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01 giugno 2015

Asparago in cucina

gustare DE

a La Toscana di Biell

Agri

a coltura biodinamic

alla scoperta dei sapori d’Italia

E R l e d e t r o c a l Al



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itoriale ED

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Inizia il viaggio

Scrivere un editoriale per il primo numero di un nuovo progetto

non è mai semplice a cause delle troppe idee che frullano in testa. Parto raccontando l’idea che ha fatto nascere De-gustare o dai

contenuti di questo numero uno, faccio riflessioni su quello che ci circonda o analizzo un singolo fatto? Di sicuro il foglio non rimarrà bianco!

Quello che state guardando è il primo numero di un nuovo

progetto nato per raccontare i sapori di questo Paese, dove

incontreremo i protagonisti che lavorano per realizzare una

componente importante del cosiddetto stile di vita italiano che tanto ci viene invidiato e copiato nel mondo. Il cibo e il vino

rappresentano la chiave di volta di un modo di vivere e di porsi nei confronti degli altri. Uno stile di vita che nasce nei campi e

arriva nei ristoranti, nei bar e nelle strutture dedicate all’ospitalità in generale.

Dietro a un semplice piatto di pasta con il pomodoro o a un

bicchiere di vino c’è una storia, anzi, ci sono diverse storie che parlano di sudore, di sacrifici, di idee, di felicità e di successi.

Storie di uomini e donne che non sono balzati agli onori della cronaca in modo diretto, ma i loro prodotti l’hanno fatto per loro. Storie di questa Italia che non ha mai abbandonato la

sua vocazione contadina e imprenditoriale, neanche quando si

parlava di delocalizzazione e globalizzazione come la soluzioni a tutti i mali del mondo.

De-gustare, però, non vuole solo raccontare delle belle storie, ma vuole essere anche una brava guida che spiega e cerca di far

capire i pregi e i difetti dei prodotti che si incontreranno in questo viaggio. Perché capire cosa c’è dietro a un vino, a un formaggio o a un salume (l’elenco sarebbe quasi infinito) è importante per

acquistare il prodotto migliore per le proprie esigenze e capire così anche come apprezzarlo al meglio.

Il viaggio incomincia adesso, tra le pagine di questa rivista

digitale e il sito. Tutto lo staff di De-gustare si augura che questo viaggio sia piacevole e ricco di emozionanti scoperte.


contributi

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hanno contribuito a questo numero

Riccardo Carnevali

Cuoco, imprenditore, appassionato di storia della cucina e di prodotti tipici. In cucina da sempre. Per lui cucinare significa non smettere mai di studiare la materia prima e le tecniche. Si può innovare solo quando si è compreso appieno tutto quel che già è stato creato. Titolare di una società di catering di Pavia, l’Ars Convivium, dove tiene i suoi corsi di cucina e pioniere nell’uso dei social e del web per raccontare la cucina e i suoi prodotti. È segretario della Unione Cuochi della Lombardia (Federazione Italiana Cuochi).

Franco Cavalleri

Pratica il giornalismo da quasi venti anni e ha da sempre la grande passione di raccontare storie e persone. Il suo obiettivo è far percepire al lettore cosa c’è oltre il profumo di un piatto o di un bicchiere di vino. La storia, la tradizione, il duro lavoro, la capacità di scoprire, provare, innovare, il rapporto ed il legame con un territorio e la sua gente nel corso dei secoli se non dei millenni, in una ricetta che combina aspetti culturali, economici e sociali. Ha lasciato il mondo della tecnologia perché il mondo è un grande racconto da scrivere ogni giorno.

Daniele Colombo

Giornalista professionista dal 2002, una laurea in Lettere Moderne conseguita presso l’Università degli Studi di Milano, tesi su «Guido Piovene viaggiatore», è da sempre appassionato ai temi legati al food per i quali ha scritto articoli anche per le pagine milanesi del «Giornale» e per altre pubblicazioni e periodici free press. È stato redattore di 19 guide turistiche ed enogastronomiche (collana «Viaggio attraverso le regioni italiane») distribuite in allegato ad alcuni quotidiani nazionali. Ama sorseggiare un «Anghelu Ruju» contemplando il mare di Alghero.


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Docente universitario, enologo, consulente e appassionato di vino e buona cucina. Ha prodotto il primo Ice-Wine italiano e si occupa sin dal 1997 di agricoltura biologica e biodinamica. Collabora con università e molte aziende del settore vinicolo. Negli anni ha contribuito a formare innumerevoli sommelier, sia Ais sia Fisar. Ha pubblicato diversi lavori e articoli sul vino e sull’enologia. Ha insegnato alla facoltà di Agraria dell’Università di Parma storia dell’enologia, dove ha tenuto anche seminari sulla psicologia della degustazione. È anche responsabile didattico del settore vino per la Boscolo Etoile Accademy.

Donatella Polvara

Dopo la laurea in Biologia, indirizzo Fisiopatologico, si dedica alle analisi di laboratorio seguendo in particolare il settore della batteriologia e parassitologia umana. Ha frequentato la Scuola di Nutrizione Olistica a Milano, dove ha approfondito i temi legati a una corretta alimentazione e al miglioramento della qualità della vita. Il detto «Siamo ciò che mangiamo» è una corretta sintesi del suo pensiero, dove al centro ci deve essere la persona e i suoi problemi. Ama la montagna e lo sport: la vita attiva è per lei lo strumento migliore per garantire un buon equilibrio psico-fisico alla persona.

Valerio Sisti

Sommelier professionista abilitato con diplomi Ais. e Fisar. Per Fisar oggi è Direttore di Corso e Docente nei corsi di formazione per aspiranti Sommelier. È anche membro per le commissioni d’esame per l’abilitazione al ruolo. Nel 2012 viene eletto Consigliere Nazionale per la stessa Federazione, ed è oggi membro della Giunta Esecutiva Nazionale. È stato prima ristoratore e poi Sommelier presso l’enoteca della rivista ”Viaggi del Gusto”. Oggi è docente e consulente libero professionista. Ha predisposto il primo corso sul vini italiano ufficiale in Bielorussia, per il quale ha scritto integralmente il libro di testo.

contributors

Filippo Parmigiani

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brianza orientale

La Costa, un angolo di tranquillità tra vino e piatti della tradizione

Un’azienda agricola e un agriturismo gestiti della famiglia Crippa e nati dalla ristrutturazione di vecchie cascine. Oggi è una sorta di borgo del benessere, un luogo magico e incantato, ideale per chi vuole rigenerarsi. Siamo nel cuore del Parco del Curone, in Brianza, a mezz’ora da Milano, ma pare un pezzo di Toscana. Il tutto condito da pizzico di “mistero” archeologico.

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i tesori della bassa

DEgustare

anno I - numero 1; giugno 2015 Direttore responsabile: Maurizio Ferrari Direttore editoriale: Gaetano Di Blasio Hanno collaborato a questo numero: Riccardo Carnevali, Franco Cavalleri, Daniele Colombo, Filippo Parmigiani, Donatella Polvara, Valerio Sisti Grafica: Aimone Bolliger Sede: via Marco Aurelio, 8 - 20127 Milano tel 0236580441 - fax 0236580444 www.de-gustare.it - redazione@de-gustare.it Editore: Reportec srl, via Gian Galeazzo 2 - 20136 Milano Iscrizione al tribunale di Milano n° n.119 del 16/4/2015 Tutti i diritti sono riservati; Tutti i marchi sono registrati e di proprietà delle relative società

Alla corte del Re del Culatello di Zibello

Intervista a Massimo Spigaroli, eclettico chef che ha proseguito nella centenaria attività di famiglia e oggi produce uno dei migliori salumi della norcineria italiana. Nelle cantine dell’Antica Corte Pallavicina da oltre 700 anni stagionano queste prelibatezze realizzate oggi come allora: con passione e cura artigianale. Queste eccellenze emiliano-romagnole si potranno assaggiare, assieme al meglio di questa regione, in un viaggio che partirà da Rimini ad agosto per raggiungere a settembre l’Expo di Milano

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Rubriche news

Palazzo di Varignana coccola anima e corpo Salumi, la crisi non frena la richiesta di gustosità italiane

incontro con lo chef

Contaminazioni Africane

Nato sotto la Madonnina da genitori maliani, Thoera Keita incarna due mondi che si esprimono nella sua cucina che nasce in Africa, ma viene proposta al Balafon di Milano, dove ingredienti italiani incontrano le ricette del paese d’origine della sua famiglia

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nutrizione

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enologo

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sommelier

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i vini

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Dieta Mediterranea: ricchi sapori per prevenire le malattie e allungare la vita

Alla scoperta dell’agricoltura biodinamica

Il Gattinara e la sua storia

L’eccellenza fuori dai luoghi comuni

Ricette L’asparago 36 Salsa bianca per gli asparagi 37 Risotto all’emulsione di asparagi mantecato con crescenza 38 Raviolone con tuorlo

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filosofando in cucina

La cucina è amore, Psiche e… condivisione

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8 news

Xalazzo di P Varignana coccola anima e corpo

rendere un festival di musica classica, unire un ambiente rilassante e amalgamare il tutto con una raffinata offerta di cibo. Alla fine si ottiene la seconda edizione del Varignana Music Festival, l’iniziativa culturale di Palazzo di Varignana Resort & SPA che si trova immerso in un parco di venti ettari, sulle colline di Bologna. Il festival andrà in scena dal 10 al 18 luglio ed è diretto da Bruni Borsari della Fondazione Musica Insieme di Bologna, in cartellone ci saranno nomi

P

di spicco della musica classica mondiale. Suoneranno al Varignana Music Festival il violoncellista Mario Brunello, il compositore e pianista Ezio Bosso, il violinista e direttore d’orchestra Julian Rachlin, il pianista Itamar Golan, la pianista giapponese Natsuko Inoue, il pianista Alexander Romanovsky e il Quartetto di Cremona. Brunello e l’ex Presidente della Corte Costituzionale Gustavo Zagrebelsky saranno protagonisti di una ‘conversazione-concerto’ sull’interpretazione di una sonata di Schubert e della Costituzione Italiana. «Palazzo di Varignana Resort & Spa – spiega Vittorio Morelli, General Manager di Palazzo Varignana Resort & SPA – punta su una proposta culturale di alto profilo, in grado di rispon-

dere alle esigenze di una clientela attenta e sofisticata. Il Varignana Music Festival è un’occasione unica per promuovere e far conoscere il resort, puntando a dare ulteriore valore al territorio». Gli ospiti di Palazzo di Varignana, inoltre, potranno godere di tutto quello che la struttura mette a loro disposizione. Prima del concerto si possono rilassare all’interno della Spa VarSana di 1.800 mq e poi cenare assieme agli artisti nel ri-

storante gourmet durante una cena a loro dedicata. Potranno così apprezzare le bontà di un territorio con una ricca tradizione gastronomica e godere della compagnia dei musicisti. Sono disponibili diversi pacchetti che prevedono sia il pernottamento a Palazzo di Varignana sia l’accesso solo al concerto e cena con gli artisti. Per maggiori informazioni si può andare sul sito del festival www.varignanamusicfestival.it. ❉



nutrizione

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Xalumi, S la crisi non frena la richiesta di gustosità italiane

rescono anche nel 2014 le esportazioni italiane di salumi. Secondo l’Istat lo scorso anno l’export ha registrato un +4,7 per cento per quantità e un fatturato record di 1,260 miliardi di euro (+6,3 per cento). Il saldo commerciale del settore ha registrato un +5,8 per cento per oltre 1 miliardo di euro. Un ottimo risultato nonostante la crisi economica e l’aumento delle barriere non tariffarie in alcuni Paesi (Usa e Russia). «Dal 2008, nonostante gli effetti della crisi economica sull’economia reale e sui consumi, l’export di salumi ha sempre mostrato trend di crescita, rappresentando spesso la principale forza trainante del settore» – ha commentato Nicola Levoni, presidente di Assica (Associazione Industriali delle Carni e dei Salumi aderente a Confindustria) – L’obiettivo dell’industria alimentare da qui al 2020 è quello di portare il valore delle esportazioni a quota 50 miliardi, così come previsto dal piano strategico del governo. È questo un impegno che condividiamo». Va ricordato che nel comparto salumi l’Italia vanta diverse eccellenze con 38 riconoscimenti di tutela europei: Prosciutto crudo di Parma Dop, Prosciutto di San Daniele Dop, Salame di Varzi Dop, Culatello di Zibello Dop, Lardo di Colonnata Igp, Bresaola della Valtellina Igp, solo per fare qualche

esempio. Qualità e sicurezza sono indubbiamente i plus. Ma le nuove tabelle nutrizionali realizzate grazie alle analisi effettuate sui salumi italiani dall’Istituto na-

