Studio sperimentale dello spettro dei raggi X per imaging diagnostico

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` di Bologna Alma Mater Studiorum 路 Universita ` DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI FACOLTA Corso di Laurea Triennale in Fisica

Studio sperimentale dello spettro dei raggi X per imaging diagnostico

Tesi di Laurea in Fisica

Relatore: Chiar.mo Prof.Giuseppe Baldazzi

Presentata da: Riccardo Baldoni

Correlatore: Dott.ssa Lucia Andreani

II Sessione Anno Accademico 2011/2012


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A chi mi ha permesso di essere qui, alla mia famiglia, in particolar modo a mia madre.


iv Questo lavoro di tesi `e stato realizzato presso il Dipartimento di Fisica dell’Universit`a di Bologna, Viale Berti Pichat 6/2, 40127 Bologna (Italy).


Indice Abstract

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Introduzione

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1 I raggi X 1.1 Produzione di raggi X . . . . . . . . . 1.2 Utilizzo diagnostico dei raggi X . . . . 1.3 Parametri fisici . . . . . . . . . . . . . 1.3.1 Parametri dosimetrici . . . . . . 1.3.2 Parametri di imaging . . . . . . 1.3.3 Rapporto contrasto-dose . . . . 1.4 Vantaggi nella conoscenza dello spettro

1 3 5 8 9 10 13 14

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Descrizione dell’apparato sperimentale e sviluppo del sistema misura 2.1 Linea forme d’onda . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.2 Linea spettrometrica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.3 Apparato di emissione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.4 Apparato di acquisizione dello spettro . . . . . . . . . . . . . . . .

3 Elaborazione dati acquisiti 3.1 Calibrazioni . . . . . . . . . . . 3.1.1 Calibrazione in efficienza 3.1.2 Calibrazione in energia . 3.2 Spettri . . . . . . . . . . . . . . 3.3 Forme d’onda . . . . . . . . . .

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29 29 29 30 32 34

Conclusioni e sviluppi futuri

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A Circuiti di feedback

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Bibliografia

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Ringraziamenti

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INDICE


Elenco delle figure 1.1

I coniugi R¨oentgen e la celeberrima mano della signora, radiografata dal marito il 22 Dicembre 1895. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.2 Bremsstrahlung ed effetto Compton[1]. . . . . . . . . . . . . . . . . 1.3 Spettro continuo con picchi caratteristici. . . . . . . . . . . . . . . . 1.4 Energia di legame e scattering Compton. . . . . . . . . . . . . . . . 1.5 Sezione d’urto totale e dei singoli processi in funzione delle energia. 1.6 Esempio di ionizzazione di un atomo. . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.7 Esempio di calcolo di MTF. [2] . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.8 Esempio di sfocatura da macchia focale. [3] . . . . . . . . . . . . . . 1.9 Andamento di diversi fattori di attenuazione in relazione all’energia del fascio incidente. Si pu`o vedere ad esempio che il valore di grigio ”0,5” pu`o essere rilevato con un fascio a 30 keV che incide su un muscolo o con un fascio a 60 keV che incide su tessuto osseo. Per un fascio policromatico ne consegue un abbassamento di contrasto. [4] 1.10 Esempio di immagine con un rapporto segnale rumore diverso (a destra minore che a sinistra), si nota un abbassamento del contrasto e della risoluzione. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.11 Schema della formazione del contrasto per assorbimento [5] . . . . . 1.12 Spettro continuo nell’intervallo 15-95keV emesso da un tubo RX convenzionale (HV=95 kV). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.1 2.2 2.3 2.4

Schema a blocchi. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Multi-Laser. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ADC della National Instrument. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Rivelatore HPGe, con relativo imbuto per l’azoto, cavi di alimentazione e di output segnale; posizionato su di una base regolabile cos`ı da facilitarne l’allineamento con il fascio RX . . . . . . . . . . . . 2.5 Visualizzazione del tempo morto di un rivelatore. . . . . . . . . . . 2.6 Tubo radiogeno RTM 101 HS 0.6/1.3 della I.A.E. Spa Milano in posizione per la caratterizzazione del fascio. Si notano i due cavi dell’alta tensione ai lati. Al centro, l’uscita del fascio `e pre-collimata da un apposito collimatore in piombo. . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.7 Schema a blocchi dell’alimentazione del tubo con annessi circuiti di feedback. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.8 Schema a blocchi dell’apparato di acquisizione. . . . . . . . . . . . . 2.9 Forma d’onda in uscita dal pre-amplificatore di carica. . . . . . . . 2.10 Filtri presenti nello Shaping Amplifier. . . . . . . . . . . . . . . . . vii

1 4 5 7 8 9 11 11

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12 13 14 17 18 18

19 20

21 23 24 25 26


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ELENCO DELLE FIGURE 2.11 Evoluzione del segnale. Da notare come la salita del segnale prima dello S.A. `e molto pi` u breve della discesa; l’informazione utile `e contenuta tutta nella salita che ha una durata dell’ordine dei microsecondi mentre la discesa ha una durata dell’ordine dei milli-secondi. 26 2.12 Metodo di funzionamento del Multi Channel Analizer . . . . . . . . 27 3.1 3.2 3.3 3.4 3.5

Grafico della calibrazione in efficienza . . . . . . . . . . . . . . . . . Fit della calibrazione in energia. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 320mA-80kV. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 320mA-120kV. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Console del programma di simulazione dello spettro; si possono notare le specifiche del tubo con tutti i parametri da dover inserire, per ottenere la simulazione. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.6 320mA-80kV. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.7 320mA-120kV. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.8 Anode Current Waveform, 120kV, 320mA. . . . . . . . . . . . . . . 3.9 High Voltage Waveform, 120kV, 320mA. . . . . . . . . . . . . . . . 3.10 120 kVp, 100 mA nominali. Spettro di potenza della forma d’onda dell’alta tensione. Le componenti armoniche al di sopra dei 50 kHz sono praticamente assenti se si eccettua la componente a 215 kHz dovuta al noise prodotto dal pilotaggio dei dispositivi di potenza da parte delle onde quadre prodotte dall’oscillatore dell’inverter. . . . . 3.11 DX: 120 kVp, 100 mA nominali. Forma d’onda dell’alta tensione. ´ presente il rumore ad alta frequenza introdotto Nessuna filtrazione. E dalle commutazioni dei dispositivi di potenza dell’inverter. SX: 120 kVp, 100 mA nominali. Forma d’onda dell’alta tensione. Filtrazione: ´ stata eliminata gran passa-basso alla frequenza di taglio di 50 kHz. E parte della componente del rumore. . . . . . . . . . . . . . . . . . .

