novembre-dicembre 2015
Partners - Anno IV n.24 novembre-dicembre 2015 bimestrale
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Tra Virgolette I “soliti noti” trend che confermano l’importanza della formazione 7 Rinnovare l’IT. Ma come? 8 9 Separare il vecchio dal nuovo nella digital Transformation
Panorami Dall’always on ai Big Data. I trend 2016 secondo Veeam Software Investire nella disponibilità premia le aziende Assintel: l’IT italiano cresce di 1,7% nel 2015 Le infrastrutture di rete per lo sviluppo Nel 2016 criminali informatici sempre più cattivi Il data center nel 2016 Partecipare alla corsa al digitale e vincerla
Partners Anno IV - numero 24
cover story Brother, il business cresce pensando in ‘piccolo’
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Bimestrale novembre-dicembre 2015 Direttore responsabile: Gaetano Di Blasio In redazione: Riccardo Florio, Giuseppe Saccardi, Paola Saccardi Grafica: Aimone Bolliger Hanno collaborato: Claudia Rossi, S.Lanzetti Redazione, amministrazione, pubblicità: REPORTEC srl via Marco Aurelio, 8 -20127 Milano Tel 0236580441 - Fax 0236580444 www.partnersflip.it partners@reportec.it pubblicità: edmondo.espa@reportec.it Diffusione: 12.000 copie Iscrizione al tribunale di Milano n° 515 del 13 ottobre 2011. Stampa: A.G.Printing Srl, via Milano 3/5 20068 Peschiera Borromeo (MI) Immagini: Dreamstime.com Proprietà: Reportec Srl, via Gian Galeazzo 2, 20136 Milano Tutti i diritti sono riservati Tutti i marchi sono registrati e di proprietà delle relative società
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in dettaglio Symantec vuole guidare la sicurezza business Internet of Things e l’impegno di Sap Active Solution punta sul TCO ed entra nel mercato della sicurezza Cloud, IoT e Security i punti chiave del portfolio ITway e del futuro IT Il cloud premia Microsoft Ptc svolta verso l’IoT Un canale strutturato per F5 Networks Nuovi processori Intel con Windows 10 per spingere il canale Talentia Software: nuovi partner e cloud «libero» Manage Engine reinventa il network e system management Surface Pro 4: test molto significativo per Microsoft Mitel annuncia un robusto programma di canale Con Spark aumenta la collaboration dei partner con Cisco
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focus Dell punta sulle soluzioni end to end per far crescere il canale Ricoh cresce nei servizi anche grazie a Dell
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report I Big Data FANNO volare il business Dal cloud ai Big Data: una scelta non sempre facile Monetizzare i Big Data semplicemente e in autonomia IBM Storage: massime prestazioni per i Big Data e le nuove applicazioni
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I “soliti noti” trend che confermano l’importanza della formazione Su questo numero di Partners, come spesso accade a fine anno, pubblichiamo un nutrito numero di contributi relativi alle tendenze previste per l’anno a venire e il prossimo futuro. I temi sono quelli ben noti da tempo, senza particolari novità: la sicurezza, il cloud, i big data, la digital transformation, l’IoT, l’unified communication e via dicendo. Sono temi di cui si parla da anni, chi più, chi meno. Temi che propongono tecnologie a diversi livelli di maturazione tecnologica e commerciale. Sfruttare le opportunità che periodicamente si presentano richiede avere pronte in azienda le competenze che occorrono per soddisfare le esigenze. Un investimento cha va stanziato per tempo e che nel tempo va mantenuto. Non sempre è facile intuire dove investire e dove poterlo fare con continuità. La sicurezza, per esempio, rappresenta un tema sempreverde che nel prossimo biennio potrebbe attraversare un rinnovato periodo di crescita, considerando la spinta al mercato certamente innescata dal nuovo regolamento europeo sulla protezione dei dati GDPR o General Data Protection Regulation presentato prima di Natale.
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La rivendita dei prodotti, oltre a maturare scarsi margini, rischia di scomparire con l’affermazione di nuove piattaforme. Convertirsi ai servizi richiede competenze
di Gaetano Di Blasio
Periodicamente la sicurezza trova nella necessità di adeguamenti alle normative una chiave di vendita importante. A questo si aggiunge l’aumento della sensibilità alla sicurezza innescato dalla cronaca degli attacchi e degli incidenti che adesso escono dai bollettini riservati ai professionisti, arrivando sempre più spesso anche nei telegiornali nazionali. Quest’ambito richiede grandi competenze e la formazione è fondamentale, tant’è che il problema è non solo costruire le risorse interne per soddisfare le esigenze dei clienti, ma anche mantenerle in azienda. Il cloud è ormai anch’esso arrivato a un buon livello di maturazione e, nelle sue forme privato, pubblico o ibrido, è ormai una scelta imprescindibile per le imprese. Anche qui, dunque, è opportuno e necessario investire in competenze e formazione. Di Big Data ci occupiamo nella cover story, cui rimando direttamente. Così come rimando al mio editoriale dello scorso numero per quanto riguarda la digital transformation. Un accenno, invece, all’Internet of Things,
i cui confini sembrano illimitati. In effetti lo sono sia in termini di settori potenzialmente coinvolti sia per ambiti applicativi. Una tale varietà che pone qualche problema, perché non i tutti i settori sono maturi allo stesso modo. Per esempio, l’automotive è uno dei più avanzati, ma certamente non è un settore alla portata di qualsiasi dealer/ system integrator. In generale, i progetti più grandi sono partiti nelle utility e le enterprise, ma è difficile segmentare le opportunità sulla base della dimensione media che caratterizza le diverse imprese. Per esempio, un ambito in cui stanno crescendo i progetti IoT è l’agroalimentare, fatto di grandi ma soprattutto piccole imprese. Per realizzare i progetti, però, occorrono senz’altro competenze e anche molto specializzate, perché diverso è installare dei sensori che misurano i dati climatici intorno a una batteria di alveari un’altra se si deve monitorare un impianto per la distribuzione dell’energia. Ancora diverso è se è necessario inventarsi gli strumenti per un’applicazione v innovativa.
7 tra virgolette
Rinnovare l’IT. Ma come? Quali scelte per il cloud o i nuovi modelli di servizio? Il dubbio è che tornare indietro o cambiare strada in corsa possa comportare problemi In un periodo in cui si dibatte con una certa frequenza di modelli di riferimento per l’IT di nuova generazione, se adottare o meno il cloud e in che variante, a quale fornitore affidarsi per utilizzare al meglio budget a dir poco contenuti, vale la pena fare alcune considerazioni in proposito. Il punto forse più critico è rappresentato dalla scelta tra on premise e cloud. Una volta intrapresa una direzione, il dubbio peraltro legittimo che aleggia, è se sia possibile eventualmente modificare, se non invertire, la rotta. Va da sé che i fornitori di servizi cloud affermano di si mentre i fornitori di tecnologie hardware e software sono comprensibilmente spinti a far sorgere dei dubbi. Posizione
di Giuseppe Saccardi
8 tra virgolette
più serena e agnostica è quella di chi dispone nel portfolio sia di soluzioni on-premise che di servizi cloud. Due in ogni caso appaiono essere le strade che possono ridurre i rischi: l’adozione di soluzioni preconfigurate o il rivolgersi a un fornitore di servizi cloud. Nel primo caso esistono in proposito soluzioni che in un rack comprendono tutti gli elementi di un piccolo data center, permettono di evitare il trovarsi alle prese con complessi processi di integrazione e di gestione che potrebbero ritardare a dismisura il tempo di passaggio in produzione e a far lievitare i costi. La seconda alternativa permette di esternalizzare la complessità dell’IT o perlomeno di una sua parte, focalizzandosi per quanto concerne l’IT interno su quello che rappresenta il core business dell’azienda. Per il primo caso va poi osservato che, pur non ampie e limitate a pochi fornitori, soluzioni alternative esistono basate su architetture di riferimento realizzate con elementi storage,
server e di rete certificati. Sono le soluzioni riferite come chiavi in mano o anche ready to run e in genere sono disponibili in tagli diversi e anche personalizzate con applicazioni specifiche, dal SAP al Data Base, basate su uno strato di virtualizzazione standard di mercato come VMware o Microsoft Hyper-V, e sulle quali è possibile calare ulteriori applicazioni oppure farle interagire con il cloud pubblico. In questo caso andrebbe posta attenzione al fatto che i dati e le applicazioni possano migrare da una componente all’altra (e cioè dall’IT on-premise al cloud e viceversa), per evitare di trovarsi in una situazione vincolante nei confronti del fornitore di servizi. In un caso o nell’altro l’attenzione va in sostanza rivolta, oltre che sulla corrispondenza delle caratteristiche tecnologiche ai propri bisogni, sul fatto che si tratti di piattaforme, fisiche o virtuali che siano realmente aperte, e che lascino un adeguato grado di libertà nelle scelte in una fase successiva alla loro attivazione. v
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Separare il vecchio dal nuovo nella digital Transformation La trasformazione digitale porta un nuovo modo di fare impresa abilitato dalle nuove tecnologie. È anche un nuovo “luogo” in cui operare, competere e generare nuove esperienze e, in generale, un concetto che attiene alla strategia di business e ai suoi obiettivi. Una recente ricerca globale realizzata da Gartner, che ha coinvolto 2.242 CIO, indica che gli investimenti in digitale sono guidati primariamente dal desiderio di recuperare marginalità attraverso la competitività: la voce “More revenue from better operations” viene indicata come fattore primario dal 66% del campione globale e dal 67% di quello italiano (104 CIO). La sicurezza resta uno degli ostacoli “tradizionali” mentre il rischio principale nel restare esclusi dalla digital transformation è la perdita di competitività, per esempio, nei confronti di aziende che nascono con modelli di business già basati sul digitale.
Mobility, cloud, big data e social promettono una rivoluzione, ma larga banda e skill shortage sono ancora un ostacolo allo sviluppo
di Riccardo Florio
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Sempre Gartner evidenzia una contraddizione nell’approccio alla competitività che è la bassa spesa in tecnologie. Nel 2016 solo il 35% delle aziende italiane interpellate da Gartner pensa di aumentare la spesa tecnologica mentre il 44% la manterrà invariata: il resto diminuita o non sa. Le previsioni di spesa per il 2016 vedono al primo posto analytics e BI per il 38% Italia (39% mondiale) in un ottica “moderna” a cui fanno seguito cloud e ITaaS (30% Italia e 25% a livello mondiale): un dato in forte crescita nel nostro Paese segno forse di un senso di emergenza nel dover attuare un rinnovamento riconoscendo che il cloud rappresenta il modo più rapido per intraprendere il percorso di modernizzazione. A livello applicativo le cinque priorità sono, in ordine di importanza, mobile application, enterprise software application, business analytics application, SaaS application e Digital marketing application. Nel complesso il digital business interessa ormai metà del fatturato ed è
quindi di diritto da annoverare nel “core business”; in Italia, tuttavia, restano limiti culturali nell’approccio e nella mancanza di leadership e questo si traduce in modalità di spesa informatica condotte con logiche “vecchie”. Emergono nuove figure professionali che dovrebbero avere il compito di guidare un cambiamento radicale. Tra gli approcci che stanno incontrando un crescente consenso vi è l’idea di un business di tipo “bimodale” in cui far coesistere modelli di business di tipo vecchio e di tipo nuovo, separando il business consolidato da quello condotto con logiche e velocità diverse. Una ricetta “salomonica” che ha il pregio di rassicurare il management di tipo più tradizionale evitando di tarpare le ali all’innovazione e alle nuove idee. v
9 tra virgolette
Dall’always on ai Big Data. I trend 2016 secondo Veeam Software La disponibilità della rete diventa critica, i Big Data che diventano commodity, il disaster recovery come servizio, lo sviluppo dell’Internet of Things guidato dai beacon. Opportunità e criticità del nuovo anno
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on c’è (quasi) alcun dubbio che il 2015 sarà ricordato come l’anno in cui le tecnologie indossabili hanno ottenuto un discreto successo tra i consumatori e che ha visto l’ampia diffusione dei beacon rendere veramente possibile l’Internet of Things (IoT). Con i dati che si evolvono sempre più velocemente e con il crescente numero di aziende focalizzate sulla fornitura di servizi attraverso ciò che Gartner chiama il “device mesh” (la sempre più vasta gamma di endpoint utilizzata dagli utenti per accedere ad applicazioni e informazioni o per interagire con singole persone, social community, enti pubblici e imprese) la pressione sull’infrastruttura IT aumenta costantemente.
di Giuseppe Saccardi
10 panorami
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Albert Zammar, country manager Veeam Software Italia
Come accennato, l’IoT ha trovato nei beacon il suo catalizzatore. Per chi non fosse del tutto certo di sapere di cosa si tratta, basta sapere che per beacon ci si riferisce a piccoli dispositivi wireless che come un faro marino trasmettono continuamente nell’area circostante un segnale radio molto semplice che assume il significato di “sono qui e questo è il mio identificatore”. È un segnale che può essere raccolto da un dispositivo bluetooth all’interno di un apparato mobile come uno smartphone o un tablet e innescare applicazioni specifiche. L’azione innescata può dipendere anche dalla distanza a cui il segnale è rilevato, generalmente un segnale di prossimità. Come avviene nelle reti mobili, bluetooth compreso, i protocolli con cui avviene la trasmissione dei segnali sono standardizzati. Secondo Albert Zammar, country manager della società per l’Italia, si delineano quattro principali trend tecnologici che influenzeranno le aziende nel 2016. Vediamole in dettaglio cominciando proprio dall’Internet of Things.
L’Internet of Things e la criticità dell’Availability
Nel 2016, si prevede che l’Internet of Things renderà sempre più indispensabile l’esigenza della disponibilità dei dati. La crescita di device mobili connessi dimostra, osserva Zammar, che ormai la soglia di tolleranza dei tempi di inattività si è azzerata. Tutte le imprese, da quelle B2C ai fornitori di servizi mobile e a quelle quotate in borsa, stanno diventando sempre più consapevoli del fatto che non possono più permettersi l’interruzione di servizio. Poiché l’Internet of Things è in piena diffusione, il costo potenziale delle interruzioni di servizio è destinato ad aumentare. Minimizzare il downtime e la perdita di dati riveste quindi un’importanza critica per la salute generale delle aziende e per assicurare la soddisfazione del cliente.
Spazio all’innovazione
Molte aziende non hanno ancora modernizzato le loro applicazioni allineandole alla velocità con la quale si evolvono le tecnologie che ruotano attorno ad applicazioni legacy.
Continua a crescere il device mesh secondo Gartner
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Nel corso del prossimo anno le imprese correggeranno il tiro, adottando la nuova generazione di tecnologie che consentiranno loro di tenere il passo. Il punto è che oggi esistono tecniche per modernizzare quasi ogni applicazione, e per quanto concerne quelle legacy che devono essere conservate a fini di archiviazione, ci si può avvalere di tecnologie infrastrutturali in grado di mantenere online quei sistemi operativi e quelle applicazioni ormai obsolete. Questa migrazione verso la prossima generazione di applicazioni non sarà facile per alcune aziende, ma varrà la pena di portarla avanti fino in fondo. Sostituire sistemi obsoleti permetterà di offrire nuovi servizi che meglio incontrino le esigenze di una forza lavoro e dei clienti always-on.
I Big Data diventano commodity
Controllare e capitalizzare i Big Data rimarrà non solo un’attività di importanza critica per le imprese, ma, dal momento che il costo per lo storage continua a calare, diventerà la regola. I Big Data perderanno la loro etichetta “big” e verranno visti semplicemente come dati da sfruttare efficacemente per i clienti, i partner e i dipendenti. Le imprese saranno in grado di concentrarsi sempre di più sulle interfacce e le connessioni fra utenti e dati, innalzando l’importanza della disponibilità di servizi di delivery. Anche l’interfaccia IT sta cambiando: a fronte di una crescita esponenziale dei dati, le tradizionali tecniche di gestione degli stessi non sono più applicabili. L’interfaccia operativa si concentrerà sempre più sull’automazione e la gestione del ciclo di vita dei dati per assicurare che i dati giusti siano nelle mani della persona giusta al momento giusto.
Prepariamoci per un nuovo acronimo cloud, il DRaaS
Poiché le infrastrutture basate sul cloud continuano a diventare lo standard di fatto per le imprese, stiamo vedendo, evidenzia Zammar, nuove offerte di servizi crescere in popolarità e in quote di mercato. Per esempio, molte aziende stanno implementando in misura crescente una Security as a Service basata sul cloud all’interno del loro business per contrastare i cyber attacchi e assicurare la continuità del loro business. Veeam prevede da parte sua che il Disaster Recovery-as-a-Service (DRaaS) sarà un fattore di svolta nel 2016, dal momento che consentirà alle aziende di incontrare e superare le aspettative di clienti e dipendenti riguardo all’availability. Poiché le imprese collocano l’IT e l’availability al centro delle loro operazioni, l’azienda si aspetta, e non è difficile essere d’accordo con il suo manager, di vedere SLA con tempi di backup e recuv pero garantiti diventare lo standard per le aziende moderne. 11 panorami
Investire nella disponibilità premia le aziende
I vantaggi economici delle aziende always-on: dove investono le aziende e in quali problemi e costi si incorre in caso di fuori servizio di Giuseppe Saccardi
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e aziende all’avanguardia nel settore dell’IT stanno passando dall’ottimizzazione dei costi nel breve termine alle innovazioni, conseguendo risultati estremamente positivi sui profitti aziendali. Queste aziende, come evidenziano presso Veeam, società specializzata nella business continuity, gestiscono le attività riferibili come “always-on” all’interno dell’azienda, fornendo a partner e clienti l’accesso continuativo a dati e servizi d’importanza critica. I responsabili IT che stanno guidando le proprie aziende verso il futuro rivestono il ruolo di Chief Innovation Officer tramite investimenti nelle nuove tecnologie per i data center, che garantiscono per anni ritorni sul capitale investito, facilitano l’operatività ininterrotta e riducono i costi associati alle interruzioni. Con l’aiuto di Veem nei paragrafi seguenti viene esaminato come gli investimenti nelle tecnologie aiutino le aziende a ridurre i costi e a fornire livelli più alti di disponibilità, anche con l’aiuto dei risultati di un sondaggio, Data Center Availability, che ha intervistato CIO in tutto il mondo. Significativi gli aspetti emersi: • Operatività always-on - Gli utenti esigono l’accesso 24/7 a dati e applicazioni, i clienti presenti in ogni parte del globo si aspettano di accedere ai servizi quando lo desiderano e l’Internet of Things mantiene tutto e tutti costantemente connessi: in altre parole, nell’Always-On Business non si tollerano interruzioni. • Lavoratori mobili - La settimana lavorativa dalle 9.00 alle 17.00 non esiste più. I dipendenti devono essere costantemente connessi a dati, applicazioni e al team. • Costi operativi ridotti per l’IT - Riducendo al minimo le interruzioni e offrendo agli utenti l’accesso costante ai dati, le aziende possono ridurre il tempo dedicato quotidianamente alla gestione dei dati e alla manutenzione dei sistemi, con conseguente riduzione dei costi operativi.
Ogni interruzione è un costo: in media, ci vogliono 1,33 ore per ripristinare le applicazioni mission-critical dopo un guasto imprevisto, e 3,97 ore per le applicazioni non-mission-critical 12 panorami
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• Innovare più velocemente rispetto alla concorrenza - Per rimanere avanti rispetto alla concorrenza in mercati saturi, le aziende devono cercare di migliorare la propria agilità, per reagire velocemente quando si presentano nuove opportunità. Le aziende in grado di introdurre per prime nuovi prodotti e servizi sul mercato sono spesso quelle di maggiore successo; per fare ciò, le aziende devono poter accedere alle risorse e ai dati giusti nel momento giusto. • Differenziare l’esperienza dei clienti - Parlando di mercati saturi, uno dei pochi modi non legati ai prodotti per differenziare la propria azienda consiste nel migliorare l’esperienza offerta ai clienti. Poiché i clienti di oggi esigono ricevere un servizio come, dove e quando vogliono, l’IT rappresenta una componente d’importanza critica per offrire i livelli di servizio e i tipi di esperienze che i clienti si aspettano.
Gli investimenti delle imprese
In questo scenario viene da chiedersi dove le aziende dirigono gli investimenti. Lo vediamo nei punti seguenti: • Virtualizzazione dei server - La virtualizzazione dei server rappresenta l’area d’investimento più importante (il 97% delle aziende sta aumentando o prevede di aumentare gli investimenti in questo ambito). La virtualizzazione costituisce la base per server il il provisioning Virtualizzazione Upgrade dello storage rapido e il mobile working, i tre aspetti fondamentali per il business “Always-On”. Aggiornamenti del sistema operativo Protezione dati e disaster ricovery • Upgrade dello storage - Gli elevati investimenti nell’upgrade dello Virtualizzazione rete storage non sorprendono.Infrastruttura I volumi di datidesktop cresconovirtuale di giorno in giorno e sempreConsolidamento piu aziende cercanodei di sfruttare il potere delle funzionalità data center esistenti analitiche: una delle principali sfide per l’IT eCloud quindiprivato la conservazione Cloud pubblico:Infrastructure as a Service efficiente dei dati, nonché il rapido accesso ad enormi(IaaS) quantità di inAggiunta di nuovi data center formazioni.
Gli
•P rotezione dei dati e disaster recovery - Con i volumi di dati aumentano i rischi di interruzioni e perdite, il cui costo può essere alto. Per garantire la conformità normativa sono necessarie funzionalità di protezione dei dati e disaster recovery più potenti, al fine di evitare l’elevato costo delle perdite di dati e delle interruzioni e garantire gli obiettivi di Recovery Time and Recovery Point Objective. •C loud computing - Il cloud viene sempre più utilizzato quale piattaforma IT, poiché offre una maggiore agilità aziendale, l’estensione dei servizi ai dispositivi remoti e la riduzione del Capex a favore dell’Opex.
Il costo del divario di disponibilità
Persino quando sono disponibili tutte queste nuove funzionalità, l’investimento in nuove tecnologie IT non garantisce una maggiore disponibilità. Di fatto, l’82% delle aziende ha identificato un “divario di disponibilità tra le richieste degli utenti aziendali e ciò che l’IT può attualmente offrire. Se un’azienda non e in grado di offrire l’accesso 24/7 alle applicazioni business-critical, perde fatturato, oltre che il vantaggio competitivo associato all’ always-on. Ogni interruzione è un costo a causa della perdita di business, di produttività e di dati. In media, ci vogliono 1,33 ore per ripristinare le applicazioni97 mission-critical dopo un guasto imprevisto, mentre ci vogliono 3,97 95 ore per le applicazioni non-mission-critical. Sebbene possa non sembrare94 un’enorme quantità di tempo, queste interruzioni costano in media 93 82.664 dollari l’ora e l’azienda media deve gestire ogni anno 13 incidenti. 88 Si87 tratta di un consistente costo nascosto, causato dall’insufficienza di risorse 83 IT. Si tratta inoltre di denaro che potrebbe essere meglio speso per 82 aggiungere valore all’azienda, finanziare le innovazioni e acquisire nuove 79 tecnologie in grado di offrire vantaggi competitivi. Prevenire, verrebbe da 79 v dire, è meglio che reprimere. 78
Cloud pubblico: Software as a Service (SaaS) 70 Cloud pubblico: DR as a Service (DRaaS) 20 Altro ambiti in cui si concentrano gli investimenti aziendali
fonte: Veeam
Virtualizzazione server Upgrade dello storage Aggiornamenti del sistema operativo Protezione dati e disaster ricovery Virtualizzazione rete Infrastruttura desktop virtuale Consolidamento dei data center esistenti Cloud privato Cloud pubblico:Infrastructure as a Service (IaaS) Aggiunta di nuovi data center Cloud pubblico: Software as a Service (SaaS) Cloud pubblico: DR as a Service (DRaaS) Altro
valori in % 97 95 94 93 88 87 83 82 79 79 78 70
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Assintel: l’IT italiano cresce di 1,7% nel 2015 Il mercato nazionale del 2015 è stimato in 27.400 milioni di euro. La valutazione è contenuta nell’ultimo Assintel Report che delinea un consuntivo leggermente migliore di quello da poco prospettato da Assinform di Gian Carlo Lanzetti
L’
Assintel Report 2015 racchiude le valutazioni sul mercato IT elaborate da Nextvalue sulla base di interviste a 500 aziende , 275 medio-grandi e 225 Pmi. Il documento, alla sua decima edizione, è stato illustrato a una folta schiera di partecipanti. «Il mercato - dice Alfredo Gatti che di Nextvalue è Managing Partner - si sta riprendendo ma ancora non si è fuori dal tunnel. Nel 2015 la velocità è semplicemente aumentata di un pochino, grazie essenzialmente alle grandi industrie. Le premesse per fare bene però ci sono tutte, a cominciare dall’atavico ritardo italiano nella applicazioni delle tecnologie innovative».