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zionale di ricerca per gli alimenti e la nutrizione (Inran, ora Cra), hanno evidenziato nell’ultimo decennio circa il netto miglioramento delle qualità

nutrizionali dei prodotti, grazie a maggiori apporti vitaminici e cali di sodio, colesterolo e conservanti. La minor presenza di sale tocca in particolare il 47 per cento nella Coppa arrotolata e il 36 per cento nel Prosciutto di San Daniele e il 31 per cento nel Prosciutto crudo di Parma. Per quanto riguarda i lipidi, la diminuzione è del 48 per cento nel prosciutto cotto (e il colesterolo scende del 22 per cento ), del 34 per cento nel Cotechino di Modena Igp e del 24 per cento nella Bresaola della Valtellina Igp. Buone notizie anche sul fronte dei nitrati. Lo Speck Alto Adige Igp, a titolo di esempio, ha fatto registrare un calo dell’87 per cento di nitrati in meno rispetto al passaD.C. to. ❉


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nutrizione

12 Rubrica a cura di Donatella Polvara, biologa nutrizionista • donatellafisher@libero.it - www.microbio.it

D Xieta Mediterranea: ricchi sapori per prevenire malattie e allungare la vita

estate sta arrivando con i suoi colori caldi: il blu del mare che si perde all’orizzonte e sconfina con il turchese del cielo. Il tepore del sole che rende miti le temperature del Mediterraneo. L’Italia un paese ricco di bellezza, ma non solo, ha dalla sua tanti prodotti da mettere in tavola: Il pesce, la pasta, le verdure, i legumi, la frutta, l’olio extravergine d’oliva. Ingredienti fondamentali, dai sapori unici e ricercati, che sono alla base della dieta Mediterranea. Una ricchezza ineguagliabile, sempre apprezzata dai turisti che ogni anno visitano lo stivale e premiata

L’

tonno, le sarde e le sardine così come i ceci e le fave unite alla pasta, sarebbero alla base dell’alimentazione per tenere lontana la produzione di eicosanoidi cattivi come le prostaglandine, nel 2010 dall’Unesco come molecole in gra“Patrimonio culturale imdo di provocare materiale per l’umanità”. l’infiammazione e Importante risorsa di un Paese dalla posizione geo- l’invecchiamento precoce dei tesgrafica favorevole, legato alla tradizione dell’ospita- suti. lità, alla cura nel dettaglio Gli ingredienti tipici d’innumeree all’amore per la cucina. voli ricette della La dieta Mediterranea fu descritta per la prima volta nostra tradizione da uno studioso americano, sarebbero anche la fonte d’imporAncel Key, il formulatore tanti elementi della Razione K, che connutrizionali che dusse uno studio durato preserverebbero parecchi anni, lo “Seven dalle malattie del Countries Study”, grazie al quale dimostrò come un benessere e della sedentarietà come regime alimentare bilanl’ictus, l’infarto, la ciato, ricco di acidi grassi monoinsaturi e polinsaturi, cardiopatia ischefosse alla base per miglio- mica, il diabete, l’ipercolesterolerare l’aspettativa di vita e mia e il Parkinle condizioni generali di son. salute. Il consiglio, che I ricercatori che continuagiunge dai laborono le ricerche a favore ratori universitari della dieta Mediterranea e dai luminari del dimostrarono negli anni settore, è quello come Il pesce azzurro, il

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di lasciarsi pur sedurre dalle tentazioni di un buon piatto cucinato con tanto amore come i Perciatelli al sugo di baccalà, le melanzane ripiene con tonno, o ancora le sarde con cipolla e pomodorini, la pasta e ceci o la minestra di fave e cicoria selvatica, perché contribuirebbero a introdurre le giuste dosi di quei macronutrienti tanto salutari. Molti scienziati, infatti, supportano la tesi che il cibo abbia la potenzialità di un farmaco e una volta metabolizzato andrebbe a modulare la risposta ormonale con effetti che sarebbero centinaia di volte più potenti rispetto a una tradizionale medicina. Insulina, glucagone e cortisolo sono fra i principali ormoni modulati dai macronutrien-


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ti presenti nel cibo e la composizione tipica dei piatti mediterranei, con le giuste dosi di carboidrati, proteine e grassi, sarebbe vincente per mantenere costante i livelli di tali ormoni. Una dieta così preserverebbe dall’obesità e dallo stress ossidativo cellulare, tenendo lontane le malattie del benessere e della sedentarietà. L’equilibrio biormonale non sarebbe il solo effetto benefico della dieta tanto amata, ma in questi piatti sarebbe racchiuso il segreto della longevità tanto sognata. Il ruolo degli acidi grassi L’acido alfa linoleico e l’acido linoleico entrano sulla tavola degli Italiani grazie al salmone, allo sgombro, alle acciughe, alle sarde, ai ceci e alle lenticchie e contribuiscono a tenere alti i livelli i livelli di sostanze che bloccano i processi infiammatori. L’aspettativa di vita, inoltre, viene migliorata grazie all’assunzione quotidiana di omega3 e omega6. Questi elementi sono essenziali perché l’organismo non è in grado di assemblarli e dunque è necessario introdurli con l’alimentazione. Questi

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acidi grassi polinsaturi sono molecole benefiche perché dotate di un doppio legame che li rende più fluidi rispetto agli acidi grassi saturi e per questo più digeribili. Le loro peculiari caratteristiche li rendono i mattoni essenziali per la costruzione di membrane cellulari forti, sane e vitali. Sono dei potenti antiossidanti, antiinfiammatori e promuovono l’azione anti-invecchiamento dell’organismo. I piatti tipici delle regioni del Sud, in particolare, sarebbero anche ricchi di Acido Folico, Vitamine F, Vitamina E, Vitamina A, Acido Ascorbico. Sono tutti elementi in grado di favorire la vitalità e il benessere delle cellule del nostro organismo, prevengono l’invecchiamento e il decadimento dei tessuti . La dieta Mediterranea è

dunque un patrimonio da salvaguardare e da trasmettere ai giovani, per migliorare le loro abitudini di vita e prevenire così patologie legate all’attuale modo di vivere che ci ha resi tutti un po’ più sedentari. Questo Paese può offrire tanto grazie alla proprie tradizioni, delle quali la dieta Mediterranea ne fa parte, e può essere visto con un punto di riferimento per il turismo enogastronomico mondiale. Durante Expo 2015, inoltre, sarà dedicata un’intera giornata alla dieta Mediterranea, dove i principali

ricercatori ed esperti internazionali nel settore si confronteranno nel progetto “MeDiet Expo 2015” allo scopo di valorizzare questo patrimonio e studiare un modello ottimale di sviluppo. La dieta Mediterranea può essere un punto di partenza per favorire e incoraggiare una ripresa economica, ideale per difendere stili di vita salutari partendo dalla consapevolezza del piacere di sedersi a tavola per mangiare in modo sano come insegna la tradizione ❉ Italiana.


enologo

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14 Rubrica a cura di Filippo Parmigiani

Alla scoperta della agricoltura biodinamica

agricoltura biodinamica viene definita nelle sue linee essenziali nel 1924 da Rudolf Steiner, filosofo austriaco, in risposta a un gruppo di agricoltori tedeschi che cercavano una valida alternativa all’introduzione della chimica in agricoltura. Alcune delle pratiche alternative suggerite restano ancora oggi simbolo di una tecnica di conduzione che nella sua filosofia ha in realtà radici ben più antiche. Il concetto che muove tutto è quello del naturale equilibrio fra le diverse forme di vita in natura, l’adattabilità delle specie al territorio. L’intervento umano non deve forzare questo equilibrio, ma inserirsi armonicamente sfruttando le conoscenze per produrre al meglio senza stravolgere il sistema. L’accostamento della produzione

L’

biodinamica alla produzione biologica, il più delle volte intesa come estremizzazione di quest’ultima, è pratica comune ma senza alcun fondamento: la biodinamica è una filosofia di produzione radicale, il biologico è figlio di una serie di circostanze miste fra aiuti economici e ricerca nel passato delle soluzioni a problemi attuali. Alla fine degli anni settanta, la sensibilizzazione degli agricoltori a una maggior tutela dell’ambiente passa attraverso due step fondamentali, il primo detto scarso impatto ambientale, che prevede una drastica riduzione dei presidi chimici in agricoltura, e favorisce la presa di coscienza dell’importanza di tutelare tanto la produzione quanto l’ambiente; il secondo della conduzione biologica, che a differenza della prima esclude l’uso di tutte quelle sostanze che non siano di origine naturale. Qui iniziano le contraddizioni, da quella ambientale che vede l’utilizzo di sostanze sì naturali (il rame) ma altamente inquinanti, a

quelle di metodo, affermando la storicità di un metodo come elemento probante la sua bontà: è naturale e si è sempre fatto quindi va bene. La biodinamica, invece, basa la sua filosofia sull’equilibrio e sulla spontanea adattabilità delle colture all’ambiente, escludendo forzature e interventi esterni condizionanti; l’applicazione in

campo di questa filosofia porta alla conduzione minimale delle colture, dove la scelta dei terreni e del clima domina sulla scelta delle cultivar, con una serie di attenzioni a volte maniacali che regolano i tempi delle operazioni; ogni intervento non deve essere invasivo, non deve arrecare “disturbo” al sistema, non deve creare i presuppo-


ogolone

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sti per un successivo intervento di rimedio: il taglio dell’erba con il terreno pesante favorisce uno schiacciamento innaturale, meglio ritardarlo di qualche giorno e avere la vigna con l’erba alta che dover poi intervenire con una vangatura... L’applicazione della biodinamica ricalca invece nella maggioranza dei casi le direttive di Steiner, cadendo nella stessa contraddizione di chi adotta il biologico; i principi illustrati ai primi del novecento sanno oggi di coreografica stregoneria, come nel caso del corno di

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vacca che deve aver avuto almeno un vitello da riempire di letame e seppellire per migliorare la fertilità del suolo, quando razionalmente basterebbe parlare di apporti di azoto e di calcio di origine animale, consigliando di mescolare resti di macellazione al normale letame, e preoccupandosi di limitare l’uso di sostanze naturali ma ritenute oggi pericolose, a fronte di sostanze di sintesi ma meno residuali, per arrivare alla valorizzazione delle biodiversità gestite dalla flora batterica dei terreni che vedono proprio nel

rame il peggior nemico. Recenti studi a carattere storico-agronomico mettono in luce una preoccupante correlazione fra l’uso di poltiglia bordolese e l’azzeramento delle autodifese batteriche delle colture. Ultima considerazione è sull’applicazione della biodinamica in cantina, dove non esiste un vero disciplinare di produzione se non un riferimento alla produzione biologica; in realtà come diceva un grande enologo francese, una grande uva raccolta e lasciata a se stessa probabilmente darà origine a un grande vino; l’unico ruolo dell’enologo è di limitare i danni del probabilmente. L’uva prodotta con la filosofia del biodinamico rientra a pieno titolo nella categoria delle grandi uve,

il vino prodotto dovrebbe solo essere seguito con tutte le attenzioni per evitare di dover intervenire con le tecniche dell’enologia tradizionale, finendo per adattare il potenziale del vino a protocolli standardizzati visivi e gusto- olfattivi; l’uso dei solfiti e dei suoi surrogati ne è l’esempio più facile. Un percorso produttivo che l’enologia degli ultimi trent’anni considera rischioso e difficilmente spendibile sui mercati di massa ma che sta coinvolgendo sempre più produttori considerati “alternativi, anarchici, veri,....”e attirando l’attenzione della sommellerie e dei degustatori, primo step verso la comunicazione al consumatore finale e alla conseguente legittimazione commeri ciale.


