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Fernández Ziegler, Rodolfo Oscar Estrategia innovativas en la gestión y valorización del paisaje cultural: experiencias italianas y argentinas en comparación / Rodolfo Oscar Fernández Ziegler ; compilado por Rodolfo Oscar Fernández Ziegler. 1a ed . - Bernal : Universidad Nacional de Quilmes, 2016. Libro digital, PDF Archivo Digital: descarga ISBN 978-987-558-373-3 1. Patrimonio Cultural. 2. Paisaje. I. Fernández Ziegler, Rodolfo Oscar, comp. II. Título. CDD 306.4
© Universidad Nacional de Quilmes, 2015 © Universidad de Macerata, 2015 ISBN: 978-987-558-373-3 Queda hecho el depósito que marca la Ley Nº 11.723
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Rodolfo Fernรกndez Ziegler, Miguel Marafuschi Phillips, Gian Luigi Corinto y Enrico Nicosia (Compiladores)
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Introducción Este libro es fruto del esfuerzo mancomunado de la Universidad Nacional de Quilmes (UNQ - Argentina) y la Universidad de Macerata (UNIMC - Italia). Se trata de una nueva iniciativa en el proceso de acercamiento de ambas universidades. El primer encuentro formal entre las mismas se dio el 14 de abril de 2014 cuando se realizó en la Universidad Nacional de Quilmes el I Workshop Interuniversitario Internacional “Estrategias innovativas en la gestión y valorización del paisaje cultural: experiencias italianas y argentinas en comparación”, organizado conjuntamente por la UNIMC y la UNQ. El proyecto tuvo como objetivo la creación de un grupo de investigación que reunió a especialistas italianos y argentinos con el objetivo primordial de analizar e interpretar la percepción, la comunicación y la promoción del patrimonio cultural en relación con la formación de la ciudadanía. La transmisión se realizó a través del Campus Virtual Qoodle, el portal de la UVQ y TV digital para el acceso de la comunidad de la Universidad de Macerata y público general. El tema de las estrategias innovativas en la gestión y valorización de los paisajes culturales resulta complejo por ser el resultado de la interacción de componentes naturales y culturales, materiales e inmateriales, lo que obliga a un análisis del mismo fuertemente interdisciplinario. Por ende, las contribuciones que aquí se presentan provienen del ámbito de la geografía, micro y macro economía e incluso del arte. Dicha diversidad hace que los artículos aquí publicados se encuentren redactados en español, italiano e ingles y que reflejen la riqueza cultural del grupo y de las temáticas investigadas. El interés de comparar dos realidades diversas como la de Italia y la de Argentina se da no solo en los múltiples puntos de contacto de ambas culturas, sino también en la diferencia de fases históricas en que se encontraban ambos países en los siglos XIX y XX. Estas diferencias promovieron el diálogo prolífico de los investigadores. El volumen refleja la diversidad mencionada anteriormente, presentando estudios de caso que ponen en evidencia las diferencias y convergencias relevadas. Los textos incluidos en “Estrategias innovativas en la gestión y valorización del paisaje cultural: experiencias italianas y argentinas en comparación” respetan la consigna del
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título y presentan distintas facetas del paisaje cultural en su más amplio espectro. El primer artículo de Mara Cerquetti (UNIMC) “Tutela e valorizzazione integrata del patrimonio culturale per lo sviluppo dei territori. Verso un nuovo paradigma gestionale” hace hincapié en el valor del patrimonio cultural para el desarrollo del capital social y económico. El trabajo de Humberto Moscatelli (UNIMC) “I paesaggi culturali della montagna tra archeologia dei paesaggi, archeologia rurale e valorizzazione” profundiza en el tema de los paisajes culturales de las montañas y el aprovechamiento de los sitios arqueológicos. En el caso de Cristina Carballo (UNQ) con “El juego entre lo público y lo privado en la valoración de los humedales y las áreas protegidas de la cuenca del río Luján: escenarios de la apropiación de lo sustentable”, el libro introduce el tema del medio ambiente, en particular el de las cuencas hídricas, en la valorización del patrimonio cultural. En el mismo sentido se encuentra el trabajo de Rodolfo Fernández Ziegler (UNQ) “Estrategias de Asociación Ciudadana. Reserva Monte de los Ombúes, estado de entropía 2005–2013”, en este caso referido al tema forestal. La problemática de la seguridad relacionada al turismo y paisajes culturales es afrontada por Grünewald (UNQ) en su texto “La seguridad en el marco de la competitividad de los destinos turísticos”. Por su parte, Walter Chiquiar (UNQ) aporta la visión de la contabilidad no monetaria referida al patrimonio cultural con “Sistema de información contable del Patrimonio Cultural -No monetario (SIC PC-NM)”. El terreno gastronómico como parte del paisaje cultural es presentado por Corinto (UNIMC) y Marafuschi Phillips (UNQ), quienes detallan el tipo de comidas llevadas desde la región de Le Marche a la Argentina. El libro cierra con un nuevo elemento que se suma al paisaje cultural, el cine, a través del trabajo de Enrico Nicosia (UNIMC) “El cine como instrumento de valorización paisajístico. Los lugares de la filmografía de las Marcas”.
Rodolfo Fernández Ziegler y Miguel Marafuschi Phillips
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Tutela e valorizzazione integrata del patrimonio culturale per lo sviluppo dei territori. Verso un nuovo paradigma gestionale Mara Cerquetti
1. Il nuovo contesto europeo La Convenzione quadro sul valore del patrimonio culturale per la società, meglio nota come Convenzione di Faro1 (27 ottobre 2005), ha finalmente riconosciuto a livello europeo non solo il diritto all’eredità culturale2 come espressione del diritto, internazionalmente riconosciuto, a partecipare alla vita culturale, ma anche la responsabilità dei cittadini e delle comunità nei confronti dell’eredità culturale stessa (art. 1). Entrata in vigore il 1° giugno 2011 e firmata dall’Italia il 27 febbraio 20133, sebbene ancora in attesa di ratifica, la Convenzione segna un definitivo cambio di paradigma, accogliendo una nozione dinamica di patrimonio culturale, in cui centrale è il ruolo della partecipazione dei cittadini nei processi di identificazione, studio, interpretazione, protezione, conservazione e presentazione del patrimonio culturale, nonché nella riflessione e nel dibattito pubblico sulle opportunità e sulle sfide che l’eredità culturale rappresenta (art. 12). Si assiste così alla «democratizzazione del processo di assegnazione dell’attributo di culturale ad un oggetto o a un’attività»4. Dando statuto europeo al valore d’uso del patrimonio culturale, al fine di poterne applicare le disposizioni, la convenzione pone in primo piano il ruolo del patrimonio La convenzione prende nome dalla città in cui il 27 ottobre 2005 si è tenuto l’incontro di apertura alla firma degli Stati membri del Consiglio d’Europa e all’adesione dell’Unione europea e degli Stati non membri. 2 Sebbene nel prosieguo del testo si faccia indistintamente riferimento all’“eredità culturale” e al “patrimonio culturale”, nella traduzione italiana della Convenzione si parla di “eredità culturale”, per evitare la sovrapposizione con la nozione di “patrimonio culturale” fornita all’art. 2 del Codice dei beni culturali e del paesaggio (D. Lgs. 42/20014), non comprensiva del patrimonio culturale immateriale. 3 La firma italiana ha portato a 21 il numero di Stati Parti fra i 47 membri del Consiglio d’Europa; di questi, 14 l’hanno anche ratificata. 4 Valentino 2014, p. 111. 1
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culturale «nella costruzione di una società pacifica e democratica, nei processi di sviluppo sostenibile e nella promozione della diversità culturale», riconoscendo la necessità di «una maggiore sinergia di competenze fra tutti gli attori pubblici, istituzionali e privati coinvolti» (art. 1). Muovono nella stessa direzione due recenti documenti europei: le Conclusioni sul patrimonio culturale come una risorsa strategica per un’Europa sostenibile5 e Verso un approccio integrato al patrimonio culturale per l’Europa6. Nel primo, dopo aver riconosciuto il valore del patrimonio culturale per l’innalzamento del capitale sociale e lo sviluppo economico, il Consiglio dell’UE, tra le altre indicazioni, invita gli Stati membri e la commissione a rafforzare il dialogo tra gli stakeholders, al fine di individuare e implementare politiche e azioni coordinate per la gestione sostenibile del patrimonio culturale, adottando un approccio integrato ed olistico all’uso delle risorse, che promuova sinergie tra le politiche pubbliche e incoraggi gli investimenti sul patrimonio culturale. Parallelamente diviene essenziale continuare a promuovere la conoscenza del patrimonio culturale e incoraggiare la partecipazione pubblica, al fine di incrementare la consapevolezza delle sue potenzialità per lo sviluppo sostenibile, anche attraverso l’implementazione dei relativi studi. Nel secondo documento, la Commissione Europea, al fine di «proseguire l’analisi dell’impatto economico e sociale del patrimonio culturale […] e contribuire allo sviluppo di un approccio strategico», come auspicato dal Consiglio dell’UE, descrive le misure «per intensificare la politica di cooperazione a diversi livelli e illustra i progetti in fase di sviluppo volti a sostenere nuovi modelli di governance del patrimonio culturale», con l’obiettivo di «progredire nella direzione di un approccio più integrato a livello nazionale e di UE e, in ultima istanza, rendere l’Europa un laboratorio per l’innovazione» (p. 3) che faccia dell’eredità culturale un driver di vantaggio competitivo. Nell’analisi si auspicano, infine, «forme innovative di gestione orientate alla comunità» in grado di «migliorare notevolmente il […] potenziale economico e sociale» (p. 6) dei territori. Questo rinnovato quadro europeo impone definitivamente agli stati membri di dare “corpo di azione tecnica” a quell’esigenza di globalizzazione e internazionalizzazione già in altre sedi auspicata7, nella direzione di una maggiore integrazione delle politiche, oltre che delle fonti di finanziamento, e di una più forte collaborazione interistituzionale, così come tra pubblico e privato, in linea con le più recenti acquisizioni degli studi Council of the European Union 2014. European Commission 2014. 8 Cfr. Casini 2010 e 2012. 5 6
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di management, che riconoscono nell’approccio sistemico, oltre che nei rapporti collaborativi, la chiave per uno sviluppo sostenibile e duraturo8. Partendo da queste istanze nel prosieguo del lavoro si prenderanno in esame i termini del dibattito che si è svolto in Italia negli ultimi vent’anni, con particolare riferimento alla necessità di coniugare esigenze di tutela e valorizzazione, per poi analizzare il contributo fornito sul tema dagli studi economico-aziendali.
2. La situazione italiana: criticità e segnali di cambiamento In Italia le esigenze di integrazione sono inscritte nella natura stessa del patrimonio culturale materiale, per definizione unitario, essendo le sue «connotazioni dominanti […] la continuità e l’articolazione in contesti»9, ovvero «la densità e lo straordinario spessore dell’accumulazione diacronica riscontrabile quasi in ogni particella del suolo nazionale»10. A fronte dell’omogenea distribuzione e della stratificazione di risorse culturali diversificate sul territorio, il sistema di tutela affermatosi in Italia tra XIX e XX secolo ha, però, dato la preferenza ad un «folle frazionamento»11 basato sulla «cristallizzazione “disciplinare” degli organi di tutela»12 e, dunque, inefficacemente distinto per competenze archeologiche, storico-artistiche e architettoniche13. Sulla spinta alla creazione di un saldo organismo centrale, ulteriormente rafforzata dalla forma statuale fascista, autoritaria e centralizzata, si è inoltre definito un sistema di tutela fortemente accentrato14, con il conseguente «depauperamento delle professionalità tecnico-scientifiche esistenti nell’Ottocento presso molte realtà locali»15 e la loro progressiva concentrazione nell’ambito strettamente statale e fuori dall’università. Né ha segnato un cambiamento la nascita del Ministero per i Beni culturali e ambientali (1974), di fatto non ponendo un freno al progressivo allontanamento dalla tutela di tutti i soggetti pubblici e privati che compongono la Repubblica, così finendo per
Si vedano, tra gli altri, gli studi di strategia aziendale (Grant 2005) e, per il patrimonio culturale, Golinelli 2012. Pavolini 1996, p. 377. 10 Ibidem. 11 Ivi, p. 381. 12 Ivi, p. 380. 13 Sulla scia di Pallottino, Francovich e Carandini, oltre a Pavolini (1996), sostenitore di una soprintendenza unica, si vedano alcuni recenti contributi sull’argomento: Manacorda 2014; Manacorda, Montella 2014; Volpe 2014. 14 Cfr. Tosco 2014. 15 Petraroia 2005, p. 45. Il testo contiene una sintesi efficace del rapporto tra politiche di tutela, valorizzazione e sviluppo del territorio in Italia. 8 9
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disattendere lo stesso dettato costituzionale, che all’art. 9 assegna alla Repubblica la tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico della Nazione. In aggiunta, si segnala una predominante attenzione alla tutela – coincidente con le attività di individuazione, conoscenza e conservazione del patrimonio culturale – rispetto alla valorizzazione, funzione esclusa dalla legislazione fino al 1998, quando, all’art. 150 del D. Lgs. 112/1998, relativo al “Conferimento di funzioni amministrative alle regioni e agli enti locali”, viene identificata come «ogni attività diretta a migliorare le condizioni di conoscenza e conservazione dei beni culturali e ambientali e ad incrementarne la fruizione». Nell’ambito di un dibattito via via più intenso, è proprio a partire dalla fine degli anni Novanta del Novecento che sul piano legislativo si sono verificati alcuni rilevanti cambiamenti, solo in parte colti dalle successive politiche per i beni culturali, che meriterebbero un ulteriore sviluppo verso un’integrazione tra soggetti, e dunque verso una reale partecipazione dei cittadini, in forma singola o associata, e tra oggetti, nella direzione di una maggiore collaborazione tra diversi livelli istituzionali, oltre che tra pubblico e privato, attraverso la creazione di reti territoriali per la tutela e la valorizzazione del patrimonio culturale e ai fini di uno sviluppo duraturo e sostenibile, così come auspicato dalla Convenzione di Faro16. Un provvedimento che segna un cambiamento decisivo e determinante nel quadro normativo nazionale è la L. Cost. 3/2001, contenente la riforma del Titolo V della parte seconda della Costituzione, che, tra gli altri, introduce il principio di sussidiarietà17. Nella sua declinazione verticale tale principio prevede un’allocazione delle funzioni pubbliche a partire dal livello più vicino al cittadino, ovvero dal Comune (Cost., art. 118, comma 1)18, superando così ogni precedente logica accentratrice in favore di un approccio di tipo bottom-up, più vicino alle istanze delle moderne democrazie. Nella sua declinazione orizzontale, invece, la sussidiarietà prevede un riparto di competenze tra pubblico e privato, favorendo «l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale» (Cost., art. 118, comma 4).
Cfr. Valentino 2014. Cfr. Aicardi 2002; Cerulli Irelli 2003. 18 In base all’art. 117 il riparto delle competenze avviene sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza. 16 17
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Per quanto riguarda la tutela e la valorizzazione dei beni culturali, sulla base del criterio del riparto per materia, l’art. 117 del nuovo dettato costituzionale stabilisce che la tutela dei beni culturali è materia di competenza legislativa esclusiva dello Stato, mentre la valorizzazione è materia di legislazione concorrente tra Stato e Regioni. Per quanto riguarda l’amministrazione della tutela, al fine di garantirne l’esercizio unitario, sarà il Codice dei beni culturali e del paesaggio19 a stabilire, sulla base dell’art. 118 della Costituzione, che la sua amministrazione è riservata allo Stato, consentendo il conferimento del suo esercizio alle Regioni tramite forme di coordinamento e intesa (D. Lgs. 42/2004, art. 4, comma 1 e art. 5, commi 3 e 4); quanto alla valorizzazione, invece, se ne prevede l’esercizio da parte del soggetto titolare del bene, auspicando forme di accordo con altri soggetti pubblici e privati. Ulteriore innovazione riguardante il management pubblico, precedente alla riforma costituzionale e foriera di possibili e rilevanti ricadute per il settore dei beni culturali, è stata e continua ad essere la programmazione negoziata, a cui fin dalla fine degli anni ’90, in assenza di una normativa in materia, è stata affidata la cooperazione tra amministrazioni statali e regionali, attraverso gli strumenti disciplinati dalla L. 662/1996 (“Misure di razionalizzazione della finanza pubblica”) – intesa istituzionale di programma, accordo di programma quadro e accordo di programma –, alle cui disposizioni ha dato attuazione la delibera Cipe 21 marzo 1997 (“Disciplina della programmazione negoziata”) e, infine, l’art. 34 del D. Lgs. 267/2000 (“Testo Unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali”) in tema di “Accordi di programma”. Come è stato già rilevato, tale sistema è, prima che una procedura, «un metodo di governo territoriale, che privilegia il confronto e l’incontro delle responsabilità istituzionali, in una logica di sussidiarietà e partenariato»20, una cultura della corresponsabilità, dunque, i cui vantaggi risiedono, oltre che nella semplificazione delle procedure, nella capacità di raccordare in un unico atto obiettivi riconducibili a interessi pubblici diversi e il cui successo è subordinato «alla capacità di leadership, affidabilità professionale e capacità organizzativa dei soggetti attuatori»21. Tale normativa di tipo pattizio, attraverso la cooperazione di una molteplicità di attori chiamati a negoziare obiettivi e strategie in funzione di un risultato condiviso, ben si adatta alla complessità della società attuale22. In particolare, nella gestione del patrimonio culturale, la programmazione negoziata consente di «liberare, per la prima volta, energie “per” qualcosa da realizzare in
Successivamente denominato Codice. Cammelli 2011, p. 183. 21 Petraroia 2007, p. 49. 22 Cfr. Nicolai 1999; Zanetti 2000; Petraroia 2006. 19 20
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modo condiviso»23, dando consistenza a «un processo di “abilitazione” dei soggetti istituzionali più vicini ai cittadini e ai loro bisogni»24. Un esempio di programmazione negoziata applicata al settore dei beni culturali è l’Accordo quadro di sviluppo territoriale “Magistri Comacini”, promosso dalla Regione Lombardia e sottoscritto il 31gennaio 2005, allo scopo di favorire la valorizzazione culturale e turistica del Lago di Como e in particolare dell’area dei “Magistri Comacini” 25. L’accordo ha coinvolto diversi soggetti pubblici e privati26, attivando complessivamente 14.362.354,54 € e con un rilevante finanziamento da parte di Fondazione Cariplo (6.000.000,00 €). Obiettivo specifico dell’accordo, iniziativa pilota che ha anticipato il più ampio progetto dei distretti culturali di cui si darà conto più avanti (§ 3), è stato quello di promuovere «la crescita globale dell’area, la decongestione e il riequilibrio, il miglioramento dell’offerta, la migliore conservazione del patrimonio, la crescita dei servizi per i residenti, l’incremento dell’occupazione»27, attraverso interventi, finalizzati alla riqualificazione del territorio, che combinassero le esigenze culturali e turistiche con quelle residenziali ed occupazionali, investendo nella formazione professionale nei settori della conservazione del patrimonio culturale e della ricettività turistica. Sulla linea della cooperazione inaugurata dalla programmazione negoziata si muove anche il Codice, che all’art. 112, comma 4, stabilisce chelo Stato, le regioni e gli altri enti pubblici territoriali stipulano accordi per definire strategie ed obiettivi comuni di valorizzazione, nonché per elaborare i conseguenti piani strategici di sviluppo culturale e i programmi, relativamente ai beni culturali di pertinenza pubblica. Gli accordi possono essere conclusi su base regionale o subregionale, in rapporto ad ambiti territoriali definiti, e promuovono altresì l’integrazione, nel processo di valorizzazione concordato, delle infrastrutture e dei settori produttivi collegati. Gli accordi medesimi possono riguardare anche beni di proprietà privata, previo consenso degli interessati. Lo Stato stipula gli accordi per il tramite del Ministero, che opera direttamente ovvero d’intesa con le altre amministrazioni statali eventualmente competenti. Petraroia 2005, p. 50. Ivi, p. 51. 25 Cfr. <http://www.aqstmagistricomacini.it/>. Sull’argomento si vedano anche: Petraroia 2005; Cammelli 2011. 26 I soggetti sottoscrittori dell’AQST sono: Regione Lombardia, Provincia di Como, Fondazione Cariplo, Comunità Montana “Lario Intelvese”, i Comuni dell’area interessata dal progetto (Bellagio, Cernobbio, Laino, Ossuccio, Tremezzo), Villa Mainona, Villa Bolivianina, Ente Villa Carlotta, Parrocchia S. Eufemia di Isola di Ossuccio, Parrocchia SS. Nazaro e Celso di Scaria Intelvi, Villa Vigoni, Associazione per la Protezione del Patrimonio Artistico e Culturale della Valle Intelvi, Centro Studi Magistri Comacini presso Famiglia Comasca, Diocesi di Como, Ente Ecclesiastico Santuario della Beata Vergine del Soccorso, Fondazione Isola Comacina, Fondo per l’Ambiente Italiano, Unione dei Comuni della Tremezzina, Università degli Studi dell’Insubria. 27 <http://www.aqstmagistricomacini.it/>. 23 24
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In aggiunta alle forme di collaborazione, sistematiche e strutturate, tra pubblico e privato, già previste al precedente art. 111, si incoraggia così, sul piano normativo, la concertazione su tre livelli distinti: 1) strategico, riguardante l’identificazione delle linee portanti del progetto di valorizzazione28, del territorio, dei beni culturali di interesse e dei soggetti coinvolti; 2) di programmazione specifica, relativamente alla definizione di obiettivi specifici, tempi e modi di intervento; 3) di gestione, concernente la messa in opera delle attività. A tal riguardo, si segnala, come possibile modello, la proposta, rimasta senza seguito, di protocollo d’intesa tra il Ministero per i Beni e le Attività Culturali e la Regione Lombardia per «lo studio e la sperimentazione [...] di modalità innovative di esercizio della tutela dei beni culturali e dei livelli minimi uniformi di qualità delle attività di valorizzazione», finalizzato all’individuazione di norme tecniche e metodologie, linee guida, criteri e modelli di intervento e dei profili professionali necessari29. Come auspicato da Pietro Petraroia, e ulteriormente ribadito da Massimo Montella, infatti, al fine di raggiungere quella fiducia reciproca in grado di garantire il concorso dei privati e la compartecipazione di più soggetti pubblici alla valorizzazione dei beni culturali e paesaggistici, è necessario pervenire a regole condivise, che consentano ai cittadini e agli enti pubblici e privati «di conoscere con chiarezza quali siano gli ambiti, le modalità e le motivazioni di esercizio della discrezionalità tecnica degli organi di tutela rispetto a prospettive di intervento su beni tutelati»30, e dunque «chiarire finalmente quali siano le esigenze della tutela di cui parla l’art. 6 del Codice e chiarirle in modo operativo e non in astratto, non riservandone l’interpretazione alle soggettive valutazioni dei soprintendenti, che, non avendo per altro una formazione comune, coltivano ciascuno una personale idea di tutela»31. Solo muovendo in questa direzione e implementando efficacemente le forme di collaborazione già previste dalla legge, è possibile conseguire quell’innovazione della “cultura della tutela” da più parti auspicata: riguardo all’oggetto, che non deve più essere costituito solo dalle cose, ma anche dai «contesti» in cui queste cose insistono; riguardo al soggetto, che non deve più essere solo «lo Stato», ma anche «la società civile»; riguardo alla procedura, che non deve più ridursi solo al «vincolo amministrativo», ma anche a quello che potrebbe essere Esto del protocollo d’intesa pubblicato in Montella, Dragoni 2010, pp. 192-196. Montella 2010, p. 177. 30 Petraroia 2014, p. 45. Sull’argomento si veda anche: Petraroia 2010. 31 Montella in Manacorda, Montella 2013, p. 83. 28 29
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definito «vincolo civico»; riguardo agli strumenti, che non debbono più ridursi a pratiche puntiformi di «restauro estetico», ma piuttosto alla «manutenzione programmata»32. Nel continuo sciame normativo che contraddistingue il settore33, se non si vuole pervenire ad uno svuotamento di senso delle riforme in corso, la definizione delle linee guida e dei disciplinari tecnici e metodologici sopra richiamati risulta dunque essenziale.
3. L’apporto degli studi economico-aziendali: stato dell’arte e prospettive future In questo quadro, in cui diversi sono i termini ancora da chiarire per conseguire efficacemente l’integrazione (di competenze, di risorse, di settori, di soggetti, etc.) e la partecipazione dei cittadini oggi auspicate anche in sede europea, nel corso degli ultimi vent’anni gli studi economico-aziendali hanno suggerito agli addetti ai lavori possibili strumenti di gestione basati sulla collaborazione interorganizzativa. In particolare, nell’ambito degli studi sui processi di cooperazione, è stato rilevato come nel settore culturale le reti possano rispondere ad esigenze sia culturali che economiche, configurandosi come «come infrastruttura di servizio, modello di governance e forma organizzativa e gestionale»34. Per quanto riguarda le determinanti culturali, legate alla nozione sistemica e contestuale di bene culturale estendibile a dimensione di paesaggio35, si rileva che il patrimonio culturale non si esaurisce nella somma di singole emergenze monumentali, né tanto meno nei beni musealizzati, ma comprende, in un’accezione di lata ampiezza antropologica, ogni testimonianza materiale e immateriale avente valore di civiltà, nonché le relazioni storiche, culturali ed economiche con il contesto di riferimento. Da questo punto di vista, la rete, dunque, ben si adatta alla specificità italiana, caratterizzata, come precedentemente richiamato (§ 2), dalla continuità territoriale dei fenomeni culturali, che fa dell’Italia un “triplice museo naturale”36 e che trova espressione nella capillare Covatta, Cammelli 2013, p. 295. Casini 2012, p. 174. Senza entrare nel merito delle recenti riforme del MiBACT si fa qui riferimento in particolare alla «fatica di Sisifo dell’infinita riforma organizzativa» (p. 171) del Ministero. 34 Seddio 2013, p. 32. 35 Cfr. Montella 2003. 36 Chastel 1980. 32 33
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diffusione dei musei e del patrimonio culturale sul territorio (capillarità), nel legame del patrimonio musealizzato con quello diffuso (contestualità) e nella fittissima trama di relazioni che lega tra di loro le singole raccolte (complementarità)37. L’organizzazione in rete, concretizzando le strategie riconducibili alla formula del “museo-territorio”38, permetterebbe, in sintesi, di aggiungere valore alle singole organizzazioni museali e di valorizzarne i tratti distintivi. Da un punto di vista economico-gestionale, la rete consente, invece, di raggiungere il confine efficiente delle diverse attività e la conseguente soluzione del problema dimensionale, così creando le condizioni per un’adeguata valorizzazione in particolare per quegli istituti museali caratterizzati da raccolte di ridotta quantità e non eccelso valore estetico-monumentale. In particolare, attraverso la ripartizione dei costi fissi e la riduzione dei costi di transazione, le reti permetterebbero di conseguire economie di scala e di saturare la capacità produttiva delle risorse. Da qui deriverebbe la possibilità di conseguire gli obiettivi qualitativi e quantitativi non raggiungibili dalle singole organizzazioni, ovvero di acquisire una migliore posizione competitiva, di migliorare l’immagine e la conseguente attrazione di maggiori finanziamenti esterni, di scambiare informazioni e dotazioni, di realizzare progetti più qualificati, di ampliare la gamma dei servizi offerti, innalzandone il livello di qualità, di rafforzare la legittimazione nei confronti di altre istituzioni, di instaurare rapporti interorganizzativi diffusi, che, come per le piccole imprese, costituiscono uno dei maggiori fattori di innovazione. La rete si configura, dunque, come un modello per la gestione degli istituti culturali italiani, organizzazioni di piccole dimensioni ed interesse, se non anche di proprietà, locale, con enormi vincoli strutturali ed economico-finanziari, ma strettamente collegati al territorio che li ospita e al patrimonio diffuso39. Anche sulla spinta dei programmi di finanziamento europeo, in particolare le Regioni hanno così promosso politiche finalizzate alla realizzazione di reti o sistemi museali regionali o subregionali40, più o meno formalizzati e istituzionalizzati e oggetto di ulteriori studi41, ma non sempre capaci di soddisfare le esigenze degli istituti museali in termini
Cfr. Golinelli 2008. Dragoni 2005. 39 Cfr. Bianchi 1996; Zan 1999; TCI 2000; Bagdadli 2001; Montella 2003; Hinna, Minuti 2009 e 2012; Seddio 2013. 40 Cfr. La Monica, Pellegrini 2009; <http://sistemimuseali.sns.it/>. 41 Cfr. Alberti 2005; Collodi et al. 2005; Montella M.M. 2014. 37 38
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di miglioramento della qualità dei servizi e aumento della gamma di offerta42, tanto che si va segnalando l’opportunità di affiancare ad un progetto di rete un piano di gestione integrata degli interventi di valorizzazione, in grado di chiarire il posizionamento del progetto e qualificarne la «capacità di attivare e rigenerare nel tempo le condizioni per il raggiungimento di una molteplicità di risultati attesi»43. Questo consentirebbe anche di evitare il proliferare di reti la cui gestione risulta insostenibile. A tal proposito, utile sarebbe il ricorso a reti a geometria variabile44, che prevedono networks di dimensioni differenti a seconda della massa critica necessaria all’adeguata fornitura di materiali e servizi, da garantire anche attraverso forme di esternalizzazione, e alla produzione dei diversi servizi da erogare45. Tra i positivi esempi di gestione val la pena ricordare il caso del Sistema dei Parchi Val di Cornia46. Se, per la capillare distribuzione del patrimonio culturale sul territorio e la varietà delle problematiche chiamate in causa (riconversione economica di un’area industriale dismessa, valorizzazione congiunta di risorse culturali e ambientali, musealizzazione di siti archeologici), la Val di Cornia costituisce un caso tipicamente italiano, per l’innovatività delle soluzioni proposte (gestione imprenditoriale del patrimonio pubblico, organizzazione in rete di diversi soggetti pubblici e privati, interconnessione tra filiera culturale e filiera turistica), il Sistema ha fornito un’efficace risposta ai vincoli strutturali e finanziari propri di gran parte degli istituti e luoghi della cultura italiani, così da poter essere considerato una best practice nella gestione integrata del patrimonio culturale e naturalistico su scala sovracomunale47. Sebbene il dibattito circa l’effettiva implementazione di processi di networking si sia spesso appiattito su operazioni di “ingegneria istituzionale”48, che da sole non sono sufficienti a garantire efficacia ed efficienza della gestione, alcuni studi hanno posto attenzione anche ai possibili modelli di governance del patrimonio culturale, di tipo multi-scala e in grado di favorire il partenariato con le imprese e permettere un’effettiva partecipazione dei cittadini49. Cfr. Cerquetti 2008; Pencarelli, Splendiani 2011; Libera Università di Lingue e Comunicazione IULM 2013. Seddio 2013, p. 84. 44 Cfr. Montella 2002. 45 Se i servizi di manutenzione e controllo antifurto e antincendio possono essere convenientemente condivisi solo tra nodi molto vicini, i servizi di accoglienza possono essere estesi ad un’area più vasta, fino ad arrivare all’attività editoriale, che trova il confine efficiente dell’organizzazione solo su scala regionale, e al rights management, che richiede dimensioni ancora più estese. 46 Cfr. <http://www.parchivaldicornia.it/>. 47 Per un approfondita analisi del caso si rimanda a: Casini, Zucconi 2003; Luzzati, Sbrilli 2009; Cerquetti 2012. 48 Seddio 2013, p. 39. 49 Cfr. Golinelli 2008; Donato 2013. 42 43
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Su questa linea le strategie di valorizzazione sono arrivate a comprendere tutti gli assets del territorio, promuovendo, con un approccio di tipo distrettuale, l’integrazione dello stock di capitale culturale materiale ed immateriale con l’insieme delle risorse e dei processi produttivi locali, nell’ambito di un contesto geografico dai confini ben definiti50. Tale approccio prevede una gestione del patrimonio culturale orientata verso politiche di sviluppo compatibili con i valori del territorio, attraverso l’interazione tra l’armatura culturale dei luoghi, intesa come matrice formativa delle identità locali e come strumento attivo di sviluppo locale, e il sistema di servizi e filiere produttive che vi gravitano intorno e l’attivazione di iniziative di rete51. Nel settore dei beni culturali l’avvio di percorsi di tipo distrettuale e però, un’azione di policy, finalizzata a definire forme di collaborazione relativamente stabili tra attori pubblici e privati con interessi non sempre convergenti, che mettono in comune risorse per raggiungere un comune obiettivo52. Tra le esperienze che possono costituire un modello non solo di collaborazione tra pubblico e privato e tra diversi livelli istituzionali, ma anche di gestione delle procedure, si segnala il caso dei 6 distretti culturali promossi e sostenuti da Fondazione Cariplo53, con un importo fino a 3,8 milioni di euro per ciascun distretto a fronte di un cofinanziamento di pari valore da parte di altri soggetti del territorio. Le principali sfide del progetto, finalizzato alla valorizzazione del patrimonio culturale in una logica di sviluppo territoriale basata sulla sinergia tra beni culturali e ambientali, servizi e attività produttive, sono state visione di lungo periodo, investimento sul capitale umano, integrazione tra filiere produttive e settore cultura, innovazione dei servizi e delle metodologie e sostenibilità delle azioni proposte. Il progetto, al quale ha collaborato anche la Regione Lombardia, a seguito della stipula di un apposito protocollo d’intesa, si è sviluppato in quattro fasi: una prima fase (2005-2006), in cui è stato condotto uno studio di pre-fattibilità finalizzato all’individuazione di 31 aree in cui creare i distretti sulla base di criteri di omogeneità; una seconda fase (2007-2008), in cui la Fondazione ha selezionato, attraverso un bando, 11 territori in cui realizzare studi di fattibilità operativa per la verifica delle condizioni istituzionali ed economiche necessarie allo sviluppo dei distretti; una terza fase (2008-2010), a conclusione della quale sono stati Cfr. Valentino 2003. Cfr. Carta 2004. Non tutte le forme di distretto culturale partono dalla valorizzazione delle risorse culturali storiche. Alcune forme di distretto culturale, pensate per contesti urbani o industriali, fanno piuttosto riferimento all’“atmosfera creativa” e sono riconducibili al tema delle “città creative” (Santagata 2014). Per una più ampia disamina delle diverse forme di distretto culturale censite in letteratura si veda: Francesconi, Cioccarelli 2013. 52 Cfr. Hinna, Seddio 2013. 53 Cfr. <http://www.fondazionecariplo.it/it/progetti/arte/distretti-culturali/distretti-culturali.html> e <http://www. distretticulturali.it/>. Per un ulteriore approfondimento si veda: Barbetta et al. 2013. 50 51
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selezionati 6 progetti, che hanno ricevuto il finanziamento per la creazione dei distretti; e una quarta fase, in cui i distretti sono partiti concretamente54. Questo percorso ha così consentito di creare «lo spazio e il tempo in cui far maturare alcune condizioni fondamentali per la realizzazione del distretto, la partnership, l’assetto istituzionale e organizzativo e la sostenibilità finanziaria dell’operazione»55. Da questo modello sembra opportuno ripartire per promuovere forme di sviluppo territoriale culture driven che coinvolgano attori pubblici e privati verso il perseguimento di un obiettivo condiviso, evitando la dispersione di risorse in una frammentazione di progetti non sostenibili nel lungo periodo.