Ripresa in vista?
Nel 2015 la spesa IT torna a crescere nel nostro Paese, dopo il flesso verificatosi in parte già nello scorso anno. La spesa complessiva è stata, come detto, di 24.700 milioni, di cui 5.020 relativi al software, il comparto più dinamico dei quattro il cui il report ripartisce questo mercato. Gli altri sono: hardware e assistenza tecnica (8238 milioni, di nuovo in moderata flessione), servizi IT (8.805 milioni, -1%9) e cloud computing (2.638 milioni, +20%). Questi numeri ci dicono che la situazione di stallo degli investimenti IT sta seppure molto lentamente invertendo la marcia. L’intensità e la velocità di adozione delle nuove tecnologie digitali e “tradizionali” offrono, seppure in un quadro tuttora a macchia di leopardo, motivo di cauto ottimismo.
Software: i nuovi paradigmi
Uno dei capitoli del rapporto che ci sembra più ricco di dati e considerazioni è quello del software. Questo comparto anche nell’anno in corso ha mantenuto l’abbrivio positivo manifestato negli anni precedenti a riprova del suo sostegno alle iniziative di ammodernamento dell’IT e dei processi di innovazione dell’impresa. Si tratta di un mercato stimato quest’anno in 5.020 milioni di euro, in crescita del 2,7% sul 2014. Middleware e applicativi rappresentano le componenti più dinamiche mentre il software di sistema ha ormai raggiunto una rilevante maturità. Vediamo meglio. Nonostante la presenza di alcuni trend che ne hanno
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rallentato la decrescita, il segmento del software di sistema ha accusato anche nel 2015 una decrescita del 4,3% e ora vale appena 487 milioni, meno del 10% di tutto il mercato nazionale del software. La contrazione in atto è dovuta principalmente, come ormai noto, alla inevitabile riduzione dei prezzi delle nuove versioni, alla contestuale riduzione degli investimenti in piattaforme dovuti alla compressione dei budget dedicati all’IT “esistente”, alla flessione di alcuni mercati come quello dei PC, alla ampia disponibilità in Internet e nella presenza nell’offerta cloud di strumenti downloadable e opensource che cannibalizzano le funzionalità dei sistemi installati. Tra le funzionalità di maggiore interesse e di giustificato investimento dal punto di vista degli utenti finali vi sono quelli per la protezione e maggiore sicurezza, per la riallocazione più ottimale dello storage, per il potenziamento delle risorse computerazionali e per l’accesso ai nuovi servizi offerti in cloud. L’intero comparto del software di infrastruttura, o Middleware, mantiene invece la propria dinamica positiva, per raggiungere quest’anno i 1.846 milioni, con un tasso di crescita del 3,5% sui precedenti12 mesi. Come noto questo software abilita le maggiori trasformazioni, gli ammodernamenti, l’efficienza e la resilienza dell’Information System che
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evolve come un “servizio on-demand” strategico per l’impresa e il suo funzionamento. Questo cambiamento, sottolinea il report, dà origine e a nuovi spazi per l’adozione di strumenti di DevOps, migliora la gestione integrata degli asset informatici e innesca processi strutturati di provisioning. In particolare esso abilita l’evoluzione verso modelli ibridi di cloud e l’automazione delle operazioni dell’IT. Tutti gli sviluppi progettuali connessi alle esigenze di mobility, di collaboration, di sicurezza, di miglioramento della customer experience e di Big Data oltre che di Internet of Things affondano le loro radici nel middleware, L’innesto di tante iniziative in queste aree comporta quindi un continuo ampliamento e arricchimento delle sue funzionalità e lo confermano come il fattore abilitante dell’intero information Management. Il segmento del middleware trae inoltre un ulteriore vigore dagli investimenti delle imprese per seguire e fidelizzare il cliente in tutte le occasioni di contatto, per gestirne un profilo digitale e per fargli percepire un’esperienza unica. Rilevante comincia pure ad essere l’apporto delle iniziative di Internet of Things: nel 2015 si sono raggiunti ricavi per 322 milioni di euro dai 276 dello scorso anno e dai 243 del 2013. Dalle considerazioni fatte emerge che l’investimento in middleware è
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sempre più strategico per abilitare i processi di innovazione e per la messa in opera di una infrastruttura IT versatile, resiliente e, in molti casi, integrata con ampie componenti provenienti dal cloud.
In forte crescita il SaaS
E veniamo al segmento del software applicativo dove la spesa nel suo complesso si attesta a 2687 milioni, con una variazione positiva del 2,9% sul 2014. Nel valutare l’importanza del trend di innovazione occorre tenere presente che il software applicativo ha ormai come alternativa molto plausibile quella rappresentata dai servizi applicativi offerti come Software as a Service (SaaS). Un’ampia gamma di questi servizi sono ormai disponibili anche nelle aree più critiche e la loro flessibilità, in termini di utilizzo e costo, li rende oggettivamente interessanti, senza contare che il loro aggiornamento è in generale compreso nei canoni di utilizzo. Come riferiscono i Cio del panel il modello SaaS e, più in generale, gli equivalenti servizi di cloud computing sono doverosamente presi in considerazione quando si tratta di affrontare un provisioning veloce, come nel caso di nuovi progetti.
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Tra i segmenti più importanti per il contributo all’innovazione, per tassi di crescita e volumi generati vi è quello che racchiude tutte le applicazioni di Business Intelligence, di Analytics e di gestione dei Big Data. Dopo l’importante balzo compiuto negli ultimi anni anche nel 2015 c’è stata una crescita del 7,3%. Mentre le imprese italiane, osserva il documento di Assintel, risultano ben attrezzate in termini di soluzioni tradizionali riconducibili alla classica Business Intelligence, sono ancora in una fase preliminare per quanto riguarda l’adozione su larga scala di Big Data e Business Analytics, ai fini di un effettivo supporto al processo decisionale o semplicemente alla stessa operatività aziendale. I decisori dell’IT segnalano, a questo riguardo, la necessità di migliorare le tecniche di analisi e di dare vita a sperimentazioni e prototipizzazioni su larga scala. Ad esempio si fa spesso riferimento all’importanza del reperimento e dell’utilizzo di informazioni presenti nei social media o al ricorso ad applicativi di Analytics di nuova generazione capaci di elaborare dati non-strutturati, in tempo reale e in una logica predittiva. Non sono le competenze che mancano in questo caso ma un maggiore commitment alla sperimentazione per imboccare con decisione la strada dell’organizzazione data-driven auspicata da più parti e perseguita con
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impegno già da società attive nel settore dell’eCommerce e del retail sotto forma di progetti di profilatura e di fidelizzazione dei clienti.
La realtà del cloud
Il volume di spesa complessiva raggiunta quest’anno dai servizi di cloud computing, analizzati sulla base delle definizioni di valenza internazionale, è di quasi 2640 milioni di euro, con un progresso del 20% anno su anno, di cui 1428 milioni relativi ai servizi di cloud computing cosiddetti “classici” (SaaS, PaaS, IaaS, di management e sicurezza). Il solo segmento SaaS genera un business stimato per il corrente anno in 724 milioni (contro 606 milioni nel 2014, pari a un +19%). Come sempre succede sono le imprese medio e grandi a guidare queste scelte anche se, viene riconosciuto, negli ultimi tempi il movimento cloud ha incominciato a fare breccia anche presso le Pmi.
Banche sempre in testa
Dei 24.700 milioni di euro che formano il mercato IT la parte relativamente più elevata, quasi 5.700 milioni, è delle banche, un dato 2015 in deciso rialzo sull’anno prima (+3,7%). A decrescere di più, ancora una
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volta è la PA centrale (-2,5%), seguita dai settori degli enti locali (-2%) e della sanità (-2,6%). Bene hanno fatto anche assicurazioni e Tlc. Il settore delle utility è quello che evidenzia l’incremento maggiore: +4,3% a 1.066 milioni. La fetta del mercato IT coperta dal consumer si aggira intorno ai 2.900 milioni, con un calo dell1,1%. A riprova che a beneficiare del positivo risultato ascritto al 2015 sono stati quei settori dove più forte è la presenza di grandi organizzazioni.
In sintesi
Al di là dei numeri, rimane il fatto incontrovertibile che, secondo anche valutazioni di enti sovranazionali come la Commissione Europea, il nostro Paese è sceso al 25° posto in Europa sotto il profilo delle connessioni a larga banda, la percentuale dei cittadini che usano Internet, la presenza di skill digitali, l’adozione di tecnologie digitali per il business e l’uso di servizi online messi a disposizione della PA. Visto che siamo tanto indietro, sottolinea anche l’Assintel Report 2015, dovrebbe essere più facile guadagnare posizioni nel prossimo futuro. Ma nulla il documento dice sulle prospettive per il 2016, in questo modo allineandosi all’atteggiamento non dissimile di Assinform. v
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gustare DE 01 giugno 2015
alla scoperta dei sapori d’Italia
giornalisti, enologi, chef, nutrizionisti, esperti alimentari vi promettono un’esperienza nuova
DEgustare
La Toscana di Biella
Agricoltura biodinamica
Asparago in cucina
alla scoperta de i
sapori d’Italia
Al la co rt e de l RE
www.de-gustare.it DG01 cover.ind
d 1
01/07/15 15:3 8
Le infrastrutture di rete per lo sviluppo La migrazione delle Smart Grid verso l’IP e l’evoluzione delle reti ottiche da passive ad attive per rispondere alla richiesta di servizi a larga banda. Il punto della situazione tecnologica con CIE Telematica di Giuseppe Saccardi
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Q
uello della migrazione da un tecnologia all’altra e il come attuarla è sempre stato uno dei problemi più critici per il network manager. Cambiare una rete non è come cambiare un server o un dispositivo di storage. Cambiare una rete vuol dire identificare innanzitutto i bisogni di banda perlomeno per il prossimo quinquennio ma implica anche periodi maggiori per quanto concerne la scelta della sua architettura di base, la sua topologia, i protocolli di trasporto e di accesso da adottare. Sbagliare le previsioni vuol dire creare seri problemi sia alle applicazioni che all’utenza e porre in serio dubbio la capacità di rispondere alle nuove esigenze.
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Luigi Meregalli, general manager di CIE Telematica
Dal TDM al packet IP
Anche se oramai si parla solo di IP, e cioè di un protocollo di rete a pacchetto e a datagramma dove in teoria i pacchetti sono liberi di prendere percorsi diversi e vengono sequenzializzati al punto di arrivo, esiste in campo ancora un’ampia componentistica e un numero consistente di apparati che usano protocolli di natura diversa, alcuni risalenti agli albori del networking, come il TDM, l’SDH o il SONET, ovverossia protocolli che operano in modo sincrono e che nel tempo hanno permesso di sviluppare reti che garantivano in tempo perfettamente deterministico la consegna dei dati, cosa che non è possibile fare con quelli a pacchetto basati su IP. Il problema della latenza è stato risolto praticamente dalla forte crescita nella banda disponibile e nella capacità trasmissiva. Ciononostante per molte aziende e operatori nel campo delle utility, come per l’energia e le smart grid, che ancora hanno in casa tecnologie di rete di generazioni precedenti è arrivato il momento di migrare da reti TDM/SDH a reti con architettura Ethernet e protocollo IP. Se per esempio si prende in esame il settore dell’energia, gli operatori sono in presenza di un forte incremento del traffico a pacchetto generato da dispositivi periferici, traffico che però collide con le capacità di trasporto di dispositivi di rete basati su tecnologie datate come quelle TDM, seppur espletanti ancora efficacemente il compito una volta loro assegnato. Il problema, una volta appurato che un cambiamento è necessario, è come fare e quando farlo. Le opzioni tipiche sono due: cambiare completamente la rete facendo piazza pulita di apparecchiature di rete datate oppure avviare un processo di migrazione pilotata durante la quale ci si viene a trovare necessariamente in presenza di un traffico misto TDM e a pacchetto. Come accennato, quando si pianifica una nuova rete si deve dare un’occhiata al futuro e prevedere il più correttamente possibile quali dovranno essere le caratteristiche da soddisfare negli anni successivi per non dovervi porre mano prima del previsto.
Se tradotto in pratica, questo vuol dire che chi progetta la rete deve prevedere la realizzazione di un backbone di rete che sia adeguatamente scalabile, in modo che possa supportare la prevedibile crescita di traffico negli anni o l’erogazione di nuovi servizi a grande consumo di banda. Ora come ora, evidenzia Luigi Meregalli, general manager di CIE Telematica, società di ingegneria con una forte esperienza nella realizzazione di reti di accesso in rame e in fibra, i migliori candidati per un tal compito sono le tecnologie IP/MPLS e l’MPLS-TP. In particolare, l’MPLS-TP (Multi Protocol Label Switching - Transport Profile), riferito anche come T-MPLS (Transport-Multi Protocol Label Switching), è una tecnologia in via di standardizzazione congiunta da parte dell’Internet Engineering Task Force (IETF) e dell’ITU-T e quindi si prospetta di ampia accettazione.
Quali tecnologie usare per le reti ottiche
La diffusione delle reti ottiche è costante e segno evidente lo è la frequenza con cui non solo in azienda ma anche nell’ambito domestico si ricevono proposte da parte di operatori nazionali o locali volte a fornire servizi a larga banda. Se le fibre ottiche si diffondono e diventano la base per nuovi servizi a valore sia a livello enterprise che domestico, la cosa è dovuta non solo alla loro disponibilità sempre più capillare sino a livello di palazzo, ma anche ai nuovi standard e dispositivi di ultima generazione disponibili sul mercato, risultato di ricerche e tecnologie molto evolute che permettono velocità trasmissive del tutto impensabili sino a pochissimi anni fa e dotate di elevate capacità di aggregazione a livello di rete di accesso. Come punto di partenza nel vedere a che punto si è e cosa aspettarsi si può prendere la metà degli anni novanta, momento da cui si sono rese disponibili le tecnologie riferite come PON, acronimo di Passive Optical Network. La versione iniziale era basata sul framing ATM. Negli anni successivi si è avuto un primo sviluppo volto a realizzare prodotti di rete
Architettura di una smart grid di nuova generazione
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Architettura GPON in downstream
in grado di convogliare traffico Ethernet e servizi IP che iniziavano a diffondersi. Il risultato è consistito da parte rispettivamente dello IEEE e dell’ITU nello sviluppo di due diverse soluzioni, rispettivamente riferite con l’acronimo EPON (Ethernet PON) e GPON (Gigabit PON). Va osservato che i due standard si basano su un concetto generale grossomodo identico per quanto concerne le lunghezze d’onda. Quello dove differiscono profondamente sono però le funzionalità e i servizi supportati. L’approccio GPON per trasportare il traffico Ethernet si basa sulla tecnica SONET/SDH e sul Generic Protocol Framing (GFP) laddove invece EPON rappresenta una soluzione nativa Ethernet che si basa sulle funzioni, le prestazioni e la compatibilità con il protocollo Ethernet. Va da sé che uno dei problemi che hanno dovuto e devono affrontare i gestori di reti (come peraltro è sempre stato per il networking) quando non si parte da una situazione di green field, è quello della migrazione e di come far coesistere infrastrutture che per certi ambiti sono anche profondamente dissimili, migrazione che per essere condotta in modo soft deve poter basarsi su apparati di accesso che supportino entrambe le tecnologie.
EPON o GPON?
Di certo, la diffusione e l’universale accettazione dello standard Ethernet ha posto le basi per il crescente interesse per EPON, basato sullo IEEE 802.3 di Ethernet, a cui sono state apportate nel tempo le opportune modifiche al fine di supportare connettività di tipo punto-multipunto. Per quanto concerne il trasporto del traffico, essendo Ethernet nativo, EPON supporta in toto le funzionalità di una rete Ethernet. Va però osservato che da parte sua
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GPON è un approccio del tutto agnostico che permette il trasporto su una struttura frame di tipo sincrono di protocollo Ethernet tramite interfacce che lo inseriscono nelle frame del protocollo. Il compito di mappare i servizi Ethernet e in generale di altri servizi di trasporto nelle trame agnostiche di GPON è assegnato al livello GTC (acronimo di GPON Trasmission Convergence protocol). In sostanza, se EPON può risultare più semplice e meno costoso perché fa leva su Ethernet, GEPON è più aperto, indipendente e in grado di supportare diversi tipi di ambienti, e di trasportare standard diversi. Inoltre, osserva Meregalli, general manager di CIE Telematica (www. cietelematica.it), società di ingegneria con alle spalle numerose realizzazioni proprio nelle reti di accesso per carrier e service provider sia livello nazionale che internazionale, GPON ha però un vantaggio naturale su EPON e cioè di poter supportare in downstream, sic stantibus rebus, una velocità di 2,5 Gbps, e cioè il doppio di quella EPON. Da qui deriva l’adozione di questo standard da parte di diversi operatori di primissimo piano presenti n Italia, soprattutto a seguito della diffusione dei servizi video in streaming ad alta e altissima definizione, che necessitano di ampie capacità di banda proprio in downstream. A livello di downstream e upstream adotta inoltre una tecnologia di base ben collaudata, quella TDM, e precisamente la TDMA (Time Division Multiple Access) in upstream e la TDM (Time Division Multiplex) in v downstream.
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Nel 2016 criminali informatici sempre più cattivi Estorsioni, danni fisici, 20 milioni di app maligne: questi gli elementi di spicco nelle previsioni sulle minacce per il 2016 secondo gli esperti dei Trend Labs di Gaetano Di Blasio
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li esperti di Trend Micro hanno realizzato il report “Previsioni sulla sicurezza per il 2016”. Si tratta di macro tendenze che caratterizzeranno le problematiche sulla protezione dei dati nel nuovo anno e che sono state spunto per una serie di interessanti riflessioni durante il Tren Micro Security Barcamp svoltosi a Milano alla presenza della stampa. Gastone Nencini, country manager di Trend Micro Italia, è stato affiancato da esperti di mercato ed esponenti di aziende di primo piano: Donato Ceccomancini, Sales Operation and Sales Consultant Director di Fujitsu Italia, Francesco Traficante, Data Protection Officer & Privacy Consultant, Founder e CEO di Microell, Vincenzo De Lisi, CIO di Sirti, Davide Maria Rossi, Partner di Spike Reply e Rodolfo Rotondo, Business Solution Strategist di VMware, con la moderazione di Enrico Pagliarini, giornalista di Radio 24. A dare il via ai lavori, Carla Targa, marketing & communication manager di Trend Micro Italia: «I Trend Labs, oltre alla ricerca e sviluppo, elaborano anche studi, che hanno anche lo scopo di diffondere la cultura sulla sicurezza. Una necessità, come ha sottolineato recentemente anche Tim Cook (Ceo di Apple), in un’epoca in cui sempre più condividiamo dati sui social, navighiamo con device mobili, esponendo a pericoli la nostra privacy».
Da sinistra a destra: Gastone Nencini, Rodolfo Rotondo, Vincenzo De Lisi, Davide Maria Rossi
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Le previsioni sulle tendenze 2016 per la sicurezza 2016 Prediction #1 Il 2016 sarà l’anno delle estorsioni online. Più che i tecnicismi, i gruppi di cyber criminali, con la collaborazione di psicologi professionisti, sfrutteranno la paura come componente chiave del loro piano criminale, già dimostratasi un’arma efficace con il ransomware, i police trojan e i cryptoransomware. 2016 Prediction #2 Con la crescita (67% all’anno fino al 2019, secondo Gartner) dei dispositivi smart connessi a Internet (dall’elettronica a bordo delle auto ai baby monitor, dalle smart Tv ai sistemi per la
domotica) cresce la probabilità che un guasto di tali device di fascia consumer causi un danno fisico. Potrà dipendere dall’inaffidabilità del dispositivo o della connessione, potrebbe essere un malfunzionamento, dovuto ad hacking o a un uso scorretto dei dispositivi. 2016 Prediction #3 Minacce nel mobile: la Cina porterà la crescita delle minacce informatiche mobili a 20 milioni entro la fine del 2016. A livello mondiale, verranno presi di mira i metodi di pagamento mobili. Secondo alcune relazioni, in Cina 3 app su 4 sono malware. Google, invece, ha pubblicato un rapporto che riferisce che meno dell’1% delle app che si trovano su Google Play Store sono potenzialmente dannose. I dati di Trend Micro confermano sostanzialmente questi rapporti: 13% delle app presenti nei mercati cinesi è dannosa, 0,16% di app su Google Play dannose. Le minacce informatiche mobili in Cina si prevede raggiungano i 20 milioni entro la fine del 2016. Nel resto del mondo l’attenzione dei cybercriminali si concentrerà
Se, da un lato, l’aumento di consapevolezza sui rischi online renderà più efficaci le politiche di protezione dei dati, dall’altro, per la paura di perdere i dati gli utenti finali diventeranno più vulnerabili ai ricatti online. Gastone Nencini, infatti, commentando le previsioni degli esperti Trend Micro per il 2016, sottolinea l’efficacia già ottenuta con i cryptoware e i ramsonware in generale: «Nel 2016 si registrerà una crescita delle estorsioni online, anche su mobile. Già è avvenuto “adescando” le vittime con pubblicità falsa di noti retailer italiani». Le minacce in tal senso diventeranno sempre più sofisticate, ma questa volta non dal punto di vista tecnologico, bensì psicologico: «I cybercriminali hanno creato gruppi di ricerca con psicologi che li aiutano a comprendere le dinamiche per sfruttare i punti deboli degli utenti».