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16 Brianza orientale

La Costa:

un angolo di tranquillità tra vino e piatti della tradizione A

soli 40 minuti da Milano non ci si aspetta di di trovare un angolo di Toscana. È un gioiello collinare, poco distante dal Lago di Lecco, che si estende per 2.700 ettari e interessa undici comuni: il Parco regionale di Montevecchia e della Valle del Curone nella Brianza orientale. Dal 1983 è un’area protetta e parte del suo territorio è d’interesse Comunitario e tutelato dall’Unione Europea. Oggi questo polmone verde vuole ergersi a collina dei sapori. Le cascine abbandonate, in seguito al declino dell’attività agricola, rivivono come agriturismi e ristoranti che fanno cucina del territorio. Giovani aziende sperimentano coltivazioni biologiche e biodinamiche, si dedicano all’apicoltura. I versanti collinari più soleggiati, e allo stesso tempo

riparati dai venti, diventano terreno ideale per la coltivazione di piante officinali come il rosmarino, ingrediente fondamentale del tradizionale risotto, sorta di biglietto da visita culinario del posto. Il ritorno a lavorare sulle antiche colline terrazzate, il clima ideale caratterizzato da forti escursioni termiche sono poi alla base della rinascita della produzione di vini profumati che erano già rinomati nell’Ottocento e citati da Stendhal nel «Voyage dans la Brianza». Dopo che la fillossera colpì le vigne tra il 1860 e 1870, la produzione di questi vini ha rischiato di sparire per sempre. «La coltura della vite – ha confermato il direttore del Parco, Michele Cereda – da alcuni decenni è in forte ripresa e a contribuire a


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di Daniele Colombo

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Cascina Scarpata, edificio che risale alla fine del Settecento, come parte di un borgo ristrutturato per l’accoglienza agrituristica. Oggi l’intero complesso è una sorta di oasi del benessere, un autentico rifugio rigenerante che sprigiona bellezza ed eleganza, ideale per chi vuole lasciarsi alle spalle la metropoli. Un luogo magico e incantato, silente, protetto da un anfiteatro verde, costituito da due cascine trasformate in ristoranti che fanno cucina del territorio, Cascina Scarpata e Cascina Galbusera Nera, alloggi di charme ricavati da un’altra vicina cascina, Cascina Costa, e un vigneto che produce uve da cui nascono i vini firmati La Costa.

questa svolta è stata l’istituzione dell’ente Parco e la sua progettualità che ha dato sicurezza ai viticoltori. Oggi quest’area è la più importante nella produzione vitivinicola della provincia di Lecco. Molte sono aziende giovani». I numeri dicono che nel Parco ci sono una decina di aziende vitivinicole attive, affiancate da 15 agriturismi, 16 aziende agricole dove si possono effettuare acquisti di prodotti tipici e una ventina di ristoranti. Uno dei migliori esempi di rimodellamento del territorio, con gusto e rispetto per il paesaggio, vede protagonista un’azienda a conduzione familiare, quella della famiglia Crippa. Nel 1992 Giordano Crippa, geometra brianzolo di Perego, decide di far rivivere

Un’azienda agricola e un agriturismo gestiti della famiglia Crippa e nati dalla ristrutturazione di vecchie cascine. Oggi è una sorta di borgo del benessere, un luogo magico e incantato, ideale per chi vuole rigenerarsi. Siamo nel cuore del Parco del Curone, in Brianza, a mezz’ora da Milano, ma pare un pezzo di Toscana. Il tutto condito da pizzico di “mistero” archeologico.


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Fare trekking lungo gli 11 sentieri del Parco, tra natura, arte e archeologia

Il Parco regionale di Montevecchia e della Valle del Curone è ciò che rimane di un bosco secolare e offre svariati motivi di interesse: naturalistico, in primis. La zona era abitata 60 mila anni fa dall’uomo di Neanderthal e alcuni reperti dicono che era il più antico insediamento umano della Lombardia. Lo stesso nome Curone, un torrente che taglia il Parco, secondo alcune ipotesi potrebbe essere d’origine etrusca. Due colonne con iscrizioni in alfabeto ligure-etrusco, del resto, sono state rinvenute nell’area, a conferma dell’eccezionalità di questi luoghi abitati anche in epoca preromana. I plus sono i prati magri, zone un tempo coltivate o dedite al pascolo che tornano oggi a trasformarsi in bosco e ospitano specie floreali particolari, come l’orchidea selvatica e diverse varietà di farfalle. Habitat raro è poi quello del bosco umido, dove cresce l’ontano nero, il pioppo nero, il ciliegio e alcuni salici e dove trovano casa anfibi come la rana di Lataste. Quindi le sorgenti pietrificanti, un fenomeno particolare che si verifica con la formazione di roccia porosa per la precipitazione del calcare di cui sono ricche le acque sorgive. È l’ambiente ideale per il gambero di fiume e la salamandra. La variegata fauna del Parco comprende molte specie avicole tra cui l’upupa, uccello per errore considerato notturno da Ugo Foscolo nei «Sepolcri» («… e uscir del teschio, ove fuggia la luna, l’úpupa, e svolazzar su per le croci sparse per la funerëa campagna…» – ndr). Ma l’area è interessante anche dal punto di vista geologico, archeologico, artistico, una perla è l’oratorio di San Bernardo, a Montevecchia alta, che conserva pregevoli affreschi cinquecenteschi, e dell’architettura rurale. Ben undici percorsi sono stati ideati per passeggiare tra le principali bellezze e attrazioni. Mappe e documentazione si possono richiedere alla sede del Parco, a Montevecchia, località Butto, 1, tel. 039.9930384. Il centro multimediale è «un’eccellenza», garantisce il direttore Michele Cereda ed è visitabile anche di domenica dalle 15 alle 18. Oggi questi tracciati sono in corso di valorizzazione grazie a un finanziamento della Regione Lombardia all’interno del progetto d’investimenti per l’Expo, come ci ha confermato lo stesso direttore.

Dalla Brianza alla Borgogna al… Giappone – Incontriamo la titolare, Claudia Crippa, di ritorno dal Vinitaly. Tocca a lei oggi gestire l’azienda con l’aiuto della sorella Clara, che si occupa dei cavalli, dei genitori, che ancora danno una mano, e di una quindicina di giovani collaboratori che costituiscono lo staff. «Siamo tutti giovani – ha dichiarato Claudia – io ho 39 anni e sono la più vecchia. Era il 1992 quando mio padre ha impiantato il primo ettaro di vigneto, come hobby: da sempre aveva la passione per il vino. Il territorio era abbandonato da quarant’anni. Ha combattuto una guerra santa contro i rovi: ricordo le tante domeniche trascorse a estirpare le sterpaglie. Ma ne è valsa la pena. Il luogo ha storicità. Cascina Costa è della fine del Settecento, Cascina Scarpata e Galbusera della metà del Seicento. La documentazione dice che erano di proprietà dell’ospedale Fatebenefratelli di Milano, poi passarono a privati. Abbiamo trovato piante isolate che testimoniano l’antica coltura della vite, come la Borgognina che era in voga nell’Ottocento. I contadini del posto vendevano, infatti, le primizie locali a Milano, taccole, piselli, ma non solo, e riportavano piante di vite. Per dieci anni abbiamo investito nella ristrutturazione dei fabbricati e nell’impianto dei vigneti. Oggi ne ricaviamo i frutti e vantiamo un fatturato annuo di circa 900 mila euro. I nostri vini hanno un mercato di destinazione che non è solo locale ma si spinge agli Usa, Giappone e Belgio».


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Claudia ha abbandonato gli studi d’ingegneria edile per continuare l’opera del padre da quando aveva 21 anni. Poi ha frequentato l’università, corso di laurea in Viticoltura ed Enologia, senza però terminarla, perché, in perfetto stile brianzolo, «c’era sempre troppo da fare». «Volevo fare l’architetto da quando avevo otto anni – ha proseguito Claudia – mai avrei pensato di occuparmi di vino e agriturismo. Per necessità ho dovuto farmi sul campo, conoscere le esperienze vitivinicole di diverse aziende e cantine anche all’estero e sono stata in Borgogna». Per seguire il reparto vino Claudia si avvale di un enologo, di un laureato in Agraria oltre

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a collaboratori esterni. «Abbiamo un’idea dell’agricoltura bucolica e naïf – ha continuato – A causa della crisi economica, molti giovani tornano a lavorare la terra pensando che sia facile. Ma oggi occorre tecnica e tecnologia. Se un ragazzo vuole intraprendere questa professione deve sapere che ci vuole concretezza e preparazione». Il kebab di pecora brianzola e la sauna nel bosco – Chi viene in questi posti lo fa per rigenerarsi, ammirare le bellezze della natura, godere dell’eleganza del posto e gustare le specialità culinarie. Il legame col territorio fa da collante. «Gli ospiti sono vari – ha affermato Claudia – In estate abbiamo clienti che arrivano dal Nord Europa. Ci sono le coppiette in fuga romantica, chi viene per fare una castagnata, il buongustaio, l’amante dei


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La cucina innovativa dell’agriturismo

vini. L’escursione termica in questa zona, da metà agosto in avanti, è di circa 12-14 gradi, il che rende i nostri vini particolarmente profumati. Abbiamo puntato per i bianchi su Chardonnay, Pinot Bianco e Manzoni Bianco (incrocio tra Riesling Renano e Pinot Bianco – ndr), la riscoperta del Verdese, che è autoctono, e il Riesling Renano. Per i rossi, invece, su Pinot Nero e MerGli alloggi lot. Per quanto riguarda la ristoLa Cascina La Costa razione la base è sempre la cucina dispone di otto del territorio declinata però in confortevoli appartamenti per due o quattro due modi, innovativo alla Caspersone. Arredati in cina Scarpata e più tradizionale stile rustico elegante, dispongono anche di una piccola cucina oltre a camera, soggiorno e Dove si trova bagno. Si può dormire L’azienda agricola e anche per una sola notte agriturismo La Costa si al costo medio di 90trova a Valletta Brianza, il 120 euro. La colazione, nuovo comune che nasce compresa nel prezzo, è dalla fusione di Perego e lasciata nella camera Rovagnate, in provincia degli ospiti sotto forma di Lecco. La si raggiunge di cesto comprendente dalla statale 342 Comovarie leccornie, succhi di Bergamo seguendo le frutta, torte, marmellate, indicazioni per Perego tutte rigorosamente fatte e quindi agriturismo La in casa. Costa.

