetto, che le prescrizioni esecutive di quest’ultimo vengano rispettate, che i materiali impiegati siano di idonea qualità, e che gli elementi prefabbricati vengano installati correttamente (Articolo 64.5). Inoltre il direttore dei lavori deve: – firmare la relazione illustrativa da allegare alla relativa denuncia, dalla quale risultino le caratteristiche, le qualità e le dosature dei materiali che verranno impiegati nella costruzione (articolo 65.3, lettera “b”); – contestualmente alla presentazione della citata denuncia, inoltrare allo sportello unico dell’edilizia l’atto di nomina del collaudatore e la relativa accettazione (Articolo 67.3); – curare la conservazione della documentazione presso il cantiere e vistare periodicamente il giornale dei lavori (Articolo 66.2); – una volta ultimate le strutture, depositare presso lo sportello unico dell’edilizia (e per cautela anche presso il competente ufficio tecnico regionale: vd. in proposito il succes-
sivo Articolo 73.2) un’apposita relazione (Articolo 65.6); – completata la struttura con la copertura dell’edificio, darne comunicazione allo sportello unico dell’edilizia e al collaudatore (Articolo 67.5); – consegnare al collaudatore la relazione e la documentazione relativa alle opere eseguite (Articolo 65.8). Il direttore dei lavori che non ottemperi alle prescrizioni dell’Articolo 66, ovvero ometta o ritardi la presentazione della relazione indicata dall’Articolo 65.6, è punito con un’ammenda da 41,00 a 206,00 euro (Articolo 73). • c) Una speciale responsabilità del direttore dei lavori è prevista in tema di superamento delle barriere architettoniche negli edifici pubblici e negli edifici privati aperti al pubblico. Stabilisce infatti l’Articolo 82.7, a questo riguardo, che nel caso in cui vengano realizzate difformità tali da rendere impossibile l’utilizzazione dell’opera da parte di persone handicappate, il direttore dei lavori è punito con un’ammenda da 5.164,00 a 25.822,00 euro, ed è sospeso dall’albo professionale per un periodo compreso fra uno e sei mesi. • d) Nel caso di costruzioni in zone sismiche, oltre a svolgere tutte le ordinarie funzioni di sua competenza il direttore dei lavori deve firmare il progetto dell’opera che si intende realizzare (Articolo 93.2), e deve verificare che vengano rispettate le disposizioni dettate dagli Articoli 83 e seguenti. In caso di violazione di tali disposizioni, è punito con l’ammenda da 206,58 a 10.329,14 euro (Articolo 95). • e) In tema di sicurezza degli impianti, al direttore dei lavori è stato affidato il compito di trasmettere al competente sportello unico dell’edilizia la certificazione relativa al collaudo effettuato da professionisti abilitati (Articolo 111.2), pena l’applicazione di una sanzione amministrativa da 516,00 a 5.164,00 euro (Articolo 120.1). • f) Il direttore dei lavori, infine, deve curare che venga conservata presso il cantiere la documentazione prescritta in materia di contenimento dei consumi energetici (Articolo 125.3), e
W. F.
La sicurezza nei cantieri Il Decreto Legislativo 14 agosto 1996, n. 494, recante “Attuazione della direttiva 92/57/CEE concernente le prescrizioni minime di sicurezza e di salute da attuare nei cantieri temporanei o mobili”, in conformità alla direttiva recepita individua nuove figure con specifici compiti in materia di sicurezza. Tra queste il “coordinatore in materia di sicurezza e salute durante la realizzazione dell’opera”, o “coordinatore per l’esecuzione dei lavori”, cui sono attribuiti obblighi e responsabilità che nella prassi possono essere assegnati al direttore dei lavori, in aggiunta a quelli tipici di quest’ultimo. Che tra direzione dei lavori e funzioni di coordinatore non vi sia necessaria coincidenza è indirettamente confermato dalla circolare del Ministero del lavoro e della previdenza sociale 30 maggio 1997 n. 73, in cui si afferma che per poter beneficiare di una norma transitoria inerente a tale ruolo i direttori dei lavori dovevano “dimostrare” di aver svolto funzioni di controllo circa il “rispetto da parte delle ditte appaltatrici delle norme di sicurezza vigenti nell’ordinamento giuridico”. Secondo l’Articolo 2.1, lettera “f”, del D.Lgs. n. 494/1994, il coordinatore per l’esecuzione dei lavori è il soggetto, diverso dal datore di lavoro dell’impresa esecutrice, cui il committente o il responsabile dei lavori (altra figura che può presentare affinità con quella del direttore dei lavori, ma la cui nomina è facoltativa) conferiscano l’incarico di svolgere i compiti indicati dall’Articolo 5.
La nomina del coordinatore è obbligatoria nei cantieri nei quali operino (anche non contemporaneamente) più imprese, ivi compresi quelli nei quali i lavori inizialmente appaltati ad un’unica impresa siano poi affidati ad una pluralità di imprese, nei seguenti casi: – cantieri in cui siano impiegati almeno 200 uomini/giorno; – cantieri che presentino i rischi elencati nell’allegato II del D.Lgs. n. 494/1996, tra cui quelli di seppellimento o sprofondamento a profondità superiore a 1,5 metri o di caduta da altezza superiore a 2 metri, se aggravati da determinate condizioni, quelli di esposizione ad agenti chimici o biologici particolarmente pericolosi nonché a radiazioni ionizzanti, quelli posti in prossimità di linee elettriche, ecc. Gli obblighi del coordinatore per l’esecuzione dei lavori sono elencati, come si diceva, nell’Articolo 5 del D.Lgs. n. 494/1996, e si sostanziano più che nell’esecuzione di compiti di puro coordinamento organizzativo, nel controllo dell’applicazione delle misure di tutela e prevenzione predisposte dai soggetti a ciò tenuti e dell’idoneità di tali misure a garantire la sicurezza nel corso dei lavori. Il coordinatore, dunque, deve tra l’altro: verificare che imprese e lavoratori autonomi applichino le disposizioni contenute nel piano di sicurezza di cui all’Articolo 12 dello stesso D.Lgs. n. 494/1996; organizzare la cooperazione, il coordinamento e la reciproca informazione tra i datori di lavoro, compresi i lavoratori autonomi; verificare l’attuazione delle previsioni degli accordi tra le parti sociali al fine di coordinare i rappresentanti per la sicurezza delle imprese; segnalare al committente o al responsabile dei lavori, previa contestazione scritta agli interessati, le inosservanze degli obblighi cui il decreto assoggetta i lavoratori autonomi e i datori di lavoro e delle prescrizioni del piano di sicurezza e coordinamento, proponendo la sospensione dei lavori, l’allontanamento delle imprese o dei lavoratori autonomi dal cantiere o la risoluzione del contratto; comunicare l’inadempienza all’azienda A.S.L.
competente e alla direzione provinciale del lavoro se il committente o il responsabile dei lavori, senza idonea motivazione, non abbiano assunto provvedimenti a seguito della contestazione effettuata. Nel caso in cui riscontri direttamente un pericolo grave e imminente, il coordinatore deve far sospendere le singole lavorazioni del cantiere fino ad avvenuto adeguamento ad opera delle imprese interessate. Dal quadro complessivo dei compiti assegnati al coordinatore per l’esecuzione dei lavori emerge così una figura sovraordinata alle imprese esecutrici e ai singoli professionisti che operano nel cantiere, con un ruolo di coordinamento strettamente funzionale all’esercizio di poteri di vigilanza e controllo a tutela della sicurezza del lavoro. Vediamo infine quali sono i requisiti prescritti per la nomina a coordinatore. L’Articolo 10.1 del D.Lgs. n. 494/1996, per quanto attiene tra l’altro ai laureati in architettura, richiede un’attestazione rilasciata da datori di lavoro o committenti che comprovi l’esercizio di attività lavorativa nel settore delle costruzioni per almeno un anno. È inoltre necessario avere frequentato uno specifico corso in materia di sicurezza, organizzato dalle regioni o da una serie di enti quali ISPESL, INAIL, ordini professionali, università. Tale obbligo non opera: – per i dipendenti di amministrazioni pubbliche che svolgano mansioni di coordinatore nell’ente presso cui sono impiegati; – per coloro che, non più in servizio, abbiano svolto attività tecnica in materia di sicurezza delle costruzioni come pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio per almeno cinque anni; – per coloro che attestino il superamento di uno o più esami universitari del corso di laurea aventi contenuto equipollente a quello dell’apposito corso di specializzazione, o la partecipazione ad un corso di perfezionamento universitario con le medesime caratteristiche. Marco Gelmetti
45 PROFESSIONE LEGISLAZIONE
inoltre deve trasmettere al competente sportello unico dell’edilizia la certificazione relativa al collaudo effettuato da professionisti abilitati (Articoli 111.2 e 127), pena l’applicazione di una sanzione amministrativa non inferiore all’1 per cento e non superiore al 5 per cento del valore delle opere (Articolo 132.3).
