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Le Storie di LPP | IL SEGNO DI LINA BO BARDI

Il segno attuale e leggero di Lina Bo Bardi

di Luigi Prestinenza Puglisi, illustrazione di Roberto Malfatti

@Roberto Malfatti

Lina Bo, nata a Roma nel 1914, mostra sin da giovane una energia inesauribile. A venticinque anni è tra le poche donne a laurearsi in Architettura alla facoltà di Roma. Si trasferisce a Milano per lavorare con Gio Ponti, un personaggio creativo, ondivago e difficilmente inquadrabile, con il quale conserva per tutta la vita un eccellente rapporto.

Lina scrive per diversi periodici generalisti: Tempo, L’Illustrazione Italiana e la rivista femminile Grazia con l’obiettivo di diffondere la cultura dell’abitare promossa dal Movimento Moderno. È, con Carlo Pagani e Bruno Zevi, fondatrice della rivista settimanale A-Cultura della vita. Dove A sta per attualità, architettura, abitazione, arte.

Nel dopoguerra emigra con il marito Pietro Maria Bardi, compromesso con il fascismo, in Brasile dove a San Paolo costruisce la Casa de Vidro. La costruzione è ispirata alle case trasparenti: la Farnsworth di Mies, la Glass House di Philip Johnson e le Case Studies houses. Sospesa su pilastrini circolari esilissimi è un ‘quasi nulla’ infinitamente disponibile ad accogliere le tracce della vita familiare proiettandole sulla avvolgente vetrata attraverso la quale guardare il panorama. Non tutta la casa è trasparente, la zona notte e le zone di servizio, racchiuse da muri, rispondono ad altre logiche funzionali. Vi si respira aria di libertà e sembra mancare quel compiacimento estetico, quella concezione dello spazio e del particolare costruttivo che, per esempio, rende la Farnsworth di Mies una costruzione perfetta ma algida e invivibile.

Personaggio inesauribile, Lina Bo Bardi prova piante circolari e organiche, affronta la semplicità del quadrato percorso lungo la diagonale, lavora con i materiali di ogni giorno, sfugge dalla facile trappola dell’estetizzazione dei problemi.

Nel 1950 fonda con il marito una rivista dal nome emblematico: Habitat. A testimoniare che, se non si cambia l’ambiente di vita, a poco servono teorie e ragionamenti astratti. Sarà il marito, che ne è il direttore, a coinvolgerla nel progetto per la nuova sede del Museo di Arte Moderna di San Paolo. L’opera – una sinfonia alla libertà secondo John Cage – racchiude le due più importanti innovazioni che saranno il vanto del Beaubourg: la grande piazza libera in cui possono svolgersi le più svariate attività, dagli incontri alle feste, e l’estrema flessibilità dello spazio interno.

Al periodo tra il 1977 e il 1986 risale il recupero del centro sociale Sesc-Pompéia a San Paolo. Il problema principale di Lina Bo Bardi è l’autenticità: la possibilità di dare vita a un complesso tagliato sulle esigenze delle persone, senza cadute estetizzanti. Da qui la scelta di un approccio duro, a tratti brutale consistente nel recupero con mezzi spartani della vecchia fabbrica e la realizzazione di tre torri in cemento a faccia vista. «L’architettura – dice – è creata, rinnovata ogni volta che c’è una persona che la sperimenta... È la routine dello spazio pubblico che oggi fa dimenticare all’uomo la bellezza naturale del muoversi liberamente» ■

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