A.1 Circuito di feedback1. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . A.2 Circuito di feedback2. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

30 32 33 33

33 34 34 35 35

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Abstract o scopo primario che si vuole raggiungere con questo lavoro di tesi `e la preparazione, messa a punto e collaudo di un sistema portabile per la spettrometria dei raggi X su diversi tubi radiogeni (con differenti caratteristiche elettriche) localizzati presso diverse strutture: Dip. di Fisica e Astronomia (DIFA), IASF-INAF, Policlinico S. Orsola, Centro di Taratura COMECER. Si tratta quindi di rendere portabile tutto il sistema di acquisizione costituito da: rivelatore HPGe criogenico; Shaping Amplifier; multichannel analyzer; sistema di acquisizione National Instruments USB-6366 dotato di 8 ADC da 2 MS/s e 4 counter-timer, interfacciato via USB a un PC standard per l’acquisizione delle forme d’onda di alta tensione e della corrente anodica del tubo RX. Inoltre vengono acquisite l’esposizione e l’output del tubo misurati, direttamente sul fascio, mediante 4 rivelatori di Si (4 diodo PiN) due dei quali accoppiati con scintillatore. Per quanto riguarda lo spettro, il software di acquisizione `e quello fornito dalla AMPTEK, mentre per le forme d’onda e l’esposizione `e stato sviluppato un apposito software di acquisizione, scritto in linguaggio grafico LabView. E’ interessante notare che i quattro rivelatori a stato solido inseriti all’uscita del tubo RX serviranno anche a ricavare i parametri del fascio necessari per ricostruire lo spettro dei raggi X mediante il programma di simulazione che viene sviluppato presso il DIFA. Tale programma si basa su un modello parametrico semiempirico che potrebbe consentire la spettrometria del fascio diagnostico in real-time, ossia durante un esame radiologico senza la necessit`a di strumentazione complessa, collimazioni e centrature che rendono attualmente impossibile effettuare la spettrometria. Tale informazione potrebbe invece ottimizzare l’imaging radiologico riducendo nel contempo la dose somministrata al paziente.

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Abstract


Introduzione a conoscenza dello spettro del fascio diagnostico dei raggi X `e fondamentale per lo studio e l’ottimizzazione dei protocolli destinati a ridurre la dose somministrata al paziente, migliorando (o almeno conservando) nel contempo la qualit`a dell’immagine. Ci`o `e tanto pi` u vero ai nostri giorni in cui si assiste ad un rapido avanzamento della tecnologia dei sistemi radiologici: tale avanzamento riguarda in particolare i sistemi di rivelazione (Flat-panel, rivelatori multislices per TC) e i sistemi di elaborazione digitale dell’immagine. A tale sviluppo tecnologico non corrisponde tuttavia una pari evoluzione delle sorgenti radiogene: il tubo RX (basato sul principio del tubo di Coolidge) genera un fascio ad ampio spettro energetico mentre le moderne tecniche di imaging richiederebbero un fascio pi` u monocromatico, centrato su energie diverse in relazione alla tipologia dell’esame diagnostico e del paziente. Nella radiologia attuale, le differenze tra i parametri spettrometrici che intercorrono tra le diverse apparecchiature radiogene introducono delle variabilit`a che limitano la riproducibilit`a dell’esame e rendono impossibile misurare con precisione la dose somministrata al paziente. Va inoltre sottolineato che sono stati effettuati diversi studi sulla filtrazione del fascio RX mediante opportuni elementi dotati di k-edge al fine di ridurne l’estensione energetica. Tale metodo consentirebbe di produrre dei filtri costituiti da opportuni sandwich di elementi diversi capaci di ottimizzare l’immagine riducendo la dose al paziente. Tuttavia il processo modifica anche l’intensit`a del fascio che varia con l’apparecchiatura radiologica impiegata e la sua destinazione d’uso: i parametri dell’esposizione andrebbero quindi adattati ad ogni singola apparecchiatura che fa uso del filtro complicando l’applicazione del metodo che, di fatto, non viene utilizzato. In sintesi si pu`o affermare che lo S.E.V. (spessore emivalente o HVL, half value layer) -spessore di un dato materiale che permette di ridurre della met`a l’intensit`a di dose del fascio- ed il kerma in aria, con cui si `e soliti caratterizzare qualitativamente e quantitativamente il fascio utile, sono inadeguati agli scopi dell’imaging diagnostico moderno per il loro carattere di misure integrali. Ne segue quindi un’ampia tolleranza nella scelta del fascio da utilizzare in un determinato esame diagnostico con conseguente:

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(i ) variabilit`a nella qualit`a dell’immagine; (ii ) scarsa riproducibilit`a delle condizioni dell’esame; (iii ) scarso adattamento al tipo di paziente; (iv ) impossibilit`a di misurare con precisione la dose al paziente (ESD); xi