a cura di Emilio Pizzi e Claudio Sangiorgi
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cienti di sicurezza al livello di cono-
cls e dei blocchi in pietra e sottolinea
L’attuale contesto normativo prende avvio da uno studio significativo del C.N.R., edito dalla Esa Editrice, “Consolidamento degli edifici in muratura lesionati dai terremoti”, Roma, 1980 nel quale si faceva riferimento alle principali cause dei danni determinati dall’evento sismico: • cattiva qualità dei materiali leganti; • inadeguatezza dei vincoli tra pareti ortogonali; • insufficiente rigidezza dei solai; • presenza di tetti spingenti non vincolati; • modifiche e superfetazioni non controllate. Lo studio forniva inoltre precise istruzioni operative, modalità di intervento, particolari costruttivi per i differenti elementi di fabbrica, nell’ambito della comprensione della concezione statica globale dell’organismo edilizio. I contenuti dello studio vengono recepiti dal Decreto del Ministro dei Lavori Pubblici del 24.1.86 “Norme tecniche relative alle costruzioni sismiche” nel quale si riportano metodi di calcolo e di verifica, indicazioni normative dimensionali e geometriche, coefficienti di sicurezza da applicare nei diversi casi. Nello specifico, in merito agli edifici esistenti, si formalizzano le definizioni di: • adeguamento sismico, ovvero “l’esecuzione di un complesso di opere che risultino necessarie per rendere l’edificio atto a resistere alle azioni sismiche definite ai punti C.9.5.3, C.9.6.3 e C.9.7.3” della medesima norma; • miglioramento sismico, ovvero “l’esecuzione di una o più opere riguardanti i singoli elementi strutturali dell’edificio con lo scopo di conseguire un maggior grado di sicurezza senza peraltro modificarne in maniera sostanziale il comportamento globale” Il D.M. LL.PP. 20.11.87 “Norme tecniche per la progettazione, esecuzione e collaudo degli edifici in muratura e per il consolidamento” riporta invece specifiche tecniche riguardanti la composizione e la classificazione delle malte, dei laterizi, dei blocchi in
nale costituita da singoli elementi resistenti collegati tra loro e con le fondazioni e disposti in modo da resistere alle azioni verticali e orizzontali. Identifica i sistemi principali che formano l’organismo edilizio: • muri sollecitati prevalentemente da azioni verticali; • muri sollecitati prevalentemente da azioni orizzontali; • solai piani. Ammette tre metodi di calcolo: il metodo semplificato valido per strutture di determinate geometrie e caratteristiche strutturali, il metodo delle tensioni ammissibili e il metodo semiprobabilistico agli stati limite. Definisce specificamente l’intervento di consolidamento come “esecuzione di un complesso di opere che risultino necessarie per rendere l’edificio atto a resistere alle azioni verticali ed orizzontali previste in progetto”. La Circolare M.LL.PP. 10.4.97 n° 65 “Istruzioni per l’applicazione delle norme tecniche per le costruzioni in zone sismiche” insiste sull’importanza degli elementi non strutturali che collaborano con la struttura nel sopportare le azioni sismiche o che possono indurre nella struttura comportamenti indesiderati; applica un metodo di calcolo che è consapevolmente “convenzionale” ossia basato su un’entità convenzionale dell’azione sismica e sul comportamento elastico lineare della struttura, legata al parametro della sua duttilità. La norma pone dei limiti alla costruzione degli edifici in muratura portante, che non possono superare i tre piani e che devono presentare nel calcolo un coefficiente di sicurezza superiore del 50% a quello degli edifici in muratura esistenti. Nell’ambito degli interventi di miglioramento sismico finalizzati ad aumentare i livelli di sicurezza senza modificare il comportamento strutturale globale e utilizzando materiali e tecniche tradizionali e contemporanee, si citano in particolare alcuni interventi specifici il cui compito è quello di aumentare la resistenza dei setti murari portanti:
La progettazione antisismica scenza del fabbricato e alla sua con- come l’edificio debba essere concenegli interventi di recupero figurazione tipologico-costruttiva. pito come una struttura tridimensioIl settore della normativa sismica ed in particolare degli interventi di recupero antisismico sugli edifici esistenti, siano essi di valore storico testimoniale o semplicemente parte del tessuto edilizio minore di tanti nostri centri storici, sta subendo una trasformazione per così dire epocale, a seguito dell’urgenza indotta da rilevanti eventi tragici recentemente succedutisi nel nostro paese e che tanto hanno impressionato l’opinione pubblica. Per poter comprendere appieno l’attuale orientamento normativo è necessario richiamare alcuni aspetti fondanti e significativi del vissuto precedente: nello specifico la norma ha generalmente legato la progettazione degli interventi di consolidamento a fini sismici degli edifici esistenti alla progettazione di nuovi edifici in laterizio, sovente separando i due casi esclusivamente mediante l’applicazione di differenti coefficienti di sicurezza. Oggi le esperienze maturate ci fanno dire che l’intervento su edifici esistenti presenta aspetti assolutamente singolari da valutare attentamente e che soprattutto è necessario formare una classe professionale di progettisti e controllori che sia in grado di predisporre adeguati interventi da un lato e dall’altro di effettuare le verifiche necessarie. Giova infatti ricordare che le esperienze maturate con i recenti terremoti nell’Italia centrale hanno mostrato una situazione di particolare degrado e appesantimento strutturale proprio là dove erano stati eseguiti precedenti interventi di consolidamento che non avevano tenuto in alcun conto la configurazione strutturale dell’organismo edilizio, il suo rapporto con l’edificato circostante e le proprietà meccaniche e chimicofisiche dei materiali presenti. Ad oggi la norma ripropone la conoscenza del fabbricato come elemento determinante per la corretta progettazione e per il successo dell’intervento, adeguando l’applicazione dei coeffi-
Esempi di interventi di consolidamento sismico per edifici storici
Il quadro soprariportato costituisce lo stato dell’arte della norma sismica per le costruzioni in laterizio e per le costruzioni esistenti ed ha condizionato e delimitato l’attività professionale in questo campo sino ad oggi. Nel 2003 a seguito di eventi drammatici è emersa la necessità di eseguire una revisione della norma stessa per diffondere un maggior grado di sicurezza soprattutto per quelle strutture, prevalentemente di tipo pubblico, che ospitano grandi assembramenti di persone o che possono diventare centri di protezione civile in caso di terremoto. Con l’Ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri n. 3274 del 20.3.03 “Primi elementi in materia di criteri generali per la classificazione sismica del territorio nazionale e di normative tecniche per le costruzioni in zona sismica” si sono introdotte significative novità sia in tema di dominio della norma sia in tema di aspetti tecnici connessi alla progettazione. Come sovente accade nel nostro paese, l’urgenza prodotta dai fatti sopraccitati ha probabilmente impedito di valutare attentamente la portata di alcune delle innovazioni introdotte tanto che oggi ci troviamo in una situazione caotica e di difficoltà interpretativa, per non parlare di alcune azioni decisamente oppositive organizzate da ordini professionali e regioni. Troviamo infatti: • l’Ordinanza P.C.M. n° 3316 del 2.10.03 che riporta un lungo elenco di correzioni apportate al testo e in particolare agli allegati tecnici 2, 3 e 4; • l’Ordinanza del P.C.M. n° 3333 del 23.1.04 che stabilisce di applicare il regime transitorio con il calcolo delle norme precedenti anche agli edifici cosiddetti sensibili, cosa che non era prevista nella norma generale ma che ne aveva reso di fatto impossibile l’immediata attuazione; • la Circolare del Dipartimento di Protezione Civile che deve chiarire la data di entrata in vigore della Ordinanza n° 3274, che consente alle Regioni
di modificare la mappa del rischio sismico con la tolleranza massima di una zona promettendo che entro un anno verrà varata una versione finale della stessa mappa, e che riafferma la necessità di applicare il regime transitorio anche agli edifici sensibili; • l’Ordinanza del P.C.M. n° 3379 del 5.1.04 nella quale si riporta una proroga della durata del regime transitorio da 18 a 24 mesi. L’incertezza normativa attuale è aumentata dai contributi di diversi gruppi di lavoro universitari e regionali che hanno inoltrato alla Protezione civile numerose osservazioni legate alla necessità di un tempo adeguato di formazione per i tecnici che devono passare da un metodo di calcolo noto, quale quello delle tensioni ammissibili, ad un altro molto meno conosciuto quale quello semiprobabilistico agli stati limite. La situazione pertanto si presenta sufficientemente caotica e gli scontri culturali che sono in atto non fanno propendere per soluzioni a breve termine. Per i professionisti impegnati ogni giorno nel campo degli interventi sismici sulle costruzioni esistenti rimangono in sintesi due punti fermi: • la nuova zonazione sismica, che introducendo il livello 4 “a basso rischio”, di fatto consente alle Regioni di applicare a tutto il proprio territorio, con differenti livelli di gravità, la norma sismica; • la consapevolezza che se da un lato è necessario provvedere con rapidità ad un aggiornamento della propria formazione professionale teorica, dall’altro è necessario non disperdere le competenze pragmatiche maturate in anni di intenso lavoro: l’applicazione della struttura teorica dei princìpi di calcolo negli edifici storici è di fatto improponibile se non mediata dagli elementi di conoscenza che provengono dalla tipologia edilizia, dalla concezione strutturale, dai caratteri materico-costruttivi e dalla tecnica di messa in opera dell’organismo edilizio specifico. Emanuele Gozzi
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• l’iniezione di miscele leganti; • l’applicazione di reti e betoncino; • le tirantature orizzontali e verticali.
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dal D.M. 236/89, che dalla L.R.
(v. anche l’Art. 82.8, D.P.R. 380/01).
tutti i progettisti conoscono bene. Importante per la comprensione delle leggi è il campo di applicazione, fondato su una duplice classificazione: destinazione d’uso e tipo d’intervento. Vi sono tuttavia dei margini d’interpretazione e di discrezionalità, ad esempio i casi in cui le leggi, statali e regionali, trattano gli stessi temi con prescrizioni diverse: dal punto di vista giuridico, prevale la più restrittiva, quella a maggior favore dei soggetti tutelati. Nonostante queste disposizioni legislative siano nei loro criteri ispiratori molto avanzate, e l’ultima legge emanata abbia ormai quasi dieci anni d’età, non riescono ad avere facilmente una corretta e sistematica applicazione. Non aiuta molto, in tempi di “DIA” e “Superdia”, neppure la presenza di esperti nelle commissioni edilizie comunali (Art.13, L.R. Lombardia 6/89). Durante la mia esperienza settennale nella Commissione Edilizia del Comune di Milano, ho potuto costatare come troppo spesso la rispondenza a queste norme venga purtroppo verificata alla fine del processo progettuale, e non sia parte del processo progettuale sin dall’inizio. Il risultato è che spesso le barriere restano: manca una vera cultura dell’accessibilità. Quali sono allora oggi i temi aperti, le norme più disattese? È evidente che i percorsi pedonali e gli edifici pubblici delle nostre città non sono realmente fruibili da tutti, in modo sicuro e agevole. Che fine hanno fatto i Piani di Eliminazione delle Barriere Architettoniche negli edifici pubblici prescritti dalla L. 41/86 all’Art. 31.21? Tutti i Comuni avrebbero dovuto redigerli entro il 1987, e in base alla Legge quadro 104/92, Art. 24.9, integrarli per assicurare l’accessibilità degli spazi urbani, con percorsi accessibili, semafori acustici per i non vedenti, segnaletica installata in modo tale da non ostacolare il passaggio
vigenti, dovrebbero essere accessibili; la L. 41/86 all’Art. 32.20 decretava che non possono essere approvati progetti di costruzione o ristrutturazione di opere pubbliche né essere erogati dallo Stato contributi o agevolazioni per la realizzazione di progetti in contrasto con le norme vigenti. La L.R. Lombardia 6/89 all’Art. 15 obbliga i Comuni a destinare una quota non inferiore al 10% delle entrate derivanti dagli oneri di urbanizzazione, ai fini dell’abbattimento delle barriere per opere, edifici e impianti di loro competenza: quanti Comuni rispettano questa norma, quanti accantonano questa percentuale e quanti la utilizzano per l’eliminazione delle barriere e non per generiche risistemazioni? Tutti gli edifici aperti al pubblico, devono essere facilmente raggiungibili; gli spazi di relazione e almeno un servizio igienico devono essere accessibili. L’Art. 24 della L. 104/92, disciplina gli aspetti edilizi di tutte le opere edilizie relative agli edifici pubblici e privati aperti al pubblico: per la L. 104/92 i tipi d’intervento soggetti alla normativa statale vengono estesi a “tutte le opere” e non solo a interventi di “nuova costruzione e ristrutturazione” come definiti nella L. 13/89. Sono quindi compresi tutti gli interventi sull’esistente ora assoggettabili a DIA, cioè anche le opere concernenti spostamenti di tavolati o porte di uffici, studi medici, negozi, laboratori aperti al pubblico, ove è sufficiente una dichiarazione del professionista di conformità alle norme vigenti, i lavori si possono eseguire senza richiesta di autorizzazione comunale, tranne in caso di deroghe. In caso di stabili vincolati, spesso non è possibile inserire un ascensore per non compromettere il soffitto originale, mentre è consentito garantire l’accesso mediante opere provvisionali, anche se queste opere in genere sono poco in sintonia con la bellezza degli edifici storici e non hanno quasi mai carattere temporaneo.