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Di seguito i 6 distretti approvati e avviati: “Valle Camonica” (marzo 2009), “Dominus. Oltrepo’ Mantovano” (aprile 2010), “Le Regge dei Gonzaga” (luglio 2010), il “Distretto Culturale di Monza e Brianza” (luglio 2010), il “Distretto Culturale della Provincia di Cremona” (luglio 2010) e il “Distretto Culturale della Valtellina” (settembre 2010). 55 Chiavarino et al. 2013, p. 121. 54
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I paesaggi culturali della montagna tra archeologia dei paesaggi, archeologia rurale e valorizzazione Umberto Moscatelli
Riassunto Questo articolo illustra alcune problematiche legate alle ricerche di archeologia del paesaggio che si svolgono nell’entroterra montano di Macerata, nell’ambito del progetto R.I.M.E.M. Le ricognizioni di superficie qui condotte hanno incrementato in modo esponenziale la conoscenza del patrimonio archeologico presente nelle aree oggetto di indagine. L’efficacia dell’azione conoscitiva, tuttavia, stenta a riversarsi nelle politiche di sviluppo territoriale per una serie di cause di cui l’articolo cerca di render conto. Parole chiave: archeologia del paesaggio, archeologia rurale, archeologia dell’architettura, valorizzazione dei beni culturali.
Premessa Le pagine che seguono traggono lo spunto dalle attività svolte da un gruppo di ricerca, da me coordinato, nell’ambito del progetto R.I.M.E.M. (Ricerche sugli Insediamenti Medievali nell’Entroterra Marchigiano)1. Scopo generale di tale progetto è lo studio del paesaggio all’interno di un ampio settore dell’entroterra marchigiano, caratterizzato da una prevalenza di terreni acclivi (montagna e alta collina), in mezzo ai quali si incuneano tratti di vallecole o di versanti a pendenza nulla o moderata, (Fig. 1). Sul progetto si veda U. Moscatelli, Transizioni. Aspetti delle campagne dell’entroterra maceratese tra tardoantico e altomedioevo, Atti del IV Convegno Internazionale di Studi Veleiati (Veleia-Lugagnano Val d’Arda, 20-21 Settembre 2013), a cura di P. L. Dall’Aglio, C. Franceschelli, L. Maganzani, Bologna 2014, pp. 379305. L’articolo contiene la bibliografia precedente, alla quale va ora aggiunto E. Maroni, Progetto R.I.M.E.M. Un sito inedito nell’alta valle del Chienti: Fiungo, in G. Capriotti, F. Coltrinari (a cura di), Periferie. Dinamiche economiche territoriali e produzione artistica, «Il Capitale Culturale», 10, 2014, pp. 91-120.
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Fig. 1: Area di intervento del progetto R.I.M.E.M. Le aree retinate in grigio indicano le Unità topografiche finora esplorate.
Collocata marginalmente rispetto alle logiche insediative contemporanee e alla relativa distribuzione dei servizi, demograficamente segnata dai processi di spopolamento successivi al secondo conflitto mondiale che ne hanno fortemente indebolito l’economia, l’area oggetto di studio beneficiava invece, nelle epoche passate, di una rete di percorsi stradali di cui è stato in varie occasioni sottolineato il ruolo svolto nei collegamenti economici e culturali con l’Umbria e grazie ai quali abbiamo ereditato un patrimonio di beni culturali che, se non eclatante sotto il profilo monumentale, risulta tuttavia storicamente significativo e capillarmente diffuso. La scelta del contesto della ricerca è in linea con il forte interesse di cui le aree montane e interne sono attualmente oggetto da parte di studiosi italiani ed europei2 e si associa a un crescente affermarsi della sensibilità alle tematiche della geografia, dell’archeologia ambientale e dell’ecologia storica, sia pure con una diversa soglia di attenzione e con diverse inclinazioni di scuola, a seconda dei Paesi Europei e dei gruppi di ricerca3. In Italia, nel campo delle ricerche sul paesaggio, è in atto una rinascita delle tematiche proprie dell’archeologia rurale4, che contribuisce alla progressiva affermazione di un approccio meno sitocentrico e molto più aperto allo studio di una serie di temi meno tradizionali, come spazi del lavoro, recinti pastorali, 2 Cfr. ad esempio S. Tzorzis, X. Delestre (a cura di), Archéologie de la montagne européenne, Actes de la table ronde internazionale de Gap (29 settembre – 1 ottobre 2008), Aix-en-Provence, Centre Camille Jullian, 2010; K. Walsh, S. Richer, Attitudes to altitude: changing meanings and perceptions within a ‘marginal’ Alpine landscape – the integration of palaeoecological and archaeological data in a high-altitude landscape in the French Alps, «World Archaeology», 38, 3, 2006, pp. 436-454; P.M. Van Leusen, Archaeological sites recorded by the GIA Hidden Landscapes survey campaigns in the Monti Lepini (Lazio, Italy), 2005-2009, «Palaeohistoria», 51/52 (2009/2010), pp. 329-424; S. Magnani (a cura di), Le aree montane come frontiere e/o come spazi di interazione e connettività /Mountain Areas as Frontiers and/or Interaction and Connectivity Space (Atti del Colloquio Internazionale, UdineTolmezzo, 10-12 dicembre 2009), Roma 2013; P. L. Dall’Aglio, C. Franceschelli, L. Maganzani (a cura di), Atti del IV Convegno Internazionale di Studi Veleiati (Veleia-Lugagnano Val D’Arda, 20-21 settembre 2013), Bologna, Ante Quem. 3 Si veda la bibliografia citata alla nota 13.
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sistemi di gestione delle acque, parcellario agrario, terrazzamenti agricoli, viabilità minore, aree estrattive, produzione del carbone, produzione della pece, mulini ad acqua e altro ancora5. Anche la casa rurale torna ad esserlo in Italia dopo la nota serie di volumi delle Ricerche sulle dimore rurali in Italia6. Stanti tali premesse, una sintesi critica degli attuali orientamenti nel campo dell’archeologia del paesaggio ne mette in rilievo la tensione diacronica e olistica, in una cornice intellettuale grazie alla quale riguadagna lo spazio appropriato il concetto di paesaggio come tessuto complesso e come prodotto storico dalla connotazione dichiaratamente sociale7. È questa una prospettiva coerente con le impostazioni teoriche già formulate negli anni Ottanta da Tiziano Mannoni e fatte proprie anche dall’Istituto per lo Studio della Cultura Materiale8 nell’ambito delle attività da esso promosse, che ha già prodotto in Italia e in Europa una nutrita bibliografia9. D. Moreno, G. F. 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Per approcci complessivi, diacronici e multitematici, allo studio del paesaggio, si vedano ad esempio J. A. Quirós Castillo (a cura di), (a cura di), Archeologia e storia di un castello apuano, Firenze, All’Insegna del Giglio, 2004; G.P. Brogiolo, Paesaggi storici del Sommolago: strumenti, metodi e limiti della ricerca, in Id. (a cura di), APSAT 3. Paesaggi storici del Sommo-lago, Mantova, SAP, 2013. Per l’uso delle acque e per le pratiche di utilizzo del suolo in Spagna, cfr. da ultimo H. A. Orengo, A. Ejarque, R. Albiach, Water management and land-use practices from the Iron-Age to the Roman period in Eastern Iberia, «Journal of Archaeological Science», 49, 2014, pp. 265-275. Su terrazzamenti agricoli: J. R. 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Impatto del progetto sulla conoscenza del patrimonio archeologico Le ricerche connesse al progetto R.I.M.E.M. si sono sviluppate nel corso di dieci su una vasta superficie distribuita tra i territori di varie amministrazioni comunali. In considerazione del taglio di questo Wokshop, tralascio ovviamente i dettagli tecnici delle procedure adottate, degli aspetti relativi alla qualità e quantità dei dati raccolti e infine delle questioni connesse ai processi interpretativi dei dati medesimi. È invece più utile, con il fine di dimostrarne la centralità rispetto al tema dell’incontro, render conto delle attività svolte mettendone in evidenza la portata e il significato nei singoli contesti di applicazione.
Archeologia dei campi arati Lo scopo della perlustrazione delle zone caratterizzate da attività agricole che comportano l’aratura dei terreni è, come noto, quello di documentare la presenza, la distribuzione, la quantità e il profilo crono-tipologico dei reperti (principalmente ceramici) che le arature stesse riportano in superficie, per poi ricavarne gli elementi utili ad una ricostruzione del significato storico che gli oggetti recuperati ebbero all’interno delle società che li utilizzarono. Benché, in riferimento alle condizioni originali del contesto stesso, l’affidabilità testimoniale del record di superficie dipenda da una cospicua quantità di variabili, resta il fatto che esso copre una percentuale largamente maggioritaria dell’intero patrimonio archeologico, eccezion fatta per quei casi in cui la rilevanza delle coperture vegetali o geopedologiche (fenomeni colluviali) sia tale da rendere inattuabili le osservazioni di superficie. Ciò significa che le testimonianze del passato alle quali abitualmente si ancora la nostra percezione del paesaggio, e cioè l’edificato storico in tutta la sua varietà tipologico - cronologica e in tutte le sue forme di aggregazione, non sono che piccole isole e che in realtà il grosso delle potenzialità si trova nei grandi spazi che si estendono tra un’isola e l’altra, come è normale che sia nel continuum del paesaggio. L’esplorazione analitica attuata durante le campagne di ricognizione R.I.M.E.M. ha reso possibile il recupero di decine di migliaia di reperti
A semplice titolo esemplificativo: J. A. Quirós Castillo, Archeologia e storia cit.,; A. Almudena Orejas, Arqueología de los paisajes agrarios e historia rural, in Ead. (a cura di), Arqueología Espacial:Espacios Agrarios, Teruel, 2006, pp. 7-19; J. A. Quirós Cas-tillo, Arqueología del campesinanado cit.; M. Conesa, Capbreu et paysage. Remarques sur l’utilisation d’une source seigneuriale dans l’étude des paysages des Pyrénées de l’Est (Cerdagne, XVIe – XVIIIe siècle), «LIAME», 14, 2007, pp. 97-124.
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ceramici di ogni livello cronologico, che hanno restituito profondità storica ad aree oggi spopolate, dimostrandone la vitalità demografica ed economica e certificandone una potenzialità patrimoniale che si spinge molto al di là dei luoghi comuni da cui attinge a piene mani la già scarna editoria turistica locale (fig. 2). I quadri ricostruiti grazie alle tecniche del survey vanno tra l’altro a completare l’immagine che del passato offrono i resti monumentali, definendone nei modi opportuni i rispettivi significati all’interno di un tessuto di relazioni complessivo, pertanto in controtendenza rispetto a una cartellonistica modellata dalla propensione entomologica a inchiodare i resti architettonici all’innaturale fissità di scale cronologiche che ne negano la natura di organismi in continua trasformazione.
Fig. 2: Reperti ceramici medievali recuperati nell’area di Fiastra.
Archeologia dell’architettura Proprio l’edificato storico è uno dei principali settori di intervento del progetto10. Il lavoro sul terreno ne rivela la ricchezza in termini di numerosità e di varietà tipologica e funzionale, ben al di là delle consuete categorie (chiesa, abbazia, castello, palazzo). A differenza dei contesti archeologici sepolti, la cui diacronia è riconoscibile solo mediante le tecniche dello scavo stratigrafico, i prospetti degli edifici (in assenza di restauro o di restauro mal condotto) narrano la loro storia tramite la discontinuità degli apparati murari, che l’analisi di un esperto ricompone in una sequenza ordinata, attraverso l’identificazione delle Unità Stratigrafiche Murarie (USM). Positive o negative, le USM sono la traccia materiale di azioni volontarie (costruttive o distruttive) o di eventi distruttivi collegati a cause naturali; nel loro insieme esse costituiscono la serie stratigrafica dell’edificio, cioè
In proposito, si veda anche A. D’Ulizia, Archeologia dell’architettura nelle Marche meridionali. Le strutture fortificate nella valle del Chienti tra XIII e XV secolo, «Archeologia dell’Architettura», XIII, 2008, pp. 47-75.
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quella successione di azioni ed eventi cronologicamente e funzionalmente concatenati che si sono succeduti dopo la sua costruzione e che ne hanno permesso la sopravvivenza nel tempo: adattamenti funzionali, restauri, manutenzioni, distruzioni e ampliamenti11. Grazie a tale cura, il vivere contemporaneo spesso si consuma negli stessi spazi del passato; i corpi di fabbrica dei borghi o delle case isolate portano nei muri perimetrali o nelle volumetrie interne le tracce materiali degli interventi che ne hanno modellato l’attuale aspetto, in alcuni casi a partire dal Medioevo. Le pratiche dell’archeologia dell’architettura vanno quindi a calarsi in contesti in cui i segni del passato si intrecciano alla vita odierna. Ciò da un lato accorcia la distanza tra l’archeologo e il cittadino comune, dall’altro genera inevitabili conflitti perché le priorità scientifiche del primo il più delle volte non si allineano al punto di vista del possessore di un edificio storico, che vi individua solo la propria abitazione. Il contrasto è naturalmente più forte nei casi in cui l’analisi archeologica viene eseguita a monte di interventi di restauro e avrebbe quindi la possibilità di orientare quest’ultimo verso metodologie di carattere conservativo, piuttosto che in direzione di scelte condizionate dalle preferenze estetiche del committente o da poco interesse per le problematiche scientifiche e per la dimensione storica del restauro12.
Il tessuto connettivo tra edificato storico e campi arati Le ricognizioni nei campi arati e l’archeologia dell’architettura non sono mondi separati; entrambe operano infatti su un tessuto connettivo continuo che la parola campagna confina, con un’evidente distorsione, in un ambito semanticamente inadatto. In realtà gli spazi rurali in mezzo ai quali troviamo cocci ed edifici non sono una natura indistinta, bensì il risultato di secoli di mediazione tra l’ambiente fisico e i gruppi umani, che in quell’ambiente costruivano sì le loro dimore, i loro sistemi difensivi e le loro chiese, ma nel quale oltre a ciò realizzavano i loro spazi di lavoro, le loro colture e le loro strade. Perfino i boschi sono da ritenere espressione della società locale e non di un’opera spontanea della natura, secondo una prospettiva scientifica che
11 Su queste problematiche, cfr. A. Boato, L’archeologia in architettura. Misurazioni, stratigrafie, datazioni, restauro, Venezia, Marsilio, 2008; G P. Brogiolo, A. Cagnana (a cura di), Archeologia dell’architettura. Metodi e interpretazioni, Firenze, All’Insegna del Giglio, 2012. 12 Si vedano ad esempio le pubblicazioni uscite nel 2009 nell’ambito del progetto I borghi storici minori dell’entroterra marchigiano. Riuso e valorizzazione, promosse dai Gruppi di Azione locale Montefeltro-leader, GAL Flaminia Cesano, Colli Esini, Gal Sibilla e Gal Piceno: <http://borghidellemarche.it/> (5-1-2015).
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vanta una lunga tradizione ma che non sempre, specie in Italia, viene recepita13. Per questo l’equazione campagna = natura (con le annesse derive contemplative dei piani di sviluppo territoriale14) non è accettabile; l’ ambiente naturale non esiste, ci sono invece spazi non edificati nei quali sono impresse le secolari impronte pluristratificate dei sistemi di gestione delle acque, dei terrazzamenti agricoli sui versanti, del frazionamento proprietario mezzadrile, della rete viaria principale e poderale, e via dicendo. In tale ottica il lavoro specialistico sul campo è ovviamente centrale, ma non lo è di meno la compulsazione della documentazione archivistica, cartografica e testuale. Contrariamente a quanto si ritiene, l’archeologia non è precisamente una disciplina object oriented, sebbene sia innegabile che gli archeologi si differenzino dagli storici perché il loro lavoro è principalmente rivolto agli oggetti della cultura materiale; però la definizione dei significati che questi possono restituire nella lettura delle relazioni all’interno dell’ordine sociale necessita anche dell’apporto delle fonti scritte, diverse dalle e complementari alle fonti archeologiche (la natura «non verbale» di queste ultime infatti richiede l’intervento ermeneutico dell’archeologo)15. Gli approfondimenti condotti 13 Su tali tematiche si vedano O. Rackham, The history of countryside, London, 1986; D. Moreno, Dal Documento al terreno. Storia e archeologia dei sistemi agro-silvo-pastorali, Bologna, Il Mulino, 1990; D. Moreno, R. Cevasco, M. A. Guido, C. Montanari, R. Cevasco, L’approccio storico-archeologico alla copertura vegetale: il contributo dell’archeologia ambientale e dell’ecologia storica, in G. Caneva (a cura di), La biologia vegetale per i Beni Culturali, vol. II, Conoscenza e valorizzazione, 2, Firenze, Nardini 2005, pp. 463-498; R. Cevasco, E. Marullo, A. Stagno A.M., L’analisi della cartografia storica per lo studio delle variazioni della copertura vegetale nel SIC Rocca Grande-M.te Pu (Liguria orientale), Atti della 9a Conferenza Nazionale ASITA, Vol. 1, 2005, pp. 683-688; R. Cevasco R. 2007, Memoria verde. Nuovi spazi per la geografia, Reggio Emilia, Diabasis, 2007; D. Moreno, Microanalisi geo-storica o geografia culturale della copertura vegetale? Sull’eredità ambientale dei “paesaggi culturali”, in Trame nello spazio. Quaderni di geografia storica e quantitativa, 3, Firenze 2007, pp. 81-110; P. Leveau, Archéologie, Espace Et Environment: Dei Paysages Au Risques Naturels, in F. Dumasy, F. Queyrel (Dir.), Archéologie et Environnement dans la Méditerranée antique, Hautes Ètudes du Monde Gréco Romain, 42, Genève 2008, pp. 1-22; R. Cevasco, V. Tigrino, Lo spazio geografico: una discussione tra storia politico-sociale ed ecologia storica, «Quaderni Storici», 127, 1, 2008, pp. 207-241; R. Cevasco, Un terreno per il geografo: l’interpretazione del patrimonio rurale, «Rivista Geografica Italiana», CXVI, 4 (dicembre 2009), pp. 419-444; A. Ingold, Écrire la nature de l’histoire sociale à la question environnementale?, «Annales. Histoire, Sciences Sociales», janvier-mars 2011, n. 1, pp. 11-29, con particolare riguardo alle pp. 19-25. 14 Si vedano le considerazioni espresse più avanti. 15 Sul rapporto tra fonti scritte e fonti testuali si è discusso molto, anche (ma non solo) nel dibattito sull’historical archaeology. Per una visione di sintesi, cfr. C. Wickham, Fonti archeologiche e fonti scritte: un dialogo complesso, in S. Carocci (a cura di), Storia d’Europa e del Mediterraneo. II. Dal Medioevo all’età della globalizzazione. Sezione IV: il Medioevo (secoli V-XV), Vol. IX: Strutture, preminenze, lessici comuni, Roma 2007, pp. 15-49. Sull’argomento si veda anche D. Manacorda, Fonti archeologiche e fonti scritte: vent’anni dopo Le vin de L’Italie romaine di André Tchernia, in E. Castelli Gattinara (a cura di), Usage et abus des sources, in Dimensioni e problemi della ricerca storica, 2, 2007, pp. 85-100. La tematica è stata ripresa di recente in J. Moreland, Arqueología Histórica. Más allá de las «evidencias», in La materialidad cit., pp. 37-65, con bibliografia precedente alla quale si può aggiungere M. Hall, S. W. Siliman (eds.), Historical Archaeology, Oxford, Blackwell, 2007.
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da Elisabetta Maroni ed Elisa Ravaschieri, in diverse aree di indagine, ricorrendo all’utilizzo delle fonti testuali e della cartografia catastale storica rappresentano in tal senso un eccellente esempio di utilizzo combinato di diversi tipi di fonti, sia nella ricostruzione delle vicende storiche del castello di Fiungo (parallela all’analisi tecnica degli elevati), sia nella lettura delle trasformazioni dell’uso del suolo nell’area di Caldarola a partire dal XIX secolo16.
Gli aspetti legati alla valorizzazione del patrimonio archeologico L’incremento di conoscenza conseguente alle attività fin qui descritte è stato talmente considerevole da raggiungere, in alcuni territori comunali, percentuali comprese tra l’80 e il 90%, un’indicazione inequivocabile non solo sotto il profilo scientifico, ma anche sotto quello patrimoniale, a riprova di quanto la ricerca sia determinante nei processi di valorizzazione, sebbene le informazioni raccolte siano lontane dall’aver raggiunto livello di dettaglio richiesto in ricerche di questo tipo. La domanda che ora ci si pone è come usare le conoscenze acquisite ai fini di una condivisione sociale e delle relative ricadute di carattere economico. I tentativi finora compiuti di trovare delle sinergie con le amministrazioni comunali sono falliti perché queste ultime non intendono finanziare neanche piccole pubblicazioni o mostre finalizzate al coinvolgimento della popolazione locale. Vengono semmai supportate iniziative editoriali derivanti da collaborazioni con la Soprintendenza Archeologica, occasionali e quindi svincolate da ricerche programmate, oppure orientate alla celebrazione dei monumenti più in vista nel territorio17. La diffidenza nei confronti delle Università, per quanto concerne la valorizzazione dei beni culturali diffusi nel territorio, è palese e ha qualche eco anche nelle politiche di sviluppo locale. Il problema dei rapporti con la società e con la Pubblica Amministrazione è al centro di un intenso dibattito internazionale, sviluppatosi in seguito alle profonde trasformazioni che stanno interessando il presente: la globalizzazione, i particolarismi culturali, i grandi E Maroni, Progetto R.I.M.E.M. cit.; E. Ravaschieri, Trattamento digitale di mappe del Catasto Gregoriano (alta valle del Chienti), «Il Capitale Culturale», 2, 2011, pp. 327-340. 17 È il caso di Pievebovigliana. Cfr. E. Percossi Serenelli (a cura di), Pievebovigliana fra preistoria e Medioevo, Pievebovigliana, 2002; P. Cruciani, S. Giusto a San Maroto: una chiesa circolare nel romanico italiano:storia, architettura, arte, Ascoli Piceno 2012. 16
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flussi migratori che interessano ad esempio il bacino mediterraneo, la crisi energetica ed economica, la generale crisi di valori. Anche il vecchio modello dell’archeologia, elitario o comunque distaccato dalla società, si sta disgregando per una serie di concause, delle quali la principale è a mio avviso la crisi economica generale. Dubito infatti che il problema della comunicazione con il grande pubblico avrebbe mai raggiunto l’attuale portata se la ricerca archeologica non avesse costi così elevati. A nessuno salterebbe mai in mente di chiedere a un pittore o a un musicista della contemporaneità, più attento al progresso del proprio pensiero artistico che ai fattori mercato, di giustificare il proprio diritto di esistere compiacendo il grande pubblico, perché ciò pregiudicherebbe la libertà del processo creativo. Il rischio di compromissione della libertà di ricerca invece, sebbene reale, viene taciuto nel caso dell’archeologia, il che conferma la matrice fondamentalmente economica del processo di revisione in corso. Detto altrimenti, le scelte tematiche di molti studiosi sono, diciamo così, molto attente alle politiche di finanziamento correnti. Ciò premesso, una seconda causa sta nel fatto che la ricerca archeologica produce valori per lo più non riconosciuti/riconoscibili dalla società, che nell’era dell’immagine e della televisione ha altre preferenze e con cui comunque gli archeologi, prima di questa crisi, si sono ben poco preoccupati di dialogare. Un terza causa, infine, è stata indicata nella crisi epistemologica del sapere scientifico in genere e in particolare dell’archeologia, per una sorta di stallo che si sarebbe determinato fra il sapere falsamente oggettivo teorizzato dall’archeologia processuale e l’eccessivo relativismo ad essa subentrato con le correnti di pensiero successive, quella postprocessuale prima di tutte. Il problema, qui necessariamente compendiato in poche righe, è trattato approfonditamente in una recente monografia nella quale si propone una «terza via» incardinata alla produzione di un significato strettamente ricondotto alla dimensione patrimoniale dei beni archeologici (quindi socialmente utile) e dinamico in quanto continuamente negoziabile18. Proprio dalla conversione dei beni archeologici in beni patrimoniali è scaturita l’idea di un’archeologia più democratica, nota come Public Archaeology (in Italia Archeologia Pubblica), che
«Por lo tanto, el patrimonio de un determinato lugar no se define de forma definitiva y requiere de una permanente actualización en función de valores y significados cam-biantes». Cfr J.A. Quirós Castillo, ¿El fin de la arqueologìa? La arqueologìa a inicios del siglo XXI, in Id. (a cura di), La Materialidad de la historia. La arqueología en los inicios del siglo XXI, Madrid, Akal, 2013, p. 25, dove l’autore riporta la posizione es-pressa da Felipe Criado Boado nello stesso volume. Cfr. F. Criado Boado, La produc-ción de sentido. La arqueología más allá de la interpretación, pp. 101-140.
