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STANZE DEL CINEMA John Carpenter Distretto 13: le brigate della morte progetto editoriale Roberto Gatti

Corso di laurea in Design della Comunicazione Tesi di Laurea Relatore: Gianfranco Torri A.A. 2008/2009 - 22 luglio 2009



ANALISI 14 16 17 18 18 20 21 22 23 24

la prima visione isolamento ignoto paura violenza vendetta costrizione/claustrofobia cambiamento senso del dovere elementi di continuitĂ

CONCEPT

INDICE

INTRODUZIONE

PERCORSO PROGETTUALE 32 33 36 37

la ricerca del film i manifesti l’idea i contenuti

IL PROGETTO 40 44 46 48 50 52 56

RICERCA 78 82

la struttura del libro le pagine e la griglia i font i colori le immagini le forme la realizzazione la stampa la fustella la rilegatura il film il regista introduzione pratiche cinematografiche i generi la televisione la musica la nuova fisica hollywood la politica il montaggio digitale gli shooters la lunga notte del sogno americano

DOCUMENTAZIONE RINGRAZIAMENTI

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INTRODUZIONE


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DISTRETTO 13 Le brigate della morte

Nel quartiere di Anderson, nella periferia sud di Los Angeles, l’ordine pubblico è seriamente compromesso da alcune bande criminali. Lo stesso 13° Distretto di polizia, ubicato in una zona isolata, è minacciato da questa violenza tanto da dover essere trasferito in un sito più sicuro. Nella notte che precede il trasferimento, sei guerrieri della notte vengono uccisi dalla polizia e la banda degli Street Thunder giura vendetta. Il tenente Ethan Bishop, fresco di nomina, è designato alla chiusura del Distretto e si avvia alla sua prima missione. Nello stesso momento un cellulare della polizia si mette in marcia per trasferire tre pericolosi criminali dal penitenziario di Los Cruces a quello di Sonora. Intanto alcuni membri della banda criminale si aggirano per Anderson alla ricerca della loro vendetta che si abbatte con violenza inaudita su una bambina e un gelataio. Il padre della bimba riesce a uccidere uno degli assassini ma viene inseguito e per salvarsi si rifugia nel Distretto ormai semideserto. Ma la terribile visione dell’assassinio a sangue freddo della figlia lo ha ridotto in uno stato catatonico che gli impedisce di raccontare alcunché. Nel frattempo il cellulare, a causa del malore di un detenuto,

fa sosta al Distretto che conta ormai solo il tenente Bishop, alcuni poliziotti e due segretarie, Leigh e Julie. I criminali senza volto dopo avere accerchiato il Distretto decisi a vendicarsi sul padre della bambina, iniziano ‘attacco e la carneficina. Il tenente Bishop, con poche munizioni e senza alcuna possibilità di comunicare con l’esterno, è costretto a farsi aiutare dai detenuti nella difesa del Distretto. Sottoposti allo stress dell’assedio, tra il tenente e Napoleone Wilson, il più pericoloso dei tre detenuti, si instaura una notevole solidarietà umana, mentre tra lo stesso Wilson e Leigh nasce un’attrazione fatale senza sbocco e speranza. All’alba, ormai ridotti allo stremo, nel Distretto si contano solo tre sopravvissuti: il tenente Bishop, Leigh e Napoleone Wilson. Gli assalitori, grazie all’arrivo provvidenziale delle pattuglie della polizia sembrano svaniti nel nulla, ma la solidarietà e l’affetto tra i tre rimane tangibile testimonianza di una notte da incubo.

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JOHN CARPENTER

John Carpenter nasce il 16 gennaio del 1948 a Carthage, New York, e trascorre l’adolescenza a Bowling Green nel Kentucky, una piccola cittadina nelle vicinanze di Nashville. Il padre Howard è titolare dell’insegnamento di musica moderna all’Università del Kentucky ed anche un apprezzato session man, che spesso accompagnava Frank Sinatra, Roy Orbison e Brenda Lee. Il padre è un punto di riferimento importante nell’educazione del piccolo John, ed è proprio lui a trasmettergli l’amore per la musica. Lo introduce all’ascolto della musica classica e all’insegnamento di alcuni strumenti come il violino e il pianoforte, anche se Carpenter non sarà mai in grado di leggere e scrivere la musica. Parallelamente all’amore per la musica, il giovane Carpenter coltiva anche quello per il cinema. Una passione sorretta dalla madre che lo accompagna sin dall’età di quattro anni al cinema; correva l’anno 1952 quando vide il suo primo film, La regina d’Africa. Ma al cinema andrà sempre più spesso per vedere gli amatissimi B-movies di fantascienza. Gli anni dell’infanzia sono anche quelli in cui divora racconti di fantascienza economica, riviste di fantascienza («Galaxy», «Astounding Science Fiction», «The Magazine of Fantasy &Science Fiction») e fanzine. Durante l’adolescenza anche lui si cimenterà con la realizzazione di fanzine e nel 1965 fonda

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«Fantastic Films», dedicata al cinema di fantascienza e pubblica anche «King Kong Journal» e «Phantasm- Terror Thrills of the Films». Con la cinepresa paterna, una Brownie da 8mm, inizia a realizzare piccoli fìlm con ingegnosi mostri di cartapesta e tra il 1961 e il 1962 con una nuova cinepresa, la Eumig 650, realizza alcuni cortometraggi dai titoli molto indicativi: Revenge of the Calossal Beast, Gorgo vs Godzilla, Terror from Space, Sorcerer from Outer Space. Fonda poi la Emerald Production con la quale finanzia e realizza Warrior and the Demon e Gorgon, the Space Monster, due corti che oscillano tra la parodia dell’horror e un horror fantascientifico.


Nel 1966 produce, realizza e monta Firelight mentre segue gli studi universitari presso la Western Kentucky University. Nel 1968 viene ammesso alla prestigiosa University of Southern California (Usc) dove frequenta i corsi di regia, fotografia e montaggio. Durante la permanenza alla Usc collabora alla realizzazione di undici cortometraggi, il più famoso dei quali è The Resurrection of Broncho Billy (1970) per la regia di James Rokos e che vinse l’Academy Award nella sezione cortometraggi. Di questo lavoro Carpenter firmò il soggetto, la sceneggiatura, il montaggio e le musiche. Il film descrive l’esperienza di Billy, un giovane di Los Angeles grande appassionato dei film western, che consuma questa passione fuori dal tempo, come se fosse in un’altra dimensione, pur vivendo a Los Angeles. Una sorta di autorappresentazione di un gruppo di studenti di cinema, cinefìli appassionati. Ma l’esperienza alla Usc terminerà in modo brusco per i contrasti che opporranno Carpenter all’università a causa di Dark Star, il suo primo film.

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ANALISI


Il film è stato interamente analizzato in funzione dell’attività progettuale che si sarebbe svolta intorno ad esso: sono state identificati i temi portanti della pellicola e le emozioni che la visione di questa provoca nello spettatore, oltre allo stile con cui il film è girato e come queste emozioni vengono trasmesse allo spettatore. Da una prima analisi che si può definire ad ampio spettro ci si è poi concentrati su quei temi e quelle emozioni che sostengono fortemente il film, cercando di identificare tutti quegli elementi che lo caratterizzano e l’hanno reso un vero e proprio cultmovie. All’interno del film i fattori di interesse principali sono rappresentati dall’impatto visivo delle inquadrature, l’intreccio della storia narrata e l’evoluzione dei rapporti tra i personaggi col susseguirsi degli avvenimenti. Un ulteriore elemento degno di nota si trova nella colonna sonora; per tutta la durata della pellicola un particolare contribuisce nel rafforzare l’atmosfera di tensione e disagio che già la caratterizza: a sottolineare i momenti di maggiore tensione interviene un fischio costante, disturbante, che rappresenta un elemento fisso nella pellicola e va ad aumentare il disagio dello spettatore nei confronti della pellicola. Il film è girato con uno stile freddo, quasi distaccato, ed è

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caratterizzato da una narrazione semplice, come semplici sono anche la fotografia e le inquadrature che Carpenter usa per riprendere gli avvenimenti.


rappresentato dai membri della banda che attacca il distretto, sempre nascosti e irriconoscibili. Quando ormai tutto sembra perduto rimane solamente un’ultima disperata resistenza prima della fine; si aspettano i nemici lungo un passaggio stretto che vanifica la prevalenza numerica degli assalitori. Le Termopili rivivono nel ghetto di Los Angeles. È di rito il lieto fine, che solleva lo spettatore mostrando i tre sopravvissuti durante l’arrivo dei rinforzi, anche se soffermandosi sull’accaduto ci si rende conto che in realtà non è cambiato nulla dall’inizio del film... molti cadaveri e una Los Angeles ancora violenta. In fine la domanda che rimane in testa allo spettatore è una sola: perché lo chiamano Napoleone Wilson?