Le norme per l’eliminazione Lombardia 6/89: accessibilità, visita- Gli edifici pubblici di nuova costruzione, delle barriere architettoniche bilità, adattabilità, termini che ormai ma anche esistenti, ai sensi delle leggi Nel numero 10/2004 di “AL” questa rubrica si era già occupata di fruibilità e progetto per tutti affermando che le normative di riferimento sono quelle per “l’eliminazione delle barriere architettoniche”. Cerchiamo ora di ricordarle, evidenziando alcuni aspetti, forse poco noti, rimandando per un approfondimento alla lettura dei testi integrali delle leggi, e per una comparazione tematica, ai quaderni tecnici citati nel precedente articolo, editi dal Comune di Milano. I primi interventi normativi per l’eliminazione delle barriere iniziano oltre 30 anni fa, per gli edifici pubblici e aperti al pubblico, con la circolare del Ministero dei LL.PP. 4809 del 1968, con la L. 118/71 e con il loro regolamento d’attuazione: il D.P.R. 384/78 (ora abrogato e sostituito con il D.P.R. 503/96). Il D.P.R. 384/78: un caposaldo legislativo nel campo delle strutture pubbliche e aperte al pubblico, è stato a lungo ignorato dagli operatori e dalle Pubbliche Amministrazioni, tanto che otto anni dopo, la L. n. 41, del 28 febbraio 1986, stabilì che tutte le Amministrazioni Pubbliche dovessero redigere un piano comunale di individuazione delle barriere negli edifici pubblici esistenti, per la loro eliminazione. La Legge quadro 104/92 riguarda gli edifici pubblici e privati aperti al pubblico e, a differenza delle altre leggi statali, è l’unica che prevede sanzioni. Finalmente la Legge 13/89 estende il campo di applicazione agli edifici privati: il suo decreto di attuazione D.M. 236/89, con il D.P.R. 503/96, costituisce il riferimento tecnico-prescrittivo statale. Nonostante gli interventi legislativi siano stati molti, e in alcuni casi di difficile interpretazione, i quesiti sulla modalità di applicazione appaiono ormai chiariti. La fruibilità del costruito va ricercata garantendo i tre requisiti richiesti sia
Le situazioni di emergenza come gli incendi, per i disabili, non sono ancora risolte né a livello legislativo né pratico, anche se il D.M. 236/89 (Artt. 4.6, 5.2, 8.1.14) prescrive di prevedere, negli interventi soggetti alla normativa antincendio, vie di fuga accessibili e/o un luogo sicuro statico (D.M. 30/11/83) dove le persone con mobilità ridotta o in carrozzina, possano attendere i soccorsi. Nei luoghi di lavoro, in base al D.L. 626/94 e al D.M. 10 marzo 1998, per la valutazione dei rischi d’incendio, si richiama l’attenzione anche ai casi in cui le persone possono essere esposte a rischi particolari a causa della loro disabilità: la Circolare 4/2002 del Ministero dell’Interno fornisce alcune linee guida. Ricordo che ai sensi del D.L. 626/94, Art. 30, nelle aziende soggette al collocamento obbligatorio, tutti gli spazi in cui il lavoratore disabile può entrare devono essere accessibili; se le persone disabili impiegate in quella azienda lavorano in un altro stabile, gli spazi di relazione devono comunque essere accessibili. Perché i luoghi aperti al pubblico, gli uffici, i bar, i ristoranti, i cinema, i musei, hanno spesso un servizio igienico speciale per le persone disabili e non semplicemente un servizio igienico accessibile? Tralasciando i problemi che sorgono nel caso di opere in locali commerciali di ridotte dimensioni, (dove il bagno è sempre un problema, e la legge regionale non fa sconti anche se i locali non superano i 250 mq!), in base all’Art. 8 del D.P.R. 503/96, in tutti i luoghi pubblici è obbligatorio realizzare almeno un bagno accessibile, con tazza e lavabo, per ogni nucleo di servizi installato. Allora perché fare un servizio maschile, uno femminile e uno per i disabili? Meglio se i due servizi, maschile e femminile, sono realizzati con sanitari sospesi, non “speciali”, e che le dimensioni minime richieste siano rispettate con accorgimenti progettuali. Perché alcune A.S.L. non accettano tali soluzioni, che pur garantiscono l’accessibilità? L’elaborato di adattabilità richiesto
per tutti gli edifici privati per le parti che non devono essere accessibili o visitabili, rischia di essere una presa in giro, poiché nel momento in cui si necessita di rendere accessibile lo spazio progettato, le soluzioni previste non risultano praticabili tecnicamente e neppure a costi limitati. Quante case di riposo milanesi di nuova costruzione hanno considerato l’esigenza delle persone di vedere il panorama esterno, anche se a letto o sedute? Eppure, oltre al D.M. 236/89 (Art. 4.1.3) anche il Regolamento edilizio milanese (Art. 45), raccomanda di permettere la “visione lontana” anche a persone sedute. L’Art 8.1.8 del D. M. 236/89 considera la sicurezza di balconi e terrazze, richiamata dall’Art. 32.3 del R.E. di Milano in modo troppo limitativo: “L’altezza dei parapetti e dei davanzali non può essere inferiore a metri 1,10, con l’obbligo di realizzare balaustre, unicamente con andamento verticale delle stecche, poste tra loro a non più di 10 cm”: impossibile progettare parapetti diversi, magari vetrati! Con le modifiche del Regolamento Edilizio (non ancora approvate dalla Giunta Comunale), l’articolo verrebbe finalmente così riscritto: “Davanzali e parapetti debbono avere un’altezza non inferiore a metri 1,10 e debbono garantire, per disegno e materiale di contenimento impiegati, condizioni di sicurezza”. Isabella Tiziana Steffan
Note 1. Nota è la sentenza del 25/2/2000 del Tribunale di Verbania che condannava un Direttore dei Lavori, che ometteva la realizzazione di un mezzo di accessibilità verticale per raggiungere una sala cinematografica posta al primo piano, a L. 20.000.000 di ammenda, sospensione per tre mesi dall’albo professionale e risarcimento dei danni morali. La Corte Suprema di Cassazione, adita in sede di ricorso da parte del professionista, ha confermato la condanna.
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Le sanzioni, previste all’Art. 24.7 della L. 104/92, riguardano le opere realizzate negli edifici pubblici e privati aperti al pubblico, realizzate in difformità delle disposizioni tecniche: a livello amministrativo, le opere saranno dichiarate inabitabili e inagibili; a livello penale, il Progettista, il Direttore dei Lavori, il Responsabile tecnico degli accertamenti per l’agibilità e l’abitabilità e il Collaudatore, ciascuno per le proprie competenze, saranno puniti con un’ammenda da 5.164,00 a 25.822,00 (Art. 82.7, D.P.R. 380/01); a livello professionale, i predetti tecnici saranno sospesi dai relativi albi professionali per un periodo compreso da uno a sei mesi. Tuttavia i casi in cui queste sanzioni sono state applicate sono davvero molto rari. Quante scuole, private o pubbliche, hanno installato un ascensore, invece del servoscala, di più facile collocazione, per superare un solo piano? La legge lombarda, a differenza di quelle statali, lo prescrive (Art. 5.3.3 dell’allegato) per tutti gli edifici aperti al pubblico esistenti o di nuova costruzione; quelle statali precisano che i servoscala sono ammessi solo negli edifici esistenti, per superare differenze di quote contenute, in via subordinata ad ascensori e rampe. Peraltro, ai sensi del D.P.R. 380/01, titolo II, Art. 6, l’inserimento di un ascensore interno all’edificio, può essere eseguito senza titolo abilitativo. Si sono visti molti casi di edilizia residenziale esistente in cui l’inserimento di un ascensore nel vano scala, di dimensioni molto ridotte, riduce pure le dimensioni della scala condominiale, compromettendone l’uso agevole (pensiamo alle barelle, ai casi di trasloco). L’Art. 6.2 del D.M. 236/89 prescrive che “l’installazione dell’ascensore all’interno del vano scala non deve comprometterne la fruibilità in relazione alla necessità di garantire un adeguato deflusso in caso di evacuazione in situazione di emergenza”, lasciando l’individuazione delle dimensioni minime alla discrezionalità del professionista. Come viene garantita la sicurezza per tutti?