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«desmonta con su propuesta de horizontalidad las relaciones de poder jerárquicas entre “los que saben y los que no” y las construcciones sociales de la nación, el género, la raza, etc.»19. Tuttavia, poiché la democratizzazione della disciplina da sola non è sufficiente a garantirne un ruolo nuovo e effettivamente operativo, è necessario un motore di aggregazione capace di avvicinare la società all’archeologia; la via della (ri)costruzione delle identità, del recupero della memoria, per alcuni è un obiettivo tangibile, mentre per altri è un vicolo cieco nel quale si cozza fatalmente contro la incompatibilità di mondi distinti20. Altri al contrario sostengono che la partecipazione delle comunità locali a ricerche archeologiche, com’è accaduto nell’area di Maligrad (tra Grecia e Albania), può offrire un contributo determinante alla ricomposizione dei conflitti etnici21. Proprio per il carattere controverso della materia, che non si presta a una soluzione univoca in quanto fortemente condizionata dalla varietà delle situazioni, la riflessione sugli aspetti sociali dell’archeologia ha propiziato la fioritura di un nutrito pacchetto di proposte sui modelli di comunicazione esperibili, che vanno dalla semplice indagine di mercato (studio delle tipologie di pubblico raggiungibili) fino a quelle derive populiste nelle quali si auspica un ruolo attivo della popolazione fin dalle fasi iniziali di un progetto, con la possibilità, quindi, di orientarne le scelte tematiche22. Mentre si discute di modelli, però, rimangono irrisolti alcuni problemi centrali, il più urgente dei quali è quello relativo alla tutela. Chi, come me, pratica la ricerca sul campo assiste alla frantumazione inarrestabile del patrimonio, mobile e immobile. Il sistema
P. Alonso González, P. Aparicio Martínez, Por una arqueología menor: de la pro-ducción de discursos a la producción de subjectividad, in «Revista Arkeogatze», 1, 2011, pp. 21-36 e part. a pp. 32-33. 20 Ivi, p. 27. 21 Cfr. P. Lera, S. Oikonomidis, A. Papayannis, A. Tsonos, The Greek-Albanian Ar-chaeological Project on Maligrad: Shaping the Cultural Heritate in the Tri-National zone of the Great Prespa Lake, in «Journal of Conservation and Management of Ar-chaeological Sites», 15, 1, 2013, 121-134. 22 Sui modelli di comunicazione cfr. ad esempio C. Holtorf, Can you hear me at the back? Archaeology, communication and society, in «European Journal of Archaeology», 10, 2-3 (2008), pp. 149-165; G. P. Brogiolo, Comunicare l’archeologia in un’economia sostenibile, pp. 339-340. Sull’archeologia pubblica in Italia e sulla valorizzazione cfr. C. Bonacchi, Archeologia pubblica in Italia: origini e prospettive di un ‘nuovo’ settore disciplinare, «Ricerche Storiche», 2-3, 2009, pp. 329-350; D. Manacorda, Archeologia tra ricerca, tutela e valorizzazione, «Il capitale culturale», 1, 2010, pp. 131-141; G. Vannini, Archeologia Pubblica in Toscana. Un progetto e una proposta, Firenze University Press, 2011; G. P. Brogiolo, Archeologia pubblica in Italia: quale futuro?, «PCA. European Journal of Post Classical Archaeologies», 2 (2012), pp. 269-278. Al tema è infine dedicato il dossier New trends in the communication of Archaeology, pubblicato nel volume 4 (2014) di «PCA. European Journal of Post Classical Ar-chaeologies», pp. 331-446, con particolare riguardo al già citato contributo introduttivo di G. P. Brogiolo, Comunicare cit., pp. 331-342. 19
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della tutela, come anche recentemente è stato sottolineato23 denuncia gravi limiti e la normativa sui beni culturali risulta spesso inefficace, benché molto articolata: esiste perfino una legge (24 dicembre 2003, n.378) istituita per «salvaguardare e valorizzare le tipologie di architettura rurale, quali insediamenti agricoli, edifici o fabbricati rurali, presenti sul territorio nazionale, realizzati tra il XIII ed il XIX secolo e che costituiscono testimonianza dell’economia rurale tradizionale». I contenuti di tale legge sono stati poi ripresi e precisati dal Decreto 6 ottobre 2005 del Ministero per i Beni e le Attività Culturali che in riferimento agli oggetti dell’azione di tutela definisce gli edifici indicati dalla precedente legge come «testimonianze significative, nell’ambito dell’articolazione e della stratificazione storica, antropologica ed urbanistica del territorio, della storia delle popolazioni e delle comunità rurali, delle rispettive economie agricole tradizionali, dell’evoluzione del paesaggio» e considera «parte integrante» delle stesse «le testimonianze materiali che concorrono alla definizione di unità storico antropologiche riconoscibili, con particolare riferimento al legame tra insediamento e spazio produttivo e, in tale ambito, tra immobili e terreni agrari» nonché «le recinzioni degli spazi destinati alla residenza ed al lavoro, le pavimentazioni degli spazi aperti residenziali o produttivi, la viabilita’ rurale storica, i sistemi di canalizzazione, irrigazione e approvvigionamento idrico, i sistemi di contenimento dei terrazzamenti, i ricoveri temporanei anche in strutture vegetali o in grotta, gli elementi e i segni della religiosità locale» Quanto di meglio un archeologo potrebbe desiderare, se naturalmente ad essere chiamati in causa fossero gli archeologi e non (o non solo), come nella maggior parte dei casi, architetti preoccupati soprattutto della rifunzionalizzazione degli edifici.
Cfr. G. P. Brogiolo, La tutela dei paesaggi storici tra archeologia preventiva e archeologia d’emergenza, in Atti V Congresso Nazionale di Archeologia Medievale (Foggia – Manfredonia, 30 settembre – 3 ottobre 2009), a cura di G. Volpe e P. Favia, Firenze, All’insegna del Giglio, 2009, pp. 3–6; D. Manacorda, M. Montella, Per una riforma radicale del sistema di tutela e valorizzazione, in G. Volpe (a cura di), Patrimoni culturali e paesaggi di Puglia e d’Italia tra conservazione e innovazione, Atti delle Giornate di studio (Foggia, 30 settembre e 22 novembre 2013), Bari, Edipuglia, 2014, pp. 75-85; G. Volpe, Per un’innovazione radicale nelle politiche della tutela e della valorizzazione, in L. Carletti, C. Giacometti (a cura di), De-tutela. Idee a confronto per la salvaguardia del patrimonio culturale e paesaggistico, Pisa, ETS, 2014, pp. 109-115.
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Occorre aggiungere che gli attuali orientamenti nelle politiche di finanziamento della ricerca non contribuiscono a promuovere la conoscenza del patrimonio culturale. Essi hanno infatti indebolito agli occhi degli amministratori l’immagine della disciplina e giustificato più o meno indirettamente, come sta accadendo nelle Marche, l’elaborazione di programmi di intervento sulle aree interne che al momento non sembrano prevedere la collaborazione con esperti di discipline archeologiche, specie nel settore dell’archeologia medievale e postmedievale24. Sicché, come si è visto, al massimo tutto si riduce a una questione di ripristino funzionale degli edifici storici, mentre manca del tutto la consapevolezza che le politiche di valorizzazione dei beni culturali devono porre al loro centro un concetto basilare: il vero valore patrimoniale dei beni archeologici (come dei beni culturali in generale) non sta nella loro materialità (che certo lo studioso deve documentare, classificare, analizzare, datare e interpretare), ma piuttosto nei significati che essi acquistano all’interno del paesaggio, e cioè nella coerenza del tessuto di relazioni che li lega. La impermeabilità a un assunto così vitale è l’altra faccia degli equivoci moltiplicatisi intorno alla nozione di “paesaggi culturali” che, nel ripropone un dualismo natura / cultura già oggetto di critica in alcuni commenti sull’atteggiamento degli archeologi di fronte alla Convenzione Europea del Paesaggio25, finisce per favorire, ad esempio, modelli di promozione turistica imperniati sulla contemplazione di un’inesistente natura incontaminata, palese residuo di un idealismo estetico e romantico che mostra tutta la tenacia delle piante infestanti26. Quand’anche poi la Pubblica Amministrazione recepisse finalmente determinate istanze, rimarrebbero comunque le difficoltà che sorgono nella comunicazione e che appaiono riconducibili non tanto e non solo ai modelli prescelti e ai pur necessari correttivi da applicare (tanto per fare un esempio) ai criteri espositivi dei musei, quanto 24 Cfr. ad esempio gli studi promossi dalla Camera di Commercio di Macerata: Strategie di sviluppo economico nel territorio della Provincia di Macerata, Macerata, CCIAA e Fondazione Carima, 2012; Una strategia di sviluppo per le aree interne della Provincia d Macerata, Macerata, CCIAA e Fondazione Carima, 2013. Entrambe le pubblicazioni sono scaricabili da <http://www.camcom.it>. 25 G. Fairclough, Archaeologists and the European Landscape Convention, in G. Fair-clough, S. Rippon, D. Bull (eds.), Europe’s Cultural Landscape: archaeologists and the management of change, Europae Archaeologiae Consilium, 2002, pp. 25-37. Sui pae-saggi culturali cfr, anche le considerazioni contenute in P. Ballisteros Arias, C. Otero Villariño, R. Varela Pousa, Los paisjes culturale desde la arqueología: propuestas para su evaluación, caracterización y puesta en valor, «Arqueoweb», 7, 2, 2005. Disponibile online all’indirizzo <http:// pendientedemigracion.ucm.es/info/arqueoweb/pdf/7-2/ballesteros.pdf> (6-1-2015). 26 L’argomento è trattato con chiarezza in A. Orejas, M. Ruiz del Árbol, Arqueologίa del paisaje: procesos sociales y territorios, in La materialidad cit., pp. 201-240, particolarmente a pp. 228-233. Si veda inoltre la bibliografia citata alla nota 14.
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piuttosto dalla scarsa disponibilità all’ascolto da parte di quella società per la quale gli archeologi sono chiamati a produrre significato. I limiti del nostro potenziale uditorio (che vivaddio esistono, anche se nessuno sembra volerne parlare!) sono l’esito di un sistema di istruzione che in Italia non educa più a un certo tipo di sensibilità. Sicché tutto confluisce meccanicamente nella discussione sui canali di trasmissione da adottare, perché gli interlocutori che dovremmo raggiungere sono equiparati (e spesso lo sono) a ricevitori centripeti e immobili di ogni segnale proveniente da un sistema eterarchico, in cui ogni richiesta di validazione dei contenuti rischia di apparire politicamente poco corretta e comunque di impaccio al libero flusso della comunicazione. Non curarsi dell’incremento della sensibilità sociale nei confronti delle istanze culturali che dovrebbero essere sottese alle politiche di valorizzazione significa andare inesorabilmente verso la dissoluzione della ricerca27. È per tale ragione che soluzioni come quella, pur interessante ed esplorabile, indicata da G. P. Brogiolo e relativa a possibili interazioni tra archeologia del patrimonio ed economia agricola28, comportano il rischio di relegare l’archeologia in un ruolo di “subordine a qualcosa”, a dispetto del livello di complessità e di varietà tematica raggiunto dalla disciplina.
27 A. Orejas, M. Ruiz del Árbol, Arqueologίa del paisaje cit., p. 233: «Esiste il rischio che la ricerca si dissolva nel presentarla al pubblico, specialmente in quelle occasioni in cui si esige dal patrimonio archeologico una resa economica o nel ricorso eccessivo e ingiustificato alle nuove tecnologie. la ricerca, operando a detrimento della sua qualità, minacciando la sua continuità e, alla lunga, deteriorando la sua considerazione sociale» (traduzione dell’autore di questo contributo). 28 G. P. Brogiolo, Comunicare cit., pp. 337-338. Per approcci similari in contesti geografici non europei cfr. E. Guttmann-Bond, Sustainability out of the past: how ar-cheology can save the planet, «World Archaeology», 42, 3, 2010, pp. 355-366. Per le possibili intersezioni con il culinary heritage cfr. infine J. Bessière, Local Development and Heritage: traditional food and cuisine as tourist attraction in rural areas, «Soci-ologia Ruralis», 38, 1, 1998, pp. 21-34. Queste ultime […] possono condurre a banalizzare
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El juego entre lo público y lo privado en la valoración de los humedales y las áreas protegidas de la cuenca del río Luján: escenarios de la apropiación de lo sustentable Cristina Teresa Carballo
Resumen La construcción del paisaje como artefacto cultural no es un producto espontáneo sino que responde a las diversas valorizaciones sociales del territorio. Los patrones de ocupación en la región pampeana tuvieron como eje organizador las cuencas hídricas, a la vez de proporcionar el agua para la localización permanente. El río Luján ha sido, desde la época colonial, la frontera entre el mundo rural y Buenos Aires, un ícono cultural del mundo gaucho de la pampa gringa. Desde la expansión de la urbanización selectiva a fines del siglo XX ha sufrido intervenciones inmobiliarias intensas que ponen en jaque al paisaje tanto como su acceso social. Vecinos y grupos sociales han sostenido desde entonces una fuerte puja por la valorización de ese patrimonio “verde” y junto con el poder público se constituyeron áreas protegidas bajo varias figuras. Áreas que no solo intentan preservar o conservar el contenido natural sino el paisaje como bien social, en un marco de sustentabilidad en los que hace además a la dinámica hídrica de la cuenca. Palabras claves: paisaje, humedales, cuenca, conflicto.
El paisaje como estrategia de análisis Desde siempre la imagen cultural de la naturaleza ha propuesto al paisaje un lugar central de visiones aceptadas y estéticas construidas según la ocasión. El paisaje
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se inscribe en una tensión constitutiva entre su apropiación como signo que otorga el control del modo y la forma de representación sobre un determinado objeto de la realidad. Pero además, el paisaje en el análisis geográfico ha sido y es una estrategia que permite problematizarlo e ir más allá de los hechos aparentes. El paisaje, lejos de estar estático como en una pintura, resulta de procesos espaciales, por ende, dinámicos y complejos. La imagen cultural del paisaje, hoy con guiones y narraciones de sustentabilidad, adquieren en tiempos presentes una materialidad que responde al interjuego de escalas de actuación social. Materialidad que permite entrever la puja por los humedales de la cuenca del río Luján. En este sentido, Jens Andermann (2011) nos propone retomar la discusión teórica sobre el paisaje. A tal efecto nos recuerda a Mitchell, entre tantos otros, para sintetizar el significado del paisaje como una oscilación continua entre diferentes órdenes de representación, entre el pasado y el presente, y su común anclaje entre lo real y lo construido, asociados en un mismo momento. En otras palabras la yuxtaposición entre el espacio material -e intangible- que nos rodea y la experiencia -como percepción- que nos produce esa forma. El rescate de estas ideas no es casual, sino intencional. Así podemos encontrar en el paisaje una estrategia metodológica para interpelar el presente. No como los viajeros del siglo XVIII ni las crónicas del siglo XIX en la construcción de la identidad y paisaje nacional, sino con otro sentido, y en otros contextos sociales. El tema no es el paisaje como análisis de arte de fines del siglo XIX o inicios del XX. No obstante, esta discusión es pertinente en el siglo XXI, que por excelencia, podemos acordar, está signado por la cultura de la imagen y del movimiento. Todo se plantea en imágenes, y el mercado inmobiliario ha echado mano a este recurso no solo ahora sino desde siempre. Hoy observamos las estrategias de captación de intereses sobre la sustentabilidad y el paisaje lacustre o fluvial. Los agentes urbanos metropolitanos son claros productores -junto con el sector público- de paisajes, en términos de producción de cultura urbana porque imponen una narración, símbolos y lenguaje que plantea una parcialidad del lugar desde la estructura del mensaje. La imagen de la cuenca de Luján es actualmente, el principal atractivo inmobiliario. El diseño de un paisaje urbano sustentable es el pilar que sostiene la valorización en términos de renta urbana de las zonas de humedales, hasta hace poco sin valor alguno. - 40 -
Esta construcción de una estética y de una imagen de lo natural, es lo que promueve la comercialización de los proyectos urbanos, modificando intensa como velozmente la dinámica no sólo de los humedales sino de la cuenca en sí misma. Lejos de tener un papel estático, el paisaje se vuelve central en esta forma de abordaje de la de las tensiones de apropiación de los humedales y del recurso río. “El paisaje, para Mitchell, es únicamente un modo de contener la multisensorialidad dinámica del espacio y devolverla a la estaticidad del lugar. Ahora bien, el requerimiento mínimo para una relación triádica como la que postula Mitchell sería la existencia de una relación de afectación mutua (y no meramente unidireccional) entre los términos de la ecuación (lugar/paisaje/espacio). El paisaje, lejos de ser apenas el medio de contención del dinamismo movilizador del espacio, debería entonces pensarse también como expresión de la potencialidad latente del lugar, potencialidad que remitiría precisamente un orden espacial alternativo”. (Andermann, 2011:286) Parece entonces que en tiempos presentes la construcción del paisaje, como puro artificio visual y de estéticas, en este caso urbanas y sustentables, resignifica el legado de los paisajistas del siglo XIX, aunque con diseño y soporte digital. Además de expresar los procesos espaciales que intervienen en la escena. El dominio de lo natural no es el centro de estas representaciones visuales, sino el plusvalor de lo estético. Este plusvalor consta, en pocas palabras, en ofrecer el lugar como natural y sustentable. Carl Sauer, pionero de un abordaje cultural del paisaje, en su tradición de geógrafo, incorpora una visión que complejiza y complementa el análisis que en pleno siglo XXI da luz al caso Luján y mantiene aún su vigencia. Detrás de sus visiones del mundo, Sauer contó con una formación que le permitió proponer desde una construcción científica profunda hacia el análisis de las formas para la interpretación y comprensión del hecho geográfico. Mischa Penn y Fred Lukermann (2011) proponen una exhaustiva revisión del perfil geográfico y de la morfología del paisaje saueriano. Al respecto, rescatan de Sauer (1925:26-28-36): “Los hechos geográficos son hechos del lugar; su asociación da origen al concepto de paisaje. La posición corológica reconoce necesariamente la importancia de la extensión del área, de los fenómenos, su calidad, estando inherentes en la posición. No podemos tener una idea del paisaje, a no ser en términos de sus relaciones temporales, como también de sus relaciones espaciales”. (Penn, Lukermann, 2011: 167). - 41 -
Desde entonces, el camino geográfico de establecer las relaciones teórico-metodológicas con el paisaje se han fortalecido teniendo como pilares los clásicos del siglo XX, sin olvidar la escuela vidaliana y a sus representantes como E. de Martonne, J. Bruhnes y M. Sorre. Crosgrove (2002) que sistematiza las ideas recientes y rescata la perspectiva, el lugar y la forma del mirar, los símbolos y los lenguajes que hacen al entendimiento de la representación social del paisaje. La noción de paisaje presenta una diversidad de significados y abordajes posibles, que no pueden ser descontextualizados. Todas estas propuestas conforman las diferentes pistas que seguiremos para comprender el juego de intereses frente a la apropiación del paisaje del río Luján que no se cierra en una abstracción teórica, sino que experimenta diferentes estrategias y manipulaciones a partir de las narraciones visuales que cada grupo social impone en sus discursos de lo natural. En síntesis, el cómo miramos al paisaje de los humedales del río Luján, es donde se constituyen, o no, las tensiones sobre las valorizaciones del lugar y las visiones e intereses que se ponen en juego. Puja sin tregua por al avance metropolitano de Buenos Aires. Los lenguajes visuales son la estrategia comercial por la forma que se construyen representaciones del paisaje de los humedales. La valorización de lo sustentable entra como argumentaciones de lo narrado, aunque curiosamente, sin conflicto ambiental y sin costo alguno por la apropiación de lo privado sobre el recurso río. De esta forma, los humedales y sus servicios ambientales no están puestos en la escena del plusvalor como tampoco relatan la restricción al libre acceso de la estética del río y sus riberas hasta hace poco sin límites de propiedad. En la escena de estos cambios y transformaciones tan solo quedan, a modo de relictos, una serie de áreas protegidas que hacen de la cuenca un mapa testimonial de la historia natural. Áreas que cuentan con diferentes coyunturas que fundamentan su origen, de diferente tamaño y gestión. A pesar de su presencia, estas áreas no dan abasto frente a la velocidad y extensión de las mutaciones territoriales, son apenas algunos vestigios de los ecosistemas regionales. La gestión social del paisaje no es “no tocar”, sino por el contrario, es el desafío del cómo lograr una intervención que permita y asegure la continuidad cultural y ambiental del paisaje pampeano del río Luján. Por un lado, lo que implica es resguardar el legado cultural, identitario y social; y por el otro lado, es potenciar la función de los servicios ambientales que brindan los humedales al sistema de la cuenca. En otras palabras lograr ese frágil equilibrio entre el medio físico y el urbano. - 42 -
Figura 1: Las áreas protegidas de la cuenca, elaborado en base a búsqueda de sitios web y cartografía del Ciaclu. Autor: Cristina Carballo. Este collage de imágenes son representaciones visuales arquetípicas de la biodiversidad de las áreas protegidas, y el mapa es otra representación, que expresa de la discontinuidad espacial de las reservas. En este sentido en el 2014 se realizaron varias acciones para la protección de los humedales, organizado por ONGs, organismos internacionales y otros.
Paisaje construido y la producción del espacio: la ciudad y el río En los primeros momentos de aparición en la geografía de la trama urbana bonaerense, como regla sin excepción, las ciudades privilegiaban la proximidad al agua. El proceso de conquista del espacio aplicaba la matriz hispana sin excepción, primero por el español, luego el avance criollo, en ambos casos el río era un protagonista en la valoración del territorio. La provisión del agua, esencial para la actividad humana y la - 43 -
comunicación, ambos usos sociales del recurso aseguraban a la ciudad originaria su subsistencia en el desierto y una posición relativa en el horizonte sin fin de la pampa. Esta valorización del espacio trajo consigo que los asentamientos se localizaran cerca del río, aunque también trajo consigo una cultura del manejo del recurso como una convivencia matricial en la forma de la ciudad-río. Estas primeras páginas escritas en la historia ambiental de las ciudades de la cuenca nos hacen recordar su génesis a través de la presencia irregular de las crecidas del río Luján. El paisaje hoy se encuentra altamente intervenido, pero no por ello han desaparecido los ritmos naturales de los desbordes del río, por el contrario, siguen siendo un hecho frecuente pero superpuesto a una trama urbana altamente compleja e híbrida. La cuenca del río Luján es un caso emblemático porque en ella se manifiestan los recientes procesos de valoración de la sustentabilidad ambiental y la producción territorial de suelo urbano. No siempre compatibles con las primigenias valoraciones territoriales que le dieron forma y materialidad al actual mapa urbano. Las lógicas son otras, también sus sociedades. Aparece una cultura urbana heredara de los emprendedores y sus espacios construidos responden a otras relaciones inter-escalares que repercuten y se asocian a nuevos patrones de entender la ciudad en la escala local. Las reconstrucciones cartográficas al principio fueron muy elementales. Adquirió reconocimiento territorial, mejor dicho fue nombrado y por ende reconocido, en épocas de la conquista con el nombre del sobrino de Pedro Mendoza, Diego Luján, quien fallece a orillas del río (1536). Así nació su actual toponimia como referencia cartográfica. Mapas, toponimia, cuidadosos inventarios, crónicas, fueron potentes armas que manipulaban desde la mirada del poder; como un saber ejercido sobre la sociedad y su territorio. Durante siglos este poder se generó desde el saber geográfico. Desde las primeras ocupaciones hasta la actualidad el río adquirió diversas valoraciones según el contexto espacial y temporal. Por ejemplo, la cuenca en tiempos prehispánicos funcionó como el área de transición cultural entre pueblos guaraníticos navegantes con prácticas de una agricultura rudimentaria, y los pueblos pampeanos, cazadores y recolectores. Con el correr del tiempo, el río se comportó como frontera natural entre el indio y el mundo conocido; o como la frontera entre la sociedad rural pampeana y el hinterland de la sociedad porteña; o como frontera entre el mundo rural y la influencia urbana de Buenos Aires (Carballo, 2010, p. 162). Y, más recientemente, como la frontera entre el avance de la neo-agriculturización pampeana, el polo industrial y los nuevos hábitats que enfatizan la segregación metropolitana. Esta versátil valoración del curso de agua le ha ofrecido a través del tiempo una posición geográfica que se ha sustentado siempre en la existencia y presencia del río.
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En el territorio de la cuenca se expresa el papel de la Virgen de Luján como epicentro de una indiferenciada geografía rural. Esta configuración espacial perdurará hasta la división política del territorio del siglo XIX. Recordemos que sociedad e iglesia en el período colonial son partes inseparables del mundo social, impronta cultural que dejará sus huellas hasta el presente. No obstante, la primera división de la tierra pertenece a Juan de Garay quien en 1580, apoyado en las riberas del río, asienta una suerte de estancias, asegurando de esta forma la obtención del agua. De estos primeros lineamientos de la valorización de la cuenca y la fundación de los pueblos, sin duda tendremos que esperar a fines del siglo XIX para comprender la fusión de los modelos de desarrollo rural que imprimieron una trama urbana ligada a los pueblos cabeceras de los partidos con la llegada del ferrocarril. A partir, del esta lógica la integración de la cuenca responderá a las valorizaciones de la Argentina Moderna agro exportadora, la oleada de inmigrantes europeos, y su vinculación con Buenos Aires como espacio rural. Prácticamente, esta matriz urbana perdura hasta fines del siglo XX, con variantes locales. En los albores de este siglo XXI, la infraestructura de las autopistas se concretan, y de esta manera, se acerca la mancha urbana al río, así la descentralización de lo público y la imposición de un paisaje urbano irrumpirán localmente diseñando lentamente, aunque en forma continua, una radical simbiosis con la onda expansiva de privatización urbana.
El paisaje de lo natural en el mercado inmobiliario Entender las nuevas problemáticas ambientales y territoriales exige no perder de vista la sociedad y la cultura, resultados de las recientes políticas económicas como tampoco las tecnológicas, que se materializan con intensidad visible en el espacio urbano. Es allí donde se concretan y difunden las urbanizaciones cerradas (UC) en el área metropolitana de Buenos Aires, más allá de sus fronteras materiales. De esta forma, los emprendimientos inmobiliarios exclusivos son una expresión más de la compleja segregación territorial y social del espacio urbano. Para Manuel Castells, la inclusión de lo verde en la construcción de la ciudad en los últimos cincuenta años ha sido una constante en aumento. La difusión espacial de las UC se caracteriza por construir y sostener imágenes con un fuerte componente natural. En ellas, la naturaleza adquiere un papel protagónico que ofrece y recrea una ciudad con calidad ambiental, o lo que equivaldría a un “paraíso” natural en la Tierra. Aunque muchas - 45 -
veces, ese paraíso no sea tan natural, sino naturalizado, es decir que intenta imitar a la propia naturaleza. En síntesis, se produce socialmente un paisaje, una nueva forma de vida en donde estuviera asegurada la calidad ambiental. Al respecto, Carballo (2003) ya se refería a las estrategias utilizadas para la venta en los mensajes de los promotores del mercado inmobiliario. La palabra y la imagen construyen realidades y en este sentido el marketing ha tenido un lugar central en la trama de esta expansión urbana. El paisaje “natural” de lo privado, el sentido de exclusividad y pertenencia han sido valores sobre exaltados por ese marketing que impuso el mercado. El goce de esa naturaleza artificial que predomina en el paisaje rural-urbano tuvo como objetivo para incrementar e incentivar las ventas y dar a conocer los emprendimientos por las diversas campañas de publicidad de las inmobiliarias o grupos desarrolladores. Al inicio del boom inmobiliario, muchas publicaciones se dedicaron a analizar el discurso utilizado por los comercializadores. Muchos de ellos tomaron en cuenta los suplementos de dos de los principales diarios que se publican en la Argentina. Primero fue La Nación y luego fue Clarín quien continuó sus pasos. El diario La Nación en el año 2006 promovía la publicación en este suplemento argumentando que el promedio de la edad de los lectores del mismo era de 31 años, que el 71% de los lectores correspondía al segmento de mayor poder adquisitivo y que el 60% de esos lectores eran mujeres. Pero con el devenir del tiempo, las distintas crisis económicas impactaron también al sector y se dejaron de publicar el mapa completo de las ofertas de las UC. En el caso de La Nación fue a finales del año 2011 y Clarín hacia mediados de 2013. Actualmente, la difusión de los principales proyectos se publica en la tirada de los sábados. En la actualidad, las publicaciones on line han concentrado el medio de potenciar un lenguaje e información visual de lo que las empresas inmobiliarias deciden hacer pública. El análisis se enfoca en el discurso que emplea y domina en el mercado inmobiliario que ha introducido al paisaje verde como la principal estrategia para la creación de una nueva cultura urbana. La tipología-producto de vivienda resultante no fue pensada para la población como respuesta a una necesidad de hábitat urbano, sino para una población-consumo. Pues estos patrones significan una conformación del espacio privado, “natural”, “verde”, fortificado, encerrado. Del espacio como objeto para ser promovido, vendido y consumido. El espacio “naturalizado” se ha convertido en un bien suntuario de cambio que garantiza exclusividad dentro de un ámbito que se encuentra en armonía con la naturaleza.
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En una ultra reducción podríamos decir que existen dos tipologías del manejo y uso del paisaje natural. Un modelo se acerca más a potenciar el paisajismo de la pampa con sus pastizales y también con los imponentes jardines de las viejas estancias. El otro modelo, plantea una intervención que no deja huella de los humedales y paisajes ribereños tal como los conocemos. En esta tipología se diseñan otras narrativas visuales e ilusiones aludiendo, por ejemplo, al Caribe. A continuación se proponen imágenes que ejemplifican lo natural del paisaje inmobiliario.
Figura 2: La naturalización del paisaje y la apropiación de los humedales. Elaboración propia en base a búsqueda de sitio web e información de campo. Autor: Cristina Carballo. En la Fig. 2 se contraponen dos usos del paisaje de lo natural, en la margen izquierda encontramos dos arquetípicas representaciones de la oferta inmobiliaria. En el margen superior, el modelo de transformación no deja huella al legado ambiental y cultural local, arrasado por la ilusión del Caribe; en la margen inferior, el modelo de paisajismo rescata el de alguna manera y le coloca un plusvalor a la oferta de los humedales. En el centro, encontramos un esquema que permite identificar las relaciones entre la privatización del paisaje, el desarrollo urbano, el peligro de pérdida de biodiversidad y la gestión de lo público. Todos son parte integrante del proceso espacial de mutación del paisaje. Debajo, la resistencia se hace escuchar y se identificaron 72 sitios de patrimonio ambiental e inmaterial en la cuenca, este gráfico muestra la distribución por partido. - 47 -
Finalmente, en el margen derecho, la otra cara de lo narrado, el impacto de las inundaciones en fotografía superior; y en la inferior, el riesgo de la pérdida del acceso social y público al paisaje del río Luján.
Conclusión Las áreas protegidas como paisajes de resistencia, un final abierto “La capacidad que tiene el paisaje para ocultar y suavizar visualmente las realidades de explotación y para “naturalizar” aquello que constituye un orden espacial socialmente elaborado continúa hasta la actualidad…” (Crosgrove, 2002:79) La capacidad de análisis que nos proporciona el paisaje de las transformaciones espaciales ha sido crucial en nuestro caso. En la actualidad, las áreas protegidas van desde una reserva natural administrada por Parques Nacionales a Reservas urbanas como la de Quinta Cigordia en la ciudad de Luján. Estas áreas tienen diferente potencial y grados de intervención en la transformación de los ecosistemas regionales. Son en total 5, de las cuales 2 son de iniciativa civil y son gestionadas en conjunto con el municipio. El grado de urbanización que arrasa con los humedales es mucho más en superficie y el impacto que éstos contienen en la dinámica hídrica es alto, al incrementar el riesgo a inundaciones que afectan directamente a las principales ciudades de la cuenca. Todo esto se puede evidenciar en el paisaje intervenido por una miopía que no permite distinguir el alcance de este ilusorio volver a la naturaleza, que por cierto, no es tal… En estos procesos espaciales de apropiación del paisaje cultural se ponen en juego no solo la sustentabilidad del río, sino del paisaje que marca una herencia cultural del territorio y su identidad. Los movimientos civiles por diferentes causas se hacen escuchar y ponen en la agenda política la discusión sobre los débiles fines sociales de los grandes desarrollos urbanos, y cuestionan su particular visión de la sustentabilidad. No obstante, desde una visión integral, la Comisión Asesora de la Cuenca del río Luján, trabaja mancomunadamente para estar a la altura de las circunstancias. Del informe del 2014, se identifican 72 sitios de patrimonio natural e inmaterial que resguardan y dan a conocer. Es decir, no son solo 5 reservas. Este dato da cuenta de la riqueza del paisaje-patrimonio y de la activa resistencia cultural. - 48 -
En este “retorno a la naturaleza” el paisaje se convierte en la estrategia central de la mutación porque genera un movimiento y direccionalidad de la imagen, una particular posición oscilante entre imagen-entorno. Esto nos permite comprender la construcción perceptiva con los efectos que estos producen en la materialidad de los nuevos paisajes urbanos. El meollo del conflicto, son las antagónicas imágenes del paisaje del río Luján, con narraciones que cuentan con su propia historicidad. El análisis del paisaje, una vez más, nos permite evidenciar esta manipulación de la información que se genera entre los diversos actores sociales; y nos permite, fundamentalmente, valorar estos paisajes de resistencia que ponen una cota a la inescrupulosa apropiación de los humedales.