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soprattutto sui sistemi di pagamento mobile di ultima generazione, come carte di credito EMV, carte di credito contactless RFID e portafogli mobili quali Apple Pay e Google Wallet. 2016 Prediction #4 Gli hacktivisti utilizzeranno violazioni dei dati per danneggiare i loro obiettivi. Sulla scia degli attacchi che hanno visto protagoniste organizzazioni come Sony, Ashley Madison e persino Hacking Team, gli hacktivisti, invece che defacing e DDoS, esporranno informazioni compromettenti quali pratiche aziendali discutibili, messaggi riservati e transazioni sospette. Gli esperti di Trend Micro ipotizzano anche infezioni secondarie che si affidano alla presenza Web di un obiettivo e la rivoltano contro i consumatori, come nel caso degli attacchi Watering Hole visti in passato. 2016 Prediction #5 Anche a seguito della nuova direttiva Ue sulla protezione dei dati, la prevista figura del Responsabile della protezione dei dati/ Responsabile della sicurezza informatica sarà essenziale per garantire l’integrità dei dati e la
Internet of Things
Viene da pensare che la sicurezza informatica incontri quella fisica su un piano criminale “antico”. Di fatto Ci sono stati casi di suicidio istigato dall’estorsione online, ma il proliferare di dispositivi “smart”, cioè collegati a Internet e quindi hackerabili, apre scenari ancora più vasti: «C’è chi ha montato una pistola su un drone progettato per il mondo consumer», spiega ancora Nencini, accennando ai potenziali danni fisici, anche alle persone, che può comportare la manipolazione informatica di sistemi industriali, dalla metropolitana senza autista agli SCADA, alle diverse declinazioni dell’industry 4.0. È il più ampio tema dell’Internet of Things, che preoccupa molti, nel quale stanno confluendo tante tecnologie. Qui la sicurezza deve essere pre-
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conformità alle regole e alle normative dei paesi in cui questi sono archiviati. Ciononostante, meno del 50% delle aziende disporrà di queste figure entro la fine del 2016. In un sondaggio, il 22,8% degli intervistati ha ammesso di non conoscere affatto la legge e il 50% ha affermato che non era in programma alcuna revisione dei criteri in linea con la nuova normativa. Tuttavia, l’attenzione imposta sulla protezione dei dati aprirà la strada a un significativo salto di qualità nella mentalità e nella strategia aziendale contro gli attacchi informatici. 2016 Prediction #6 Riduzione della pubblicità cattiva. I fornitori di servizi ridurranno la pubblicità sui propri siti, modificando il modello di business pubblicitario a causa della crescente avversione degli utenti online per le inserzioni indesiderate e degli attacchi attuati con il “malvertising”. Nei primi sei mesi dell’anno, i tecnici di Trend micro hanno constatato come i kit di exploit siano stati usati nei piani di malvertising. Nel febbraio 2015, hanno individuato un exploit zero-day in Adobe Flash che veniva utilizzato negli attacchi di malvertisement.
Questo spiega il senso di consapevolezza apparentemente più intenso tra i consumatori che vogliono bloccare la pubblicità. Gli utenti non sono più semplicemente “seccati” dalle pubblicità indesiderate, ma sono pienamente consapevoli del tipo di rischi che esse rappresentano. 2016 Prediction #7 La legislazione sul crimine informatico compirà notevoli passi in avanti e diventerà un movimento realmente globale. Le organizzazioni che combattono il crimine informatico stanno riscuotendo successi crescenti e l’orientamento mostrato dalle amministrazioni pubbliche fa ritenere che sarà possibile essere più reattivi agli attacchi informatici. Anche la cooperazione e le partnership prospereranno, come dimostrano le operazioni coordinate di Trend Micro, INTERPOL, Cyber Defense Institute e di altre aziende di sicurezza che hanno portato allo smantellamento del botnet SIMDA in aprile. Le cooperazioni internazionali
ventiva in un framework che permetta anche di correggere e risolvere le vulnerabilità e le imperfezioni di progettazione, come evidenzia Davide Maria Rossi. Su questo fronte, una testimonianza arriva anche da De Lisi, che racconta quanto alta sia l’attenzione alla sicurezza in Sirti che da qualche anno spinge sull’acceleratore per la mobility nei processi sul campo, ma sottolinea la necessità rispondere al business, che non tollera aggravi procedurali, per esempio nella gestione delle password. De Lisi, in particolare, sottolinea l’importanza di andare oltre la sicurezza fisica, che invece resta ancora la priorità per molte aziende.
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faciliteranno la rimozione o la messa in luce dei forum sommersi. Secondo le previsioni di Trend Micro, il 2016 vedrà un significativo cambiamento nella mentalità delle pubbliche amministrazioni e dei legislatori, i quali punteranno verso un ruolo ancora più attivo nella protezione di Internet e nella tutela dei suoi utenti. Verrà avviato il dibattito sulle norme relative alla criminalità informatica e verranno rese obbligatorie modifiche agli standard di sicurezza informatica obsoleti per promuovere una posizione più efficace sulla sicurezza.
Identità digitale
In altre parole, il controllo degli accessi è spesso fermo ai tornelli d’ingresso, mentre l’identity management digitale è trascurata. È un aspetto fondamentale, soprattutto perché proprio l’ID digitale è il principale obiettivo dei cybercriminali, che possono utilizzarla per gli scopi più vari, come acquistare un POS senza essere rintracciati e usarlo per scansionare carte di credito contactless nei luoghi affollati. Un contributo alla sensibilizzazione potrebbe arrivare dalle nuove normative. Lo stesso Rossi ci assicura che il lavoro sullo Spid (Sistema Pubblico Identità Digitale) sta proseguendo, forse non abbastanza velocemente, ma più rapidamente di quanto si possa pensare. Traficante, da parte sua, fa un rapido punto sulle normative prossime al varo da parte del Parlamento Europeo, in cui un elemento centrale è l’istiv tuzione del Data Protection Officer.
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Il data center nel 2016 Bassi consumi, cloud e IoT gli elementi che caratterizzeranno l’evoluzione del data center nel 2016 secondo gli esperti di Emerson Network Power di Giuseppe Saccardi
E
merson Network Power ha individuato cinque tendenze per il data center da seguire con attenzione nel 2016. «Anche se molte aziende sono ancora restie a effettuare investimenti a lungo termine nell’IT a causa delle condizioni economiche ancora incerte, lo spazio del data center sta cambiando rapidamente. Il nostro settore è in continua innovazione, introducendo regolarmente sul mercato nuove tecnologie, una tendenza che continuerà nel prossimo anno», ha evidenziato Lal Karsanbhai, presidente di Emerson Network Power per Europa, Medio Oriente e Africa. A influenzare i cambiamenti per il prossimo anno saranno il cloud computing, la richiesta di architetture su misura, l’Internet of Things, l’attenzione ai consumi per una maggiore responsabilità sociale, i data center di “prossimità”. Analizziamo le tendenze in dettaglio.
Il cloud computing si complica
La maggior parte delle aziende sta già utilizzando oggi in qualche misura il cloud computing. L’evoluzione dal software-as-a-service (SaaS) in ambienti ibridi, in cui si usano i servizi per dare maggior agilità alle strutture tradizionali, continua a progredire con il passaggio di un maggior numero di aziende verso un’architettura bimodale. Invece che stabilizzarsi, tuttavia, il cloud computing potrebbe diventare ancora più complesso. L’ultima ricerca sull’utilizzo dei server, realizzata da Jonathan Koomey di
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Franco Costa, vice president e general manager Power Systems di Emerson Network Power Emea
Stanford’e Jon Taylor di Anthesis Group, ha rilevato che nel corso di un anno i server dei data center aziendali offrono ancora in media tra il 5 e il 15% della loro capacità massima di elaborazione. La spinta all’identificazione e all’eliminazione dei server poco operativi continuerà a intensificarsi e costituisce un passo fondamentale per gestire il consumo energetico.
L’architettura prevale sulla tecnologia
Se la tecnologia del data center riveste un ruolo importante per garantire efficienza e disponibilità, gli operatori dei data center sono meno concentrati sulla tecnologia e più sulle architetture in cui queste tecnologie sono impiegate. «I nostri clienti ci chiedono di sviluppare un’architettura su misura adatta al loro ambiente e alle loro esigenze specifiche. Non adottano più automaticamente la tradizionale architettura energetica poiché si rendono conto che un sistema su misura per le loro esigenze è in grado di offrire ulteriori vantaggi nel lungo periodo tra cui una maggior disponibilità, efficienza e ulteriori risparmi», evidenzia Franco Costa, vice president e General Manager Power Systems di Emerson Network Power in Europa, Medio Oriente e Africa.
Linguaggio comune per l’IoT
L’Internet delle cose (IoT, Internet of Things), oltre a influire sulle future architetture del data center incrementando il volume di dati che devono essere elaborati, modificherà anche la gestione del data center e il secondo effetto precederà il primo. Gli attuali data center collegano migliaia di dispositivi che parlano una serie di linguaggi, tra cui IPMI, SNMP e Mod Bus, con un conseguente divario tra i sistemi che limita gli sforzi di gestione a 360 gradi. Questo limite cesserà di esistere con la progressiva affermazione di Re-
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dfish, il nuovo standard per sistemi aperti e gestione di sistemi sviluppato da Emerson Network Power, Intel, Dell e HP. Redfish creerà un’interconnettività tra i sistemi dei data center, permettendo nuovi livelli di visibilità, controllo e automazione.
La responsabilità sociale
Con iniziative come la Direttiva sull’efficienza energetica dell’UE che stabilisce una serie di misure vincolanti per raggiungere gli obiettivi di efficienza energetica del 20% entro il 2020, alcune aziende stanno spostando l’attenzione dall’efficienza alla sostenibilità e stanno considerando i data center in un’ottica di responsabilità sociale. Le attività del data center (comprese le emissioni di CO2, l’impiego di energia alternativa e lo smaltimento delle apparecchiature) vengono ora inserite nelle dichiarazioni di responsabilità d’impresa, con conseguenti maggiori pressioni per fare progressi in questi ambiti. L’impatto di questa tendenza non sarà limitato alle decisioni relative alle tecnologie in sede. Per essere significativo, il reporting deve comprendere l’intero ecosistema del data center, compresi i provider di colocation e cloud computing.
Arriva il data center di zona
La crescita del consumo di contenuti digitali e della raccolta di dati sta mettendo in discussione il modello di data center centralizzato. Se data center di grandi dimensioni continueranno a offrire la maggioranza della capacità di elaborazione, saranno sempre più sostenuti da strutture periferiche, o data center di quartiere, che offrono contenuti e applicazioni a bassa latenza agli utenti o elaborazione di dati e logica per le reti IoT. Nei complessi aziendali e nelle zone residenziali ad alta densità si diffonderanno sempre più questi micro data center, che funzionano come satelliti di una struttura centrale, e il loro successo dipenderà dall’uso di sistemi intelligenti e standardizzati che si possono gestire a distanza. v
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Partecipare alla corsa al digitale e vincerla In Europa la digitalizzazione ha velocità diverse. Le opportunità del mercato unico nazione ha il digitale che si merita digitale permetteranno di giocare alla pari? Ogni Ma la domanda che molti si pongono è: “ci saranno le stesse opportuniI rischi spiegati da Ricoh tà per tutti i Paesi e, di conseguenza, per tutte le imprese?”. La domanda di Giuseppe Saccardi
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li attuali trend digitali come il cloud computing, servizi mobili, smart grid e social media stanno cambiando il contesto in cui operano le aziende. È uno scenario in cui il digitale sfuma, se non, addirittura, dissolve del tutto i confini delle organizzazioni e rivoluziona il modo di lavorare. Nonostante questa rapida trasformazione, oramai sotto gli occhi di tutti, l’Europa sembra stia rimanendo indietro per quanto riguarda l’innovazione digitale sul posto di lavoro. È pur vero che sei aziende su dieci si definiscono “digitali”, ma in molti casi è un’affermazione più teorica che pratica e c’è ancora molto da fare prima che l’Europa possa essere considerata sul fronte avanzato di sviluppo sotto questo punto di vista. Nell’ambito dell’Agenda Digitale la Commissione Europea sta cercando di rilanciare l’economia anche tramite la creazione di un mercato unico digitale che dovrebbe contribuire a eliminare, per esempio, le barriere che ostacolano le transazioni on line. Si stima che il Digital Single Market apporterà all’economia europea 415 miliardi di euro ogni anno.
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non è pleonastica perché come oramai ampiamente appurato il livello di sviluppo economico e di business è direttamente correlato al livello di digitalizzazione di un paese. Molte aziende mostrano scarso entusiasmo nei confronti del mercato digitale unico in quanto sono preoccupate per l’insufficienza di risorse digitali nel proprio paese e esserlo meno di altre vuol dire, come osservato, risultare meno concorrenziali nel mercato globale. Quasi un quarto delle aziende (24%) coinvolte nella ricerca Digital Marketplace: Hope or Hype?, commissionata da Ricoh Europe e realizzata da Coleman Parkes Research, afferma per esempio che la propria nazione è “debole” dal punto vista della tecnologia, delle competenze e delle infrastrutture digitali. Il che non è poco. La situazione varia però in modo significativo da paese a paese. In linea con il “Digital Economy and Society Index” della Commissione Europea, i paesi del Nord e i Paesi Bassi sono quelli digitalmente più forti con rispettivamente il 64% e il 55% delle aziende che descrive il proprio paese come digitalmente “forte” o “piuttosto forte”. L’attuazione del mercato unico digitale è comunque imminente, osserva Ricoh. Ci si chiede: la disparità della situazione digitale nei differenti paesi limiterà o meno i benefici della standardizzazione dei mercati on line? I dubbi persistono. Ben un quarto delle aziende coinvolte nella ricerca non crede che il mercato unico digitale possa portare a vantaggi; anzi, molte temono possibili ripercussioni negative sul business in termini di: • aumento della concorrenza (42%) • investimenti IT necessari (41%) • difficoltà di gestione dell’IVA (36%). Oltre alle aziende la scarsa conoscenza caratterizza anche il management. Soltanto la metà dei dirigenti aziendali conosce a fondo l’Agenda Digitale dell’UE (52%). La conoscenza più bassa riguardo al tema si registra in
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DIGITAL SINGLE MARKET: A CH E PUNTO SIAMO?
SOLTANTO IL
51%
dei dirigenti aziendali conosce a fondo la strategia proposta dall’Unione Europea in relazione al mercato unico digitale che consentirebbe l’eliminazione di qualsiasi barriera nella vendita di servizi in tutta Europa.
La conoscenza più bassa riguardo al
tema si registra in: BELGIO E PORTOGALLO LUSSEMBURGO PAESI DEL NORD
30% 29% 28%
MA QUALI SONO LE ASPETT ATIVE E LA REALTÀ DEI FATTI?
Le aspettative di crescita sono molto
Il
65%
alte. delle aziende pianifica di espand ere il proprio business in altri Paesi europe i nei prossimi
In prima fila si trovano le aziende
5 ANNI
in :
AUSTRIA
UNGHERIA
Vantaggi chiave:
56% ACCESSO A NUOVI MERCATI EUROPEI
52%
48%
MAGGIORI PROFITTI
COSTI DI GESTIONE RIDOTTI
Ricoh ritiene che un mercato unico digitale possa incrementare la competitività di ogni singolo paese, così come le potenzialità dell’Europa a livello globale.
Il 34%
PROCESSI INTERNI PIÙ EFFICIENTI
È necessario prepararsi fin da subito per poter beneficiare dei
Aziende ai blocchi di partenza
Considerata la situazione digitale disomogenea e le preoccupazioni emerse dalla ricerca, si intuisce perché la maggior parte delle aziende europee (92%) dichiari di non essere pronta per l’introduzione del mercato unico digitale. Solo nei Paesi Bassi, in Austria e nei Paesi del Nord almeno un’azienda su dieci dichiara di esserlo. Ma è solo una questione di essere pronti? L’obiettivo del mercato unico digitale è favorire la crescita delle aziende, non fare nascere frizioni tra i Paesi e tanto meno creare una “lotteria digi-
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42%
e LA NECESSITÀ DI FOCALIZZAR SI MAGGIORMENTE SULL’IT
41%
sono le principali preoccupazioni delle aziende
€ 415
che il mercato unico digitale potre bbe apportare all’economia europea e per riuscir e ad adottare un MILIARDI nuovo modo di lavorare digita le e senza barriere.
PA R T E C I PA A L D I B AT T I T O : W W W. R I C O H . I T / T HOUG
Portogallo (27%), Belgio (36%), Paesi del Nord (38%) e Olanda (39%). Inoltre, solo l’8% delle aziende è pronto a recepire quelle che in ambito europeo sono le regolamentazioni più dirompenti emesse negli ultimi anni per supportare la creazione di un mercato unico digitale. La maggior parte delle imprese, tuttavia, sta pianificando di espandere il proprio business in tutta Europa e per farlo conta proprio sul digitale.
l’8%
Soltanto dei dirigenti aziendali dichiara di non avere risorse sufficienti per investire in un mercato unico digitale afferma di essere pronto
L’AUMENTO DELLA CONCORRENZA
PAESI DEL NORD
44%
HOPE OR HYPE?
HTLEADERSHIP
tale” in cui la possibilità di vincere dipende dalla collocazione geografica dell’azienda. Il rischio pende sul capo delle nazioni che non si adegueranno. Dopo la fuga di cervelli dovuti a occasioni professionali e di stipendi, dopo la fuga di aziende a causa del costo del lavoro verso paesi a costi (e tasse sugli utili) più bassi, si potrebbe assistere nei prossimi anni alla fuga delle aziende verso paesi a più avanzata digitalizzazione. Il dato di fatto che emerge dallo studio, mette in guardia Ricoh, è che millioni di aziende in Europa rischiano di non riuscire a cogliere i vantaggi del mercato unico digitale e di essere superate dai concorrenti. Le organizzazioni, specialmente quelle che si trovano in Paesi “digitalmente deboli”, dovrebbero quindi prepararsi fin da ora a quella ch epuò tranquillamente essere denominata la “lotteria digitale”, analizzando la propria capacità di muoversi in un contesto in continua evoluzione e standardizzando i sistemi e i processi per aumentare la produttività. v
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Brother, il business cresce pensando in ‘piccolo’ Lo specialista di Imaging & Printing moltiplica i servizi di stampa gestita indirizzati alle piccole e medie imprese, mettendo nelle mani dei dealer un’offerta semplice e flessibile, capace di generare un business stabile e ricorrente. Grande l’attenzione nei confronti dei mercati verticali, settori in cui il vendor è pronto a sviluppare soluzioni ad hoc in stretta collaborazione con i suoi partner
di Claudia Rossi
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P
rodotti sviluppati in ottica Smb, soluzioni altamente customizzabili e un canale capace di parlare con efficacia la lingua delle piccole e medie aziende: questi gli ingredienti alla base del successo di Brother, un brand che da anni sta ormai vivendo un percorso di crescita costante, pur operando in un settore decisamente maturo come quello dell’Imaging & Printing. Sapiente il mix di strategie globali e locali a supporto di un risultato per nulla scontato, ottenuto attraverso un’equilibrata combinazione di crescita organica e acquisizioni mirate. L’ultima in ordine di tempo risale allo scorso giugno e riguarda l’inglese Domino Printing Sciences, realtà specializzata nel settore del coding & marking che non porta solo in dote brevetti e tecnologie, ma anche un’ampia base di clienti cui proporre nuove soluzioni di digital printing. “Negli ultimi cinque anni abbiamo lavorato attivamente sul consolidamento del business, sfruttando tutte le leve a nostra disposizione - esordisce Marcello Acquaviva, President & Managing Director della filiale italiana, la consociata europea più giovane e dinamica del Gruppo -. I risultati di questa strategia sono evidenti nelle performance di fatturato e di redditività che abbiamo registrato a livello mondiale dal 2011 a oggi, un quinquennio in cui abbiamo
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messo a segno una crescita media annua pari all’8%”. Una progressione confermata anche dai risultati dell’anno fiscale in corso, avviato alla chiusura con un incremento del 13% sui ricavi dell’ultimo anno. Globalmente Brother passerà da un fatturato di 700 miliardi di yen a 800 miliardi, beneficiando anche (ma non solo) dell’effetto cambio. A valuta costante la crescita del Gruppo si attesterà, infatti, al 10,3%, con un settore Imaging & Printing (che attualmente contribuisce per il 63% sulle revenue complessive) in aumento del 5%. “Considerata la situazione macroeconomica e la maturità del principale mercato in cui operiamo, riteniamo che questi siano risultati estremamente soddisfacenti” commenta Acquaviva, sottolineando come il fatturato europeo, realizzato
Il demo center di Brother offre una panoramica completa dell’offerta disponibile
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Marcello Acquaviva, President & Managing Director di Brother Italia
attraverso la sola vendita di soluzioni printing, oggi contribuisca in modo sostanziale al giro d’affari dell’intero Gruppo, generando il 28% dei ricavi totali. Un grande apporto a questo risultato arriva anche dall’Italia, una country che sotto la guida dell’attuale Managing Director ha bisogno affidabile di fare previsioni, sumabili e puntuale registrato negli ultimi tre anni una crescita di businza o consegnare, cliente per un lungo periodo. ffrire assistenza o rendere di vedere la data prevista ness costante e un aumento complessivo del fatrse supplementari, così del contratto offre poi il è addirittura pari al 34%. Le stime e i costiturato e aumentare i propri conoscere con hardware esattezza
usiness.
business.
n cui il cliente penserà ad nuovo acquisto. Inoltre, nella Pagine+, la prevista stampa gestita a misura di Pmi dei casi, il 90%*, altresì bilità di vedere la èdata dere del tasso di riconferma didi Disponibile dalla primavera scorsa, il programma Pagine+ di Brother è un servizio el contratto offre il vantaggio diesattezza contratto. il momento in cui il alle piccole e medie imprese, in grado di offrire grande di stampa gestita rivolto à a effettuare un nuovo
flessibilità e forte controllo sui costi. Grazie a questo programma i classici vantaggi dei Managed Printing Services, che normalmente costituiscono un privilegio delle grandi organizzazioni, sono ora a disposizione di aziende di qualsiasi dimensione. Il servizio permette, infatti, di gestire pacchetti su misura in base alle esigenze delle che decidono ur side’, siimprese traduce nostro di usufruirne, offrendoli a un costo unitario prefissato e molto ofia, espressa dallonel slogan creto volto a soddisfare le periodo di tempo da tre a cinque anni. Grazie alla possibilità di competitivo per un si traduce nel nostro impegno ze e le esigenze dei vostri aggiungere un programma di assistenza on-site e il supporto tecnico ad hoc, l’offerta a soddisfare le vostre sigenze dei clienti. puòvostri rivelarsi per i dealer ancora più interessante mettendo a punto una proposizione a 360°. che a cuore la tutela e le a cuore tutela cuo e: nostreIllaservizio stampanti e i nostrila consulenza mirata per identificare i dispositivi più adatti alle comprende le nostre stampanti e i nostri ultifunzione sono progettati esigenze di stampa aziendali. ifunzione sono progettati ridotto impatto ambientaleper o impatto e Ilambientale programma mette a disposizione degli utenti un portale Web attraverso cui ordinare i rigorosi standard ambientali standard Blue drosi Energy Star. ambientali consumabili, gestire le stampanti o richiedere interventi di assistenza tecnica. In questo gy Star. modo le aziende possono assicurarsi non solo il controllo sulle periferiche, ma anche la necessaria visibilità sui costi e sulle pagine prodotte, garantendosi i tempi di servizio per la consegna dei materiali necessari alle proprie operazioni di printing. Proponendo Pagine+, i rivenditori possono, invece, offrire ai clienti la possibilità di ti del nostro programma concentrarsi sulle attività realmente importanti per il business, dimenticando la gestione del nostro servizio rother.it dei dispositivi di stampa.
vostri vostri clienti. clienti.
mplice passo... passo... mplice
Brother
+
Pagine
S.p.a. S.p.a ness Park - Via San Bovio, 3 ess - Via(MI) SanItaly Bovio, 3 elice,Park Segrate ce, Segrate 50019.1 Fax:(MI) +39Italy 02 95301484 019.1 Fax: +39 02 95301484 w.brother.it .brother.it
o registrato di Brother Industries Ltd. ono marchi di registrati o marchi delle Ltd. rispettive case produttrici registrato Brother Industries
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no marchi registrati o marchi delle rispettive case produttrici.