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Introduzione (v ) impossibilit`a di modulare il fascio per ridurne l’estensione energetica. Per mezzo dell’analisi differenziale (spettrometria) del fascio sarebbe invece possibile: 1. modulare con opportuni filtri il fascio al fine di ottimizzare l’imaging in ogni specifico esame diagnostico diminuendo nel contempo la dose al paziente; 2. riprodurre lo spettro del fascio per ottenere immagini qualitativamente e quantitativamente confrontabili; 3. misurare con precisione tutti i parametri di qualit`a del fascio (kVp, esposizione, energia media, energia equivalente, S.E.V. del fascio); 4. effettuare la dosimetria del paziente (ESD per ogni energy bin); 5. registrare lo spettro di ogni esposizione radiologica ricevuta dal paziente (card radiologica) nel corso della sua vita clinica.[11] Nel lavoro svolto ci siamo posti l’obiettivo di mettere a punto un sistema spettrometrico portabile cos`ı da poter effettuare l’analisi dello spettro X su diversi tubi diagnostici. Dal punto di vista sperimentale sono stati realizzati degli strumenti di allineamento veloce tra sorgente di raggi X e rivelatore. Sono stati realizzati i collimatori ed i sistemi multi-laser di puntamento in modo da rendere pi` u efficacie e veloce l’operazione di allineamento (che risulta particolarmente importante per una corretta misura dello spettro). In particolare `e stato realizzato un sistema di acquisizione dati basato sul modulo NI USB-6366 dotato di 8 ADC da 2MS/s e 4 counter-time per la lettura simultanea delle forme d’onda di alta tensione e corrente anodica del tubo RX. Mentre per la linea spettrometrica abbiamo il rivelatore al germanio iperpuro criogenico (HPGe), l’amplificatore, l’MCA collegato al pc con il software Amp-tek di analisi dello spettro. Una volta regolato questo sistema di acquisizione sar`a possibile prelevare simultaneamente la spettrometria del fascio e le forme d’onda di alta tensione e corrente anodica del tubo RX. Questa strumentazione consentir`a di confrontare gli spettri acquisiti con gli spettri simulati in modo computazionale. Per realizzare tale simulazione con un software si utilizzano le informazioni provenienti da tre sorgenti: • un sistema esposimetrico appositamente sviluppato che viene montato all’uscita della guaina del tubo RX, prima del gruppo dei collimatori, e intercetta una piccola sezione del fascio; • le forme d’onda di tensione prelevate dall’inverter del sistema radiologico; • le forme d’onda di corrente anodica prelevate dall’inverter del sistema radiologico. Quando i risultati spettrometrici forniti dal sistema computazionale saranno compatibili, entro i margini di errore, con quelli prelevati sperimentalmente dal sistema portabile, sar`a possibile dotare ogni apparecchiatura radiologica medicale di questo spettrometro real-time in grado di fornire, visivamente sul pannello di


Introduzione controllo e in forma digitale su smart-card dosimetrica, lo spettro dei RX emessi in ogni singola esposizione. La smart-card, dotata di microchip, dovrebbe registrare, oltre allo spettro dei RX mediante il quale `e stato svolto l’esame, il distretto anatomico interessato, la dimensione del FOV (Field Of View) e la distanza sorgentepaziente (che possono essere misurate automaticamente) ed eventualmente altre informazioni aggiuntive. Con tali informazioni diverr`a possibile una precisa ripetibilit`a dell’esame diagnostico e la dosimetria del paziente. Nel seguente elaborato `e quindi descritto -oltre a tutti gli aspetti generali e teorici riguardanti l’ambito diagnostico dei raggi X- tutto l’apparato sperimentale messo a punto in laboratorio che ci ha permesso di prelevare gli spettri RX e di poterli confrontare con quelli generati dal programma di simulazione.

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Introduzione


Capitolo 1 I raggi X

Figura 1.1: I coniugi R¨oentgen e la celeberrima mano della signora, radiografata dal marito il 22 Dicembre 1895. raggi X furono scoperti da Wilhelm Conrad R¨ontgen nel mese di novembre del

I 1895 attraverso la sperimentazione di tubi a raggi catodici. R¨ontgen not´o che

con una sufficiente tensione fornita al tubo, si verificava una fluorescenza che illuminava lo schermo (nel paragrafo seguente esamineremo le condizioni fisiche), nonostante questo fosse riparato all’uscita con una protezione che avrebbe dovuto impedire il passaggio di radiazione elettromagnetica. In seguito ripet´e l’esperimento frapponendo tra l’uscita del tubo e lo schermo altri materiali, ma la fluorescenza permaneva. A questo punto mise la sua mano tra la sorgente e lo schermo, e not`o che appariva l’ombra della sua mano con in evidenza le ossa. Nel giro di un mese il fenomeno fu conosciuto in tutto il mondo. La scoperta di R¨oentgen sciocc´o il mondo scientifico, dal momento che era la prima volta che si assisteva ad un fenomeno in cui la radiazione che penetrava la materia veniva osservata. Lo stesso R¨ontgen non pubblic´o i suoi risultati per paura di essere smentito, e cerc´o di rendere ripetibile l’esperimento. Questo nuovo fenomeno comunque, pur non capito immediatamente lasci´o subito intravedere l’applicazione pratica. Infatti nel mese di gennaio 1896 ci fu la pubblicazione e nel febbraio stesso le radiografie erano gi´a eseguite per identificare il sito di intervento richiesto. Nel 1


2

I raggi X 1899 i raggi X furono utilizzati per la prima volta come trattamento contro il cancro. Nel 1913 Mosley, uno degli studenti laureati con Rutherford, condusse uno studio sistematico su 38 anodi composti da materiali differenti. Scopr´ı, dopo l’analisi dei dati che i picchi negli spettri energetici della radiazione emessa, erano proporzionali al numero atomico al quadrato e afferm`o: ”. . . abbiamo qui una prova che c’´e in un atomo una quantit´a fondamentale che aumenta in modo regolare dal passaggio ad un elemento al successivo, e questa quantit´ a pu´ o essere solo la carica del nucleo centrale positivo. . . ” [16].