LA PRIMA VISIONE

Sangue, odio, tensione, dolore, attrazione, tolleranza, senso del dovere: questo ci troviamo davanti quando guardiamo Distretto 13, il tutto tenuto insieme dalla tensione che Carpenter riesce a creare. La prima mezz’ora scorre lenta, ci ricorda Kubrick; col passare dei minuti sappiamo che qualcosa di brutto sta per succedere e che in qualche modo le tre storie che scorrono sullo schermo andranno ad incontrarsi, non necessariamente in modo piacevole. Dal momento in cui il tenente Bishop entra nel distretto ci troviamo in un susseguirsi di avvenimenti crudi, senza senso. Il racconto assume una matrice western e si sviluppa in un vortice di sanguinaria violenza. È questa violenza gratuita, soprattutto nei confronti di una bambina che si trova uccisa per aver voluto un gelato, la protagonista di tutto il film. All’interno del distretto si svolge la commedia umana, con improbabili alleanze tra bianchi e neri, tra poliziotti e assassini. Al termine del film ci rendiamo conto del fatto che i protagonisti sono un “buono” una “bella” e un “cattivo”. Lo spazio in cui le vicende hanno luogo va restringendosi sempre di più, obbligando i protagonisti in una morsa letale. Il claustrofobico ambiente in cui si svolge l’azione principale stride con la desertica zona circostante. La solitaria cabina telefonica ha qualcosa di surreale, appare come un’astronave sul suolo lunare. È l’ignoto a fare paura,

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ISOLAMENTO

Il film è caratterizzato da una fortissima sensazione di isolamento sulla quale si basa tutta la sceneggiatura. Durante l’intera durata della pellicola le scene di dialogo e di azione sono intervallate da momenti in cui la macchina da presa sottolinea l’isolamento degli ambienti in cui l’azione si svolge e che i protagonisti devono sopportare.

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Una strada vuota, una stazione di polizia deserta


IGNOTO

L’ignoto è uno dei protagonisti del film: all’interno del distretto non si conosce l’identità degli assalitori, l’oscurità che circonda gli edifici rende impossibile capire cosa succede al di fuori di essi o quando avverrà il prossimo assalto. Anche l’identità dell’uomo che chiede rifugio all’interno del distretto è sconosciuta ai protagonisti.

C’è una gran calma fuori.

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PAURA

La paura è indubbiamente l’emozione che più di tutte caratterizza il film, legata all’ignoto che incombe sul distretto e alla concreta possibilità di morire che i protagonisti si trovano di fronte.

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Non mi guardate così, non voglio mica morire per lui!


Ognuna di queste scene è caratterizzata da una visione distaccata e realistica di ciò che accade.

Trascineranno via il tuo corpo crivellato.

VIOLENZA

Distretto 13 è un film violento, di una violenza fredda e spietata. L’uccisione della povera ragazzina da inizio ad un susseguirsi di violenze crude e determinate, che contribuiscono a creare una sensazione di impotenza ed apprensione. Nonostante le scene di sangue siano numerose, in nessuna di queste la violenza è esasperata o irreale.

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VENDETTA

La vendetta è l’elemento sul quale si poggia la storia. Il rito di vendetta di una banda criminale apre la narrazione subito dopo la prima scena del film, per vendetta il padre della ragazzina uccide il capo della banda che gliel’ha portata via, sempre per vendetta la banda lo insegue fino al distretto e cerca di uccidere lui e tutti quelli che cercano di aiutarlo o che per sola sfortuna si trovano nel distretto con lui.

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Si direbbe il voodoo della vendetta.


OPPRESSIONE

Col susseguirsi degli eventi nel film gli spazi all’interno dei quali si svolge la narrazione subiscono una progressiva riduzione, partendo dagli ampi ambienti quasi desertici della Los Angeles diurna fino allo stretto e claustrofobico locale caldaia dove ha luogo l’ultima scena del film.

C’è solamente un passaggio ed è lungo e stretto.

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CAMBIAMENTO

I rapporti tra i personaggi subiscono un forte cambiamento col passare del tempo: quelli che prima erano solo carcerati, persone quasi senza diritti destinate a passare la loro vita in carcere, diventano partner su cui fare affidamento, senza i quali non si può sopravvivere.

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Willson! Cerchiamo di barricare la porta, dammi una mano.

Il poliziotto che prima era visto come un’autorità fredda e quasi nemica ora è un amico che salva la vita dei suoi compagni e pone il bene del gruppo prima di quello personale.


Questa è una stazione di polizia, ed è qui che lui è venuto. Avrà tutto l’aiuto che potremo dargli!

SENSO DEL DOVERE

I protagonisti del film dimostrano in varie occasioni di avere un forte senso del dovere e di non porre l’egoismo della propria sopravvivenza di fronte a ciò che è giusto per il gruppo.

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Eseguendo una ricerca sulla filmografia di Carpenter si è potuto notare come alcuni elementi siano ricorrenti e caratterizzino molte opere del regista. Tra tutti spiccano l’ignoto e l’isolamento, due punti di forza di alcuni dei suoi film più riusciti e di successo tra cui va citato The Thing, vero e proprio capolavoro della cinematografia horror mondiale anch’esso divenuto un cult-movie, ispirato al film di fantascienza del 1961 The Thing From Another World di Howard Hawks. In questo film i protagonisti rimangono bloccati in una base scientifica in antartide insieme ad una non precisata forma di vita aliena che uccide e prende il posto di ogni forma di vita con la quale viene a contatto. In questa come in molte altre pellicole del regista l’ignoto e l’isolamento sorreggono la narrazione e caratterizzano fortemente il susseguirsi degli avvenimenti. Un ulteriore elemento caratterizzante la cinematografia di Carpenter è il rapporto tra i vari personaggi dei suoi film e come questo cambi in funzione degli eventi spesso tragici che questi si trovano ad affrontare. Distretto 13, come anche The Thing e Fantasmi da Marte, solo due dei molti esempi possibili, ha in questa componente un punto di forza che lo caratterizza in quanto opera “Carpenteriana”. È proprio l’evoluzione di questi rapporti rispetto alla storia narrata e il

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loro mutamento in funzione degli avvenimenti ad essere uno degli elementi che più rappresentano l’insieme dei lavori del regista, che ha fatto della capacità di esprimere rapporti complessi e mutevoli un proprio carattere distintivo. Ultimo ma non meno importante fattore è la violenza. Nei film di Carpenter spesso questa è protagonista della storia quanto i personaggi. Nell’insieme dei suoi film però la violenza assume forme differenti e cambia secondo i bisogni della storia. Partendo da Distretto 13, passando per The Thing e Grosso Guaio a Chinatown, giungendo fino a 1997: Fuga da New York e Body Bags la violenza assume facce differenti; a volte cruda e realistica altre esagerata ed inverosimile.