a cura di Manuela Oglialoro e Camillo Onorato
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Leggi G.U. n. 280 del 29.11.2004 Serie generale Disposizioni urgenti in materia fiscale e di finanza pubblica Il seguente Decreto Legge all’Art. 10 tratta dei termini in materia di definizione di illeciti edilizi. Al Decreto Legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, dalla Legge 24 novembre 2003, n. 326, e successive modificazioni, sono apportate talune modifiche. Nell’Allegato 1 le parole “20 dicembre 2004” e “30 dicembre 2004”, indicate dopo le parole “seconda rata” e “terza rata”, sono sostituite, rispettivamente dalle seguenti: “31 maggio 2005” e “30 settembre 2005”. Nell’Allegato 1, ultimo periodo, le parole “30 giugno 2005” inserite dopo le parole “deve essere integrata il” sono sostituite dalle seguenti: “31 ottobre 2005”. Al comma 37 dell’Articolo 32 le parole “30 giugno 2005” sono sostituite dalle seguenti: “31 ottobre 2005”. La proroga al 31 maggio 2005 ed al 30 settembre 2005 dei termini stabiliti per il versamento della seconda e terza rata dell’anticipazione degli oneri concessori, opera a condizione che le regioni, prima della data di entrata in vigore del presente decreto, non abbiano dettato una diversa disciplina. L’Art. 10 inoltre riguarda taluni aspetti finanziari inerenti la materia. G.U. n. 288 del 9.12.2004 Serie generale Decreto 24 novembre 2004. Disposizioni di attuazione dell’Art. 109, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, recante il testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia L’Art. 1 del decreto riguarda l’istituzione dell’albo presso ciascuna camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura, indicata come “camera di commercio”. Tale albo è composto da soggetti in possesso dei requisiti professionali di cui al comma 1 del medesimo Art. 109. Gli articoli successivi considerano le presentazione della domanda di iscrizione, la dimostrazione del possesso dei requisiti, le domande di modifica, l’esame delle domande e l’accoglimento e reiezione delle domande. L’Art. 7 stabilisce le notizie desumibili dall’albo, da cui devono risultare: nome, cognome, luogo e data di nascita, codice fiscale, residenza e domicilio profes-
sionale, indirizzo di posta elettronica e recapito telefonico dell’interessato. Tipologia degli impianti per la quale è stata ottenuta l’iscrizione. Requisiti professionali sulla base dei quali è stata disposta l’iscrizione, con riferimento alle tipologie previste dall’Art. 109, comma 1, del T.U. Eventuali provvedimenti di sospensione o cancellazione disposti dalla camera di commercio ai sensi degli Artt. 10 e 11 del presente decreto. Data dell’iscrizione. Numero di iscrizione all’albo. Gli Artt. 8, 9, 10 e 11 trattano della revisione dell’albo, della sospensione dell’iscrizione, della cancellazione dall’albo. B.U.R.L. del 2.12.2004 3° Suppl. straordinario al n. 49 D.g.r. 19 novembre 2004 – n. 7/19422 Approvazione della scheda d’iniziativa F.R.I.S.L. 2005/2007 “Edilizia scolastica – Scuole dell’infanzia, primarie e secondarie di primo grado” La giunta regionale delibera di approvare la scheda relativa all’iniziativa F.R.I.S.L. 2005-07, “Edilizia scolastica – Scuole dell’infanzia, primarie e secondarie di primo grado” allegata alla presente deliberazione. Gli obiettivi del decreto riguardano la promozione, il miglioramento e la qualificazione del sistema dell’educazione tramite opere di ristrutturazione e messa a norma (staticità, sicurezza, igiene ed eliminazione rischi delle barriere architettoniche) di scuole dell’infanzia, primarie e secondarie di primo grado, ampliamenti e riconversioni di edifici esistenti e nuove realizzazione di scuole dell’infanzia. Nel testo del seguente decreto sono segnalati gli indicatori di efficacia, la dotazione finanziaria, il tipo ed entità dei contributi, i beneficiari, i criteri relativi alle domande, i criteri di valutazione e selezione dei progetti e l’erogazione di contributi. B.U.R.L. del 2.12.2004 3° Suppl. straordinario al n. 49 Circ. r. 22 novembre 2004 – n. 40 Modalità per l’accesso ai contributi F.R.I.S.L. 2005/2007 iniziativa “Edilizia scolastica – Scuole dell’infanzia, primarie e secondarie di primo grado” La parte prima della circolare riguarda il quadro di riferimento, ed in particolare l’istituzione del F.R.I.S.L., le iniziative finanziate e la modalità di assegnazione dei contributi, l’erogazione di contributi e le revoche, i rientri del F.R.I.S.L., le note per l’ammissibilità delle domande e le priorità. Inoltre, le condizioni e modalità per l’erogazione di contributi e l’informativa ai
sensi del D.Lgs. 196/03. La parte seconda riguarda la presentazione delle domande e la documentazione richiesta. B.U.R.L. del 16.12.2004 3° Suppl. straordinario al n. 51 D.g.r. 26 novembre 2004 – n. 7/19683 Modificazione allo “Schema di bando tipo per assegnazione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica nella Regione Lombardia” ed alla “Modulistica per l’assegnazione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica” approvati con D.g.r. del 19 marzo 2004, n. 7/16805 Il decreto riguarda la sostituzione di allegati della legge 19 marzo 2004, n. 7/16805 con l’Allegato 1 contenente “l’allegato 1. A schema di Bando e Note e l’allegato 1.B Schema di domanda e allegati” riguardanti il bando per l’assegnazione di alloggi di edilizia residenziale pubblica. B.U.R.L. del 23 .12.2004 3° Suppl. straordinario al n. 52 D.g.r. 3 dicembre 2004 – n. 7/19711 Approvazione della variante n. 2 al Piano territoriale di coordinamento del Parco Regionale del Serio (ai sensi dell’Art. 19 comma 2, della L.r. 86/83 e successive La giunta regionale delibera di approvare con modifiche la variante n. 2 al Piano Territoriale di Coordinamento del Parco regionale del Serio costituite dallo stralcio delle norme tecniche di attuazione, di stabilire gli ambiti di variante, di riconfermare il Piano Territoriale di Coordinamento del Parco regionale del Serio approvato con deliberazione della Giunta regionale 28 giugno 2000, n. 7/192 ”approvazione del Piano Territoriale di Coordinamento del Parco regionale del Serio“ e successive varianti. Inoltre, il decreto istituisce che la variante al Piano Territoriale di Coordinamento del Parco regionale del Serio assume i contenuti di piano territoriale paesistico ai sensi degli Artt. 4 e 5 della Legge 27 maggio 1985 n. 57 e successive modificazioni ed integrazioni. C. O.
Stampa Edilizia Milano boccia il 25% dei sottotetti (da “Edilizia e Territorio” del 13-18.12.04)
Prefabbricati antiterremoto. Ance: adeguare costa più che ricostruire gli edifici (da “Italia Oggi” del 1.12.04) In un recente convegno su “Forma e struttura, soluzioni innovative di progettazione e aspetti normativi in zona sismica”, tenutosi a Erbusco, (Brescia), organizzato da Moretti, industria delle costruzioni, si è trattato della nuova ordinanza n. 3274, con cui la normativa italiana, in materia di rischio sismico, si è omologato a quella del resto d’Europa e dei paesi ad alta sismicità. In questa nuova normativa particolare attenzione è dedicata alla progettazione delle strutture prefabbricate. Fisco Non paga l’Irap il professionista privo di un’organizzazione stabile (da “Edilizia e Territorio” Norme e Documenti n. 46/2004) La Corte Suprema di Cassazione, sezione quinta civile, con sentenza del 5 novembre 2004, n. 21203, ha riconosciuto che il professionista che esercita privo di una struttura organizzativa non è soggetto all’Imposta regionale sulle attività produttive (Irap). La vicenda riguarda in particolare un ingegnere il quale, oltre ad esercitare da casa, aveva dimostrato di essersi avvalso di sole collaborazioni occasionali e quindi non aveva dipendenti subordinati a tempo indeterminato. Impianti Nasce un nuovo albo degli impiantisti. Iscrizione alle Camere di Commercio (da “Edilizia e Territorio” n.49/2004) Pubblicato in Gazzetta il decreto del Ministero Attività produttive che istituisce il nuovo albo degli installatori d’impianti. Si tratta di un adempimento previsto dal testo unico dell’edilizia e dalle nuove norme sugli impianti. Ora tali norme e l’istituzione del nuovo albo sono stati prorogati sino al 30.6.2005.
Fatturato boom per l’impiantistica (da “Edilizia e Territorio”, supplemento al n. 48 del 13-18.12.04) Nel 2003 il vertice dell’ingegneria/impiantistica fattura 17.988,3 milioni di euro con un incremento rispetto al 2002 del 12,1%. Il significativo incremento di fatturato è trainato da alcuni casi di particolare dinamismo, tra i quali spiccano le società Tecnimont, Snamprogetti e Metropolitana Milanese. Infrastrutture Fs, l’architettura entra in stazione (da “Edilizia e Territorio” del 27.12.04/1.1.05) Sono diverse le iniziative previste da Fs per il 2005: tre concorsi internazionali di architettura per le nuove stazioni di Bologna (Alta velocità), Padova e Bergamo; un concorso di progettazione, in collaborazione con la Regione Campania, per disegnare la nuova fermata di Striano sulla linea a Monte del Vesuvio, un concorso per architetti “under 35” per progettare un nuovo modello di piccola stazione da utilizzare omogeneamente sul territorio. Navigli Milano, Bodin firma la Darsena. Piano per rendere i Navigli lombardi navigabili (da “Edilizia e Territorio” del 27.12.04/1.1.05) Assegnato a Milano il concorso di progettazione per la riqualificazione dello storico punto d’approdo che tramite i corsi d’acqua artificiali dei Navigli collegava la metropoli al fiume Ticino. Su progetto dello studio francese Bodin e associati, verranno realizzate opere per 20 milioni di euro. Un nuovo terrapieno a forma di sperone che riprende il tracciato delle vecchie mura spagnole, un edificio in vetro e acciaio come nuovo mercato e ponti in legno pedonali per attraversare il bacino. Normativa La Dia è sufficiente se il cambio di destinazione d’uso è senza lavori (da “Edilizia e Territorio” Normativa e Documenti n. 47/2004) La Corte di Cassazione, Sezione II Civile, con sentenza del 22.11.04, n. 2204, ha stabilito che, in assenza di opere edilizie,
la modificazione della destinazione d’uso degli immobili, può essere realizzata in base a una “denuncia d’inizio attività”, che sostituisce la precedente “autorizzazione”. Regione Carbonara sbarca a Monza: restauro conservativo e un nuovo auditorium da 400 posti (da “Edilizia e Territorio” del 13-18.12.04) Dopo il teatro alla Scala di Milano tocca al Palazzo Reale di Monza. La Lombardia mette mano a un altro famoso edificio dell’architetto Piermarini. Assegnato al gruppo guidato dal professor Carbonara il concorso per il recupero e la valorizzazione della monumentale struttura e dei suoi giardini risalente al 1769. Sicurezza Un anno in più ad alberghi e villaggi per allestire le misure antincendio (da “Edilizia e Territorio” Norme e Documenti n. 46/2004) Alberghi o strutture ricettive con più di 25 posti letto hanno tempo fino al 31 dicembre 2005 per adeguarsi alla normativa antincendio e realizzare le misure di sicurezza necessarie. È una delle numerose proroghe contenute nel decreto legge del 9.11.04, n. 266. Il rinvio riguarda anche l’edilizia scolastica, per cui il termine degli interventi, per adeguamento e messa in sicurezza, è differito di dodici mesi.