questa scoperta permette di determinare in modo sperimentale il numero atomico, cos`ı come `e possibile anche la previsione di elementi mancanti nella tavola periodica. Allo stesso modo si possono determinare caratteristiche di elementi chimici sconosciuti confrontando gli spettri ottenuti con spettri noti. A questo punto si giunse alla conclusione che una radiazione X non `e altro che un’onda elettromagnetica ad alta energia. Solo a questo punto, dopo aver compreso totalmente la loro natura, si inizi`o a capire la loro importanza e l’importanza di una corretta protezione all’esposizione diretta. Scoperta la natura elettromagnetica dei raggi X, ci si basa sulle teorie che stanno alla base dell’elettromagnetismo per descriverli. Lo spettro di Bremsstrahlung ´e lo spettro generato dall’interazione di queste particelle cariche con la materia, e tutte quelle deviate. Se ad esempio un elettrone non colpisce pienamente un nucleo sar´a soltanto deviato leggermente e quindi manterr´a la maggior parte della sua energia, il che significa che il fotone emesso sar´a a basso consumo energetico. L’elettrone pu´o passare vicino all’atomo fin quando non lo colpisce totalmente e allora solo a quel punto ceder´a tutta la sua energia al fotone. Si pu´o quindi prevedere nello spettro di Bremsstrahlung una fascia di taglio ad alta energia, al di sopra della quale non ci sono fotoni. Questo netto taglio ´e difficile da determinare sperimentalmente perch´e dipende molto dall’efficienza del rivelatore (probabilit´a che una particella venga rivelata una volta che essa penetra nel volume sensibile di tale rivelatore. Essa dipende naturalmente dalle sezioni d’urto dei processi attraverso il quale la particella interagisce con il rivelatore e dalle sue dimensioni fisiche). A pi´ u di un secolo dalla fortunata scoperta di R¨oentgen, avvenuta nel 1895, i raggi X sono ancora uno degli strumenti d’indagine pi´ u vastamente impiegati in medicina: forse non vi ´e persona, nel mondo sviluppato, che non si sia sottoposta almeno una volta nella vita ad una radiografia. Tale metodo d’indagine ´e divenuto cos´ı familiare nella vita delle persone da entrare a far parte del vocabolario comune, tanto che il termine ’radiografia’ viene utilizzato in senso figurativo per indicare una ’analisi molto approfondita e minuziosa di una situazione, di un evento ecc. . . ’ (da ’lo Zingarelli’, vocabolario della lingua italiana, ed. Zanichelli, 1999) [5]. La cosa pi` u sorprendente, comunque, ´e che mentre il mondo intero passava dal vapore all’energia nucleare, dal telegrafo all’era globale della telecomunicazione, dal ferro battuto alle nanotecnologie, i raggi X continuavano a conservare immutato il loro ruolo di utilit`a sociale, e sono oggi come allora lo strumento pi´ u utilizzato per


1.1 Produzione di raggi X esplorare l’interno del corpo umano. Se `e vero che lo sviluppo tecnologico ha certamente portato innovazione nel campo della radiologia, migliorando i macchinari, rendendoli pi` u efficienti, pi` u automatizzati, supportandoli con detector digitali e sistemi di elaborazione computerizzati, ´e ancor pi` u vero che il modo di utilizzare i raggi X, da un punto di vista dei principi fisici, ´e pi´ u o meno lo stesso di cent’anni fa: attenuazione dell’intensit´a, ombre della struttura irradiata. I principi di base della formazione e dell’interpretazione dell’immagine in radiografia sono rimasti essenzialmente invariati dall’epoca di R¨ontgen. L’approccio convenzionale ´e basato sull’assorbimento dei raggi X come unica sorgente di contrasto, e la formazione dell’immagine ´e descritta solo dalla ´ proiezione geometrica delle ombre generate sull’elemento sensibile del rivelatore. E forse questo l’unico modo possibile di utilizzare i raggi X? Certamente no. Oggi abbiamo una conoscenza dettagliata di tutti i processi di interazione della radiazione elettromagnetica con la materia, a qualunque energia, dalle onde radio, al visibile, agli X, ai gamma di altissima energia. Ora cerchiamo si spiegare brevemente la formazione dei raggi X, il loro utilizzo in ambito medico, fino ad arrivare ai vantaggi nella conoscenza dello spettro.

1.1

Produzione di raggi X

er prima cosa va ricordato che i raggi X sono radiazioni ionizzanti, ovvero ra-

P diazioni che perdono la loro energia provocando ionizzazione degli atomi del

materiale che attraversano. Queste si suddividono a loro volta in corpuscolari ed elettromagnetiche. I raggi X appartengono alla prima categoria e posso essere prodotti da tubi a raggi X o da acceleratori. La produzione dei raggi X avviene ora come pi` u di un secolo fa tramite l’impiego di tubi a vuoto, inventati da William Crookes per investigare le scariche di energia nei gas nobili, utilizzati per la prima volta l’8 Novembre 1895 da Wilhelm R¨ontgen per produrre raggi X e dare quindi inizio alla radiologia medica. All’interno del tubo a vuoto vi ´e un catodo composto da un filamento di tungsteno percorso da corrente che scaldandosi, per effetto termo-ionico, produce elettroni, i quali vengono accelerati per mezzo di un campo elettrico generato dalla tensione applicata tra i due poli, andando ad incidere su di un anodo di materiale noto. L’anodo pu´o essere rotante nei tubi per diagnostica in modo da disperdere meglio il calore. I tubi ad anodo fisso richiedono alte tensioni dell’ordine di 70-75 kV, mentre negl’altri casi sono necessarie tensioni variabili tra i 25-40kV e i 120-150kV. La resistenza del filamento (catodo) ´e piuttosto piccola, per cui piccole variazioni della tensione di alimentazione del filamento comportano grandi variazioni della sua corrente e consequenzialmente della temperatura. Quindi man mano che la temperatura del filamento cresce, la sua resistenza aumenta e la corrente che lo attraversa diminuisce rendendo difficile il controllo della temperatura. Dalla legge di Joule e da altre proporzioni ne segue che la densit´a di corrente emessa Js ´e (approssimativamente) proporzionale alla corrente di filamento alla quarta potenza: Js ∝ IF4 . Risulta quindi assolutamente necessario uno stabilizzatore della corrente di filamento. Infatti la resistenza del filamento diminuisce all’aumentare

3


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I raggi X della temperatura. Da qui ne segue, secondo la legge di Ohm che se la tensione fosse costante la corrente tenderebbe a salire fino a superare il valore critico. Pertanto ´e necessario monitorare la corrente di filamento (feedback) e variare la potenza fornita al filamento per mantenere costante la temperatura [12]. Nell’incontro con l’anodo gli elettroni subiscono un forte rallentamento e solo poco meno dell’1% della loro energia cinetica viene convertita in raggi X mentre il restante 99% si trasforma in calore. Quell’1% ´e dato dal forte rallentamento che gli elettroni hanno, incontrando il materiale dell’anodo. L’energia (hν) della radiazione elettromagnetica ´e proporzionale all’accelerazione al quadrato (a2 ). Ogni elettrone del fascio interagisce con uno o pi´ u atomi dell’anodo, finch´e tutta la sua energia cinetica ´e dissipata e l’elettrone si ferma. L’interazione pu´o avvenire con la nube elettronica che circonda il nucleo (piccole perdite di energia) o con il nucleo stesso (maggiore dissipazione di energia). Il modo in cui avviene l’interazione e con quale elettrone dell’atomo avviene determinano il tipo di interazione. Lo scattering coulombiano ´e il processo secondo il quale gli elettroni, subendo un forte rallentamento, rilasciano energia sotto forma di spettro continuo (fotoni hν), detto radiazione di frenamento o bremsstrahlung Figura1.2.