CONTINUITĂ€

Esempi di isolamento e violenza tratti da alcune opere del regista

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CONCEPT


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Per la realizzazione del progetto si è scelto di prendere in considerazione gli aspetti claustrofobici ed oppressivi del film. Il progetto vuole esprimere le sensazioni che il film riesce a trasmettere attraverso la semplicità , elemento che fortemente ne caratterizza lo stile. Il contenuto del libro è il film stesso, raccontato attraverso le immagini e le parole dei personaggi, una sorta di evoluzione dello storyboard. Come nel film anche nel libro gli spazi si restringono, vengono invasi e tolti ai protagonisti, in questo caso le parole, fino a togliere al testo 29 ogni libertà di movimento



PERCORSO PROGETTUALE


LA RICERCA DEL FILM 32

A conferma della strana posizione di Distretto 13 nel mondo del cinema viene il fatto che fino a dicembre 2008 non ne esisteva ancora una copia edita in DVD. L’unica versione reperibile consisteva in una vecchia edizione in VHS ormai fuori produzione dalla quale è impossibile ottenere immagini di buona qualità. Per poter poter lavorare anche sulle immagini sin dall’inizio è stato necessario ripiegare su una versione digitalizzata amatorialmente che pur presentando una qualità relativamente buona su schermo non è in grado di sostenere una stampa di alta qualità, in attesa che la versione in DVD venisse commercializzata. Purtroppo quando si è riusciti ad ottenere la versione digitale del film ci si è trovati di fronte ad una pessima sorpresa: l’edizione DVD presenta una versione tagliata del film, che ne riduce le proporzioni da quelle originali del formato cinemascope ad uno standard 16:9, ottenendo così una perdita di parte delle inquadrature ed una conseguente diminuzione dell’efficacia delle immagini. Per questo motivo si è scelto di mantenere come versione di riferimento per le immagini da utilizzare nel libro quella in VHS, che pur non avendo immagini di altissima qualità non altera le capacità comunicative della pellicola. Per rendere le immagini utilizzabili è stato necessario intervenire tramite software ed andare a modificare, in alcuni

casi pesantemente, le proprietà dei bianchi delle immagini. In questo modo è stato possibile ottenere delle immagini che una volta stampate avessero la stessa resa che le immagini originali hanno a schermo.


I MANIFESTI

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Per esprimere la prima lettura del film in forma grafica sono stati prodotti alcuni manifesti che prendessero come riferimento per i contenuti i temi identificati nell’analisi della pellicola, partendo da due approcci a differenti, uno tipografico e s s a ul l’altro illustrativo. t as on Prendendo come spunto s a u pr lt on e i concetti di violenza ed pr cin a s e s accerchiamento sono stati acosÏ cin ct ult o n pr c e prodotte le prime versioni di cinc t t questi manifesti, che hanno poion precinct assault portato ad un affinamento dei inct prec nct n o t contenuti e quindi alle versioni ul ci re assa p finali. on sa

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L’IDEA 36

Nella fase di analisi erano stati identificati diversi temi attorno ai quali era possibile sviluppare il progetto. Partendo dall’idea che quanto succedeva nel film ai protagonisti poteva succedere al testo nel libro, si è scelto di prendere come spunto il concetto di oppressione e privazione degli spazi. All’interno del libro il testo si sarebbe trovato nella stessa situazione nella quale vengono a trovarsi i protagonisti del film. Il testo quindi col proseguire della storia si vede portare via lo spazio da parte di quelle che sembrano essere diverse forme che si capirà poi essere in realtà un unico elemento oppressore. Inizialmente era stata fatta la scelta di produrre un libro interamente tipografico; eseguendo alcune prove con parti di dialogo si è riscontrato come era impossibile rendere comprensibile gli avvenimenti della storia, questo per il fatto che all’interno del film la maggior parte delle scene fondamentali non presentano dialogo, sono scene esclusivamente d’azione. Per questo motivo si è deciso di inserire le immagini del film a supporto della narrazione, garantendo così al libro lo stesso impatto della pellicola.


I CONTENUTI

Una volta identificati i temi da trattare nel libro era necessario selezionare i contenuti del film che si sarebbero utilizzati. Per poter ottenere immagini significative da tutto il film è stato necessario esportare via software i frame, precisamente esportando 3 frame al secondo; in questo modo è stato possibile ottenere immagini chiare per ogni scena del film. Al termine dell’esportazione le immagini ricavate erano più di 16.000, è stato necessario eseguire una selezione facendo si che le immagini utilizzate includessero tutti i momenti importanti della storia e facessero parte di una sequenza sintetica ed esaustiva delle scene. Per quanto riguarda i testi da utilizzare il primo passaggio è stato trascrivere per intero i dialoghi del film. A causa della scarsa qualità dell’edizione DVD, nella quale manca una traccia dei sottotitoli in italiano, è stato necessario trascrivere tutti i dialoghi manualmente. Basandosi poi sulle immagini selezionate precedentemente sono stati eliminate le parti di dialogo non fondamentali per la corretta comprensione della storia.

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IL PROGETTO


LA STRUTTURA 40

Il libro presenta una struttura estremamente semplice e ricalca la narrazione delle storie all’interno del film. Trattandosi di un’unica successione di eventi strettamente legati tra di loro, non è stato suddiviso in capitoli ma si è scelto di mantenere un unico flusso ininterrotto di avvenimenti. Essendo le immagini di modeste dimensioni e nella stragrande maggioranza molto scure si è preferito escluderle dal processo di oppressione al quale è invece sottoposto il testo, per favorirne la comprensione in tutto il libro. Per poter quindi trattare testo e immagini indipendentemente si è divisa la lettura del libro in due parti complementari: nella pagina sinistra vengono riportate le immagini relative alla scena presa in considerazione, accompagnate da un breve testo che aiuta il lettore nel collegare gli avvenimenti in successione, nella pagina di destra vengono riportate parti di dialogo relative alla scena. All’intero del film esistono inoltre scene molto importanti che non presentano dialogo: a queste sono state dedicate due pagine di immagini, in modo da poter inserire un numero maggiore di dettagli e mantenere invariata la struttura delle altre pagine. Nonostante il libro non presenti una divisione esplicita in capitoli è possibile identificare tre parti nella struttura della narrazione e dell’impaginazione. La parte iniziale è priva di elementi di disturbo, dedicata all’introduzione della storia e

dei personaggi. Nella parte centrale si delineano gli aspetti negativi della storia e sono presenti elementi di disturbo distribuiti in maniera differente, predominanti nelle pagine dedicate alla narrazione per immagini ed esterni alla griglia del testo nelle pagine dedicate alla narrazione testuale. Nella terza parte la storia è ormai al termine, gli elementi di disturbo raggiungono il testo e ne invadono completamente gli spazi.


Bishop esce di casa per affrontare la sua prima giornata da tenente...

Un esempio di pagina sinistra, dove sono inserite le immagini della scena di riferimento.

Capitano Collins, salve. Sono sorpreso di sentire la sua voce.

Esempio di pagina destra, contenente parte del dialogo della scena. Alcune parole, particolarmente importanti, sono scritte in rosso.

Il capo della banda si diverte prendendo di mira i cittadini con un fucile

Allora Bishop, come ti senti con i gradi di tenente? Avrei un incarico per te stasera, un piccolo lavoro di supervisione con il dipartimento di polizia, dirigiti al tredicesimo distretto e chiedi del capitano Gordon.

tredicesimo distretto

Le scene senza dialogo vedono le pagine occupate interamente da immagini.

Un gelataio nota la macchina della banda e si insospettisce

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risultato dell’impaginazione secondo la struttura precedentemente illustrata.

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La progressione del rosso all’interno delle pagine dedicate al teso.

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PAGINE E GRIGLIA 44

Le pagine presentano fondo uniforme nero e testo bianco nella maggior parte dei casi, rosso in situazioni particolari. La griglia è stata progettata tenendo conto di due fattori: le proporzioni delle immagini ottenute dal film e la libertà di movimento che il testo doveva avere all’interno della pagina. Per quanto riguarda le immagini si è suddivisa la pagina in quattro colonne e quattro righe, creando moduli della stessa proporzione in cui è girato il film, e lasciando una riga centrale utilizzata per inserire il testo descrittivo. Il testo è stato impaginato secondo tre semplici colonne, in modo da poter avere tre riferimenti per l’allineamento del testo orizzontalmente ed avere libertà di gestione verticalmente.


