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Non c'è più tempo! Il cambiamento non è più rimandabile I volti della crisi sono tanti e variegati. Gli ultimi dati parlano di oltre 9 milioni di persone sulla soglia di sofferenza: disoccupati, NEET, cassintegrati. L’emergenza sociale nel nostro paese aumenta di mese in mese e colpisce specialmente le giovani generazioni, il cui tasso di disoccupazione ha raggiunto il livello record del 39,1%, il tasso di inattività non sembra arrestarsi e l’unica soluzione appare una nuova emigrazione di massa. In questa crisi la retorica del “Non c’è alternativa”, che prosegue dal Governo Monti a quello Letta, è la sigla di una politica utile solo a mantenere lo status quo o a favorire gli interessi di banche, grandi investitori e imprese ed è incapace invece di cogliere le istanze delle fasce più deboli della popolazione e di affrontarle come le vere emergenze del Paese. E’ emblematica l’eliminazione dell’IMU, che verrà sostituita dalla service tax la quale ricadrà anche sugli inquilini, e dunque rischia di confermare la gestione iniqua della crisi portata avanti finora. La democrazia è bloccata, vittima di una torsione oligarchica e paralizzata dalle scelte impopolari di una classe dirigente sorda ad ogni proposta. Le istanze dei giovani e degli studenti che in questi anni si sono visti mettere sotto scacco i diritti fondamentali, quello allo studio e ad un lavoro dignitoso in primis, rimangono pertanto tagliate fuori dal dibattito pubblico. Non c’è più tempo! Crediamo di dover riprendere parola subito perchè la situazione emergenziale la vivono soprattutto le scuole e le università, distrutte dalle politiche di dequalificazione e ancora oggi assenti tra le priorità di un agenda politica che continua ad avere in programma solo il salvataggio degli interessi di pochi a scapito della maggior parte delle persone. L’11 ottobre scendiamo in piazza perchè siamo stanchi di aspettare: la nostra generazione è il presente e non solo il futuro del Paese ed esige risposte immediate. Crediamo che non ci sia più tempo per ignorare le vere emergenze di oggi, emergenze che sono sociali e democratiche. Protesteremo in oltre 100 città perchè siamo convinti che un’alternativa alla situazione attuale non sia solo possibile, ma necessaria.
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Le risorse ci sono, ma non per noi! L’austerità che ha colpito l’istruzione e il diritto allo studio Il nostro paese sta sperimentando da tempo le politiche di austerità e privatizzazione sul settore pubblico, in primis sull’istruzione. La spesa in questo ambito è ferma al 4,9% del PIL, mentre nei paesi del nord Europa si arriva ad investire anche l'8,3% del PIL, come ad esempio in Danimarca. In questi ultimi mesi non sono mancate critiche in merito alla questione da parte delle istituzioni europee: secondo il rapporto Education at a Glance, l’Italia è l’unico Paese dell’area OCSE che dal 1995 non ha aumentato la spesa per studente nella scuola primaria e secondaria mentre negli altri Paesi è aumentata in media del 62%. Il disinvestimento dello Stato diventa ancor più evidente e drammatico se si considera la situazione in cui versano gli edifici scolastici. Anni di tagli hanno infatti causato ulteriori danni alle strutture oltrechè peggiorare la condizione di chi vive quotidiniamente la scuola: aule sovraffolate, personale insufficiente, scarsissima manutenzione. Oggi quasi la metà di questi non possiede le certificazioni di agibilità, anche in zone ad elevato rischio sismico o vulcanico, più del 65% non ha il certificato di prevenzione incendi, il 36% degli edifici ha bisogno d’interventi di manutenzione urgenti. Non è stimabile quanti miliardi di euro servano per rendere le scuole sicure, a basso dispendio energetico, belle e accoglienti. Il Ministero ritiene che bastino 13 miliardi di euro. Chiediamo perciò che venga riaperto il tavolo ministeriale sul monitoraggio dell'edilizia scolastica e che vengano resi pubblici i dati. L'attacco all’istruzione di questo ventennio ha determinato una vera e propria espulsione di massa da scuole e università. L'abbandono scolastico si attesta al 17,6% quando gli obiettivi della strategia Europa 2020 prevede una riduzione del tasso di abbandono scolastico al di sotto del 10% e un aumento al di sopra del 40% della percentuale di giovani laureati entro il 2020, percentuale ferma nel nostro Paese al 21,7% . Se si dà uno sguardo ai dati sull’abbandono scolastico regione per regione, si evidenzia una larga forbice tra Nord e Sud del