Figura 1.2: Bremsstrahlung ed effetto Compton[1]. La perdita di energia, e quindi la radiazione emessa, dipende dalla velocit`a degli elettroni incidenti e dagli angoli di deflessione degli stessi perci`o lo spettro di emissione `e continuo. I fotoni emessi per radiazione di frenamento, si suppone non intercettino pi` u nessun altro ostacolo nell’ipotesi di un bersaglio molto sottile; purtroppo per`o in realt`a il bersaglio `e costituito da un materiale pesante (alto Z) e la probabilit`a di un secondo urto diventa impossibile da trascurare. Nel caso in cui un fotone generato per bremsstrahlung incontri un elettrone del materiale, avverrebbe la cosiddetta ionizzazione secondaria per effetto fotoelettrico e l’elettrone sarebbe espulso dall’orbitale, innescando cosi il processo tra breve descritto. Un’altra variabile consiste nel fatto che gli elettroni emessi dal catodo colpiscano elettroni degli atomi dell’anodo ionizzandoli (ionizzazione primaria). L’elettrone anodico viene quindi rimosso dal suo livello energetico, che viene occupato da un elettrone di un livello superiore: la radiazione X emessa corrisponde alla differenza


1.2 Utilizzo diagnostico dei raggi X di energia tra i 2 livelli (hν), che quindi risulta essere caratteristica dell’atomo e dei livelli energetici stessi, per questo dipende esclusivamente dal tipo di materiale di cui `e costituito l’anodo. Allo stesso modo per`o, creandosi questa vacanza, l’atomo passa ad uno stato energetico pi` u basso e l’energia in eccesso pu`o essere rilasciata, oltre che per radiazione caratteristica, anche tramite l’espulsione di un elettrone della shell pi` u esterna. Questo evento prende il nome di processo di Auger. I due sviluppi poc’anzi descritti sono processi concorrenziali, ma `e possibile dimostrare sperimentalmente che la probabilit`a che avvenga l’emissione dell’elettrone di Au` per questo che ger `e inversamente proporzionale alla pesantezza del materiale[6]. E nello sviluppo del nostro esperimento, avendo a disposizione un anodo di tungsteno, abbiamo trascurato quest’ultimo effetto e preso in considerazione soltanto la radiazione caratteristica. Lo spettro emesso [Figura1.3] `e quindi la somma di uno spettro continuo dato dal fenomeno del bremsstrahlung e uno discreto dato dal fenomeno della transizione elettronica tra livelli quantizzati (k, l pi` u raramente m ed n). Tale spettro come si pu`o intuire `e policromatico.

Figura 1.3: Spettro continuo con picchi caratteristici.

1.2

Utilizzo diagnostico dei raggi X

raggi X, detti anche raggi R¨ontgen; sono frequentemente impiegati in medicina, sia per usi diagnostici che in terapia. Il loro impiego in diagnostica `e basato sulla capacit`a che hanno le differenti strutture del corpo di lasciar passare o di trattenere quote diverse di raggi X. Se si dirige un fascio di raggi X attraverso una zona del corpo, per portarlo poi ad impressionare una pellicola fotografica, si ottiene un’immagine delle strutture interne del corpo, in cui i diversi organi appaiono pi` u o meno radiotrasparenti o radiopachi, a seconda della loro tendenza a lasciar passare o meno i raggi X. Nel momento in cui la radiazione interagisce con la materia, si hanno delle modificazioni delle propriet`a fisiche sia della radiazione incidente che del materiale irradia-

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I raggi X to. Queste modificazioni portano informazione. Pi` u sono i parametri fisici coinvolti nell’interazione, pi` u tale informazione `e ricca. Secondo la legge di Lambert-Beer, l’energia dei fotoni X non viene modificata attraversando una massa ma ne viene solo attenuata l’intensit`a (questa `e solo un’approssimazione che non tiene conto dello scattering Compton). Per un fascio monoenergetico risulta: I (x) = I0 · e−µx

(1.1)

nella quale µ `e il coefficiente di attenuazione lineare ed `e esplicitato dalla formula: µ=

Na σρ A

(1.2)

dove Na `e il numero d’Avogadro, ρ `e la densit`a del materiale su cui incide il fascio, A `e il peso atomico dello stesso e σ `e la sezione d’urto macroscopica del fotone. Il valore di σ dipende dai fenomeni di interazione tra il fotone e il materiale attraversato. Il coefficiente di attenuazione dei materiali `e quindi il parametro fisico principale, per non dire l’unico, che gioca un ruolo nella radiologia convenzionale. L’attenuazione del fascio che attraversa una porzione di materia, di per s´e `e una informazione semplice da acquisire ma povera di contenuto fisico. Nel campo delle energie che riguardano la radiologia medica (range energetico 10/140 keV) i principali fenomeni di interazione tra i fotoni con frequenza in banda X e la materia sono 3 [1] • effetto fotoelettrico; • effetto Compton; • creazione di coppie. Nel primo caso il fotone con energia hν viene totalmente assorbito cedendo energia ad un elettrone degli orbitali esterni che quindi riesce a superare la buca di potenziale del nucleo (energia di legame E.L.) e viene espulso. La vacanza `e velocemente riempita attraverso la cattura di un elettrone degli orbitali pi` u esterni emettendo raggi X caratteristici di energia [Figura1.4] E = hν − E.L.

(1.3)

Questi fotoni cos`ı generati vengono riassorbiti nelle vicinanze del punto d’impatto dei raggi X. La sezione d’urto σf.e. per questo fenomeno `e proporzionale al numero atomico Z ed inversamente proporzionale all’energia del fotone incidente Ey : σf.e. ∝

Zn Eγ3,5

(1.4)

con n che assume il valore 4 o 5 in base alla regione energetica interessata. Questo effetto `e predominante a basse energie (< 100keV ).