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I FONT 46

Per i testi sono stati usati due font differenti per distinguere i dialoghi presi dal film e gli interventi esterni che vanno a descrivere gli avvenimenti. Per mantenere una continuità con il periodo in cui è ambientato il film è stato scelto l’American Typewriter per i dialoghi; essendo il film ambientato negli anni ’70, si è utilizzato un font che riproduce la scrittura a macchina tipica di quegli anni. In alcune pagine sono state evidenziate parti di dialogo di particolare importanza utilizzando caratteri rossi e di dimensioni maggiori. I testi descrittivi sono invece stati scritti utilizzando l’Avenir, carattere profondamente differente dall’American Typewriter e più neutro.


Avenir corpo 10 pt

American typewriter corpo 12 pt

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I COLORI 48

Nel film sono due i colori predominanti: il nero della notte ed il rosso del sangue. Ăˆ stato deciso di utilizzare questi due colori nella composizione delle pagine, usando un fondo nero omogeneo su cui vengono disposti i caratteri bianchi, mentre gli elementi di disturbo sono di un rosso intenso, aggressivo.


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LE IMMAGINI 50

La disposizione delle immagini nelle pagine segue uno schema variabile; mediamente sono state scelte 8 immagini per ogni scena ma in certi casi sono state inserite fino a 11 immagini per rendere piĂš comprensibile ciò che viene raccontato. La pagina presenta le immagini disposte in maniera sequenziale da sinistra verso destra e dall’alto verso il basso, con due immagini di dimensioni maggiori rispetto alle altre. Queste immagini sono strettamente legate al dialogo riportato nella pagina e contengono i momenti della scena in cui questo viene pronunciato.


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LE FORME 52

Per la realizzazione degli elementi di disturbo si è scelto di attribuire ad essi una forma rigida e spigolosa, in linea con la durezza del film. Questi sono elementi esterni dal carattere aggressivo, il cui unico scopo è interferire col testo e privarlo della propria libertà all’interno della pagina. Si voleva inoltre evitare di attribuire a queste forme il richiamo di tipo organico o tentacolare che viene espresso da linee curve e sinuose. L’avanzamento di questi elementi doveva risultare compatto e senza via di scampo, rigido ed inesorabile. Il rosso di queste forme è pieno, opprimente; è stato utilizzato il colore semplice senza texture o elaborazioni particolari in modo da poter attribuire agli elementi esterni maggiore durezza ed impatto.


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Prime prove di progressione per le forme rosse, utilizzando uno stile estremamente geometrico. La successione viene composta utilizzando solo quadrilateri regolari.

Un’ulteriore prova, questa volta composta da forme tentacolari disegnate con curve morbide.

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La versione finale della successione, costituita da forme geometriche rigide e spigolose. Le forme sono composte da linee spezzate molto fitte e ravvicinate tra loro. Questo tipo di composizione risulta essere pi첫 aggressiva delle precedenti e va a richiamare leggermente i vetri rotti, un elemento fortemente presente nella pellicola.

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LA REALIZZAZIONE 56

La stampa Il libro è stampato su carta ruvida bianca con grammatura 120gr. La ruvidità di questo supporto si riconduce alla ruvidità della narrazione nel film ed aumenta il coinvolgimento nell’esperienza del lettore introducendo in essa una dimensione aptica.


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La fustella Per la realizzazione della copertina è stata utilizzata una fustella tramite la quale ne è stato forato l’intero spessore con la scritta “D13”. Il titolo inciso con questa tecnica acquista molta più forza di quanta potrebbe averne essendo semplicemente stampato. Inoltre utilizzando questa tecnica è stato possibile dare al libro una copertina completamente nera, scura come la notte che avvolge il distretto nel film; non c’è spazio per altri elementi, la presentazione del libro viene affidata al buio ed all’ignoto.

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La rilegatura Per la rilegatura è stata scelta la tecnica bodognana rifilata al vivo, che attribuisce al libro semplicitĂ , compattezza ed eleganza. Le pagine sono cucite in sedicesimi dando al libro maggiore soliditĂ e permettendo l’apertura a 180 gradi delle pagine senza rischio di rottura.

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IL LIBRO


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RICERCA


IL FILM 78

Distretto 13: le brigate della morte è un film vagamente anomalo per quanto riguarda il suo stato di cult-movie. Col passare degli anni si è affermato sempre di più tra i film considerati capolavori di genere ma è stato considerato molto poco dal mondo della critica, che ne riconosce l’importanza ma raramente lo nomina. Persino internet offre pochissimi spunti e si contano sulle dita di una mano le critiche o gli articoli che parlino di Distretto 13 per più di una manciata di righe. Nonostante questo il film ha raggiunto uno status di vero e proprio culto e sia nel mondo della critica che tra i fan viene considerato uno dei capolavori di Carpenter. È proprio con Distretto I3: le brigate della morte che Carpenter fa definitivamente il suo ingresso nel mondo della regia cinematografica. I finanziamenti del film (il cui titolo provvisorio era Anderson’s Alamo) gli vengono concessi dalla Ckk Corporation, una compagnia indipendente di Philadelphia, e Carpenter scrive la sceneggiatura in soli otto giorni. Il film viene girato nei Producer Studios di Hollywood mentre gli esterni addizionali vengono girati a Los Angeles con una troupe ridottissima, il tutto per un costo complessivo inferiore ai 300.000 dollari. Il film ha comunque bisogno di fondi addizionali che vengono forniti da Irvin Yablans titolare della Turtle Releasing, una piccola compagnia di distribuzione, e

che sarà anche il produttore del successivo Halloween: la notte delle streghe. Per certi versi Distretto 13: le brigate della morte può essere considerato il primo film di Carpenter. Infatti The Resurrection of Broncho Billy, pur profondamente carpenteriano per temi e stile, era diretto da James Rokos, mentre Dark Star, pur diretto effettivamente da Carpenter, provocò una lite mai sopito tra Don O’Bannon e lo stesso Carpenter su chi fosse stato il vero ideatore del film. Ma l’accoglienza negli Stati Uniti per questo film fu decisamente negativa (venne recensito dal «New York Times» tre anni dopo Halloween: la notte delle streghe), e il motivo è stato dai più collegato ad alcune sequenze di cruda violenza, prima tra tutte quella dell’assassinio a sangue freddo della bambina. Nel 1977 il film fu presentato a Cannes nell’indifferenza generale (in una edizione depurata di alcune di quelle sequenze che tanti problemi gli avevano procurato negli Stati Uniti), mentre fu accolto benissimo al Festival di Edimburgo, dove vinse un premio, e al London Film Festival, dove fu proiettato nel corso della retrospettiva dedicata al B-movie. Distretto 13: le brigate della morte è un film cruciale nell’opera di Carpenter, poiché per la prima volta nel suo cinema l’amore fa capolino in quella passione soffocata che nasce tra Leigh e Wilson, ma ancor di più si manifesta in tutta


la sua interezza l’amore del regista per il cinema classico hollywoodiano di Hawks e Ford in primis, e per il lucido attacco all’ipocrisia del “sogno americano”; due temi fondanti della sua idea di cinema. Il nume tutelare del film è senza dubbio da ricercare in Hawks e nel suo Un dollaro d’onore, di cui Distretto 13: le brigate della morte è un devoto remake. Infatti la struttura narrativa di questo film è modellata fedelmente su quello di Hawks, e un rigore tutto hawksiano ispira l’evoluzione del film, celebrato da personaggi dalle semplici ma ferree regole di comportamento morale che si muovono in un contesto di western metropolitano. Strano rapporto quello di Carpenter con il western, un genere che egli ha sempre molto amato, tanto che il suo sogno nel cassetto è sempre stato quello di dirigerne uno, un desiderio più volte sul punto di compiersi (con il progetto di El Diablo, poi diretto da Peter Markle) ma che a tutt’oggi non si è ancora realizzato. E quindi Distretto 13: le brigate della morte rappresenta nella filmografia carpenteriana ciò che più assomiglia al western. Come nell’originale di Hawks, anche qui abbiamo un tutore della legge assediato in una città dalle forze del male e nel momento in cui la fine sembra certa, arrivano i rinforzi a celebrare un dovuto happy end. Ma Un dollaro d’onore appare anche in citazioni minimali, come quella del lancio del fucile di Bishop a Wilson, così