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per l’anno fiscale in corso prevedono un’ulteriore progressione su questo dato, con un incremento delle revenue tra l’8 e il 10% e ricavi compresi tra i 68 e i 70 milioni di euro. Si tratta di risultati importanti, che all’interno di un mercato complessivamente flat, vanno a impattare in modo sostanziale sulle quote di mercato di Brother e sul suo posizionamento rispetto ai competitor. È il caso delle multifunzione Laser A4, un ambito in cui Brother Italia è cresciuta del 34% da ottobre 2014 a ottobre 2015 ed è passata da un marketshare del 19% a una quota del 24,3%, aggiudicandosi stabilmente la seconda posizione di mercato. Posizione ancora più solida nel caso delle multifunzione Laser Mono A4, segmento che a livello locale genera l’80% del giro d’affari delle Mpf Laser e in cui lo specialista giapponese vanta addirittura una quota del 28,3% con un running rate pari al 31,8%. Importanti i risultati raggiunti anche dalle soluzioni di scanning, ambito in cui il vendor di Nagoya ha iniziato a operare attivamente solo dal 2012. Si tratta di un settore in generale espansione e su cui Brother ha deciso di investire moltissimo per rispondere con efficacia sempre maggiore alle crescenti esigenze aziendali di digitalizzazione. Presto, all’ampio ventaglio d’offerta andranno, quindi, ad aggiungersi nuove soluzioni desktop e mobile, frutto di una Ricerca e Sviluppo orientata a offrire sempre più flessibilità operativa all’utenza business. Un forte contributo ai risultati della filiale italiana arPotenziate il anche vostro business segmento Potenziate il vostro business concon il segmento di di riva naturalmente dai servizi eil dalla messa mercato rapida crescita – oltre mercato in in piùpiù rapida crescita - oltre il il a punto di * soluzioni specificatamente indirizzate al 25%* all'anno! 25% all’anno! mondo Smb, una direzione d’investimento che nel Aumentate i vostri ricavi contando introiti a a Aumentate i vostri ricavi su introiti Italiasuuna business 2012 ha visto varare anche incontando lungo termine lungo termine unit ad hoc. “Con la divisione Services & Solutions Semplificate la formula gestione del sistema grazie Laasemplice ‘pay per click’ facilita la puntiamo sviluppare soluzioni a misura diad piccole ungestione portale facile e veloce del sistema
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Tutto il supporto a disposizione del canale
e medie aziende, permettendo loro di risolvere la classiche problematiche di accesso alla tecnologia attraverso servizi e soluzioni dai prezzi competitivi” spiega Stefan Dawid, Services & Solutions Director di Brother Italia. Un’offering a valore che, facendo leva su personalizzazione e customizzazione, è in grado di calarsi perfettamente sulle esigenze di ogni singola azienda, sfruttando l’esperienza e le competenze di un team dedicato di risorse. “Si tratta di un team di esperti, cui viene periodicamente affiancato un ingegnere proveniente da casa madre, incaricato non solo di raccogliere input utili allo sviluppo di prodotti futuri, ma anche di intervenire a supporto dei progetti in corso apportando rapide modifiche sulle soluzioni già disponibili” prosegue Dawid, sottolineando quanta attenzione stia dedicando Brother allo sviluppo di applicazioni printing rivolte soprattutto ai mercati verticali e alla mobility. Si tratta di ambiti in cui la società annovera già un’ampia casistica applicativa, soprattutto nel mondo retail e dell’healthcare (per risolvere le problematiche del personale tecnico in campo e degli addetti alla tentata vendita), settori in cui la messa a punto delle soluzioni passa sempre da una strettissima collaborazione con i partner di canale. “Facendo leva sull’expertise dei dealer, siamo sempre pronti allo sviluppo di nuove applicazioni printing da estendere anche agli altri partner se
• I plus dell’assistenza tecnica L’assistenza tecnica di Brother è gestita internamente e dispone di un help desk di secondo livello dedicato. Qualsiasi dealer può certificarsi per offrire direttamente assistenza ai propri clienti e garantirsi, quindi, un business aggiuntivo. • L’affiancamento tecnico/commerciale Brother garantisce un attivo supporto di prevendita attraverso un team di sistemisti pronti a intervenire al fianco del dealer, interfacciandosi velocemente con la casa madre per richiedere specifiche customizzazioni di firmware o modifiche di funzionalità software. Oltre alle attività di project management, il vendor offre supporto commerciale presso i clienti e aiuto in fase di formulazione delle offerte. • Un attivo team marketing Brother mette a disposizione dei propri partner di canale un team marketing composto da una decina di persone, affiancate da agenzie a supporto. Numerose le iniziative in campo: dalle classiche attività di brand awareness a specifiche campagne di lead generation fino a eventi dedicati, tutte iniziative definite in funzione del business plan condiviso con i partner.
il mercato offre spazi di replicabilità - prosegue il manager -. In questo caso procediamo a una formazione dei dealer attraverso Business Solution Courses mirati, che non puntano tanto sull’approfondimento delle tecnologie, quanto su un trasferimento di know how capace di renderli più ricettivi rispetto alle opportunità. Sempre più spesso, per cogliere le occasioni di business, occorre infatti essere in grado di proporre nuove soluzioni a problematiche anche inespresse”.
Da Brother servizi a misura di Pmi “Se lo si osserva superficialmente, il mercato dell’Imaging & Printing appare statico - sottolinea Acquaviva -. Ma, se lo si analizza con maggiore attenzione, si nota come sotto numeri apparentemente stabili siano in corso dinamiche che non stanno solo modificando i pesi delle sue diversi voci, ma anche la fisionomia dei player che vi operano”. Sempre più dirompente è, per esempio, la voce dei servizi, un business che secondo Idc crescerà a un tasso del 10% da qui a cinque anni e che Brother ha
Stefan Dawid, Services & Solutions Director di Brother Italia
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deciso di cavalcare, proponendo un’offering nativamente pensata per il suo target d’elezione: le Pmi. Lanciato lo scorso aprile, Pagine + è un servizio di stampa gestita che vanta come fattori differenzianti la semplicità di proposizione da parte del dealer e la flessibilità d’utilizzo da parte del cliente. “Pagine+ può essere venduto solo attraverso gli operatori di canale, che hanno la possibilità di integrare velocemente l’offerta all’interno di progetti più ampi, garantendosi un margine decisamente interessante” precisa Dawid. Variabile la composizione del servizio, in cui il dealer può assicurarsi anche il business dell’assistenza oppure delegarla interamente a Brother. Si tratta, in questo caso, di un’opzione particolarmente utile per le software house, poco abituate a proporre hardware e relativa assistenza ai propri clienti, soprattutto in ambito printing. In sostanza, con questa formula il vendor offre loro un business aggiuntivo, fornendo l’opportunità di rivendere un servizio chiavi in mano, capace di gestire un’infrastruttura di stampa composta da una a 1.000 macchine. Pagine+ è, infatti, applicabile a piccoli parchi stampanti, a un singolo dispositivo fino a reti di centinaia di stampanti. “Pagine+ è un servizio di stampa gestita in cui il rivenditore mantiene il governo del business e la relazione con il cliente attraverso un contratto estensibile da 3 a 5 anni” puntualizza Dawid, precisando come attraverso la piattaforma dedicata ogni dealer possa elaborare la propria proposta, definendo la propria marginalità sul costo copia e introducendo una serie di variabili per personalizzare ulteriormente l’offerta. “A differenziare il programma sul mercato è soprattutto la sua forte focalizzazione sulle esigenze delle Pmi - prosegue -. Sicuramente rispetto ad altri competitor arriviamo più tardi in questo ambito, ma tutto sommato questo ritardo ci ha dato la possibilità di interpretare al meglio il servizio, facendo tesoro degli errori altrui e capi-
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talizzando sulla nostra focalizzazione in un ambito che fino a oggi ha spesso visto solo un downsizing di offerte pensate per le grandi realtà”. Con l’inizio del 2016 sarà anche lanciato un servizio di stampa gestita in modalità Cloud. Si tratterà di un’offerta ‘pacchettizzata’ particolarmente interessante per tutti quei piccoli dealer alla ricerca di una proposizione semplice, in cui non sia richiesto alcun intervento da parte loro, se non quello di rivendere il servizio alle tante piccole e medie realtà territoriali. “L’offerta è stata pensata per semplificare ulteriormente la diffusione dei servizi di stampa gestiti, mettendo nelle mani dei piccoli rivenditori moduli standard facilmente veicolabili sul mercato” conclude Dawid, sottolineando l’intenzione di Brother di ampliare progressivamente questa componente d’offerta. v
Domino, per cogliere opportunità anche in nuovi mercati Si chiama Domino Printing Sciences l’ultima acquisizione messa a segno da Brother. La maggiore operazione nella storia della società giapponese è costata 193 miliardi di Yen e a partire dal giugno scorso ha dato vita a una nuova divisione che ha conservato brand e management. Due i motivi alla base della decisione di acquisire la società inglese: la forza della base clienti di Domino in un segmento in crescita come quello del coding & marking e il desiderio di Brother di estendere la propria portata e la propria copertura nel settore del digital printing. “L’operazione offrirà la possibilità di lavorare a stretto contatto su nuove opportunità di crescita, dando il via a proficue collaborazioni nello sviluppo dei prodotti - ha affermato Nigel Bond, Ceo di Domino Printing Sciences -. Per Domino questo rappresenta senza dubbio un momento molto emozionante, in grado di garantire una solida base per il futuro. In prospettiva, saremo infatti in grado di sfruttare le reti di vendita, gli impianti di produzione e i laboratori di Ricerca e Sviluppo di Brother, ampliando la nostra portata a livello globale”. Attraverso l’acquisizione di Domino, Brother si aggiudicherà, invece, opportunità in nuovi settori di mercato, facendo soprattutto leva sull’ampia base clienti che l’azienda si è costruita nel tempo. Secondo il management, la fusione tra le due società sarà semplificata dalla forte condivisione di valori, tra cui l’impegno per la R&D e l’attenzione alla qualità e al servizio.
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Lo scorporo di Veritas, un nuovo programma di canale e il rilascio di una piattaforma sviluppata internamente per rilevare e bloccare le minacce avanzate. La “nuova” Symantec nell’intervista a Vittorio Bitteleri, responsabile delle vendite per la sicurezza aziendale di Symantec Italia
Symantec vuole guidare la sicurezza business
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ymantec vuole tornare a essere l’azienda che guida il mercato della sicurezza. Una proposizione che si legge non solo nelle parole, ma anche in alcuni segnali di orientamento strategico e tecnologico. A Vittorio Bitteleri, Head of Sales & Channel for Enterprise Security di Symantec, il compito di guidare in Italia il segmento delle vendite sul versante business. Lo abbiamo intervistato. di Riccardo Florio
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Non pensa che negli ultimi anni Symantec abbia perso un po’ di mordente come azienda trainante nel settore della sicurezza aziendale? Symantec dispone di un brand universalmente conosciuto sul versante della sicurezza e stiamo cercando di riproporci con servizi nuovi e innovativi. Symantec si sta riposizionando sul mercato con l’approccio coretto. Una delle ragioni dello split
(a ottobre 2015 si è completato lo scorporo di Veritas N.d.R.) è di ritornare ad avere due aziende focalizzate su due settori distinti. Quando fu acquisita Veritas, la sensazione del mercato era che si andasse verso una convergenza a 360 gradi delle tematiche di gestione del dato e di sicurezza. Altre aziende di settore hanno seguito questa strada: per esempio, aziende di storage hanno acquisito aziende di sicurezza. In realtà, la gestione dei dati si è andata orientando verso le tematiche di gestione dei big data mentre la sicurezza si è indirizzata verso il tema della cyber security e questi due aspetti sono risultati divergenti. Per questo motivo Symantec ha deciso di separare la parte Veritas focalizzata sugli ambiti di storage management dalla parte di security. Quali sono le tematiche più attuali nella sicurezza? Esiste un aspetto di continuità rispetto al passato: per esempio, la gestione dell’endpoint continua a rappresentare un tassello importante della nostra strategia.
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Vi è poi una componente innovativa legata alle nuove tipologie di minacce e Symantec ha recentemente rilasciato la nuova piattaforma ATP (Advanced Threat Protection) per fronteggiarle. Ciò che oggi promuove Symantec è l’idea di costruire un layer di piattaforme integrate di sicurezza che possa proteggere i vari punti di accesso dell’infrastruttura ovvero gli endpoint, la parte di network e quella di gateway e-mail fornendo un unico punto di gestione e controllo. Secondo noi questa è una chiave vincente anche perché oggi, sempre più spesso, vengono sfruttate vulnerabilità che sono correlate all’integrazione di diverse tecnologie. Quindi la vostra idea è che per essere sicura un’azienda dovrebbe scegliere solo soluzioni Symantec? Noi proponiamo una piattaforma integrata sui tre pilastri fondamentali (endpoint, rete, gateway); poi ci sono le integrazioni con le soluzioni di terze parti su cui stiamo lavorando consapevoli che investimenti importanti fatti dalle aziende non possano essere facilmente accantonati e dismessi. Oggi riteniamo che l’evoluzione nella sicurezza, più che sul
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versante tecnologico, sia legata all’intelligence che vi sta dietro e quindi tutte le soluzioni Symantec sfrutteranno sempre più le informazioni raccolte ed elaborate attraverso la nostra Global Intelligent Network che vanta numeri impressionanti: basti pensare che i nostri sistemi tracciano il 30% delle e-mail mondiali, che rappresentano il veicolo primario per le infezioni ed elaborano 350mila log al secondo.
Il valore si sta spostando anche sempre più verso servizi cloud perché oggi la security è un esigenza tanto necessaria quanto costosa in termini di risorse, skill, competenze e non tutti possono permettersi di predisporre internamente un servizio di sicurezza efficace attivo in modalità 24x7. Cosa rappresenta per Symantec il cloud? Rappresenta un’opportunità per affiancare ai servizi di sicurezza on premises dei nostri clienti una serie di servizi che possono es-
sere più efficacemente delegati all’esterno. A maggior ragione in un contesto sempre più pervaso da requisiti normativi stringenti per il trattamento delle informazioni. Oggi le aziende non sono più in grado di raccogliere, gestire e analizzare tutti i log di quanto accade al loro interno. Noi ci proponiamo di fornire un’attività di cosourcing in cui ci occupiamo internamente degli aspetti di sicurezza correlati al business ed esternamente, tramite servizi cloud, di quanto attiene all’infrastruttura pura.
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Secondo voi nel cloud è possibile spostare in sicurezza anche le applicazioni mission critical? Si, perché siamo già in grado di esportare in cloud le applicazioni di sicurezza che sono tipiche dell’ambiente on premises. Dal punto di vista tecnologico, Symantec è nelle condizioni di garantire che il dato in cloud abbia la stessa riservatezza e protezione del dato on premise. Come vedete il mercato italiano e quali sono le vostre attese? Assistiamo finalmente a un atteggiamento consapevole verso la sicurezza che non viene più guardata come un “male necessario” ma come attività centrale, da affrontare in modo strutturato. Il budget resta sempre un problema ma i segnali sono positivi.
Qual è il go to market in Italia? Symantec è divisa in due business unit. Una è quella focalizzata sul mercato consumer e l’altra si occupa del mercato business, partendo da aziende da 150 dipendenti fino alle grandi realtà enterprise. Sui clienti più grandi interveniamo in modo diretto e poi, a scendere, ci affidiamo ai business partner. Quali sono le peculiarità del nuovo programma di Canale? In ottobre 2015 è stato lanciato ufficialmente il programma di Canale Secure One, che è una delle prime promesse mantenute successivamente allo split di Veritas. Il programma di Canale precedente doveva, infatti, abbracciare più partner e più esigenze di business. Il nuovo programma è estremamente semplice e offre la
Symantec Advanced Threat Protection Symantec Advanced Threat Protection (ATP) è una soluzione disponibile come appliance hardware o come Virtual machine, che combina la telemetria globale della rete mondiale di cyber intelligence di Symantec, con i dati e il contesto locale aziendale attraverso endpoint, reti e gateway di posta, per individuare attacchi difficili da individuare come gli attacchi mirati e persistenti (APT) e le minacce “zero day”. Symantec ATP, attraverso la tecnologia Synapse, cerca l’effetto di qualsiasi possibile attacco all’interno dell’infrastruttura e correla le attività sospette, classificando in ordine d’importanza gli eventi a più alto rischio. Una volta identificata, una minaccia critica può essere contenuta rapidamente, bloccandone le nuove istanze. Symantec ATP include anche Symantec Cynic, un nuovo servizio basato su cloud che permette di eseguire potenziali malware all’interno di un ambiente sandbox.
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possibilità, a chi crede nella strategia di Symantec, di accedere da subito al primo livello di entrata che è denominato Silver senza richiedere impegni eccessivamente gravosi: sono richiesti 10mila euro di fatturato annuo e non è necessaria alcuna certificazione. Il programma prevede tre livelli, silver, gold e platinum e, per quelli successivi, sono richieste non solo soglie maggiori ma anche certificazioni. Pensiamo che Secure One sia molto incentivante grazie a requisiti semplificati di competenza e certificazione e un GAR (Growth-Accelerator Rebate) più prevedibile e remunerativo. Secure One prevede, inoltre, un nuovo Distribution Program, finalizzato a sostenere e accelerare la crescita dei partner. Ci sono vincoli sulle soluzioni che i partner dei tre livelli possono proporre? Le nostre soluzioni ricadono all’interno di tre aree: Threat Protection, Information protection e Cyber security. Ogni partner può
proporre tutti i prodotti ma acquisire competenza alimenta un vantaggio competitivo. Per esempio, nell’ambito dell’Information protection dove rientrano temi quali DLP e Identity management, il valore è legato alla realizzazione di progetti che richiedono una competenza credibili per essere proposti. Il programma di Canale è ulteriormente supportato da una Channel University, organizzata per fasce di prodotto, con cui formiamo i nostri partner e li facciamo crescere. A livello tecnologico quali sono i prossimi passi? Advanced Threat Protection, in sigla ATP, segna un momento importante della nostra storia recente perché si tratta del rilascio di una nuova piattaforma realizzata interamente da Symantec e non frutto di un’acquisizione. Sarà disponibile dalla fine del 2015 in accordo agli annunci fatti durante il kick off di Las Vegas. Il partner program nuovo unitamente al lancio della nuova piattaforma di sicurezza ATP sono un segnale della nuova direzione della Symantec Security. La rifocalizzazione su meno cose fatte bene inizia già a dare i suoi frutti. v
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CHECK POINT
THREAT EXTRACTION ZERO MALWARE IN ZERO SECONDS Check Point Threat Extraction eliminates malware contained in emailed and web-downloaded documents. Exploitable content including active content and various embedded objects are removed and files are reconstructed using known safe elements.
W E W E
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La centralità di Hana. Un progetto d’avanguardia a livello mondiale in corso con le Ferrovie dello Stato. Esempi di applicazioni ready to use
Internet of Things e l’impegno di Sap
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di Gian Carlo Lanzetti
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na piattaforma affidabile e veloce è essenziale per la comunicazione fra veicoli e rappresenta le fondamenta per lo sviluppo della guida del futuro, altamente automatizzata e sicura. Oggi le automobili interagiscono già con numerosi dispositivi, come sensori e fotocamere, che generano flussi di dati continui. La più grande sfida è quella di selezionare e analizzare i dati realmente rilevanti e utili e di fornirli al conducente, alle case costruttrici, alla filiera distributiva
in modo semplice e immediato. Ne è convinta Sap che ha sviluppato attorno a questi principi una specifica applicazione, denominata Sap Automotive Telematics Platform, basata su Hana. I benefici sostanziali sono quattro: integrazione e analisi dei dati generati dai sensori in tempo reale, riconoscimento sempre in tempo reale di informazioni utili all’interno dei flussi di dati, implementazione di analisi basate sui Big Data inclusi algoritmi predittivi, archiviazione efficiente di dati geografici ed esecuzione efficiente delle operazioni. Le finalità, invece: rilevamento immediato delle anomalie dei
veicoli o della situazione stradale; servizio di assistenza per l’automobilista basato su dati in tempo reale; riduzione dei tempi di inattività del veicolo a garanzia di un flusso di traffico continuo grazie a soluzioni di manutenzione predittiva e previsioni sulla possibile evoluzione del traffico. In definitiva i benefici principali attesi da questa applicazione per l’automobilista sono: polizze assicurative personalizzate; manutenzione predittiva, ottimizzazione dei costi e dell’utilizzo delle flotte aziendali oltre che della loro gestione, in prospettiva la guida autonoma. Presso Sap sono state sviluppate anche altre applicazioni IoT-based, illustrate nel corso di un incontro con la stampa. Particolarmente interessante, anche perché oggetto di implementazione (in Germania), è la Sap Digital Farming che fornisce una panoramica sulla conformazione dei terreni agricoli tramite l’analisi di immagini aeree. Utilizzando tecniche di geo-fencing (tecnologia GPS), è possibile analizzare ogni porzione di campo agricolo.
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I sensori, posizionati strategicamente sui terreni, riportano dati di varia natura, come per esempio il tasso di umidità e le condizioni atmosferiche. Inoltre i dati che provengono dalle macchine agricole vengono immagazzinati nella Hana Cloud Platform e una volta processati permettono all’agricoltore di migliorare le proprie scelte. In particolare i benefici rilevati per quest’ultimo di questa applicazione, che ha in Hana e Sap Analytics due pilastri, sono: migliore gestione dei terreni, decisioni immediate su cambi di coltivazione, gestione ottimizzata delle dinamiche di semina e raccolta, analisi storis e monitoraggio continuo dei risultati, costi inclusi. Tutte queste applicazioni, e molte altre ancora, hanno in comune una cosa importante: l’utilizzo di Hana, definita da Francesco Mari Vice President, Product and Innovation Strategy Internet of ThingsProducts & Innovation di Sap «tra le poche soluzioni end to end per tutte le funzioni aziendali disponibile sul mercato. E non solo: è una piattaforma concepita per la semplificazione delle infrastrutture, delle piccole e grandi imprese». Sempre il manager aggiunge :«È anche uno dei car-
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dini della strategia dell’azienda sul fronte dell’Internet of Things, ovvero del processo di digital transformation che riguarda le aziende per gli impatti su asset, clienti, fornitori e forza di lavoro».
