Noriyuki Hamada alias Giovane Ragazzo Gioioso :-) Ristorante Yukawatan Prefettura di Nagano Giappone TESTO di andrea petrini Foto di Richard Haughton
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ota preliminare ai fedeli utenti. L’articolo che gli acquirenti della nostra rivista si accingono a leggere, è tutto sommato e in mancanza di meglio, una notevole trascrizione degli originali intenti del suo autore. Ma non corrisponde totalmente a quel che il vostro premuroso servitore avrebbe desiderato, mettendosi una tantum nei panni altrui, leggendo al posto vostro. Certo, c’è tutto da apprendere su Hamada-San, qualche mese indietro nel retrovisore per noi ancora un continente a sé, inesplorato. Un personaggio complesso che, avessimo proseguito in un’altra vita la nostra precedente e lacaniana carriera, allungheremmo volentieri sul divano per delle sedute senza data di scadenza, perché l’analisi, lo si sa, è senza effetto garantito come del domani non v’è mai certezza. Allora, ci fosse stato uno meglio ragguagliato di noi, spioso reporter infiltrato dietro le linee amiche, invece del solito, classico profilo che vi ritrovate tra le mani, avremmo chiesto a un drone registrante 24 /24 h di raccontarci per filo e per segno il film del lungo, sfinente mese del gennaio 2013. Quello che Noriyuki Hamada passò a Lyon.
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Fu uno dei più impegnativi delle sue trenta e passa stagioni. La tappa che cambiò la sua vita. Facendolo diventare, per dirla con Nietzsche, quello che lui era già. Avremmo saputo tutto delle notti corte, delle lunghe giornate di allenamento, dei metodi di cottura e delle migliaia di ricette da ritrascrivere in una lingua straniera e imparata a memoria. Mettendo a nudo la vita da penitenziario, l’isolamento radicale da tutto e da tutti, moglie compresa, senza omettere di studiare gli scompensi ormonali per la votiva vocazione d’astinenza sessuale. E tutto ciò per cosa? Per rappresentare il natale Giappone e vincere, col suggello d’un coach più incolloso del Grande Fratello, il concorso multinazionale del Bocuse d’Or. Strappato alla grande, con tanto d’encomio imperiale, aggiudicandosi la medaglia di bronzo. Un nuovo eroe del Sol Levante era desto. Prego, notasi bene: la sbronza del riscatto, il sacrificio per la grazia ricevuta, la Festa della Liberazione non fu inscenata sull’altare del Papa locale - monsieur Paul Bocuse ovviamente - ma 500 km più a nord, in un altro tempio della gastronomia nazionale: nel ristorante parigino di Eric Briffard, tra i marmi e gli stucchi dorati dell’Hotel Georges V. Fu lì che approcciammo infine il giovane laureato, capelli legati indietro col codino, basettine a punta e una tenuta (P)optical tutta in B&W, la cravatta intonata al sartoriale completino. Quasi un fighettino metrosessuale, a mille leghe dalla poco edonistica immagine, rigida come la sua volontà, proiettata durante il soggiorno bocusiano. Avrebbe dovuto metterci la pulce nell’orecchio Chihiro MasuiSan, preziosissima ambasciatrice culturale del Giappone culinario a Parigi, quando ci raccontò, ancora interdetta, della sua prima telefonica chiacchierata con Hamada. In cui le confessò che il sogno della sua vita era di fare, anche lui “un grande Briffard”. Ovvero un’impresa editoriale altrettanto imponente e definitiva di quella curata da Masui-San per il cuoco triplamente stellato del George V. Il che la dice lunga sulle ambizioni del giovane cuoco di Karuizawa. Lontano dagli occhi, lontano dai centri nevralgici della scena culinaria - ma per meglio figurarvici con un’opera monumentale, ritratto a tutto tondo dell’uomo e del suo mondo. Un Giapppone moderno e ancestrale, fuori dalle rotte repertoriate, a men di tre ore a tutto sud di Tokyo ma, immerso nelle cime montane di Shinshu, a volo d’uccello dalla Prefettura di Nagano e le sue Olimpiadi invernali. Il suo ristorante si chiama Yukawatan. Lo scoprirò a mio turno un’annata più tardi, a ridosso di muretti di neve spalati a ripetizione, il cielo cupo abbagliato da improvvisi squarci di sole. Yukawatan si