occhieggiante alla situazione che vedeva protagonisti lo sceriffo Chance e il suo assistente Colorado o come nell’episodio del lancio degli assalitori del lenzuolo macchiato di sangue, che ha la stessa funzione del deguello del film di Hawks, il canto rnariachi che era una sorta di annuncio di morte per gli assediati. Distretto 13: le brigate della morte però non è costruito solo come remake di Un dollaro d’onore, ma anche come contenitore di una miriade di citazioni del genere. Napoleone Wilson, il detenuto che con eroismo si batte per la sua vita e quella dei compagni, è costruito secondo le modalità dell’uomo solitario protagonista di tanti film western, un ruolo di eroe/ antieroe che vanta degli illustri predecessori primo tra tutti John Wayne. E sempre a Wayne, ma anche a William Holden, occhieggia l’altro protagonista, il novello tenente Ethan Bishop, che ha lo stesso nome di battesimo del protagonista di Sentieri selvaggi e il cognome di Pike, il personaggio interpretato da Holden ne “Il mucchio selvaggio”. Già, perché il gusto delle citazioni carpenteriane non si esplica solo sulle situazioni, ma anche sui nomi dei personaggi e sui suoi stessi pseudonimi; tanto per fare un esempio Carpenter firma il montaggio di Distretto 13: le brigate della morte con lo pseudonimo di John T. Chance, che è appunto il nome dello sceriffo protagonista di Un dollaro d’onore interpretato da Wayne. Citazioni di dialoghi

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più volte chiamano in causa C’era una volta il West di Sergio Leone. Citazioni che non sono comunque limitate al western, tanto che si riconoscono momenti di Il dottor Stranamore... (il momento della barricata fatta con il distributore della Coca-cola) e di Bersagli di Bogdanovich (quella canna di pistola che appare e scompare prima dell’omicidio della bambina, creando un’angosciante sensazione di tragedia imminente), e tanto meno al cinema. Infatti il tenente Bishop, rammentando un episodio della sua infanzia avvenuto proprio in quel Distretto, cita l’episodio che apre il librointervista di Truffaut a Hitchcock. Ma al di là di questo omaggio al cinema hollywoodiano, che traspare continuamente dal film, Carpenter ci consegna una sontuosa lezione di cinema, che obbedisce ad un rigore quasi matematico che confina con l’astrazione. Astratti sono gli assedianti senza volto e senza un’identità precisa; astratta è anche la violenza, a esclusione della già menzionata morte della bambina, come nella sequenza della sparatoria dove un’infinità di proiettili silenziosi come frecce mette a soqquadro l’interno del Distretto, avvolgendo gli assediati in una nuvola di vetri infranti, di oggetti e fogli svolazzanti che lentamente arrivano in terra, creando una dilatazione temporale come potrebbe essere quella prodotta da uno slow motion Il film fu

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accusato tra l’altro di razzismo, ma dalle poche sequenze in cui gli assalitori appaiono distintamente, questa accusa cade completamente, dato il melting pot che contraddistingue la banda degli Street Thunder. Carpenter non si sofferma sui motivi che animano queste persone nel loro disegno di violenza, per le quali la legge è quella del taglione e dove la “paura urbana” diventa una situazione di gioco affascinante, in cui nulla si frappone o pospone a ciò che avviene sullo schermo, come scriveva Enrico Ghezzi.


Ciò che a Carpenter preme sottolineare è che questa violenza esiste e l’ordine costituito non riesce a contrapporvisi: anche l’arrivo dei rinforzi il mattino successivo non ha alcunché di eroico. Il disordine del crimine è parimenti organizzato e potente come quello della polizia e alla fine per un cittadino come Lawson (il padre della bambina), sia la legge e l’ordine, che il crimine e il disordine, risultano alternative equidistanti. L’ordine morale non è più esterno per Carpenter, ma interno ai suoi personaggi; un nuovo ordine nella notte dell’assedio si è venuto a creare tra gli assediati, fondato sull’eroismo individuale e sulle rovine dell’autorità istituzionale. In questo mondo disegnato da Carpenter le istituzioni hanno fallito, dandoci dell’America post-Vietnam e post-Watergate una immagine degradata e senza più certezze, se non quella che nuove direttrici morali devono essere disegnate. Ideale ponte di collegamento tra il romeriano La notte dei morti viventi e il successivo I guerrieri della notte di Walter Hill, Distretto 13: le brigate della morte è stato un film sottovalutato dal pubblico e soprattutto dalla critica, forse perché la violenza dipinta nel film era inquietantemente troppo vicina a quella della vita reale. Ci troviamo dinanzi a uno di quei film la cui riscoperta sarà postuma, come è già accaduto a molti altri incompresi nel loro tempo.

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IL REGISTA

Diversamente a quanto riscontrato per il film, John Carpenter è un regista discusso dal mondo della critica e dal pubblico; non sempre amato, spesso odiato per le sue tendenze macabre da alcuni ritenute “trash”, ha segnato il mondo del cinema firmando diverse pellicole entrate nell’immaginario collettivo come capolavori di genere, spesso horror. “La mia filosofia del cinema è che i film non sono opere intellettuali, non sono idee, come succede in letteratura. I film sono emozioni, un pubblico dovrebbe piangere, ridere o spaventarsi. Penso che il pubblico dovrebbe proiettarsi nel film, in un personaggio, in una situazione e reagire. Se alcuni dei miei film hanno una certa risonanza è perché resto all’ascolto della “cosa”, della bestia che è in me. Il demone sono io. Invece di lasciarlo nella vita reale, mi sforzo di rappresentarlo su uno schermo.” Nel 1953 in un teatro di Rochester, New York, mia madre mi portò a vedere Destinazione Terra in 3D. La prima inquadratura del film che io ricordo è un campo lungo di un panorama desertico. La macchina da presa sta panoramicando orizzontalmente su una meteora che dal cielo precipita verso la Terra. La seconda inquadratura è della meteora che sta venendo dritta contro la camera ed esplode. Nel 1953 quella

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meteora uscì fuori dallo schermo ed esplose sulla mia faccia. Abbandonai mia madre e schizzai fuori nel corridoio per la paura. Ma quella volta.., io mi innamorai del cinema. Quando andavo ancora al liceo vidi La fontana della vergine di Bergman. Rimasi a bocca aperta: «Questo non assomiglia a nulla di quanto prodotto a Hollywood. Ha un respiro diverso e non finisce come un film dovrebbe terminare!». All’improvviso mi si schiusero nuovi orizzonti. Non dirigerò mai un sequel di 1997: fuga da New York, la cosa non mi interessa. lo sono veramente un capitalista. Sono un conservatore in fatto di soldi. Mi piace fare soldi e mi diverto a fare film. Movies move- M-O-V-Ethey more. Cutting, camera movement- that’s what they’re about (gioco di parole traducibile più o meno come: i film si muovono - movimentoessi muovono. Montaggio, movimento di camera, ecco cosa sono i film). Allo stesso tempo la tecnica non è fine a se stessa, è il mezzo attraverso cui raggiungi il pubblico. Non voglio fare un film in cui la storia sia subordinata alla tecnica... Penso che il cinema sia un mezzo di comunicazione visuale e che la macchina da presa debba esprimere visivamente tutto ciò che accade. Il dialogo c’è per sostenere ciò che si vede, ma è il vedere che conta. Non credo che il cinema sia un mezzo per comunicare messaggi. I concetti funzionano meglio


in letteratura - da qualunque altra parte ma non nel cinema. Il cinema è un mezzo per trasmettere sensazioni. Un film invita il pubblico a dare consistenza alle idee, in senso psicologico, ad investire sullo schermo le proprie emozioni. Le unità di tempo, spazio e azione sono sempre state importanti nelle mie storie, sebbene la moderna concezione di regia, che presuppone un’attenzione che non supera i tre secondi di durata, di solito tende ad abbandonarle. Ho ricevuto un paio di offerte di lavoro da Roger Corman, ma erano così povere economicamente che non c’erano soldi per cose importanti come gli effetti sonori. Bufiuel e Polanski sono tra i registi che più mi hanno influenzato. Sono spesso stato accusato di essere un regista più europeo che americano. Una volta avrei voluto essere l’Howard Hawks degli anni Settanta e Ottanta. Pratiche cinematografiche Montare un film ti dà una grande prospettiva su quello che puoi fare come regista- ciò di cui hai bisogno per raccontare la tua storia. Penso che ogni regista che abbia montato un film sia facilitato enormemente in questo. È come apprendere l’uso della macchina da presa. Devi imparare tutti gli aspetti della realizzazione di un film per poter raccontare una storia.