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Estrategias de Asociación Ciudadana. Reserva Monte de los Ombúes, estado de entropía 2005-2013 Rodolfo Oscar Fernández Ziegler
Resumen Este trabajo se desarrolló bajo los principios de la contabilidad no monetaria y una metodología de georreferenciación, para comparar los efectos de la cantidad y calidad de la especie en la contracción durante el período 2005-2013. El Monte de los Ombúes ha sido declarado como reserva natural (Patrimonio cultural), pero se encuentra en un estado de alta vulnerabilidad y riesgo de desaparición. El Ombú adoptó una conformación boscosa como en Victoria (provincia de Entre Ríos, Argentina) y en Rocha (Uruguay) y representa una rareza. El trabajo presentado en el Instituto San Benito tuvo un impacto positivo en la comunidad y ha permitiendo la realización de un debate televisivo en un canal local (Victoria TeVe) y la posterior publicación de sus hallazgos en la revista Paralelo 32 (27/07/2013, p. 2), lo que ayudó a incorporar en la agenda política acciones estratégicas de Asociación Cívica para la conservación del medio ambiente. Una de sus conclusiones es la necesidad de un enfoque interdisciplinario de los problemas medioambientales, dada la complejidad de las tareas necesarias para obtener resultados satisfactorios. Así se plantearon los siguientes objetivos: a) Caracterización General, a los efectos de zonificar el Stock Biológico de la especie al año 2005. b) Realizar un ensayo sobre el estado de entropía del sistema (medida del “grado de desorden“) Palabras claves: Ecología, Georreferenciación, Asociación Ciudadana, Deterioro Biológico, Vulnerabilidad.
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Introducción La Reserva del Monte de los Ombúes (Patrimonio cultural de la Ciudad de Victoria, Entre Ríos, Argentina), se encuentra bajo un alto grado de vulnerabilidad y riesgo de desaparición pues presenta distintos grados de deterioro, producido esencialmente por drenaje deficiente, pisoteo, encharcamiento y enmalezamiento, producto del pastoreo selectivo. Las discusiones acerca de cuáles son las posibilidades de recuperación de la reserva constituyen el debate actual y preocupación del movimiento juvenil de la Fundación Ombú, junto con el Instituto San Benito frente al estado grave de detrimento. Detrás de estos debates, se hará foco en presentar una metodología de georreferenciación, a los efectos de reflexionar en conjunto el estado de la cuestión de la problemática. Al respecto, el Ingeniero Rafael Alberto Sabattini (Prof. Facultad Ciencias Agropecuarias de la Universidad Nacional de Entre Ríos) en su nota de fecha 25/11/2010 a la Sra. Directora Ana María Silva, del Instituto Superior del Profesorado San Benito, detalla 9 cursos de intervención básicos para concretar en la Reserva Los Ombúes. Su primera actividad indica realizar una caracterización general del área para zonificar su estado. Es por ello, que el alcance se limita a exponer una metodología de trabajo para zonificar y establecer un stock inicial al año 2005 del estado de la cuestión de la Reserva. El mismo no pretende aportar vastas acciones de recuperación sostenible del ecosistema, pues existe sobrada bibliografía al respecto. Sin embargo, se presenta una breve reflexión de las acciones realizadas y aportes de información lograda mediante las interesantes explicaciones en profundidad del Sr. Donda Silvio del Instituto San Benito, análisis de dos publicaciones del diario Paralelo 32 de fechas sábado 27 de noviembre de 2010 y sábado 3 de septiembre de 2011, más los comentarios relevados por los vecinos en nuestra visita.
Metodología El análisis espacial o geoprocesamiento se encarga de analizar las relaciones entre diferentes capas de información geográfica obteniendo como resultado nueva información. Cuando hablamos de relaciones espaciales nos referimos siempre a la comparación entre dos entidades geográficas que pueden ser de la misma o diferentes capas y de las cuales nos interesa saber qué podemos decir desde el punto de vista - 52 -
de su ubicación espacial. El presente trabajo de georreferenciación se ha realizado utilizando el sistema de Información Geográfica gvSIG1. Los motivos para la necesidad de georreferenciar pueden ser amplios y variados, pasando desde la simple necesidad de tener una foto aérea de referencia para generar un mapa, a tareas más complejas, como la necesidad de digitalizar elementos vectoriales o realizar mosaicos de ortofotos. La georreferenciación es el proceso por el cual dotamos de un sistema de referencia (coordenadas en terreno) a una imagen digital que se encuentra en coordenadas de píxel (filas y columnas). Se utilizaron imágenes satelitales de Google Earth, de fecha 10/05/2005 las que fueron importadas en un formato de lectura propio del programa gvSIG. Se generó su georreferenciación y posterior cálculo del área con el objeto de separar otras tierras del área de bosque nativo, clasificando los subambientes. En complemento, se ha aplicado la metodología establecida por la Contabilidad Ambiental, especialmente lo referido a la contabilidad no monetaria. La contabilidad, como saber, representa distintos objetos de naturaleza compleja materializados a través de sucesos, procesos u hechos (transacciones contables) de naturaleza material o inmaterial, que sean necesarios relevar por ser de significación para los usuarios mediante el uso de modelos teóricos conceptuales expresados en un lenguaje simbólico. La representación del objeto complejo compromete desde nuestro punto de vista la función primordial de la disciplina Contable. Al respecto Mattessich, “Representación contable y realidad”, Accounting, Organizations and Society (Julio, 2003, p.1)2 señala que la realidad como un todo puede concebirse como una cebolla, es decir como una jerarquía de diferentes niveles dentro del contexto de una filosofía de realismo (externo), si las palabras “real” y “existencia” permanecen como significativas. Vale decir, la representación del suceso, proceso u hecho permite conocer, explicar, predecir e intervenir con certeza en los resultados y controlar los efectos del mismo, es decir someterlo al conocimiento y dominio técnico. En este sentido, Chapman (1989)3, señalaba que: Accedemos desde cualquier navegador a www.gvSIG.org, en el apartado “Descarga gvSIG” elegimos “Última versión final (gvSIG 1.12)”. También se puede acceder a gvSIG Association Web: www.gvsig.com (e-mail: info@gvsig.com) o realizar la descarga en: http://www.gvsig.org/web/projects/gvsig-desktop/official. 2 Mattessich, Richard (2005): “A concise history of analytical accounting: examining the use of mathematical notions in our discipline”, en revista digital De Computis – revista española de Historia de la Contabilidad. Madrid, España. Junio. 3 Chapman, William Leslie (1989), “El desarrollo de la Contabilidad Social en América Latina” en la V conferencia de Facultades y Escuelas de Contaduría de América latina. Ediciones Fundación Banco Boston, Buenos Aires, Argentina. Página 13. 1
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“La Contabilidad Social concierne a la recopilación, al ordenamiento, al análisis, al registro, a la síntesis y a la interpretación de los efectos que tiene la actividad de las empresas y otras entidades de la esfera económica, sobre el todo social. En el campo de la medición, se pueden distinguir las siguientes clases: a) medición fundamental; b) medición derivada; y c) medición según una teoría. En nuestro estudio nos interesará trabajar con la medición según una teoría. En este tipo de medición hay un concepto que nos interesa pero que no podemos medirlo directamente. Entonces se procede a medir alguna variable relacionada, por ejemplo, se mide “cantidad de especies” para evaluar mediante el número de mortandad y nacimiento su evolución. En éste tipo de medición, la variable que interesa solo tiene un significado operacional, no constitutivo. Se mide la respuesta en función de su relación (establecida por una ley empíricamente demostrada) con el estímulo. Por último, se realizó un análisis visual entre la información generada a campo y la proporcionada por la imagen clasificada para verificar el grado de certeza en la extrapolación de los datos.
Ubicación Como hemos indicado, la Reserva del Monte de los Ombúes, se encuentra a las afueras del casco urbano de la Ciudad de Victoria (Entre Ríos, Argentina), al pié del Parque Cerro de la Matanza. En dicha zona se libraron las batallas en las que Minuanes, Chaáes, Timbúes y Charrúas, quienes resistieron la conquista española hasta su exterminio, a mediados del siglo XVIII a cargo de Francisco Vera y Mujica, el teniente gobernador de Santa Fe. Precisamente por ello, el primer nombre de la ciudad de Victoria fue La Matanza. El área protegida con impronta histórica del monte posee la rareza botánica (segundo en su tipo en el mundo) radicada en el hecho que el Ombú (Phytolaca Dioca) es una hierba gigante que crece en soledad, en forma aislada. La formación arbórea única en el país, por la cantidad y proximidad de ejemplares, se encuentra en estado grave de deterioro. En 1987, 1990 y 1991 se establecen varias ordenanzas municipales de protección del Monte Nativo, pero bajo la custodia del lugar por Victoria Auto Club (Ord. 545/87), con preservación municipal. El 17/7/2001 se sanciona la Ley Nº 9.341, mediante la cual se crea la Reserva Natural Manejada o Santuario de Fauna y Flora “Monte de los Ombúes”. - 54 -
En base a las consultas realizadas, existe disparidad sobre el perímetro originario y extensión del monte de ombúes. Nuestro cálculos estiman un monte actual existente de 45.694 metros cuadrados y un perímetro de 966,97 metro. Su ancho máximo es de 162,22 metros (oeste-este) y su largo de 309.46 metros (norte-sur). Gracias a las consultas efectuadas a los vecinos adultos, se conoció que el monte de los ombúes contaba con una mayor extensión, la cual trabajada en aproximación dentro del sistema gvSIG 1.12, se estima en un área de 245.599 y un perímetro de 1.863 la cual puede ser superior si se obtienen mejores datos históricos. Es decir que aceptando esta hipótesis, el área del monte nativo originario se redujo en un 81,13% y el perímetro en 48% en menos de 3 décadas.
Daños ambientales y vulnerabilidad La zona principal de vida se reconoce como Bioma de Pradera Templada dentro de la zona agroeconómica homogénea V (Delta). El Monte se ha desarrollado en un hábitat prístino, donde la proliferación de otras especies coadyuvó a conservar un suelo apto para su sustentabilidad, sin erosión hídrica. Comenzamos exponiendo los daños trópicos sobre la base de un estudio genérico y básico sobre la zona de ubicación de la reserva. Es dable destacar que el rigor científico obliga a contar con datos históricos de amplios registros. Analizando la topografía y los avatares climáticos obtenidos mediante comentarios de vecinos y periódicos, se observa claramente que la reserva se encuentra violentada por fuertes vientos del noreste que voltean a la especie, lluvias orográficas que socavan o lavan al humus e inundaciones que provienen del sur de la región. Es interesante destacar que en 1998 debido a las inundaciones, el circuito de carreras se trasladó alrededor del monte. Siguiendo a Sabattin4, “Dentro del área de los recursos naturales, los efectos de la deforestación son conocidos: reducción drástica de la biomasa y pérdida de germoplasma, eliminación de los mecanismos bióticos de reciclado de los nutrientes impidiendo la regeneración de los bosques, modificaciones climáticas variables como Sabattini, R.A.; Muzzachiodi, N. y A. F. Dorsch (2002). Manual de Prácticas de Manejo del Monte Nativo. U.N.E.R.
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disminución de la humedad y ampliación de las oscilaciones térmicas, aumenta la escorrentía y transformaciones edáficas, como acidificación y laterización de los suelos, adelgazamiento de la capa de tierra fértil y erosión de los terrenos en pendiente, bajo la acción de las lluvias y de la luz solar”. Existen significativas diferencias de niveles geográficos partiendo de nivel del mar. Sobre la base de los escalones detectados, se trazaron seis niveles o cotas experimentales como hipótesis teóricas del escurrimiento pluvial (líneas horizontales). Luego, se simuló en función a las pendientes, las hullas naturales, el escurrimiento y el “encajonamiento” de la reserva (líneas verticales). A priori indica una pérdida importante de los aportes del suelo, máxime frente a la no existencia de organismos ni especies que sustenten al suelo de la reserva. Las características propias del hábitat contienen gradientes de desnivel importantes, pues la Reserva se encuentra encajonada entre pendientes del 79% (Círculo nivel 39 hacia círculo nivel 8) de norte a sudoeste, 71% (Círculo nivel 28 hacia círculo nivel 8) de norte a sur y 61% (Círculo nivel 21 hacia círculo nivel 12) de este a oeste. Las imágenes satelitales denotan la perdida de cobertura vegetal y un sostenido empobrecimiento del suelo, observando una pastura característica de tierra anegada, máxime ante los cambios de los registros históricos de precipitaciones. Es obvia la existencia de una correlación negativa entre la perturbación de los microorganismos primarios (Fagotróficos) y respuesta de los micro consumidores (Saprótrofos) con la característica de los niveles de acidificación y compactación del suelo. Con respecto a las acciones de la especie humana, se verifican claras agresiones a la reserva, la que conllevan a su riesgo y vulnerabilidad. Comenzamos indicando un primer nivel que refiere al autódromo. Podría sustentarse en una actividad turística, pero la relación costo-beneficio claramente denota una depredación del área por el ser humano. Hemos verificado en campo varias zonas de quema de pasto por “churrasqueras” de asado. Asimismo, se advierte la zona marcada en círculo menor, destinada al estacionamiento de autos, muy próximo a la reserva. Informes referentes a la contaminación auditiva y adherencia de hollín por combustible quemado, no hacen a la sustentabilidad de la reserva. En tal caso, es dable recapacitar con respecto a la emanación de gases y radicación y fijación de polución sobre las cortezas de las especies.
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En segundo nivel, se verifica la afluencia de turistas al cerro de la matanza, quienes transitan libremente por el área en desconocimiento que la misma es una reserva. El tercer nivel y no menor, los vecinos de la Reserva, que poseen ganado (cerdos, caballos y gallinas) que generan polución y daño directo a la reserva. Se complementa la presión con la expansión de emprendimientos inmobiliarios (turismo) y el avance conocido de las fronteras de cultivo. Queda claro que las tensiones humanas impiden drásticamente la supervivencia de la reserva.
Resultados Desertificación Retomando las recomendaciones del Ingeniero Rafael Alberto Sabattini, debemos establecer el stock de las especies a un momento determinado, para evaluar la eficacia y eficiencia de los planes de acción de mejora de la reserva. De dicho análisis surgen los métodos directos que tienen una mayor aplicación o resultarían más apropiados para la valuación de bienes y servicios ambientales vinculados a situaciones particulares. A tal efecto, partimos de las fotos tomadas y expuestas en Google Earth, que denotan la clara desertificación. El cuadro permite al no existir otras especies relevantes realizar un recuento del stock (densidad) de los individuos. La foto satelital al 2005, denuesta el grave estado de la reserva con estrato arbustivo escaso. Un área devastada sin otras especies que confundan la evaluación de la especies del monte de los ombúes. - 57 -
Para la detección de especies, fue necesario realizar un análisis en general de los datos obtenidos de los datos digitales de las imágenes en contrastación con la información de campo. Para ello se seleccionaron puntos georreferenciados y se crearon muestras de análisis. Estas áreas actúan como patrones, los cuales permiten analizar clases de cobertura y otras variables. En base a la foto satelital y como ejemplo metodológico, se detectaron 73 especies de ombúes aún subsistentes las cuales se han georreferenciados para catalogar numéricamente con su género y etapa del ciclo de vida, a los efectos de establecer cuadrículas o parcelas circulares para realizar mediciones. Para la especie, se detecto su ubicación, para la determinación posterior del sexo de cada individuo. La tarea permite conocer su ubicación cierta, y de allí realizar el seguimiento de su evolución. Como ejercicio metodológico se estableció la distribución de la densidad de la población en tres cuadrículas, con el objeto de ubicar y estimar la superficie de las diferentes zonas: roja, amarilla y verde. La zona roja, entre 18 y 16 metros a nivel del mar, se ubica el 19% de la población. En la zona amarilla entre 16 y 14 metros, el 31% y la zona verde entre los 14 y 12 metros, el 47%. Es llamativo que exista mayor densidad hacia la zona más baja a nivel del mar, donde ocurre en principio, mayor erosión de humus. Evidencia: La ocupación de la especie es inferior al polígono determinado para la reserva, lo cual denota el nivel de tensión antrópica y deforestación del bosque nativo por la utilización intensiva del paisaje. No existió tolerancia de la especie a los factores ambientales y destrucción antrópica. Sabattini explica en su Manual la aplicación del método para la Evaluación de los árboles (título 2.10). Para ello se debe establecer un Esquema de instalación de parcelas circulares de 15 metros de radio. A partir de cada ombú detectado, se procedió a determinar un radio de protección de 150 metros, con el objeto de establecer zonas diferenciadas de intervención estratégicas de la zona protegida. Es decir, establecer un Plan de manejo estratégico del área protegida con la concepción ambiental del turismo, esparcimiento y avance urbano. Se distingue la imposibilidad de su aplicación. Según la fuente periodística (Paralelo 32) en noviembre de 2010 se inventariaron solo - 58 -
40 ejemplares de más de 400 años (Planteles Maduros). En dicho mes el Instituto San Benito informó un recuento de 50 ombúes, sin especificar niveles etarios. En septiembre de 2011 se informó la existencia de 50 ejemplares, estando la mitad en estado de decrepitud y del resto solo el 5% eran hembras con ejemplares que rondaban entre los 150 y 300 años. Si existen ombúes de 400 años de edad, el monte data del año 1610, pero se tomó como año de inicio a 1810, donde se comprueba un índice de mortalidad del orden el 58,3% y en los últimos 6 años del 31,5%, existiendo a la fecha un estimado supuesto del 20% de especies supervivientes de 400 años.
Manejo del monte nativo El manejo del monte nativo exige inevitablemente el conocimiento de los componentes que los integran, sus relaciones y dinámica en el marco del tipo de actividad que se desarrolle. Por otra parte, la capacitación del personal ligado al manejo como herramienta vital para trabajar racionalmente en sistemas de producción de elevada complejidad, como son los montes nativos. La densidad de una población es tratada en base a los incrementos de natalidad (fecundidad según edad y tamaño corporal) y las detracciones por mortandad, pero también intervienen positivamente las intervenciones humanas por trasplante sobre la base si la densidad es unificada, aleatoria o agregada. En mismo orden, depende de la energía reproductiva, la selección sexual, el tamaño de la especie, la calidad y cantidad de alimentos en suelo, los cambios en las fuentes de alimentos, la latitud regional del hábitat, la superficie del mismo y la variación genética en relación con la variación del hábitat, todo ello evaluado en un determinado espacio tiempo como para exponer algunos ejemplos entre otros conceptos. Utilizando término ecológicos, cada especie tiene una curva característica de variación del tamaño poblacional para cada factor limitante de su ambiente. En las zonas de intolerancia los individuos no pueden sobrevivir. En las zonas de estrés fisiológico, algunos individuos son capaces de sobrevivir, pero la población no puede crecer. En la franja óptima, la población puede prosperar. En otros términos, podemos considerar una distribución de tipo amontonados agregados en la que los individuos están más juntos de lo que se esperaba. Este amontonamiento es el resultado de intervenciones sociales y características de hábitat.
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En este caso, el factor para la población es dependiente de la densidad (llamada también gobernado por la densidad). Esta acción suele ser directa, en cuanto se intensifica a medida que se va llegando al límite superior, pero podrá ser también inversa (esto es, disminuir en intensidad a medida que la densidad aumenta). Lo cierto es que impiden que se realice el potencial biótico en el mediano plazo. El grado de agregación, lo mismo que la densidad conjunta que se traduce en supervivencia y desarrollo óptimos de la población, varía según las especies y las condiciones; por consiguiente, tanto la falta como el exceso de agregación podrán ser limitativos. Este es el principio de Allee5 (1877) donde la “subpoblación” es tan perniciosa como la “sobrepoblación”, sopesada por el punto de equilibrio de carga del sistema bajo análisis. La tendencia a la competición en el sentido de producir una separación ecológica de especies emparentadas de cerca se designa como el principio de exclusión competitiva. Así se observa el tipo de competición por el uso de los recursos, en el que cada población afecta perjudicialmente a la otra en la lucha por recursos a breve plazo. El auto club informó (fuente periodística Paralelo 32, noviembre 2010) que realizó plantación de especies, pero se desconoce cantidad, ubicación, género y metodología utilizada. Posteriormente, se efectuaron 20 nuevas intervenciones con retoños realizada por el Instituto San Benito. El comportamiento del sistema de retroalimentación en respuesta a perturbaciones de entrada por intervención humana puede generar una correlación negativa cuando se plantan los retoños en un micro lugar escaso de
Allen, Joel Asaph (1877). «The influence of Physical conditions in the genesis of species». Radical Review 1: 108–140.
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suelo, pues escapan al control de densidad. Sin embargo y asumiendo una hipótesis de población original de 150 individuos, se experimenta el avance de la tasa de mortalidad (Baja supervivencia), a pesar de los esfuerzos incrementales de intervención humana frente a la esterilización del suelo. Como se muestra en el Cuadro 10, el sistema carece de amortiguación pues a medida que crece la población, se incrementa la mortandad de especies viejas y jóvenes. Claramente no se atenúan las causas de deforestación, por consiguiente la situación empeora, transformando al Bosque Original en un parque urbano. No se evidencian herramientas que permitan la conservación del Bosque en forma sustentable en el tiempo y el espacio, tal que posibiliten mantener o acrecentar los balances y flujos de materia biótica. Existe un Límite de distribución potencial, que refiere a un área no ocupada para vivir y reproducirse con éxito una especie. En verificación en campo, se observó una nueva plantación dentro del polígono. En base a la Ley del mínimo (Liebig, 1840) y las Leyes de Tolerancia de las especies (Shelford, 1913) se observa que la zona de transplante se ha distribuido sin su posible aprovechando dentro del límite de la reserva. La perturbación aceptable del sistema debe contener un control de densidad amortiguado, tal que sea sostenible la capacidad de carga6 del sistema. La nueva distribución de la especie dependerá del factor ambiental para su escala de adaptabilidad.
Leyenda Para concluir el artículo, presentaremos una breve reflexión sobre la leyenda del Monte de los ombúes. La tradición popular indica que los pueblos originarios (aborígenes charrúas, los minuanes) plantaron esta especia cada vez que un miembro de la tribu moría. Posteriormente el bosque floreció favorecido por las virtudes del clima y características bióticas. A modo de establecer un patrón de trasplante, se graficó la ubicación de las especies detectada por imagen satelital. Los puntos denotan la ubicación de los individuos georreferenciados en una distribución aparentemente azarosa. En oposición, se podría pensar en una distribución jerárquica del cementerio aborigen. A priori y sin informaLa capacidad de carga (CC) es la cantidad media de unidades sostenibles que puede soportar el ecosistema.
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ción sobre el crecimiento de la especia, la distribución de las plantas, no se correlaciona con una evidencia de la acción humana. Se debería estudiar la antigüedad de las edades adultas de cada individuo de la especie con la correlación histórica de población humana devenida de exploraciones arqueológicas forenses.
Conclusión Se conoció que el monte de los ombúes contaba con una mayor extensión, la cual trabajada en aproximación dentro del sistema gvSIG 1.12, se estimó en un área de 245.599 y un perímetro de 1.863 la cual puede ser superior si se obtienen mejores datos históricos. Es decir que aceptando esta hipótesis, el área del monte nativo originario se redujo en un 81,13% y el perímetro en 48% en menos de 3 décadas. Sobre la base de los escalones a nivel del mar detectado, se trazaron seis niveles o cotas experimentales como hipótesis teóricas del escurrimiento pluvial. Luego, se simuló en función a las pendientes, las hullas naturales que degradan al suelo en conjunto con las inundaciones provenientes del sur y los vientos del noreste. Dentro del escenario de vulnerabilidad se demarcaron las zonas de tránsito humano y los daños entrópicos. Posteriormente, basados en la foto satelital del año 2005 y la evidente desertificación, se han georreferenciados los individuos de la especie visibles arribando a una población hipotética de 73 ejemplares, stock biológico a la fecha. La ocupación de la especie era inferior al polígono determinado para la reserva, lo cual denota el nivel de tensión antrópica y deforestación del bosque nativo por la utilización intensiva del paisaje. Como ejercicio metodológico, se estableció la distribución de la densidad de la población en tres cuadrículas, con el objeto de ubicar y estimar la superficie de las diferentes zonas: roja, amarilla y verde. Es llamativo que exista mayor densidad hacia la zona más baja a nivel del mar, donde ocurre en principio, mayor erosión de humus. En complemento, se demarcó un Esquema de instalación de parcelas circulares de 15 metros de radio según la explicación del Ing. Sabattini en su manual la aplicación del método para la evaluación de los árboles (título 2.10). Como ensayo del estado de entropía, se evaluó la densidad de la población de un espacio temporal de 400 años. En septiembre de 2011 se informó la existencia de 50
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ejemplares, estando la mitad en estado de decrepitud y del resto solo el 5% eran hembras. Si existen ombúes de 400 años de edad, el monte data del año 1610, pero se tomó como año de inicio a 1810, donde se verifica un índice de mortalidad del orden el 58,3% y en los últimos 3 años del 31,5%, existiendo a la fecha un estimado supuesto del 20% de especies supervivientes de 400 años y otros ejemplares que rondan entre los 150 y 300 años. Para finalizar, se presentó una breve reflexión sobre las intervenciones humanas en cuanto a trasplante de individuos. Se destacó la importancia sobre el manejo del bosque nativo y la responsabilidad de dichas intervenciones, aportando una opción basada en la bibliografía de consulta. Esta serie de datos permiten vislumbrar las tensiones emergentes entre el uso de los recursos naturales y la sustentabilidad en el tiempo y en el espacio del monte nativo.
Discusión Por una parte, la Ley Nº 25.675 Argentina, que establece los presupuestos mínimos para el logro de una gestión sustentable y adecuada del ambiente, la preservación y protección de la diversidad biológica y la implementación del desarrollo sustentable en el capítulo de Daño Ambiental, complementa lo dispuesto en la Constitución Nacional Argentina7, a través de los artículos 27, 28, 29 y 31. El daño ambiental, por sus propias características, requiere de un tratamiento distinto por parte del instituto civil de la responsabilidad y el de la prescripción ya que la no certeza es inherente a la cuestión ambiental. Los daños ocasionados al ambiente, en muchas ocasiones, no son consecuencia de una sola acción, sino que son producto de todo un proceso extendido en el tiempo y en el espacio, sin respetar límites o fronteras políticas ni geográficas. La Ley Nº 25.675 establece también el derecho de toda persona de opinar en procedimientos administrativos que se relacionen con la preservación y protección del ambiente, que sean de incidencia general o particular, y de alcance general. 7 En Argentina, el art. 41 de la Constitución Nacional dispone: “todos los habitantes gozan del derecho a un ambiente sano, equilibrado, apto para el desarrollo humano y para que las actividades productivas satisfagan las necesidades presentes sin comprometer las de las generaciones futuras; y tienen el deber de preservarlo. El daño ambiental generará prioritariamente la obligación de recomponer, según lo establezca la ley. Las autoridades proveerán a la protección de este derecho, a la utilización racional de los recursos naturales, a la preservación del patrimonio natural y cultural y de la diversidad biológica, y a la información y educación ambientales. Corresponde a la Nación dictar las normas que contengan los presupuestos mínimos de protección, y a las provincias, las necesarias para complementarlas, sin que aquellas alteren las jurisdicciones locales. Se prohíbe el ingreso al territorio nacional de residuos actual o potencialmente peligrosos, y de los radioactivos”. 8 Personas físicas o jurídicas que no fueran parte en el pleito., pueden presentarse ante la Corte Suprema de Justicia de la Nación Argentina en calidad de Amigo del Tribunal. La Corte reglamentó la figura del Amicus curiae mediante Acordada 28/2004 y, asimismo, estableció un reglamento para audiencias públicas en el ámbito judicial.
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El estado ha de asumir la obligación (surgida de los instrumentos internacionales de protección ambiental, de la Constitución Nacional Argentina y de la Ley de Política Ambiental Nacional), de garantizar la mayor participación de la ciudadanía, transformando su enunciación meramente formal en efectividad a través de instrumentos tales como la institucionalización de la figura del Amicus curiae8 , la realización de audiencias públicas en el marco del proceso judicial y la mayor difusión de la actuación de la justicia ambiental a través de los medios de comunicación. Esta comprensión de la problemática y la necesidad imperiosa de reformular las actividades humanas, están conllevado a una ampliación de la tutela jurídica al reconocer el Derecho de la Tierra como ente que posee vida. El nacimiento de un derecho de cuarta generación, no sólo exige la concertada acción positiva de todas las fuerzas sociales en pos del logro de un objetivo común, sino que lo hace con miras a satisfacer las necesidades e intereses de las generaciones por venir, con la responsabilidad de quien administra un bien que es del género humano como tal y no de una población determinada en un tiempo dado; considerando que existe una solidaridad de efectos diferidos respecto de la deuda que la generación presente tiene con un nuevo sujeto del derecho internacional. Por otra parte, en el enfoque multidimensional, la noción de sistema económico pierde su carácter absoluto de sistema cerrado y equilibrado para dar paso a los sistemas económicos abiertos y desequilibrados. Si bien están presentes las relaciones sistema económico-sistema social, la apertura en este caso es, principalmente, respecto al sistema natural. Es por ello que para valuar las dimensiones no monetarias o intangibles de un activo ambiental, la doctrina del área económica y contable han definido diferentes técnicas de valuación basadas en los beneficios obtenidos por los usuarios de dichos recursos. Este valor se podría representar de la siguiente manera: VALOR BIEN AMBIENTAL= VALOR DE USO + VALOR DE EXISTENCIA, en donde el valor ambiental es igual o mayor al valor de uso. Pero en este caso, el hecho de haber definido legalmente una porción de un ecosistema como área protegida quiere decir que el tipo de manejo tendría que responder a una estrategia asociativa para lograr cumplir estos objetivos. Quienes son responsables del plan de manejo tendrán que definir los principios generales que plasmarán en la práctica y posteriormente realizar acuerdos ciudadanos que garantizarían la conservación y utilización sustentable de la biodiversidad de la especie. - 64 -
Sin embargo, debemos destacar que en forma reciente se he generado un renacer de la conciencia ambiental en las poblaciones urbanas de la Provincia de Entre Ríos. Sea esto por propia convicción, o imitación a partir de conductas de otras sociedades que se toman como referentes, lo cierto es que el habitante urbano se transforma paulatinamente en ciudadano demandante de derechos ambientales. Este cambio genera una importante presión del conjunto social, que toma como propio a los conflictos ambientales, sobre los decisores tradicionales (gobierno, instituciones, empresas), demandando soluciones a largo plazo. Entendemos que el componente social basado en el concepto de Amicus curiae es clave en el planteamiento, discusión, implementación y control de las agendas ambientales orientadas a logar un balance armónico entre la producción y la conservación del patrimonio de recursos naturales. Para ello proponemos tomar el conjunto de herramientas técnicas disponibles, generadas en el propio territorio a partir del INTA (Instituto Nacional de Tecnologías Agropecuarias, Argentina), las Universidades, y en base a ellas, y en conjunto con los sectores públicos y privados (gobierno, productores, ONGs, sistema provincial de ciencia y tecnología), diseñar políticas públicas que promuevan y estimulen la producción sustentable al mismo tiempo que desestimulen la utilización de técnicas que afecten la conservación de los recursos naturales.