1.2 Utilizzo diagnostico dei raggi X

7

Figura 1.4: Energia di legame e scattering Compton. Nell’effetto Compton il fotone incidente `e deflesso di un angolo θ rispetto alla direzione iniziale, poich`e trasferisce una porzione della sua energia ad un elettrone assunto inizialmente a riposo, che rincula [Figura1.4]. L’energia del fotone uscente (E = hν1 ), dipendente dall’angolo di incidenza `e: hν1 =

1+

hν m0 ·c2

hν (1 − cos θ)

(1.5)

con hν energia del fotone entrante ed m0 c2 massa a riposo dell’elettrone colpito. Integrando sull’angolo solido la sezione d’urto differenziale di Klein-Nishina: dσ = Z · r02 dΩ

dove α =

hν m 0 c2

1 1 + α (1 − cos θ)

2

1 + cos θ 2

+ + 1+

+

a2 (1 − cos θ) (1 + cos2 θ) b1 + α (1 − cos2 θ)c

(1.6)

ed r0 `e il raggio classico dell’elettrone, otteniamo: σc = σa + σs ∝ Z

(1.7)

con σa (sezione d’urto di assorbimento) proporzionale all’energia media trasferita all’elettrone rinculante e σs (sezione d’urto di scattering) proporzionale all’energia trasferita al fotone diffuso.[Figura1.5] [1]. Il processo di produzione di coppie implica la trasformazione di un fotone in una coppia elettrone-positrone. Per la conservazione del momento, questo effetto pu`o solo avvenire in presenza di un terzo corpo, solitamente un nucleo. Comunque, per essere in grado di produrre la coppia elettrone-positrone, il fotone deve avere un energia minima pari a due volte l’energia a riposo di un elettrone (0.511 MeV), quindi 1.022 MeV. Visto che i raggi X usati per scopi diagnostici hanno energie sensibilmente minori, non si parler`a pi` u oltre di questo effetto in quanto non si incontrer`a mai. [14] In ambito radiologico, va inoltre notato che l’effetto Compton pu`o essere pi` u problematico da sfruttare nella formazione dell’immagine. La diffusione che avvie-


8

I raggi X

Figura 1.5: Sezione d’urto totale e dei singoli processi in funzione delle energia. ne a piccoli angoli, ad esempio, pu`o raggiungere il rivelatore ed essere confusa con il fascio trasmesso, degradando la risoluzione spaziale ed introducendo un rumore additivo al segnale registrato dal detector. Per ovviare a questo fatto, talvolta si usano appositi filtri anti-compton, di fatto dei collimatori che scartano la radiazione incidente non parallela all’asse del fascio, con conseguente abbassamento dell’efficienza del sistema di rivelazione. Ci`o che si misura in una radiografia `e il numero di fotoni che attraversano i tessuti biologici (nella radiologia medica), ovvero l’intensit`a luminosa trasmessa. Ricordando la formula dell’attenuazione per un fascio monocromatico: I (x) = I0 · e−µx

(1.8)

vediamo che il numero di fotoni che raggiungono la superficie sensibile (pellicola o scintillatori-CCD) dipende dallo spessore del tessuto x e dal fattore di attenuazione lineare µ. Quest’ultimo dipende a sua volta dal numero atomico e dalla densit`a. Quindi si pu`o concludere che in uno schema concettuale semplificato di formazione dell’immagine come proiezione geometrica dei raggi rettilinei incidenti, l’effetto fotoelettrico `e il pi` u idoneo ad essere sfruttato e sostanzialmente il modo tradizionale di usare un fascio di raggi X `e quello di pensarlo come una popolazione di quanti caratterizzati solo dal loro numero iniziale e dalla probabilit`a media di essere assorbiti per unit`a di cammino.

1.3

Parametri fisici

` di un sistema di imaging radiografico diagnostico pu`o essere spea validita cificata attraverso alcuni parametri fisici che sono essenzialmente la dose, il contrasto, ed il rapporto segnale-rumore, che saranno oggetto dei prossimi paragrafi.

L


1.3 Parametri fisici

1.3.1

9

Parametri dosimetrici

uando un mezzo `e attraversato da fotoni in banda X, questi ionizzano la materia costituente del mezzo, ovvero trasferiscono la loro energia al mezzo creando una coppia elettrone ione positivo. L’energia media per unit`a di massa, rilasciata dal fotone primario all’elettrone sotto forma di energia cinetica si definisce KERMA (Kinetic Energy Released in the Medium), `e espressa da:

Q

K=

dEtr dm

(1.9)

ed `e misurata in [Joule/kg]. L’energia media per unit`a di massa trasferita dagli elettroni al mezzo `e definita ed ha la stessa unit`a di misura del Kerma. Non `e detto quindi Dose D = ∆E m che il rilascio del Kerma avvenga nello stesso punto di quello della Dose in quanto gli elettroni colpiti dai fotoni rilasciano energia durante il loro moto. In condizioni di equilibrio elettronico (kerma misurato in mezzi con bassa densit`a ρ ad esempio aria, e energie sotto il MeV, condizioni tipiche nella radiologia) il legame tra la dose (D) e il Kerma (K) `e definito da: D = K · (1 − g)

(1.10)

dove g `e la parte di energia persa dagli elettroni per bremsstrahlung. La dose per un fascio policromatico `e espressa dalla somma dei contributi di tutte le energie del fascio. Per diminuirla `e necessario tagliare tutti quei fotoni che non contribuiscono alla formazione dell’immagine, ma alla dose assorbita del paziente, in quanto depositerebbero tutta la loro energia all’interno del mezzo, senza riuscire ad essere rivelati. Per far questo si pone all’uscita del tubo radiogeno un mezzo di schermatura (tipicamente alluminio) che tagli le frequenze pi` u basse della radiazione riducendo cos`ı la dose assorbita dal paziente. La ionizzazione dei tessuti biologici risulta molto problematica e dannosa. Quando

Figura 1.6: Esempio di ionizzazione di un atomo. una particella ionizzante interagisce con le molecole di un tessuto organico, essa perde energia attraverso interazioni di tipo elettrico con gli elettroni degli atomi. Inoltre, a causa dell’energia cinetica acquistata, lungo il suo percorso interagiscono