Ho usato molto gli story board per realizzare gli effetti speciali più complicati e penso che sia veramente l’unico modo per sedersi tutti insieme e poterne parlare con cognizione di causa. Ma in generale, andando avanti con la carriera, uso gli story board sempre di meno. L’idea della soggettiva come punto di vista del mostro è stata usata molte volte. Ricordo che nel 1957 Bert J. Gordon fece un film chiamato Beginning of the End su delle locuste gigantesche. C’era un’inquadratura dove un sordo o un personaggio muto che è straniero scopre la prima locusta e Gordon adotta il punto di vista dell’insetto. Appena l’inquadratura stringe verso l’uomo, lui urla. L’ho visto fare centinaia di volte nei film di mostri. lo trovo che il mezzo più nobile, il migliore e più efficace che sia mai stato escogitato per far paura, per quanto riguarda il pubblico, è non mostrare troppo! Soprattutto non sforzarsi di essere chiari! A mio parere, se noi ora vediamo tutto questo sangue nei film dell’orrore è perché sovente il regista non conosce altro mezzo per toccare il suo pubblico, e trova questo più facile da fare. Lo schermo grande è il cinema! L’esperienza cinematografica è dapprima un rettangolo, un magnifico rettangolo, lo utilizzo esclusivamente il Panavision. I vecchi obiettivi Panavision sono quelli che preferisco. Le loro immagini donano un certo look che è splendido. Superbo. Inimitabile.

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I generi Mi piacerebbe fare un musical. Amo i western e i miei film sono spesso western travestiti. Amo tutti i generi di filmsono cresciuto con loro. Sono particolarmente solleticato dai film di arti marziali perché sono pieni di fantasia. Mi piacerebbe confrontarmi con ogni tipo di genere, ma fortunatamente sono bloccato all’interno dell’horror e della science fiction (che amo molto,probabilmente più degli altri) e con i quali mi diverto molto. Ma mi piacerebbe anche fare Gli uomini preferiscono le bionde- sarebbe grande. Preferisco ancora la science fiction. È questo ciò che vedo più volentieri... dopo Hawks e Buñuel. Soprattutto la science fiction degli anni Cinquanta. I miei preferiti sono i cormaniani Conquistò il mondo, Il vampiro del pianeta rosso, L’assalto dei granchi giganti... Amo la loro velocità, la loro economia, l’audacia insensata con la quale Corman maneggia gli effetti speciali, specialmente quando sono molto poveri. Ma io amo il genere per se stesso. Sono stato bambino nell’era del terrore atomico; tutti quei mostri erano figli della bomba, tutto era reale per me. Il soprannaturale, o lo spavento, è un’altra cosa, un altra dimensione. È una dote che mi deriva da mia madre... Mia madre mi ha dato il dono della fantasia. È stata una scelta deliberata quella di andare in una certa direzione: Hitchcock, Hawks,

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Ford, Welles, i cineasti americani classici. Quando ho fatto i miei studi di cinema, sono loro quelli che mi avevano appassionato. Ma da un altro lato avevo un’altra sensibilità, quella della science fiction e del terrore... Ma per me Hawks e Corman non sono in contraddizione, lo ho tentato di conciliarli. Sono conosciuto come un regista di film horror. Ho fatto ogni specie di film coinvolti a vario titolo nel fantasy, ma facendo Halloween... io ancora vengo associato a quel genere di film. Quando dico a qualcuno che ho fatto Starman e Elvis, questi dice «Oh, hai fatto questo?». Mi ricorda la carriera del mio regista preferito, Howard Hawks. Dopo quarant’anni passati nel mondo del cinema, quando lui menzionava i film che aveva fatto, la gente diceva, «Yeah, ha fatto tutte quelle cose?». Non ho visto negli ultimi dieci anni un film di science fiction che consideri significativo. Non sono un grande ammiratore di Guerre stellari o di Alien. Quello che questi film sono riusciti a realizzare è mostrare con notevole perfezione tecnica navicelle che si muovono nello spazio. Per “B” non intendo film meno costosi, buoni o importanti, ma film il cui obiettivo principale sia intrattenere. Sono cresciuto guardando i film western e di science fiction. Ebbero una grande parte nella mia adolescenza. Mi innamorai del cinema guardando quei film. Poi i film western trattano


del west americano. Essi sono veramente l’unica mitologia che l’America può reclamare come propria. Nella science fiction solitamente sono americane le conoscenze e l’intervento risolutore per la salvezza del mondo. Entrambi i generi sono completamente americani in ogni senso. La televisione Non mi piace la televisione per un gran numero di ragioni, soprattutto per la censura. Ciò che loro vogliono da te è l’omogeneizzazione. Vogliono il punto di vista zero. La televisione è significativamente differente rispetto al cinema. Principalmente perché la narrazione è continuamente interrotta dalla pubblicità. In secondo luogo, perché la composizione visuale per lo schermo televisivo è del formato 1,33:1, una immagine quadrata, all’opposto dell’immagine rettangolare (2,40:1) del formato Panavision. In terzo luogo, la televisione funziona meglio con i primi piani. La musica Il tema, in un film, è come un tema in musica. Si evolve, si sviluppa e sottolinea le emozioni. Non è un commento politico. Piuttosto un filo poetico. Adoro certi tipi di rock’n’roll, ma l’idea del rock’n’roll può essere spesso molto distruttiva. Voglio dire che un sacco di persone

sono morte a causa dello stile di vita imposto dal rock’n’roll. Spesso il suo significato è cambiato nel corso degli anni per arrivare ad oggi dove non ha più nessun legame con la ribellione come una volta. Il significato di quella musica oggi è legato semplicemente alle tendenze e alla pubblicità. Dunque una parte di me dice: «Sai, adesso che è accettato da tutti, io lo odio». Oggi puoi entrare in un ascensore e sentire musica che una volta era estremamente ribelle. Ha assunto un significato diverso. Dunque penso di avere un atteggiamento ambivalente sul rock’n’roll. Con questo voglio dire che a volte è necessario spiegare alla gente perché è così importante il rock’n’roll, sapendo che la gente non lo recepisce. D’altra parte adesso è diventato musica per giocattoli ed è terribile. Solitamente compongo le colonne sonore dei miei film perché sono più veloce e economico.., e poi amo fare della musica. Mio padre era un compositore e un musicista e un insegnante di musica (all’Università del Kentucky), che conseguì il suo Ph.D. in musica all’Eastman School a Rochester, New York. Sono cresciuto tra i film e le colonne sonore.