Bibliografía Azqueta Oyarzum, D (2002). Valoración económica de la calidad ambiental, Madrid, Mcrama Hill. Chapman, William Leslie (1989). El desarrollo de la Contabilidad Social en América Latina en la V conferencia de Facultades y Escuelas de Contaduría de América Latina, Buenos Aires, Argentina, Ediciones Fundación Banco Boston, p. 13. Chiquiar, Walter René (2010), El sistema de información contable y la valuación ambiental: Enfoque del usuario, en “Revista Foro Virtual”, Área 1, Tema 4, (Contabilidad Ambiental. Sistema contable de gestión ambiental). Constitución de la Nación Argentina - 65 -
Diario Paralelo 32, Victoria, Entre Ríos. gvSIG Association, www.gvsig.com. Descarga en: http://www.gvsig.org/web/projects/ gvsig-desktop/official Ley Nº 25.675 de la República Argentina Kliksberg (2011). Escándalos éticos, Buenos Aires, Temas. Martínez y López (2011), El Ambiente desde los paradigmas de la sustentabilidad y el desarrollo humano. Mattessich, Richard (2005). A concise history of analytical accounting: examining the use of mathematical notions in our discipline, en “Revista digital De Computis” (revista española de Historia de la Contabilidad), Madrid, España. Junio. Mintzberg, Ahlstrand y Lampel (2010). Safari a la estrategia, Buenos Aires, Granica. Pfeffer, J (1992). Organizaciones y teoría de las organizaciones, México DF, Fondo de cultura económica. Sabattini, R. A.; Muzzachiodi, N. y Dorsch, A. F. (2002). Manual de Prácticas de Manejo del Monte Nativo, U.N.E.R. Taleb, N. (2011). El cisne negro, Barcelona, Paidós.
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La seguridad en el marco de la competitividad de los destinos turísticos Luis Alberto Grünewald
Resumen Se ha establecido que el turismo actúa como una actividad impulsora de los Derechos Humanos y la Inclusión Social. Se considera que a través de la actividad turística se puede contribuir a que los segmentos de la sociedad más vulnerables, excluidos y discriminados accedan a una vida digna y a que sus derechos sean respetados. Eliminando las barreras físicas, sociales, comunicacionales y culturales con el objetivo final de construir y permitir igualdad de oportunidades de todas las personas. A partir de estudios realizados sobre la motivación de los actores sociales participantes en la actividad turística, se pueden establecer las variables más significativas para el logro de este bienestar personal y social. Se considera que cada grupo humano tiene un conjunto de conductas y valores cuando desarrollan actividades turísticas, estas pautas no tienen materialidad pero los actores sociales involucrados –visitantes, prestadores de servicios, fuerzas de seguridad, etc.- psicológicamente acepta y se mueve en función de los mismos. La seguridad es una variable fundamental de competitividad y uno de sus ejes de trabajo son los derechos humanos y la inclusión social. En su gran mayoría, los destinos turísticos carecen de un diagnóstico global sobre las necesidades y motivaciones en seguridad, derechos humanos y accesibilidad de las personas con capacidades restringidas cuando hacen turismo. Salvo algunos datos cualitativos y estadísticos primarios que describen aspectos parciales de algún segmento de la demanda, no existe a nivel de los organismos públicos ni en las instituciones privadas relacionadas con el sector turístico un análisis o diagnóstico en cuanto a las necesidades, hábitos y costumbres al viajar, incidencia de la seguridad y la accesibilidad en los viajes y turismo, forma de utilización de los servicios, motivaciones por - 67 -
la elección de los destinos; ni como impactan sobre la calidad de vida de los visitantes y residentes de las poblaciones receptoras. Asimismo los prestadores de servicios desconocen las variables conceptuales, metodológicas y operativas de las temáticas en estudio, ya que aun no se encuentra instaurada la concepción del servicio con accesibilidad, calidad y seguridad en los mismos. Existe también una gran falta de capacidad técnica para afrontar estos temas con estándares de calidad adecuados. Por último, no hay en cantidad suficiente recursos humanos calificados para desarrollar estas temáticas en la actividad turística. En el presente trabajo desarrollaremos el marco conceptual de la seguridad turística y sus indicadores de competitividad, entre ellos las variables de los derechos humanos y la inclusión social. Palabras clave: Turismo, seguridad, derechos humanos, inclusión social.
Introducción El inicio del tercer milenio, le plantea a los destinos y a las Mipymes turísticas la necesidad de establecer un nuevo modelo de competitividad así como la implementación de estrategias integrales para el posicionamiento del destino y de las empresas en el mercado. Podemos definir competitividad como la “capacidad de una industria de alcanzar sus objetivos, de forma superior al promedio del sector de referencia y de forma sostenible, o sea: capacidad de obtener rentabilidad de las inversiones superior al promedio, de manera razonable y capacidad de hacerlo con bajos costos sociales y ambientales” (1). La competitividad relaciona dos conceptos: la necesidad de ser competentes conociendo a fondo sobre cada tema de la actividad y el competir a fin de vencer a un oponente, que nos plantea la importancia de conocer lo más profundamente posible a nuestros competidores a fin de que en una batalla competitiva podamos reforzar nuestras ventajas estratégicas. Se plantea en todos los casos generar alternativas que permitan obtener beneficios superiores a las existentes en el mercado para el - 68 -
mismo producto o servicio y mantenerlos pese a los cambios de la oferta empresaria de otros destinos. Un destino turístico es competitivo si: - Conoce a fondo cada variable de la actividad - Estimula el mejor aprovechamiento de los recursos humanos y materiales disponibles - Se diferencia de la competencia Los pasos de este posicionamiento en el mercado son estrategias y programas que requieren de una clara articulación temporal, territorial y sectorial a fin de estructurar productos turísticos de calidad. La realidad hace en el caso de un destino turístico es que cada “producto turístico” tenga sus oportunidades, barreras, fuerzas y debilidades que deben ser consideradas en una relación de fuerzas competitivas que inciden en cada negocio y que condicionan la competitividad. Se plantea en todos los casos generar alternativas que permitan obtener beneficios superiores a las existentes en el mercado para el mismo producto y mantenerlos pese a los cambios de la oferta de otros destinos competitivos.
La relación entre sistemas, modelos e indicadores Es importante comprender a la actividad turística como un sistema. Un sistema es un conjunto de componentes que interactúan entre sí para cumplir un objetivo en común, en nuestro caso conformar la oferta turística. El concepto de sistemas aplicados a la realidad cotidiana, también en el caso específico del turismo, plantea que una forma de representar aquellos es a través de “modelos”, una representación simplificada y generalizada de las características principales de una situación del mundo real, o sea, una abstracción de la realidad que se emplea para obtener una imagen conceptual, con la finalidad de reducir la complejidad del mundo material para así poderlo entender. El valor de un modelo está dado por su posibilidad de aplicación para la comprensión del comportamiento de un conjunto de circunstancias en las que no es posible, por razones técnicas, económicas o políticas, experimentar con una situación real. Luego de la debacle económica acaecida en el año 2001 y una vez restablecida una estabilidad económica y social, el sector de turismo acompañado por la Secretaria de Turismo de la Nación Argentina comienza a trabajar con normas nacionales e inter- 69 -
nacionales e indicadores de competitividad. De acuerdo con Albornoz y Martínez “Los indicadores son herramientas de medición agregada y compleja que permite definir o evaluar un fenómeno, su naturaleza, estado y evolución; articula o correlaciona variables y su unidad de medida es compuesta o relativa”(2). Los indicadores permiten definir o evaluar un fenómeno, se caracterizan por su generalidad, comparabilidad y su cuantificabilidad así como contribuyen a articular o relacionar variables a fin de conformar componentes básicos para posicionar o reposicionar destinos turísticos. El modelo internacional de los indicadores para el desarrollo sostenible de los destinos turísticos de la OMT La globalización permite acceder a distintos modelos teóricos sobre este tema y entre ellos se destaca la Organización Mundial del Turismo (OMT) que elabora en el año 2005 una Guía práctica de Indicadores de desarrollo sostenible para los destinos turísticos que “… ofrece elementos y referencias para elaborar indicadores que contribuyan a paliar los problemas o dificultades en materia de política y gestión que puedan encontrarse en cualquier destino…” Dice la OMT en la Guía Práctica que “…Los indicadores son medidas de la existencia de dificultades o de la gravedad de las ya conocidas, indicios de situaciones o problemas por venir, medidas del riesgo y de la necesidad potencial de acción, y medios para identificar y evaluar los resultados de nuestras acciones. Los indicadores son conjuntos de información formalmente seleccionada que se utiliza con carácter regular en la medición de los cambios pertinentes para el desarrollo de la gestión del turismo. Pueden medir: a) cambios en las propias estructuras turísticas y factores internos; b) cambios en los factores externos que afectan al turismo y c) las repercusiones del turismo. Para la elaboración de indicadores sobre la sostenibilidad es igualmente útil la información cuantitativa como la cualitativa. Normalmente, los indicadores se eligen de entre una serie de conjuntos de datos o fuentes de información posibles por su importancia para los principales problemas a los que deben hacer frente los gestores turísticos. La utilización de esos indicadores puede culminar en la adopción de medidas que anticipen y prevengan situaciones indeseables (o no sostenibles) en los destinos. - 70 -
En el contexto del desarrollo sostenible del turismo, los indicadores son series cronológicas de información estratégica para la sostenibilidad de un destino, sus activos, y en última instancia, el futuro del sector turístico. En cualquier destino, los mejores indicadores son los que responden a los riesgos y preocupaciones fundamentales respecto de la sostenibilidad del turismo, y facilitan información que puede ayudar a circunscribir problemas y evaluar respuestas. Los indicadores responderán normalmente a asuntos relativos a los recursos naturales y al medioambiente de un destino, a inquietudes respecto de la sostenibilidad económica, a problemas sobre los activos culturales y los valores sociales y, más ampliamente a cuestiones de organización y gestión, tanto en el sector turístico como en el conjunto del destino…” Dice también la OMT en la Guía Práctica que “…Algunas de las ventajas de contar con buenos indicadores son las siguientes: 1. Mejora de la adopción de decisiones - disminución de los riesgos o costos. 2. Detección de los problemas emergentes - posibilidad de prevención. 3. Identificación de las repercusiones - posibilidad de adoptar medidas correctivas en caso de necesidad; 4. Evaluación de los resultados de la aplicación de planes y la realización de actividades de gestión - evaluación de los progresos realizados en el camino hacia un desarrollo sostenible del turismo; 5. Reducción del riesgo de la comisión de errores en la planificación - determinación de los límites y las oportunidades; 6. Mayor responsabilización - el suministro de información fidedigna al público y otras partes interesadas del sector fomenta la responsabilización y su prudente utilización en la adopción de decisiones; 7. Una vigilancia constante puede permitir una mejora continua - incorporación de soluciones a la gestión….” (3) Dice, por último la OMT en la Guía referida, que se pueden realizar indicadores en diferentes niveles “…Los indicadores pueden sustentar la adopción de decisiones basadas en información en todos los niveles de la planificación y la gestión del turismo: • Nivel nacional - para detectar amplios cambios en el turismo en el plano nacional, establecen comparaciones con otros países, proporcionan una referencia para - 71 -
la identificación de los cambios a niveles más localizados y sirven de base para una planificación estratégica de amplio nivel; • Nivel regional - como contribución a los planes regionales y los procesos de protección, para servir de base de comparación entre regiones y para facilitar información con miras a los procesos de planificación nacional; • Destinos específicos (por ejemplo, zonas costeras, ayuntamientos y comunidades locales) para identificar elementos clave de los activos, el estado del sector turístico, los riesgos y los resultados; • Sitios clave de uso turístico dentro de los destinos (por ejemplo, áreas protegidas, playas, distritos históricos dentro de las ciudades y zonas de especial interés) donde determinados indicadores pueden ser fundamentales para la adopción de decisiones sobre el control del sitio, la gestión y el futuro desarrollo de atracciones turísticas (por ejemplo, parques nacionales y parques temáticos) y donde los indicadores de nivel de gestión pueden contribuir a la planificación y el control del sitio; • Empresas turísticas (por ejemplo, tour operadores, empresas hoteleras, de transporte y de suministro de comidas) que pueden acceder a indicadores para incorporarlos a su proceso de planificación estratégica de los destinos; • Establecimientos turísticos individuales (por ejemplo, hoteles, restaurantes, puertos deportivos…) para controlar las repercusiones y los resultados de su funcionamiento. Los indicadores generados a diferentes escalas suelen estar estrechamente vinculados. Si se agrupan, muchos pueden servir para crear indicadores de más alto nivel. Relacionados con otros sitios o regiones, pueden contribuir a la realización de análisis comparativos o al establecimiento de referencias. Por ejemplo, los indicadores de los resultados ambientales recabados en los distintos establecimientos turísticos suelen transmitirse a la dirección central de las cadenas hoteleras y los restaurantes, a las empresas de transporte y a los tour operadores en el marco de la actividad comercial normal y pueden constituir importantes aportaciones en los procesos de planificación y adopción de decisiones empresariales. Los indicadores de la sostenibilidad de un destino suelen basarse en datos recabados a un nivel más específico, de sitios turísticos clave, determinadas atracciones turísticas y establecimientos turísticos individuales. Los indicadores de los destinos constituyen una contribución esencial para los procesos regionales de planificación que pueden acumular aún más información para elaborar indicadores nacionales…” (4)
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Modelos globalizados de indicadores de competitividad para destinos turísticos Distintas instituciones públicas y privadas comienzan a trabajar sobre el tema de la utilización de Indicadores y en el año 2007 se realizo el primer Informe de Competitividad de la Industria de Viajes y Turismo 2007 elaborado por la ONG suiza World Economic Forum. El objetivo de este trabajo es analizar los factores que impulsan la competitividad en el sector turístico y parte de un análisis internacional que mide los factores que hacen atractiva la posibilidad de desarrollar la industria de viajes y turismo en cada país. El informe se fundamenta en una serie de 13 puntos, denominados “pilares de competitividad” en el sector de viajes y turismo, que considera las siguientes premisas: 1. Normas y reglamentaciones de la política 2. Reglamentación ambiental 3. Seguridad 4. Salud e higiene 5. Establecimiento de prioridades en el sector de viajes y turismo 6. Infraestructura de transporte aéreo 7. Infraestructura de transporte terrestre 8. Infraestructura de turismo 9. Infraestructura de tecnología de la información y la comunicación (ICT) 10. Competitividad de precios 11. Capital humano 12. Percepción del turismo nacional 13. Recursos naturales y culturales El Informe de Competitividad de la Industria de Viajes y Turismo 2007 combina información de fuentes disponibles para el público en general, de instituciones internacionales de viajes y turismo y de especialistas en el tema, así como también de los resultados de la Encuesta de Opinión Ejecutiva (Executive Opinion Survey), una encuesta integral realizada en los países incluidos en el informe, una vez al año, por el World Economic Forum y su red de institutos asociados (que incluye a los principales institutos de investigación y organizaciones comerciales). Se evaluaron en esta oportunidad 124 destinos y la Argentina figura en el puesto Nº 64, detrás de Costa Rica, Chile, Jamaica, México, Dominicana, Panamá, Uruguay, Brasil.
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Definir “modelos” implica el acotamiento de un sistema particular de características que permita diferenciar a cada uno de ellos. Para formular una definición de un modelo se pueden presentar dos problemas básicos: las imprecisiones del límite entre ellos y la dificultad de describir las relaciones entre las partes que forman el modelo. La definición implica establecer un “punto de vista” que determina la forma en que se entenderá la realidad.
Seguridad. Marco conceptual El término seguridad (del latín securitas) cotidianamente se puede referir a la ausencia de riesgo o a la confianza en algo o en alguien. Sin embargo, el término puede tomar diversos sentidos según el área o campo a la que haga referencia. En términos generales, seguridad se define como “estado de bienestar que percibe y disfruta el ser humano”. (5)
Principios básicos de una política de seguridad Entendemos por “política” la determinación de objetivos, metas hacia las cuales orienta su acción un destino o una empresa. La política tendría una fase reflexiva de enunciados donde se afirma, con la mayor claridad posible, los fines a los cuales tenderá en su acción la institución. En esta fase los enunciados, por generales que los mismos sean en su contenido, deberán ser empíricos, esto es, referirse a una realidad. La generalidad, la amplitud de conceptos, no implica enunciados metafísicos. En una segunda fase, la política es acción, concreción en la realidad de los enunciados anteriores. Esto sólo es posible si los primeros se relacionan, a través de su significado, con la realidad. Una política de Seguridad se fundamenta en: - Filosofía: se entiende por filosofía a un concepto motivacional permanente que orienta a la institución y a cada Departamento de la misma a lograr sus objetivos. - Normas: es el conjunto de pautas o reglas sobre el que se basa el funcionamiento de la empresa. - Organización: es el sistema de seguridad que permite la materialización del objetivo -la seguridad del establecimiento-. - 74 -
La premisa para la implementación de una Política de Seguridad es una seguridad científica, basada en el seguimiento y la investigación analítica de las situaciones de riesgo, el cumplimiento y la aplicación de las normas y la búsqueda y análisis de posibles nuevos riesgos en un destino o empresa. La seguridad debe ser interpretada como un estado subjetivo que nos permite percibir que nos desplazamos en un espacio exento de riesgos reales o potenciales. La falta de seguridad genera un conflicto, un choque o lucha de valores y derechos La seguridad es un bien intangible que sólo se materializa en toda su dimensión cuando falla. Al fallar se orientan las miradas hacia las normas existentes o ausentes en vez de definir estrategias de prevención. En el transcurso normal de la actividad turística, la prevención se convierte en una práctica tediosa, con costos fijos altos y acciones rutinarias que se pierden con el paso del tiempo. Así la percepción de la inversión en prevención de la seguridad es entendida como un costo y no como una inversión, por lo que las empresas tienden a evitar la misma. Pero podemos afirmar que los ahorros iniciales se transforman en perdidas extraordinarios y en costos muy altos por la improvisación de salir del problema al no prevenir adecuadamente el servicio. El eje fundamental de una estrategia de seguridad es prevenir, término que significa ver venir, a su vez significa prever - esto es ver anticipadamente las cosas-, pero también significa predecir, o sea imaginar lo que puede ocurrir, basado en nuestros conocimientos y experiencias. El objetivo de la seguridad es actuar anticipadamente para evitar que algo ocurra de manera diferente a lo que deseamos. Si interpretamos que la seguridad es el conjunto de acciones destinadas a la reducción de la probabilidad de un acontecimiento posible no deseado, es importante como principio fundamental comprender que no se puede proteger todas las personas y bienes, en cualquier momento y contra cualquier circunstancia que se presente. Es importante entender que adoptar toda protección concebible contra toda amenaza posible nos llevaría a una empresa operativa y económicamente inviable. La seguridad turística debe ser analizada desde dos dimensiones: - Una dimensión objetiva, basada en parámetros cuantitativos representada por la presencia de delitos, los denominados no delitos como los decesos naturales, turista extraviado o extravío de pertenencias entre otros y los accidentes. - 75 -
- Una dimensión subjetiva, basada en parámetros cualitativos y determinada por la sensación de incertidumbre y de riesgo potencial que tiene el ciudadano. El objetivo de la seguridad es actuar anticipadamente para evitar que algo ocurra de manera diferente a lo que deseamos y la demanda de seguridad ha dado lugar a dos tipos de respuestas por parte de las instituciones, una es la política reactiva por ejemplo el modelo “tolerancia cero”. Son medidas aplicadas a espacios geográficos en riesgo que impactan comunicacionalmente y benefician de inmediato a los grupos sociales y áreas de los destinos con mayor visibilidad de la inseguridad y la segunda es la política preventiva, término que significa ver venir, a su vez significa prever - esto es ver anticipadamente las cosas-, pero también significa predecir, o sea imaginar lo que puede ocurrir, basado en nuestros conocimientos y experiencias.
Escalas de actuación en temas de seguridad La seguridad es una de las pautas principales de valoración del hombre en la elección de un destino durante el tiempo libre destinado al turismo y la recreación y debe ser interpretada como un estado objetivo y subjetivo que nos permite percibir que nos desplazamos en un espacio exento de riesgos reales o potenciales. Podemos identificar un conjunto de escalas de actuación en el campo de la seguridad:
Seguridad Humana Podemos decir que este concepto queda plasmado inicialmente en La Declaración Universal de Derechos Humanos del año 1948 donde se proclama que “la libertad, la justicia y la paz del mundo tienen por base el reconocimiento de la dignidad intrínseca y de los derechos iguales e inalienables de todos los miembros de la familia humana” y se difunde a partir del Informe sobre Desarrollo Humano del PNUD en el año 1994 donde se señala que “…la seguridad humana no significa ya contar con salvaguardias cuidadosamente erigidas contra la amenaza de un holocausto nuclear, una probabilidad que se ha reducido grandemente al terminar la guerra fría. En cambio, significa responder a la amenaza de la pobreza mundial que atraviesa las fronteras internacionales en forma de estupefacientes, VIH/SIDA, cambio climático, migración ilegal y terrorismo”. (6)
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El Informe sobre Desarrollo Humano del PNUD de 1994 definió la seguridad humana a partir de dos aspectos principales. “En primer lugar, significa seguridad contra amenazas crónicas como el hambre, la enfermedad y la represión. Y en segundo lugar, significa protección contra alteraciones súbitas y dolorosas de la vida cotidiana, ya sea en el hogar, en el empleo o en la comunidad. Establece como características esenciales, las siguientes: La seguridad humana es una preocupación universal. Es pertinente a la gente de todo el mundo, tanto en países ricos como en países pobres. La intensidad de las amenazas puede variar de un lugar a otro, pero éstas son reales. Los componentes de la seguridad humana son interdependientes. Cuando la seguridad de la población está amenazada en cualquier parte del mundo, es probable que todos los países se vean afectados. Es más fácil velar por la seguridad humana mediante la prevención temprana que con la intervención posterior. La seguridad humana está centrada en el ser humano. Según este informe, las amenazas a la seguridad humana pueden clasificarse en siete categorías, a saber: Seguridad económica Seguridad alimentaria Seguridad de la salud Seguridad ambiental Seguridad personal Seguridad de la comunidad Seguridad política” (7) Dice el Instituto Interamericano de Derechos Humanos, (IIDH) que “La seguridad humana consiste en proteger, de las amenazas críticas (graves) y omnipresentes (generalizadas), la esencia vital de todas las vidas humanas de forma que se realcen las libertades humanas y la plena realización del ser humana. La seguridad humana integra tres libertades: la libertad del miedo, la libertad de la necesidad (o miseria) y la libertad para vivir con dignidad: • Libertad del miedo, implica proteger a las personas de las amenazas directas a su - 77 -
seguridad y a su integridad física, se incluyen las diversas formas de violencia que pueden surgir de Estados externos, de la acción del Estado contra sus ciudadanos y ciudadanas, de las acciones de unos grupos contra otros, y de las acciones de personas contra otras personas. • Libertad de la necesidad o de la miseria, se refiere a la protección de las personas para que puedan satisfacer sus necesidades básicas, su sustento y los aspectos económicos, sociales y ambientales relacionados con su vida. • Libertad para vivir con dignidad, se refiere a la protección y al empoderamiento de las personas para librarse de la violencia, la discriminación y la exclusión. En este contexto, la seguridad humana va más allá de la ausencia de violencia y reconoce la existencia de otras amenazas a los seres humanos, que pueden afectar su sobrevivencia (abusos físicos, violencia, persecución o muerte), sus medios de vida (desempleo, inseguridad alimentaria, amenazas a la salud, etc.) o su dignidad (violación a los derechos humanos, inequidad, exclusión, discriminación).(8)
Seguridad multidimensional Dice Abraham Stein que “Para la Organización de Estados Americanos la construcción de sociedades pacíficas y prósperas es un objetivo primordial. Y las amenazas a la seguridad representan indudablemente serios obstáculos para el logro del mismo. La Asamblea General de la OEA adoptó en Bridgetown, en 2002, un enfoque multidimensional de la seguridad. Esto implicó la expansión de la definición tradicional de seguridad, que involucraba exclusivamente amenazas de tipo militares externas, para incorporar una combinación de problemáticas políticas, económicas, medioambientales y de seguridad humana. En la Conferencia Especial sobre Seguridad que tuvo lugar en la ciudad de México en 2003, el concepto de Seguridad Multidimensional quedó definitivamente establecido. De acuerdo con la Declaración sobre Seguridad en las Américas: “El fundamento y razón de ser de la seguridad es la protección de la persona humana… Las condiciones de la seguridad humana mejoran mediante el pleno respeto de la dignidad, los derechos humanos y las libertades fundamentales de las personas, así como mediante la promoción del desarrollo económico y social, la inclusión social, la educación y la lucha contra la pobreza, las enfermedades y el hambre…el concepto y los enfoques tradicionales deben ampliarse para abarcar amenazas nuevas y no tradicionales, que incluyen aspectos políticos, económicos, sociales, de salud y ambientales…” - 78 -
La Declaración identifica las siguientes nuevas amenazas a la seguridad: • El terrorismo, la delincuencia organizada transnacional, el problema mundial de las drogas, la corrupción, el lavado de activos, el tráfico ilícito de armas y las conexiones entre ellos. • La pobreza extrema y la exclusión social de amplios sectores de la población, que también afectan la estabilidad y la democracia. La pobreza extrema erosiona la cohesión social y vulnera la seguridad de los estados. • Los desastres naturales y los de origen humano, el VIH/SIDA y otras enfermedades. • Otros riesgos a la salud y el deterioro del medio ambiente. • La trata de personas. • Los ataques a la seguridad cibernética. • La posibilidad de que surja un daño en el caso de un accidente o incidente durante el transporte marítimo de materiales potencialmente peligrosos, incluidos el petróleo, material radioactivo y desechos tóxicos. • La posibilidad del acceso, posesión y uso de armas de destrucción masiva y sus medios vectores por parte de terroristas. La larga experiencia de la Organización permitió constatar que los fenómenos a los que nos enfrentamos se encuentran estrechamente relacionados y deben ser encarados con un enfoque integral. Por otra parte, estos problemas sobrepasan los límites de los estados, haciendo indispensables los sistemas de cooperación regionales e internacionales.
Seguridad hemisférica Los estados del hemisferio se enfrentan a formas cada vez más complejas de amenazas a su seguridad. Los criminales han aprovechado las herramientas modernas, recurriendo al uso de nuevas tecnologías, mejorando su capacidad de organización y, consecuentemente, ha aumentado el nivel de violencia y letalidad en la comisión de delitos. La inseguridad ciudadana constituye hoy en día una de de las amenazas centrales para la convivencia civilizada y pacífica, y asimismo representa un desafío para la consolidación de la democracia y el Estado de derecho (DPS).” (9)
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Seguridad interior En el caso de seguridad interior dice José Bonini “…con la finalidad de normalizar criterios sobre los alcances de la terminología a utilizar, comenzaré definiendo el concepto de seguridad interior, dado que el mismo es muy amplio y abarcativo, y en función del encuadre que se tratará tomaré como definición la establecida en la Ley de Seguridad Interior (Ley 24.059) que en su Art. 2° dice: “Se define como Seguridad Interior a la situación de hecho basada en el derecho n la cual se encuentran resguardados la libertad, la vida y el patrimonio de los habitantes, sus derechos y garantías y la plena vigencia de las instituciones del sistema representativo, republicano y federal que establece la Constitución Nacional”. En ella se implica además, el empleo de los elementos humanos y materiales de todas las fuerzas policiales y de seguridad de la nación, a fin de alcanzar los objetivos enunciados”. (10)
Seguridad ciudadana, seguridad comunitaria y seguridad turística Cuando se habla de seguridad, encontramos un conjunto de términos como seguridad ciudadana, seguridad comunitaria y seguridad turística que es importante acotar, definir y relacionar. Cuando hablamos de seguridad ciudadana nos estamos refiriendo a aquella condición o situación de resguardo integral de las personas y sus bienes ante riesgos y amenazas y del libre ejercicio de sus derechos humanos que se mantiene en el tiempo. La seguridad ciudadana está constituida por cuatro componentes básicos: el marco legal, el sistema judicial, el sistema penitenciario y las fuerzas de seguridad. También encontramos el concepto de seguridad comunitaria, que plantea un modelo concreto de gestión de la seguridad que toma en cuenta al ciudadano en la formulación, desarrollo y verificación de las políticas de seguridad. Con relación a la seguridad turística, en su programa de trabajo la OMT entiende la seguridad turística como la protección de la vida, de la salud, de la integridad física, psicológica y económica de los visitantes, prestadores de servicios y miembros de las comunidades receptoras.
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La seguridad turística es una variable de la seguridad ciudadana y debe ser analizada como parte de un sistema de seguridad integral pero con sus propios indicadores o ejes de trabajo.
Seguridad turística: la importancia de definir una actividad Definir una actividad -la seguridad- hoy, implica el acotamiento de un sistema particular de acciones que permiten diferenciarla del resto de las actividades. Para formular una definición de una actividad, se pueden presentar dos problemas básicos: la imprecisión del límite entre la actividad a definir y el resto de las actividades y la dificultad en describir las relaciones entre las partes que forman la actividad y que permiten considerarlo como un sistema. La definición implica establecer un “punto de vista” que determinará la forma en que se entenderá la realidad. Este enfoque metodológico fue el que llevó a establecer como una tarea previa y fundamental la definición del término “turismo” en la medida que la tarea representa establecer cuáles son los contenidos atribuidos al término y, por consiguiente, cuál es la realidad (entendida como un sistema) que el mismo abarca. La tarea de definir el contenido de un término, por lo tanto, no es un simple ejercicio semántico. Por el contrario, la determinación del contenido específico de dicho término permitirá establecer las actividades inherentes al objeto en estudio y la calificación de las acciones que integran el sistema. Sobre este último, consideramos necesario establecer una aclaración, a raíz de la tendencia a las adjetivaciones sobre el turismo. El “punto de vista” planteado es que las actividades no se califican. Las actividades sólo se definen, se acotan, se delimitan, para poder construir un mejor conocimiento sobre las mismas y operar sobre la base de ese conocimiento. Lo que sí puede ser calificado son las consecuencias de la actividad.
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Un método para comprender la seguridad turística El método que se propone para comprender la seguridad turística es en primer lugar definir la actividad, entendiendo por tal su diferenciación del resto de las actividades. Esta definición implica atribuir un significado al término y a partir de ello comprender el turismo como un sistema particular, incluyendo sus partes, relaciones y operaciones como un todo diferenciable. Es necesario adoptar una acepción única, que el conjunto de la sociedad haga suya, como punto de vista unificado. Lo fundamental es concentrarse en la búsqueda de un significado con claridad para la comprensión y operación sobre la actividad que el mismo acota, sin detenerse en calificar a la realidad en estudio. En la relación entre la seguridad y el turismo, la Organización Mundial del Turismo ha definido en el año 2001 la seguridad turística como la protección de la vida, de la salud, de la integridad física, psicológica y económica de los visitantes, prestadores de servicios y miembros de las comunidades receptoras. Esta definición tiene una generalidad y amplitud que evita el empobrecimiento conceptual del fenómeno.