Sap e le FS Durante l’incontro Mari si è lungamente soffermato sul progetto che lega Sap a Ferrovie dello Stato proprio in ambito IoT. Il più importante progetto di Sap oggi in questo settore e probabilmente alche al di fuori del mondo Sap. Mediamente un treno moderno dispone di circa 5000 sensori, Tramite Hana il sistema ideato
riceve info dai treni connessi oltre che dai sistemi It tradizionali che elabora in tempo reale. Gli impatti sulla manutenzione sono già evidenti: i costi sono scesi del 10% a fronte di di una spesa annua che ai aggira intorno a 1,3 miliardi. «Oggi - spiega Mari -, si fa della manutenzione inutile. Grazie a IoT si va invece a vedere componete per componente e per ciascuno problema si individua la soluzione migliore, non più in funzione del chilometraggio come avviene ora». Nel settore della manutenzione preventiva la società sta lavorando anche con un gruppetto di
aziende di media dimensione. In quasi tutti i progetti IoT l’enfasi è sulla connettività più che sulla sensoristica, con l’obiettivo però di sviluppare servizi e prodotti che oggi non esistono. È questo il fertile terreno in cui opera Sap, come documentano le applicazioni prima citate, ma non solo: «Per esempio un’area che si sta rivelando sempre più promettente è quella della logistica. Come dimostra l’esperienza presso il Porto di Amburgo la connessione dei sistemi permette di gestire la catena logistica in tempo reale al variare delle condizioni. Spesso senza neanche estendere l’infrastruttura esistente ma sfruttandola meglio: nel caso specifico si è passati dal 20% al 50%», conclude Mari. v
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Al Partner Day del Vad milanese soluzioni all’avanguardia che rappresentano un elemento differenziante nella progettazione di soluzioni avanzate
Active Solution punta sul TCO ed entra nel mercato della sicurezza
micro, Sphere 3D, Qsan, Spectra Logic, CloudFuze, Hillstone Networks. Un tratto comune che vale la pena sottolineare subito è il rapporto costo prestazioni: le soluzioni presentate sono state progettate per ridurre ogni componente di costo che incide sul TCO (Total Cost of Ownership) e, al tempo stesso, per ottimizzare il rendimento, che si tratti di minimizzare il costo per GB nelle applicazioni di archiviazione o di ingegnerizzare i server per abbattere i consumi dei data center, o,
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oter mettere a disposizione tecnologie innovative in grado di distinguersi sul mercato è un valore aggiunto tra i più importanti che un Value Added Distributor può fornire ai propri clienti. È quello che si propone di realizzare Active Solution stringendo partnership con vendor in grado di distinguersi per i contenuti innovativi e una strategia focalizzata nello sviluppo di prodotti adatti alle esigenze del mercato italiano.
di Gaetano Di Blasio
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All’Active Solution Partner Day, nella suggestiva cornice del Museo Alfa Romeo di Arese, si è avuto un assaggio importante di soluzioni che possono determinare una differenza. In particolare, erano presenti rappresentanti di brand affermati e marchi meno noti ma dall’elevato contenuto innovativo, quali Samsung, Super-
ancora, di aumentare la densità e le prestazioni dello storage. Tra le aziende presenti, Hillstone Networks rappresenta una novità per il mercato italiano e, soprattutto, per Active Solution, che grazie alla collaborazione avviata con questa azienda presente in Cina e negli Usa, entra nel mercato della sicurezza. Una svolta favorita
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dall’ingresso in Active di Davide Carlesi in qualità di Sales & Business Development Manager. L’aumento delle minacce e degli attacchi informatici rende estremamente critica la protezione del dato e avvicina sempre più il mondo server e storage, mercato di elezione per il VAD di San Donato Milanese, e la sicurezza. «Grazie alle competenze di Davide in questo mercato abbiamo deciso di compiere questo passo, convinti di poter fornire un valore aggiunto ai nostri clienti anche qui», afferma Guido D’Alonzo, managing director di Active Solution. Hillstone, inserita nel 2014 da Gartner nel magic quadrant dell’Unified Threat Management ha ricevuto diversi riconoscimenti per l’architettura innovativa dei
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propri firewall, disegnati per contrastare le moderne minacce APT, grazie all’integrazione di intelligence e soluzioni avanzate, come l’analisi del network behaviour. Ma si fa presto a dire behavior, come spiega Zhong Wang, vice president responsabile del Product Management, «perché occorre “imparare” il modello di comportamento per ciascun server». In buona sostanza, i firewall di Hillstone sembra andare ben oltre il concetto di next generation introdotto ormai da qualche anno e che, per la maggior parte dei prodotti in commercio si “limita” a un semplice sandboxing. Il livello d’integrazione e di profondità dell’analisi fa supporre un alto grado di efficacia nel rilevamento di intrusioni e violazioni.
«Abbiamo messo alla prova le capacità di questi firewall, facendoli testare a diversi esperti di security verificando la loro potenza», racconta Carlesi, che aggiunge: «La linea entry level di HillStone è perfetta per il mercato delle medie imprese, fornendo un livello di sicurezza molto avanzato a un costo assolutamente giusto». Forse meno appariscenti, ma analogamente all’avanguardia i
server ottimizzati di Supermicro, che, come ricorda il sales manager Luca Arduini, è il primo produttore di server al mondo con fabbriche in Usa, Cina e Taiwan. Sphere 3D è in realtà la nuova veste di Tadberg Data e Overland, che si sono fuse con la software house Sphere 3D per sfruttarne i vantaggi, come spiega il channel sales manager italiano Paolo Rossi. Simone Ceccano, sales manager di QSan, ha invece presentato le ultime novità in termini di network storage, tra cui spicca una soluzione ottimizzata per la memorizzazione della videosorveglianza. Un salto nel futuro delle memorie SSD, sempre più dentro il data center, e nello stato dell’arte delle tecnologie NAND e Nvme o Open Express, quello che propone Massimo Germanò, B2B Senior Sales Manager SSD/Memory di Samsung. Il Partner Day, che si è concluso con una memorabile visita al museo Alfa Romeo, ha anche permesso di valutare le soluzioni per l’archiviazione con le tecnologie a nastro e disco innovative di Spectra Logic e le soluzioni in cloud per il Mobile Content Management di CloudFuze. v
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Al “Mobile era is on” le potenzialità delle nuove tecnologie presentate a un nutrito gruppo di partner e di giornalisti della stampa specializzata
Cloud, IoT e Security i punti chiave del portfolio ITway e del futuro IT
A
l “Mobile era is on”, l’evento organizzato da ITway per i partner, si è parlato delle interessanti opportunità offerte dalle nuove tecnologie, dal cloud all’IoT. I lavori sono stati aperti da Cesare Valenti, executive vice president di ITway VAD, che ha evidenziato come mobility e IoT, congiuntamente al cloud e, non ultima la sicurezza, siano alla base del profondo processo di trasformazione dell’IT e di come possano offrire agli operatori del settore, che sappiano cogliere il momento, le opportunità di ottenere concreti risultati di business. La giornata ha visto la partecipazione di numerosi partner di ITway. Tra questi: Lenovo, Acronis, Array, Extreme Networks, Check Point, Red Hat, Vidyo e VMware. Il cloud, in abbinamento all’IoT e alla mobility, è emerso come uno degli aspetti trainanti e occasione di business, ha osservato Stefano Della Valle, VP Executive Sales and Marketing di iNebula, la so-
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cietà costituita da ITway appositamente per sviluppare applicazioni in ambito cloud, dalla salvaguardia dei dati sino a una UCC avanzata in cui la videocomunicazione giochi un ruolo di primo piano. Le soluzioni approntate da iNebula sono a disposizione del canale e dei system integrator per guidare il passaggio dei propri clienti da un approccio all’IT basato sul Capex a uno più efficiente basato sul’Opex, ha evidenziato Della Valle Il manager non ha però nascosto la sussistenza di problematiche connesse da una parte alla non chiara percezione dei benefici del cloud e dall’altra all’esigenza di modalità innovative per la proposizione dei servizi. Oltre a rafforzare la propria offerta, nel prossimo anno iNebula si impegnerà ad evidenziarne i benefici derivanti dalla combinazione con altre soluzioni di ITway. «Il cloud è un’opportunità e non una minaccia», ha sintetizzato Della Valle, ma osservando che neanche è la panacea universale. Senza dimenticare la sicurezza, per la quale iNebula ha messo a disposizione del canale un servizio di Security Managed Service.
La necessità di rinnovarsi, in tutti i livelli della catena dal produttore all’utilizzatore, è stata evidenziata anche da Andrea Farina, presidente e amministratore delegato di ITway: «Si deve partire dal presupposto che non si può fermare l’evoluzione e in questa evoluzione il cloud ha assunto un ruolo fondamentale. Per questo ci stiamo specializzando in soluzioni IaaS e AaaS per permettere ai nostri partner di ricoprire un ruolo di intermediazione a valore che ne ampli le potenzialità e i risultati economici». L’impegno di ITway non si limita però a fornire ai partner un portfolio e il supporto, ma è attivo anche nel metterli in condizione di utilizzare, progettare e manutenere nel modo migliore le nuove proposizioni. Al robusto portfolio di servizi si affianca, come
di Giuseppe Saccardi
Andrea Farina presidente e amministratore delegato di ITway
spiega Farina, anche l’Academy, che eroga corsi di formazione e di certificazione in modo da assicurare al cliente finale la necessaria preparazione e qualificazione dei partner di ITway nel progettare e supportare l’evoluzione verso il nuovo modo di fruire dell’IT. L’innovazione con le nuove opportunità derivanti dalla rete sono state, in conclusione, testimoniate dall’ospite Fabio Zaffagnini, lo startupper romagnolo che la scorsa estate, facendosi promotore dell’iniziativa Rockin’ 1000, è riuscito nell’impresa di radunare 1.000 musicisti a suonare simultaneamente una canzone dei Foo Fighters, portando il gruppo a fissare una data italiana a Cesena. v
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I partner sono lo strumento principe di Microsoft per portare il cloud nelle aziende italiane. Un esercito potenziale di parecchie migliaia di unità.
di Gian Carlo Lanzetti
Il cloud premia Microsoft
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partner già impegnati sulle “nuvole” sono circa 3000 e di questi 350 fanno parte della struttura guidata da Fabrizio Fassone, direttore mercato Pmi che ha rilasciato questi numeri nel corso di un evento dedicato appunto a illustrare i risultati conseguiti da Microsoft in Italia sul fronte del cloud negli ultimi 12 mesi. «In questo periodo il nostro fatturato in questo settore è cresciuto del 200%, i partner impegnati nel portare avanti questo business del 21% e oggi possiamo dire che gli sforzi fatti ci hanno ampiamente ripagati: già il 40% dei nostri ricavi con le Pmi arriva dai servizi cloud, ovvero nella sostanza dalla vendita di Office 365, Azure e Crm online», specifica Fassone. La conferma dei buoni risultati realizzati con il cloud viene anche da Francesco Esposito, direttore Pmi e partner di Microsoft: «La crescita che abbiamo e stiamo realizzando è frutto anche di una strategia che premia in particolare i partner, sempre più incentivati e stimolati a impegnarsi su questo fronte; per contro sempre
Fabrizio Fassone, direttore mercato Pmi di Microsoft
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meno incentivati a perseguire altri obiettivi. È la ragione anche del loro coinvolgimento nelle strategia ci elaborazione delle modalità di definizione delle licenze e di erogazione dei servizi. Ma non solo. Il cloud offre ai partner due altri importanti vantaggi oltre a quello di incrementare i ricavi. In primis di evolvere professionalmente diventando per esempio software house oppure Cloud solution provider, con la possibilità in questo caso di vendere le soluzioni anche all’estero. Poi il cloud permette di fidelizzare maggiormente i clienti finali, che in tempi di accesa competizione è cosa di non poco conto». Durante l’incontro con la stampa
due aziende che hanno scelto il cloud hanno portato la loro testimonianza. Sara Bardelli, Hr manager Emea di Vibram ha illustrato i risultati ottenuti con la implementazione di Office 365. Vibram è una multinazionale tascabile di Albizzate (Varese), oggi presente in 120 Paesi, con oltre mille partner che produce 40 milioni di suole l’anno. Ha una presenza produttiva forte negli Stati Uniti e un centro di Ricerca in Cina. I dipendenti sono 700 e circa 200 milioni il fatturato. «Avevamo l’esigenza di migliorare la comunicazione tra queste realtà e soprattutto i nostri dipendenti geograficamente molto distribuiti. L’adozione di Office 365 ci ha molto aiutati e intendiamo continuare nell’investimento fatto. Con l’aiuto di un partner, Netvisory, appositamente selezionato per questa operazione e con il quale abbiamo stabilito un rapporto fiduciario che si sta dimostrando sempre più produttivo».
L’altra testimonianza è di Directio, una piccola azienda di Torino (20 addetti, meno di un milione di euro di ricavi), che ha scelto Azure per erogare corsi di formazione on line a commercialisti e revisori contabili. «La sua adozione, sottolinea Alessio Berardino, Ceo e direttore editoriale dell’azienda, ci ha consentito di ridurre il carico di lavoro del team It, di ottenere una maggiore facilità di deploy dei servizi, di migliorare la gestione dei processi di backup e la scalabilità delle infrastrutture». In conclusione Microsoft anche con queste testimonianze conferma il proprio impegno a supporto della digitalizzazione delle Pmi, in linea con uno scenario di crescente interesse delle realtà italiane verso il cloud e le nuove tecnologie. In particolare sono i dipendenti delle Pmi nostrane i veri motori dell’innovazione e la ricerca Microsoft-Ipsos Mori 2015, dal titolo “I dipendenti delle PMI e la tecnologia”, li dipinge pronti ad abbracciare con forza e fiducia più strumenti digitali sul lavoro. v
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L’Internet of Things per Ptc sarà una leva fondamentale per esplorare e valorizzare nuove opportunità di business. Previste rifocalizzazioni e potenziamenti nell’ecosistema dei partner.
Ptc svolta verso l’IoT
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di Gian Carlo Lanzetti
el nostro settore siamo i soli in questo momento ad avere elaborato e in gran parte implementato uno schema di integrazione tra componenti fisiche (Cad, Plm, Slm e Alm) governato da soluzioni IoT», ha affermato Stefano Rinaldi, General Manager della consociata italiana, aggiungendo: «Cosa che ci mette in una posizione di unicità, posizione che ci è stata possibile cogliere in tempi relativamente brevi grazie anche ad investimen-
ti per circa 600 milioni di dollari nella acquisizione di aziende piccole ma specializzate come Axeda (piattaforma di connettività IoT), ThingWorx (piattaforma di abilitazione applicazioni IoT), Coldlight (piattaforma di predictive analytics IoT) e Vuforia (realtà aumentata). Nella nostra strate-
gia la tecnologia IoT rappresenta la più importante occasione di trasformazione della società nel corso della sua storia». Per cogliere appieno le nuove opportunità Ptc si è data un’organizzazione nuova, strutturata su due entità operative distinte: Solution Group e Technology Platform Group che segue il mondo dei partner e degli sviluppatori. La rete di partner sarà quindi in parte riformata e rinforzata alla luce delle implicazioni ingenerate dall’avvento della IoT. In Italia la società si avvale in questo momento di una rete di una quindicina di partner, tra cui hanno un ruolo chiave i system inte-
Stefano Rinaldi, General Manager di PTC Italia
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grator, “pochi ma buoni” secondo l’espressione di Rinaldi che quantifica in circa 2. 500 le aziende che nel nostro Paese usano prodotti Ptc e in oltre il 50% la parte di fatturato realizzata con il canale. Insieme a Bosch Di recente la società ha fatto due annunci importanti. Il primo, nella logica dell’IoT, è l’accordo tecnologico stretto con Bosch Software Innovation per facilitare l’integrazione della piattaforma ThingWorx e della suite IoT di Bosch. Il nuovo connettore m2m della suite IoT di Bosch per ThingWorx consente l’interazione tecnica tra
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le due piattaforme ed è ora disponibile nel ThingWorx Marketplace. Lo stack tecnologico permette agli sviluppatori IoT di connettere e controllare dispositivi e sistemi eterogenei, sviluppare in modo veloce e conveniente applicazioni IoT per panorami IT complessi e adattare facilmente e rapidamente soluzioni IoT alle esigenze di aziende e settori specifici. È stato anche reso noto che Ptc e Bosch Software Innovations hanno testato con successo lo stack tecnologico integrato nell’ambito
del Track & Trace Testbed dell’Industrial Internet Consortium, connettendo in modalità wireless utensili di serraggio per consentire loro di funzionare in perfetta sincronia all’interno dello stabilimento di produzione. L’applicazione Track & Trace permette il monitoraggio in tempo reale dello stato di tutti gli utensili.
Windchill 11 L’altra importante novità riguarda Windchill 11, il software per una gestione intelligente e in rete del ciclo di vita dei prodotti. Si tratta di un software in grado di raggiungere nuovi livelli di connettività e di migliorare i processi lungo tutto il ciclo di vita a circuito chiuso del prodotto. «Ptc Windchill - ha detto al riguardo Fabrizio Ferro, Director Presales - è utilizzato da oltre 1,5 milioni di utenti nel mondo per gestire e ottimizzare lo sviluppo dei prodotti e i processi del ciclo di vita. Con questa nuova release, mettiamo disposizione del mercato un sistema Plm che consente di colmare il divario tra mondo digitale e mondo fisico. I clienti potranno contare su un processo di progettazione dei sistemi più avanzato, in grado di acquisire informazioni dal reale utilizzo e dai dati sulla qualità forniti da prodotti intelligenti e connessi a Internet. In altri termini Ptc Windchill 11 rappresenta la soluzione ideale per le aziende alla ricerca di un sistema di gestione del ciclo di vita del prodotto migliore e a circuito chiuso, per poter dare il massimo in questa nuova era». v
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Il nuovo country manager italiano Maurizio Desiderio illustra i principali cambiamenti della nuova strategia in cui il canale è destinato ad assumere un ruolo ancora maggiore rispetto al passato
Un canale strutturato per F5 Networks
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di Gian Carlo Lanzetti
5 Networks si è posta un l’obiettivo di raggiungere un fatturato da 5 miliardi di dollari di ricavi in 3 o 4 anni a fronte dei poco meno di 2 miliardi fatti segnare nell’esercizio terminato a fine settembre 2015. Per questo «il ruolo dei partner è di fondamentale importanza. Noi non abbiamo le risorse interne necessarie per raggiungere questo target, donde la decisione di trovare nuovi partner sul mercato ma soprattutto di modificare significativamente le modalità
di interazione con vecchi e nuovi attori del canale», spiega a noi di Partners Maurizio Desiderio poco dopo la sua nomina a country manager italiano, aggiungendo «Il
Manny Rivelo, Ceo di F5 Networks
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nostro primario obiettivo ed elemento di distinzione della nuova strategia, è il coinvolgimento dei partner nella definizione degli obiettivi di vendita, quindi stiamo lavorando per un approccio più o molto strutturato del canale». I partner, a quanto pare, apprezzano: «Durante il recente incontro a Milano con il canale, al quale hanno partecipato una cinquantina di aziende, abbiamo riscontrato grande disponibilità a sposare questo metodo, assai stringente rispetto a quelli del passato perché, oltre al coinvolgimento dei partner stessi ci sono impegni precisi su obiettivi da raggiungere, date da rispettare e così via». Una rifocalizzazione e un potenziamento di tutta la rete indiretta dunque, che toccherà da vicino tutte le figure, a cominciare dai system integrator. Insomma una vera e propria pianificazione delle attività a 360 gradi. Tra l’atro Desiderio ha anticipato al nostro giornale che il piano di investimento a favore del canale prevede anche la messa a disposizione di strumenti molto avanzati per l’assessment pratico delle soluzioni, nonché per l’individuazione delle vulnerabilità per quan-
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to riguarda le soluzioni di sicurezza, area destinata a un rilevante potenziamento, anche a seguito di accordi di partnership recentemente conclusi da F5 Networks su questo fronte. A tal proposito, il primo nome che viene in mente è quello di FireEye, che permetterà ai clienti di beneficiare di soluzioni di sicurezza complete, ovvero basate sulla integrazione della infrastruttura delivery di F5 con la protezione avanzata delle minacce del nuovo partner tecnologico. È appena il caso di ricordare che FireEye ha inventato una piattaforma di sicurezza appositamente costruita e basata su una macchina virtuale, che fornisce protezione dalle minacce in tempo reale contro gli attacchi informatici di nuova generazione che aggirano facilmente le difese tradizionali signature-based, come i firewall di nuova generazione, i sistemi IPS, gli antivirus e le gateway. Il cuore della piattaforma FireEye è un motore di esecuzione virtuale, completato da un’intelligence delle minacce dinamica, per identificare e bloccare gli attacchi informatici in tempo reale. La società ha oltre 3.400 clienti in 67 paesi, tra cui oltre 250 delle aziende Fortune 500. «Siamo molto confidenti sulla validità di questo prodotto - con-
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ferma Desiderio - e proprio per questo ci siamo dati per la sicurezza obiettivi alquanto ambiziosi, in simbiosi con la capacità e la natura del canale». In più ci sono i consolidati Application Delivery Controller, il cavallo di battaglia di F5 per i quali la società è leader nel Magic Quadrant ADC di Gartner. Come noto gli ACD forniscono funzioni che ottimizzano la delivery di applicazioni attraverso la rete. In particolare essi forniscono funzionalità sia per il traffico user-to-application che per quello application-to-application, e colmano il divario tra l’applicazione e i protocolli sottostanti e le reti a pacchetto tradizionali. A supporto di questo impegno la società ha inaugurato a settem-
bre a Varsavia (Polonia) un nuovo centro dedicato al servizio clienti, alla sicurezza e allo sviluppo di prodotto. Esso sarà anche la sede del secondo Security Operations Center (SOC) di F5, a complemento della struttura già esistente a Seattle, per monitorare in tempo reale tutte le attività legate agli attacchi informatici globali multi-layer. Produttività e profitto sono fondamentali per il successo aziendale: le applicazioni sono un fattore determinante nella formula che consente di migliorare entrambi questi aspetti. Ogni iniziativa, nella vision di F5, deve suppor-
tare pertanto il più largamente le applicazioni. Il che, in ultima analisi, significa che tutto può essere pensato come finalizzato a supportare le applicazioni, dal loro sviluppo, al deployment e alla delivery. La sicurezza nel cloud, altro tema caldo anche per questa company, può essere vista come una responsabilità condivisa, dove il fornitore e il cliente si prendono cura dei diversi aspetti della protezione del cloud, ma la sicurezza delle applicazioni è al 110 per cento responsabilità di chi per la prima volta mette quella singola v applicazione nel cloud.
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La sesta generazione di Intel Core Skylake offre nuove opportunità ai partner, chiamati a svecchiare un parco macchine ormai obsoleto, grazie a potenza, form factor innovativi e computing personalizzato
Nuovi processori Intel con Windows 10 per spingere il canale
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onvertibili, flessibili, indossabili. I dispositivi di prossima generazione continueranno a cambiare l’approccio dell’utilizzatore verso il mondo del digitale. Anche il mondo del lavoro ne sarà travolto, come ormai ha dimostrato la consumerization. Per i partner di Intel si aprono nuovi scenari che presentano opportunità in particolare grazie alla «personalizzazione dei device», come ha sottolineato Norberto Mateos Carrascal, Territory Director Southern Europe di Intel, intervenendo alla Channel Conference di Milano nella splendida cornice della Triennale al parco Sempione. L’evento è stato organizzato in collaborazione con Microsoft, il cui Windows 10 costituisce una spalla di tutto rispetto per gli ultimi processori nella realizzazione congiunta di funzionalità avanzate. In Intel enfatizzano tali possibilità, ritenendo che con i processori prima noti come Skylake si sia compiuto più di un semplice salto generazionale. La sfida è quella di soddisfare le nuove esigenze
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Un momento della Channel Conference di Intel alla Triennale di Milano
di un’utenza, che si sta abituando a essere “Smart and Connected”, con una tecnologia estensione dei propri sensi. Un’opportunità vera e propria consiste nella vetustà del parco macchine presente in molte imprese. Colpa forse di un Windows 8 che ha convinto poco le imprese e, certamente, della crisi, ci sono molte realtà con dispositivi che hanno 3 e più anni di vita (oltre un miliardo a livello mondiale, sostengono in Intel). Di per sé non un tempo eccessivo e in linea con i tempi di ammortamento aziendali, ma va considerata la suddetta pressione esercitata dalle novità “digital”. Di nuovo Mateos Carrascal evidenzia come sarà possibile offrire una user experience personalizzata, cioè «la migliore possibile»,
che consente di sviluppare prodotti innovativi non solo per gli utenti aziendali, ma anche per altre categorie di utilizzatori, finanche i gamer. Tra le caratteristiche rese possibili dalle nuove architetture spiccano la possibilità di non utilizzare ventole (rumorose e penalizzanti in termini di consumi energetici) o le autonomie intorno alle otto ore. Interessanti anche la tecnologia True Key, che elimina la necessità di password grazie al riconoscimento facciale, e la Real Sense, per accrescere la sicurezza. Infine, vale la pena menzionare miglioramenti alla grafica e una vocazione spiccata verso il wireless con l’Open Interconnect. Tocca poi a Vincenzo Esposito, direttore Small Business & Partner di Microsoft Italia, fornire una
di Gaetano Di Blasio
dose di adrenalina affermando che entro il 2020 ci saranno 20 miliardi di dispositivi connessi, ovviamente calcolando l’Internet of Things, con Windows 10 a fare da collante, perché rispetto al passato si presenterebbe più come un paniere di servizi che come un sistema operativo tradizionale, in una logica orientata al cloud. Esposito sottolinea le potenzialità di questo scenario, che lascia intravvedere anche risvolti positivi per il mercato dei servizi e dei managed service in particolare. Senza trascurare, con il proliferare dei dispositivi, le conseguenti opportunità per chi sviluppa applicazioni che potrà trovare più ambienti su cui distribuirle. In Intel condividono tali scenari e hanno rinnovato il programma per i partner di canale, suddivisi in Registered, Gold e Platinum, evidenziando anche le opportunità offerte, oltre che dal Cloud, anche dai Big Data e, per ultime ma non ultime, dalle specifiche competenze che ciascun partner possiede e può accrescere, in particolare nei v mercati verticali.