La filosofia è tradizione e innovazione. I piatti della Cascina Scarpata provengono dalla cucina brianzola, ma sono reinterpretati con fantasia e vengono accompagnati dai vini di produzione propria. Le ricette sono preparate con materie prime locali fornite da produttori d’eccellenza rispettando la stagionalità. Si può optare per menù di carne, di pesce di lago o vegetariano. Da provare: l’agnello di pecora brianzola, arrostito o alla brace, il risotto con le ortiche ed erbe spontanee come il tarassaco o l’erba selene e i ristretti con bacche di rosa canina utilizzati come accompagnamento. Il ristorante, che è associato Slow Cooking, ha circa 15-20 coperti. Menù intorno ai 45 euro, vini inclusi. È aperto il giovedì e il venerdì a cena, il sabato e domenica a pranzo e a cena.


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scienza che combina gli studi astronomici a quelli archeologici. Vincenzo Di Gregorio, un architetto siciliano che da tempo vive a Montevecchia, ne ha indagato i risvolti arcani tanto da ipotizzare che tre colline del Parco, in realtà rocciose sotto lo strato superficiale, fossero state modellate in epoca preistorica, intorno al quarto millennio avanti Cristo, da un’antica civiltà, e ben prima dei terrazzamenti medievali, per farle diventare delle

alla Cascina Galbusera. Da noi si può provare anche il kebab di pecora brianzola. Tutte le settimane, inoltre, abbiamo un piatto con l’agnello perché vogliamo diffondere l’abitudine che non lo si debba mangiare solo a Pasqua. La filosofia che ci ispira è che vogliamo in primis mantenere la serenità del posto. Sembra un po’ contraddittorio, ma vogliamo dosare il turismo, perché altrimenti si perderebbe l’incanto di questi luoghi. Stiamo comunque portando avanti nuovi progetti, per dare ancora maggiore fascino, come quello di una sauna La cucina nel bosco, sempre che l’ente tradizionale Parco lo permetta». dell’agriturismo Brindare al chiar di Presso la vicina Cascina Galbusera Nera, poco distante da cascina Scarpata e raggiungibile in auto dalla frazione luna sulle «piMonte di Rovagnate, si degusta la classica cucina ramidi» nel tradizionale brianzola: cassoeula, risotto con lo zafferano e giorno del con la luganega, minestra d’orzo, carne di maiale, faraona, solstizio – Un ma anche pesce, come il missoltino di lago o il gambero capitolo a sé di fiume di Iseo. I coperti sono una cinquantina, il menù è intorno ai 30-35 euro, vini esclusi, l’apertura è sabato è quello dei e domenica, pranzo e cena. Viene anche utilizzata per misteri del banchetti, matrimoni ed eventi aziendali. Ed è frequentata posto. Il teranche per le «merende brianzole» dal mercoledì alla reno, sdrucciodomenica, dalle 11 alle 18.30, a base di degustazione di formaggi e salumi accompagnati dai vini prodotti nella lo, è quello dell’arcantina della stessa Cascina Galbusera Nera. cheoastronomia,


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piramidi per scopi astronomico-religiosi («Il mistero delle piramidi lombarde», Fermento Editore – ndr). Un modello replicato successivamente nella piana di Giza, la necropoli egizia, dove l’allineamento delle piramidi rispecchierebbe quelle delle stelle centrali della costellazione di Orione. Servizi televisivi hanno ripercorso i luoghi cercando di carpirne i segreti. «Lo scorso anno – fa sapere Claudia – è arrivata pure una troupe del National Geographic. Dalla La produzione vinicola Cascina Costa si ammirano due L’azienda dispone di 12 ettari, 8 in delle tre “piramidi” lombarde, produzione e 4 in allevamento. La che si raggiungono a piedi in resa annua è di circa 40 mila bottiglie che saliranno a 55 mila nel 2016. una ventina di minuti, la collina La gamma dei vini, che rientrano Belvedere e quella dei Cipressi. nel marchio Igt “Terre Lariane”, Il 21 giugno, nel giorno del solscomprende tre rossi, San Giobbe, tizio d’estate, accompagnati Serìz e Brigante Rosso, e due bianchi, da guardie ecologiche, organiSolesta e Brigante Bianco. L’azienda fa parte del Consorzio di Tutela dei zziamo un brindisi al chiaro di vini delle “Terre Lariane”, che comprende una ventina di luna sulla Collina Belvedere che associati, mira anche a innalzare la produzione qualitativa era utilizzata dai Celti come osserdel luogo. Tanto che dal 2012 ha aperto nella vicina vatorio astronomico, qui è stata Rovagnate una cantina che vinifica per piccoli viticoltori. Oggi già una decina di giovani aziende la utilizza. Le anche ritrovata una lastra di pieetichette dei vini dell’azienda La Costa richiamano toponimi tra calcarea d’epoca preromana. (il Brigante è un vino allegro, il nome deriva dal celtico brig, Degustiamo calici di Solesta, un alture, da cui Brianza), usi (Serìz deriva dal serizzo è una vino affinato in tini d’acacia che gli pietra nobile) e tradizioni locali. Il culto di Giobbe (da cui conferiscono un gusto mielato. È il rosso San Giobbe) era per esempio radicato in Brianza, come testimoniano i tanti affreschi votivi a lui dedicati nelle un’esperienza magica che vogliacascine e corti rurali: uno è visibile alla Cascina Galbusera mo replicare». Nera. Giobbe era il protettore della bachicoltura, all’origine Non è raro, allora, imbattersi da dell’industria tessile lombarda e della fortuna economica queste parti in curiosi camminadel territorio. Viene raffigurato come un anziano asceta tori alla ricerca di arcane energie vicino a un gelso.


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Brianza orientale 23 Azienda Agricola La Costa, via Curone 15, Valletta Brianza tel. 039 5312218, www.la-costa.it, info@la-costa.it

Escursioni nel Parco in mountain bike con guide specializzate

L’agriturismo mette a disposizione mountain bike per escursioni nel Parco con guide specializzate. Sui ronchi naturali vengono allevati cavalli della razza Quarter Horse apprezzata per docilità e intelligenza. Il mini-allevamento consta di una ventina di cavalli utilizzati a fini riproduttivi e per gare di reining, una disciplina equestre che nasce tra i cowboy negli Usa.

rigeneratrici nell’incanto di un anfiteatro naturale dove il sole fa da padrone. O in semplici osservatori armati di binocolo che, dalla terrazza panoramica del Santuario della Beata Vergine del Carmelo, a Montevecchia, cercano di spingere la vista fino a intravedere la sagoma del Monte Rosa in quelle giornate di tumultuosi venti di phön che lasciano un i cielo azzurro cartolina.


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Intervista a Massimo Spigaroli, eclettico chef che ha proseguito nella centenaria attività di famiglia e oggi produce uno dei migliori salumi della norcineria italiana. Nelle cantine dell’Antica Corte Pallavicina da oltre 700 anni stagionano queste prelibatezze realizzate oggi come allora: con passione e cura artigianale. Queste eccellenze emilianoromagnole si potranno assaggiare, assieme al meglio di questa regione, in un viaggio che partirà da Rimini ad agosto per raggiungere a settembre l’Expo di Milano

Alla corte del RE I

ncontrare a casa sua Massimo Spigaroli è come fare un viaggio nel tempo. Questo eclettico chef è famoso per la sua cucina, ma anche per i salumi, e in particolare per il Culatello di Zibello, di cui è uno dei maggiori produttori e recentemente è stato eletto presidente del Consorzio di Tutela. La sua casa è il relais e ristorante Antica Corte Palla-

vicina a Polesine Parmense, sull’argine del Po, in provincia di Parma, dove assieme al fratello Luciano gestisce questa struttura di origine del 1300 che comprende anche lo storico ristorante Il Cavallino Bianco e l’azienda agricola. Queste terre sono state rese famose da Giuseppe Verdi, che avrà un ruolo importante nella famiglia Spigaroli, e da Mario Soldati nel


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di Maurizio Ferrari

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del Culatello di Zibello suo “Viaggio lungo la valle del Po”. L’occasione per incontrarlo ci è stata data dalla quarta edizione di “Centomani, di questa terra” organizzato dall’associazione CheftoChef, di cui Spigaroli è presidente, e che si è tenuta a fine aprile all’interno dell’An-

tica Corte Pallavicina. In questo evento erano presenti molti chef dell’Emilia Romagna, accompagnati da produttori che rappresentano l’eccellenza enogastronomica del territorio e qui il Culatello di Zibello ha fatto gli onori di casa.


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Il Culatello di Zibello

L’abbiamo intervistato in un momento di pausa all’interno di una giornata ricca di appuntamenti, dove tavole rotonde, convegni, degustazioni guidate e show cooking si sono alternati con continuità.

Perché il Culatello è diventato uno dei prodotti più importanti nel panorama della norcineria italiana? «Il Culatello è diventato importante perché è un prodotto importante, perché esprime dei sapori e dei profumi caratteristici e ben definiti, rappresenta in sé un intero territorio, ma più di tutto, quando lo si mette in bocca parla da solo. Perché il cibo deve essere raccontato, il cibo così diventa un’arte, ma se poi se questo cibo manca di personalità crolla tutto. Qui abbiamo il più bel prodotto della salumeria italiana, forse mondiale». La cucina e i prodotti italiani sono ai vertici della gastronomia mondiale e sono spesso vittime di contraffazioni e operazioni truffaldine nei confronti del consumatore, il Culatello è immune o ne è anche lui vittima?

La leggenda di questo salume si perde nelle nebbie della valle del Po, lungo gli argini del fiume dove sorgevano i luoghi destinati alla sua conservazione e maturazione. Si racconta che nel lontano 1332, durante il banchetto di nozze di Andrea dei Conti Rossi e Giovanna dei Conti Sanviale, dei Culatelli fossero presenti come dono agli sposi. In un’altra occasione i Pallavicino avevano omaggiato di questo prelibato salume Galeazzo Maria Sforza Duca di Milano. Queste sono solo testimonianze arrivate a noi senza documentazione attendibile. La prima testimonianza ufficiale del Culatello si trova in un documento del 1735 del Comune di Parma. Gabriele D’Annunzio scambiava opinioni sul Culatello con lo scultore Renato Brozzi, di questo prodotto di nicchia che affonda le sue radici nella cultura contadina della Bassa, dove ancora oggi la tradizione mantiene inalterata la qualità di questo inimitabile prodotto. Il Culatello di Zibello, prima di diventare un prodotto capace di raggiungere un vasto gruppo di consumatori, era un prodotto di nicchia, destinato a poche famiglie del territorio, tra queste c’era quella di Giuseppe Verdi al quale lo produceva il bisnonno di Massimo Spigaroli. Ammantato dalla leggenda della sua bontà era l’emblema di un territorio circoscritto che ne garantiva, e ne garantisce, la tipicità . Nasce, come per il prosciutto, dalla coscia del maiale, in questo caso però non viene

«Noi lo chiamiamo con nome e cognome: Culatello di Zibello. Purtroppo come tutti i più grandi prodotti italiani, oggi ci sono in giro tantissime contraffazioni e questo proprio non va bene. Non va bene perché se questo processo non viene fermato al più presto c’è il ris-


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lavorata intera, ma il “maselen” la pulisce dalla cotenna, toglie il femore e parte del grasso, e libera il muscolo in modo da poterlo insaccare nella vescica del maiale e legarlo nella classica forma a pera che caratterizza il Culatello, ma prima viene lavorato con del vino, Spigaroli utilizza il bianco Fortana del Taro, e aglio che svolgono una azione antibatterica. Poi lo si massaggia con sale e pepe, e viene lasciato riposare per pochi giorni e infine insaccato. Tutte queste operazioni vengono eseguite ancora a mano nei mesi freddi, da ottobre a febbraio. La stagionatura fatta nelle cantine deve durare, da disciplinare, almeno 10 mesi, così da sfruttare al meglio le caratteristiche climatiche del territorio che vedono il corretto alternarsi di periodi secchi e umidi. Meglio però gustare prodotti che siano stagionati un po’ di più, dai 15 ai 18 mesi è l’ideale, saranno ancora più dolci e morbidi. Nel 1996 il Culatello di Zibello ottiene il riconoscimento della Dop (Denominazione d’Origine Protetta) a livello europeo. La produzione annua certificata Dop di questo salume è di circa 60 mila pezzi. Nel 2009 nasce Consorzio di Tutela del Culatello di Zibello Dop per promuovere e difendere questo prodotto che viene realizzato nella fascia di terra che comprende i comuni di Busseto, Polesine Parmense, Zibello, Soragna, Roccabianca, San Secondo, Sissa e Colorno tutte in provincia di Parma. Attualmente ci sono 22 produttori iscritti al Consorzio e devono garantire una lavorazione interamente manuale e l’utilizzo di cosce di suini provenienti da allevamenti dell’Emilia Romagna e della Lombardia.

chio di perdere questo importante prodotto e che il consumatore non riesca ad avere più il senso di quello che è il vero Culatello di Zibello».