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La nuova fisica Secondo la meccanica quantistica, non è possibile per noi essere degli osservatori imparziali. Noi partecipiamo della realtà perché noi la creiamo guardandola. Il signore del male è nato direttamente dalla mia passione per la meccanica quantistica, e di quella che chiamo «la natura contro-intuitiva». Ho tentato di esplorare un mito fondato sull’esistenza di antiparticelle. Non è un’idea che ho trovato in un libro di science fìction - è la realtà. Allora mi sono detto: «E se io facessi un film su Dio e l’anti-Dio?» - l’anti-Dio che vive dietro lo specchio. Non so perché ma la gente ha creduto che fosse il diavolo. Ma non c’era Satana; c’era l’anti-Dio. Il fatto stesso di osservarla, genera la materia. Il principio di indeterminazione è qualcosa di vertiginoso- non c’è alcun mezzo per poter determinare al tempo stesso la posizione e la quantità del movimento... Il risultato di queste esperienze, è che la materia è indeterminabile, incerta. Ho sviluppato l’interesse per la meccanica quantistica durante un soggiorno a New York nel 1985. La meccanica quantistica è la sostanza della fisica atomica, il più piccolo pezzo dell’universo. Le regole di comportamento che regolano il mondo dei quanti sono completamente diverse da quelle che regolano il mondo delle persone e delle automobili e del baseball. Gli scienziati

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usano la parola “contro-intuitivo” per descriverlo. Attualmente, non esiste un modo adeguato per tradurre in parole quella sorta di aura, quasi sovrannaturale, del modo di comportarsi della materia a questo livello di esistenza. Einstein non ha mai creduto nelle implicazioni della meccanica quantistica. Fu Niels Bohr che affermò la teoria quantistica. Lovecraft scrisse storie di mondi nascosti appena oltre la nostra percezione, che erano infinitamente più strani di quello che noi possiamo mai immaginare. Anche questa sembra essere una descrizione adatta del mondo dei quanti. Hollywood Ora, a Hollywood, uno dei credit più usati è “Un film di...”, che trovo enormemente abusato, e non significa quasi nulla. Non significa nulla. Ognuno ha il suo “Film di”. Anche il mio cane. Siamo tutti sedotti dallo show business, siamo tutti intossicati dal denaro e dalla vicinanza delle grandi star... Penso che tu sia sedotto da Hollywood - e spesso, i primi film nella tua carriera sembrano focalizzare meglio le tue idee, e tendi ad essere più audace perché stai cercando di farti un nome. Poi all’improvviso, quando ti affermi, diventi più conservatore perché stai cercando di proteggere la tua posizione. Così puoi solo dire: «Bene, finché posso sopravvivere, farò così». Ecco, il vero nome del gioco è sopravvivenza.


Ad Hollywood si svolge una battaglia sopra il controllo- su chi ha il controllo artistico- del cinema. Ecco il solo scontro di Hollywood. È uno scontro che c’è sempre stato e continuerà ad esserci. La politica Essi vivono è un documentario, più che una fiction! Dopo le ultime elezioni, i mostri sono dappertutto. Vedete il Congresso! Il Paese sembra suscettibile di precipitare nel fascismo. Non sono sicuro che tutto questo si arresterà in tempo. E molto chiaro per me che il mondo è peggiorato. E incredibile ora. Il fascismo ritorna! Quella bomba a Oklahoma City era assai sinistra. I neo-nazisti in Germania sono assai sinistri. Il discorso politico di questi tempi è condotto da uomini grevi. È selvaggio. Tutta questa robaccia mi sta stordendo. Alcuni anni fa ho cominciato a guardarmi in giro, qui da noi, e mi sono detto: «Ehi, ma stiamo scherzando?», «Davvero la gente crede di essere quello che ci mostra la televisione?», «Davvero crediamo che la vita sia quella lì?». Allora ho deciso che dovevo dire qualcosa, così, a modo mio. Sento che la maggior parte dei miei film veicolano certi elementi tematici che potrebbero essere definiti “politici” o “di commento sociale”. Di solito questi temi sono sepolti al di sotto della superficie, cosicché essi non interferiscono con un

non-analitico godimento delle storie. Il montaggio digitale Ho terminato le riprese di Fuga da Los Angeles un mercoledì, dopo settanta giorni di riprese notturne. Il lunedì successivo ho visto il film per intero. Ci sono stati dunque cinque giorni d’intervallo. Devo dire che vedere il film così presto mi ha disorientato, nella misura in cui il cervello umano non può più assorbire nulla oltre un certo limite.

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Gli shooters Oggi impazziscono per registi come Michael Bay che ha fatto The Rock. È un film orribile. Offensivo. E quello che a Hollywood chiamiamo un film/ sega. C’è una bella donna di fronte a te, una donna splendida, e invece di avvicinarti a lei per fare l’amore ti siedi, la guardi e ti masturbi. The Rock è un filmino sega. Devi far l’amore con quella donna. Non startene seduto. È una questione di energia. Il punto è tutto lì. Sono registi che vengono dalla pubblicità e dal video. Fateci caso. Vengono chiamati “shooters”, gente a cui interessa girare e niente altro. Oggi ci sono registi e ci sono shooters. La lunga notte del sogno americano Tra le molte questioni lasciate sino a ora insolute dalla critica cinematografica, c’è anche quella che riguarda lo status di autore: chi è e che cos’è un autore? Non saremo certo noi quelli che dirimeranno la questione. Però se si accetta la tesi più accreditata, secondo cui condizione necessaria (anche se non sufficiente) per accedere a questo status è una indiscutibile riconoscibilità di temi e stile, che come un invisibile filo rosso attraversi la filmografia di un regista, ebbene, a John Carpenter esso non può essere certamente negato. Nell’analizzarne la filmografia si delinea molto chiaramente

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una sorta di cesura tra il suo lavoro sino alla metà degli anni Ottanta e la produzione successiva. Tra i due periodi esiste una netta differenziazione, ma non un’abiura. Il Carpenter degli ultimi anni non rinnega affatto quello dei primi, ma lo arricchisce e lo rafforza in virtù del suo interesse crescente per la fisica quantistica, dotando così il suo cinema di un sostrato e di una compattezza che prima non possedeva. Le direttrici tematiche che continuano imperturbabili ad attraversare il tempo e la sua opera sono sicuramente l’idea di biodegradabilità del cinema, l’isolamento rispetto all’istituzione - che i suoi personaggi continuano a sperimentare e un’ambientazione che privilegia set rarefatti, isolati. Già in Dark Star era evidente il gusto della citazione in Carpenter. Citazionismo che si evidenziava a più livelli mescolando insieme temi, situazioni e personaggi appartenuti al cinema “degli amori” adolescenziali. I suoi film sono disseminati di riferimenti tratti dal cinema di Hawks, Ford, Hitchcock, Arnold, Kubrick, Mann ecc. e da tanti film che egli ha profondamente amato. Anche gli pseudonimi, che spesso vezzosamente utilizza, testimoniano questo profondo affetto. Ma non mancano riferimenti anche a cineasti europei, come Polanski o Bunuel, verso i quali Carpenter non ha mai dimostrato un grande entusiasmo. Egli praticamente


si diverte a scomporre i film in particelle elementari, che con Vladimir J.A. Propp si definirebbero funzioni narrative, una sorta di replica di quanto avviene in natura con il procedimento chimico della biodegradabilità, che consiste nella modificazione di una sostanza che, a contatto con altre, si tramuta in elementi più semplici, subito disponibili alla produzione di nuovi composti. Il tutto infarcito da abbondanti injokes, ovvero allusioni destinate ad amici o colleghi, per la gioia dei cinefili accaniti. Un altro elemento invariabile della sua produzione riguarda il protagonista dei suoi film ”si tratta di un uomo lasciato solo contro una minaccia cui far fronte, il quale mostra straordinari vincoli di parentela con i personaggi partoriti dal cinema di Sergio Leone e Clint Eastwood. La sua lotta per la sopravvivenza è condotta senza esclusione di colpi e non può mai contare sull’istituzione. La tradizionale carica del trombettiere, così tipica del western (uno dei generi più amati da Carpenter) e che segnalava l’immancabile e liberatorio “arrivano i nostri”, nel cinema di Carpenter brilla per la sua assenza. “I nostri” non ci sono più, l’orizzonte è vuoto e non si scorge neppure una sagoma in lontananza; c’è solo (anche se non è poco) una solidarietà tra esseri umani che si trovano casualmente a combattere la stessa lotta. Personaggi molto diversi tra loro che non

esitano a confrontarsi anche molto rudemente, ma legati profondamente dal vincolo della solidarietà e della lealtà. In un panorama sociale e politico dove non v’è certezza e riferimento alcuno, in una sorta di lunga notte del sogno americano, Carpenter muove degli uomini moralmente integri, che alla loro parola non intendono mai venire meno, in una riproposizione attuale e metropolitana di schemi di comportamento mutuati dal western. E alla fine degli anni Ottanta, questa sfiducia generalizzata nell’istituzione si è trasformata nel più lucido attacco mai portato alla politica economica e sociale dell’amministrazione Reagan, segnando una precisa scelta di campo politico del regista, sebbene parzialmente rientrata, come testimoniano i suoi ultimi film. Un rientro che in realtà si profila come un fuoco ad alzo zero verso la classe politica nel suo complesso (e non più della sola parte repubblicana), e sempre più spesso Carpenter per descrivere la situazione socio-politica statunitense, non esita a spendere la definizione “fascista”. Per questo profondo spirito di solidarietà che anima i suoi personaggi, il cinema di Carpenter è stato più volte tacciato di misoginia e maschilismo; in realtà la figura femminile gode di un trattamento e di una considerazione che trova pochi altri riscontri nella storia del cinema.