paese: dal 12,1% del Friuli Venezia Giulia si passa al 23% della Campania e della Puglia fino al 26% della Sicilia. Si ergono inoltre sempre nuove barriere di accesso ai saperi: dalla contribuzione “volontaria” al costo dei libri, dall’assenza di fondi per le borse di studio ai costi sempre più alti dei canali informali di apprendimento (cinema, teatro, cd, dvd). Questi dati delineano una scuola sempre più costosa ed escludente e sono legati ad assenze strutturali: non esiste una Legge Nazionale sul Diritto allo Studio che faccia chiarezza sui livelli essenziali di prestazione che ogni regione dovrebbe fornire sul proprio territorio. Ad ora il sistema è profondamente frammentato e a diverse velocità, tra leggi all'avanguardia e altre vecchie e inadatte a far fronte ai bisogni degli studenti. Mentre coi fondi pubblici si finanziano misure come “il buono scuola” per incoraggiare chi frequenta le Piattaforma politica 11 ottobre 2013 – manifestazione studentesca nazionale a cura dell'Unione degli Studenti, il Sindacato Studentesco – aderisce alla Rete della Conoscenza www.unionedeglistudenti.it info@unionedeglistudenti.it - Tel. 06/69770332
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scuole private, studiare diviene per la maggior parte degli studenti sempre più un lusso piuttosto che uno strumento di emancipazione individuale e collettiva. Non possiamo che rifiutare queste misure così come l’avanzata di formule privatistiche di diritto allo studio, come il prestito d’onore che rischia di costituire l’ennesimo cappio al collo per tante e tanti. Siamo infatti una generazione che vive il dramma di poter studiare e formarsi solo grazie alle risorse familiari, costretti a scelte di vita obbligate e non libere. Crediamo sia necessario ripensare il modello di welfare slegandolo dall’impianto familistico che oggi ha e immaginando misure universalistiche che creino per tutte e tutti uguali condizioni partenza. Da poco è stata depositata in Parlamento una Proposta di Legge (“Definizione dei principi fondamentali, delle norme generali e dei livelli essenziali delle prestazioni in materia di diritto allo studio, ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettere m) e n), e terzo comma, della Costituzione”). Questo rappresenta sicuramente un provvedimento di buon senso che necessita però ancora di miglioramenti e misure maggiormente innovative. Riteniamo necessario innazitutto un allargamento della platea degli aventi diritto ai servizi e l’introduzione poi di forme di monetarizzazione maggiormente tutelanti ed inclusive per chi studia, quali il reddito per i soggetti formazione. Un sistema di welfare studentesco moderno ed efficiente deve essere infatti in grado di favorire l'autonomia del soggetto in formazione, svincolandolo dalle condizioni socio-economiche di partenza. Ma a cosa serve studiare? Per anni ci hanno raccontato che attraverso un alto livello di formazione avremmo raggiunto una vita dignitosa mentre, circa un anno, fa l’ex Ministro Fornero non si è vergognata a definirci “schizzinosi” se non accetavamo lavori umili. L’istruzione e la cultura servono per sviluppare il necessario senso critico ma - è l’OCSE stesso a dimostrarlo - sono rimasti, anche in questi anni di crisi, una garanzia per un lavoro meglio retribuito. In Italia però le politiche di smantellamento dell’istruzione e l’assenza di un piano industriale e di crescita hanno fatto si che il mercato del lavoro nel nostro Paese potesse competere per il basso costo del lavoro, l’assenza di tutele, i livelli minimi di competenze richieste. Come evidenziano i dati di Almalaurea e di Unioncamere infatti i Italia i lavori ad alta qualificazione sono penalizzati: tra i 15 e i 64 anni ha una laurea meno di un occupato su cinque (il 18,7%), mentre nel resto dei Paesi dell’UE si attesta al di sopra del 30%. Il tasso di disoccupazione ad un anno della laurea triennale dal 2007 al 2011 è aumentato inoltre di 12 punti, della specialistica di 10 punti. Non stupisce dunque il calo delle iscrizioni ai licei classici e all’indirizzo tradizionale di quelli scientifici di quest’anno. Già dai 14 anni uno studente è stretto nella morsa di un futuro contraddistinto dalla precarietà occupazionale ed esistenziale e si trova costretto a scegliere in base all’immediata spendibilità dell titolo di studio e soprattutto in base alle possibilità socio-economiche della famiglia. Occorre una radicale inversione di marcia, non c'è più tempo da perdere. Rifinanziare il nostro sistema formativo è una priorità assoluta. Portare gli investimenti sull'istruzione al 6,5% del PIL e allinearci così Piattaforma politica 11 ottobre 2013 – manifestazione studentesca nazionale a cura dell'Unione degli Studenti, il Sindacato Studentesco – aderisce alla Rete della Conoscenza www.unionedeglistudenti.it info@unionedeglistudenti.it - Tel. 06/69770332