Tecnologia Case acchiappa sole. A Friburgo prototipo ecosostenibile (da “Italia Oggi” del 8.12.04) Solai galleggianti e impianti isolati in cavedi antirumore, ventilazione meccanica che utilizza i pannelli fotovoltaici per alimentarsi, ma anche case silenziose ed ecosostenibili per un maggior risparmio energetico in base alla direttiva n. 2002/91 sull’efficienza energetica degli edifici. Sono questi alcuni degli argomenti affrontati recentemente a Roma nel convegno “Case silenziose ed ecosostenibili, il nuovo approccio della progettazione per il benessere ambientale”, organizzato dall’Anit, Associazione nazionale per l’isolamento termico e acustico. M. O.
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Milano estende l’esame di impatto paesistico dal solo recupero dei sottotetti a tutti gli interventi di ampliamento, nuove costruzioni, ristrutturazioni in aree non soggette ad alcun vincolo monumentale o paesistico e ai progetti presentati con Dia. Sono stati valutati 1294 progetti e respinte preliminarmente 332 pratiche.
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Ordine di Bergamo tel. 035 219705 www.bg.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettibergamo@archiworld.it Informazioni utenti: infobergamo@archiworld.it Ordine di Brescia tel. 030 3751883 www.bs.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettibrescia@archiworld.it Informazioni utenti: infobrescia@archiworld.it Ordine di Como tel. 031 269800 www.co.archiworld.it Presidenza e segreteria: architetticomo@archiworld.it Informazioni utenti: infocomo@archiworld.it Ordine di Cremona tel. 0372 535411 www.architetticr.it Presidenza e segreteria: segreteria@architetticr.it Ordine di Lecco tel. 0341 287130 www.lc.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettilecco@archiworld.it Informazioni utenti: infolecco@archiworld.it Ordine di Lodi tel. 0371 430643 www.lo.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettilodi@archiworld.it Informazioni utenti: infolodi@archiworld.it Ordine di Mantova tel. 0376 328087 www.mn.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettimantova@archiworld.it Informazioni utenti: infomantova@archiworld.it Ordine di Milano tel. 02 625341 www.ordinearchitetti.mi.it Presidenza: consiglio@ordinearchitetti.mi.it Informazioni utenti: segreteria@ordinearchitetti.mi.it Ordine di Pavia tel. 0382 27287 www.pv.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettipavia@archiworld.it Informazioni utenti: infopavia@archiworld.it Ordine di Sondrio tel. 0342 514864 www.so.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettisondrio@archiworld.it Informazioni utenti: infosondrio@archiworld.it Ordine di Varese tel. 0332 812601 www.va.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettivarese@archiworld.it Informazioni utenti: infovarese@archiworld.it
Bergamo Mostra: Architettura e Ideologia – 1930/1945 Bergamo, Sede dell’Ordine degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori della Provincia di Bergamo, 2 – 23 dicembre 2004 Indici del Catalogo realizzato in occasione della mostra (reperibile presso la segreteria dell’Ordine): • Achille Bonardi, Conoscere per meglio capire; • Antonio Cortinovis, Architettura e ideologia o ideologia dell’architettura?; • Eugenio Guglielmi, Novecento e “Novecentismi”; • Alessandro Ubertazzi, Aspetti etici del progetto alle diverse scale; • Gianluca Sgallippa, Urbanità per la ruralità I settori espositivi: • Architettura e didattica • La Storia e l’architettura • Gli edifici pubblici • La salute e lo svago: aria, luce, sole • Le città di nuova formazione • Le architetture d’oltre mare • L’E42 e le Olimpiadi della Civiltà Documenti e testimonianze • Industrie d’arte e la guerra, Gio Ponti • Eugenio Guglielmi, “Impugnate i picconi e le scuri senza pietà” • Una testimonianza del passato: la “Casa Littoria di Bergamo” intervista ad Alziro Bergonzo • Il Palazzo postelegrafonico di Belluno di Alberto Alpago Novello • L’immagine di Regime attraverso la ristrutturazione, negli anni ’30 • L’architettura del possibile: intervista ad Alberto Sartoris • Giochi d’acqua: le Colonie fluviali e le Società Canottieri di Cremona • E42: la grande avventura del mito • La Triennale: storia di un progetto culturale di Francesco Trabucco “Non è certo l’architettura romana che torna, ma è l’architettura italiana che procedendo nelle sue vie, ferma in un lirico gesto la evocazione dell’architettura antica” Gio Ponti, 4 maggio 1939
Conoscere per meglio capire Le recenti vicende sulla destinazione della “Torre dei Venti”, detta “dell’autostrada”, ci fanno comprendere quanto sia ancora precaria e difficile la convivenza tra passato e presente per guardare in modo pacato al futuro. Abbiamo già dichiarato apertamente in occasione della mostra precedente sull’Immagine della città come il nostro Ordine partecipi al dibattito ormai diffuso sulla conservazione e la tutela della opere di architettura, con particolare riferimento all’appena trascorso Novecento. Ecco perché anche questa volta abbiamo voluto dare il nostro sostegno alla mostra “Architettura e ideologia – 1930/1945”, perché solo affrontando argomenti anche scomodi è possibile dipanare dubbi e perplessità ancora molto diffusi, nonché fornire nuovi spunti di riflessione sul futuro delle nostre città. Questa rassegna, tra le altre cose, ha respiro nazionale. L’Ordine di Bergamo ha voluto, cioè, secondo la sua consolidata storia, uscire dalla “sua” Bergamo che per tanti versi, pur rappresentandosi nello stretto ambito della sua vita sociale e culturale, ha conosciuto nel tempo confronti molto ampi per la presenza di illustri personaggi, come le attive frequentazioni di Marcello Piacentini, di Giovanni Muzio, o i pendolarismi culturali con la vicina Milano di Giuseppe Pizzigoni, Giacomo Manzù, Achille Funi. Anzi, la nostra città vanta la realizzazione di un Piano Regolatore che, per problemi affrontati e risolti, può essere paragonato alla realizzazione di una vera e propria nuova città, molto in anticipo con quelle che furono poi le ortogonali urbanizzazioni di nuova fondazione degli anni Trenta. La mostra vuole, inoltre, stabilire un dialogo permanente con
la stessa Bergamo e le sue istituzioni, ed è per questo motivo che sono state scelte le sale espositive della nuova sede del nostro Ordine Professionale. Questo lavoro è inoltre concepito come momento intermedio di un trittico espositivo che, iniziato nel 2003, si concluderà il prossimo anno con la mostra dedicata al rapporto tra Arte e Architettura, nella figura di Leone Lodi, scultore tutto da conoscere e che consolidò una felice collaborazione con Bergamo e i suoi architetti. Un ringraziamento particolare va ai prestatori dei materiali delle opere esposte, al collega arch. Antonio Cortinovis, coordinatore della Commissione Cultura e a tutti i colleghi che hanno dedicato tempo e passione a questa iniziativa e al gruppo degli studenti del corso di Design Industriale della facoltà di Architettura di Firenze, che tramite la Cattedra di Storia dell’Arte Sociale del nostro collega arch. prof. Eugenio Guglielmi, hanno reso possibile questo progetto. dott. arch. Achille Bonardi Presidente dell’Ordine degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori della Provincia di Bergamo Al di là delle barricate Questa rassegna espositiva prende spunto da un famoso saggio scritto da Giulio Carlo Argan nel 1957 intitolato “Architettura e ideologia”. Ci è sembrato, infatti, che mai come oggi sia necessario affrontare serenamente quello che molte volte ci si domanda tra colleghi circa il dramma che ormai sembra incombere come una maledizione sul ruolo della nostra architettura contemporanea e la sua qualità di sopravvivenza. È inutile nasconderlo, dei nuovi lavori eseguiti anche da illustri maestri, pochi tengono il confronto con le opere edificate nel cuore del XX secolo nonostante le guerre, la cattiva manutenzione, l’inquinamento e lo stravolgimento urbano. Materiali incongrui, degradi repentini, collocazioni improprie: questo è il volto assunto dalle nostre città negli ultimi cinquant’anni, ormai sull’orlo del collasso così che oggi le teorie estetiche e sociali più avanzate incominciano ad accet-
Oggi scopriamo con un certo imbarazzo che dopo il Rinascimento, quello delle città ideali e degli ancora insuperati capolavori artistici, dobbiamo arrivare alla fine degli anni Venti del secolo passato per ritrovare ciò che in un decennio cambiò larga parte della nostra nazione, ma, come è dimostrato dalla mostra, questi cambiamenti sono ancora vivi e rappresentativi nel nostro vivere quotidiano. Non siamo stati cioè capaci, nonostante tutto, di dare soluzioni alternative, o quantomeno modificare con la stessa tensione opere prodotte da un regime quanto mai vituperato nei cinquant’anni seguenti. Anzi, in alcuni casi come Milano e Bergamo scopriamo che l’immagine che le identifica è proprio quella formatasi dall’ideologia tra gli anni Trenta e Quaranta. Si scoprono così materiali duraturi, “autarchici”, saggezze artigianali, ampie visioni progettuali per dare all’Italia un volto nuovo che doveva essere documentato a Roma nel 1942 con la cosiddetta “Olimpiadi della Civiltà”, tra l’altro concepite e progettate inizialmente da intellettuali di prim’ordine come l’editore Valentino Bompiani e il famoso studio di architettura milanese BBPR. Di queste cose se ne parla ancora con disagio: globalità, appiattimento culturale, esorcizzazione di termini come “civiltà” e “patria”, hanno creato vuoti storiografici tutt’ora incolmati. Si stenta a riconoscere che personaggi “al di sopra di ogni sospetto” intrattennero con l’ideologia quotidiani rapporti. Ma di questo oggi se ne può finalmente parlare. I curatori: dott. arch. Achille Bonardi dott. arch. Antonio Cortinovis dott. arch. Fernando De Francesco dott. arch. Eugenio Guglielmi dott. arch. Alessandro Pellegrini
Lodi La storia racconta. L’antica chiesa di Marudo (Seconda parte) Proseguendo: “All’esterno della porta maggiore vi è un piccolo
