CHARLIE WEST SI è APPENA SVEGLIATO NELL’INCUBO DI QUALCUN ALTRO. è legato a una sedia. è coperto di sangue e lividi. Sente dolore in tutto il corpo. E una strana voce fuori dalla porta ha appena ordinato la sua morte. L’ultima cosa che riesce a ricordare è che era un tranquillo liceale dedito a normali attività - studiare, praticare karate, sognare di diventare pilota dell’aeronautica, scrivere il numero di una bella ragazza sul dorso della mano. Quanto tempo fa è stato? Chi è veramente? Ma soprattutto... come riuscirà a uscire da questa stanza vivo?
L’ultima cosa che ricordo
Andrew Klavan (1954, New York), ha esordito nel panorama letterario nel 1977 ed è autore di numerosi thriller di successo pubblicati in Italia da Longanesi e TEA. Alcuni romanzi sono stati adattati per il cinema come Don’t say a word con Michael Douglas (di cui anche ha curato la sceneggiatura) e True crime - Fino a prova contraria con Clint Eastwood. Ha vinto per due volte l’Edgar Allan Poe Award, prestigioso premio americano nell’ambito dei generi horror, giallo e thriller. ISBN 978-88-6567-003-3
“Klavan è il più originale scrittore di thriller e suspense dopo Cornell Woolrich.” - Stephen King
€ 11,90
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788865 670033
ReNoir
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CA P I T O L O U N O
La stanza delle torture
Mi svegliai all’improvviso legato a una sedia. Cosa...? sussurrai. Mi guardai intorno stordito. Ero in una stanza con il pavimento di cemento e le pareti di mattoni. Una lampadina accesa penzolava da un cavo sopra di me. Appoggiata al muro di fronte c’era una cassettiera di metallo bianco con una vaschetta fissata sopra. Nella vaschetta c’erano degli strumenti, orribili strumenti: lame, pinze e una cosa che sembrava una versione in miniatura delle fiamme ossidriche usate dai saldatori. Gli oggetti poggiavano su un panno bianco macchiato di sangue. 7
La vista del sangue mi fece tornare di botto pienamente cosciente. Provai a muovere le braccia e le gambe ma non ci riuscivo. A quel punto mi accorsi delle cinghie. Mi tenevano legati i polsi ai braccioli di metallo e le caviglie alle gambe della sedia. C’era sangue anche qui, tanto sangue. Sul pavimento ai miei piedi, sulla maglietta bianca, sui pantaloni larghi neri, sulle braccia. Avevo lividi viola scuro e segni umidicci di bruciature sul dorso delle mani. Sentivo dolore. Me ne resi conto improvvisamente. Tutto il corpo mi faceva male e bruciava, dentro e fuori. Avevo la maglietta zuppa, la pelle madida di sudore, un saporaccio in bocca e puzzavo di spazzatura. Avete mai avuto un incubo, di quelli brutti sul serio, da cui vi siete svegliati con il cuore palpitante e il fiatone? Poi, una volta capito che l’incubo non era reale, che era tutto un sogno, il cuore si è calmato, il respiro è tornato normale, vi siete rilassati e avete pensato Fiuu, sembrava proprio vero. Be’, per me fu esattamente l’opposto. Aprii gli occhi pensando di trovarmi a casa in camera mia, con il diploma di cintura nera, i trofei, il poster de Il Signore degli Anelli. Invece mi trovavo in quello che sembrava essere un incubo, ma non lo era. Era reale. Ogni secondo il cuore mi batteva più forte, il respiro si accorciava. Il panico divampava dentro di me come una fiamma accesa. Dov’ero? Dov’era la mia stanza? Dov’erano i miei ge8
nitori? Cosa mi stava succedendo? Come ero arrivato lÏ? Terrorizzato cominciai a scervellarmi, provai a pensare, a capire, chiesi a me stesso tra la confusione e la paura: qual era l’ultima cosa che ricordavo...?