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alla media europea è una misura di civiltà e di giustizia verso il Paese tutto. Rilanciare l’investimento in Ricerca, Innovazione e Sviluppo, portando la percentuale dall’1,26% al 3%, come del resto ci viene richiesto da Europa 2020, serve per dare un indirizzo chiaro e completamente diverso alla crescita del nostro Paese, significa scegliere di non speculare più sulla vita delle persone e investire su un modello di sviluppo socialmente giusto ed ecosostenibile. Ripubblicizzare l'istruzione, finanziare il sistema formativo e il diritto allo studio, abbattere l'abbandono scolastico, investire sull'edilizia scolastica, sono questioni che dobbiamo far entrare prepotentemente nel dibattito pubblico. Ultimamente si è rafforzata la retorica del taglio degli sprechi della scuola. Per noi i veri sprechi sono altri: l’acquisto degli F35, le missioni di guerra, la mancata lotta all'evasione fiscale, le grandi opere come il Tav in Val di Susa, il buono scuola o il finanziamento alle scuole paritarie private. Pensiamo sia giunto il tempo di invertire la rotta : è necessario colpire chi in questi anni ha speculato e si è arricchito, attraverso - ad esempio - una riforma del sistema fiscale basata su una tassazione fortemente progressiva e redistributiva che colpisca grandi patrimoni, rendite e speculazioni monetarie e finanziarie (tassa patrimoniale, tobin tax, ecc.), raccogliendo in questo modo risorse per finanziare il sistema formativo e renderne libero l’accesso.
Basta privatizzazioni, bisogna ripubblicizzare l’istruzione! Bologna chiama l’Italia Il processo di smantellimento dell’istruzione pubblica a causa di dieci anni di austerità è giunto al termine. Lo smantellamento ha visto da un lato il tentativo di privatizzazione formale delle scuole (ex legge Aprea), con l’ingresso dei privati nei luoghi decisionali degli istituti, dall’altro la privatizzazione sostanziale di questi attraverso il de-finanziamento e la centralità data alla contribuzione delle famiglie nel sostentamento ordinario delle scuole. Un passaggio di non poco rilievo sarebbe stata l’approvazione della legge Aprea lo scorso anno: questa, vigorosamente respinta dalle mobilitazioni studentesche, prevedeva l’ingresso di enti e aziende negli organi collegiali delle scuole e la cancellazione dei diritti degli studenti. Nonostante l’accantonamento della legge, il tema della privatizzazione resta d’attualità. Le famiglie vengono costrette a versare il contributo scolastico alle scuole pubbliche quasi si trovassero a pagare delle rette per le scuole private. La contribuzione delle famiglie, nonostante la legge la definisca volontaria, viene illegalmente presentata ogni anno nelle scuole come azione obbligatoria, costringendo studenti e famiglie a sacrifici ingiustificabili. Negli ultimi anni non solo si sono registrati numerosi casi di obbligo di pagamento, ma la somma della contribuzione è diventata sempre più ingente. Questo accade poichè, a causa dei tagli insanati che pesano sui bilanci degli istituti, il contributo studentesco è ormai una entrata in bilancio necessaria per permettere lo svolgimento delle attività non solo studentesche, così come previsto dalla legge, ma Piattaforma politica 11 ottobre 2013 – manifestazione studentesca nazionale a cura dell'Unione degli Studenti, il Sindacato Studentesco – aderisce alla Rete della Conoscenza www.unionedeglistudenti.it info@unionedeglistudenti.it - Tel. 06/69770332
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anche ordinarie. Con una spesa pubblica sempre più compressa, mentre le scuole pubbliche vivono un disagio drammatico e un’assenza strutturale di risorse, continua la sperequazione di fondi nazionali e locali verso le scuole private. Crediamo che non sia accettabile che i costi del funzionamento delle scuole siano scaricati sulle spalle degli studenti attraverso il contributo volontario. Rifiutiamo il modello di istruzione privato poichè è sinonimo di una scuola classista ed esclusiva che favorisce un sapere asservito solo alle logiche di mercato. La prosecuzione del processo di privatizzazione dei saperi significa l’affermazione di una società di diseguali, una società sempre più ingiusta, con cittadini