trova a qualche passo dal Bleston Court, boutique hotel with a view sulla solitudine d’una regione sospesa tra cielo e terra, insieme meta di villeggiatura ed eremo letterario, insulare punto d’osservazione di culture ancestrali e di aparthés tra sé e sé. Dove credete che vada Chôkô Kogito, il personaggio di Sayonara, watashi no hon yo!, alter ego del suo autore, il premio Nobel Kenzaburo Oe, se non a Kita-Karuizawa, per ritrovarsi a ridosso del monte Asama e farvi il bilancio della sua vita? Noriyuki Hamada, lui, c’è già. E se scala picchi e vola per vallate con lo zainetto del raccoglitore di erbe e funghi è nella sua isola privata, la perla nell’ostrica, il suo Yukawatan, che lo trovate. Uno spazio ovattato dall’atmosfera vellutata, per soli venticinque coperti. Una punteggiatura sospensiva più che un ristorante, un ritaglio tra sé e sé, anche se con tutti i crismi del luogo d’eccezione e codici taciti del benessere a fior di pelle.
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Come la Cina tempo fa, la Francia è ancora più lontana. Eppure proprio qui riportata alla ribalta dell’attualità. Perché HamadaSan, dietro il ridente sorriso che gli valse il nomignolo di Giovane Ragazzo Gioioso fa della serietà la chiave di volta del suo perfezionismo. Una Bestia da Concorso? Sì, ma nel senso più encomioso del termine. Perché nella sua cucina c’è la tensione portata al parossismo, il dettaglio elevato al rango di cangiante riverbero della bellezza. Ma anche la pregnante intensità del gioco con, qua e là, delle infantili note ludiche incrinanti il marmoreo profilo del primo della classe. Hamada è figlio del suo tempo ma abita un immaginario tutto suo. Lontano dalle rotte repertoriate. E mentre tutti scivolano per sentieri e scorciatoie del pensiero lui imbocca la strada ardua d’un classicismo, francesemente codificato, che rivendica a muso duro la gestualità dell’artigianato. Se gli parlate della nozione d’autore, magari Hamada-San non afferra tutti i sottintesi al volo. Lui resta più legato all’etica del lavoro, all’apporto personale in uno spazio conchiuso dove il DNA della sua cucina di giapponese imbevuta dalle sue millenarie tradizioni si sposa con i precetti della più elegante francitudine appresa, non sui banchi di scuola, ma sui libri divorati notte e dì. Lost in translation, interroghiamo l’attento Noriyuki sulle sue putative filiazioni. L’ammirazione che porta a Pascal Barbot si spiega per l’immaginifico argento vivo che l’oramai quarantenne folletto de L’Astrance trasmette in ogni suo estemporaneo piatto. “Non lo dimenticherà mai: Pascal ha accettato di venire a cucinare a Karuizawa aderendo a un’iniziativa di solidarietà dopo la tragedia di Fukushima del 2011. Ha una capacità di creazione che prende spunto da una libertà assoluta”. Ma se gli parlate di Régis Marcon, il verdiano Trovatore di funghi nel suo ristorante triplamente stellato a Saint-Bonnet-le-Froid nel cuore dell’Alta Loira, gli si illuminano gli occhi. Anche se di venti anni più anziano, Marcon rappresenta, pure lui un habitué delle trasferte a Karuizawa, il prototipo d’un compendium di saperi - la conoscenza d’una regione e la padronanza altrettanto assoluta di tecniche per esaltarla - che indicano la strada maestra, attraverso campi e ascese montane, intrapresa da Noriyuki. Lui conosce la Prefettura di Nagano come le sue tasche. Se non ha tempo per fare tutti i giorni il saltafosse a raccogliere erbe e funghi, e ancora meno per sparare a cervi e caprioli, è che la natura, Hamada-San, la sublima solo in cucina. Trovando il suo habitat tra quattro mura, sublimando il circondario in ricette dal simbolico assoluto e niente meno che definitive. E c’è da giocarsela al lotto che la Carpa deep fried, servita croccante e traslucida come une tuile resterà tra gli evergreen d’una cucina che ha trovato il suo cavallo di battaglia poetico: gli onori resi a un prodotto del territorio ancora poco rispettato. Perché Noriyuki fa dell’inventario naturale della Prefettura di Nagano il suo territorio di caccia, ma cominciando dai pesci d’acqua dolce.