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La software house francese, specializzata nell’analisi delle performance aziendali e umane, prevede un’espansione del canale, per effetto sia di una crescita interna sia di nuove acquisizioni, anche in Italia
Talentia Software: nuovi partner e cloud «libero»
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on il canale indiretto racconta Marco Bossi, Managing Director di TalentIa Software Italia - realizziamo attualmente circa il 55% del nostro fatturato, una incidenza destinata a salire nel prossimo futuro. Donde la decisione di migliorare i rapporti con i partner esistenti e di acquisirne di nuovi, per la commercializzazione delle nostre due attuali soluzioni, Talentia CPM, quella che ottimizza i processi di pianificazione finanziaria, e Talentia HCM, per le performance delle risorse umane. Per queste soluzioni esiste un grande mercato ancora da conquistare e riteniamo quindi corretto in un momento come questo dare impulso al canale, con una iniziativa specifica per la gestione dei partner, a livello di casa madre e di singole filiali». La società ha una presenza consolidata in Italia, grazie anche al centro di ricerca di Bari, dove si sviluppano le suite HCM per il mercato internazionale oltre
naturalmente italiano: vi lavorano una cinquantina di persone mentre il nucleo commerciale, una dozzina, si trova a Milano. Talentia, come ama ripetere Bossi, ha pochi partner ma molto qualificati, di cui i principali: ADP, in ambito HCM, e Formula, in ambito CPM. L’impegno a un sviluppo più strutturato e arricchito della rete dei partner è quello di offrire loro maggiore visibilità e formazione, oltre che strumenti operativi, lasciando sia ai partner distributori sia a quelli integratori, per usare la classificazione interna, la più grande libertà nella scelta delle soluzioni da offrire sul mercato: ossia licenze o cloud. Qui si innesta la seconda novità annunciata durante l’incontro dell’azienda transalpina con la stampa di settore: il cloud. Talentia ha fatto una scelta opposta a quella di molti altri vendor: «Anche se il cloud è strategico, noi continueremo a vendere i nostri prodotti sia nella tradizionale mo-
dalità delle licenze sia sulle nuvole. Libertà, come si diceva prima, riconosciuta anche ai nostri partner, e ciò per venire meglio incontro alle esigenze dei nostri 350 clienti circa, quasi tutte aziende di media e grande dimensione, tra cui un gruppo di una trentina di nomi quotati in Borsa, Inoltre manteniamo un filo diretto con i clienti strategici per meglio essere al corrente di intenzioni e esigenze dell’utenza». Però anche sul fronte del cloud ci sono delle novità significative e differenzianti rispetto ai competi-
di Gian Carlo Lanzetti
tor, inclusi i due big (Sap e Oracle, ndr). Attualmente il cloud è stato scelto da un centinaio di clienti, un numero verosimilmente destinato a crescere in considerazione proprio della peculiarità dell’offerta. «Utilizziamo, spiega ancora il numero uno di Talentia in Italia, una piattaforma unica per tutte le soluzioni certificata a livello europeo. Nonostante siamo in ambito cloud le nostre soluzioni possono in qualche misura essere personalizzate e la piattaforma consente la gestione di più clienti, con tutti vantaggi che ne conseguono». A proposito di cloud la società ha realizzato un sondaggio rilevando che il 75% di aziende interpellate dispone almeno di una applicazione SaaS ma che solamente il 20% di esse ha una strategia per il cloud. v
Marco Bossi, Managing Director di Talentia Software Italia
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Con il supporto di Bludis, la filiale italiana è cresciuta del 30% in un anno, grazie a una soluzione che ridefinisce il concetto di network e system management
Manage Engine reinventa il network e system management
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anage Engine Italia è cresciuta del 30% in un anno. Non è presente nel nostro Paese da molto, quindi può sembrare facile aumentare il fatturato, ma il settore del network e system management in cui opera è piuttosto presidiato e anche alquanto maturo, non certo tra quelli che godono di una nuova giovinezza. Eppure Manage Engine sta rivoluzionando il concetto di gestione infrastrutturale. Divisione di Zoho Corporation, multinazionale che nasce in Usa quasi nove anni fa, l’azienda ha il proprio cuore in India, dove sono stanziati circa 3000 softwaristi, i quali hanno sviluppato una soluzione modulare che copre ogni esigenza, compreso operation management, monitoring e gestione di praticamente tutto quello che si trova sulla rete. La suite Manage Engine si compone, infatti, di oltre 90 prodotti, di cui una cinquantina sono tool gratuiti, secondo una logica mutuata dall’open source e sempre più diffusa presso le aziende di software, che operano così anche
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una sorta di autopromozione, ma, a tal riguardo, vanno oltre, perché è disponibile una versione di prova in cloud, che si avvicina molto a un “try & buy”. È evidente che la modularità della suite consente di generare un discreto cross selling a ogni uscita di un nuovo tool, ma non sarebbe così se i nuovi strumenti non aggiungessero reale valore: consistente, in primo luogo in una notevole semplificazione e conseguente risparmio sulle operation, anche le più banali. Il tratto distintivo della soluzione è il notevole grado di visibilità fornito: in pratica nulla sfugge di quello che si appoggia alla rete, come ci spiega Maurizio Erbani, direttore vendite e Operations di Bludis, VAD (Value Added Distributor) che distribuisce in esclusiva Manage Engine in Italia. Di fatto, fungendo da rappresentante. Non solo è possibile osservare tutto quanto accade sulla rete, a questo si aggiunge, sottolinea inoltre Erbani, la correlazione tra gli eventi: «La vista unificata consente di anticipare le cause di eventuali disservizi e fare quindi prevenzione dei guasti».
Maurizio Erbani, direttore vendite e Operations di Bludis
Il modulo di Discovery (in beta al momento in cui scriviamo) fornisce una vista dell’impatto che un determinato servizio ha sulla rete. Rispetto a soluzioni tradizionali, che si limitano a fornire, per esempio, la misura di un ritardo sul network, Manage Engine effettua un’autodiagnosi, mostrando qual è la ragione di tale ritardo, evidenzia sempre il manager di Bludis. Dal servizio al business il passo è breve, per cui è possibile un quadro immediato dell’impatto che eventuali guasti o cali prestazionali possono avere direttamente sui processi critici. Altro elemento che in Bludis considerano distintivo è relativo alla solidità di un framework unico e all’interfaccia, «veramente integrata e in grado di supportare gli
di Gaetano Di Blasio
amministratori anche secondo le linee ITIL», come afferma Erbani, che cita una referenza, Cassa Conguaglio Settore Elettrico, sottolineandone la complessità soprattutto in termini di compliance. Come detto, la semplificazione è la chiave per le soluzioni Manage Engine e l’esempio più evidente lo fornisce Derek Melber, Technical Evangelist presso Manage Engine, nei roadshow. In particolare, evidenziando la modalità operativa con Active Director di Microsoft, Melber mostra come quest’ultimo consenta di gestire in “profondità” l’active directory, ma in pochi lo fanno, perché piuttosto complesso. Un tutorial che molti apprezzano, restando poi di stucco, quando Derek (passiamo al tu perché a quel punto si è conquistato la stima della platea) mostra quanto semplice e rapida diventa la gestione con l’apposito modulo di Manage Engine. Ultimo aspetto interessante è l’integrabilità, tramite connettori ad hoc, con le soluzioni di network e system management di terze parti, magari già installate v in azienda.
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Disponibile anche in Italia, il nuovo computer è stato migliorato del 30% secondo il produttore
Surface Pro 4: test molto significativo per Microsoft
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di Gian Carlo Lanzetti
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ultimo arrivato della famiglia Surface ripropone le funzioni più amate del modello Surface Pro 3 ulteriormente migliorate (grosso modo del 30% hanno spiegato durante la sua presentazione, una crescita allineata a quella del prezzo) offrendo ancora più potenza e prestazioni per un dispositivo più sottile e leggero. Progettato per eseguire l’intera suite di Microsoft Office e offrire il meglio di Windows 10, grazie a Windows Hello, la penna Surface, Microsoft Edge e Cortana, il Surface Pro 4 consente di fare veramente molto, avvantaggiati da una qualità dei colori decisamente elevata. «Surface Pro 4 offre le prestazioni di un laptop e tutta la potenza di
Windows 10 con la portabilità di un tablet», ha commentato Evita Barra, Direttore della Divisione Windows di Microsoft Italia: «Surface ha trasformato la categoria offrendo funzioni che aumentano la produttività e creando un dispositivo estremamente versatile che tutti ameranno utilizzare. Questo prodotto inoltre ci conferma la validità della scelta fatta a suo tempo a favore delle soluzioni 2 in 1: la incidenza di questi prodotti sul mercato di riferimento è aumentata da gennaio dall’11% all’attuale 18%».
Da tablet a laptop Con uno spessore di appena 8,4 mm, Surface Pro 4 include il sistema operativo Windows 10 Pro, uno
schermo PixelSense da 12,3” e processori Intel Core m, Core i5 e Core i7 di sesta generazione, consentendo a tutti, dagli studenti ai professionisti, di ottenere di più ovunque si trovino. Surface Pro 4 appare quindi perfetto per chi dà priorità alla portabilità ma non vuole rinunciare a produttività e prestazioni superiori, come professionisti sempre in movimento che esigono livelli elevati di accesso aziendale, sicurezza dei dati e gestione centralizzata. I nuovi accessori di Surface, come la Cover con tasti per Surface Pro 4 ulteriormente rinnovata, trasforma in un istante Surface Pro 4 da un tablet ad un laptop. Inoltre, spiegano in Microsoft, nell’innovativa tastiera i tasti sono distanziati in modo ottimale per consentire una digitazione più rapida e più fluida. La nuova Penna Surface permette di rilevare 1.024 livelli di pressione, consentendo di scrivere, disegnare e contrassegnare i documenti con inchiostro di precisione da un lato e una gomma dall’altro. Si è appreso che la penna verrebbe sarebbe un accessorio molto apprezzato. Prezzo a parte (nella
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configurazione di 512GB si arriva a circa 2000 euro), Surface Pro 4 sembra avere tutti i numeri per ben figurare: in virtù della grande potenza di elaborazione e dell’ampio schermo.
Perché scegliere Surface Pro 4 Per Barra sono cinque i motivi che indurrebbero a scegliere Surface Pro 4: le prestazioni, arricchite rispetto ai modelli precedenti del 30%; la versatilità, da un uso individuale si passa facilmente a un utilizzo professionale; l’essere stato pensato per una destinazione anche se non soprattutto aziendale; la creatività offerta dallo strumento e, infine, le tecnologie avanzate concentrate in poco spazio, inclusa la connettività. Durante la presentazione è stato proiettato un video sull’impiego dei Surface in Humanitas, ospedale ad alta specializzazione, centro di Ricerca avanzato e Medical School. A partire da dicembre 2014 ha deciso di affidare Surface Pro ai suoi medici per la consultazione della cartella clinica elettronica in reparto a seguito della necessità di innovare i processi clinici attraverso l’information technology. Il Surface Pro è stato identificato come il dispositivo in grado di supportare i medici nelle attività quotidiane e allo stesso tempo consentire di avere immediatezza e completezza di informazioni. Bmw, Coca Cola e Basf sono alcune delle multinazionali che hanno scelto gli apparecchi di Microsoft per l’execution di attività aziendali.
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Nuovi Lumia In occasione del lancio di Surface Pro 4 in Italia sono stati presentati anche tre nuovi smartphone Lumia, due di fascia alta e uno low end. «Microsoft Lumia 950 e Lumia 950 XL rappresentano l’apice
dell’esperienza mobile e nascono dalla nostra grande passione per la tecnologia e per come può migliorare la vita delle persone», afferma Ilaria Lodigiani, direttore marketing Lumia, che aggiunge: «Con questi nuovi smartphone e le performance di Windows 10
possiamo offrire un device versatile adatto sia all’uso personale che lavorativo, uno strumento in grado di semplificare la vita delle persone consentendo al contempo sia di realizzare grandi progetti sia di vivere le emozioni quotidiane della vita». v
Voice Communication, Contact Center, Mobility, UCC, Cloud e Open Solution nel nuovo programma per i partner, il tutto con risorse e supporto di qualità elevata
Mitel annuncia un robusto programma di canale
di Giuseppe Saccardi
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er rafforzare ed espandere la propria posizione sul mercato, Mitel, azienda attiva nella Business Communication in real-time, cloud e mobile, ha dato il via a un robusto Partner Program, con l’obiettivo di garantire un canale selezionato e contraddistinto dal massimo livello possibile di qualità nell’area tecnica, di vendita e nei servizi. «Con questo programma offriamo ad aziende qualificate la possibilità di conseguire la certificazione di
Partner Mitel relativa alle nostre soluzioni e versioni più recenti, così da offrire ai clienti un supporto di qualità e soluzioni capaci di fare la differenza a vantaggio delle aziende», ha dichiarato Fabio Pettinari, Country Marketing Director di Mitel Italia. Il Partner Program è concepito per fornire competenze qualificate, risorse appropriate e supporto di qualità elevata in modo da creare partner solidi, con un significativo fatturato, a cui i clienti possano affidarsi sicuri sotto l’aspetto tecnologico, sistemistico e finanziario. A fronte di ciò, ai partner viene chiesto di soddisfare alcuni requisiti e di conseguire un livello di certificazioni tecniche e di vendita appropriato. Quattro le certificazioni disponibili: Authorized, Silver, Gold e Platinum dove l’ultima è la più completa. Fabio Pettinari, Country Marketing Director di Mitel Italia
Mitel, da parte sua, si impegna a favorire il successo dei partner mettendo a disposizione una vasta gamma di programmi di formazione volti a creare competenze che consentano di diventare consulenti di fiducia per i clienti. Da qui la possibilità di scegliere diversi percorsi: Voice Communications, Contact Center, Mobility, UC & Collaboration, Cloud e Open Solutions. Il Partner Program di Mitel si esplica in numerose risorse e in un ampio supporto per svariate aree, dal marketing alle vendite fino allo sviluppo tecnico completo. Peraltro, evidenzia la società, i partner di canale possono progredire nei livelli del programma e combinare formazione tecnica e di vendita, soddisfazione del cliente e coinvolgimento aziendale, aggiungendo quando serve nuove tecnologie alla propria offerta in base all’evolvere del mercato e della propria attività. v
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Nella nuova strategia i partner saranno chiamati a un ruolo ancora più marcato che in passato. Compresi i “developers” dai quali Cisco si aspetta un apporto importante per la diffusione di Spark
Con Spark aumenta la collaboration dei partner con Cisco
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di Gian Carlo Lanzetti
fine 2015 Cisco ha annunciato una nuova offerta che porta sul cloud i tre strumenti di comunicazione che le persone usano per lavorare: riunioni, messaggistica e chiamate tradizionali. Anche i telefoni e i sistemi di videoconferenza della società potranno inoltre andare nel cloud e accedere a questi nuovi servizi. Lo scopo è quello di rendere questi strumenti di lavoro più semplici e piacevoli da usare. «In altri termini - sottolinea con vigore
Michele Dalmazzoni, Collaboration Architecture Leader di Cisco Italia -, con Spark rivoluzioniamo l’esperienza di collaborazione, reinventandola. Per esempio, con un semplice clic è possibile trasformare una telefonata in una
Michele Dalmazzoni, Collaboration Architecture Leader di Cisco Italia
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videoconferenza. Con un tocco sul touchscreen è possibile spostare una videochiamata da un sistema fisso al proprio cellulare e ancora a un altro sistema fisso collocato in un’altra stanza, in modo da non perdere nulla quando è indispensabile spostarsi». Non è tutto. Anzi forse uno degli aspetti più interessanti della nuova “proposition” è il coinvolgimento di sviluppatori, dai quali Cisco si aspetta un contributo significativo per la diffusione della collaboration. Infatti Cisco Spark for Developers, questo il nome del programma, fornisce API aperte affinché gli sviluppatori possano creare delle app innovative e coinvolgenti che diano ulteriore valore allo sforzo ideativo della società.
Più semplicità d’uso Su questo annuncio di Cisco abbiamo raccolto l’opinione di Mario Massone, fondatore di Forum UCC+Social e quindi grande esperto di problematiche della Collaboration. «Quando, quasi un anno fa, ho scaricato la versione beta free di Spark, mia figlia mi fece notare che sem-
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Il look & feel di Cisco Spark
brava molto simile a WhatsUp. Infatti Spark si ispira per la semplicità d’uso all’ambito consumer, anche se è stata progettata per applicazioni aziendali, con la cifratura dei contenuti end-to-end in modo che solo i destinatari possano leggere messaggi e file condivisi» racconta Massone, che continua: «Dal mio smartphone posso vedere una presentazione in Ppt o Pdf istantaneamente senza fare il download. Massone aggiunge anche: «Personalmente impiego Spark per creare stanze virtuali in cui invito gruppi di persone interessate a operare su un progetto specifico, dove il loro lavoro si può sviluppare nel tempo e dove si può rimanere in contatto con ciascun collega del team». Il problema in azienda è la volontà. Ancora Massone: «In base alla mia esperienza il problema della diffusione di questi strumenti resta quello della condivisione nelle aziende e, ancora più difficile, tra le aziende. È problematica la volontà di adeguarsi e aprirsi al social, visto che in molti casi le aziende non consentono
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l’accesso agli strumenti social, non tanto per ragioni di sicurezza, ma piuttosto per la paura di vedere compromessa la produttività dei loro addetti. Nella proposta di Cisco va poi messa in rilievo la decisione di coinvolgere partner sviluppatori, al fine di creare nuove applicazioni omnicanali, come nell’ambito dell’assistenza clienti o in certi settori verticali».
Il ruolo centrale dei partner Il maggiore impegno di Cisco sul fronte della collaboration implica anche un rinnovato impegno verso i partner, in termini sia di riqualificazione sia quasi certamente di rafforzamento del loro numero. A questo riguardo abbiamo chiesto a Dalmazzoni quale ruolo spetta ai partner nella promozione della nuova proposition di collaboration, con particolare riferimento alla attività di promotion e implementazione della stessa. Il manager di Cisco ci ha risposto: «Da anni stiamo procedendo su di un percorso che consente un’esperienza integrata all’uten-
te finale, attraverso tutti i canali di comunicazione. Il servizio Spark è una pietra miliare in questo percorso che permette la scelta di un modello di consumo tradizionale, cloud o ibrido». Dalmazzoni ci spiega anche che il servizio Cisco Spark è hosted e operated by Cisco e venduto tramite il canale tradizionale in continuità con l’approccio di Cisco che riconosce ai partner un ruolo centrale. «Inoltre, grazie al servizio Cisco Spark Hybrid, i nostri partner che hanno già investito in soluzioni di Collaboration powered by Cisco, quali HCS UC e TPaaS, possono integrare i servizi Spark di Messaging, Meeting a Call (Voce e Video), con i propri servizi, consentendo ai propri clienti un’esperienza trasparente che offre il meglio delle due piattaforme», continua Dalmazzoni. Lo stesso scenario si presenta per quei partner che hanno in gestione realizzazioni on premises presso i propri clienti: anche in questo caso i servizi già presenti potranno essere integrati con
quelli di Cisco Spark. In definitiva il ruolo dei Partners è, come sempre per Cisco, centrale e strategico ora più che mai. Sempre a Dalmazzoni abbiamo chiesto quali sono i più probabili soggetti in grado di fare da “developers” e come Cisco intende sostenerli nelle varie fasi dell’attività di sviluppo. La risposta: «Tutti i soggetti con capacità di sviluppo software sono candidati ad avere un ruolo nell’integrazione dei servizi di Collaboration Cisco, in generale e Spark in particolare, nelle applicazioni proprie o di terze parti. Esistono 3 livelli di integrazione: 1 Utilizzando Integrazioni Native già presenti in Cisco Spark e direttamente da Spark. 2. Attraverso piattaforme di APP Integration Services quali Built.IO, IFTTT e Zapier. 3. Utilizzando le nostre open APIs, disponibili sul nostro portale in forma di JavaScript SDK. La Community Spark for Developer( www.developer.ciscospark.com ), offre assistenza 24/7, code samples e interactive docs. In questo modo Cisco non fornisce semplicemente le proprie APIs, ma offre tutto ciò che serve per un reale lavoro di sviluppo. Considerando che tutto ciò si aggiunge e non si sostituisce alle opportunità fino a ora disponibili per i Cisco Partner, è evidente che il loro ruolo ne risulta notevolmente rafforzato». v
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È disponibile il libro su Cloud e legacy transformation In oltre 280 pagine analizza gli economics e le strategie alla base dell’adozione del Cloud come strumento per rendere l’IT più efficace, razionale e meno costoso, nonché gli aspetti connessi ai nuovi paradigmi dell’IT e del cloud. Tra questi l’Hybrid Cloud, i Big data e il Software Defined Data Center. Completa l’opera l’esame della strategia e della proposizione di primarie aziende dell’IT internazionale che hanno fatto del Cloud uno degli elementi portanti del proprio portfolio di soluzioni e servizi.
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Il termine “esponenziale” non basta più a descrivere la rapidità con cui cresce la produzione di informazioni, mentre arriva l’Era dell’Internet of Things, e si attraversa un periodo di profonda trasformazione.