di serie A e di serie B. La battaglia non può e non deve ritenersi chiusa con lo stop alla legge Aprea. E’ in campo infatti la proposta europea “rethinking education”: quest’ultima mantiene aperto il tema della governance dei privati nelle scuole e, prendendo in considerazione il modello scolastico nord-europeo, spinge sempre più verso una riduzione della spesa pubblica, attraverso una maggiore privatizzazione dei luoghi della formazione con enormi barriere nell’accesso. Occorre inoltre aprire un ragionamento su cosa abbia significato autonomia scolastica nel nostro Paese. Il progetto dell'autonomia scolastica, che si sostanziava in autonomia didattica, finanziaria e organizzativa, non ha dato i risultati desiderati: una scuola intesa come centro polivalente legato al territorio, dove fare sperimentazioni didattiche e combattere pure la dispersione scolastica attraverso una maggior connessione con il contesto sociale ed economico. Nello specifico l'autonomia didattica non ha portato ad un maggior coinvolgimento degli studenti e non si sono create le Commissioni Paritetiche studenti docenti; l'autonomia finanziaria ha portato pochi risultati dato lo scarso investimento dello Stato centrale e dunque la tendenziale apertura a soggetti privati. Pensiamo che si possa rilanciare l’autonomia scolastica, ridando ad essa la sua importante funzione, solo attraverso nuovi investimenti pubblici, tramite il potenziamento degli Organi Collegial e della componente studentesca presente già oggi in questi ma fortemente penalizzati, tramite l'apertura delle scuole il pomeriggio e un ulteriore decentramento amministrativo per garantire anche alle associazione studentesche un bilancio proprio per realizzare attività extracurriculari formative e ricreative. La battaglia pubblico vs privato non si realizza quindi attraverso semplici provvedimenti di reperimento di risorse per scuole ed università pubbliche, ma assume un profilo di giustizia ed equità che mina chiaramente le logiche del profitto. L’idea di una scuola laica, democratica, eguale e accessibile a tutti deve rimanere una priorità nell’Italia della crisi. Non possiamo accettare che il processo di formazione si trasformi, come già sta accadendo, in un semplice “servizio di diplomificio” per il quale pagare una retta. La retorica del “privato meglio del pubblico” è stata parte di una strategia portata avanti in questi che ha mirato a smantellare l’istruzione per tutti, attraverso tagli e incuria. La Costituzione italiana parla chiaro. L’articolo 33, che permette l’esistenza delle scuole private “senza Piattaforma politica 11 ottobre 2013 – manifestazione studentesca nazionale a cura dell'Unione degli Studenti, il Sindacato Studentesco – aderisce alla Rete della Conoscenza www.unionedeglistudenti.it info@unionedeglistudenti.it - Tel. 06/69770332
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oneri per lo stato”, è un punto di riferimento importante per una battaglia che rifletta anche sulla Costituzione, in termini non semplicemente difensivi, ma soprattutto estensivi ed apllicativi di diritti e tutele. Richiediamo una revisione della legge 62/2000, che prevede il finanziamento delle scuole private e paritarie. All’interno della legge è previsto il finanziamento pubblico per le scuole paritarie, senza che vi sia una specificazione tra paritarie pubbliche non statali (ovvero gestite dagli enti locali) e paritarie private. Modificando l’articolo 3 della suddetta legge con una chiara divisione tra scuole paritarie pubbliche e scuole paritarie private sarebbe possibile modificare i successivi articoli 12, 13, 14, 15, 16, 17 restringendo la possibilità di finanziare solo le scuole paritarie pubbliche (comunali, regionali, ecc.). In questo modo è possibile escludere le scuole paritarie private dall’accesso ai fondi pubblici, così come previsto dalla Costituzione. Il referendum di Bologna del 26 Maggio scorso rappresenta un esempio importante di partecipazione e democrazia. L’affermazione popolare contraria all’ assegnazione dei fondi comunali alle scuole private, costruita attraverso pratiche di partecipazione e democrazia accessibili a tutti, ha rappresentato un segnale di estremo rilievo nelle scelte in materia di gestione delle risorse sull’istruzione. Non c’è più tempo per delegare le scelte ad altri, è necessario che tutte e tutti, così come accaduto a Bologna, scelgano di partecipare. E’ necessario scendere in piazza per pretendere un’ inversione di tendenza. Non c’è più tempo per tergiversare. Non c’è più tempo per i privilegi.
