Università Degli Studi della Campania “Luigi Vanvitelli. Corso di laurea in “Design per la moda” A.A 2016/17. Cattedra: Abilità informatiche Professore Angelo Esposito Marroccella Professoressa Alessandra Cirafici. Candidato: Palmiero Renato Matricola A03/685
BIOGRAFIA.
Quando rigore minimale e forme sinuose, attraverso colori, tessuti e proporzioni creano la quintessenza della bellezza. Questo è Giorgio Armani, stilista e imprenditore, nato a Piacenza l’11 luglio 1934. Abbandonati gli studi in Medicina, nei primi anni ’60 viene assunto come merchandiser a La Rinascente di Milano, allora, vera e propria fucina di talenti creativi. Dal 1965 e per sette anni è stilista per la linea Cerruti della Hitman. Successivamente, lavora come freelance per Gibò, Montedoro e Sicons. In occasione di una sfilata nella Sala Bianca di Palazzo Pitti a Firenze, il giovane Armani si fa notare con una collezione per la Tendresse, in stile Bauhaus, con prendisole e chemisier dalle linee estremamente pulite, nei soli toni del bianco e del blu. La firma di Giorgio Armani è la giacca: sarà lui a rivisitare sulla donna l’abbi-
gliamento maschile più classico. Smonta e ricrea il capo, elimina le tele di sostegno interne e l’imbottitura, sposta i bottoni, modifica le spalline. Giorgio Armani Quando rigore minimale e forme sinuose, attraverso colori, tessuti e proporzioni creano la quintessenza della bellezza. Questo è Giorgio Armani, stilista e imprenditore, nato a Piacenza l’11 luglio 1934. Abbandonati gli studi in Medicina, nei primi anni ’60 viene assunto come merchandiser a La Rinascente di Milano, allora, vera e propria fucina di talenti creativi. Dal 1965 e per sette anni è stilista per la linea Cerruti della Hitman. Successivamente, lavora come freelance per Gibò, Montedoro e Sicons. In occasione di una sfilata nella Sala Bianca di Palazzo Pitti a Firenze, il giovane Armani si fa notare con una collezione per la Tendresse, in stile
Bauhaus, con prendisole e chemisier dalle linee estremamente pulite, nei soli toni del bianco e del blu. La firma di Giorgio Armani è la giacca: sarà lui a rivisitare sulla donna l’abbigliamento maschile più classico. Smonta e ricrea il capo, elimina le tele di sostegno interne e l’imbottitura, sposta i bottoni, modifica le spalline. Nel 1974 rinasce prima la giacca da uomo che ha un aspetto meno contratto, e quella femminile l’anno successivo. La sua dress revolution collima con un periodo storico in cui la donna in carriera rivendica la propria emancipata femminilità, uno stile pregno di rimandi dal maschile al femminile e viceversa. Nel 1975 dà vita assieme a Sergio Galeotti alla società Giorgio Armani S.p.A., con una linea maschile e una femminile, ready-to-wear. Inizia così la grande stagione milanese dell’alta
moda pronta, ovvero un prêt-àporter disegnato da uno stilista. Una partita in doppio che nella collezione femminile pe-1976 propone giacche in tweed, che nel 1976 si abbinano a gonne plissé. Negli anni ’80, si afferma il tailleur pantalone, altro elemento iconico del glossario Armani, ponendosi come baluardo del dailywear da working girl. Le donne del primo periodo Armani sono avvolte da linee fluide. Nel gioco maschile-femminile, il tailleur si declina in gessato - con pantaloni morbidi e leggermente appoggiati alla silhouette - anche in versione sensuale con niente sotto. Spesso il completo si accompagna a scarpe basse, un classico per lo stilista. Sul finire degli anni ’80, avviene un altro cambiamento nella donna Armani. Abbassata la guardia dell’androginia, ora sceglie abiti che confermino il suo essere fem-
minile e sensuale.Nel 1986 i primi favolosi abiti da sera, accompagnati da piccole pochette come la clasp, un vero gioiello. L’eleganza Armani fine anni ‘80 e anni ‘90 richiama etnicità orientali: frange e perline, cheongsam in collezioni d’ispirazione cinese L’alta moda Armani si ispira al Giappone con disegni e fantasie floreali che richiamano kimono reinventati nelle forme. Abiti bustier in velluto rasato e giacche con spalle a pagoda. Verso il nuovo millennio, la giacca si emancipa dal completo comparendo senza revers con maniche a kimono, portata sugli abiti da giorno.