I Big Data FANNO volare il business
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otrebbe sembrare pleonastico ripeterlo ma l’IT è in una fase di profonda trasformazione. Il problema è che in trasformazione sono contemporaneamente aspetti architetturali, tecnologici e organizzativi, in particolare quest’ultimi per l’impatto avuto dal cloud nelle modalità di fruizione delle risorse. Il tutto, inoltre e come se non bastasse a creare grattacapi in termini di budget e risorse necessarie, è accompagnato da cicli industriali che si accorciano e che quindi richiedono un IT che si adatti rapidamente e che altrettanto rapidamente possa essere messo in produzione quando serve rinfrescare la tecnologia che si ha in casa o che si deve prendere sotto forma di servizio, da intendere come cloud. Big Data, Mobility, IoT sono poi temi che stanno agendo da leve in questa evoluzione che ha profondi impatti sulle risorse IT aziendali e sulle persone che le gestiscono. Un elemento fondamentale e trainante, una sorta di comun denominatore di questa evoluzione è la crescita dei dati, processo riferito per convenzione come Big Data. La crescita esplosiva del volume di dati generati e generalmente non strutturati ha posto serie sfide all’IT e al business manager. Prendere scelte oculate in termine di business richiede l’analisi in tempi rapidi di informazioni complesse, che hanno portato alla nascita sia di nuovi modelli di data base, che di soluzioni di storage in grado di rispondere adeguatamente alle necessità applicative. Ma per effettuare analisi oculate servono risorse storage, capacità di calcolo ovunque sia allocata, e il software necessario. Presto a dirsi ma più difficile a farsi e non facile anche individuare tecnologia e partner più adatto. Visto dal punto di osservazione di un LoB manager, Big Data è comunque un termine che si riferisce ad un insieme di strumenti, proces-
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si elaborativi o organizzativi e procedure che una volta schematizzate permettono ad un’azienda che disponga di informazioni adeguate e consistenti raccolte nel corso delle proprie attività o reperite sul mercato, di organizzare, creare, manipolare insiemi di dati (memorizzati nei sistemi di storage aziendale o in storage virtuale nel cloud), riferiti in letteratura come “data set” di ampie dimensioni. Naturalmente il termine ‘ampio’ è relativo a seconda dell’azienda, del settore di attività, di quanto si vuole affinare il processo decisionale. In genere quindi si può spaziare da volumi di dati strutturati o non strutturati che possono ammontare a centinaia di megabyte, terabyte, o petabyte o volumi di dati anche maggiori. Se ci si sposta su un piano prettamente scientifico le cose cambiano. Per un IT manager, “big data” costituisce una collezione di data set di dimensione e complessità tale da richiedere per la sua analisi strumenti, formule matematiche, data base e capacità elaborative nettamente diverse (architetturalmente e costruttivamente) dal tradizionale. I fattori o gli elementi in campo sono di varia natura ed entrano in gioco problemi connessi alla cattura e collezione dei dati, al loro trattamento, lo storage, la condivisione, l’analisi e, ultimo ma determinante ai fini di un utilizzo pratico dei risultati delle analisi, la visualizzazione in modo sintetico, rappresentabile visivamente in modo da facilitare
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la comprensione di fenomeni e la deduzione di decisioni di business. Ma perché questa corsa ad analizzare data set sempre più grandi e comprensivi di dati strutturati (ad esempio quelli transazionali) e non strutturati (mail, sms, video, ecc.)? Il motivo risiede nel fatto che più è ampio un data set più è possibile affinare i processi decisionali. In pratica, maggiore è l’insieme di dati analizzati, maggiore è la quantità di informazioni addizionali utili per i processi di business che è possibile dedurre, con una maggiore possibilità di trovare correlazione tra eventi, di individuare in modo più preciso trend inerenti il business, o altre cose come il traffico, la diffusione di malattie, l’andamento del tempo e così via. In sostanza, più sono i dati analizzati minor è il rischio di sbagliare. Naturalmente la teoria si scontra con la realtà e la praticità. Se si lasciasse il campo libero ai ricercatori e agli analisti le aziende si dovrebbero dotare di computer sempre più potenti e crescenti capacità di storage. Nella realtà, anche se soluzioni HPC o di tipo chiavi in mano danno un aiuto, ci sono dei limiti che derivano anche da due fattori. Il primo è il volume di dati che permette di raggiungere dei risultati con la precisione desiderata. Il secondo è il tempo in cui le informazioni devono essere disponibili per poter essere realmente utilizzabili e utili in azienda.
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Moltiplicare a dismisura lo storage o la capacità elaborativa per passare da una precisione con una probabilità del 90% ad una del 91% può non aver senso, così come non lo avrebbe affinare i risultati ma averli disponibili quando orami non possono più influire sulle scelte strategiche aziendali. Come di solito si verifica, il rapporto prestazione/ costo e il tempo sono due elementi che entrano in gioco anche nel campo dei big data e influenzano necessariamente l’opera degli analisti, che devono rendere disponibili le informazioni in modo corrispondente alle esigenze del business.
Gestire la crescita dei dati e dell’Internet of Things La crescita dei dati, soprattutto quelli non strutturati, sta creando molte sfide ma anche opportunità. La mole di dati aumenta per svariati motivi e certe volte lo fa in modo imprevedibile ed innescato da evoluzioni tecnologiche. Si prenda per esempio il caso della videosorveglianza. Approntare un sistema di videosorveglianza sul territorio richiedeva sino a pochi anni fa investimenti che nemmeno le metropoli più ricche si potevano permettere e in molti casi si trattava di sistemi analogici, non a standard e difficili da gestire e manutenere, oltre che costosi. Ora lo sviluppo di soluzioni basate su IP e Internet e il calo dei costi di una telecamera ha fatto si che virtualmente si trovi nelle città, tra quelle private e quelle pubbliche, una videocamera ogni poche decine di metri. I dati prodotti affluiscono a server che li inseriscono in sistemi storage sial locali che remoti o nel cloud e li rendono disponibili per successive analisi. Per esempio, individuare un volto o una persona da parametri fisici, o dedurre i flussi del traffico pedonale, o valutare quante persone transitano in certi punti in modo da affinare l’organizzazione urbana, eccetera. Analizzare questi dati richiede elevate capacità di elabora-
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zione, oltre che robusti programmi di analisi statistica, ma anche lo sviluppo di nuove branche della scienza, quali quelle connesse al riconoscimento e al tracciamento del percorso fatto da una persona in base al suo modo di camminare, di muoversi o ad altri parametri fisici. Un altro esempio è quello delle Assicurazioni. Incrociando i dati di un incidente con quanto disponibile sui social network o in altri archivi sarebbe possibile vedere se le persone coinvolte in un incidente, che asseriscono di non conoscersi, non abbiano invece qualche grado di parentela, non si conoscano da tempo, non abbiano fatto viaggi assieme, o non abbiano qualche relazione di lavoro dipendente, tutte cose che potrebbero sollevare qualche dubbio su come si sia realmente svolto un incidente e sui suoi reali motivi. Ma i dati crescono anche perchè aumentano i sensori, sia fissi che mobili, distribuiti sul territorio. Un esempio è rappresentato dall’uso di sensori in vigneti di altissima qualità, dove una rete di dispositivi permette di valutare praticamente pianta per pianta le esigenze di acqua o di concimi, o individuare eventuali attacchi da parte di insetti dannosi, in modo da poter allertare un sistema centrale e mettere in atto in tempo reale le contromisure. E il fenomeno riferito come “Internet of Things”. In definitiva ogni apparato telefonico mobile, ogni iPad, e in genere un dispositivo mobile, è un sensore che trasmette informazioni sulla posizione, sulla durata di utilizzo, sulla direzione del traffico generato, e potenzialmente, come è stato prospettato, anche un rilevatore di terremoti o della temperatura locale se dotato del chip o della apposita apps. Si tratta potenzialmente di miliardi di dispositivi che generano dati, li generano worldwide, e che una volta memorizzati in enormi data set permetterebbero, e in parte già lo fanno, di affinare i sistemi di comunicazione o altri dati inerenti lo spostamento o gli usi della popolazione. Quello che è andato rivelandosi necessario sono tecnologie adeguate come capacità di calcolo e di storage e applicazioni software massive in grado Big Data Report
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di girare e suddividere il lavoro, se necessario, su centinaia o migliaia di server contemporaneamente e di utilizzare banche dati distribuite. Il tema dei Big data si lega bene al cloud e in particolare al cloud ibrido, perlomeno per le esigenze di analisi di dati che non sono soggetti a forti restrizioni normative per quanto concerne la loro riservatezza o che, in caso di loro perdita, non implichi forti responsabilità penali, cosa che ovviamente finisce con lo scoraggiare il ricorso a public cloud.
Un modello per i Big Data e l’impatto con l’IoT Il problema dei dati in quantità elevata e della loro elaborazione in tempi congrui ai fini decisionali e previsionali è reso critico dal fatto che non sono solo gli individui che producono informazioni: sono sempre di più i dati generati dalle macchine connesse in rete. Video delle telecamere di sorveglianza, temperature e valori isometrici delle stazioni meteorologiche, misure di varia natura rilevate da sensori sparsi in ogni parte del globo, sono flussi di messaggi dai mille e più diversi significati. Ma i “Big” Data sono grandi non solo in termini di dimensioni. Tre sono le caratteristiche comuni a tutte le definizioni, indicate come le 3 “V”, anche se c’è sempre la tendenza ad aggiungerne altre.
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Ancora più importante, però, è che i dati siano affidabili. V quindi come sinonimo di “veridicità”. Il che non è così immediato come potrebbe sembrare, perché se già è difficile garantire la consistenza e la qualità dei dati presenti in azienda, critica si può fare la situazione con i Big Data, molti dei quali provenienti da Internet, quindi potenzialmente inaffidabili e insicuri.
Strumenti per la BA
In particolare, si può parlare di Volume, Varietà, Velocità. Ampi volumi significa file di peso notevole, ma soprattutto grandi quantità di dati. La varietà, crea non pochi problemi di classificazione e non solo. I dati, infatti, sono perlopiù non strutturati. Infine, la velocità è quella con la quale cambiano: basti l’esempio delle misure rilevate da sensori in tempo reale, ma esistono molteplici esempi anche in ambito business. Le “V” contribuiscono tutte a rendere i Big Data non facilmente gestibili con i database tradizionali e le potenze elaborative normalmente in possesso delle aziende. A queste V quasi ogni vendor ne aggiunge di proprie, di certo per personalizzare la propria proposta ma anche per far corrispondere il proprio modello ad esigenze specifiche. Un esempio è l’aggiunta di V come “valore”, perché se è vero che quanto maggiori sono i dati, tanto migliori e accurati sono i risultati ottenibili, è altrettanto chiaro che troppi dati creano un “rumore” di fondo deleterio e quindi, come nel caso dell’IoT, vanno opportunamente scremati. Solo i dati che hanno un valore in relazione allo scopo da raggiungere vanno considerati e, ovviamente, non per tutte le aziende sono interessanti gli stessi dati.
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Per quanto fondamentale rispetto ad alcune strategie aziendali, la scelta della piattaforma dati è abbastanza indipendente da quella del motore di Analytics. Le soluzioni di BA sul mercato, però, differiscono molto sotto almeno due punti di vista di alto livello: le funzionalità a disposizione e la reportistica. In particolare, per supportare il real time analytics sono state progettate soluzioni di in-memory computing, che consentono di ridurre drasticamente i tempi di elaborazione. “In memory” significa che l’applicazione memorizza l’intero insieme dei dati, o tutto un database, su pagine di memoria virtuale, così da averli “a portata di mano” per i conteggi che l’analista di volta in volta richiede. Il problema che sorge è però che i database in memoria centrale sono molto più veloci di quelli su memorie di massa, ma possono gestire moli di dati molto inferiori, a patto che ci sia comunque un modo per recuperarli in caso di guasti. Grazie al superamento dei vincoli imposti dai tempi di elaborazione, un “In Memory Data base (IMDB)” può essere implementato anche con strutture differenti da quelle utilizzate per l’approccio relazionale (tabelle), quali quelle suggerite dal modello reticolare (puntatori), dal modello gerarchico (alberi) o dal modello a oggetti (oggetti complessi e nidificati). Soluzioni in proposito sono disponibili da parte di numerosi costruttori e per supportare queste applicazioni, inparte disponibili anche nel Cloud, i principali costruttori hanno sviluppato soluzioni server e storage ad hoc. Attive sono per esempio società come Fujitsu, IBM, Hitachi, HP e altre primarie società del settore. R
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Dal cloud ai Big Data: una scelta non sempre facile Non tutte le soluzioni cloud sono uguali e offrono le stesse garanzie. Roberto Cherubini, IT Architecture Consultant di Fujitsu, evidenzia i punti salienti a cui porre attenzione nella scelta di una soluzione e di un fornitore
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IT aziendale e lo staff che lo compone si trovano ad affrontare quotidianamente una nutrita serie di problemi. Problemi che spaziano dalla mobility al come riorganizzare l’ambiente di lavoro in chiave smart working, dal come gestire i Big Data all’Internet of Things e, non ultimo, al come far leva sulle soluzioni cloud e quale strategia o architettura adottare. I rischi che si corrono nel caso la scelta della soluzione o di un partner tecnologico non corrisponda alle effettive necessità aziendali e di business sono evidenti, e non solo economici. Per capire come evitarli, e avere suggerimenti a cosa porre attenzione, abbiamo chiesto il parere di Roberto Cherubini, IT Architecture Consultant di Fujitsu, azienda che ha fatto degli standard di mercato e di frame aperti per la realizzazione di infrastrutture IT di nuova generazione l’elemento saliente della sua vision denominata “Human Centric IT”. Un primo punto da affrontare quando in azienda ci si trova a dover porre mano all’infrastruttura IT, evidenzia Cherubini, è quale strategia sia più opportuno adottare. Ad esempio, se orientarsi verso un insieme di prodotti “best of breed” e provvedere in proprio alla loro integrazione, od in alternativa adottare soluzioni già integrate e pre-collaudate. Esistono in proposito architetture di riferimento i cui componenti certificati sono stati scelti proprio
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per essere integrati; soluzioni cioè “ready to run” ovvero che rispondono alle specifiche esigenze del business del cliente e che si basano sull’esperienza pregressa di numerosi progetti, i quali hanno fornito nel tempo indicazioni precise sia per quanto concerne la parte implementativa sia per quanto concerne le componenti che possono essere utilizzate, e come interconnetterle, al fine di raggiungere più rapidamente e senza problemi lo scopo previsto dal progetto. «È una strada che in Fujitsu perseguiamo da tempo e che ha reso via via disponibili piattaforme “chiavi in mano” che possono essere velocemente portate in produzione e garantiscono l’interoperabilità tra tutte le diverse componenti hardware e applicative, anche complesse, come ad esempio un ambiente SAP, oltre che fornire un unico punto di contatto in caso di problemi», ha osservato Cherubini.
Soluzioni “ready to run” Tra le soluzioni di questo tipo vi sono, ad esempio, quelle che indirizzano le principali piattaforme di virtualizzazione, VMware piuttosto che Microsoft Hyper-V, sulla quale si può via via costruire una soluzione sempre più ampia. Una tra quelle sviluppate proprio da Fujitsu, e da cui partire per successivi sviluppi, è denominata “PrimeFlex vShape”, ovvero una soluzione che abbina tecnologie affidabili e best practice, con architettura scalabile, basata su server industry standard della famiglia Primergy, e che combina in modo ottimizzato i diversi aspetti inerenti un ambiente virtuale. PrimeFlex vShape è una piattaforma di riferimento realizzata con server Fujitsu, storage Fujitsu o di NetApp, switch Brocade, tutta componentistica standard de jure e di mercato, basata su hypervisor VMware o Microsoft, sulla quale è possibile avviare rapidamente un progetto di virtualizzazione. Su questo, proprio perché si basa su standard di mercato, è poi possibile innestare la componente di Orchestrazione, cioè tutta una componentistica che permette di gestire, tramite un apposito por-
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tale, sia la definizione dei servizi da erogare che effettuare la delivery degli stessi dal punto di vista degli utenti, abilitando il provisioning di quello che di volta in volta occorre. In sostanza, osserva Cherubini, un progetto che, inizialmente, serve a portare la virtualizzazione all’interno dell’azienda, rende possibile, via via, “deliverare” le medesime risorse in un’ottica cloud, con la possibilità di farlo inizialmente in modalità “on-premise”. L’utilizzo di questo tipo di tecnologie apre anche alla possibilità di fare successivamente ricorso ad architetture più complesse ed aperte come quelle Hybrid Cloud, e cioè erogare servizi anche tramite un provider cloud o riportarli all’interno del perimetro aziendale, qualora fosse il caso, in quanto la piattaforma sottostante presenta le medesime caratteristiche funzionali. L’utilizzo di architetture di riferimento o di soluzioni pronte all’uso è quindi un approccio che, si tratti di Cloud, Big Data o altri contesti IT, permette di velocizzare il passaggio in produzione, riducendo i tempi di realizzazione di un progetto, riducendo contemporaneamente i rischi di implementazione, velocizzando i tipici tempi di implementazione e aprendo la strada a successivi sviluppi. Sono tutti benefici, mette in guardia Cherubini, che derivano, in modo naturale, dall’utilizzo di soluzioni di tipo “Open”, mentre con architetture chiuse e proprietarie spesso ci si trova a dover rinnovare e modificare profondamente quanto in esercizio se non a dover accantonare del tutto la soluzione pregressa per potersi orientare verso i nuovi paradigmi.
Che garanzia attendersi da un fornitore Se con soluzioni “ready to run” si può intraprendere con maggior tranquillità e rapidità la strada della virtualizzazione dell’IT, il passo successivo verso il cloud implica, nel farlo, maggiore attenzione, sia per quanto concerne le piattaforme tecnologiche da adottare che la scelta dei partner. Il problema, mette in guardia Cherubini, è conseguenza del fatto che man mano che il cloud viene
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adottato in crescente misura, la vita per il personale IT si complica, specialmente sul versante della gestione. All’inizio della sua diffusione ed in una fase pionieristica , se si desiderava sperimentare il cloud, lo si faceva con una singola applicazione od una serie limitata di applicazioni che venivano allocate presso un provider di servizi Cloud ed il tutto era abbastanza facile da gestire. Con l’adozione che diventa massiva ed implica il passaggio al cloud di una significativa componente dell’IT la complessità di gestione e di integrazione, nonché di un corretto dimensionamento delle risorse, diventa complicata. Quello di cui si evidenzia la necessità è un modello unificato che in qualche modo consenta di integrare i diversi fornitori dei servizi cloud per poterli vedere e gestire tramite un unico pannello sinottico. Il fatto è, pone l’accento Cherubini, che i fornitori di servizi Cloud dovrebbero caratterizzarsi in qualche modo come garanti di una gestione corretta e semplificata dei servizi che forniscono piuttosto che ricadere nella tentazione di creare, per l’utilizzatore, una nuova condizione di “lock-in”. In pratica, ed è quello che Fujitsu ha voluto evitare con le soluzioni per il cloud che propone, invece di avere un “lock-in” sul server o sulla soluzione di tipo onpremise, adesso alcuni operatori cercano di realizzarlo in un’ottica cloud per vincolare il cliente. «Tra i fornitori si dovrebbero preferire quelli che possono garantire una maggiore interoperabilità e riescano a semplificare la visione dei servizi di cui si sta usufruendo. Non dovrebbero esistere vincoli nel muovere le applicazioni da e verso il cloud e tra diversi fornitori del servizio (come purtroppo in alcuni casi si è già verificato) ed anche se il pricing del servizio praticato fosse particolarmente appetibile si dovrebbero sempre verificare attentamente l’assenza di vincoli che impediscano, un giorno, di R cambiare fornitore», suggerisce Cherubini.
Roberto Cherubini, IT Architecture Consultant di Fujitsu
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Monetizzare i Big Data semplicemente e in autonomia Intervista ad Andrea Cassini, Senior Technical Manager di Information Builders che delinea i punti principali di un approccio strategico improntato alla massima efficienza con il minimo sforzo di Gian Carlo Lanzetti
Andrea Cassini, Senior Technical Manager di Information Builders
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Ci parla di Information Builders e della sua strategia di analisi Self Service? Information Builders proprio quest’anno compie 40 anni di attività nel mondo del reporting e dell’analisi dei dati. Nata inizialmente sul mondo mainframe, ha saputo portare con successo le proprie tecnologie sui sistemi distribuiti fino ad arrivare nel mondo Web e più recentemente sui Big Data, mantenendo sempre una forte spinta sull’innovazione. Da sempre ha adottato delle soluzioni che potessero aiutare gli utenti ad avere un rapporto più amichevole con l’analisi dati inventando già negli anni 80 una tecnologia denominata “Talk Technology” che permetteva agli utenti dei grandi sistemi mainframe di creare delle query in mondo semplice ed intuitivo attraverso delle semplici finestre di navigazione come se si lavorasse nel mondo Windows!. L’attuale strategia aziendale è quella di consentire a quanti piu’ utenti possibile (dentro il firewall aziendale ma anche al di fuori) di utilizzare gli strumenti di self service BI in modo da rendersi in gran parte indipendenti dall’IT.
Varie tipologie di utenti richiedono modalità differenti: potenti strumenti come InfoAssist e InfoDiscovery permettono agli Analisti di creare, in pochi click, sofisticati e accattivanti report intuitivi, anche navigabili in modalità Data Discovery. Ma sono comunque dedicati a utenti abituati all’analisi e che conoscono i modelli dati sottostanti. Invece utenti senza competenze tecniche possono usare le nostre InfoApps, applicazioni fortemente interattive per utenti di tipo business che guidano maggiormente l’utente senza bisogno di training. In che modo le aziende possono monetizzare i Big Data ? Abbiamo individuato 5 modi per monetizzare i dati: 1. Reinventare l’informazione come nuovo prodotto o linea di business. Significa “impacchettare” le informazioni sotto forma di nuovo prodotto; un po’ come, per esempio, fanno le banche attraverso lo strumento della cartolarizzazione dei mutui bancari, o le aziende di telecomunicazione che vendono i dati degli spostamenti dei propri clienti alla grande distribuzione retail. Vendere i propri dati è il modo più semplice per monetizzare i propri dati. 2. O ttenere maggiori profitti grazie alle nuove esperienze online del cliente. Mantenendo il portale aziendale sempre aggiornato e ricco di contenuti è possibile intuire le esigenze dei propri clienti che, navigando all’interno del sito istituzionale, rilasciano notevoli quantità di informazioni sui propri interessi. 3. Avere una visione analitica totalmente nuova nel business del cliente. Con le moderne tecniche di analisi, possiamo fornire ai nostri clienti dati e informazioni completamente nuovi aggregati in modi differenti, per far comprendere ai nostri clienti come poter aumentare il proprio business. Recentemente posso citare l’esempio di Yellow Pages, sito canadese equivalente alle Italiane Pagine Gialle che, attraverso l’utilizzo dei big data e dei nostri sofisticati strumenti di analytics, permette di tracciare le visite ma anche di capire le intenzioni dei visitatori sulle pagine dell’inserzionista (nonchè cliente di YP).
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4. Distribuire metriche comparative per migliorare le prestazioni dei dipendenti. Fornire ai propri dipendenti sofisticati strumenti di analisi, metriche e indicatori comparativi, permette di aumentare la capacità di vendita di oltre il 30%. Avere in una banca, per esempio, un dipendente preparato in grado di fare analisi comparative su prodotti di investimento diversi, anche tra banche diverse, risulta essere vincente nella fase di acquisizione di nuovi clienti. 5. Allineare il comportamento dei partner ai propri obiettivi finanziari. L’accesso ai dati dei partner e la condivisione con loro permette di riallineare i comportamenti anche dei nostri partner, per contribuire al meglio al raggiungimento degli obiettivi prefissati dal management aziendale. Come si può affrontare il difficile discorso della Data Quality? È effettivamente un discorso difficile ma veramente importante e che va approcciato in maniera congiunta dal business e dall’IT. Importantissimo intanto perchè gli effetti sono enormi: alcune sorgenti parlano di circa il 10% delle revenue aziendali totali perse per colpa dei cosiddetti Bad Data. Le cause possono essere tante, da data entry a migrazioni di sistemi a integrazioni di sorgenti esterne e così via. Information Builder può aiutare tramite un “real-time, end-to-end data quality management”, andando a eliminare ridondanze, facendo data cleansing, scoring dei dati e in ultima analisi permettendo anche a dei data steward di risolvere tramite un portale i casi più critici. Proprio per questi motivi la nostra suite iWay è stata recentemente posizionata tra i leader nel quadrante di Gartner della Data Quality! La modernizzazione dei dati di cui IB è paladina è basata soltanto sul fatto di dare agli utenti la possibilità di diventare loro stessi data scientist? Le nostre tecnologie vengono distribuite a 360 gradi a tutti gli utenti, non solo a quelli che faranno i data scientist. Per ogni ruolo aziendale abbiamo una soluzione specializzata.