Liberare i saperi per cambiare modello di sviluppo! La risposta che si è data alla crisi del rapporto tra formazione e lavoro sembra sia stata trovata negli ultimi anni nella parcellizzazione delle competenze, misura che risponde alla necessità di avere sempre più manodopera pronta all’uso, meno formata, a basso costo. Le conseguenze pratiche sono una forte dequalificazione del sistema formativo che si adegua alla domanda di un mercato in crisi: si accentua la divisione tra una formazione di alto e basso livello che coincide alla scelta tra licei, istituti tecnici, professionali e, ultimo arrivato, l’apprendistato con cui uno studente a 14 annipuò già assolvere all’obbligo scolastico. Il sistema d’istruzione opera così una canalizzazione precoce della società, selezionando in seno a questa cittadini di serie A e serie B. Gli istituti tecnici e professionali, già fortemente depotenziati dalla riforma Gelmini con un taglio ingente di ore, registrano un livello inferiore di competenze nelle materie di base ed una bassa propensione al sapere generale. L’alternanza scuola-lavoro, maggiormente diffusa nei tecnici e professionali, risulta spesso un un pretesto per le aziende per sfruttare lavoro sottopagato e senza tutele, spesso è totalmente assente un approccio didattico allo stage poichè è carente la figura del tutor, e nel rapporto tra docente e studenti questi ultimi sono lasciati a loro stessi il più delle volte Piattaforma politica 11 ottobre 2013 – manifestazione studentesca nazionale a cura dell'Unione degli Studenti, il Sindacato Studentesco – aderisce alla Rete della Conoscenza www.unionedeglistudenti.it info@unionedeglistudenti.it - Tel. 06/69770332
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svolgendo attività molto diverse da quelle previste. Riteniamo necessario l’introduzione di uno “Statuto degli Studenti in Stage” che garantisca tutele didattiche, lavorative e assicurative, oggi previste solo in caso di morte o danno permanente. E’ necessario alzare l’obbligo di istruzione al 5° anno di istruzione secondaria di secondo grado, posticipando l’apprendistato all’assolvimento di quest’ultima e non rendendolo più alternativo alla scuola dell’obbligo. Riteniamo che esso sia lavoro minorile a tutti gli effetti e che debba essere abolito. Rifiutiamo infine, tra le formule più volte proposte a livello europeo, in particolare in Germania, la formazione duale come possibile percorso per assolvere l’obbligo scolastico. Non c’è più tempo per continuare ad essere sfruttati senza alcuna garanzia formativa. Riteniamo necessaria una riforma strutturale dei cicli che tenga conto del carattere emancipante del sapere e che fornisca a tutti gli studenti e le studentesse competenze generali indipendentemente dal percorso di studi intrapreso e potenzi le attitudini e vocazioni personali in preparazione dell’università e del lavoro. Proponiamo una scuola basata su competenze problematizzanti che sia divisa in un biennio unitario ed in un triennio specializzante, orientato per area di interesse (linguistico-umanistica, tecnicoscientifica). La scuola ripropone in piccolo meccanismi tipici del sistema vigente: modello di valutazione basato sulla produttività, principio di autorità, impossibilità di partecipare alle scelte, competitività. Riteniamo fondamentale una riforma della didattica, della valutazione e dei programmi didattici. Le scuole non devono essere luoghi chiusi in cui imparare nozioni a memoria, ma in cui “imparare ad imparare”, svolgere discussioni critiche, confrontarsi con gli altri. La didattica frontale, rimasta ferma agli anni trenta, deve essere sostituita da una didattica cooperativa e partecipativa che sappia utilizzare prassi decise in accordo con gli studenti che siano quindi capaci di coinverli e metterli realmente al centro dei processi educativi. Allo stesso tempo è necessaria una valutazione che non punisca, non sia una schedatura e non divida le classi in sottogruppi in corsa al voto migliore: valutare vuol dire attribuire dei valori e per farlo è necessario condividere democraticamente i criteri e narrare i processi che si considerano oggetto della valutazione. Non ci si può quindi limitare più al numero che viene di volta in volta attribuito agli studenti: la valutazione deve basarsi sulla relazione paritetica e non unidirezionale tra docente e studente, strutturandosi su tre livelli (autovalutazione, valutazione studente-docente, valutazione docente-studente). Rivendichiamo un’idea educativa e delle prassi didattiche alternative a quelle