Come si sposa il futuro di questo prelibato salume con quello del territorio?

«Il futuro di questo prodotto è importante, ma soprattutto è importante mantenere lo stile e la qualità di questo salume. Se il territorio continuerà a


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CheftoChef verso Expo Cinquanta famosi chef partiranno da Rimini in direzione Milano con l’obiettivo di portare all’Expo le eccellenze dell’Emilia Romagna. Non faranno tutti la stessa strada, alcuni risaliranno il Po, altri seguiranno la Via Emilia e un altro gruppo passerà sugli Appenini. Un viaggio che incomincerà ad Agosto e terminerà a settembre, ma che in realtà è incominciato durante la manifestazione “Centomani, di questa terra” che si è tenuta a fine aprile. Con questo progetto l’Associazione CheftoChef vuole creare un percorso dove educazione alimentare, conoscenza della biodiversità e qualità sostenibile diventano il fil rouge che legherà tra loro le 100 città che saranno toccate durante questo viaggio. A ogni tappa un cuoco realizzerà i suoi piatti e gli avventori, siano essi turisti o persone del luogo, potranno conoscere e approfondire la gastronomia di questa regione. Il percorso d’acqua sarà fatto con dei battelli attrezzati per ospitare sino a 100 persone per cene d’autore, capaci di accogliere, come un’arca, esempi di biodiversità enogastronomica del territorio emiliano-romagnolo. La via di terra, invece, sarà caratterizzata dalla presenza di camioncini attrezzati per la preparazione e la consumazione del cibo e da simpatici carrettini montati su biciclette. Qui sarà protagonista il cibo di strada e ogni sera ci sarà una festa collettiva dove si potranno assaggiare i migliori prodotti regionali. L’ultimo percorso, invece, avrà come protagonisti i rifugi e i borghi dell’Appennino, dove si potrà scoprire la cultura gastronomica della montagna rivista e rielaborata dagli chef dell’Associazione. Tutti i percorsi finiranno a Piacenza e gli chef che hanno preso parte a questo viaggio raggiungeranno l’Expo dove continueranno a presentare la cucina e i prodotti dell’Emilia Romagna in concomitanza dello spazio concesso a questa regione dentro l’Esposizione Universale.


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esprimere un prodotto di qualità e il prodotto riuscirà a mantenere un territorio di qualità allora il Culatello di Zibello avrà un radioso futuro. Ma se un domani territorio e prodotto dovessero iniziare a dividersi allora finirebbero uno e l’altro».

La famiglia Spigaroli è uno dei nomi più importanti nel mondo del Culatello di Zibello. Quando è iniziata la vostra storia? «Quella che conosciamo, perché con

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molte probabilità è iniziata molto prima. Il mio bisnonno conduceva in mezzadria il podere Piantador, un podere del Maestro Giuseppe Verdi e in inverno faceva quello che facevano tanti a quel tempo, faceva il “masalen”, il norcino in italiano. Produceva i salumi per il Maestro con una maestria da tutti riconosciuta. Se però è vero quello che si dice, che i mestieri venivano ereditati sin dal medioevo, questo lavoro noi l’abbiamo sempre fatto. Di sicuro dal 1820 in avantii».


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La manifestazione “Centomani, di questa terra” di CheftoChef può essere un biglietto da visita per questo territorio, un evento da ripetere anche nel futuro? «Sicuramente! C’è da sottolineare che anche questa manifestazione se fosse fatta in un altro territorio, dove non c’è un prodotto importante come il Culatello, non avrebbe avuto questo successo. Qui oggi sono rappresentati tanti saperi, c’è il sapere dei cuochi dell’Emilia Romagna e c’è il sapere dei produttori delle eccellenze di questa regione. Tutti insieme per far crescere l’immagine della Emilia Romagna e per valorizzare tutti i nostri prodotti più importanti. E poi ci sono i saperi di tutte queste persone che si sono unite per rivalutare e rilanciare il comparto enogastronomico, quello delle produzioni agricole e tutto quello che è il senso del buono che caratterizza da sempre queste regione».

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Una domanda personale, oltre al Culatello di Zibello, quale altro prodotto di questo territorio le piace particolarmente? «Diciamo che il Culatello ha avuto più fortuna degli altri, è più raccontabile: ha questo profumo accattivante, ha questo fascino della cantina, dei sotterranei dove ci sono queste muffe nobili e dove entra la nebbia del Po. Sembra un prodotto nato da una favola, la favola di questa terra. Ma qui [sorride mentre risponde – ndr], in generale, c’è un senso del buono che è un senso del buono a ogni livello. Quindi non solo Culatello, ma tutto quello che esce da questa territorio. Una terra dove il troppo sale non piace e il dolce e il morbido la fan da padrone. Questi sono i riferimenti addirittura dei bambini: il dolce e il morbido. Alla fine questo modo di essere ci avvantaggia nella scelta di quello che ci piace mangiare».


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Antica Corte Pallavicina L’Antica Corte Pallavicina Relais si trova a Polensine Parmense, in provincia di Parma, sulle rive del Po. La si raggiunge attraversando le strade caratteristiche della Bassa, uscendo dall’autostrada, a seconda della direzione di provenienza, a Fiorenzuola, Fidenza o Castelveltro Piacentino e seguendo le indicazioni per Polesine Parmense. Si prosegue in mezzo alle campagne emiliane sino a raggiungere il paese. In questa area si trova anche il ristorante Il Cavallino Bianco, locale dove si servono solo piatti realizzati con i prodotti della azienda agricola che appartiene alla famiglia Spigaroli. Nel relais vengono organizzati corsi di cucina legati ai prodotti del territorio, in particolare alla produzione di salumi e di altri prodotti di origine suina. Si può pernottare nelle accoglienti camere e immergersi nelle atmosfere della Bassa che hanno ispirato la creatività di personaggi come Giovanni Guareschi e Giuseppe Verdi. È possibile anche visitare le cantine dove stagiona il Culatello di Zibello e inebriarsi dei profumi che riempiono l’aria di questa struttura.

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Antica Corte Pallavicina, Strada Palazzo due Torri 3, Polesine Parmense tel. 0524 936539 www.acpallavicina.com, relais@acpallavicina.com Massimo Spigaroli ci ha guidato dentro questa terra, dove del maiale non si butta via niente e tutto diventa prelibatezza. Dove a ogni angolo si incontra un prodotto che merita di essere assaggiato, per questo all’ultima domanda, in realtà, ha risposto con un sorriso che gli ha illuminato il volto. Perché qui si parla e si gusta il Parmigiano Reggiano, la Spalla cotta di San Secondo, la Coppa di Parma, il Prosciutto Crudo, la pasta ripiena e l’elenco potrebbe continuare ancora a lungo. Lungo le rive del Po, dove Giovanni Guareschi veniva a mangiare, era un assiduo frequentatore del ristorante il Cavallino Bianco, il genio e la tradizione in cucina hanno ancora tante storie da raccontare. i Basta farsi trovare pronti.


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Contaminazioni Nato sotto la Madonnina da genitori maliani, Thoera Keita incarna due mondi che si esprimono nella sua cucina che nasce in Africa, ma viene proposta al Balafon di Milano, dove ingredienti italiani incontrano le ricette del Paese d’origine della sua famiglia

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all’arte figurativa all’arte gastronomica, da Firenze a Milano. Dalla tavolozza dei colori ai fornelli e ai mestoloni del tavolo di lavoro di una cucina. Sempre in nome della curiosità culturale. È la storia del Balafon, allo stesso tempo un ristorante, un punto di ritrovo della comunità maliana e africana di Milano, e il punto di partenza di un viaggio nella cultura gastronomica di quel grande e vuoto Paese – il Mali ha una superficie quattro volte quella dell’Italia, ma con una popolazione quattro volte inferiore. Ristoranti africani a Milano ce ne sono molti, ma il Balafon, in Città Studi, si distingue per la sua storia e per la ricerca di offrire ai clienti quanto di meglio la cucina dell’Africa occidentale possa offrire, anche ‘contaminando’ il tutto con elementi della cucina italiana. Oggi, al “comando” dei fornelli c’è Thora Keita, che rappresenta in pieno l’idea di in-

contro culturale tra Africa e Milano che il Balafon vuole da sempre rappresentare. Figlio di maliani, ma è nato sotto la Madonnina, ti accoglie e saluta con il sorriso aperto e sincero tipico delle popolazioni dell’Africa occidentale sahariana, ma mentre lo ascolti ti accorgi che le sue parole esprimono la concretezza ed il culto del lavoro fulcro della più piena milanesità. L’abbiamo incontrato a Expogate, in occasione si uno show cooking organizzato da Identità Golose nell’ambito di Expo 2015. Un modo per rendere visibili alcune realtà gastronomiche africane, asiatiche, sudamericane, arabe, scelte tra quelle che, per storia, capacità di integrare e combinare la cucina del loro paese con quella italiana, per qualità e cura degli ingredienti e dei menù, si differenziano dalla massa dei locali ‘etnici’. La prima cosa che abbiamo chiesto a Thora è di raccontarci un po’ di storia di Balafon. Partendo dalla apertura, nel 1988, fatta dai suoi