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WebFocus App Studio agli sviluppatori, InfoDiscovery e InfoAssist ai Business Analysts, i portali ricchi di contenuti con dashboard mirate e le Infoapps agli Executives & Line of Business e agli operational Employees. In realtà sotto c’è sempre un’unica piattaforma integrata, WebFOCUS, con cui si creano e configurano analisi di vario tipo che vengono rilasciate in modalità differenti alle varie tipologie di utenti. Come è possibile che le InfoApp, perno della vostra proposition, non richiedano training? Avete presente le app che abbiamo sui nostri cellulari? Oppure i portali intuitivi delle prenotazioni dei treni o altre app che permettono di ricercare in tempo reale migliaia di alberghi e voli? Richiedono del training? Assolutamente no poichè sono altamente “intuitive”. Un utente medio è in grado di utilizzarle dopo pochi minuti (se non secondi) di utilizzo. Le nostre InfoApps si basano esattamente su questo concetto. Semplici listbox, grafici e report cliccabili intuitivi e altamente descrittivi, permettono di analizzare i dati da centinaia di angolazioni diverse. La concorrenza è folta: quali i vostri tratti distintivi rispetto a Ibm, Oracle, Sap, Microstrategy e Qlik per citare alcuni competitor? La concorrenza è molto folta, come regola base direi che molto dipende da quello che un cliente sta cercando. Tra i nostri tratti distintivi cito la Scalabilità, anche in Applicazioni Customer-facing, l’ottimo e reattivo Supporto Tecnico (vincitore di molti award) e la semplicità d’uso. Per i giudizi di dettaglio tecnico vi rimando agli Analisti, che parlano sempre molto bene di noi e della completezza della nostra piattaforma, che non include solo Data Discovery, ma copre uno spettro molto più ampio, senza cadere però nelle problematiche legate al gigantismo di alcuni dei player citati. A questo proposito faccio notare che Information Builders è tutt’ora un’azienda indipendente controllata dallo stesso fondatore e non quotata in Borsa, di conseguenza maggiormente flessibile. R
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IBM Storage: massime prestazioni per i Big Data e le nuove applicazioni A supporto delle nuove esigenze di archiviazione il vendor promuove l’evoluzione verso il software defined, ma rimarca anche il valore del “ferro”, mantenendo investimenti su tutte le componenti tecnologiche
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Paolo Sangalli, director systems hardware sales di IBM Italia
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a gestione dei Big Data e l’esigenza di garantire livelli di elaborazioni adatti alle operazioni d analytics in tempo reale contribuiscono a guidare l’evoluzione tecnologica dei sistemi di memorizzazione e delle famiglie di server di IBM, sempre più orientati verso modelli flessibili e caratterizzati da incrementi di prestazioni che sembrano procedere senza apparenti limiti. L’autunno si è concluso con molte novità per la divisione sistemi e storage di IBM, con risultati molto positivi nel terzo trimestre e annunci sul mondo Power, lo storage high-end e l’arrivo sul mercato del nuovo brand di soluzioni LinuxONE, con cui IBM propone per la prima volta i sistemi mainframe in ambiente esclusivamente Linux. «Tutti parlano del digital computing e il mondo esplora modelli a consumo, ma le aziende continuano a investire sulla tecnologia perché la riconoscono come fattore abilitante - osserva Paolo Sangalli, director hardware systems sales di IBM Italia -. All’infrastruttura viene chiesto di essere scalabile, veloce, di prevedere una gestione intelligente, fornire analytics integrati e un livello di sicurezza in grado di estendere la protezione anche al mobile e al mondo dei Systems of engagement. Questo è ciò che si aspettano le aziende evolute e questo è ciò che IBM mette a disposizione».
Lo storage disponibile come hardware, software, servizio «La componente storage si conferma una componente sempre più importante dell’infrastruttura – sostiene Francesco Casa, manager of storage solutions di IBM Italia –. Non si può guardare ora al mondo dello storage senza ripensarlo, tenendo in considerazione l’implicazione di aspetti quali il software defined storage o la tecnologia Flash». Sono tre i “milestone” in base ai quali IBM sta ripensando l’offerta. • dare agilità ovvero massima capacita ed efficienza con delivery istantaneo; • controllo e “insight” dei dati per decidere quali è meglio tenere on-premises e quali spostare in cloud sposando un modello ibrido; • efficientamento, che significa ridurre i costi. Un altra assunzione alla base dell’offerta di IBM è quella di proporre soluzioni che offrano all’utente finale la possibilità di scegliere la modalità d’acquisto preferita, attraverso la scelta tra soluzioni integrate, solo software o servizio cloud. Lo storage IBM si baserà su queste opzioni con un’offerta modulare, basata su open standard e open stack e partendo da tecnologie consolidate presso i propri clienti.
Lo storage high end si rinnova e diventa standard In accordo a questi presupposti IBM ha rinnovato la propria gamma di fascia alta. Una nuova famiglia siglata DS8880 caratterizzerà l’offerta di sistemi storage high end. Tre i modelli previsti: un sistema di ingresso siglato DS8884, il DS8886 che rappresenta l’evoluzione del DS8870 e, infine, il DS8888 che è un nuovo prodotto storage “full flash” indirizzato ai grandi clienti che hanno esigenze prestazionali molto spinte. I modelli DS8884 e DS8886 saranno disponibili dal prossimo 4 dicembre, mentre il DS8888 è atteso nel primo semestre 2016. Le soluzioni storage di IBM di fascia alta si indirizzano in Italia ad aziende molto diversificate, segmentate in base alla tipologia di workload piuttosto che a dimensioni o mercati. Oltre alle “classiche” banche
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e organizzazioni finanziarie, ci sono le realtà che hanno esigenze di accesso ai dati 24x7: per esempio, medie aziende che operano con l’estero. «L’Italia è l’unico Paese al mondo che detiene la leadership dello storage con una quota di mercato molto superiore alla media: nel 2014 è stata circa il 30% - precisa Sangalli -. All’interno di questa percentuale circa due terzi proviene dai sistemi high end DS8870 che contiamo di sostituire ora con il DS8886 e il resto dal settore midrange. L’annuncio del DS8884 ci aiuterà a essere ancora più pervasivi e acquisire nuovi clienti nella fascia media di mercato». Accelerazioni prestazionali e availability sono i punti di forza della nuova gamma DS8800, mantenendo l’attenzione ai costi grazie a una maggiore standardizzazione. «IBM continua a investire in tecnologia hardware e ha costantemente aggiornato nel tempo i sistemi DS8000 con le nuove tecnologie a disposizione prosegue Casa -. Oggi sulle soluzioni high end aggiungiamo un fattore di forma standard da 19 pollici pensato per ridurre i costi di spazio e di consumo energetico che si discosta dal passato (un rack da 33 pollici N.d.R.), con componentistica standard, modulare e ottimizzata».
L’evoluzione verso il modello software defined Un ulteriore approccio alla flessibilità è garantito dalla famiglia di soluzioni IBM Spectrum, che indirizza la componente storage di tipo software defined. L’offerta IBM Spectrum è composta dalle seguenti soluzioni software adatte sia a sistemi IBM sia di terze parti: • IBM Spectrum Control, che è la componente di data management di tipo “analytic driven”; • IBM Spectrum Protect, per il backup; • IBM Spectrum Archive, per le esigenze di archiviazione • IBM Spectrum Virtualize (disponibile nel 2016), evoluzione aggiornata con nuove funzionalità di IBM San Volume Controller; • IBM Spectrum Accelerate, che è la soluzione per
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il grid storage a blocchi disponibile sia come soluzione hardware integrata su IBM XIV, sia come software, sia come servizio. • IBM Spectrum Scale (disponibile nel 2016), che è il prodotto di Elastic storage disponibile come soluzione integrata, solo in versione software o come servizio sull’infrastruttura cloud IBM SoftLayer.
IBM Power LC e IBM LinuxONE A livello strategico IBM punta a fornire soluzioni che consentono di supportare il passaggio dal mondo dei dati (Systems of record) a quello dei Systems of engagement, promuovendo l’adozione di un modello ibrido in cui entrambe le componenti possano coesistere per fornire alle aziende il maggiore valore. In questo contesto Linux diventa sempre più protagonista anche sui server IBM. Sulla fascia media di mercato IBM si rafforza con l’annuncio di server Power System basati su Linux, con costi di ingresso a partire da 5-6 mila euro. Tre i nuovi modelli della gamma siglata Power System LC, in cui la L sta per Linux e la C sta per Cloud. I due modelli siglati S812LC e S822LC sono dedicati alle esigenze di tipo commerciale, a cui si aggiunge una versione del server S822LC ingegnerizzata per l’High Performance Computing (HPC). «Con le nuove soluzioni Power LC, IBM punta a rafforzarsi sulla fascia midrange - spiega Sangalli - . L’High Performance Computing è, invece, un segmento che rientra nell’offerta IBM dopo la cessione delle soluzioni x86 a Lenovo. IBM sta lavorando insieme a partner come Nvidia per sviluppare una serie di acceleratori, che rappresentano la base per l’HPC». Ad agosto 2015 IBM ha annunciato il nuovo brand LinuxONE, una piattaforma di hardware, software, soluzioni e servizi basata sulla tecnologia mainframe. Una scelta che intercetta una precisa volontà del mercato, considerando che IBM evidenzia come l’80% delle aziende italiane che hanno il mainframe dispongano di almeno una partizione Linux, su cui vengono eseguiti mediamente il 35-40% dei carichi di lavoro. R
Francesco Casa, manager of storage solutions di IBM Italia
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Big Data Report
Dell punta sulle soluzioni end to end per far crescere il canale Aumenta l’importanza dei partner per Dell, che lancia nuovi programmi, incentivi, finanziamenti e promette formazione per spingere i partner verso system integration e fornitura di servizi basati su un’offerta sempre più ricca
L’
acquisizione di Emc annunciata poco prima della settima conferenza annuale PartnerDirect Solutions dedicata al canale Emea, era il principale argomento di dibattito ai tavoli del ristorante Motto am Fluss, tra i partner italiani giunti a Vienna per l’evento. In generale l’operazione è apparsa ben apprezzata dal canale, anche se in pochi si sbilanciavano e qualcuno preferiva non esporsi in attesa di vedere come proseguirà l’integrazione. Negativo e unanime, invece, il giudizio sul gulasch vegetariano. Già l’indomani, i temi della conferenza hanno preso il sopravvento anche in virtù di un’agenda fitta e ricca di novità. I manager di Dell, infatti, hanno riaffermato l’impegno verso il canale e, in particolare, Michael Collins, vice president Emea Strategy di Dell, è stato entusiasta nell’annunciare che la quota di vendite realizzate dal canale in Europa è arrivata al 70% rispetto il 40% a livello globale (in Italia è 60%, ci ha rivelato Adolfo Dell’Erba, Channel e Mid Market Director di Dell Italia).
Aumentare il fatturato dei partner Per supportare le prospettive di crescita per il 2016 sono pronti nuovi programmi “Future Ready”, incentivi, opzioni di finanziamento e le attività di formazione che aiuteranno i partner di Dell a vendere i prodotti storage, server, networking, client e software. L’obiettivo, però, è soprattutto quello di «accrescere le compe-
di Gaetano Di Blasio
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tenze del canale, affinché i partner possano conseguire vantaggi competitivi, rafforzare i rapporti con i clienti, aumentando la capacità di up-selling e cross-selling, e, infine, aumentare il fatturato», come ci spiega Ralf Jordan, executive director Broadline Distribution per Dell Emea». Per questo in Dell puntano su tre elementi, il primo dei quali è fondamentale e riguarda le suddette attività di formazione, che in massima parte sono affidate ai distributori, tra cui Esprinet e Datamatic. «È necessario che i distributori ci aiutino a trasformare quei rivenditori ancora oggi fermi al “box moving” in Var o piccoli system integrator in grado di vendere soluzioni». Il secondo elemento è pure importante, in quanto facilita questo passaggio, e consiste nelle migliorie al programma PartnerDirect, che vedono l’arrivo di nuovi strumenti online.
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Per esempio un nuovo configuratore, ci ha spiegato Andreas Schuetze, director Channel Marketing & Programs di Dell EMEA, facilita molto la personalizzazione. Oppure il tool DPack consente di ottenere rapidamente un’analisi delle prestazioni di un’infrastruttura. Poi ci sono altri strumenti e blueprint che pure supportano nella progettazione. Il terzo elemento, necessario e forse il più impegnativo per Dell, consiste nell’arricchimento dell’offerta, in funzione di una strategia orientata a fornire una gamma end to end di sistemi e soluzioni per supportare la digital transformation degli utenti finali. «Oggi il mercato si va consolidando e molti reseller si concentrano su non più di tre vendor.
Michael Dell: L’acquisizione di EMC e un’offerta end to end
Annunciato, ma incerto fino all’ultimo, l’arrivo di Michael Dell per la chiusura del PartnerDirect Solutions di Vienna ha rafforzato il messaggio di sostegno al canale di vendita indiretta. Prima di parlare di fronte agli oltre 500 partner di canale Premier e Preferred e ai più importanti distributori della regione EMEA, Dell si è intrattenuto brevemente con la stampa, cercando di non sbilanciarsi troppo sull’acquisizione di EMC, il cui processo non si è ancora concluso. Ha comunque inquadrato l’operazione nella strategia per la realizzazione di un’offerta sempre più end to end: dal client al centro del data center e oltre. Proprio in quest’ottica, con l’obiettivo di sfruttare la potenza di una tale offerta, una volta finalizzato l’acquisto, Dell spingerà per un’integrazione rapida, perché «va bene “business as usual” ma il “momentum” è adesso». Nessuno scossone, comunque per quanto riguarda VMware (che ricordiamo essere posseduta da Emc), la quale continuerà ad avere la propria indipendenza e a sviluppare le partnership tecnologiche come ha fatto finora. Michael Dell, infatti, ha ribadito la propria filosofia votata all’openess: standard aperti che fanno da volano all’innovazione con beneficio di tutti. Innovazione su cui Dell vuole puntare sempre più, lasciando intendere che vuole mantenere l’azienda privata. A proposito d’innovazione Dell cita hybrid cloud, security, mobility e digital transformation quali driver del business basato sulle soluzioni e sottolinea come andrà arricchendosi il portfolio end to end con l’arrivo di Emc e, ancor più in particolare, Dell cita Rsa e Airwatch. Quest’ultima, in forte e costante crescita, evidenzia il miliardario texano, è tra i protagonisti dell’Enterprise Mobility, ambito in cui Dell sottolinea l’importanza dei server: «perché sugli smartphone non arriva nulla che prima non sia stato su un server e su un server risiederà anche dopo». Michael Dell, CEO e fondatore di Dell
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Noi vogliamo essere uno di quei tre», chiosa Schuetze sottolineando l’intenzione di accrescere la relazione con i partner: Non è dunque un caso se l’unico partner por-
tato sul palco del PartnerDirect sia stato ITsure, azienda tedesca che ha registrato una crescita notevole proprio grazie all’aumento di competenze sulle Dell Solutions e alla
“fidelizzazione” con Dell. Un altro esempio è quello di Ricoh Italia, che descriviamo nelle pagine seguenti. v
Ricoh cresce nei servizi anche grazie a Dell Alberto Giacometti di Ricoh ritira all’Emea PartnerDirect il premio quale migliore partner dell’anno, ottenuto in virtù delle circa 300 certificazioni singole e del rapporto di fiducia reciproca
«S di Gaetano Di Blasio
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i tratta di una partnership vera e non di un rapporto cliente/fornitore. Le nostre competenze si completano con quelle di Dell e c’è non solo collaborazione, ma anche confronto, per esempio in fase di prevendita», mette subito in chiaro Alberto Giacometti, Head of IT Services di Ricoh Italia, che ci spiega anche la peculiarità del loro rapporto con i clienti.
Ricoh Italia, infatti, è nata dall’acquisizione dei Ricoh Point, i vecchi concessionari sparsi per la penisola e ha mantenuto un forte legame con il territorio, maturato dai servizi con le fotocopiatrici. Quindi una classica relazione di un dealer, che, però, ha risorse decisamente diverse da quelle di un tipico dealer, essendo Ricoh una multinazionale, con circa 24mila partner nel nostro Paese. In questo contesto, la divisione servizi opera in pratica come un system integrator ed è un premier partner di Dell (quindi senza ulteriori intermediari), con il quale definisce piani strategici sul territorio per sviluppare opportunità di business. «Una relazione che sta favorendo parecchio la nostra crescita», dichiara Giacometti.
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Siamo in una sala dell’Hotel Hilton Plaza di Vienna al Dell PartnerDirect Solutions, la conferenza annuale con il canale di Dell, e il manager non sa ancora del titolo italiano di “Partner dell’anno 2015”, assegnato a Ricoh Italia, per il quale, da lì a poco, riceverà un premio dalle mani di Adolfo Dell’Erba, Channel e Mid Market Director di Dell Italia, che confermerà l’apprezzamento per il rapporto: «Sono estremamente soddisfatto dell’attività svolta congiuntamente. Durante quest’ultimo anno Ricoh Italia è cresciuta con noi non solo in termini di fatturato, ma anche in termini di competenze su un vasto spettro delle soluzioni Dell. Sono certo che questo riconoscimento sia solo la prima tappa di un percorso ricco di successi per entrambe le società». A sostenere il riconoscimento ci sono le circa 300 certificazioni singole Dell completate ne-
gli ultimi due anni dai team vendita e prevendita di Ricoh Italia, ma soprattutto la forza del rapporto che si attua attraverso due principali “canali d’ingresso” sui clienti: la dematerializzazione e l’ottimizzazione dei processi di stampa. Sono questi, infatti, il core business di Ricoh, i cui risvolti hanno permesso di completare soluzioni che spaziano dal cloud computing allo storage, dai server al software, dalla sicurezza allo smart working.
L’approccio alle soluzioni che porta alla crescita Spiega Giacometti: «La stampa è il nostro core business, ma, contemporaneamente, per essere partner credibili, affrontiamo con il cliente temi di semplificazione e ottimizzazione dei processi, tipo la fatturazione elettronica o la firma elettronica, che sta prendendo parecchio piede: molti dei documenti che arrivano in azienda in digitale vengono stampati solo e unicamente per essere firmati, nuova-
mente scansionati e poi archiviati. Quindi c’è questa “anomalia” che porta costi, introduce ritardi». Da qui una necessità di ottimizzazione dei processi che è molto apprezzata e che ha “fatto scuola”, come racconta il manager italiano: «Con Adecco abbiamo realizzato un progetto di firma elettronica remota, che Ricoh Italia sta replicando nel resto d’Europa, in virtù del fatto che la normativa italiana è talmente complessa e articolata che se funziona in Italia funziona in tutta Europa». Di fatto è un “effetto collaterale” della tanta burocrazia che nasce dal bisogno di fronteggiare fenomeni come la corruzione o l’evasione fiscale, meno diffusa in altri paesi, dove le problematiche di compliance sono meno della metà delle nostre. Anche sul fronte dei risparmi sulla stampa si aprono opportunità: «Approcciare la periferia della stampa porta a considerare anche il resto della periferia, quindi il pc. Essendo bravi a portare risparmi sulla stampa, sappiamo convincere il cliente che possiamo ottenere analoghi risultati anche con i pc», chiarisce Giacometti. Dal pc si passa ai temi della mobilità e della sicurezza, quindi si entra nel data center e si offrono progetti tecnologici. Chiaramente ci vuole tempo, per accreditarsi presso il cliente e, in questo, aiuta la partnership con Dell. È un business complementare a quello core che sta crescendo e che dal mondo dipartimentale in cui è nato si sta allargando a quello delle medie imprese e che in Ricoh stanno sempre più “industrializzando”: «Abbiamo creato la divisione circa due anni fa. All’inizio del 2015 abbiamo acquisito la NPO Sistemi all’inizio del 2015, portando il business dei
Adolfo Dell’Erba, a destra, consegna il premio ad Alberto Giacometti di Ricoh Italia
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servizi IT a valere circa il 22% del fatturato di Ricoh in Italia e facendoci entrare nelle prime cinquanta aziende di servizi IT in Italia», afferma Giacometti. Un’attività che Ricoh sviluppa in tutta Europa sia per crescita interna sia per acquisizioni di società locali.
Un progetto globale Un importante esempio di come avere un rapporto con un vendor credibile come Dell è abilitante è il caso di una grande azienda farmaceutica di Firenze, cliente fidelizzato da tempo, che li ha coinvolti, proprio per il profondo rapporto con la struttura locale di Ricoh, in un progetto che prevedeva la consegna e messa in esercizio di 8mila tablet per la tutta la forza vendita mondiale. «Alla fine siamo rimasti gli unici interlocutori, non solo perché ben introdotti in azienda, ma perché era necessario avere le competenze e le capacità per gestire un tale progetto e per-
ché, grazie a Dell abbiamo potuto fare un’offerta più competitiva di altri per la fornitura dei tablet», racconta Giacometti, illustrando le caratteristiche del progetto, ammettendo quanto tecnicamente non fosse un progetto particolarmente complesso. Anche se prevedeva la certificazione del software da parte dell’IT, l’implementazione di alcune applicazioni specifiche, come la firma grafometrica, e altre che da vecchi portatili andavano migrate sul tablet. Ma a questo si aggiungeva l’installazione e configurazione, con migrazione, della posta del singolo utente e consegna allo stesso del tablet personalizzato e pronto all’uso, con un po’ di training per il nuovo sistema e ritiro del vecchio dispositivo, quindi con una certa difficoltà logistica, considerando che si trattava di migliaia di pezzi e che l’operazione si estendeva ad alcuni “paesi-stan”, con le più varie problematiche doganali.
Oltre la stampa Combinando l’approccio sui processi e quello più tecnologico, gli IT Services di Ricoh Italia vanno allargando le proprie competenze e puntano a espandersi ulteriormente, proprio sfruttando l’offerta end to end di Dell sulle soluzioni. Uno degli ambiti in cui Ricoh vede opportunità crescenti è quello dello smart workplace, che ben s’integra con l’attività core sulla stampa e la dematerializzazione. Qui l’offerta si rivolge soprattutto alle medie imprese, «che hanno un’esigenza crescente di soluzioni per la videoconferenza, che va oltre lo Skype individuale, ma non possono permettersi i grandi investimenti realizzare sale video dedicate», spiega Giacometti, precisando: «Abbiamo acquistato un’infrastruttura per la videoconferenza in cloud che mettiamo a disposizione e che integriamo con servizi di comunicazione e con prodotti di terze parti, per fornire una soluzione chiavi in mano che arriva a comprendere anche l’applicativo per la prenotazione delle sale video da approntare all’occorrenza». In sostanza, ci viene spiegato, l’offerta, grazie alla piattaforma in cloud, permette di realizzare la videocomunicazione anche da device mobili tramite app o di poterla integrare in dispositivi e prodotti audio-video in grado di allestire una sala in pochi minuti con una connessione Ethernet o Wi-Fi. Si tratta di una soluzione che al momento è stata portata presso qualche centinaia di clienti, ma che ha «un potenziale interessante, ritengo di almeno qualche migliaio di clienti», sottolinea Giacometti, ricordando ancora una volta l’alto grado di fidelizzazione v con i tanti clienti.
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