El análisis de la consecuencia Una vez en posesión del “punto de vista” que nos proveerá la definición del término, podemos comenzar a analizar sus consecuencias, es decir, los efectos cuyas causas podemos atribuir a la actividad. A diferencia de lo dicho con respecto a la definición, estos efectos sí tienen posibilidad de valoración, y podemos enunciar las siguientes posibles consecuencias: - Económicas - Sociales - Políticas - Culturales - Ambientales - Psicológicas
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Determinado el conjunto de consecuencias de la actividad, para la “modificación” de las mismas, será necesario determinar las variables o índices de mayor significación de cada una de ellas y su posibilidad de medición. La importancia de esta última condición surge de que, si no hay medición de un fenómeno, no existe posibilidad de conocerlo y, sin ello, posibilidad de determinación de un cambio, no hay posibilidad de medición de un efecto, y, si no hay efectos perceptibles, no hay consecuencia atribuible a la actividad. El número de variables posibles para la delimitación de un fenómeno es ilimitado, o, al menos, de gran magnitud. Entre ellas, se deberán elegir, de manera genérica, las de mayor significación y las de posible medición. La complejidad del tema no implica perdernos en una exhaustiva y larga búsqueda de la mayor cantidad de variables y la más precisa medición de las mismas. Existen límites para ellos, los cuales estarán determinados por la disponibilidad de recursos humanos, recursos económicos, necesidades inmediatas, etc. Debemos seleccionar las variables que nuestras posibilidades actuales permitan, lo cual no significa cerrar el camino de la búsqueda, sino iniciarlo. Las variables elegidas serán los indicadores de las consecuencias, que permitirán observar y evaluar los resultados. Su determinación en el nivel que sea posible, es una tarea básica, dado que sólo la posibilidad de medir los efectos de la actividad de un campo determinado nos permitirá pasar de la formulación genérica de las consecuencias a su valoración concreta. Establecido el límite de la actividad, analizadas las consecuencias que el mismo puede producir y seleccionadas las variables que permiten medir dichas consecuencias, llegamos a la etapa de la ponderación de los valores medidos en las variables de las consecuencias producidas por la actividad. La ponderación de los efectos implicara la adopción de una política.
El turismo y la seguridad. El efecto “11-s” El ataque terrorista en EE.UU. y más específicamente en la Ciudad de Nueva York el 11 de septiembre de 2001 cuyo epicentro mas mediático fue el ataque al Complejo del - 83 -
World Trade Center produjo un antes y un después analizado desde la óptica de la actividad turística. Antes del atentado terrorista del 11 de septiembre existía una visión de la seguridad en el turismo que intentaré enunciar en 10 puntos: 1- La seguridad era entendida como temas que se orientaban a hechos delictivos, accidentes y siniestros como incendios. 2- El personal relacionado a la seguridad en establecimientos relacionados a la actividad turística no debían percibirse -era lo que podemos denominar “personal invisible”-. 3- No se realizaban acciones de prevención -como simulacros de evacuación contra incendios- porque las mismas afectaban a la empresa en su imagen. Las acciones relacionadas a la seguridad había que esconderlas. 4- Se negaban las inversiones en tecnología para la seguridad por sus altos costos. 5- No se controlaba en forma abierta la circulación de personas, mercaderías y vehículos en establecimientos, terminales de transporte y vehículos de turismo. 6- El tránsito por terminales de transporte aéreo y el viaje en vuelos de cabotaje no estaban controlados, en vuelos de cabotaje era natural viajar con el pasaje de un tercero ya que nadie verificaba la identidad del pasajero. 7- No se incluía la seguridad como una variable en las estrategias de comunicación comercial. 8- La seguridad era un elemento de valor en la elección de una empresa o destino pero complementaria. 9- No se hablaba de seguridad ni en el sector empresario ni en el sector público relacionado a la actividad. 10- No se tomaban medidas de seguridad en forma masiva sino que eran puntuales de acuerdo a la realidad de cada destino y de cada empresa.
Después del atentado del 11 de septiembre La demanda turística internacional ante hechos como el ocurrido el 11 de septiembre en las Torres Gemelas como efecto inmediato en forma consciente o inconsciente cambia de rumbo empujado por el miedo y así se produce cancelaciones en forma automática y por largo tiempo desisten de viajar a este destino. Paralelamente la sociedad en forma global en este caso ha percibido una sensación colectiva de extrema vulnerabilidad y el turista en general cambio y por más que quiera no puede volver a ser el que era. A partir de lo que podemos denominar “Efecto 11 - S” podemos plantear que encontramos una serie de 10 puntos que se han modificado en la valoración de esta variable en la actividad turística. - 84 -
1- La seguridad contribuye hoy a posicionar la imagen de un destino o establecimiento turístico. 2-La demanda busca percibir presencialmente la seguridad -ese personal invisible hoy debe ser visible-. 3- La seguridad es un valor agregado en el proceso competitivo de una empresa turística. 4- Se ve como necesario capacitar al personal sobre pautas preventivas de seguridad (por ejemplo en un hotel si recibe un paquete que debe hacer) 5- Se considera la incorporación de la tecnología informática destinada a la seguridad. 6- Se detecta el control más estricto de las personas, principalmente en el caso del transporte aéreo. 7- La seguridad se utiliza como herramienta comunicacional al posicionar su oferta una empresa o destino turístico. 8- Se habla de seguridad en el sector turístico, aunque se desconocen los puntos que integran un sistema de seguridad turística. 9- La seguridad es una variable de rentabilidad 10- No es posible proteger todo, todo el tiempo y contra todo.
Indicadores de seguridad turística El concepto de sistemas aplicados a la realidad cotidiana, también en el caso específico de la seguridad turística, plantea que una forma de representar aquellos es a través de “indicadores”, una representación simplificada y generalizada de las características principales de una situación del mundo real, o sea, una abstracción de la realidad que se emplea para obtener una imagen conceptual, con la finalidad de reducir la complejidad del mundo material para así poderlo entender. El valor de la aplicación de indicadores está dado por su posibilidad de aplicación para la comprensión del comportamiento de un conjunto de circunstancias en las que no es posible, por razones técnicas, económicas o políticas, experimentar con una situación real.
Indicadores básicos para la implementación de una política de seguridad turística Los indicadores son conjuntos de información formalmente seleccionada que se utili- 85 -
za con carácter regular en la medición de los cambios pertinentes para el desarrollo de la gestión de la seguridad en el turismo. La seguridad turística involucra a las fuerzas de seguridad en una serie de aspectos que podemos englobar en diez indicadores básicos: 1- Seguridad pública: sistema que permite el libre desplazamiento del turista por el destino, disminuyendo el porcentaje de situaciones de conflicto, principalmente los hechos delictivos -casos de robos y hurtos- y los accidentes. 2- Seguridad social: sistema que permite el libre desplazamiento del turista por el destino ante problemas sociales como movilizaciones, huelgas, etc. 3- Seguridad y salud: sistema de prevención, emergencia y protección médica al visitante antes de viajar o durante su desplazamiento en el destino turístico. 4- Seguridad informativa y de facilitación turística: sistema de comunicación que permite el conocimiento de la oferta del destino. 5- Seguridad económica: sistema de reaseguro del viajero para prevenir riesgos desde la óptica económica. 6- Seguridad en la recreación y en eventos: sistema que permite la protección durante una actividad recreativa o durante la realización o participación de un evento deportivo, musical, recreativo, etc. del visitante del destino. 7- Seguridad vial y del transporte: sistema que permite el libre y seguro desplazamiento por las vías de comunicación y medios de transporte del visitante desde la salida del lugar de residencia habitual hasta su regreso al mismo 8- Seguridad ambiental y ante desastres naturales: sistema que permite la protección de las personas en espacios naturales y ante problemas climatológicos. 9- Seguridad de los servicios turísticos: Sistema que permita la protección del turista durante el desplazamiento por los distintos establecimientos de servicios turísticos y recreativos (hotel, restaurante, agencia de viajes, etc.) del destino turístico. 10- Derechos humanos e inclusión social: Sistema que permita en el caso de Derechos Humanos la protección ante casos de trata de personas y explotación comercial sexual en viajes y turismo y en el caso de la inclusión social del turismo accesible para personas con capacidades restringidas.
El caso de los derechos humanos y la inclusión social La Organización Mundial del Turismo reconoce la importante dimensión y el papel del turismo como un instrumento positivo para aliviar la pobreza y mejorar la calidad de vida de todas las personas, su potencial para contribuir al desarrollo económico - 86 -
y social, especialmente en los países en vías de desarrollo y su papel de fuerza vital para la promoción del entendimiento, la paz y la prosperidad a nivel internacional. En el Código Ético Mundial para el Turismo considera diversos ámbitos de aplicación, entre ellos la protección al consumidor, la responsabilidad corporativa, la protección de la infancia y de los grupos de población más vulnerables, la sostenibilidad cultural y medioambiental, el diálogo entre culturas, así como su visión del turismo como potenciador del desarrollo y de los derechos humanos fundamentales. En el marco del XX Congreso Interamericano de Ministros y Altas Autoridades de Turismo realizado en la ciudad de Quito, Ecuador en septiembre de 2012, se ha establecido como un eje de trabajo el Turismo como Impulsor de los Derechos Humanos y la Inclusión Social. Se considera que través de la actividad turística se puede contribuir para que los segmentos de la sociedad más vulnerables, excluidos y discriminados accedan a una vida digna y para que sus derechos sean respetados. Además, el turismo permite crear un entorno propicio para generar una plena inclusión social y un verdadero ejercicio de los derechos humanos. Entendemos por seguridad de niños, niñas y adolescentes (NnyA) a la ausencia de riesgos y la protección objetiva y subjetiva frente a carencias y peligros externos de este segmento de la sociedad por parte de la familia, la sociedad y el Estado a fin garantizarles su desarrollo integral, una mejora continua de su calidad de vida y que se cumplan la totalidad de sus Derechos en el tiempo libre destinado al turismo y la recreación. Se considera niño o niña a toda persona desde su nacimiento hasta los doce años, inclusive; y adolescente, a toda persona desde los trece años hasta alcanzar la mayoría de edad. El concepto de seguridad se aplican por igual a todos los niños, niñas y adolescentes, sin discriminación alguna fundada en motivos de raza, color, sexo, edad, idiomas, pensamiento, conciencia, religión, creencias, cultura, opinión política o de otra índole, posición económica, origen social, étnico o nacional, discapacidad, enfermedad, nacimiento, en situación de riesgo o cualquier otra condición del niño, niña o adolescentes, de sus padres, representantes o responsables o de sus familiares. Este marco conceptual en el campo de los Derechos Humanos nos lleva a considerar principalmente la problemática de la Trata de Personas y la Explotación Sexual de Menores. Las mujeres, los jóvenes y los niños son las principales víctimas de la trata, en donde la explotación sexual y el trabajo forzado son las modalidades más visibles. - 87 -
Ello no puede ser ignorado por los actores en la industria turística y por la sociedad en general que tiene que proteger sus derechos. Se destacan básicamente los siguientes problemas a estudiar: - información y prevención de NNyA en viajes y turismo - buenas prácticas y calidad de atención a NNyA - explotación comercial sexual de NNyA en viajes y turismo - trata de NNyA en viajes y turismo - mendicidad y trabajo infantil en la actividad turística Un conjunto de organismos e instituciones internacionales y nacionales vienen trabajando en este tema especifico desde la década de 1990 a fin de establecer una plataforma de acción mundial, buscando como objetivo identificar indicadores de riesgo, disminuir la vulnerabilidad y aumentar la protección de niños, niñas y adolescentes en viajes y turismo. ¿Por qué debemos trabajar en la protección de los NNyA durante el tiempo libre destinado al turismo y la recreación? - Los niños, niñas y adolescentes son un segmento muy vulnerable. - Los niños fundamentalmente, tienen poco o ningún poder para protegerse o asegurar su sustento, y poca influencia en lo mucho que es vital para su bienestar y protección cuando viajan. - Los niños necesitan que otros se expresen y actúen por ellos desde el ámbito familiar, pasando por ámbito educativo y social. La protección de los NNyA durante el tiempo libre destinado al turismo y la recreación es responsabilidad de todos y a modo de ejemplo, la Universidad Nacional de Quilmes ha creado un espacio interdisciplinario e interinstitucional para colaborar en esta acción a nivel local, nacional e internacional y los objetivos principales del Programa de trabajo son: - Desarrollar mecanismos de cooperación, gestión de actividades de formación continua, proyectos y programas de extensión, investigación y transferencia para una mejora de la seguridad de NNyA en destinos y empresas turísticas. - Desarrollar acciones de información, prevención, concientización, investigación, - 88 -
educación y formación permanente del sector de turismo en las distintas problemáticas que afectan al sector. - Concertar políticas comunes y armonización legislativa así como facilidades en términos de dialogo e intercambio de experiencias; - Convertir a las comunidades residentes y al visitante en actores de su propio desarrollo para que den de origen conjuntamente a una mejora permanente de la calidad de vida de los NNyA residentes y visitantes de cada destino turístico. En la problemática de la inclusión social, desde hace ya varias décadas se trabaja para la integración social y productiva de personas con capacidades restringidas, que lleva a establecer principalmente pautas de accesibilidad, calidad y seguridad integrales para este conjunto de personas que involucra entre otros segmentos de la demanda al grupo de la tercera edad, al grupo familiar con niños pequeños, niños y niñas, adolescentes y personas pequeñas, personas con discapacidad temporal (mujeres embarazadas, personas accidentadas o en procesos de rehabilitación, etc.) y personas con discapacidad permanentes (motrices, sensoriales, mentales y múltiples); que según las estadísticas generales conforman un segmento de aproximadamente el 40% de la población mundial; por lo que se requiere una particular atención al tema durante el proceso de planificación de actividades turísticas y recreativas. La Asamblea General de la Organización Mundial de Turismo constituida en Manila en el año 1980 afirmó en su Declaración sobre Turismo Mundial que: “...el derecho al turismo, que debe concebirse en armonía con las prioridades, las instituciones y las tradiciones de cada país, supone para la sociedad el deber de crear para el conjunto de los ciudadanos las mejores condiciones prácticas de acceso efectivo y sin discriminación a este tipo de actividad...” Podemos definir el Turismo Accesible como el complejo de actividades originadas durante el tiempo libre que posibilitan la plena integración desde la óptica funcional y psicológica de aquellas personas con capacidades restringidas, obteniendo durante las mismas una plena satisfacción individual y social del visitante (Barroso, Grünewald 1987). En 1991 la Organización Mundial de Turismo -OMT- plantea en su documento ”Para un turismo accesible a los minusválidos en los años 90” que en todas las naciones existe una considerable proporción de personas con capacidades restringidas -PCR-, concepto que busca no ser discriminatorio y apunta a las posibilidades “de hacer” de - 89 -
estas personas, que están en gran parte impedidas de disfrutar de las posibilidades que se ofrecen hoy en materia de turismo, sobre todo cuando las instalaciones están generalmente concebidas para ser utilizadas por personas “ideales”. En el año 2005 la OMT aprobó la resolución A/RES/492(XVI)/10, denominada “Hacia un turismo accesible para todos”, que establece los lineamientos básicos a considerar en el sector turístico para permitir una igualdad de oportunidades para las personas con capacidades restringidas. El turismo accesible lleva a establecer pautas de integración durante la actividad para este conjunto de personas con capacidades diferentes que se manifiestan por una deficiencia física (motora, sensorial, patológica o visceral) como también por circunstancias transitorias, cronológicas y/o antropométricas. Este conjunto tan amplio involucra en el turismo entre otros segmentos de la demanda al grupo de adultos mayores, al grupo familiar con niños pequeños, niños y personas pequeñas, discapacitados temporales (mujeres embarazadas, personas accidentadas, etc.) y permanentes (motrices, sensoriales y mentales); que según las estadísticas generales conforman este segmento el 40% de la población mundial; por lo que se requiere una particular atención al tema durante el proceso de planificación de actividades turísticas y recreativas. Unir accesibilidad y turismo ha sido uno de los grandes retos en estos últimos años y la realidad se ha encargado de demostrar sus posibilidades. En este sentido, la valoración contemporánea del tiempo libre nos lleva a proponer un análisis particularizado de la accesibilidad en el uso de ese tiempo de ocio que denominaremos «turismo accesible» que es el complejo de actividades originadas durante el tiempo libre que posibilitan la plena integración desde la óptica funcional y psicológica de aquellas personas con capacidades restringidas, obteniendo durante las mismas una plena satisfacción individual y social del visitante y el residente. Podemos afirmar que la accesibilidad es principalmente un problema de solidaridad, que simplemente es solo pensar en el otro, la solidaridad es el único camino para resolver los problemas de un futuro cada vez más complejo. Una forma de potencializar la solidaridad es conociendo las limitaciones reales y no imaginarias de aquellos que tiene una capacidad restringida, creando una conciencia colectiva de esta temática en todos aquellos que intervienen en el desarrollo de las actividades del tiempo libre. Se requiere una conciencia colectiva en la comprensión de esta temática que permita transitar sin barreras por la vida a todos aquellos que tienen una discapacidad o se le presenta una minusvalía -del niño al anciano, permanente o transitoria-, a fin de me- 90 -
jorar la calidad de vida de todos aquellos que tenemos en algún momento de la vida una capacidad restringida. La validación contemporánea del tiempo libre y el ocio y su utilización en la recreación y el turismo, nos lleva a proponer un análisis particularizado de la discapacidad permanente o temporaria en el uso de ese tiempo donde la educación tiene un importante papel a desarrollar en la difusión de la existencia de las barreras. Creemos que la erradicación de las barreras sólo se logrará con la participación de todas las disciplinas, ya que sería infecunda un análisis del tema que solo describiera soluciones técnicas, pues el verdadero problema -la falta de concientización de la sociedad- seguirá enmascarado. Asimismo la calidad es el resultado de un proceso que implica la satisfacción de todas las necesidades, exigencias y expectativas legítimas de los consumidores respecto a los productos y servicios, a un precio aceptable, de conformidad con las condiciones contractuales mutuamente aceptadas y con los factores subyacentes que determinan la calidad tales como la seguridad, la higiene, la accesibilidad, la transparencia, la autenticidad y la armonía de una actividad turística preocupada por su entorno humano y el natural. (OMT., 2003). Aquí debemos recalcar la importancia de dos aspectos: sociológico uno y psicológico el otro, que condicionan fuertemente a las pautas de calidad en el turismo para todos. Necesariamente las empresas turísticas han de tener en consideración estos aspectos al tratar con las personas con capacidades restringidas: el despertar de las personas con capacidades restringidas en la sociedad moderna y la mentalidad propia de las mismas. Necesariamente las empresas turísticas han de tener en consideración aspectos como la autonomía, que permite su disfrute sin ayuda; la seguridad que eliminaría toda posibilidad de daño de cualquier tipo; y la comodidad, entendida como el uso fácil y descansado de las cosas; información amplia y pertinente antes y durante el servicio y personal competente y formado adecuadamente. Se destacan básicamente los siguientes problemas a estudiar: - accesibilidad al medio físico - buen trato y calidad de atención - 91 -
- seguridad - comunicación inteligente - acceso a las tecnologías -TICS-. Podemos inferir que la implementación de las políticas de seguridad, considerando la combinación de los indicadores expuestos, difieren en cada destino a partir del impacto de variables cuantitativas (cantidad de residentes y de visitantes), geográficas, temporales y de acuerdo a las fuerzas de seguridad que intervienen, por lo cual es muy complejo establecer una estrategia única de gestión de la seguridad turística. En la relación entre la seguridad y la sociedad, debemos partir en el caso de definir la responsabilidad de la seguridad de una comunidad en que el Estado para garantizar la protección de la vida, los bienes y derechos de los ciudadanos delega su responsabilidad en las fuerzas de seguridad. Lo expuesto permite puntualizar una primera aproximación al objetivo del presente trabajo ya que se considera que la seguridad es una de las variables primarias de alta valoración para el residente y el visitante y de competitividad para un destino turístico para la captación de la demanda en el mercado.
Conclusiones Si interpretamos que una política es la capacidad de imaginar un futuro deseable para una comunidad, se destaca como objetivo general aumentar la rentabilidad social de la población residente al mejorar su calidad de vida, así como lograr la satisfacción de la demanda durante el tiempo libre destinado a la recreación y el turismo. Por lo expuesto podemos decir que la seguridad es una premisa fundamental en una política turística. La política tendría una fase reflexiva de enunciados donde se afirma, con la mayor claridad posible, los fines a los cuales tenderá en su acción la institución. En esta fase los enunciados, por generales que los mismos sean en su contenido, deberán ser empíricos, esto es, referirse a una realidad. La generalidad, la amplitud de conceptos, no implica enunciados metafísicos. En una segunda fase, la política es acción, concreción en la realidad de los enunciados anteriores. Esto sólo es posible si los primeros se relacionan, a través de su significado, con la realidad. - 92 -
En lo inherente a la gestión de la seguridad turística, no es lo mismo el accionar en un pequeño destino turístico que grandes destinos turísticos. Comienza a consolidarse el concepto de que el municipio es y debe ser el eje para la implementación de una política de seguridad turística a partir de una gestión descentralizada. Un modelo de gestión de la planificación de la seguridad turística municipal tiene que considerar las siguientes características: - Horizontal, partiendo de las instituciones intermedias, como desde el ámbito federal, partiendo desde el municipio, como unidad operativa y de planificación del sistema turístico nacional. - Vertical en ambos sentidos; comenzando desde la comunidad hacia las instituciones y desde el Municipio hacia las Provincias y luego la Nación. - Estratégica, parte del reconocimiento de la totalidad situacional socio-política-económica del destino turístico. - Flexible, en cuanto prevé la negociación y concertación con los distintos actores sociales y las instituciones intermedias vinculadas. - Participación sistemática y permanente de la comunidad del destino, en la planificación. - El sujeto de la planificación es el visitante y el residente. Como política hemisférica, durante la “Primera Conferencia Internacional, la Seguridad Turística en las Américas: Calidad, Competitividad, Leyes, Tendencias y Estrategias”, celebrada en República Dominicana, los días 3, 4 y 5 de febrero de 2011, los participantes al tener presente que las amenazas a la actividad turística son de carácter local, nacional, regional y global dándoles la capacidad de trascender las fronteras, lo que obliga a adoptar políticas, estrategias y medidas generales para enfrentar riesgos comunes y que la seguridad constituye uno de los pilares principales para hacer que un destino turístico establecido sea sostenible, de calidad y competitivo acordaron promover la creación de la Red de Cuerpos de Seguridad Turística de las Américas y la Secretaría Técnica de Jefes de Seguridad Turística de las Américas solicitaron a la OEA el respectivo apoyo político, financiero y técnico. Esta Red y la Secretaría Técnica tendrían como objetivo: -Garantizar el disfrute del espacio turístico por parte de visitantes y comunidades receptoras. -Coordinar para crear estrategias de carácter hemisférico, para enfrentar amenazas comunes y emergentes a la actividad turística. - 93 -
-Promover y elevar los niveles de profesionalización de los cuerpos de seguridad turística. -Intercambio permanente de experiencias, conocimientos e informaciones para abordar las problemáticas comunes de los destinos en materia de competitividad turística, dentro de un enfoque multidimensional. -Crear un sistema común de información y prevención en seguridad turística en el hemisferio que permita el intercambio y retroalimentación en los temas donde afecte o vincule la seguridad, para la producción de indicadores y estadísticas que permitan recomendar a los tomadores de decisiones políticas y estrategias a implementarse. -Proponer la creación de un Instituto de Especialización en Policía Turística de las Américas. La Red desarrollo una plataforma electrónica virtual “Sistema integrado virtual de información y prevención en seguridad turística” que comprendería el desarrollo, perfeccionamiento e implantación de metodologías y herramientas para la gestión de la seguridad turística en términos de mejora continua a partir de la utilización de las tecnologías de la comunicación y la información -Tics- para destinos y empresas turísticas.
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dolor inevitable, acciones para la paz”, Organización Demócrata Cristiana de América, 26 de agosto de 2009, Ciudad Juárez, Chihuahua, México. (10) José Bonini (2010). Seguridad pública y social. Criterios y conceptos, Publicación “Municipio, turismo y seguridad”. Fundación turismo para Todos. (11) Definición preparada y modificada por el Comité de Apoyo a la Calidad en su sexta reunión, Varadero, Cuba, 9 y 10 de mayo de 2003. (12) Seminario-Taller Regional sobre los Sistemas de Calidad en el Turismo en Santiago de Chile, del 13 al15 de diciembre de 2004. (13) Para ampliar el concepto se recomienda la lectura “La calidad del turismo: un marco conceptual. Fichas de trabajo para la aplicación de un sistema de calidad”. Fuente: www.world-tourism.org (bajo “Calidad y comercio en el sector del turismo”). (14) Henryk F. Handszuh, Jefe de Calidad del Desarrollo Turístico. Foro Internacional Seguridad en el turismo vacacional, Buenos Aires, Argentina, 26 de noviembre de 2002. (15) http://es.wikipedia.org/wiki/Necesidad (16) http://es.wikipedia.org/wiki/Pir%C3%A1mide_de_Maslow (17) Garde Enciso Rafael (1980). Comportamiento turístico en el contexto español, Cap. 1, Estudios Turísticos N° 65, España. (18). Luis Grünewald, Silvia di Santo (1997). Publicación técnica: “Demanda turística”, Documentos de Turismo Nº 1. Universidad del Salvador / Secretaria de Turismo de la Nación, p. 10.
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y formalidades en materia de salud y vacunación. Resolución 310(X) de la Asamblea General de la OMT, adoptada en su décima reunión (Bali, Indonesia, 4-8 de octubre de 1993). Organización Mundial del Turismo. Medidas recomendadas para la seguridad en turismo. Aprobadas por la resolución A/RES/284(IX) de la Asamblea General de la OMT en su novena reunión (Buenos Aires, Argentina, 30 de septiembre-4 de octubre de 1991).
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Sistema de información contable del Patrimonio Cultural -No monetario (SIC PC-NM) Walter René Chiquiar
Resumen Entendemos al sistema de información contable (SIC) como el conjunto organizado de elementos y subsistemas interactuantes e interrelacionados, que integrando un todo unitario y complejo, están destinados a satisfacer las necesidades de los usuarios en materia de estudio, descripción y proyección en términos monetarios y/o no monetarios, del estado de objetos, hechos y/o personas, atribuibles a una entidad social, con el objetivo de gestionar. Es decir, que todo sistema contable tiene un objetivo a cumplir, el cual es producir información útil para permitir que el destinatario de la misma pueda gestionar. En esta idea es que creemos que la contabilidad puede realizar aportes significativos para el estudio, descripción y proyección en términos no monetarios del patrimonio cultural atribuible a un espacio geo-espacial determinado. Pues, dicha misión se vuelve trascendente a la hora de identificar, clasificar, y medir el patrimonio cultural con vistas a su protección y proyección de acciones de gestión. Palabras clave: Medición contable – hecho contable – patrimonio cultural - Contabilidad no monetaria.
Introducción Entendemos al sistema de información contable (SIC) como el conjunto organizado de elementos y subsistemas interactuantes e interrelacionados, que integrando un todo unitario y complejo, están destinados a satisfacer las necesidades de los usuarios en materia de estudio, descripción y proyección en términos monetarios y/o no moneta- 99 -
rios, del estado de objetos, hechos y/o personas, atribuibles a una entidad social, con el objetivo de gestionar. Es decir, que todo sistema contable tiene un objetivo a cumplir, el cual es producir información útil para permitir que el destinatario de la misma pueda gestionar. En esta idea es que creemos que la contabilidad puede realizar aportes significativos para el estudio, descripción y proyección en términos no monetarios del patrimonio cultural atribuible a un espacio geo-espacial determinado. Pues, dicha misión se vuelve trascendente a la hora de identificar, clasificar, y medir el patrimonio cultural con vistas a su protección y proyección de acciones de gestión. Para cumplir con el fin de estructurar un SIC no monetario aplicable al Patrimonio Cultural es preciso contar con un conjunto de principios y criterios subyacentes aplicables a la elaboración al tipo información contable en particular, por lo que deviene en un instrumento necesario, incluso ineludible, para proceder al análisis, estudio y comprensión de las relaciones que regulan el sistema de representación contable. El conjunto de elementos o red de conceptos, son necesarios para la construcción de una estructura central sistémica contable. Dicho cuerpo sistémico debe ser consistente y congruente, y estar integrado a un marco teórico que lo oriente e, incluso, que lo justifique. De allí que entendemos de suma importancia la demarcación conceptual de los elementos básicos que sirven para delimitar el campo de estudio del segmento contable y, en consecuencia, a orientar la elaboración, interpretación y uso de la información contable no monetaria.
Patrimonio cultural A nivel global, hace ya más de cuatro décadas, las Naciones Unidas declaraban que el patrimonio cultural1 se veía amenazado por la destrucción, no sólo por las causas tradicionales de deterioro sino también por la evolución de la vida social y económica que impacta de manera significativa produciendo fenómenos de alteración o de destrucción de mayor importancia.
1 Organización de las Naciones Unidas para la Educación, la Ciencia y la Cultura: Convención sobre la Protección del Patrimonio Cultural y Natural. Aprobada por la Conferencia General en su decimoséptima reunión, París, 16 de noviembre de 1972.