10

I raggi X e ionizzano altri atomi del tessuto. Questi ioni, estremamente instabili, si combinano con gli altri atomi e molecole del tessuto dando luogo ad una vera e propria reazione a catena. A seguito di questo fenomeno vengono create nuove molecole, differenti da quelle originarie e vengono messi in moto dei radicali liberi. Questi ultimi possono interagire tra loro o con altre molecole e, attraverso processi che tutt’oggi non sono ben noti, possono indurre cambiamenti biologicamente significativi nelle molecole stesse che possono essere causa di un loro malfunzionamento. Questi cambiamenti, che si manifestano nel giro di pochi millesimi di secondo successivi all’irraggiamento, possono uccidere le cellule o alterarle al punto di generare l’insorgenza di tumori o mutazioni genetiche, a seconda che le cellule colpite siano somatiche o germinali. Sintetizzando, vi sono due meccanismi fondamentali mediante i quali la radiazione pu`o danneggiare le cellule: • effetto diretto; • effetto indiretto. Nel primo caso la radiazione pu`o portare alla rottura di una molecola a seguito del meccanismo di ionizzazione. Nel secondo caso invece la radiazione, sempre a causa di ionizzazione, pu`o produrre nuovi elementi chimici come il radicale O+ o il radicale OH che interagiscono chimicamente con la cellula dando luogo a nuove alterazioni. Non si ha alcun effetto macroscopico, a meno che il numero di molecole di DNA danneggiate non sia enorme: semplicemente la cellula non `e pi` u in grado di riprodursi e muore, o se la mutazione avviene in una cellula germinale, la cellula in questione in genere non `e pi` u in grado di essere fertilizzata. Un altro effetto della radiazione sulle cellule somatiche `e l’insorgenza del cancro, che possiamo schematizzare come una divisione rapidissima ed incontrollata delle cellule. Considerate tutte queste controindicazioni, in alcuni casi risulta necessario far sottoporre il paziente ad un’analisi radiologia ed `e quindi per questo motivo che si sono studiati e si stanno tutt’ora studiando metodi per ridurre la dose assorbita dal paziente ma allo stesso tempo mantenere un buon contrasto. Uno degli studi in questa direzione `e quello sui fasci monocromatici.

1.3.2

Parametri di imaging

immagine radiologica si presenta solitamente in scala di grigi con una profondit`a di 12, 14 o 16 bit a seconda dei casi. Ci sono vari parametri che caratterizzano un’immagine radiologica e la ricerca punta ad ottimizzarli tutti. Il primo preso in analisi `e la risoluzione spaziale. Si definisce risoluzione spaziale il numero di paia di linee per millimetro (lp/mm) che si riescono a visualizzare nell’immagine finale. Nella radiologia convenzionale questo valore va dalle 5 alle 10 lp/mm (in mammografia); a questa `e legata una grandezza un poco pi` u ”fisica” ovvero l’MTF (Modulation Transfer Function). L’MTF [Figura1.7] `e definito dal rapporto tra la modulazione in uscita rispetto a quella in entrata a parit`a di

L’


1.3 Parametri fisici

11

risoluzione (u): M T F(u) =

Mout(u) Mi(u)

(1.11)

Figura 1.7: Esempio di calcolo di MTF. [2] Questo parametro rappresenta quindi la capacit`a che ha la radiografia di distinguere particolari piccoli vicini tra loro. Ci`o che inficia la risoluzione non `e solo la bassa quantit`a di pixel dell’accoppiata rilevatore-scintillatore ma anche la bassa qualit`a del fascio X incidente. Il fascio deve avere una buona geometria, ovvero essere ben collimato per minimizzare le sfocature perimetrali dovute al fenomeno della macchia focale [Figura1.8].

Figura 1.8: Esempio di sfocatura da macchia focale. [3] Il secondo aspetto da analizzare `e il contrasto, ovvero la differenza di livelli di grigi tra regioni adiacenti dell’immagine. Questo aspetto rappresenta la vera informazione raccolta in una radiografia, infatti si hanno diversi livelli di grigi per diversi tessuti (coefficienti di attenuazione) e spessori. Il contrasto quindi mette in evidenza le differenze tra fattori di attenuazione diversi, che come `e possibile vedere in Figura1.9 dipendono dall’energia del fascio incidente. L’utilizzo di fasci monocromatici permette di aumentare il contrasto in quanto le curve dei diversi µ ad energia fissata sono naturalmente separate e, nella radiografia, queste differenze sono rappresentate da diversi livelli di grigio.


12

I raggi X

Figura 1.9: Andamento di diversi fattori di attenuazione in relazione all’energia del fascio incidente. Si pu`o vedere ad esempio che il valore di grigio ”0,5” pu`o essere rilevato con un fascio a 30 keV che incide su un muscolo o con un fascio a 60 keV che incide su tessuto osseo. Per un fascio policromatico ne consegue un abbassamento di contrasto. [4]

L’ultimo aspetto, ma non il meno importante `e il rapporto tra segnale e rumore. Il rumore proviene da fluttuazioni casuali nel sistema elettronico di rivelazione e pu`o confondersi con il segnale vero degradando, nell’immagine, sia il contrasto sia la risoluzione [Figura1.10]. Per diminuire questo effetto si pu`o intervenire in molti modi: il primo `e quello di tenere bassa la temperatura dei rivelatori e dell’elettronica in modo da diminuire il rumore termico (ad esempio con l’utilizzo di celle Peltier), il secondo `e quello di isolare questi ultimi da fonti di radiazione elettromagnetica (interferenze radio ed interazioni con i raggi X). Essendo il rumore casuale, il rapporto segnale rumore (SNR) `e uguale alla radice dei conteggi, quindi ad alte intensit`a del fascio (ovvero molti fotoni conteggiati) dovrebbero teoricamente corrispondere buone immagini sotto questo aspetto.

Figura 1.10: Esempio di immagine con un rapporto segnale rumore diverso (a destra minore che a sinistra), si nota un abbassamento del contrasto e della risoluzione.