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Boeuf de la ferme de Sugada誰ra Davos et ses 5 condiments
Petits ayus croustillants, sudachi
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“Sono nato a Saki-Minato, davanti al mare. I miei erano traiteurs, mi dicono ancora che ho imparato a mangiare le baguette prima ancora di sapere camminare. Ho il culto del pesce appena pescato, della freschezza assoluta. Cose che non mi posso permettere qui a Nagano: il tempo di arrivare a Karuizawa, il pesce non sarebbe al massimo, non raggiungerebbe quella perfezione cui aspiro. Per questo utilizzo solo prodotti d’acqua dolce, salmone e trote di grandissima qualità”. Che non si tratta però d’utilizzare per un elogio del naturale. Ma di sottoporre a un’infinita serie di processi, di trattamenti, di purificazione del sapore assoluto. Alla ricerca di quell’umami raggiungibile solo dopo una lunga fase di decantazione “per eliminare quei retrogusti terrosi poco consoni al palato locale”. Mirando al cuore della purezza decantata al quotidiano di una cucina del circondario al tempo stessa eterna e sensibile alle microvariazioni delle stagioni. Le sue complesse architetture, le differenti tecniche utilizzate fan da corollario a delle ricette definitive, assolute. Dove l’enciclopedismo frenchy spinge al massimo una ricerca sull’esplorazione del gusto giapponese. Cucina di stagione si diceva. Ma anche suddivisa per capitoli, ognuno dedicato a un gusto - il dolce, il salato, l’amaro… Tenendo come obiettivo essenziale quella forza indomita di volontà sola suscettibile di lasciare dietro di sé un’opera che fugga il ricatto del tempo. O per dirla con le parole, più taglienti di una spada da samurai, di Hamada-San: “Quando mi accingo a trattare un prodotto mi pongo sempre la domanda; qual è la tecnica più consona per sublimarlo? Spesso utilizzo delle tecniche francesi, talvolta pure quelle giapponesi. In un piatto, averle entrambe restituisce una dimensione in più, una complessità supplementare. La tecnica francese va in un certo senso contro il prodotto, lo spinge a dare il meglio di sé mentre quella giapponese mira alla sua dimensione più appariscente, quella della naturalità”. Un approccio più simile a quello della cucina italiana e al suo rapporto con la materia vivente spiega lui, proseguendo senza transizione appena l’affaticata traduttrice mostra di riprendere fiato. “Vorrei lasciare una ricetta emblematica per le generazione a venire. Un signature dish forse come il Sanguinaccio di carpa, col sangue del pesce rimpiazzato con quello di maiale e le lische trattate a mo’ di polvere, che si deve sentire pochissimo, per suggerire solo una texture supplementare. Attingere ai soli prodotti di qua non è meramente una costrizione, piuttosto il trampolino per una maggiore creatività”. Oramai un blasonato habitué dei Bocuse d’Or - una prima volta nel 2005, poi nel 2007 e infine la consacrazione del 2013 - Hamada è un capitolo a parte nel libro del locavorismo esotico. Nel suo eremo di Karuizawa, appendice dell’Hotel Bleston Court (“lo sapevi che Bleston in giapponese significa ‘montagna della felicità’?)” interpreta i prodotti delle sue alture. Conquistandosi già degli allori tutti suoi per una specificità che lo contraddistingue dalla maggior parte dei cuochi giapponesi più consoni all’ittico naturale che al trattamento di cacciagiose carni. È quindi ancora attraverso la Francia che Hamada mette in luce per la clientela giapponese i magnifici prodotti selvaggi delle montagne sue: caprioli e cinghialini, marinati o no, ma sempre in versione altrettanto sublime del suo cavallo di battaglia (non solo la Tartare di equino in acidulé) il Vitellone in pot-au-feu con rapa e crisantemi.