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Indudablemente, el deterioro, aunque más no sea de manera parcial, o la desaparición de un bien del patrimonio cultural se debe comprender dentro de una noción de empobrecimiento del patrimonio de la Aldea Global. Es por ello que se reconoce la obligación de protección y conservación que surge como necesidad primaria en materia de patrimonio cultural. De allí que existan convenciones, recomendaciones y resoluciones internacionales en favor del acervo cultural, demostrando la importancia que tiene para todos los pueblos del mundo, la conservación de esos bienes únicos e irremplazables con independencia del país a que pertenezcan. PCn : bc1 +…+ bcn PCn: patrimonio cultural de una nación bcin: bien cultural individual atribuible a una nación Se lee: el patrimonio cultural de una nación es la sumatoria de todos los bienes culturales individuales. Asimismo, es importante considerar que elementos del universo del patrimonio cultural de un pueblo en particular constituyen al mismo tiempo el patrimonio cultural mundial de la humanidad, razón por la cual presentan un interés excepcional que demanda su conservación. PCM : bc in + … + bc iz Se lee: el patrimonio cultural mundial es la sumatoria de determinados bienes culturales individuales de las diferentes naciones. La contabilidad del patrimonio cultural tiene como objeto de estudio el patrimonio tangible y el intangible. El universo comprendido es amplio y de naturaleza compleja, a ello se suma que sus atributos no responden a una misma lógica. PC t : PT t + PI t Una particularidad es el constante cambio y como señala Benhamou (2014, 15) el patrimonio por un lado incorpora obras y construcciones cada vez más recientes y se extiende hacia nuevos territorios materiales e inmateriales, y por el otro se va extinguiendo. - 101 -
PC t+1 : PC t + bcii(t – t+1) - bcdi(t – t+1) Siguiendo a Krebs y Schmidt-Hebbel2 el patrimonio cultural posee características en muchos casos de bien público y en general de propiedad indefinida, razón por la cual en materia económica, el equilibrio de mercado privado es frecuentemente subóptimo e implica severas pérdidas de bienestar. Dicha situación se manifiesta como un elevado deterioro del patrimonio cultural y, por ende, en recursos socialmente insuficientes para su protección, restauración, conservación y puesta a disposición del público y de los investigadores. Los autores afirman que la tasa del deterioro reviste características alarmantes en muchos países en desarrollo. Luego refiriéndose en particular a Chile, señalan que la preservación de la herencia cultural no está asegurada, pues se evidencian una elevada tasa de pérdida del patrimonio cultural. Luego, el patrimonio cultural como construcción social está relacionado a un interés colectivo creciente de preservación, y en particular de la parte intangible. El SIC del patrimonio cultural (NM) permite obtener al inventario general3. Un inventario está relacionado con la función de protección de quien debe gestionar. Conocer el patrimonio a un momento dado permita llevar a cabo de manera eficaz y eficiente la conservación y facilitar su acceso. A partir del relevamiento de inicio (inventario inicial), el SIC permite el estudio y el conocimiento de toda obra cuyo carácter artístico, histórico o arqueológico pertenezca al universo de su discurso. Se afirma que la definición de patrimonio cultural (heritage) involucra una noción vaga y genérica, pues puede estar integrado por todo aquello que quien lo defina incorpore. El diccionario de la Real Academia Española4 señala en su tercera acepción referida a cultura lo siguiente: “…
Krebs y Schmidt-Hebbel: Patrimonio cultural: aspectos económicos y políticas de protección Perspectivas. El inventario abarca el conjunto de bienes creados por el hombre en un espacio geográfico determinado (arquitectura y urbanismo, objetos y muebles, públicos o privados), en un periodo que es variable con el transcurrir del tiempo, pues se fija un inicio y va hasta un número de años previos a la fecha de corte. 4 El Diccionario de la lengua española (DRAE) es la obra de referencia de la Academia. La edición consultada es la 22.ª, publicada en 2001. 2 3
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3. f. Conjunto de modos de vida y costumbres, conocimientos y grado de desarrollo artístico, científico, industrial, en una época, grupo social, etc. …” Es por ello que se podría señalar que lo que en nuestros días se denomina “Patrimonio cultural” carece de significado en sí mismo y no resulta una conceptualización atemporal, pues, el ser humano es quien le otorga el grado de relevancia, lo cual viene dado en función de los valores predominantes de cada época en particular y de los contextos culturales desde donde se efectúa el análisis. Es por ello que en la determinación del Patrimonio cultural las dimensiones social y humana resultan de suma importancia y se establecen relaciones de interdependencia. La inexistencia de ellas, haría perder de valor y sentido el patrimonio determinado. De ello se desprende que la valoración primaria correspondiente es cualitativa no monetaria y relacionada a un espacio temporal determinado. Una característica importante del PC desde una óptica contable es que si bien los elementos integrantes pueden tener un valor económico, para un SIC PC- NM cobra mayor importancia su valoración social o cultural. Pues para considerar como antecedente relevante, a la hora de determinar la importancia de su preservación, el principal motivo para conservar bienes culturales radica en el valor social o cultural que estos bienes tienen para un individuo, comunidad, nación y, en algunos casos, para la humanidad. Bedford5: “El campo de la Contabilidad debería abarcar cualquier tipo de información necesaria para la toma de decisiones sobre las entidades, es decir, retrospectiva, presente y prospectiva, monetaria y no monetaria; económica y no económica; cuantitativa y no cuantitativa; la información debería proporcionarse de acuerdo a las necesidades de los decidores.” Nos enrolamos en la corriente de pensamiento respecto de la Contabilidad como ciencia, con un enfoque amplio, con un dominio de su universo que no se limita a cuestiones económicas financieras patrimonialistas como lo es detentado por la Contabilidad Financiera. Como sostiene Goldberg6: García Casella, Carlos L. en “Elementos para una Teoría General de Contabilidad”, Editorial La Ley. 2001, pág. 26. 6 Citado por García Casella, Carlos L. en “Elementos para una Teoría General de Contabilidad”, Editorial La Ley. 2001, pág. 25. 5
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“Atar a la Contabilidad irrevocablemente a las ocurrencias financieras es demasiado restrictivo y no se compadece con los hechos y los procedimientos contables tal como se llevan a cabo en la actualidad”. La Contabilidad brinda información sobre la circulación de objetos, hechos y personas atribuibles a un ente. Dicha circulación determina un flujo continuo sobre el cual se hacen observaciones puntuales a los efectos de emitir información. La información requerida está vinculada con la necesidad del proceso de toma de decisiones con impacto en el futuro. Como señala la American Accounting Association : “…La Contabilidad es un proceso de medición y comunicación que puede ser aplicado a una variedad de temas. La mayoría de las aplicaciones han tratado sobre recursos económicos (así definidos tradicionalmente) y la mayor parte de la discusión actual se orienta a estas aplicaciones. No obstante, como se sugiere en mayor profundidad en el Capítulo V, la Contabilidad no tiene por qué estar confinada a dicho objeto.” En los sistemas contables no monetarios, se emiten informes contables que contienen información cualitativa sobre stocks de las variables captadas por el sistema a una determinada fecha y el flujo o variación en un período de tiempo, relacionada a una entidad contable (de carácter pública o privada), que es útil para los usuarios en la toma de decisiones de índole social. Los informes contables así definidos deben ir acompañados de información complementaria necesaria para la comprensión integral de la situación sintetizada. La información complementaria podrá materializarse a través de notas, cuadros, gráficos, simulaciones interactivas u otro formato. Ahora cabe preguntarnos si: ¿La información suministrada es de carácter general o particular? Creemos que a partir de información general, el usuario estará en condiciones de requerir la información particular que sirva a sus fines. Asimismo, en función de la relación con la información contable, los usuarios pueden ser primarios o secundarios. Llamaremos usuarios primarios a aquellas personas físicas o ideales según tengan o no poder de decisión inmediato o directo en la gestión, y que constituyen la razón - 104 -
de ser del sistema de información contable no monetario. Como usuarios internos podemos nombrar a aquellos funcionarios de cualquier nivel jerárquico dentro de una entidad y de cualquier área que presente una cierta responsabilidad en la gestión de la misma. Consideramos como usuarios secundarios a todos aquellos que no siendo responsables de la gestión, potencialmente pudieran requerir de la información para fines específicos (público en general, contratistas, legisladores, jueces, organismos de control, organizaciones no gubernamentales, agencias gubernamentales, otros), que sean de su legítimo interés. En este tipo de sistemas contables, no participamos del criterio de establecer “informes contables para propósitos generales” (ICPG) únicamente. Pues, la idea de brindar a los usuarios ICPG y no darles acceso a otra información relacionada desagregada debe ser rechazada. De allí que los ICPG deben ser entendidos como la información de carácter general a partir de la cual se permite brindar información desagregada, demandada por el usuario actual o potencial interesado.
Hipótesis básicas Unidad de medida: La medición del hecho contable a revelar deberá ser realizada en las cantidades de unidades que permitan medir los atributos físicos característicos del fenómeno observable en consideración. Sabido es que encontrar la apropiada unidad de medida para relevar un fenómeno depende del propósito y la intención del uso que se le pretenda dar a dicha información7. Reconocimiento de las variaciones: Los efectos de las transacciones y de cualquier evento que sea menester captar por el sistema contable se deben reconocer cuando ocurren. En muchos casos, dicho reconocimiento estará asociado al momento en que se realicen las mediciones del fenómeno, más que cuando se producen. No obstante ello, el diferimiento que pueda tener lugar en la captación de la variación, no significa contradecir esta cualidad, ya que por definición entendemos que el impacto debe ser incorporado cuando se produce con independencia que sea reconocido contablemente en el momento de la medición posterior. - 105 -
Características cualitativas Las características cualitativas son los atributos que hacen que la información contenida en los informes contables sea útil para los usuarios. Identificamos cinco características cualitativas principales a saber: • Comprensibilidad • Relevancia • Confiabilidad • Comparabilidad • Sistematicidad Comprensibilidad La información debe ser presentada de manera que sea comprensible por los usuarios que tengan un conocimiento razonable del objeto de estudio relevado contablemente, debiendo prepararse usando un lenguaje preciso, que evite las ambigüedades. Asimismo, los usuarios deben poseer las habilidades suficientes para analizar la información y utilizarla de manera eficiente.
Relevancia La información contenida en los informes contables será relevante cuando pueda influir en la toma de decisiones. Entendemos que dicho atributo se observa cuando le permite al usuario: a) el análisis y evaluación de sucesos pasados, actuales o prospectivos relacionados con el objeto de estudio; y b) confirmar o corregir acciones pasadas efectuadas.
Confiabilidad La información contenida en los informes contables es confiable si está libre de error y sesgos materiales, es sustancial, integra y los usuarios pueden confiar que ella representa de manera fiel los eventos y las transacciones que representan. Luego, la información debe poder ser verificable. La información no es confiable cuando de manera intencional está diseñada para influir las decisiones en una dirección particular.
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La confiabilidad es afectada por el uso de estimadores y por las incertidumbres asociadas con los elementos que se reconocen y miden en los ICNM. El impacto de estas cuestiones se reduce a través de la revelación en información complementaria destacando los criterios utilizados para su reconocimiento y el ejercicio de la prudencia8 en el ejercicio de los juicios necesarios para hacer las estimaciones que se requieran en condiciones de incertidumbre, evitando sobre o sub estimaciones. Al respecto, Chapman9 refiriéndose a la contabilidad financiera, señalaba que la información contable debe cumplir entre otros con el objetivo de ser “confiable”, pues de la confiabilidad de la información se infiere su veracidad.
Comparabilidad En un sistema contable no monetario, los usuarios tienen que ser capaces de comparar los informes contables del ente, de manera que puedan identificar tendencias en su posición y desempeño. Los usuarios tienen que ser capaces de comparar los informes contables de diferentes entidades y de distintas fechas.
Sistematicidad La información contable debe estar orgánicamente ordenada. El registro sistemático y riguroso de la información permite ordenar el cúmulo de información recopilada o generada en el proceso de registración contable de manera tal que su acceso y recuperación sea ágil y eficiente. Con el fin de organizar la información recolectada y generada en el proceso de registración contable, orientar su interpretación y posibilitar su recuperación y socialización, se deberán fijar pautas y estrategias de registro y sistematización de la información, las cuales serán acordes al sistema de información contable diseñado.
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Restricciones que condicionan los atributos a) Oportunidad: la información debe darse en tiempo conveniente para los usuarios, para que pueda influir en la toma de decisiones. Deben equilibrarse los beneficios de la presentación oportuna y de la confiabilidad, ya que puede presentarse rápidamente, para no perder la utilidad de la información, pero deteriorando su confiabilidad; o puede demorarse hasta conocer todos los aspectos para que sea confiable, pero perdiendo su utilidad. Por eso debe buscarse el equilibrio entre ambas. b) Equilibrio entre costos y beneficios: los beneficios derivados de la disponibilidad de información deberían exceder a los costos de proporcionarla.
Bibliografía Ballestero Enrique (1979), Teoría y estructura de la Nueva Contabilidad. Alianza Editorial. Benhamou, Francoise (2014), Economía del patrimonio cultural. Editorial Ariel, Ciudad Autónoma de Buenos Aires, Argentina. Chapman, William L. et.al. (1984), Teoría Contable. La exposición veraz y razonable en los estados contables. Ediciones Macchi. Deegan & Unerman (2005), Financial Accounting Theory. McGraw hill. Devine, C. T. (1966), Some conceptual problems in accounting measurements, Research in accounting measurement. AAA, NY. Fortini, Hernando L. et al (1980), Replanteo de la Técnica Contable. Ediciones Macchi. Fowler Newton E. (2005), Contabilidad Superior. La Ley, 5ª Edición, Tomo I y II. Fronti de García, Luisa y Pahlen, Ricardo José María, La problemática ambiental; su influencia en los segmentos contables patrimonial social económico gerencial. Programación científica 2001/2002 UBACYT UBA, Buenos Aires, Nov. 2002. Fronti de García Luisa, Impacto ambiental; sus posibilidades de captación y control a través de la información contable. Programación científica 1998/2000. UBACYT FCE UBA, Buenos Aires, Nov. 2002. Fronti de García, Luisa y Wainstein Mario (2000). Contabilidad y Auditoría Ambiental. Ediciones Macchi, Buenos Aires. García Casella, Carlos L. en “Elementos para una Teoría General de Contabilidad”. Editorial La Ley, 2001.
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Cultural food-scapes from the Italian Marchigian hills to Argentina. An explorative research on the food traditions of migrants Gian Luigi Corinto and Miguel Marafuschi Phillips
Abstract The goal of our research group is to survey certain aspects of the phenomenon of migration from the Marches to Argentina. Between the ending eighteenth and the beginning of the nineteenth century, more than six thousands Marchigians did expatriate to Argentina. The flux was low between 1896 and 1907, stronger in the 1919-1930 period, and continued in the fifties and sixties. The agrarian harsh crisis in Italy and the following social crisis have been supposed as the main causes. Thus the migration received a public support and incentive. The Marchigians emigrated to the rest of Italy and even to other parts of Europe, the Unite States, the Mediterranean region and Latin America. The building of a new railway network in Argentina did allow the cultivation of vast new areas of fertile land, where many Italians found their fortune after years of sacrifice, hard work and capital accumulation. The research focused on a specific topic, the culinary and alimentary behaviors of migrants, their identity significance and the agricultural practices they have introduced in their â&#x20AC;&#x2DC;new worldâ&#x20AC;&#x2122;. Findings will be useful for future bilateral researches.
1. Introduction After centuries of seasonal rural commuting between the Marches and the Tuscan Maremma and the Roman countryside (Allegretti 1987), an increasing migrating flow began in 1870. The flow soon became very strong and lasted near a hundred years, until the 1970s. In the first decade of the 20th century, the Marchigian emigration rate was higher than the Italian average, even after having started later than in other regions (Moroni 2010). - 111 -
The Italian economic crisis during the 1890s was particularly painful and pressed people to migrate, especially in the Marches, where an actual exodus took place, in the period 1895-1914, when families and individuals faced a very harsh existence (Brusa 1995; Pongetti 2009; Sanfilippo 2005). It can be estimated that, within near one hundred years, half a million people left permanently the Marches, with a peak in the period 1905-14. In these years the Marchigians emigrated mainly to Latin America and in particular to Argentina, and less to the United States. After the post WWII, the flow of emigrants headed to Australia, Argentina and mainly to diverse countries of Europe (Moroni 2010). This paper aims at illustrating and interpreting the phenomenon of migrations and settlements of Marchigians in some areas of Argentina under a particular point of view, that of the food as a feature of identity in the process of migration. The paper is organized as follows. The section 2 is dedicated to background literature, as in particular subsection 2.1 is dedicated to the socioeconomic conditions that forced Italians to migrate, and subsection 2.2 on relations between food and identity. In section 3 we expose the research focus, the related questions and the adopted methodology. Section 4 reports results about areas of settlement and main findings retrievable form the narratives of key-informants (integrally reported in the appendix) about the relation between identity and economic activities they undertook. The discussion of the results and some conclusions are reported in section 5.
2. Background literature 2. 1. Socioeconomic situation as determinant for migration Farming systems and landscapes are strictly intertwined and both refer to a particular organization of the agricultural habitat. There are functional relations between housing and farming, settlement and the countryside, house and cultivated fields (Gambi and Barbieri 1970; Polidori, 2013). In the central Italian regions, including the Marches, the specific farming system, namely mezzadria (sharecropping or metayage), was made up by singular units of small family farms (each one named podere) and a bigger farmhouse where the landowner lives seasonally or permanently (Anselmi 1990). The so called fattoria was actually a central service unit, and in the countryside the civil settlement could have the form of scattered rural houses or small villages or hamlets. - 112 -
The mezzadria was both a land tenure (podere) and a farming model (sharecropping) which lasted until the 1960s. The contract of mezzadria had some specific issues, and was annually and tacitly renewable. A worker farmer (mezzadro), which usually was a propertyless male person, was charged by the managing of an undivided farming unit (podere), varying from 2-3 to 8-10 hectares of land, depending on the adopted cultivation system. In turn, he must share the produce, usually the 50 percent, as well as the total cost of managing (farming tools, laboring and fattening cattle, fertilizer, seeds, etc.). The podere must have a house, for the farming family, and a series of structures, farmyard, barn, well and a hut, etc. The farming system was based on the polyculture, which included field crops (mainly cereals) and trees (vines, olive trees, fruit trees), supplemented by yard animals, a few pigs and a pair of working oxen, and rarely there was a small number of sheep. The entire rural family was involved in farming, in their own vegetable garden, in cattle breeding, in even small scale agricultural industries. Over time, the landlords required the obligatory residence of the working family in the podere, denying the right to work elsewhere. The specific objective was to have enough foodstuffs both for the farming family and the owner and his family. Indeed, the middle-upper class of landlords aimed at living ‘off one’s own means’, and, thus, the overall land tenure was oriented to selfconsumption (Jones 1980). The resulting type of landscape is the representation of a settling, producing and social system and is the typical Italian ‘agrarian landscape’ (Sereni 1961). In the Marches it adapted to a hilly environment. The resulting rural family was a typically hierarchic system, where women had ‘lower duties’, such as the child rearing, preparing and serving meals, while men were mainly committed to farming (Goretti 2011). The increasing harsh social conditions and the degeneration of relations between landlords and workers pressed these latter into a dramatic choice (Moroni 2010). Having to choose to become outlaws or migrants, many chose to migrate, and a great part of them opted for Argentina as the ‘Promised Land’ (Cecchini 2006; Pentucci 1999). In Argentina, farmers found a totally different type of ‘landscape’, both in terms of material shape of the land and in term of cultural relationships. The main geographical difference pertains to distances of residences, as in the new world one campo was at least 20 kilometers far from the closer one. Thus families were isolated, having time only for - 113 -
working with no social contacts (Moroni 2010). Often the women, even just married, were left home in Italy, waiting the occasion to rejoin to the migrated husband, who often has to work hard to save money for the wife’s trip to Argentina (Pentucci 2011; Ruffini 2009).
2. 2. Food and Identity According to Fishler (1988) there are strong relations between food and sense of identity. Food, eating and cuisine are central for determining group diversity, hierarchy and organization, and even oneness and otherness. Food gives identity both to individuals and social groups and also to places, in a very complex way (Fishler 1988). Food and eating are linkable to practices and collective representations (Douglas 1966; Lévi-Strauss 1968). French sociologist Bourdieu (1984) analyzed the social norms governing eating and worked at showing that tastes can be understood as socially constructed and differentiated normative sets of practices. Relating to Italian ex-rural families, American sociologist Carole Couniham, stated food as voice of family and gender, revealing relations between men’s and women’s roles, who are separated in ‘production’ of food and ‘reproduction’ of sons, the wife ‘being factually the head of servants who prepares and serves meals’ (Couniham 2004, p. 6). This is even the history of the Marchigian rural families within the mezzadria (Pentucci 2011). When people decide to migrate, they left something home and maintained something with them facing a cultural ‘shock’. Carrying food and cuisine as an individual and social asset was used as a homesickness treatment (Pravettoni n .d.).
3. Research Focus, Questions and Methodology With the background mentioned before as a frame, the paper focuses on the relation of the Marchigians migrants in Argentina, their food and cuisine, and how they used it for maintaining cultural identity and even making business. Thus, we can formulate the research questions as: did the Italian Marchigians migrants maintain their food preparing behavior in the new country? Where did they get the ingredients? Was the need of ingredients a trigger for entrepreneurial projects? How they adapted this behavior to the local social environment? Did they use their agricultural skills in starting new enterprises? - 114 -
For this purpose there were collected and analyzed geographical data and qualitatively surveyed narratives of migrants and relatives living in Italy and Argentina over the period June-December 2014. Six narratives of migrants and/or relatives have been directly collected by both the authors in Italy and in Argentina. The detected texts of narratives are reported in the Appendix, and in the following section 4 main findings are reported.
4. Results This section includes the geographical analysis and reports the findings form the narratives of interviewees. Narratives are about main areas of settlement of Marchigians in Argentina, their food preparing and consuming behaviors. The section also describes the relationship of maintaining cultural identity with the emergence of economic opportunities from foodstuff production and commerce. Marchigians arrived later than other immigrants to Argentina. Because of that, they werenâ&#x20AC;&#x2122;t included in the land distribution as preceding immigrants. The result was that Marchigians ended up working for others like they use to do in Italy. The initial idea of the first Marchigians migrants was to reach Argentina and the US to get money in order to buy a piece of land in the Marches, because they thought land owners had less probabilities of suffering economic problems. The port of Buenos Aires was the arrival place for all the Italian immigrants (Ciboti 2009). From there they did spread throughout the country. The first wave of Marchigians stayed in Buenos Aires or went to Santa Fe province along the ParanĂĄ River and the Route 9. Most of the Marchigian immigrants had agricultural and farming backgrounds. They also have experience in extra rural jobs, like manufacturing and handicraft production. The successive waves took Marchigians through Route 7 going through San Luis to Mendoza as the final destination. The last group of Marchigians headed to southern cities of the Buenos Aires province through the Route 2, like Mar del Plata and BahĂa Blanca. From there, a last group went to the Rio Negro province in the Patagonia. Each region was in need of different labor profiles. In the Pampas, including Buenos Aires and Santa Fe, there were needed farming workers. In Mendoza the need was for the wine and olives production. In Mar del Plata, Marchigians found jobs related to the fishing industry. Finally in Patagonia labor requirements were in the fruit farming. - 115 -
Las Parejas, in Santa Fe shows a special case. This town was founded exclusively to be a Piedmontese and Marchigian colony. Around 1870 there was a railroad stop that becomes a real station in 1890. The railroad was a transportation option but it was also an important center of employment. Around the station the colony has been built and all the agricultural productions settled. Las Parejas was a trial of preserving the ethnical integrity (Pentucci 1999). This was the way Marchigians tried to deal with the loneliness of the Pampas. It was founded by Italians and they tried to maintain ethnic integrity through marriages between members of the colony and new immigrants from the two original regions. In this locality, also another interesting issue appeared, i. e. the change in the farming area size: from the original five to six acres for self-consumption up to a sixty acre farm. Moreover, completely different features of soils challenged the farmer and obligated them to experiment different agricultural techniques. With the surplus of farming production, immigrants started not farming activities such as the commerce of food products. All of this allowed immigrants to maintain their â&#x20AC;&#x2DC;ethnicâ&#x20AC;&#x2122; food consumption. Thus, in the case the product was unavailable, it could be imported thanks to the monetary income generated by the surplus production sold in the market. As mentioned before, each region has a specific production focus. But in all those regions the Marchigians maintained the traditions of farming families. The whole family worked in the farm in what is called a domestic unity. Men maintained the external hard work activities, while women maintained the housekeeping, food cooking and child rearing. Even children must help with the farming. It was mandatory that daughters learned what their mothers did, especially about clothes confection or reparation. The next female generation was allowed to work outside the farm mainly in the educational field, as teachers. In many houses, the Marchigians kept their vegetable gardens with fruit trees and cured meat preparation. In the case of the Marchigians of Olmos it becomes the way of earning their living. Most of them went from a self-consumption garden to a bigger scale production that allowed them to sale the excess in the market. Food is an important issue for the definition of identity of the Marchigian migrants to - 116 -
Argentina. The rural origins of food and cuisine are still evident and proudly maintained as signal of ‘Italianism’ and even regionalism. During the interviews, some people talked like this: ‘I’m not Italian, I’m from Modena!’, or ‘from the Marches!’. Food preparation and consumption are occasions for social and economic activities. The farming conditions left in Italy have not been found in Argentina, because the land tenure and the availability of large arable grounds were a real novelty. Nevertheless, most part of immigrants faced big initial socioeconomic difficulties and suffered for nostalgia (homesickness), in particular for landscape-sickness, intending the big difference between the hilly landscape of the Marches and the (mainly) flat ground in the Pampas. The Marchigians stayed together, establishing ethnic clubs (circulos), even with the help of Italian organizations, such as the ACLI, and the same Region of the Marches, which still funds the abroad circles of Marchigian in Argentina. This was strictly true for the first wave of migrants, and less for the new generations, especially if born in the new country, even if the family ties are yet very important as a cultural sense of belonging. The feature of being descendants from sharecropper families (famiglie mezzadrili) remains in the male/female labor division, because the man is still the head of the family and the woman is devoted to the housekeeping, at least in the first generation. The second and third generations are facing the modernity of the world and the globalization. Thus, women have been allowed (really conquered the right) to work and study, even abroad, and not only in Italy. The outland Marchigians substantially maintained their traditional behavior in food preparing and consuming. The daily eating of first migrants was usually frugal, with lots of vegetable in the diet, gathered from the family garden. Yet, on every Sunday, and in the festive days of the year, they used to have a special meal. Often mixing pasta and meat, following a family tradition in preparing rich and more complicated dishes, such as vincisgrassi (lasagne). This tradition of the festive meal has been maintained even today, when the daily diet is much more richer. The Italian food has been exploited by some Marchigians as an economic opportunity. When they decided to stay permanently in Argentina, some of them became––as in the case of the Pascucci family––food manufacturers, initially as a domestic enterprise, using the recipes of mamma (the mother, the wife), involving the hole family in producing pasta fresca. Over time, the family enterprise developed, - 117 -
still remaining under the control of the founder and his family, and involved the second and third generation in the managing of many shops and selling points. The Italianism of food is proudly defended and it is even a market leverage, which allows the quality distinction of products and the possibility to have a price premium up to 10 and even the 30%. In the companies we have the opportunity to visit, the range of product offering has been adapted to local tastes, including some Argentinian specialties, such as the empanadas, even though the genuine Italian and artisanal style of making food has been maintained. On another perspective of doing business, some Marchigians––as in the case of the Vesprini family––used their aptitude in socializing to start an economic activity. The foundation of ethnical clubs (circulos) had the original goal to put together people around a common sense of belonging to the region of origin. And, for example, food has been used for implementing the Italian feria in Villa Regina. The Marches still host many fairs, wherein pork-food and lasagna are the principal attraction for people, and a mean for making community. And it is a common sense to participate and share ‘food and informations’, during the sagre (local food-feasts), when people meet and celebrate the rite of sharing common knowledge. The family of Vesprini implemented their fair experience in doing business, undertaking the production of porchetta (roasted pork) into an industry. In the narrative of Marchigians living in Argentina a particular issue must be noted. The recipes and food preparation are substantially the same of the origins. Yet, sometimes the names of dishes and food specialties are, someway, partially modified, adapted to local traditions, as in the more evident case of the pasta shaped as penne, which are usually named mostaccioli, which in Italy are actually sweet cookies.
5. Discussion and conclusions The topic of relations between food and identity has been largely treated in the international literature, and in a minor scale also the food-migration nexus. Yet, more deepened regional insights are necessary, especially in the culinary and alimentary behaviors as marks of migrants’ identity. Our survey has confirmed the main issues of preceding researches, and the findings seem to be interesting because they relate to a specific issue, the migrations from a singular Italian region, the Marches, to different provinces of Argentina. In this country the Marchigian communities are still very - 118 -
active in preserving their original identity, and food and cuisine practices are effective occasions of social cohesion and cultural involvement and commitment. Through a qualitative method, which consisted in recording the narratives of migrants and their relatives, we have collected data in order to answer the research questions. The findings are to be considered feasible because we have interviewed people both in Italy and in Argentina, all of them having strong and personal knowledge of the topic of migration, moreover being free willing respondents. The experience of an international research collaboration is very intriguing and fertile for future deepening on the same topic and other issues, related to the socio-economic relations between Argentina and Italy. The research has been performed with an explorative aim, and even if the findings are still partial, they open a large horizon for future collaborations, also with more specific goals and in much broader research fields. Indeed, economics and humanities will be surely common research fields, but our findings show the potentiality of linguistic and semantic studies. The research enlightens social capabilities of cultural blending within communities of migrants to Argentina, both in food preparing and naming recipes, as a testimony of mixing past experiences and ongoing opportunities. Yet, in defining the research focus we posed one substantial question, as if the Marchigians maintained their original identity in making business and building abroad communities of migrants. Only apparently the answer is positive at all. Indeed, they used food and culinary feasts both for ‘staying together’, trying to maintain community and identity, and ‘making business’. This goal have obliged the Marchigian migrants to someway adapting the food offer in accordance to local tastes, in a complex way of combining old and new social and economic experiences. The important proportion of Marchigians that went to Argentina along one hundred years has some specific effects, in particular in the food consumption and traditions. Related to the food are the ingredients that Marchigians were obligated to bring to the new country. There was also the production and commercialization of those products. This led to the development of different types of economic activities with a kind of ethnic food that became part of the regular diet in the reception country. This work presents, based on immigrants or descendants narratives, the different dishes that became traditional even in Argentina and the economic activities that emerged thanks to that. The cases of Mr. Pascucci and Ms. Vesprini are not so - 119 -
sporadic, because hundreds of other anonymous immigrants dedicated to gastronomy in different regions of Argentina, in view of doing business and maintaining sense of community. It is important to underline the evolved role of women within the immigrants’ families. The past and long-lasting traditional man/woman relations in the farming tenure of mezzadria, typical of the Marches, has progressively faded. The first generation of migrants still conserve some traditional feature of the traditional rural household. The second and the third ones, on the contrary, did emancipate the women from traditional and subject roles to an evident parity of responsibilities both in the household and in doing business. The role of food in building the sense of community is still important within the Marchigians in Argentina, even because their gastronomy, traditions, family relations, agricultural techniques and productive enterprises have someway affected the whole country of Argentina.
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Appendix - Narratives of key-informants 1. Antonela Caruso (Argentinian of Italian ancestors living in Reacanati, province of Ancona) Argentina Bravi is the name of my grandmother, born in Italy in 1928 in Recanati. Her first duty was the care of her little brother, when she was eight year old. At thirteen, she was working in a â&#x20AC;&#x2DC;finandraâ&#x20AC;&#x2122;, a firm producing silk yarn, and when she was sixteen entered a furniture factory, sanding the pieces and polishing with alcohol and lacquering the finishing surface. In the evening she, and her friends, continued to work in private houses, still in polishing pieces of furniture. One day, while working, she looked at her future husband passing by the street, who later asked for meeting her and in few days meeting her parents. My grandmother remembers when in Italy the family prepared on Sunday pasta with meat sauce, using one hundred grams of veal for all. During the week they used to eat stew vegetables, mainly potatoes and zucchini. The had a kitchen garden, so they have big quantities of diverse food vegetables. Sometimes they have fish with vegetables, mainly codfish. Argentina married Ulderico in 1948 in the cathedral of Reacanati, where their families live. After some months, they travelled to Argentina, being both called by the sister of Ulderico who just lived there. The travel lasted 27 days, in a troubled trip, being women and men separated in two different floors of the ship. They can meet only during the meal. Arrived to the port, they missed to find the sister of Ulderico and with few remaining money by taxi they reached the address they knew to have date. After an initial panic, because the house was empty, being the sister at the port, they can finally join all together. - 122 -
At first, Ulderico find a job as an assistant bricklayer, under the counseling or of his brother in law. After two year they can buy a piece of ground, where can build a house, near El Palomar (Buenos Aires). They built the house working in the week end, and living there without water and electricity. At last they can have two rooms, one for the kitchen and the second for the bedroom. My grandmother Argentina did borne her first in 1950 in the bedroom they have built. Over time they finished the house, with a bathroom, another small bedroom and e living room, and in 1995 when the second child, Marina, was born, the house has been totally built. The diet in Argentina was more rich with meat than in Italy, having cutlets, steaks and ‘asado’. Even vegetables can be filled with meal, such as zucchini. They ate also beets, carrots, eggplant and potatoes. The festive meal, on Sunday, was ‘pasta al sugo’ (pasta with meat sauce) or ‘ravioli’ and ‘lasagne’.