capitello [termine anomalo per indicare un pronao, ovvero una tettoia contornata da un cornicione, n.d.a.], alla destra è dipinta l’immagine di San Gervaso e alla sinistra quella di San Protaso [si intende un affresco collocato sull’ingresso principale riproducente i due Santi Martiri Patroni, n.d.a.]. Vi è la cinta del cimitero in legno, e all’interno di esso vi è una pianta di Navone di media grandezza”; il cimitero in passato era collocato davanti alla chiesa, obbligando il fedele ad attraversarlo, con l’intento di mantenere sempre vivo il concetto di provvisorietà della vita terrena e portando a riflettere sulla nostra condotta. “All’interno la chiesa è dipinta con varie figure in pessimo stato di conservazione. Ha due altari, uno detto il maggiore che guarda verso sera, l’altro detto della Madonna, che guarda a settentrione”. Difatti fino al Concilio Vaticano II, il sacerdote celebrava la Santa Messa dando le spalle ai fedeli, dopo il Concilio l’altare è stato collocato in modo da mantenere il sacerdote di fronte all’assemblea dei fedeli, essendo lo stesso essenzialmente un tavolo che si rifà a quello dell’ultima cena. “Nel Coro vi è un letturino di legno, sostenuto da tre piedi. Nella chiesa vi sono quattro finestre, due biquadre e due semisferiche tutte con il suo vetro. Vi sono quattro nicchie, due per parte, quelle due sulla sinistra racchiudono di San Defendente e di Sant’Antonio da Padova le statue e quelle della destra tengono dentro le statue dei due SS. Protettori, le statue sono di legno intarsiato, ingessato e con i suoi decori. Alla destra dell’entrata della porta maggiore un lavello di marmo bianco, ed uno incastrato nel muro vicino alla porta piccola per l’acqua benedetta. Alla sinistra dell’entrata della porta maggiore vi è il Battistero, cinto di balaustra di legno, chiuso con catenaccio di ferro. Il fonte di marmo, il coperchio è di rame, un mestolino d’argento per infondere l’acqua; di sopra vi stà pitturato il San Giovanni Battista in atto di battezzare il Signore. Vi è la sua torre [campanile, n.d.a.] situata tra la sagrestia e la chiesa con le sue tre campane”; segue un lungo
elenco di arredi e suppellettili che adornavano la chiesa. Da questa se pur sintetica descrizione, è possibile immaginare come poteva essere la chiesa dal punto di vista architettonico, ma non è possibile capire dove fosse collocata. Per individuare la sua ubicazione, dobbiamo esaminare un altro documento e confrontarlo con la mappa catastale dell’epoca. Si tratta di un accordo datato 18 luglio 1770, redatto per la costruzione della nuova casa parrocchiale (corrispondente a quella attualmente esistente). L’accordo fu sottoscritto tra l’Arciprete di Marudo Opizzi, e i deputati della congregazione degli abitanti, delegati dalla comunità per la costruzione della nuova chiesa. Dalla lettura del testo emerge quanto segue: “formare una casa con tutti quei comodi in proprietà segnati nel nuovo disegno, cedendo a tal fine tutta la chiesa vecchia, parte della quale dovrà servire per la fabbrica della casa e parte dovrà convertirsi in giardino, come pure il cimitero anteriore della chiesa”. Per far spazio alla nuova casa del parroco, l’antica chiesa veniva in parte demolita, e in parte inglobata nella nuova residenza. La parte inglobata è identificabile, ancora oggi, in quanto corrisponde all’attuale sala dell’oratorio dove è contenuto il bar e costituiva la parte anteriore della chiesa dove trovavano spazio i fedeli durante la celebrazione delle funzioni religiose (la larghezza di tale locale comprensivo dei muri, coincide con la larghezza dell’antica chiesa, indicata nel documento del 1713 precedentemente citato). La parte demolita, che comprendeva il presbiterio e il coro, sorgeva nella zona del cortile sul retro della casa parrocchiale (attualmente pavimentata in blocchetti di cemento) e si prolungava fino al vano dell’attuale centrale termica, dove un tempo era collocato il campanile (che gli stava a fianco). Altri due elementi testimoniano la presenza in quel punto dell’antica costruzione sacra: un antico affresco attualmente visibile e la mappa Catastale di Maria Teresa d’Austria, che individua il perimetro della costruzione.
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tare l’idea dell’abbattimento di alcuni di questi cattivi esempi del nostro vivere quotidiano. Sappiamo oramai che il movimento moderno è stata una grande utopia coltivata da menti elette, ma nulla si è poi fatto in vista della sua manifesta crisi per inserire nuovi modelli correttivi. All’architettura odierna è sfuggita di mano la Scuola, la formazione degli studenti e abbiamo assistito con silenzi consenzienti all’abbandono dei materiali tradizionali e del loro uso, innescando anche processi economici negativi che solo in questi ultimi tempi si tenta di recuperare; ci riferiamo, in particolare, all’attività di estrazione e di lavorazione dei materiali lapidei più nobili che hanno fatto la nostra fortuna e la nostra storia civile. La professione dell’architetto si è ormai quasi limitata, nella norma, ad una sapiente quanto aggiornata capacità di saper ben sfogliare qualche catalogo di settore delle ditte produttrici di materiali, accontentandosi poi di delegare alle imprese costruttrici tutto il resto. La fretta, il risparmio, la mancanza di politici illuminati, con l’affievolirsi della morale collettiva hanno determinato e condizionato le nostre scelte. E chi non volesse accettare questa cruda descrizione lo fa solo per personale presunzione. Quali erano allora le motivazioni, le cause che fino a sette, otto decenni fa permettevano un quadro completamente diverso così che si poteva parlare di una vera e propria diffusa scuola d’architettura nazionale? In questa mostra, senza entrare nel giudizio politico che ormai è stato ampiamente fissato dalla storia, abbiamo voluto dimostrare come la grande architettura non nasca mai da sole esigenze “sociali” o “biologiche”, ma da forti motivazioni ideologiche. Così è stato con Roma antica, con la Chiesa, pensiamo giustappunto al Medioevo o alla Controriforma, o agli stessi regimi totalitari che hanno potuto operare su programmi progettuali di tale portata, impossibili a qualsiasi odierna democrazia. L’architetto, nel bene e nel male, si prefissava valori etici traendoli dall’ideologia alla quale si richiamava, mettendosi anche al servizio del potere.
INFORMAZIONE DAGLI ORDINI
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Il primo elemento, che costituisce un evidente segno storico, è l’affresco dei SS. Protettori (San Gervaso e Protaso), visibile sulla facciata della casa parrocchiale che prospetta verso il giardino. Il dipinto era collocato sopra l’ingresso principale dell’antica chiesa, come testimonia il documento del 1713. Il secondo elemento, ad ulteriore prova di quanto sopra, riguarda la mappa catastale di Maria Teresa d’Austria redatta intorno al 1750. Il catasto fino ai tempi della sua costituzione, aveva il compito di censire gli edifici ed i terreni a scopo fiscale, ovvero di definire la tassa a cui assoggettare i vari proprietari dei beni immobili. Rimanevano escluse le costruzioni individuate con la lettera A, che non erano soggette a tassazione in quanto immobili di proprietà della Chiesa. Nella mappa l’edificio appartenente al gruppo individuato con la lettera A collocato più a nord rispetto agli altri, consiste nell’antica chiesa. Osservando la costruzione sulla mappa, si può notare, oltre allo stesso orientamento (est-ovest), anche una sporgenza posizionata al centro della facciata ad est, con sviluppo pari a circa un terzo della facciata stessa, che corrisponde al pronao. Dalla mappa è possibile individuare anche l’area occupata dall’antico cimitero, ubicato di fronte alla chiesa e recintato. Termina quindi l’esposizione storica riguardo l’antica chiesa di Marudo, che ha evidenziato come molte opere purtroppo non sempre completamente visibili, hanno comunque lasciato la loro traccia storica sul nostro territorio, sia in modo fisico, che in modo documentale.
Milano
a cura di Laura Truzzi Designazioni • COMUNE DI CINISELLO BALSAMO: richiesta di professionisti per nomina commissione tecnica gara “Lavori per intervento di restauro conservativo affreschi di Villa Ghirlanda” Secondo lotto. Il Consiglio dell’Ordine ha nominato quale rappresentante in seno alla Commissione Tecnica l’arch. Amedeo BELLINI.
• COMUNE DI MONZA: richiesta di professionisti per nomina Commissione Giudicatrice Concorso relativo alla sistemazione di Piazza Trento e Trieste. Il Consiglio dell’Ordine ha nominato quale rappresentante in seno alla Commissione il Presidente dell’Ordine dr. arch. Daniela VOLPI. • COMUNE DI SESTO SAN GIOVANNI: richiesta di segnalazione professionisti per nomina Commissione giudicatrice bando di “Concorso di idee per la riqualificazione e riorganizzazione delle piazze: Oldrini, della Repubblica, IV Novembre”. Si sorteggia e si approva il seguente nominativo: Cini BOERI. • Fondazione Lombardia per l’Ambiente di Milano: richiesta di segnalazione professionisti per nomina Commissione Giudicatrice Concorso di progettazione “Centro studi e documentazione ambientale di Seveso”. Si sorteggiano e si approvano i seguenti nominativi: Stefano GUIDARINI, Luciano PAGANI, Anna SARIAN. • Controversia Immobiliare Talamonti/Dini Auro & C. snc di Federico e Bruna Dini: richiesta nomina terzo arbitro con funzione di Presidente. Si sorteggia e si approva il seguente nominativo: Rita BERNINI. • Impresa MA.DA snc di Antonio Malacrinò & C. di Vimercate: richiesta terna per collaudo di opere in c.a. relative alla ristrutturazione di un edificio residenziale. Si sorteggiano e si approvano i seguenti nominativi: Francesco ATTANASIO, Alberto ROMANÒ, Marco TURRI. • Politecnico di Milano. Designazione dei rappresentanti dell’Ordine nella Commissione relativa agli esami di Laurea di I° in Scienze dell’Architettura del 22 dicembre 2004. Si sorteggia e si approva il seguente nominativo: Ilario Marco BONIELLO. • Politecnico di Milano. Designazione dei rappresentanti dell’Ordine nelle Commissioni relative agli esami di Laurea in Disegno Industriale del 22 dicembre 2004. Si sorteggiano e si approvano i seguenti nominativi: Marco Mario DUINA, Marco Guido SANTAGOSTINO, Paola GARBUGLIO, Valeria Giacoma ARMANI, Maurizio DE CARO, Manuela CORBETTA, Ottavio DI BLASI. • Politecnico di Milano. Designazione dei rappresentanti
dell’Ordine nelle Commissioni relative agli esami di Laurea in Architettura del 20 e 21 dicembre 2004. Si sorteggiano e si approvano i seguenti nominativi: Lucia BERGO, Carlo CATTANEO, Enrico FREYRIE oppure Chiara Maria FREYRIE (Figlia), Valerio MONTIERI. • Politecnico di Milano. Designazione dei rappresentanti dell’Ordine nelle Commissioni relative agli esami di Laurea in Architettura del 21 dicembre 2004. Si sorteggiano e si approvano i seguenti nominativi: Mario AIRAGHI, Umberto ANDOLFATO, Renato Renzo ANGELLA, Emilio CARAVATTI, Valeria Maria CERRUTI, Daniele COPPI, Michele Angelo FERE’, Luigi Maria GUFFANTI, Emira MANINA, Mauro MERICCO, Cristina NEPOTE, Federica SOSTERO, Stefano TUCCI. • Politecnico di Milano. Designazione dei rappresentanti dell’Ordine nelle Commissioni relative agli esami di Laurea in Scienze dell’Architettura del 20 dicembre 2004. Si sorteggiano e si approvano i seguenti nominativi: Giovanni BOTTINI, Giancarlo FOI, Marco Giuseppe GONELLA, Franco PISTOCCO, Claudio SALOCCHI. • Politecnico di Milano. Designazione del rappresentante dell’Ordine nella Commissione relativa agli esami di Laurea di I° livello in Architettura delle Costruzioni del 22 dicembre 2004. Si sorteggia e si approva il seguente nominativo: Barbara AGOSTINI. • Politecnico di Milano. Designazione dei rappresentanti dell’Ordine per gli esami di Laurea per il “Corso di Studio in Edilizia Bazzi D.M. 509/99” del 21 dicembre 2004. Si sorteggia e si approva il seguente nominativo: Natalino ZANIER. • Politecnico di Milano. Designazione dei rappresentanti dell’Ordine per gli esami di Laurea in P.T.U.A. vecchio ordinamento del 22 dicembre 2004.