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africane genitori, in particolare il padre Buba. «Studiava e lavorava a Firenze come pittore e artista – ci racconta Thora – La città dei Medici e la tavolozza del pittore, evidentemente, non gli bastavano, cercava qualcosa di più. Ecco quindi il trasferimento a Milano, il passaggio dall’arte figurativa all’arte gastronomica, l’apertura di un locale, il Balafon appunto, che fosse allo stesso tempo un ristorante, un punto di ritrovo della comunità maliana e africana, un luogo in cui Africa e Milano potessero incontrarsi, compiere un viaggio insieme». E cenare al Balafon equivale davvero a compiere un viaggio culturale. Il loro menù comprende, difatti, solo piatti africani, anche se magari preparati con ingredienti italiani. L’ingrediente migliore, però, quello assolutamente necessario, è la curiosità da parte del cliente. «Capita di incontrare il cliente scettico – prosegue Thora – il nonno che viene portato lì dal nipote, non ha mai mangiato qualcosa di diverso dai piatti tradizionali italiani, eppure rimane conquistato dai colori e dai profumi, dai sapori della cucina africani. La cucina che offriamo copre l’intera africa occidentale, dal Senegal al Camerun. Cucinati in una maniera diversa, un po’ leggera rispetto all’originale». È qui che entra in gioco il fattore ‘contaminazione’. La differenza tra i piatti africani che Balafon prepara e la loro versione orginale non

di Franco Cavalleri

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34 Incontro con lo chef

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sta nell’adattarli al gusto milanese e lombardo, ma in una inevitabile ‘contaminazione’ tra le due culture. Thora, come detto, è nato e cresciuto a Milano, è giocoforza l’emblema di una unione, un connubio, tra due diverse tradizioni in cucina. Come ammette lui stesso. «Chiaramente – spiega Thora – come in ogni campo, ci sono cose che a livello culturale possono essere state apprese dalla cucina italiana. Come il soffritto, per esempio. Gli ingredienti possono essere diversi, perché ci troviamo in due situazioni climatiche e culturali molto diverse, ma la ricetta rimane quella». Gli ingredienti riuscite a riceverli dal Mali e dagli altri paesi africani? «Purtroppo Milano non può offrire un mercato di ingredienti maliani e africani che consenta di cucinare solo con quelli. Si trovano comunque altri ingredienti, simili, che possono sostituire quelli originari. Solo la carne è molto diversa: l’animale è diverso, i sistemi di allevamento e nutrizione sono diversi, e anche la modalità di frollatura e preparazione per la cucina non sono le stesse. La carne, per esempio, da noi viene quasi

sempre preparata alla brace, e poi venduta sulle bancarelle lungo la strada. Qui invece la si può cucinare in padella, si possono fare brasati, e altro ancora. Cambia l’approccio». Se venissi da voi, cosa mi consigliereste di provare? «Couscous con sugo di crema d’arachidi, il maké, tipico del Mali. Si fa con la crema d’arachidi, la carne di manzo e verdure abbondanti. Si prepara un leggero soffritto, a


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Incontro con lo chef 35

e molto saporito. Anzi, da noi viene mangiato con la polenta. Nel Mali, la cena in famiglia vede spesso un piatto di polenta. Con la polenta vengono preparate anche delle palline, che poi vengono bollite. Gli si aggiunge yogurt, panna, profumi quali noce moscata, vaniglia, zucchero: è un piatto semplice, leggero, ma molto nutriente».

cui si aggiunge carne di manzo. Una cottura lenta, piano piano. Si aggiunge la crema di arachidi e si lascia cuocere fino a quando la carne è morbida. Poi si serve con il classico couscous e abbondanti verdure. È un piatto da comunità, si mangia tutti insieme. Tipicamente maliano. Dal Camerun prepariamo il saka saka, dalla Guinea il Conacry un piatto a base di una verdura a metà tra zucchine e fagiolini. Viene preparata con un sugo di pomodori, ne risulta un piatto molto buono

Visto che ormai siamo in piena stagione-Expo, gli abbiamo chiesto cosa si aspettano dai sei mesi dell’esposizione universale. «Sicuramente un aumento delle conoscenze da parte delle persone. Credo che serva un grande coordinamento tra Expo, gli operatori, i visitatori e la città, per rendere visibili realtà già esistenti. Da parte nostra, organizzeremo o prenderemo parte ad eventi e manifestazioni legate a Expo, come questa che Identità Golose ha organizzato a Expogate, per farci conoscere». L’integrazione tra i popoli passa anche per la cucina. Due generazioni sono diventate un punto di incontro tra Italia e Africa, in un continuo scambio culturale che ha origine antiche e che coinvolge tutto il Mediterrai neo.


36 Rubrica a cura dello chef Riccardo Carnevali • www.arspersonalcatering.it

L’asparago

DEgustare 01 Il mio primo incontro con gli asparagi fu da piccolo, nell’orto di famiglia. Si innalzavano in mezzo all’aiuola tronfi e verdi. Con quella testa a punta sembravano dei pennelli messi lì per poter dipingere con i colori di primavera il resto delle aiuole che a fine marzo iniziano a essere lavorate. L’asparago, infatti, come i piselli e le fave fresche, è il simbolo della rinascita della bella stagione. Cime di rapa, broccoli, carciofi giungono a fine corsa. Cavoli, cavolfiori e porri iniziano a essere un ricordo. Gli asparagi verdi, bianchi, violetti e gli asparagi selvatici iniziano a far percepire il risveglio della natura dal torpore invernale. La cosa più importante è non acquistarli se la punta non è ben chiusa. I migliori asparagi di qualità extra non sono propriamente economici,

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Salsa bianca per gli asparagi quindi facciamo attenzione durante l’acquisto. Plinio il Vecchio ne esaltava le proprietà: «Il cibo dello asparago, secondo che si dice, è utilissimo allo stomaco, e aggiuntovi il comino caccia le infiammagioni dallo stomaco e dell’intestino colon; e rischiara anco la vista. Gli asparagi mollificano leggermente il corpo: giovano a’ dolori del petto e della schiena, e a’ difetti degl’interiori, quando son cotti col vino; non che a’ dolori de’ lombi e delle reni, beendo il seme loro a peso di tre oboli con altrettanto comino. Dettano la lussuria, e muovono utilissimamente l’orina, ma rodono la vescica».

Ricetta n° 124 tratta da: «La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene» di Pellegrino Artusi «È una salsa da servire cogli sparagi lessati, o col cavolfiore. Burro, grammi 100. Farina, una cucchiaiata. Aceto, una cucchiaiata. Un rosso d’uovo. Sale e pepe. Brodo o acqua, quanto basta Mettete prima al fuoco la farina colla metà del burro e quando avrà preso il color nocciuola versate il brodo o l’acqua a poco per volta girando il mestolo e, senza farla troppo bollire, aggiungete il resto del burro e l’aceto. Tolta dal fuoco, scioglieteci il rosso d’uovo e servitela. La sua consistenza dev’essere eguale a quella della crema fatta senza farina. Per un mazzo comune di sparagi possono bastare grammi 70 di burro colla farina e l’aceto in proporzione». Asparagi e uovo: matrimonio di piacere In cucina, nella loro grande semplicità gli asparagi sono da sempre accoppiati a preparazioni a base d’uovo. Si possono semplicemente bollire e rosolare per poi appoggiarli su un paio d’uova all’occhio di bue, oppure possiamo impegnarci e creare una splendida maionese per accompagnarli, o ancora accostarli ad un uovo in camicia

con una salsa olandese, asparagi e uova su salsa emulsionata di tuorli, aceto e burro chiarificato. Altra cosa sono gli asparagi selvatici. Quelli li si andava a raccogliere con nonna in campagna o lungo un bel muretto a nord in giardino. Stupendi in una frittata, ma perfetti anche semplicemente sbollentati e ripassati al burro. Oggi li si trova solo in mercati importanti. Io li ho appena recuperati al mercato di Porta Palazzo a Torino, appunto nei giorni di Pasqua. Bisogna fare attenzione a eliminare quelli anneriti perché rischiano di rendere i piatti troppo amari.

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Risotto all’emulsione di asparagi mantecato con crescenza Fatta eccezione della parte iniziale del gambo, quella legnosa a sufficienza a far si che gli asparagi si ergano dritti contro le piogge ed i venti di primavera, tolta quella, dell’asparago mangiamo tutto. Dopo aver levato la parte finale legnosa degli asparagi, sbucciarne con un pela patate il gambo e suddividere gli asparagi in cima e gambo. Legare in due mazzi, con dello spago da cucina, i gambi e a parte legare assieme le punte. In una pentola con abbondante acqua salata, porre le bucce di asparago, il mazzo dei gambi ed il mazzo delle punte. Le punte saranno quelle

Ingredienti per 4 persone 300 g asparagi qb acqua qb sale 1 dl pinot grigio

n°2 spicchi d’aglio fresco qb olio extravergine 360 g riso Carnaroli 100 g crescenza fresca

che cuoceranno prima. I gambi verranno scolati per secondi e le bucce e l’aglio rimarranno nell’acqua di cottura che si dovrà conservare per essere utilizzata come brodo di cottura del risotto. Le punte, una volta slegate, saranno rosolate velocemente in un velo d’olio extravergine. I gambi, con un po’ d’acqua di cottura e un paio di cucciai d’olio extravergine vanno frullati a lungo ottenendo una bella crema fluida. Partire con il risotto tostando il riso per non più di 3 o 4 minuti in poco olio extravergine. Quindi sfumare con il vino bianco. Iniziare a cuocere il riso con l’acqua di cottu-

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Pellegrino Artusi

ra (filtrato) aggiungendo anche un terzo della crema. Aggiungere un altro terzo di crema dopo dieci minuti di cottura e verso fine cottura aggiungere l’ultima parte di crema frullata. Così sapore e colore della crema di asparagi resteranno inalterati. Spegnere la fiamma con risotto al dente e aggiungere la crescenza a cubetti e un paio di cucchiai d’olio. Servire all’onda.

«Amo il bello ed il buono ovunque si trovino e mi ripugna di vedere straziata, come suol dirsi, la grazia di Dio». Così inizia “La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene” di Pellegrino Artusi. Non un cuoco, ma un finanziere di famiglia benestante vissuto tra il 1820 e il 1911. Questa pubblicazione è la bibbia della cucina italiana. Fino ad allora infatti erano pochi i ricettari di cucina regionale italiana. Anche perché l’Italia come nazione unita è tuttora ancora giovane. Il titolo suggerisce un’altra riflessione visto che si parla della cucina e del cibo come scienza e arte. Ed è proprio quello che è: “scienza” perché le tecniche di trattamento del cibo sono una vera e propria materia scientifica, e “arte” per l’estro che da sempre caratterizza la cucina del bel Paese. Artusi, non essendo un cuoco, è andato raccogliendo quella che era la tradizione culinaria del nostro Paese, tramandata per lo più oralmente nelle generazioni. Le migliaia di ricette che caratterizzano la cucina italiana possono appunto essere frutto della suddivisione della nostra nazione in staterelli fino al 1861 e della tradizione orale. Le varianti della stessa ricetta possono essere decine (forse centinaia) e fino al secondo dopoguerra, con il boom economico, non si è potuto parlare di cucina nazionalizzata. Le migrazioni dal Sud al Nord e dall’Est all’Ovest hanno iniziato a far viaggiare le preparazioni regionali su tutto il territorio. Artusi per raccogliere le ricette ha viaggiato anche lui su e giù per lo stivale. Non si può parlare di raccolta totale di ogni territorio, però inizia a esserci un buon numero di preparazioni suddivise per argomenti e per ordine di portata. In oltre ci sono suggerimenti di menu stagionali e accortezze sulla conservazione e il trattamento degli ingredienti. Inizialmente pubblicato a proprie spese, dopo un inizio difficile, il manuale diventa poi un punto di riferimento e lo è tutt’ora con decine di editori e traduzioni e milioni di copie vendute. L’ultimo aggiornamento risale al 1911. Dopo la scomparsa di Artusi nessuno mise mano per aggiornare le ricette ed è per questo che i procedimenti sono di interessante lettura, con vocaboli arcaici come “sparagi” per asparagi o “balsamella” per besciaRiccardo Carnevali mella.