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“Qui ci sono pernici, beccacce, lepri e anatre selvagge. Ma anche orsi. Che caccia e cucina Takahumi Hoda, un guardia caccia di 67 anni che per me raccoglie anche erbe e radici selvagge, una fonte d’ispirazione preziosa. Mangiare gibier (selvaggina), come si dice in francese, non fa parte della cultura giapponese. Per tempo immemore era cosa interdetta da ataviche usanze che proibivano di cibarsi di animali a quattro zampe. La popolazione locale è composta da agricoltori, non da cacciatori. Solo quando un animale selvaggio sconfina per i campi, mettendo a repentaglio le coltivazioni, diventa lecito cacciarlo e poi eventualmente mangiarlo. Le anatre, invece, sono differenti da quelle che conoscete voi: qui si nutrono essenzialmente di riso, la loro carne è più dolce ma con delle consistenze più pronunciate. Cerco di rispettarne la delicatezza evitando i salmì e la salse troppo tirate, le utilizzo con dello yuzu o con altri agrumi giapponesi per renderle ancora più vivaci. O le cuocio semplicemente al fieno, per rendere omaggio a uno dei loro ingredienti di sostentamento preferiti”. E sorride, sorride infine a bocca aperta il Gioioso Giovane Ragazzo, felice nel suo mondo a parte. Sempre pronto a esplorare il suo ibrido universo costruito su misura, a far rimare virtuosismo e riflessione, propedeutica e immediatezza. Assumendo il ruolo dell’outsider, dell’emergente già grande che si è ritagliato - tra i tokyoiti Yoshihiro Narisawa e Seiji Yamamoto - un appendice extrametropolitana della cucina. Ampiamente più riconosciuto all’estero - masticasse un po’ l’inglese - sarebbe mondialmente il beniamino di tutti i congressi in cerca di carne fresca - che profeta nell’impero suo. Una strategia di avvicinamento per strategico distacco portata a compimento proprio in questo momento.
Restaurant Yukawatan Karuizawa-machi Kitasaku-gun Nagano, Japan Tel: +81 267 46 6200 yukawatan.blestoncourt.com
Accingendovi alla lettura del nostro ultimo paragrafo, lanciate pure il navigatore. L’Opera Omnia (e un pochino buffa) del trentenne samurai ha appena fatto la sua Marcia Trionfale in libreria. Il volume coordinato dalla preziosa Chihiro Masui-San con le foto di Richard Haughton, che illustrano anche il nostro articolo, ha visto i suoi natali grazie all’impegno delle éditions Glénat. Grande tra i Grandi, presente sul catalogo accanto all’idolo di sempre, Eric Briffard, Noriyuki Hamada parte dalla Francia alla conquista dell’Occidente. E del Giappone illuminista e modernista è oramai il nuovo acclamato ambasciatore.