Si sorteggiano e si approvano i seguenti nominativi: Giuliano Paolo BANFI, Pierluigi RAULE. • Politecnico di Milano. Designazione dei rappresentanti dell’Ordine per gli esami di Laurea in P.T.U.A. nuovo ordinamento del 21 dicembre 2004. Si sorteggiano e si approvano i seguenti nominativi: Juan Martin PIAGGIO, Valerio TESTA. • Politecnico di Milano. Designazione dei rappresentanti dell’Ordine per gli esami di Laurea per il “Corso di Studio in Architettura Ambientale D.M. 509/99” del 20 dicembre 2004. Si sorteggia e si approva il seguente nominativo: Lorenzo NOÈ. Convenzioni È stata stipulata, per gli iscritti all’Ordine, una nuova convenzione con Galleria d’Arte Eclettica. I particolari della convenzione sono elencati nel sito www.ordinearchitetti.mi.it Serate d’Architettura Architettura e segno urbano. Gino Valle alla Bicocca 15 dicembre 2004 Sono intervenuti: Pierre Alain Croset, Raimund Fein, Fausto Guarneri, Italo Rota, Pietro Valle. Conduttore: Michele Stavagna “Se ogni progetto d’architettura è un’avventura, Gino Valle ci ha lasciato il coraggio di affrontarlo”, così Pierre Alain Croset riassume la figura dello scomparso architetto udinese aprendo la serata a lui dedicata il 15 dicembre presso la sede dell’Ordine. Croset, autore della più completa monografia edita sull’opera di Gino Valle, introduce i principali progetti dell’architetto dal Centro Direzionale di Pordenone a Parigi, dove realizza la nuova sede della IBM sulla piastra della Défense, al Palazzo di Giustizia di Brescia, ultima realizzazione il cui progetto risale al 1986 ed ultimato solo nel 2004.
“Radioline e pezzi di città” è il titolo dell’intervento di Raimund Fein, collaboratore nello studio di Udine dal 1984 al 1991, che sintetizza a suo parere l’approccio progettuale di Gino Valle. Egli infatti non si identificava nel post modernismo degli anni Ottanta e fuggiva dagli agglomerati di “radioline” – come lui stesso le definiva – che erano le architetture in ferro e vetro, cercando di riportare ogni intervento, per dimensione, scala ed elementi formali, alla scala urbana e quindi umana: “pezzi di città” appunto. Gino Valle utilizzava l’immediata forza della semplicità senza mai appartenere a nessun “ismo”. Il figlio di Gino Valle, l’arch. Pietro Valle, ha invece accolto la sfida all’avventura di suo padre solo negli ultimi anni entrando nella Studio Valle Architetti Associati a partire proprio dal progetto della nuova sede della Deutsche Bank alla Bicocca, incarico ricevuto nel 1998. Egli presenta l’opera milanese come una tappa dell’evoluzione dell’opera di suo padre; evoluzione che Pietro affronta per temi: le stecche dell’edificio deformate ad ottenere un progetto urbano, il computer che rovescia la distribuzione degli spazi interni degli edifici ad uffici (circolazione periferica e computer verso l’interno), i materiali di rivestimento che invertono pesante e leggero, vuoto e pieno dandone la percezione del volume costruito e infine l’aggetto, scavo o protuberanza, come “porta urbana” frutto anch’essa della deformazione dell’immobile. L’articolazione compositiva stessa dell’edificio è il risultato di un’evoluzione il cui punto di partenza sono state le otto torri del piano di Gregotti. Gino Valle apre l’edificato verso l’elemento più qualificante – la collina dei ciliegi – chiudendo la Bicocca
su se stessa come un episodio a causa, soprattutto, della sua nuova attenzione verso il paesaggio e anche della mancanza di continuità nel tessuto urbano verso Milano. Il risultato di questo processo è una composizione apparentemente per blocchi simmetrici, mentre l’edificio è in realtà progettato per parti asimmetriche a formare la complessità. L’ing. Fausto Guarneri, responsabile della gestione del patrimonio immobiliare della Deutsche Bank in Italia, ha svolto il ruolo del committente con la Pirelli Real Estate dando indicazioni circa i desiderata che comprendevano un interno semplice, lineare e elegante, un ambiente funzionale soprattutto a chi ci deve lavorare, flessibile, ed efficiente per l’utilizzo degli spazi. Esternamente la richiesta più importante ha riguardato il rivestimento per il quale è stata scelta la pietra. Chiudendo l’intervento, Guarneri sottolinea il bellissimo rapporto umano che si è instaurato con Gino Valle durante il corso del lavoro. Italo Rota, architetto e designer, vincitore del concorso per gli interni della nuova sede della Deutsche Bank, parla dei progetti di Gino Valle come un ordine apparente ma dal disordine reale e descrive lo stesso Valle come un uomo “contro”: contro il piano prestabilito per il sedime delle torri della Bicocca, contro tutti i movimenti definiti come gli “ismi”; scopritore, provocatore e snobbista, uomo “meccanico” che sa costruire meccanismi che funzionano, ritenendo che il suo snobbismo fantastico ed esasperato ne abbia fatto un uomo a parte nel mondo dell’architettura italiana, non riconducibile ad uno stile. Italo Rota infine rivolge l’invito ad andare a vedere l’edificio della Bicocca in quanto le architetture di Gino Valle – senza
spiegazioni – vanno viste, vissute e penetrate per poter essere apprezzate. Ribatte Pierre Croset, secondo il quale alcune delle affermazioni di Rota sono più autobiografiche che rivolte a Gino Valle, mentre altre sono vere, come il fatto che realizzasse architetture esplorative. Un ampio dibattito ha visto coinvolti numerosi presenti in sala tra cui l’arch. Cino Zucchi che parla dell’opera di Valle come di un’oscillazione interessante tra le dimensioni della creazione del senso indipendentemente dalla critica. Dibattito che ha visto quindi rilanciare sul tavolo della serata numerosi altri temi: dalla critica, accusata da Italo Rota di aver spesso celato la vera storia dell’architettura, al talento dell’architetto che non può essere teorizzato, alla storia dell’architettura del dopoguerra che dovrebbe essere utilizzata dai giovani come strumento di comprensione. Chiude la piacevole conversazione tra addetti ai lavori l’arch. Pietro Valle affermando che bisogna imparare a giocare di volta in volta il gioco che si presenta sul tavolo. Newsletter Da qualche mese l’Ordine degli Architetti raggiunge la maggior parte degli iscritti via mail con delle Newsletter periodiche nelle quali sono presenti informazioni circa i corsi, i servizi e le attività che vengono organizzate in sede. Chi fosse interessato ad essere inserito nella mailing list per ricevere le informazioni è pregato di contattare: Segreteria Fondazione dell’Ordine degli Architetti P.P.C. della Provincia di Milano via Solferino 19, 20121 Milano tel. 02.62534390 fax 02.62534209 e-mail: fondazione@ordinearchitetti.mi.it
Nuove Milano: estranee a ogni legame con la città reale, con il retaggio storico, con il suo spirito, con la memoria della durevole modernità che ha contrassegnato strade e spazi. Un’estraneità internazionalista e altezzosa; la nozione e la realtà di contesto, distintivo della scuola milanese, ignorate o trascurate di proposito. La Vecchia Fiera: Albertini parlò di un suo personale Central Park. Il “concorso” fu del tipo dilagante in tempi di abrogazione del confronto fra progetti autorali veri e di esaltazione del tecnicismo e dell’economicismo insieme alla svalutazione del lavoro puntuale, anti-generico, dell’architetto: figura questa, se famosa, invece utilizzata come effige pubblicitaria dell’impresa d’affari. È l’impresa a gareggiare, è lei a offrire il prodotto col prezzo “chiavi in mano”. Il concorso ha confermato subito le precedenti contestazioni relative alla scarsa quantità di verde destinabile a parco. Quanto ai cinque progetti “classificati”, la maglia nera la assegnerei in realtà a quello Hadid-Isozaki-Libeskind, i tre al servizio della cordata vincente Generali-Ligresti-LanaroGrupo Lar Desarrolos Residentiales. Tre torri di cui due sciancate, forme insensate espressione di una specie di comica tragica in digitale recitata da tre magatelli ognuno per sé. Nessun ascolto della città, nessun principio urbanistico di organizzazione dello spazio. Sapete che la giuria ha sentenziato di “accadimenti architettonici che si compiacciono delle proprie differenze”? E l’area Garibaldi-Repubblica? Purtroppo quella stupida effige di più alto grattacielo d’Europa immaginato dal vecchio Pei – con uno spigolo fortemente appuntito destinato, al vero, a essere sfregato e lucidato dalle dita dei visitatori come nella New Wing della National Gallery of Art realizzata trent’anni fa a Washington – forse riuscirà a svettare: salvo un’augurabile prossima débâcle finanziaria o politica che bloccherebbe l’erigendo all’altezza di un mozzicone ammonitore. Lodo Meneghetti Milano, 30 ottobre 2004
55 INFORMAZIONE LETTERE
L’architettura servile
A cura di Carlo Lanza (Commissione Tariffe dell’Ordine di Milano)
Variazione Indice Istat per l’adeguamento dei compensi 1) Tariffa Urbanistica. Circolare Minist. n° 6679 1.12.1969 Base dell'indice-novembre 1969:100 Anno 2001 2002 2003 2004