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Raviolone con tuorlo Il Tuorlo in Raviolo è un piatto creato allo storico Ristorante San Domenico di Imola, uno dei piatti simbolo di questo locale. Perfetto per un menu di più portate, è stato pensato e realizzato per stupire. La ricetta originale dello chef Valentino Marcatilii prevede un condimento con burro spumeggiante e lamelle di tartufo bianco prima di servire. Per renderlo più adatto a una preparazione casalinga noi consigliamo di servirlo su una semplice, ma elegante fonduta al Parmigiano Reggiano in grado di esaltare le consistenze e di esaltare i sapori. Per il ripieno, scottare velocemente gli spinaci in acqua salata, quindi scolarli e raffreddarli subito in acqua e ghiaccio. Questo favorirà il

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Proposto per la prima volta dallo chef Valentino Mercatilii Ingredienti per 4 ravioloni 200 g pasta all’uovo 100 g spinaci cotti 30 g Parmigiano Reggiano

300 g ricotta qb noce moscata sale

Per la fonduta di Parmigiano Reggiano 200 ml di latte 120 g di Parmigiano Reggiano grattugiato sale

Tirare poi la sfoglia di pasta all’uovo senza infarinarla per favorirne la successiva chiusura. Creare dei nidi di ripieno ricotta e spinaci e porvi in centro un tuorlo. Chiudere con altra sfoglia, coppare con coppa pasta rotondo e sigillare bene con i rebbi della forchetta. Bollire per 4 minuti circa (come si farebbe con l’uovo alla coque) e servire sulla fonduta messa a specchio nel piatto. Quest’ultima si prepara facendo sciogliere il Parmigiano Reggiano in latte caldo, amalgamando il tutto con una frusta. Una volta che si è formata correggere di sale secondo i propri gusti.

ricette verde brillante dello spinacio. Quindi strizzarli bene, tritarli a coltello e incorporarli alla ricotta, con una spolverata di noce moscata e un’aggiustata di sale.


sommelier

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Il GATTINARA E LA SUA STORIA

attinara è un piccolo comune dell’Alto Piemonte, alle pendici del massiccio del Monte Rosa, coricato sulla costa destra del Sesia e con lo sguardo rivolto alla pianura. La sua storia è affascinante e legata al suo gioiello, il vino Gattinara Docg, frutto del vitigno Nebbiolo. Un gioiello vero, basti pensare che durante la guerra di Crimea, in un accampamento militare, si accese un forte dibattito su chi bevesse il miglior vino tra francesi e italiani; vennero eletti a giudice i soldati alleati inglesi. A spuntarla in questo goliardico duello furono gli italiani, grazie proprio ad una bottiglia di Gattinara (e, per dovere di cronaca, ad una di Lessona, altro comune dell’Alto Piemonte che cede il nome al proprio vino). Senza dubbio il personag-

G

di li passavano per recarsi dalle provincie piemontesi a quelle lombarde e viceversa. Nel nuovo borgo confluirono forzatamente tutti gli abitanti dei piccoli centri esistenti, poi abbandonati o gio più illustre di Gattinara distrutti, e dal più visse a cavallo del 1500, ri- grande di questi spondendo al nome di Mer- prese il nome il curino Arborio, della poten- nuovo presidio. L’area in cui sorse te famiglia degli Arborio. Dapprima diplomatico e in Gattinara, infatti, seguito Cardinale, rivestì il non era priva di prestigioso e potente ruolo insediamenti in di Gran Cancelliere di Car- età anche molto antecedenti. lo V, alla corte del quale Fin dall’epoca introdusse il suo vino, il romana, borghi Gattinara. Fu inoltre freabitativi stanziali quentatore delle maggiori sorgevano lungo corti europee, tra le quali, quella Sabauda e quella di il corso del fiume Sesia, alcuni reMassimiliano d’Asburgo. Il centro storico di Gattinara è del 1200, per la precisione fu nel 1242 che il Comune di Vercelli decise la costruzione di un borgo fortificato, per irrobustire ulteriormente le difese della zona, da sempre teatro di scontri tra gli eserciti di ventura che

Rubrica a cura di Valerio Sisti

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perti ritrovati durante scavi casuali testimoniano la presenza di un centro abitato in età imperiale. Questo lembo di terra fu crocevia di antiche strade che seguendo il percorso del Sesia s’incrociavano con quelle provenienti da Biella. Non solo i commerci tuttavia scandivano la vita quotidiana degli abitanti di queste terre; come si accennava numerosi furono i conflitti che videro nell’alto novarese il campo di battaglia. Splendida testimonianza di ciò è il ricetto di


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sommelier Ghemme, sulla sponda opposta del fiume Sesia. Anche Gattinara però vanta importanti costruzioni militari; è della fine del 1100 il castello di San Lorenzo, costruito sulla collina che domina la cittadina presso l’omonima pieve. Il periodo peggiore per la città fu a cavallo del XVI secolo, quando Gattinara subì quattro anni di dominazione francese, dal 1555 al 1559. Di qui però partì una vera e propria rinascita favorita dall’afflusso di nuovi abitanti provenienti dall’alto Sesia, e per Gattinara iniziarono due secoli di buona prosperità. Nel settecento un nuovo evento, di portata mondiale, modificò gli equilibri durevoli da secoli. La dominazione napoleonica abolì, infatti, i privilegi feudali

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di cui Gattinara godeva (era zona franca) e i privilegi di casta, in particolar modo quelli ecclesiastici. Il Gattinara Il vino è sempre presente, proprio i vigneti furono i protagonisti infatti delle evoluzioni economiche di Gattinara nel ‘900. In una prima fase lo furono in negativo, perché è del 1905 la terribile grandinata che distrusse buona parte dei vigneti e costrinse l’amministrazione a puntare su un forte piano di sviluppo industriale, per garantire lavoro agli abitanti. Di senso opposto invece quello che accade tra gli anni settanta e ottanta. Nel pieno boom industriale nazionale, Gattinara si trovò piegata dalla crisi dell’industria locale, che chiuse molti dei

suoi stabilimenti. Ecco che sono di nuovo le vigne a riassorbire buona parte degli esuberi industriali. La produzione, ormai totalmente votata alla qualità, fa il resto, permettendo a Gattinara di continuare a generare economia e lavoro. Il territorio di pro-

duzione di vino a denominazione Gattinara Docg è il solo comune omonimo e nemmeno per tutta la sua estensione. Il Gattinara Docg è dunque il vino principe e sostanzialmente unico di questo piccolo lembo di terra in provincia di Vercelli.

È la collina che domina Gattinara, a ovest del Comune stesso, facendone una cinta naturale, che ospita tutti i suoi vigneti. Pendii molto leggeri e altitudini assai modeste, quella condizione di media collina però, così preziosa per l’uva Nebbiolo. Le


reilemmos

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viti sono ordinate come in splendidi giardini, vigneti chiamati per nome quasi come fossero figli, proprio a testimoniare l’importanza che gli abitanti attribuiscono al prezioso frutto della loro terra. Nonostante la ristrettezza dell’area, la composizione dei

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terreni è varia, di formazione morenica a seguito del ritirarsi del ghiacciaio del Rosa, ha come minimo comun denominatore fra tutte le sua vigne una grande ricchezza di minerali e di ferro, di qui la grande mineralità e struttura dei suoi vini, condizioni eccel-

lenti che permettono lunghi invecchiamenti in bottiglia e regalano a chi sa aspettare piacevolissime emozioni. Secondo disciplinare, il Gattinara Docg non necessariamente deve essere un vino in purezza, tanto è vero che il Nebbiolo deve com-

porlo per almeno il 90%, ma non necessariamente del tutto; per la restante parte Vespolina e Uva Rara completano il quadro. Molti produttori tuttavia non aggiungono uve che non siano Nebbiolo, chi non lo facesse però, non andrà additato come “non purista”, perché Vespolina e Croatina altro non sono che le principali varietà coltivate nella zona del novarese. Ovvero potremmo dire che la piccola mescolanza, quando presente, non smentisce il territorio, anzi lo enfatizza. Non si tratta di vini facili, men che meno “ruffiani”, al contrario si tratta di vini austeri e complessi. Vini di grande spessore, che richiedono tempo: tempo per aspettarli quando riposano in bottiglia, tempo per degu-

starli quando sono nel nostro bicchiere. In alcuni casi non rari, definire commovente la franchezza con cui ci parlano, non è eccesso di entusiasmo narrativo, ma solo obiettiva cronaca di una onesta degustazione. Il Gattinara è un vino dalla storia lunga, ma che negli anni non ha avuto sempre fama e fortuna. Ciò nonostante la Denominazione d’origine fu comunque una delle prime in Italia. Purtroppo non è stato sempre edificante nemmeno il successo economico. Oggi però possiamo dire che questa terra eprime uno dei migliori vini rossi italiani, la produzione è limitata, le aziende sono poche, ma, forse proprio per questo, la qualità è eccelleni te ovunque.


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44 i vini

L’eccellenza fuori dai luoghi comuni U

n grande rosso, magro e raffinato, deve per forza essere piemontese? A Pantelleria si può solo far vino passito? Il Veneto è solo Prosecco e Valpolicella? A tutte queste domande è possibile, anzi si deve rispondere no. La prova è la degustazione che segue, cinque vini, ciascuno degno rappresentante della propria categoria. Due vini simbolo, le bollicine di Franciacorta e il Sangiovese toscano del Chianti Classico, insieme a tre vini meno noti e, per certi versi, fuori dagli schemi. Tutti egualmente validi, molto diversi tra loro, eppure tutti in grado di conquistare la platea dei degustatori. È in un certo senso questo il paradosso italiano: il grande nome, famoso in Patria e ancor più oltre confini, associato all’outsider, allo sconosciuto che è in grado di sorprendere e stupire sin dal primo sorso. È ancor più la ricchezza del vino italiano, ovvero la capacità di presentare grandi vini provenienti da ogni dove, prodotti con uve differenti, con metodologie e obiettivi diversi, eppure tutti, ciascuno a suo modo, vincenti. L’Italia offre un panorama vitivi-

nicolo estremamente variegato, molto più ricco e vario di quanto si possa immaginare, dalla Valle d’Aosta alla Sicilia si produce vino. Sono più di due mila le varietà di uva autorizzate per la produzione di vino sul suolo nazionale, si tratta di una differenziazione senza eguali al mondo che rende l’Italia un luogo da scoprire dal punto di vista enologico. Con ogni probabilità una persona riuscirà ad assaggiare solo una piccola parte di quello che le cantine italiane sono in grado di offrire. Ecco dunque la prima degustazione che presentiamo: un grande spumante di Franciacorta che ci ha colpito per l’eleganza e la raffinatezza, un bianco secco prodotto a Pantelleria dove i profumi ricordano la terra d’origine, una riserva di Chianti Classico dall’anima genuina e schietta, un Raboso molto arrabbiato del Piave che arriva come un pugno e lascia indifesi di fronte al bicchiere e infine un Negroamaro del Salento che tipico proprio non è, ma che riesce a esprimere tutto quello che un vino deve avere per essere equilibrato. Buona lettura e buoni assaggi.