attuali. Rigettiamo il modello di valutazione INVALSI che guarda al voto come ad un metodo di schedatura e, considerando gli studenti numeri, ne appiattisce il pensiero critico. Esso non è un sistema di valutazione oggettivo nè utile al miglioramento del sistema scolastico italiano, propina retoricamente dati utili solo a classificare le scuole in rating competitivi. L’imposizione dei test all’esame di maturità per il 2014 rappresenta per noi fin da subito un motivo di battaglia. Piattaforma politica 11 ottobre 2013 – manifestazione studentesca nazionale a cura dell'Unione degli Studenti, il Sindacato Studentesco – aderisce alla Rete della Conoscenza www.unionedeglistudenti.it info@unionedeglistudenti.it - Tel. 06/69770332
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La scuola deve essere innanzitutto un laboratorio di democrazia. I cambiamenti e le innovazioni che riguardano il mondo della scuola non possono essere discussi senza la presenza degli studenti. Riteniamo quindi necessaria l’introduzione di commissioni paritetiche, composte in egual numero tra studenti e docenti, una maggiore presenza studentesca negli organi di governance, l’introduzione del referendum come prassi democratica per prendere le decisioni più importanti interne alla scuola. Le scuole non devono essere considerate prigioni ma luoghi aperti alla creatività studentesca. Esse possono diventare centri di enorme valenza sociale nelle zone a rischio, attraverso l’apertura pomeridiana degli istituti e la promozione di attività autogestite e creative. Purtroppo le scuole, a causa degli ulteriori tagli al MOF dello scorso anno, sono sempre più chiuse in loro stesse, rappresentando solo un luogo di transito per gli studenti nelle 6 ore di lezione mattutina. Rivendichiamo una scuola come luogo di vita, in cui ci sia spazio per attività culturali e di valenza sociale aperte alla città. Come in tantissime scuole del paese abbiamo sperimentato negli anni, crediamo fondamentale che in ogni scuola sia assegnata una’aula autogestita agli studenti, in cui realizzare un’AltraScuola Possibile. Riteniamo che scuole ed università, liberate dalle logiche di mercato e del profitto, possano essere una fucina di idee necessarie ed utili alla risoluzione dei problemi sociali di questo paese in modo innovativo. Il sapere di per sè non deve essere un metodo di trasmissione del pensiero unico, ma una possibilità di rottura nuova. Occorre invertire lo schema secondo cui il mercato modifica il sapere a proprio piacimento ed in base alle proprie necessità. Deve essere il sapere libero a modificare il modello di sviluppo attualmente vigente. Dalle scuole e dalle università possono partire le elaborazioni critiche per un domani diverso e migliore. Non c’è più tempo per aspettare, bisogna liberari i saperi per liberare le persone, bisogna liberare i saperi per cambiare il modello di sviluppo.
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“Il futuro non è più quello di una volta” Il tempo della precarietà nella crisi economica, sociale e democratica Siamo la generazione dei “senza diritti”: senza diritto allo studio, alla casa, alla mobilità, alla salute, alla partecipazione. Viviamo ai margini, nel ricatto. Accanto al dato allarmante della disoccupazione giovanile troviamo quello dei NEET (neither employed nor in education or training), ossia dei giovani fuori dai percorsi formativi, che non cercano lavoro e non seguono corsi di formazione professionale. L'Italia registra in questo un triste primato, con una percentuale di giovani NEETal 23,2%. tra le più altre dei Paesi OCSE. I risultati del referendum studentesco nazionale, promosso dalla Rete della Conoscenza tra il 15 e il 25 aprile, parlano chiaro e restituiscono un nitido ritratto delle giustificate paure della nostra generazione: 3 studenti su 4 dichiarano che la prima preoccupazione per loro è la precarietà e l'incertezza del futuro lavorativo. Anni e anni di riforme dell'istruzione volte ad “avvicinare l'istruzione al mercato del lavoro” hanno determinato infatti risultati del tutto controproducenti: in primis una dequalificazione dell'istruzione pubblica e una strisciante aziendalizzazione dei luoghi della formazione, in secondo luogo lo scoppio della “bolla formativa”. Il mercato del lavoro sembra non riuscire infatti ad assorbire i laureati e sono sempre più evidenti gli effetti di questa situazione nelle scelte degli studenti, sempre meno motivati a proseguire gli studi oppure “obbligati” a scegliere le facoltà presentate nelle statistiche come più