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noriyuki hamada
Consommé di carpa di Saku con il suo sanguinaccio
佐久鯉のコンソメ 鯉のブーダンノワール
Per la gelatina di carpa la pelle di una carpa di Saku (la polpa della carpa verrà divisa, e utilizzata per il sanguinaccio e per il consommé) aghi di pino
Per il sanguinaccio di carpa 100 g di polpa di carpa 250 g di sangue di maiale 200 g di cipolle 1 uovo 63 g di panna fresca con il 47% di materia grassa 10 g di prezzemolo 5 g di erba cipollina 5 g di cerfoglio 7 g di sale 20 g di burro dolce 1 budello di maiale
Per il consommé di carpa 100 g di polpa di carpa tritata 100 g di coscia di pollo tritata 500 g di fondo bianco (preparato secondo la ricetta base) 190 g di battuto (150 g di cipolla, 30 g di carota, 10 g di sedano) 50 g di albumi 50 g di pomodoro 4 g di salsa di ostriche 4 g di miso di Shinshu 1 g di anice stellato 1 g di bacche di Sansho
Sfilettare la carpa e togliere la pelle. Versare sulla pelle dell’acqua bollente e strofinare con le mani per eliminare ogni traccia di viscosità. Risciacquare. Fare sciogliere a fuoco lento in una casseruola. Versare la pelle sciolta in un recipiente e mettere in frigorifero perché rapprenda. Tagliare in cubetti di 5 mm di lato e, su di ognuno, piantare un ago di pino.
Tritare al mixer la polpa di carpa e passarla al setaccio fine. Tritare le cipolle e farle struggere con il burro a fuoco lento, finché non avranno un sapore zuccherino (1 ora circa). Passare al mixer la polpa di carpa, le cipolle e tutti gli altri ingredienti, fino a ottenerne una consistenza pastosa. Con l’impasto riempire il budello di maiale, formando una salsiccia di circa 10 cm di lunghezza. Riempire una grossa casseruola d’acqua e tuffarvi la salsiccia, portando a 80°C. Ridurre la fiamma per mantenere la temperatura a 80°C e cuocere per circa 30 minuti. Togliere il sanguinaccio dalla casseruola e lasciare intiepidire.
Con le mani, mescolare la polpa di carpa tritata, il pollo tritato, la salsa di ostriche e il miso. Aggiungere gli albumi, il battuto, l’anice stellato, le bacche e mescolare ancora. Versare, poco a poco, il fondo bianco. Tagliare il pomodoro in 2, togliere i semi, aggiungerlo al consommé e portare a ebollizione a fuoco medio. Ridurre la fiamma e cuocere per circa 40 minuti. Togliere dal fuoco e filtrare con un colino cinese rivestito con un filtro di carta.
Per completare il piatto olio di oliva cachi di Ichida (essiccato) 2 g di crostini di pan di spezie 1 foglietto d’oro Versare il consommé nelle scodelle, aggiungendovi un ago di pino con il suo cubetto di gelatina di carpa. In una padella riscaldare l’olio di oliva e fare rosolare a fuoco lento il sanguinaccio per 2-3 minuti. La superficie dovrà essere lievemente dorata e il sanguinaccio caldo. Tagliare delle fette di circa 1 cm di spessore e adagiarne una su ciascun crostino di pan di spezie. Decorare con il cachi essiccato e delle scaglie d’oro. Servire con il crostino.
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Oyamame in achara-zuke, vinaigrette di zenzero
大山女のあちゃら漬け 生姜ビネグレット
Per l’oyamame
Diliscare e sfilettare gli oyamame.
2 oyamame (salmone giapponese)
Per il sale per la marinata 250 g di moshio (sale di alghe) 150 g di zucchero di canna
Per la marinata di acharazuke (specialità di Shinshu) 200 g di aceto di mele 600 g d’acqua 50 g di zucchero di canna
Per la vinaigrette di zenzero 200 g d’acqua 200 g di zucchero semolato 125 g di scalogni 125 g di zenzero 85 g di mirin 50 g di salsa di soia koi-kuchi 300 g di aceto di riso 45 g di salsa di pesce (gyosho) 300 g di brodo di pollo ridotto alla metà 375 g di dashi di katsuo-bushi 57 g di gari (zenzero sottaceto che serve per accompagnare il sushi) 10 g di salsa di peperoncino il succo di 3 yuzu
Per completare il piatto 2 asparagi 1/4 di cipolla 2 myoga 20 g di uova di gin-hikari (trota iridea di 3 anni) salate 5 g di rucola 5 g di amaranto aneto piccoli fiori di crisantemo 8 piccoli finocchietti di 6-7 cm foglie di amaranto 1 filo di olio extravergine di oliva
Mescolare il moshio con lo zucchero di canna. Adagiarvi i filetti di oyamame e lasciarli marinare per 2 ore, in frigorifero. Risciacquare per togliere l’eccesso di sale, asciugare.