2. Mario Pascucci (Italian, living in Mendoza) I don’t know the exact date of the first trip of our family ancestor Nazareno Tallei from Tolentino to Argentina. Surely it was at the ending of the eighteenth century. My family has only five hectares to be managed in sharecropping. When the family began to enlarge, the land was insufficient at all. In 1923, my father Giulio got married to Adorna, my mother, for traveling to Argentina, after that call of Nazareno. They arrived in Lujan (Mendoza) and in 1924, my sister Agusta, in 1925 my brother Nicolò, and in 1927 my sister Adina were born. Then, my parents came back to Tolentino, managing a food commerce. In 1832, I was born there, as well as my brother Angelo who was born in 1944. In 1949 my brother Nicolò decided to perform military service in Argentina. I wanted to avoid the Italian military service and then followed him in the backward trip. Over two years, I was a worker in farming, performing also any kind of hard jobs. In 1956, together with my brother, we managed a food shop, and in 1957 a cafeteria––the Bar Roma––having a fifty-fifty business. In 1959 we sold the business, because I wanted to come back to Italy, having a one year residence permit. I married in 1960 and decided to return to Argentina. My pregnant wife came and reached me after five months, traveling by alone. I can say this is the staring point of my personal business, producing hand-made - 123 -
pasta with my wife in the municipal market of Lujan. I had the opportunity to buy some Italian Olivetti â&#x20AC;&#x2DC;Divisummaâ&#x20AC;&#x2122; machines and exchange them with machines for fresh pasta production with a provider of food. Il 1962, my wife and I were proud producers of Italian fresh pasta. I traveled in Italy many times, usually visiting the Milano Fair to update my knowledge. I was obliged to use Argentine machineries, and I was not satisfied because they were too labor intensive. I needed two workers per one machinery. In 1976, the President Videlaâ&#x20AC;&#x2122;s policy of free market allowed me to buy machineries abroad. I bought the Italian ones from SAIMA to make fresh tortellini. Over many years I bought near 30 machineries and opened 6 producing and retailing shops. I spent a lot of money, but I spared lot of labor and salaries. At the very beginning, with my wife, we worked no more than 20 kilos of flour per week, and today at least 70 quintals per week. In 1982 I opened a shop in Mendoza, and gradually with my aging I wanted my sons to get involved in the business, giving each of them the responsibility of one shop. The pasta recipe is still that of my mother Adorna, that is one egg per each hundred grams of flour, that is much better than the local usual production. In fact they were accustomed to using very less eggs in the pasta mix. Today we produce more than 20 types of pasta. The Italian stuffed pasta (raviolis) is served in special occasions, during the festive days, twice or three times in the week or in festive days over the year. It is a typical Sunday food, and we sell better in winter than in the summer time. Now I sell at a higher average price than competitors, with a premium of at least the 10, and even the 30%. At the beginning, I made a price competition, lowering mine and making a hard advertising campaign all over Mendoza and its neighborhoods. Is has been fundamental. All my sons and daughters have studied, still working in the family business. My nephews studied in more specialized and advanced matters, and, for instance, one is a medicine doctor, and another a designer.
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3. Federico Ferrarini (Italian, living in Mendoza) I arrived in Latin America when I was sixteen, in 1948. Now I’m retired and live in Mendoza and have lots of Italian friends. I was born in the little village of Concordia sulla Secchia, in the province of Modena. It was a trickery that pull me in the Latin America, and precisely in Bolivia. In that year, the Italian Consulate stated an agreement for the furnishing of one hundred trucks for picking up and transportation in the mining sector. My father was attracted by this seemingly great opportunity and stated the agreement with the Italian Consulate. But when arrived in Bolivia, he realized that was a real trick. Because there was non actual agreement with the Bolivian mines. Living conditions of the native people, who constitute most of the population, were still deplorable, with work opportunities limited to primitive conditions in the mines and in large estates having nearly feudal status. So we decided to turn down to Argentina, as in Mendoza there were 39 mine of copper. That was an Eldorado for us. Afterwards, because the mining activity was actually decreasing, I entered an import export business with Italy of horticultural stuff, and managing in Mendoza a retail of seeds, fertilizers and other nursery products. We founded the Club Italiano de Mendoza where all Italians met and made community, and still do it. Event today, I come always to my friend Pascucci’s shop and buy pasta fresca for the festive days during the week. Today we are aged but maintaining our idea about making business and disagreeing the government policy of giving everyone unemployment subsidies. They are killing any entrepreneurial initiative, as we face the third ‘not-working’ generation. If a family receives from the State the same amount of money of a worker’s salary
4. Narrative of Claudia Vesprini (Argentinian of Italian ancestors living in Villa Regina) Immigrants usually group with their paesani (fellow countrymen). They founded circolos (clubs) and unions were they maintained their traditions. Those efforts continue today. One example is the Italian ferias we held each year. I’m a participant of the Villa Regina Italian feria. Each year there was a Marchigian stand in the feria. At the beginning there was typical food from le Marches and also cultural information. With the passing of the years, the cultural information was abandoned and only remained the food until the
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feria ended in 2012. The main dish for that feria, expected by a big part of the visitors was the porchetta, a huge pork without bones, prepared with vegetables and spices in a rolled form, cooked in the oven. This pork was raised in a special farm owned by my aunt Italia Vesprini, a daughter of Marchigians who started a pork business out of this experience. She began with the porchetta and now has a complete boutique pork commerce in Villa Regina. In this feria there were also traditional dance groups that performed the typical Marchigians dances. Those dancing groups were arrived from Buenos Aires to do their show. The arriving immigrant grouped in circolos and associations. Circolos were places were immigrants could get some social contention with people that share the same traditions. The first immigrants even marry with paesani, reinforcing the feeling of pertinence to a region. All this paesani share the dialect, music, dance, food preparation, smells and taste form the original land. The places that they were born and all this memories deeply fixed in their mind by emotional marks were a motive to share time and to be together. But the sons and daughters of these immigrants were born Argentineans and didn’t have those emotional attachments. They were assimilated to the local society through the public school. This new generation didn’t have the nostalgic feeling of the previous generation. They live the feeling in an indirect way through their fathers and grand fathers. Immigrants also suffered the division of their families, the separation from their loved ones. For the new generation their complete direct family was in the new country. Over the years, those sons and daughters received the direction of circolos and the responsibility of keeping alive the cultural legacy. They got in charge of the organization of the regional ferias mentioned before. But sons and grandsons, with less attachment to the Marches didn’t maintain the altruistic spirit of the first immigrants. Most of the members of the actual Italian associations don’t speak Italian now. This element alone shows the difference between the emotional attachment among original immigrants and their descendants. Many options of pasta are included in the Marchigians families. Some of them were spread in all the population like the vincisgrassi, locally called lasagna and the capelli d´angelo or the cannelloni a là Rossini. Some only remain in Marchigians families like the vermicelli a là vongole. - 126 -
A very popular food among Marchigians are the crostini: a flour and egg mix, tagliatelle like, irregularly cut and fried with sugar on top. Filled olives are another tradition, in Patagonia were called aceitunas a là ascolana. Another popular dish is the tomato arrosto, which are grilled tomatoes with garlic, olive oil and parsley. One typical dish from Italy and the Marches is polenta. In the our family there is a Marchigian tradition: the polenta alla tavola. The polenta is spread in a wood table and each diner guest starts eating from a different corner. The goal is to get to the center part of the polenta where the sauce and the meat are. Brusquetas are toasts with something (tomatos, cheese, rucola, etc) on the top. This Marchigian tradition has spread in catering for wedding parties and events outside Italian groups. Some vegetables became common in the Argentinian table: rúcula, zucchini, radicheta, melanzane. Others remain only for Marchigian families: radicchio, pumpkin flowers and grillo. Anise is an important part of Marchigian cuisine. This tradition was maintained in Argentina. Anise was consumed by Marchigian families as liquor and in the food preparation. In the cake and sweet options, Vesprini´s prepare the Pistingu: a cake based on must from the grapes mix with different types of nuts and almonds. This is a traditional winter cake which is consumed in summer in Argentina generally for Christmas time.
5. Narrative of Roberto Renzi (Argentinian of Italian ancestors living in Olmos, Buenos Aires) I am 73 years old. I am the son of a Marchigian couple. My father arrived to Argentina in 1923 from Ancona. He went directly to Olmos where he has a friend. My mother arrived later, in 1940, from Senigallia. She arrived in the Conte Grande boat. She was in a trip that couldn’t touch the port of Buenos Aires because it was WWII time and there was a German war boat in the Rio de la Plata, the Graf Spee, in patrol duties. - 127 -
The Conte Grande had to go to Brazil and my mother had to wait 40 days for another boat to go to Argentina. Most part of my motherâ&#x20AC;&#x2122;s family lived in Santa Fe as other Marchigians. She never wanted to return to Italy. The couple suffered of landscape homesickness (nostalgia del paesaggio) too. Typical foods in the family were: porchetta, polenta a tavola, melanzane, artichoke, general canned food. Tomate arrosto, lasagna, olives and fried pumpkin flowers. I don´t remember dishes with mushrooms.The porchetta and the Bagna Cauda were prepared for family reunions or special days. I also remember the quadrati (a tagliatelli pasta cut in small squares) for soup. Th sugo always included peas. My mother also prepared fried floured melanzane and filled artichoke, filled with meat, bread, eggs and parmesan cheese. I like a lot the Chambela, a cake made of flour, eggs and sugar but crunchy. Sometimes she cooked bread with chinchorro, which is pork fat. I am one of the founders of the Olmos Marchigian circolo, which is 25 years old. Olmos is a department of La Plata city in the Province of Buenos Aires. In this circolo there are two big festivities: the Lasagna day, at the end of June and the party at the end of the year, which this year includes, a porchetta. In the circolo children are taught the traditional dances from Le Marche. This dance group performs each year at the annual day of Olmos. The church of Olmos includes the Virgin of Loreto image. The church has an annual caneloni day, prepared by Marchigians. Olmos is the biggest producer of tomato of Argentina and is one of the biggest producers of vegetables. There were many Marchigians dedicated to farming. My father used to have vegetables and trees, like basswood, critics and fruit trees. Now we only have: rucula, radicchio, radicheta, tomato, zucchini, artichoke, cauliflower, broccoli, leek, beet and celery. 6. Narrative of Francesca Restelli (Marchigian living in Olmos, Buenos Aires)
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I came to Argentina when I was very young. My family use to live in a town in the Marches, but when the germans arrived we have to search for help in a farm. I lived with my mother hidden in the farm for some time while my father was in the hills. That´s why we escape to Argentina. We were in different cities of Argentina until we finally established in Olmos. I cook many dishes that I remember from the Marches. I remember that when I was young there was no important lunch, especially in holidays, that didnâ&#x20AC;&#x2122;t finished with a delicious dessert called Zuppa Inglese. This dessert was prepared with vanilla embedded in Alchermes, a red liquor, with cream. The Alchermes, was originated in an Arabian word and is a liquor prepared with smashed ladybugs. There were always le peschette, small cookies with the form of peaches and the le sfrappe. All flavors and smells melt with nostalgia and memories from the distant native land.
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El cine como instrumento de valorización paisajístico. Los lugares de la filmografía de las Marcas Enrico Nicosia
Resumen La representación de las realidades paisajísticas locales en las producciones cinematográficas y televisivas encuentra su natural evolución mediante la difusión, el desarrollo y la liberalización en Europa del sector televisivo en los años ochenta del siglo pasado y la consiguiente formación de un mercado internacional. Una película se asemeja a un viaje que nos emociona no sólo por los hechos contados sino también por la visión de lugares y de bellezas paisajísticas. Contemplar entornos lejanos, donde los usos y las costumbres son diferentes, proporciona conocimientos, a la vez que suscita grandes curiosidades. La representación del lugar se convierte, de este modo, en un valor añadido. Atribuir un significado al término paisaje es hoy origen de debate de las disciplinas geográficas; tiene sentido en cuanto expresión de conceptos diferentes que se corresponden con diversos campos de estudio. Actualmente, para comprender mejor el paisaje que nos rodea no basta la mirada del atento observador que lo contempla. La intervención de los medios de comunicación adquiere importancia, ya que la sensibilidad del individuo del siglo XXI está condicionada por la imagen. El cine cobra en este sentido gran protagonismo pues poniendo de relieve algunos escenarios permite observar el paisaje bajo su componente estético, admirar las bellezas de un lugar concreto y en ocasiones descubrir también las pruebas del maltrato de nuestros “bello mundo”, la congestión urbana, los grandes errores cometidos en la periferia de las grandes ciudades, la degradación de la costa y la abusiva construcción.
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Los vínculos entre el cine y el paisaje son cada vez más estrechos porque es sabido que el paisaje adquiere en la pantalla un gran protagonismo y es empleado para valorizarlo. Recientemente la cinematografía italiana, incluida por tanto la de las Marcas, y nos referimos a películas, programas de televisión, documentales, etc. pretende impulsar la valoración paisajística y el desarrollo territorial de las diversas regiones italianas. Palabras clave: cine, paisaje, valorización
La relación cine-paisaje Una película se asemeja a un viaje que nos emociona no sólo por los hechos contados sino también por la visión de lugares y de bellezas paisajísticas. Contemplar entornos lejanos, donde los usos y las costumbres son diferentes, proporciona conocimientos, a la vez que suscita grandes curiosidades. La representación del lugar se convierte, de este modo, en un valor añadido. Los lugares pueden ser también mentales, imaginarios o reales. “Si guarda un paesaggio che si muove, invece che muoversi per vedere un paesaggio fisso davanti a noi. Guardare un film parrebbe dunque essere, in apparenza, il modo più facile per avvicinarsi a luoghi lontani, per vedere -e per far vedere- paesaggi inconsueti. Proprio perché virtuale tuttavia la mobilità che ci viene concessa dallo sguardo cinematografico è filtrata da un mezzo di comunicazione e non rappresenta una pura sembianza, una perfetta mimesi della realtà, ma piuttosto costituisce un testo, vale a dire un sistema di segni cui viene sempre attribuito un significato” (dell’Agnese, 2006, p.63). El paisaje en la historia del cine italiano es un elemento fundamental y recurrente en cada película histórica, moderna o contemporánea. La obra cinematográfica contiene su humus natural del aspecto paisajístico. Desde hace un siglo, el cine ha filmado un gran número de paisajes de cada continente mediante los que representa la realidad. Poder analizarlo significa no sólo examinar la relación entre personaje y espacio sino también indagar en el estrecho vínculo de los diversos niveles de la mirada. En la base de esta relación hallamos, por un lado, el personaje y por otro la cámara, aunque tras ella hay otra mirada: la del espectador. Las mismas escenas paisajísticas en la cinematografía se convierten en el espacio de acción predilecto de los directores - 132 -
pero son igualmente lugares vastos y diversos en los que los personajes procuran con esfuerzo no perderse (Cirelli, Nicosia, 2010; Nicosia, 2011, 2012). El paisaje se nos propone como una forma dinámica del mundo y como espectáculo. Nuestra mirada logra transformar el territorio en paisaje, en cuanto a percepción subjetiva que proporciona a la realidad valor cultural, sentimental y poético. El paisaje, abstraído de los acontecimientos presentes, es silencioso y contiene el pasado histórico de los hombres. Pasado que es localizable a través de las señales que los humanos han dejado en el territorio como, por ejemplo, trazas de las actividades, de la vida, del comportamiento en el entorno natural. El paisaje es historia, historia incesante, un cúmulo de acontecimientos sucesivos (Turri, 2000). En el pasado reciente, además, el paisaje ha sido identificado como recurso económico-cultural, resultado de diversas prospectivas. Elena dell’Agnese, sin embargo, afirma que: como el paisaje literario o el cultural, también el paisaje cinematográfico se constituye en un género, con referencias locales precisas y emplea un lenguaje específico. El cine, entonces, constituye un sistema comunicativo e interpretativo vinculado al contexto en el que está producido y, si es descontextualizado, ofrece la posibilidad de interpretaciones y lecturas en ocasiones divergentes. […] (dell’Agnese, 2009, p. X). Pero los paisajes del cine son screenscapes (paisajes de la pantalla), no son siempre reales y objetivos, a menudo no son personajes de las historias. Como la mirada que produce el paisaje está “situada”, están así “situados” los espectadores. El público ve únicamente lo que su prospectiva espacial y temporal le consiente ver, es decir, lo que en aquel instante le viene sugerido por las propias emociones, que son diferentes respecto a las del espectador cercano (Shohat y Stam, 1996). Además, como defiende Turri: “farsi spettatori comporta quindi un estraneamento, per quanto provvisorio, rispetto all’agire, necessario e vitale non meno dell’agire, perché solo in tal modo si fanno emergere i nodi del vivere” (Turri, 1998, p.30). A lo largo del siglo XVIII, el estudio del espacio y del paisaje ha permitido el nacimiento y la afirmación del cine como arte neorrealista. Con la llegada del cine, las imágenes cinematográficas, sobretodo del siglo XIX, sufren una profunda evolución, aumentan su número y tipología. Durante la mitad del siglo pasado, el cine se presta a proyectar en grandes salas la imagen de la location retratos de las cámaras de los directores. El mundo cinematográfico, moviéndose libremente en espacios inmensos, mostrará finalmente un mundo desconocido al espectador. - 133 -
La geografía ha comenzado a estudiar el paisaje a través de las representaciones cinematográficas hace sólo unos veinte años, tomando los movimientos de dos corrientes del pensamiento geográfico: la geografía humanista y la cultural y social (Kennedy e Lukinbeal, 1997). Además, el cine, proporcionando datos útiles para la interpretación geográfica, se convierte en un importante documento de informaciones para la disciplina, puesto que gracias a él, es posible captar las señales de la evolución del territorio (Fantuzzi e Gazerro, 1999; 2002). El conjunto de las relaciones existentes entre geografía y cine está basado en el presupuesto que el análisis espacial puede recurrir a las fuentes indirectas, que ofrecen a la comprensión geográfica una nueva visión de la realidad fundada en el espacio vivido e interpretable (Frèmont, 1976). La primera preocupación del análisis fílmico es, en general, la comprobación de la verosimilitud de la representación del lugar en el que la película está ambientada. Una película y sus lugares son considerados según su capacidad de reproducción fiel de una realidad que debe mostrar y utilizar como si fuese verdadero. Además, cuando una película es rica en detalles y exacta en términos de reconstrucción histórica, entonces es considerada más útil para un fin didáctico (Cresswell e Dixon, 2002). “In quanto forma di “narrazione discorsiva”, qualsiasi pellicola può offrire un interessante spunto di analisi e di discussione didattica, […] così anche un film evidentemente distorto e stereotipato diventa un efficace strumento educativo” (dell’Agnese, 2006, p. 66). Así pues, el cine puede ser examinado como un producto cultural. El objeto de análisis ya no es el producto cinematográfico, sino el género al que pertenece, que hace que se convierta en un “producto cultural”, un medio para estudiar la geografía. De este modo, el cine ofrece la oportunidad de reflexionar sobre la relación entre el lugar y la cultura en una óptica global; en cuanto producto cultural se convierte en un medio para el estudio del territorio, acentuando los aspectos culturales, la población, las tradiciones, la identidad y la evolución histórica (Hall, 2001; Tomlinson, 2001). Como cualquier forma cultural, también el cine responde a otros estímulos que proceden del exterior, adaptándolos a las condiciones locales. De hecho, los modelos cinematográficos americanos y anglosajones, que globalizan al público gozando de éxito en las salas cinematográficas, son siempre fácilmente aceptados y reelaborados en un incesante proceso de globalización cultural (dell’Agnese, 2006). El interés de la geografía por el cine se ha desarrollado en el mundo anglosajón gracias a la rama humanista de la disciplina y a los estudios del paisaje, por un lado, y a los estudios socioculturales por otro. Además, lo que suscita interés y merece una particular atención en las producciones cinematográficas es la representación geo- 134 -
gráfica que procede de la capacidad de reproducir los paisajes de modo no estático (dell’Agnese, 2009, p. 3). El paisaje cinematográfico es comparable a un personaje dispuesto a comprender las características de las realidades regionales o permite la reconstrucción de la evolución de un territorio a través del análisis de la imagen fílmica (Horton, 2003). La verdadera esencia de la geografía consiste en la práctica de la mirada ya que es, efectivamente, un estudio de imágenes. Por este motivo, el cine deber ser considerado parte integrante de la geografía, puesto que restablece una sucesión de imágenes en secuencia. Además, Aitken e Zonn señalan que las imágenes no se limitan a reflejar lugares y personas sin más: son lecturas parciales de lugares e individuos, de interpretaciones de las funciones sociales y del comportamiento que estos deben mantener (Aitken, Zonn, 1994). Como cada forma de narración, también el cine depende de un punto de vista contextualizado, a partir de esto, son contadas historias que articulan o refuerzan las normas y los valores establecidos por una sociedad, o intentan dar una lectura alternativa de ello, con la esperanza de lograr acabar con el orden social. Así, es posible servirse del cine como instrumento interpretativo y es necesario saber investigar la geografía en la película, para evidenciar las señales indirectas en las que cada representación fílmica puede ser diseminada, para que se pueda comprobar la autenticidad de los lugares filmados por los directores (Barilaro, 2010). Así pues, la fuente cinematográfica es un instrumento para el estudio de la relación con los lugares, en cuanto evidencia y aísla algunos aspectos de la realidad, y permite al observador un enfoque diferente respecto al habitual (Fornara, 2001). Entonces si “ogni film rivela qualcosa della società che ha voluto rappresentare […] soprattutto [rivela qualcosa] di quella all’interno della quale è stato pensato e realizzato” (Corna Pellegrini, 2003, p.4). Se deduce que el significado simbólico de un cierto lugar o de una cierta función puede ser, o no, compartido por públicos diferentes, a su vez incluido en diversos discursos e imaginarios (dell’Agnese, 2009).
El paisaje de las Marcas y su función en el cine Al igual que la literatura, de la mano de Goethe, Stendhal, Montaigne, Montesquieu y sobretodo Leopardi, el cine ha mostrado magníficos escenarios de las Marcas, describiéndolos, transformándolos y adaptándolos a las necesidades del relato cinematográfico, tanto imaginario como de aventuras o histórico. - 135 -
Entre los diferentes elementos que componen el territorio de las Marcas, el paisaje es el que sin duda ocupa mayor protagonismo y posee un elevado valor estratégico. El cine, desde hace un siglo, ha mostrado un gran número de paisajes de todos los continentes y ha recurrido a ellos para representar la realidad. El paisaje debe ser estudiado como una experiencia y no como un objeto autónomo. Analizarlo significa comprender la relación entre personajes y espacio. En el centro de este binomio destaca, por un lado, el personaje, y por otro, la cámara pero detrás de la misma hallamos otra mirada, la del espectador. El paisaje es además historia, una sucesión de hechos estratificados (Bignardi, 1994; Turri, 1998; 2000; Fornara, 2001; Bernardi, 2002; Corna Pellegrini, 2003). Hechos que han marcado también la evolución del paisaje de las Marcas y de toda la región, caracterizada por una fuerte identidad, enriquecida con múltiples actividades económicas y culturales que han creado un modelo de audacia y de heterogeneidad (Palmucci, 2012). En esta tierra abundan los espléndidos valles, ríos, torrentes, colinas y montes que hacen único su paisaje. El paisaje de las Marcas ha sufrido, desde el siglo XIV, transformaciones producidas por la aparcería, la estructura agraria predominante en la Italia central desde la baja Edad Media hasta los años sesenta del siglo XX, que ha plasmado allí los elementos físicos y antrópicos característicos (Desplanques, 1977; Anselmi et alii, 1978; Anselmi, 1985). El paisaje rural y la estructura agraria de la aparcería han logrado un protagonismo fundamental en la identidad cultural de las Marcas, dejando huellas tangibles, presentes no sólo en las descripciones literarias sino también en las representaciones cinematográficas (por ejemplo, Il giovane favoloso (2014) de Martone). Así pues, el paisaje es uno de los elementos que invita a las productoras cinematográficas a elegir un lugar, una ciudad para ambientar sus películas. En la historia del cine abundan las anécdotas sobre las motivaciones más o menos accidentales que han conducido a los directores y a los productores a esta o aquella región y esto, obviamente, se aplica también a las Marcas. Más de ciento centra películas, a partir de 1908, han sido rodadas en los pueblos y ciudades de las Marcas haciendo uno, más o menos conscientemente de sus paisajes. Pueblos como Sernano y Cagli, gracias a políticas promocionales locales dirigidas al cine, se convirtieron en teatros de exposición naturales, punto de referencia también para productoras extranjeras, (ver, por ejemplo, Paesaggio nella nebbia (1987) de Anghelopulos o Hudson Hawk (1990) de Lehmann) que han descubierto el territorio de las Marcas, sus bienes arquitectónicos y monumentales como alternativa a Roma, Florencia, Nápoles o Venecia. En algunos casos, los directores han recurrido a las Marcas para reinventar la realidad geográfica. Este es el caso de ciertas películas que sin tratar explícitamente las Marcas, las “to- 136 -
man prestadas” para recrear un tipo de geografía ideal (Conti, 1999, pp.17-20; Martini, 2005). Las Marcas son frecuentemente consideradas como la “tierra del confín y del confinamiento”, como una planicie estéril, desolada e inhóspita, donde nadie querría vivir. Numerosas películas dan testimonio de ello: I Delfini (1960) de Maselli, Spartacus (1960) de Kubrik, Un poliziotto scomodo (1979) de Massi y Il marchese del grillo (1982) de Monicelli. Pero el cine italiano en los últimos veinte años ha descubierto nuevas dimensiones expresivas, con películas on the road a la búsqueda de nuevos itinerarios. Directores como Salvatores en Turnè (1990), Tornatore en Stanno tutti bene (1990) o Veronese en Viola bacia tutti (1998) parecen desear mostrar provincias italianas destinadas a convertirse en observatorios naturales de historias auténticas, paisajes inéditos y personajes verosímiles. Están dispuestos a explorar nuevos itinerarios paisajísticos que sean capaces de expresar el estado anímico de los personajes. Estas nuevas prospectivas del cine italiano coinciden con un descubrimiento del paisaje de las Marcas como tierra de los confines en clave de on the road (Olivucci, 1999, pp. 9-15). En la actualidad, además, presenciamos un regreso al campo y una recuperación del paisaje de aparcería. Esto se plasma también en la creación y difusión del orónimo Marcheshire. Se trata no sólo de una operación publicitaria para poner en valor la tipicidad local y crear una marca reconocible en los mercados globales sino también de una acción de defensa, de la identidad local fundada en la unicidad y en la especificidad territorial (Pongetti, 2013, pp. 78-81).
La Mediateca de las Marcas y la Film Commission, instrumentos de valorización territorial La Mediateca de las Marcas y la Film Commission constituyen un importante punto de referencia para las políticas cinematográficas y audiovisuales regionales. La Mediateca es un organismo que se ocupa principalmente de relacionar los principales Festivales operadores en la región, respetando las diversas características culturales, siendo las Marcas un territorio, por su naturaleza, plural y diversificado. La Mediateca contribuye a crear y reforzar la identidad plural regional en el sector cinematográfico y audiovisual, planificando los recursos no sólo según fines promocionales sino también para proporcionar al público, regional y nacional, una imagen global y coordinada de - 137 -
las propuestas cinematográfica y audiovisuales regionales. Para lograr este objetivo, desde hace algunos años, ha sido organizada una actividad de “Coordinación de los Festivales Video Cinematográficos de las Marcas” también mediante el “Proyecto CineMarche”, financiado por el Ministerio de los Bienes y las Actividades Culturales. El resultado más importante de la actividad de la Coordinación ha sido su contribución a la creación de un banco de datos regionales de las producciones cinematográficas y audiovisuales realizadas y procedentes de varios Festivales de las Marcas. Si no se trata de producción o temática específicamente regional, sí de distribución regional (www.mediateca.marche.it). Uno de los aspectos más importantes es la utilización de un festival como instrumento creativo de recualificación y valorización territorial, es decir, considerarlo como un evento que crea una relación de interdependencia entre la manifestación y la location en la que se desarrolla (Nicosia, 2013). Entre los Festivales regionales de cine y que se adhieren a la Coordinación es necesario citar el “Fano International Festival”, promocionado y organizado por el local “Foto video cineclub” en colaboración con entes institucionales públicos y privados; se trata de una manifestación que se ocupa principalmente de eventos de producciones fílmicas en el ámbito del corto y mediometraje y surge para el encuentro de todo el cine independiente de autores italianos y extranjeros. Su objetivo es promocionar el conocimiento y contribuir a la difusión de películas realizadas por jóvenes directores que exponen temas y motivos de nuevas sensibilidades emergentes y expresar momentos innovadores de auténtica investigación lingüística, formal y artística. El Festival es también un encuentro de espacios significativos de relevante índole cultural y artística (eventos inaugurales, exposiciones, congresos), y da además la oportunidad de conocer y valorizar los recursos ofrecidos por el territorio (excursiones hacia el interior, visitas guiadas de la ciudad, tardes de música, etc.), comprendida la inclusión de diversos espacios del rico patrimonio histórico y artístico de la ciudad. En el elenco de los Festivales están presentes otros eventos y manifestaciones de menor renombre promovidas por las administraciones públicas y asociaciones: es el caso del Premio de la crítica cinematográfica y televisiva “Castelli dell’Alta Marca Anconetana”, y también el “Pesaro Film Fest” ―exposición internacional del nuevo cine―, que pretende no sólo mostrar las creaciones de los nuevos directores sino también contribuir a difundirlas y hacerlas comprensibles, siguiendo los pasos de las manifestaciones italianas y extranjeras de mayor relieve. - 138 -
Otro actor que contribuye a la valorización de las Marcas es la Marche Film Commission, constituida en el 2001. En la actualidad, la Marche Film Commission potencia los recursos del territorio de las Marcas (Nicosia, 2015). Entre las herramientas promocionales más eficaces empleadas por la Film Commission para difundir sus acciones, señalamos una página internet oficial desde la que es posible acceder a la Location Guide, una guía interactiva donde están indicados los potenciales location disponibles para eventuales rodajes televisivos y cinematográficos (ver fig. 1). Además, existe también una lista de películas y anuncios publicitarios rodados en el interior de la región. Consultando el Portale Marche Cinema se puede visualizar un rico banco de datos donde es posible encontrar todo lo concerniente al mundo del cine de la región. Será posible navegar a través de itinerarios cinematográficos, enriquecidos con verdaderas y propias movie map. Estas últimas, constantemente actualizadas, manifiestan los recursos y el patrimonio tangible e intangible de las Marcas desde los teatros hasta los museos, desde las conmemoraciones históricas hasta las iniciativas folklóricas, desde los recorridos enoturísticos a los naturales.
Fig. 1 - Location y películas rodadas en las Marcas Fuente: elaboración propia a partir de datos Film Commission Marche - 139 -
Conclusiones Los cineastas expresan la importancia de vivir en estos lugares y los paisajes facilitan al cine entornos donde narrar historias y acciones humanas sucedidas en ellos. El ambiente es el elemento activo de la acción humana. Cada escena cinematográfica necesita antes de ser tomada una convivencia armónica con la naturaleza y el paisaje circunstante. El paisaje de las Marcas es, entonces, el actor principal de numerosas transposiciones cinematográficas, realizadas en todo el territorio regional. El conjunto de las imágenes cinematográficas y televisivas, rodadas en este territorio, evidencian la importancia escénica como elemento natural y paisajístico de atracción irresistible. Si se dedica mayor importancia al binomio cine-paisaje es porque el paisaje en el cine adquiere gran protagonismo, de modo que contextualmente es utilizado como un medio para valorizarlo. El arte cinematográfico y sus productos podrían, entonces, convertirse en un instrumento de comunicación territorial si se incluyen en un plan orgánico, coherente y bien organizado. Pueden contribuir a poner de relieve las Marcas por su naturaleza y paisaje o por su historia y cultura, convirtiéndose en un medio de promoción para toda la región.
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