spendibili sul mercato del lavoro. In Italia ci sono troppi laureati? In realtà, come sottolinea sempre l'OCSE, nel nostro Paese ci sono molti meno laureati rispetto agli altri paesi; è quindi la scarsa innovazione del nostro sistema produttivo che, prediligendo basse competenze e scarse retribuzioni, ha scelto la strada della concorrenza a ribasso sui diritti costringendo tanti giovani laureati all’inoccupazione o all’emigrazione. I pochi giovani che hanno un lavoro sono costretti ad accettare soprusi, orari assurdi, contratti a chiamata o forzatamente part time, troppi sono costretti ad accettare il lavoro nero senza alcuna tutela. I tempi e gli spazi di lavoro e di vita si confondono: la precarietà della prestazione lavorativa e dell'occupazione si trasforma inevitabilmente in esistenziale. La precarietà dunque è la costante che ci accompagna fin dagli anni delle superiori, nella difficoltà di accedere ai saperi, nel costo della scuola, nelle mancanze di prospettive e nella paura di non avere nessuna forma di tutela nel mondo del lavoro. Nel sistema precario apparentemente ognuno è libero di investire su se stesso, per arricchire il proprio capitale umano, con l’illusione di essere imprenditore di se stesso. In realtà la precarietà è un meccanismo di subordinazione e asservimento totale che divora tutte e tutti per soddisfare le “inclinazioni” del mercato. La precarietà individualizza, rompe i sistemi Piattaforma politica 11 ottobre 2013 – manifestazione studentesca nazionale a cura dell'Unione degli Studenti, il Sindacato Studentesco – aderisce alla Rete della Conoscenza www.unionedeglistudenti.it info@unionedeglistudenti.it - Tel. 06/69770332
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di solidarietà, rende in definitiva “soli” dietro l’illusione del “farsi da sè”. Ci hanno additato i nostri genitori, le passate generazioni e chi oggi gode del posto fisso come i responsabili delle miserie attuali, perchè “hanno vissuto al di sopra delle proprie possibilità”. Noi rifiutiamo le guerre tra poveri, tra garantiti e non garantiti; sappiamo che siamo stati impoveriti da trant'anni di privatizzazioni feroci, di crescita delle disuguaglianze, di finanziarizzazione dell'economia, di un attacco politico e materiale ai diritti dei lavoratori. Non c'è più tempo per poter continuare ad ignorare che i nostri problemi sono collettivi ed esigono risposte politiche. Abbiamo bisogno di una riforma del welfare in senso universalistico che, attraverso il reddito minimo, l'estensione degli ammortizzatori sociali a tutti i lavoratori e un efficace sistema di diritto allo studio, liberi i tempi di vita, incentivi la partecipazione, combatta l'esclusione sociale, redistribuisca la ricchezza e garantisca la possibilità a tutti di autodeterminarsi indipendentemente dal contesto di provenienza. Garantire il diritto all'abitare, alla mobilità, alla salute e alla partecipazione, sono priorità assolute da porre con forza nel dibattito pubblico. Pensiamo che per fare tutto ciò occorra invertire le politiche economiche, rompendo col ricatto dell'austerity. L'inserimento del pareggio di bilancio in Costituzione, successivo all'entrata in vigore del Six Pack e successivamente del Fiscal Compact, rappresenta in tal senso un punto di non ritorno contro il quale dobbiamo lottare. Con l'approvazione del Fiscal Compact e con i relativi obblighi, ad esempio quello della riduzione del debito pubblico al di sotto del 60% del PIL di almeno un ventesimo all'anno, il nostro Paese dovrà impegnarsi a tagliare le spese pubbliche di 50 o 80 miliardi all'anno se si considerano pure i pagamenti sugli interessi. La stretta sugli Enti Locali, determinata in ultima istanza dal Patto di Stabilità interno 2012-2014, si concretizza in tagli alla spesa, diminuzione delle entrate, riduzione del personale, aumenti delle tariffe sui servizi e nuove esternalizzazioni e privatizzazioni. Non solo dalle scuole e dalle università, ma dai comuni, dagli ospedali e dai servizi, si vede il fallimento delle poltiche improntate sulle teorie neoliberiste. Il pubblico, dopo anni di privatizzazioni e tagli, non riesce più a garantire una tenuta del tessuto sociale e degli spazi di democrazia. La nostra lotta contro lo smantellamento del welfare, contro le privatizzazioni, per la difesa dell'ambiente, dei territori, per i diritti nei luoghi della formazione e nei luoghi di lavoro, per la riappropriazione dei beni comuni, è dunque una lotta per la democrazia. Solo attuando e ralizzando un modello democratico e partecipativo di società, nelle scuole come nelle nostre città, potremmo riuscire a costruire un'alternativa all’attuale condizione. Di fronte a una democrazia svuotata dai diktat della finanza e ad una politica sorda e autoreferenziale noi abbiamo il compito storico di ridare una speranza alla nostra generazione e al Paese intero, riempendo le piazze, Piattaforma politica 11 ottobre 2013 – manifestazione studentesca nazionale a cura dell'Unione degli Studenti, il Sindacato Studentesco – aderisce alla Rete della Conoscenza www.unionedeglistudenti.it info@unionedeglistudenti.it - Tel. 06/69770332