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CA P I T O L O D U E
Un giorno qualunque
Un giorno qualunque. Tutto qui. Un normale giorno di settembre era tutto quello che ricordavo prima dell’inizio della follia. Quella notte, l’ultima notte, ero in camera a fare i compiti, come al solito. Avevo un tema di storia da consegnare. “Qual è la migliore forma di governo?”, un classico del professor Sherman. A Sherman piaceva far finta di essere una specie di radicale. Voleva farci “mettere in dubbio le nostre ipotesi” e “pensare fuori dagli schemi”. Sembrava che non gli fosse mai venuto in mente che a volte la risposta più semplice e ovvia poteva essere quella 10
giusta. “Qual è la migliore forma di governo?”. Volevo intitolare il tema “La democrazia costituzionale imbecille, tu che dici?” ma immaginai che poteva non essere il modo migliore di prendere un buon voto. Così verso le dieci ero seduto al computer, lavorando sulle argomentazioni. Il diritto delle persone a essere liberi e scegliere i propri leader, il fatto che i leader che vogliono comandare a tutti i costi, pensando di avere tutte le risposte o qualche metodo favoloso per rendere le cose facili e perfette per tutti, persone come i re, i dittatori, i comunisti, finiscono sempre con l’incasinare i loro paesi, imponendo cosa dire e cosa fare e uccidendo chi non è d’accordo con il loro metodo. Era un lavoraccio e non mi aiutava, nello stesso momento in cui rifinivo la mia prosa immortale, avere Josh Lerner – o GalaxyMaster come si faceva chiamare online – in chat su Messenger. Stava guardando un vecchio episodio di Star Trek su YouTube e mi mandava un messaggio ogni volta che succedeva qualcosa di figo o stupido. In pratica, ogni due secondi. E potevo comunque vederlo da me, dato che tenevo aperto un video con lo stesso episodio in alto a destra sullo schermo, anche se con il volume abbassato, così potevo ascoltare George Strait dall’iPod messo sul dock. GalaxyMaster: guarda quel sasso! cartapesta pura! BBelt1: lo so josh. sto guardando. 11
GalaxyMaster: ooooh che pesante. non riesco ad alzarlo. rotfl! BBelt1: lo vedo josh. GalaxyMaster: quella maschera klingon è fintissima! GalaxyMaster era un po’ stupido a volte. In più mi stava rendendo impossibile finire la conversazione con Rick Donnelly, che avevo in cuffia. Lo avevo chiamato per dirgli della discussione che avevo avuto quella sera con Alex Hauser, ma eravamo finiti a parlare del tema di storia. Anche Rick aveva Sherman in storia ed era totalmente consapevole del suo alto livello di imbecillità. Ma lui la sapeva lunga, cercava sempre di capire cosa il professore volesse sentirsi dire. Il suo tema spiegava che il comunismo era teoricamente la migliore forma di governo, ma finora non era mai stato messo in pratica nel modo giusto. «Questo è folle» gli dissi. «Dovrebbero mettere un’insegna fuori da quei paesi, come da McDonald: “Comunismo: oltre 100 milioni di morti ammazzati”.» «Ehi,» disse Rick, «quello che so è che con Sherman essere radicali significa prendere una A. Pensa ai voti, bello. Pensa ai voti.» Feci una risata e scossi la testa, continuando a scrivere delle gioie della libertà. Quello ero io, in sostanza, poco prima delle dieci, un mercoledì notte qualunque, a settembre. Scrivevo il tema, 12
chattavo con Josh, parlavo con Rick, guardavo YouTube e ascoltavo canzoni dall’iPod, cominciando a scaricarmi dopo una lunga, lunga giornata. Poi l’orologio in salone al piano di sotto rintoccò. Potevo sentirlo attraverso il pavimento. E dopo circa un nanosecondo mia madre, con una prevedibilità che a volte mi faceva domandare se fosse una specie di robot, mi chiamò dalle scale: «Charlie. Le dieci. Ora di andare a letto.» Sospirai. Con mia grande vergogna, tra tutti i neodiciassettenni che conoscevo ero l’unico ad avere il coprifuoco a quell’ora, ed eccetto circostanze disperate non era negoziabile. «Ehi, devo attaccare» dissi a Rick. «Sei un cacasotto.» «E tu un comunista.» «Sì se mi farà entrare al college.» «Ci vediamo domattina.» Chiusi la comunicazione e digitai su Messenger: BBelt1: dv andr GalaxyMaster: cacasotto BBelt1: nerd GalaxyMaster: ciao BBelt1: bye! Poi salvai il tema nel file dei compiti a casa che Sher13
man aveva online e spensi il computer. Dieci minuti dopo ero a letto, sfogliando l’ultimo numero di Black Belt. Cinque minuti dopo appoggiai la rivista sul comodino e avvicinai la mano all’interruttore della luce sopra la mia testa. Scrutai la stanza un’ultima volta, dal computer ai trofei sugli scaffali, al diploma di cintura nera incorniciato sul muro, alla locandina de Il Signore degli Anelli. Infine mi guardai il dorso della mano. C’era un numero scritto sopra, con un pennarello nero. Mi fece sorridere. Spensi la luce, dissi una preghiera veloce e in sessanta secondi mi addormentai.