Mettere gli ingredienti per la marinata di achara-zuke in una casseruola e riscaldare per sciogliere lo zucchero. Non appena sarà sciolto, allontanare la casseruola dal fuoco e far raffreddare in acqua ghiacciata. Mettere il pesce in un sacchetto sottovuoto con la marinata di achara-zuke, nella proporzione di 40 g di marinata per 100 g di pesce. Lasciare a marinare tra le 6 ore e una notte intera, in frigorifero.
Versare l’acqua e lo zucchero semolato in una casseruola, portare a ebollizione per ottenere uno sciroppo di zucchero. Aggiungere tutti gli altri ingredienti della vinaigrette di zenzero e cuocere per 20 minuti a fuoco basso. Passare al colino di stoffa e lasciare raffreddare.
Sbollentare gli asparagi per circa 2 minuti, facendo attenzione che rimangano croccanti. Lasciarli raffreddare e tagliarli in losanghe di 2 mm di spessore. Dividerli nei piatti. Togliere i filetti di oyamame dalla marinata. Grigliare con attenzione la pelle con un cannello da cucina, finché non se ne sarà sprigionato il profumo. Tagliare tanti tranci dal filetto di pesce quante saranno le losanghe di asparagi, e disporli su di esse. Decorare con delle fettine sottili di cipolla e myoga, uova di gin-hikari, insalatina di rucola e amaranto. Cospargere di aneto e fiorellini di crisantemo. Completare ogni piatto con foglioline d’amaranto e due piccoli finocchietti. Irrorare il tutto con la vinaigrette di zenzero e condire con un filo di olio di oliva extravergine.
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Rognone di bue di Shinshu, miso alle noci e yuzu-kosho
ロニョンの炭火焼きとゆず胡椒
Per il rognone 300 g di rognone di bue con il suo grasso
Per le verdure 2 porri Matsumoto-ippon 2 funghi shiméji Daïkoku 10 g di funghi iwataké (secchi) 1 scalogno 1 mazzetto di erba cipollina olio di oliva
Pulire il rognone. Eliminare il grasso e la membrana. Stendere il grasso sottilmente, avvolgervi il rognone e legarlo. Cuocere da 30 a 40 minuti in forno a 180°C, irrorandolo regolarmente con il fondo di cottura. Una volta cotto, togliere il rognone dal grasso. Tagliarlo in pezzetti di 2-3 cm. Rosolare su tutti i lati a fuoco vivo di legna (per 2-3 minuti).
Tagliare in pezzetti di 2-3 cm i porri e i funghi shiméji Daïkoku. Portarli sulla griglia su di una brace di legna, per circa 3-5 minuti. Far rinvenire i funghi iwataké tuffandoli in acqua e poi saltandoli in padella con un po’ di olio di oliva. Aggiungere lo scalogno e l’erba cipollina tritata, salare.
Per completare il piatto miso alle noci yuzukosho porro giapponese germogli di porro giapponese yuzu verde Sul piatto, disporre un pezzo di rognone e decorare con un pezzetto di yuzukosho. Aggiungere i pezzi di porro e di funghi shiméji Daïkoku e i funghi iwataké. Versare sul porro un po’ di miso alle noci. Decorare con germogli di porro giapponese e spolverizzare con la scorza di yuzu.
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EXTRA WATCHES
Religiose al miso rosso di Shinshu, noci e cioccolato
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