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le scuole e le università delle nostre idee per cambiare radicalmente un modello di sviluppo non più sostenibile. Ridare linfa alla democrazia vuol dire anche difendere ed estendere i principi della nostra Costituzione, questa è stata materialmente violata dalle politiche di questi anni e si trova ora sotto attacco da parte di chi vorrebbero trasformare il suo impianto parlamentare in uno di stampo presidenziale. In una fase in cui la Carta viene attaccata nell'ottica di una svolta a destra, noi rispondiamo chiedendo la sua applicazione, soprattutto nei sui articoli 3, 33 e 34. Lottare per la Costituzione non significa quindi stare sulla difensiva ma passare all'attacco, per riconquistare ed estendere i diritti sociali messi sotto scacco in questi anni, per costituire un mondo nuovo. La fotografia della nostra generazione ci vede costretti all’attesa, divisi e precari, dietro le quinte. Il quadro politico che si prepara alle elezioni per il parlamento europeo della prossima primavera segnano il possibile inasprimento delle politiche di austerità e il restringimento degli spazi di costruzione di un europa sociale e dei diritti, fondata su un modello di sviluppo completamente alternativo. Se non invaderemo la totalità del palcoscenico pretendendo protagonismo politico per le nostre rivendicazione resteremo imbrigliati in un eterno presente fatto di ansie e ristrettezze: è necessario invece indivudare sia sul piano nazionale che europeo delle strade per riconnettere le lotte. Inonderemo per questo le piazze italiane a partire dall' 11 ottobre per riprendere parola, a nome anche di tutti quanti vivono la stessa condizione di perenne ricatto e sfruttamento, per rivendicare a gran voce un presente ed un futuro dignitoso. Il futuro non può essere nelle mani di nessun altro se non nella nostre. Abbiamo rimandato troppe volte. Non c'è più tempo.
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E’ ora che suoni la SVEGLIA! Le nostre proposte per vivere il nostro tempo: 1. Portare la percentuale di investimenti in PIL sull’istruzione dal 4,4% al 6,5%. 2. Portare la percentuale di investimenti in PIL su Ricerca e Sviluppo dall’1,26% al 3%. 3. Modifica della legge 62/2000 negli articoli 3, 12,13,14,15,16,17, ossia le parti che garantiscono i finanziamenti pubblici alle scuole paritarie private. 4. Aumento dei fondi destinati alla legge 440/97 destinati allo sviluppo dell’autonomia scolastica e al miglioramento dell’offerta formativa 5. Una legge Nazionale sul diritto allo Studio che imponga alle Regioni : borse di studio, reddito di formazione, fondi la progettualità studentesca, misure per l’integrazione, tutela delle minoranze linguistiche, misure per abbattere il digital divide, percorsi di orientamento e rimotivazione scolastica, misure per tutelare la formazione permanente, commissioni paretitiche d’Istituto in ogni scuola. 6. Abolizione del “buono scuola” 7. Innalzamento dell’obbligo scolastico fino al quinto anno di scuola secondaria di secondo grado 8. Cancellazione della possibilità di assolvere all’obbligo scolastico con l’apprendistato 9. Approvazione dello Statuto degli studenti e delle studentesse in stage 10. Approvazione delle commissioni paritetiche in ogni scuola 11. Integrazione dei metodi didattici tradizionali con metodi di didattica altrrnativa 12. Aumento dei fondi destinati al DPR 567 per tutelare l progettualità studentesca 13. 13 miliardi di euro per mettere a norma e innovare le scuole del Paese 14. Una riforma dei cicli scolastici che preveda un Biennio Unitario e un Triennio Specializzante al fine di abbattere la dispersione scolastica e cancellare l’impianto classista attuale che consente una canalizzazione precoce. 15. Abolizione immediata del limite delle 50 assenze 16. Abolizione immediata del voto di condotta 17. Finanziamento dei corsi di recupero dei debiti formativi
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