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Febbraio Marzo
Giugno
1435,31
1446,61 1480 1480,51
1467,96 1504,37 1537,02
Aprile Maggio 1440 1436,56 1441,59 1445,35 1470 1471,72 1475,49 1478,00 1510 1509,40 1511,91 1513,16 1540 1538,28 1542,04 1544,56
2) Tariffa P.P.A. (in vigore dal novembre 1978) Anno 2001 2002
INDICI E TASSI
Gennaio 1430 1430,28 1460 1462,93 1500 1501,86 1530 1532,00
2003 2004
dicembre 1978:100,72
Luglio
Agosto
Settembre Ottobre
Novembre Dicembre
500,65
501,09
501,09
501,52
502,83
503,70
504,13
511,52
512,39
512,82
513,69
514,56
515,86
517,17
517,6
523,25
523,69
524,12
525,43
526,29
527,6
528,03
529,34
529,34
533,68
534,55
535,86
536,29
537,16
537,16
537,16
538,46
538,46
Novembre 114,2 116,89 118,90
Dicembre 114,29 116,89 118,90
Novembre 104,93 107,40 109,25
Dicembre 105,02 107,40 109,25
Novembre 109,98 112,56 114,51
Dicembre 110,07 112,56 114,51
Aprile
495,00
496,74
497,18
506,30
508,04 520 520,64
509,35
498,91 510 510,65
522,38
531,94
532,38
Gennaio 111,80 114,77 117,08
Febbraio 112,18 114,97 117,46
Marzo 112,47 115,35 117,56
1548,32
Settembre Ottobre Novembre Dicembre 1450 1447,86 1447,86 1449,12 1452,89 1455,40 1456,65 1490 1481,77 1484,28 1486,79 1490,56 1494,33 1495,58 1520 1518,19 1520,70 1524,46 1525,72 1529,49 1529,48 1550 1549,58 1552,09 1552,09 1552,09 1555,86 1555,86
Giugno
Febbraio Marzo
Maggio 500 500,22
3) Legge 10/91 (Tariffa Ordine Architetti Milano) Anno 2002 2003 2004
1514,42
Aprile 112,76 115,54 117,85
anno 1995: base 100 Maggio 112,95 115,64 118,04
Giugno 113,14 115,73 118,33
Luglio 113,24 116,02 118,42
4) Legge 10/91 (Tariffa Consulta Regionale Lombarda) 5) Pratiche catastali (Tariffa Consulta Regionale Lombarda)
anno 2000: base 100
Anno 2002 2003 2004
Giugno 103,96 106,34 108,73
Gennaio 102,73 105,46 107,58
Febbraio 103,08 105,64 107,93
Marzo 103,35 105,99 108,02
Aprile 103,61 106,17 108,28
Maggio 103,79 106,26 108,46
Luglio 104,05 106,61 108,81
6) Collaudi statici (Tariffa Consulta Regionale Lombarda)
anno 1999: base 100
Anno 2002 2003 2004
Giugno 108,96 111,46 113,95
Gennaio 107,67 110,53 112,75
Febbraio 108,04 110,72 113,12
Marzo 108,31 111,09 113,21
Aprile 108,59 111,27 113,49
Maggio 108,78 111,36 113,67
7) Tariffa Antincendio (Tariffa Ordine Architetti Milano) Indice da applicare per l’anno
2001 103,07
1996 105,55
2003 108,23
2004 110,40
1997 108,33
1998 110,08
1999 111,52
1998 101,81
1999 103,04
2000 105,51
Settembre 113,62 116,50 118,61
Ottobre 113,91 116,60 118,61
dicembre 2000: 113,4 Agosto 104,23 106,79 108,99
Settembre 104,40 107,05 108,99
Ottobre 104,67 107,14 108,99
gennaio 1999: 108,2 Agosto 109,24 111,92 114,23
anno 1995: base 100
9) Tariffa pratiche catastali (Tariffa Ordine Architetti Milano) Indice da applicare per l’anno
Luglio 109,05 111,73 114,04
giugno 1996: 104,2 Agosto 113,43 116,21 118,61
Settembre 109,42 112,19 114,23
Ottobre 109,70 112,29 114,23
anno 2001: base 100
2002 105,42
8) Tariffa Dlgs 626/94 (Tariffa CNA) Indice da applicare per l’anno
Agosto
novembre 1978: base 100
Gennaio
519,78 530 530,21
Luglio
2000 113,89
gennaio 2001: 110,5
novembre 1995: 110,6 2001 117,39
2002 120,07
2003 123,27
anno 1997: base 100
2001 108,65
2002 111,12
2003 113,87
2004 125,74 febbraio 1997: 105,2
2004 116,34
Interessi per ritardato pagamento
Con riferimento all'art. 9 della Tariffa professionale legge 2.03.49 n° 143, ripubblichiamo l'elenco, a partire dal 1994, dei Provvedimenti della Banca d'Italia che fissano i tassi ufficiali di sconto annuali per i singoli periodi ai quali devono essere ragguagliati gli interessi dovuti ai professionisti a norma del succitato articolo 9 della Tariffa.
Provv. della Banca d'Italia (G.U. 14.6.2000 n° 137) dal 15.6.2000 Provv. della Banca d’Italia (G.U. 5.9.2000 n° 207) dal 6.9.2000 Provv. della Banca d’Italia (G.U. 10.10.2000 n° 237) dal 11.10.2000 Provv. della Banca d’Italia (G.U. 15.5.2001 n° 111) dal 15.5.2001 Provv. della Banca d’Italia (G.U. 3.9.2001 n° 204) dal 5.9.2001 Provv. della Banca d’Italia (G.U. 18.9.2001 n° 217) dal 19.9.2001 Provv. della Banca d’Italia (G.U. 14.11.2001 n° 265) dal 14.11.2001 Provv. della Banca d’Italia (G.U. 6.12.2002 n° 290) dal 11.12.2002 Provv. della Banca d'Italia (G.U. 12.3.2003 n° 59) dal 12.3.2003 Provv. della Banca d'Italia (G.U. 9.6.2003 n° 131) dal 9.6.2003
4,25% 4,50% 4,75% 4,50% 4,25% 3,75% 3,25% 2,75% 2,50% 2,00%
Con riferimento all'art. 5, comma 2 del Decreto Legislativo 9 ottobre 2002, n. 231, pubblichiamo i Provvedimenti del Ministro dell’Economia che fissano il “Saggio degli interessi da applicare a favore del creditore nei casi di ritardo nei pagamenti nelle transazioni commerciali” al quale devono essere ragguagliati gli interessi dovuti ai professionisti a norma del succitato Decreto.
Comunicato (G.U. 10.2.2003 n° 33) dal 1.7.2002 al 31.12.2002 dal 1.1.2003 al 30.6.2003
3,35% +7 2,85% +7
Comunicato (G.U. 12.7.2003 n° 160) dal 1.7.2003 al 31.12.2003
2,10% +7
10,35% 9,85% 9,10%
Comunicato (G.U. 15.1.2004 n° 11) dal 1.1.2004 al 30.6.2004
2,02% +7
Comunicato (G.U. 9.7.2004 n° 159) dal 1.7.2004 al 31.12.2004
Per valori precedenti, consultare il sito internet o richiederli alla segreteria del proprio Ordine.
2,01% +7
9,02%
9,01%
Nota L’adeguamento dei compensi per le tariffe 1) e 2) si applica ogni volta che la variazione dell’indice, rispetto a quello di base, supera il 10%. Le percentuali devono essere tonde di 10 in 10 (come evidenziato) G.U. n° 163 del 13.07.1996 ISTITUTO NAZIONALE DI STATISTICA Indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati, relativo al mese di giugno 1996 che si pubblica ai sensi dell’art. 81 della legge 27 luglio 1978, n° 392, sulla diiplina delle locazioni di immobili urbani. 1) Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1979 è risultato pari a 114,7 (centoquattordicivirgolasette). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1980 è risultato pari a 138,4 (centotrentottovirgolaquattro). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1981 è risultato pari a 166,9 (centosessantaseivirgolanove). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1982, è risultato pari a 192,3 (centonovantaduevirgolatre). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1983 è risultato pari a 222,9 (duecentoventiduevirgolanove). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1984 è risultato pari a 247,8 (duecentoquarantasettevirgolaotto). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1985 è risultato pari a 269,4 (duecentosessantanovevirgolaquattro). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1986 è risultato pari a 286,3 (duecentottantaseivirgolatre). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1987 è risultato pari a 298,1 (duecentonovantottovirgolauno). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1988 è risultatopari a 312,7 (trecentododicivirgolasette). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1989 è risultato pari a 334,5 (trecentotrentaquattrovirgolacinque). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1990 è risultato pari a 353,2 (trecentocinquantatrevirgoladue). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1991 è risultato pari a 377,7 (trecentosettantasettevirgolasette). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1992 è risultato pari a 398,4 (trecentonovantottovirgolaquattro). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1993 è risultato pari a 415,2 (quattrocentoquindicivirgoladue). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1994 è risultato pari a 430,7 (quattrocentotrentavirgolasette). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1995 è risultato pari a 455,8 (quattrocentocinquantacinquevirgolaotto). Ai sensi dell’art. 1 della legge 25 luglio 1984, n° 377, per gli immobili adibiti ad uso di abita-zione, l’aggiornamento del canone di locazione di cui all’art. 24 della legge n° 392/1978, relativo al 1984, non si applica; pertanto, la variazione percentuale dell’indice dal giugno 1978 al giugno 1995, agli effetti predetti, risulta pari a più 310,1. Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1996 è risultato pari a 473,7 (quattrocentosettantatrevirgolasette). Ai sensi dell’art. 1 della legge 25 luglio 1984, n° 377, per gli immobili adibiti ad uso di abitazione, l’aggiornamento del canone di locazione di cui all’art. 24 della legge n° 392/1978, relativo al1984, non si applica; pertanto, la variazione percentuale dell’indice dal giugno 1978 al giugno 1996, agli effetti predetti, risulta pari a più 326,2. 2) La variazione percentuale dell’indice del mese di maggio 1996 rispetto a maggio 1995 risulta pari a più 4,3 (quattrovirgolatre). La variazione percentuale dell’indice del mese di giugno 1996 rispetto a giugno1995 risulta pari a più 3,9 (trevirgolanove). Applicazione Legge 415/98 Agli effetti dell’applicazione della Legge 415/98 si segnala che il valore attuale di 200.000 Euro corrisponde a Lit. 394.466.400.