STILE
I suoi completi dai volumi fluidi, declinati su nuance sofisticate e tenui, i pantaloni ampi con le pinces, ridefiniscono il vocabolario dell’eleganza al maschile, sdoganando un casual-chic rigoroso ma dalla sensuale morbidezza, una mascolinità leonina ma finalmente educata al bello, lontana dalle iperboli stilistiche che caratterizzeranno gli anni ottanta, tanto da lasciare impressa nella memoria comune la scena del film nella quale Gere si prepara, sul letto appoggiati con nonchalance abiti e accessori possibili, tutti, inequivocabilmente firmati da Re Giorgio, come lo chiameranno gli americani da allora in poi.
Nell’immaginario volume dedicato all’eleganza, che Giorgio Armani ha scritto in questi quarant’anni di attività, altro vocabolo fondamentale, inserito a pieno titolo tra gli essenziali del guardaroba, è quello della giacca destrutturata. Seducente, libera da orpelli, divenuta icona di uno stile unisex, rigorosa ma sexy, sarà il capo più rubato dall’armadio di lui dalle donne, insieme Cinque trend a cui ha regalato la consacrazione a classici, icone sempreverdi, disinvolte e distinte. In altre parole, come Giorgio Armani.
alle stringate. Una lista alla quale si aggiunge il greige: non solo un colore, summa delle cromie più amate e utilizzate da Armani, grigio e beige, ma una filosofia di vita, che tinge anche Main, il suo yacht. Innegabilmente italiano, culturalmente cosmopolita, la sua moda subisce influenze culturali e stilistiche tra le più diverse, dagli anni venti e trenta del razionalismo architettonico al Bauhaus, indugiando costantemente in un certo gusto per l’orientalismo, colli alla coreana, nuance bruciate dal sole di paesi lontani e arabeschi ricamati, ma sempre discretamente sullo sfondo, regole non
scritte ma irrinunciabili del bel vestire, che troveranno l’interprete perfetto in John Malkovich, che vestirà ne Il Tè nel deserto di Bertolucci. Nume tutelare del gusto ad ogni latitudine e in ogni stagione, ha reso infine iconica l’accoppiata più casual della t-shirt blu con il denim, facendone una divisa per se stesso, e per il suo uomo, sinonimo di un’attitude rilassata ma mai incurante. Cinque trend a cui ha regalato la consacrazione a classici, icone sempreverdi, disinvolte e distinte. In altre parole, come Giorgio Armani.
GOSSIP.
Giorgio Armani: “Avrei voluto dei figli”. E lo spirito di Sergio rimane Anche i Re piangono. Anche Re Giorgio, Giorgio Armani, uomo italiano famoso in tutto il mondo per la sua moda e lo splendore di ogni sua creazione, piange. Anche adesso che ha 80 anni e ogni tassello è ormai al posto giusto. Piange spesso, Armani, e lui stesso lo confessa in un’intervista realizzata per GQ America, numero di giugno. Sente tanto la mancanza del fratello e di Sergio Galeotti, il suo compagno storico (scomparso circa trent’anni fa), che “se mi vedesse ora sarebbe pazzo di gioia, per me“. E’ fiero di tutto ciò che ha realizzato, Re Giorgio, non si pente delle tante rinunce fatte nel nome dell’ambizione “bruciante” (“sentivo che avrei potuto essere più di uno stilista: un regista, del gusto e dello stile di vita. Spesso ho
dovuto sacrificare le relazioni per l’impegno totalizzante nel mio lavoro, e alla fine non ho rimpianti, ho fatto quello che volevo“) ma confessa che avrebbe voluto dei figli. Tanto. E Sergio. Sergio che se ne sta lì, nel suo cuore e nei suoi ricordi. Giorgio vorrebbe convincersi che lo rivedrà in un’altra vita, spiega, ma “non posso… Devo essere pragmatico“. Quando viaggia porta con sé la sua foto e sa che “qualcosa di noi rimane. Il suo spirito c’è ancora. Ne sono certo, c’è: lo vedo dappertutto, e sono certo che lui veda me. E spero che sappia tutto quello che ho fatto. In quale forma lui esista però, questo non posso saperlo“. Sergio e Giorgio si sono conosciuti nel ’66 e subito l’uno è diventato fondamentale per l’altro. In tutti i sensi e in tutti i campi. Insieme hanno fondato nel 1975 la Armani Spa. Insieme hanno cominciato a costruire l’impero. Quando Sergio è morto, stroncato da una leucemia, Giorgio ha pensato di mollare ogni cosa. Poi invece è andato avanti: “realizzai – disse nel 2000 in un’intervista a
Repubblica – che abbandonare avrebbe significato rinunciare a tutte le speranze che Sergio aveva messo nel nostro lavoro. Mi feci forza. Riuscii in qualche modo a tirare avanti, facendomi forte di questo momento“.
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