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CA P I T O L O t r e
Uccidetelo
E poi mi svegliai di botto. In quella stanza spoglia e terribile. Legato alla sedia. Ferito e impotente. Con quegli strumenti orribili che scintillavano nella vaschetta, alla luce della lampadina penzolante dal soffitto. Cos’era successo? Ero stato rapito? PerchÊ? Chi poteva essere stato? Chi voleva farmi del male? Ero solo un semplice ragazzo. In un primo momento di panico cercai di divincolarmi con rabbia, provando a liberarmi dai lacci. Non fu una grande idea. Erano fatti di tela, un tipo di tessuto resistente. La sedia era fissata al pavimento e non riusci15
vo a smuoverla. Mi agitai e tirai, cercando di liberare me stesso dalla sedia o la sedia dal pavimento, mettendoci sempre più forza. Alla fine crollai senza fiato, esausto. Un attimo dopo sentii delle voci. Mi irrigidii. Tirai su la testa, immobile, e ascoltai. Erano voci maschili, mormorii, appena fuori dalla stanza, al di là della porta di metallo. Il primo istinto fu di gridare, chiedere aiuto, ma qualcosa mi fermò. Se ero lì, qualcuno mi ci aveva portato. Se ero ferito, qualcuno mi aveva fatto del male. Qualcuno mi aveva legato alla sedia e aveva usato quegli strumenti su di me. Le probabilità che gli uomini fuori dalla porta fossero amici erano molto scarse. Così tenni la bocca chiusa. Ascoltai le voci fioche, concentrandomi con tutte le mie forze per capire cosa stessero dicendo, al di sopra del suono delle mie stesse pulsazioni. «...Homelander numero uno» disse una voce. Un’altra voce aggiunse qualcosa che non capii. Poi ancora la prima voce: «Non avremo mai un’altra possibilità con Yarrow.» Quando la seconda voce rispose riuscii a capire solo alcune parti della frase: «...ancora due giorni... possiamo mandare Orton... conosce il ponte tanto quanto West.» West. Ero io. Charlie West. Di che stavano parlando? Quale ponte? Non conoscevo nessun ponte. Un’ondata di panico mi investì di nuovo. Senza pensa16
re ricominciai a divincolarmi. Provai a tirare su le braccia, a liberare il corpo, a inclinare la sedia in qualche modo. Tutto inutile. Mi uscirono le lacrime, lacrime di terrore e frustrazione. Quello che stava succedendo non aveva alcun senso. Dov’erano mia madre e mio padre? Dov’era la mia vita? Dov’era tutto? Doveva essere un incubo. Per forza. Ora sentivo dei passi fuori dalla stanza, qualcuno stava arrivando. «Ecco Waylon» disse la seconda voce. I passi si fermarono fuori dalla porta. La prima voce parlò ancora, più forte stavolta, più chiaramente e in maniera più formale di prima. Era la voce di un uomo che parla a un suo superiore. Fu più facile per me capire le loro parole. «Hai sentito Prince?» chiese. La nuova voce rispose, la voce dell’autorità. Waylon. Sembrava un nome americano, ma la voce aveva un forte accento straniero di chissà dove. «L’ho sentito. Gli ho detto tutto.» La prima voce continuò: «Abbiamo fatto esattamente come ha detto. Esattamente quello che ci ha detto di fare.» Potevo sentire la sua paura, la paura di quello che poteva fargli Prince se avesse fallito. «Il ragazzino potrebbe dire la verità, devi considerarlo» disse la seconda voce. Capivo che era spaventato 17
CHARLIE WEST SI è APPENA SVEGLIATO NELL’INCUBO DI QUALCUN ALTRO. è legato a una sedia. è coperto di sangue e lividi. Sente dolore in tutto il corpo. E una strana voce fuori dalla porta ha appena ordinato la sua morte. L’ultima cosa che riesce a ricordare è che era un tranquillo liceale dedito a normali attività - studiare, praticare karate, sognare di diventare pilota dell’aeronautica, scrivere il numero di una bella ragazza sul dorso della mano. Quanto tempo fa è stato? Chi è veramente? Ma soprattutto... come riuscirà a uscire da questa stanza vivo?
L’ultima cosa che ricordo
Andrew Klavan (1954, New York), ha esordito nel panorama letterario nel 1977 ed è autore di numerosi thriller di successo pubblicati in Italia da Longanesi e TEA. Alcuni romanzi sono stati adattati per il cinema come Don’t say a word con Michael Douglas (di cui anche ha curato la sceneggiatura) e True crime - Fino a prova contraria con Clint Eastwood. Ha vinto per due volte l’Edgar Allan Poe Award, prestigioso premio americano nell’ambito dei generi horror, giallo e thriller. ISBN 978-88-6567-003-3
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