PANEL DI DEGUSTAZIONE Sommelier della Delegazione FISAR Milano Duomo Sommelier Valerio Sisti Sommelier Silvia Pedrotti Sommelier Massimiliano Garavaglia Sommelier Peppe Bua LEGENDA DEI VOTI Il voto in centesimi è comunemente utilizzato nei principali concorsi enologici nazionali e internazionali, è un sistema di votazione che viene generalmente impiegato anche dalle guide del settore, indipendentemente dal fatto che poi utilizzino simboli diversi per l’assegnazione grafica del punteggio conseguito. Secondo la norma generalmente in uso si classifica con 80/100 un vino onesto, ben fatto e ovviamente senza difetti, al di sotto di questa soglia vengono classificati i vini con leggere imperfezioni o comunque non particolarmente piacevoli. Tra gli 80 e 85 punti si posizionano i vini di buona piacevolezza, oltre la soglia degli 85 punti invece si trovano i vini di grande piacevolezza, mentre oltre i 90 punti i vini presenti saranno certamente di assoluta eccellenza. 0-70 punti: vino con difetti o sgradevole 70-75 punti: vino non particolarmente gradevole 75-80 punti: vino gradevole seppur non del tutto convincente 80-85 punti: vino ben fatto e convincente 85-90 punti: vino con caratteristiche superiori alla media 90-100 punti: vino eccellente sotto più punti di vista


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Nome: SECOLO NOVO Denominazione: FRANCIACORTA DOCG Cantina: LE MARCHESINE Tipologia: spumante metodo classico Vitigno: Chardonnay Anno: 2008 (sboccatura 2015) Gradazione alcoolica: 13,0% Affinamento: acciaio prima della presa di spuma Tipo di viticoltura: tradizionale Temp. di servizio: 6° Degustazione: Si presenta nel bicchiere con una spuma quasi cremosa, consistente e persistente. Al naso stupisce con note balsamiche e floreali, seguite da sentori di frutta e lieviti, una leggera crosta di pane in chiusura. Notevole la complessità olfattiva che prosegue al palato, dove il vino risulta avvolgente, suadente e strutturato, ma mai piatto, sostenuto dalla corretta acidità. Finale lunghissimo. Abbinamento: Sarde fritte, fritto misto, tortino di verdure ripieno di ricotta Voto: 92/100 www.lemarchesine.com

i vini 45 Nome: ZEFIRO Denominazione: Pantelleria DOP bianco Cantina: VINISOLA Tipologia: bianco fermo Vitigno: Zibibbo (Moscato d’Alessandria) Anno: 2013 Gradazione alcoolica: 13,5% Affinamento: acciaio Tipo di viticoltura: tradizionale Temp. di servizio: 12° Degustazione: Un bel giallo carico anticipa tutta l’intensità che ci si aspetta da un vitigno aromatico, un’esplosione di frutta e fiori invade le narici, seguite da note di frutta secca e salvia in una sequenza incredibilmente coerente. Al palato si espande il profumo di agrumi; il vino risulta morbido e rotondo, sorretto da una corposa nota alcolica. Finale leggermente amaro di ottima persistenza. Abbinamento: Asparagi e uova, penne pomodorini capperi e olive, caponata siciliana Voto: 87/100 www.vinisola.it

Nome: CHIANTI CLASSICO RISERVA Denominazione: Chianti Classico DOCG Riserva Cantina: FATTORIA DI CINCIANO Tipologia: rosso fermo Vitigno: Sangiovese Anno: 2010 Gradazione alcoolica: 14,5% Affinamento: botte grande Tipo di viticoltura: tradizionale Temp. di servizio: 18° Degustazione: Il colore vira dal rubino al granato, molto compatto e vivo. Al naso presenta immediatamente ciliegia matura seguita da note di cioccolato al latte e un finale di spezia e cuoio. Si percepisce anche una nota di tostatura leggera e molto elegante. Splendidamente morbido e avvolgente, riempie il palato con la forza dei sui 14,5 gradi di alcool. Il tannino è ben presente, ma levigato e mai eccessivo. Gode di un equilibrio generale perfetto. Abbinamento: Pici al ragù di cinghiale, carne alla brace, norcineria toscana Voto: 89/100 www.cinciano.it

Nome: RABIA’ Denominazione: Piave DOC Cantina: ITALO CESCON Tipologia: rosso fermo Vitigno: Raboso Anno: 2008 Gradazione alcoolica: 13,0% Affinamento: 24 mesi in botti di rovere, 12 in barrique, 12 in bottiglia Tipo di viticoltura: tradizionale Temp. di servizio: 16° Degustazione: Emoziona per un colore profondo e impenetrabile, violaceo quasi inchiostro. Al naso è una continua evoluzione, che parte da note balsamiche e di spezia (chiodi di garofano) per passare a piccoli frutti rossi e a note di cuoio e pelle. Al palato è vivissimo, grazie all’acidità ben marcata e al tannino aggressivo al punto giusto. Finale fresco e persistente. Abbinamento: Cervo ai mirtilli, piccione, goulash Voto: 90/100 www.cesconitalo.it

Nome: LE BRACI Denom.: Salento IGT Cantina: SEVERINO GAROFANO AZ. MONACI Tipologia: rosso fermo Vitigno: Negroamaro Anno: 2007 Gradazione alcoolica: 15,0% Affinamento: botte piccola Tipo di viticoltura: tradizionale Temp.di servizio: 18° Degustazione: Alla vista si presenta granato scarico. Al naso sono evidenti le dote di frutta sotto spirito, di spezia e di leggera ed elegantissima ossidazione, prosegue con note di frutta secca, di muschio e sentori balsamici. Tutto quello che non ti spetti da un Negroamaro viene confermato al palato. Asciutto e strutturato, mantiene eleganza e pulizia, l’importante percentuale alcolica è molto ben amalgamata e non risulta mai fastidiosa, anzi. Finale degno di un grande rosso. Abbinamento: Braciole pugliesi, arrosto misto, maialino al forno Voto: 91/100 www.garofano. aziendamonaci.com


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La cucina è Amore, Psiche L

a cucina è Amore. Chi mette nel piatto del cibo così come riempie di carburante il serbatoio dell’auto, non lo capirà mai. Soprattutto non lo percepiranno coloro per i quali quel piatto sarà stato preparato. Ma la cucina è anche Psiche: è superare le proprie paure e mettersi alla prova, come fece Psiche nella favola/mito di Apuleio. Questo perché il cibo, l’atto stesso del mangiare, è catartico: intanto è una vittoria contro la morte. Più nel profondo, il cibo coinvolge la sfera emotiva del cervello. Un piatto, un sapore, possono richiamare alla mente ricordi e sensazioni sopi-

te, colpendo come uno schiaffo, esplodendo come un orgasmo. Amore e Psiche, dunque: corpo e anima uniti in un abbraccio voluttuoso, un vortice di passione. Ma il momento del pasto rappresenta sin dalla preistoria anche e soprattutto un rito collettivo che unisce la comunità, la famiglia. Perché, alla fine, mangiare e bere sono bisogni primari che nessuno può ignorare. Ognuno può decidere come e con quale “enfasi” soddisfare tali bisogni primari, quanto lasciarsi andare nell’abbraccio di Amore e Psiche e quanto estendere questo abbraccio alla propria comunità di parenti e amici, con passione. In generale, è la storia, o, meglio, la tradizione familiare di ognuno a determinare questa decisione.

Le patate di Cassino, 1944 Io ho cominciato a cucinare più o meno a 12 anni. Mi limitavo ad aiutare mia nonna, che si alzava alle sei di mattina e si metteva ai fornelli. Ogni giorno manicaretti diversi, cercando di accontentare i gusti di tutti e preparando cibo in abbondanza, ma non si è mai buttato nulla, semmai si riciclava il giorno dopo. Il mio piatto preferito era (e forse è ancora) le polpette, ma mia nonna non le preparava spesso, perché le ricordavano i tempi di quando c’erano pochi soldi e occorreva risparmiare. Però, se non erano polpette, erano comunque

filosofando


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di Gaetano Di Blasio

e… condivisione piatti squisiti, diversi ogni giorno. Accontentare tutti a tavola era, per mia nonna, una vera e propria missione, ma, probabilmente, era anche il modo di esorcizzare i tempi della guerra. Di guerre, mia nonna ne ha vissute due, ma nel ‘44 si trovò a Cassino su uno dei fronti più importanti della Seconda Guerra Mondiale. Fronte, che di notte attraversava per procurarsi un po’ di cibo per le sue tre figlie, tra cui mia madre; patate perlopiù, stando ben bassa per evitare le pallottole. Piatti abbondanti per allontanare il ricordo della paura. Piatti appetitosi che ti riempiva-

no di vita. Prepararti una delle tue ricette preferite era il modo di mia nonna per coccolarti, per farti dimenticare una delusione, per premiare una bella prestazione scolastica, per caricarti di energia positiva. Grazie a mia nonna e a mia madre, che da lei (ovviamente prima di me) ha imparato a cucinare, ho compreso il binomio cucina-amore.

Le pizze di Terracina, 1982 Mio padre era un ingegnere chimico e per lui la cucina era anche scienza. Da lui ho imparato i retroscena delle tecniche di cucina, a conoscere gli alimenti e a studiarne le proprietà. Ma mio padre era anche una persona che amava la compagnia e in particolare condividere il piacere della buona

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tavola. In questo trovava il supporto di mia madre che accondiscendeva alle sue richieste, anche quando andava oltre la semplice “cena tra amici”, come per le feste di Ferragosto. Nel 1982, mio padre organizzò una “pizziata” sulla spiaggia per 120 persone, con tanto di cucina da campo per friggere al momento le pizze preparate da mia madre. Naturalmente più pentole friggitrici in batteria, per mantenere l’olio in temperatura. Per “fortuna” chi non ha mai mangiato una pizza fritta napoletana, non sa cosa si perde. Anche se ormai ci sono pizzerie che le hanno inserite nel menu, la vera pizza fritta è fatta in casa, dove non è semplice avere un forno a legna per cucinare la pizza secondo tradizione. Quella sera sulla spiag-

o in cucina


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gia si celebrerò un vero e proprio “rito” di condivisione. Il menu era completato da tanti assaggi di ricette tra le più varie che ogni famiglia aveva preparato e non mancavano vino, birra e bibite per tutti. Per quasi trent’anni, a Ferragosto, magari in piccolo, fra i trenta e i cinquanta commensali ripetevano il rito in un’unica lunga tavolata. È evidente che in un singolo tavolo di oltre dieci persone è quasi impossibile imbastire una discussione che coinvolga tutti, ma si è comunque allo stesso tavolo ed era questo il senso ultimo della serata: la partecipazione. Per certi versi

c’era quasi un senso religioso, forse appoggiato anche “dall’alto”, visto che non è mai stato necessario annullare per pioggia. Un buffet in piedi non è lo stesso, ma, d’altro canto, non sempre si dispone dello spazio necessario per far allestire un tavolo unico con oltre trenta coperti. Quindi non cercate di usare questa come scusa, perché che sia all’aperto o al chiuso,

che sia per una ricorrenza o solo perché si ha voglia di vedere un po’ di amici, che sia intorno a un tavolo o sparsi per tutta la casa, mangiare e bere in compagnia fa bene all’Amore e a Psiche (che, a proposito, in greco vuol dire “anima”).

Mezz’ora Amore, Psiche e condivisione non richiedono l’organizzazione di una festa ogni giorno: può bastare solo un po’ di

attenzione e, anche se non c’è nulla di male se qualche volta si ricorre al surgelato o al piatto pronto (attenzione a leggere bene l’etichetta!), in mezz’ora si può preparare un pranzo completo pieno di amore, sano e nutriente. Il tempo di far bollire l’acqua. Piuttosto, il vero impegno è quello di programmare un’alimentazione corretta, che si concretizza nel variare il più possibile ingredienti e cotture, facendo attenzione ai principi alimentari. Con De-gustare speriamo di aiutarvi a coltivare Amore e Psiche in compagnia, condendo il tutto con un po’ di i scienza.

filosofando


gustare DE alla scoperta dei sapori d’Italia


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