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La donna carpenteriana infatti è una donna forte e positiva, che spesso risulta essere il reale fulcro della storia, nonché un esempio per il dirimpettaio protagonista maschile. L’altro elemento che attraversa invariabile la filmografia carpenteriana è un’ambientazione notturna e claustrofobica; i personaggi di Carpenter si muovono spesso in set isolati, anche e soprattutto quando sono posti all’interno di una grande città come Los Angeles o New York, dove si sperimenta ancor di più l’isolamento dell’anima. E la notte è un elemento necessario anche per raffigurare il ripiegamento su se stesso del sogno americano, vaticinato da Carpenter e ulteriormente verificato dal notturno Fuga da Los Angeles. Come felini che naturalmente dominano il buio, così i personaggi carpenteriani e i loro mostri trovano un agio confortevole nell’oscurità, dove il tempo e lo spazio non sono più gli stessi del mondo diurno, e della quale possiedono, per istinto o per conoscenza, un controllo pressoché completo. Ma il cinema di Carpenter, specialmente quello degli inizi, era anche profondamente rispettoso dell’unità aristotelica; Carpenter infatti più volte ha utilizzato un’unità temporale del tipo notte-giorno-notte, dalla quale nel corso degli anni ha iniziato timidamente a derogare. Ma a metà degli anni Ottanta, contemporaneamente ad un momento professionale

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difficile, Carpenter inizia ad appassionarsi alla fisica dei quanti. Divora una lunga serie di testi sull’argomento che iniziano a dirigere i suoi interessi cinematografici, dapprima con lentezza poi con velocità sempre più vertiginosa, verso nuovi lidi. L’onda di probabilità e il ruolo centrale dell’osservatore nella percezione del reale cominciano ad assumere un peso specifico notevole nei suoi film, a partire dall’ambizioso e non risolto Grosso guaio a Chinatown. La possibilità dell’esistenza contemporanea di più gradi del reale, che non siano prodotti esclusivamente dalla soggettività del punto di vista dell’osservatore - idea questa postulata dalla meccanica quantistica - lega sempre più indissolubilmente l’opera di Carpenter a quella di Philip K. Dick e di Howard Phillips Lovecraft. L’influsso di questi due scrittori, a partire da Il signore del male, diventa senza dubbio centrale per qualsiasi interpretazione critica del lavoro di Carpenter. Il ribaltamento operato da Lovecraft nel rapporto tra costanza/realtà e ombra/illusione e la possibilità dickiana di vivere sospesi tra più livelli di realtà, trovano nell’ultimo Carpenter l’attuazione più fedele e affascinante. E durante l’esplorazione della lunga notte del sogno americano, Carpenter decide che è arrivato il momento di porsi dinanzi a una nuova e più ambiziosa sfida, quella di inoltrarsi nella descrizione di un

nuovo universo - composto di più universi che spesso si affacciano su abissi inferi spaventosi- che prendendo le mosse da Planck, Bohr, Heisenberg e Einstein, arrivi senza fermate intermedie sino a Lovecraft e Dick.

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http://it.wikipedia.org/wiki/John_Carpenter http://it.wikipedia.org/wiki/Distretto_13:_le_brigate_della_morte http://www.theofficialjohncarpenter.com/ http://www.movieconnection.it/schede/distretto13.htm http://somekindadistortions.splinder.com/post/11907770 http://www.movieplayer.it/articoli/02769/john-carpenter-l-alfiere-deigeneri/ http://www.movieplayer.it/articoli/00007/cose-letali-dall-oscurita/ http://alsolikelife.com/shooting/2008/12/948-90-assault-on-precinct13-1976-john-carpenter/ BIBLIOGRAFIA Liberti Fabrizio, John Carpenter, Il Castoro Cinema, Milano, 2003

DOCUMENTAZIONE

SITOGRAFIA

Rivers Charlotte, Book Art, Logos, 2007

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RINGRAZIAMENTI 94

Sono dovuti i ringraziamenti ai docenti Bleu, Torri e Zannoni, per aver seguito me e i miei compagni durante questo anno accademico. Ringrazio anche Cristina per aver pazientemente e sempre gentilmente risposto alle nostre numerose domande.

Grazie infinite Mamma, PapĂ e Ale per avermi permesso di scegliere, per avermi appoggiato nelle scelte che ho fatto e dimostrato fiducia in ogni situazione offrendomi sempre supporto, anche economico... le stampe costano accidenti. Grazie anche perchĂŠ quando ho deciso di fuggire da ingegneria per andare a fare il designer non mi avete rinchiuso in manicomio.


Ringrazio Paolo che da sempre mi consiglia e ascolta come un vero amico, mi fa ascoltare buona musica e mi fornisce recensioni sempre accuratissime sui migliori titoli del mercato videoludico. Dobbiamo ripristinare la rete! Grazie Nicoletta perché ti prendi cura di Paolo e mantieni vivi i ricordi. Grazie Ilaria per essermi stata accanto durante questi anni, nello studio e non solo, ed avermi sempre aiutato ogni volta io ne avessi bisogno. Grazie per tutto il tempo che mi hai dedicato, per avermi sempre ascoltato, consigliato e diciamolo... anche assecondato.

Come non ringraziare gli S.A.D.? Singolarmente noti come Ire, Lore, Paul, Riccio e Simo. La lista di motivi per cui ringraziarvi è lunghissima... posso riassumerla dicendo che buona parte di quello che sono oggi lo devo a voi. Grazie davvero. Grazie Sonia, Fede, Teo, Piera, Corra, Enzo e Zana per gli anni passati insieme... mi mancheremo. Grazie Dany, Lollo e Teo per le lunghissime nottate passate a parlare degli argomenti più disparati davanti a uno due tre quattro cinque mille the. Non ne avrò mai abbastanza. Grazie Adry e Dany, che vi siete fatti distruggere una stampante a colpi di carte speciali e nonostante questo mi avete chiesto persino di lavorare in copisteria, oltre ad avermi permesso di stampare qualsiasi cosa mi sia venuta in mente in questi anni. Se non fosse stato per Adry la fustella non avrebbe mai visto la luce.

Ringrazio Andrea e Gianluca per essere stati due ottimi compagni di lavoro. Grazie in particolar modo ad Andrea per l’enorme aiuto offertomi durante il PEL, senza il quale probabilmente non sarei arrivato in fondo alla presentazione in tempo utile. Comunque dai, nel moshpit ci sarei venuto anch’io. Grazie Gerry perché instancabilmente accendi anche le peggiori giornate con le note giuste. Tranne quando metti il Reggae... e pensandoci bene anche Yoko Ono non è stata il massimo. Però meno male che ci sei, se no la musica migliore in Bovisa sarebbe quella del Kebabbaro... e poi a chi romperei per avere poca insalata ma tanto mais e per favore i pomodori a pezzi piccoli? E il pane normale? Pure la piadina noci pera e rum mi hai fatto... insostituibile Germano! Grazie Sandro per essere stato maestro e amico, sopportando con infinita pazienza le mie bestemmie musicali per sei lunghissimi anni. Ringrazio Frank Zappa e Devin Townsend perché quando si tratta di lavorare tutta la notte genio e follia tornano molto utili.

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“Jazz is not dead, it just smells funny� F. Zappa


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