1.3 Parametri fisici

13

Figura 1.11: Schema della formazione del contrasto per assorbimento [5]

1.3.3

Rapporto contrasto-dose

immagine radiografica tradizionale `e basata sull’assorbimento del fascio, ed il meccanismo di formazione `e semplicemente costituito dalla proiezione geometrica dei raggi sullo schermo del rivelatore. L’informazione `e generata dal contrasto, ossia dalla differenza di livello del segnale sul rivelatore (∆level), indotta dalla diversa intensit`a (∆N) del fascio trasmesso punto per punto dal campione. In Figura1.11 `e schematizzato un semplice sistema ideale, in cui un fascio monocromatico incidente di intensit`a N0 ed energia E viene attenuato da un campione in cui sono presenti due parti diverse in spessore x, densit`a ρ e numero atomico Z. Il rivelatore posto in basso ha una risposta lineare del tipo level=k·µ·N dove N sono i fotoni incidenti sul rivelatore, µ l’efficienza di rivelazione, e k una costante dipendente dalle caratteristiche del rivelatore, che rappresenta la variazione di segnale media (tensione, corrente, carica o altro) indotta dal singolo fotone rivelato. In tale schema concettuale, il contrasto ∆level risulta direttamente proporzionale alla dose somministrata al paziente, e si pu`o definire un rapporto contrasto-dose R, che in generale dipender`a da tutte le variabili in gioco:

L’

∆level ∝ ∆N ∝ N0 ∝ dose

(1.12)

∆level ≡ R = f (E, Z1 , Z2 , ρ1 , ρ2 , x1 , x2 , η, k) dose

(1.13)

In una condizione operativa normale, il campione (Z, ρ, x ) ed il detector (η, k ) rappresentano delle condizioni al contorno fissate. L’unico parametro libero rimane l’energia del fascio E. Poich´e dall’energia dipendono sia i coefficienti di attenuazione che l’efficienza del rivelatore, il rapporto R pu`o essere ottimizzato variando tale parametro: possiamo affermare che esiste una energia ottimale EOP T per cui si ha il massimo del rapporto contrasto-dose. Tale affermazione pu`o essere dimostrata molto intuitivamente con alcune semplici considerazioni: dato un certo campione


14

I raggi X da analizzare, se l’energia `e troppo bassa il fascio non riesce ad emergere, tutta l’energia viene depositata nel materiale ed il rapporto contrasto-dose R tende a zero. Viceversa, se l’energia `e troppo alta, il campione risulter`a pressoch´e trasparente, annullando il contrasto tra le varie strutture. Tra i due estremi, se i coefficienti di assorbimento variano con continuit`a in funzione dell’energia, esister`a un massimo del rapporto contrasto-dose R. [5] L’espressione dell’energia ottimale in funzione dei vari parametri sperimentali in gioco, quali materiale, spessore, efficienza di rivelazione, range dinamico del rivelatore, rumore elettronico ecc. . . pu`o essere un interessante problema da affrontare, e pu`o essere anche molto complesso. A prescindere dalla forma funzionale di tale relazione, comunque, si pu`o fare una semplice considerazione di fondo: il massimo valore del rapporto contrasto-dose ottenibile con un fascio monocromatico all’energia EOP T , non pu`o essere riprodotto da un fascio policromatico.

Figura 1.12: Spettro continuo nell’intervallo 15-95keV emesso da un tubo RX convenzionale (HV=95 kV). Per un fascio policromatico si ha che il rapporto contrasto-dose Rpoli `e sempre minore del rapporto contrasto-dose ottimale del fascio monocromatico di energia EOP T . Infatti, assunto che esista l’energia ottimale EOP T , tutte le altre energie saranno tali da avere R (E) < R (EOP T ), e poich´e in un fascio policromatico tutte le energie contribuiscono a formare il rapporto contrasto-dose Rpoli , segue evidentemente che: Rpoli < R (EOP T )

1.4

(1.14)

Vantaggi nella conoscenza dello spettro

opo aver ripercorso tutti i modi in cui si formano radiazioni X, aver descritto i parametri fisici che mi rendono possibile ed effettuabile una diagnosi per mezzo dei raggi X, andiamo ad analizzare il perch´e dell’importanza della conoscenza dello spettro. Lo studio dello spettro `e sempre stato considerato di grande interesse per l’ottimizzazione delle procedure diagnostiche, permettendo di ridurre la dose al paziente, migliorare la qualit`a dell’immagine. Infatti, solo la spettrometria permette una completa caratterizzazione del fascio fotonico, sia sotto l’aspetto qualitativo che sotto l’aspetto quantitativo, adatto per lo studio dell’attenuazione e della qualit`a

D


1.4 Vantaggi nella conoscenza dello spettro dei parametri di valutazione. Consente, appunto, il calcolo di parametri fondamentali tra cui l’HVL (half value layer, spessore del materiale attraversato, tale per cui la radiazione `e ridotta di met`a ), il kerma (Kinetic Energy Released in Matter, definito come la somma delle energie cinetiche di tutte le particelle cariche generate in un campione da una radiazione ionizzante non carica divisa per la massa del campione), l’energia libera e altri parametri che potrebbero risultare rilevanti ai fini di una diagnosi medica. C’`e una lunga storia dietro ai tentativi di modellizzare lo spettro di raggi X; gi`a nel 1923 Kramers deriv`o una formula per lo spettro con il principio di corrispondenza e l’elettrodinamica classica. Questo ebbe un discreto successo e da l`ı partirono i primi lavori per uno studio empirico; ricorrendo alla meccanica quantistica nel 1934 Bethe e Heitler seguirono il progetto iniziato da Kramers e i risultati furono subito applicabili a bersagli sottili. L’anodo in un tubo per diagnostica medica per`o, `e spesso rispetto alla profondit`a di penetrazione incidente degli elettroni. Nel 1970 Unsworth e Greening ebbero un grande successo sviluppando il modello precedente e adattandolo a bersagli pi` u spessi e pi` u pesanti (alto Z) [17]. Sempre in questo senso sono stati elaborati modelli semi-empirici alcuni anni fa, per calcolare lo spettro dei raggi X in diagnostica. Nel 1979 Birch e Marshall svilupparono un metodo di calcolo teorico dello spettro nel range di 30-150 kVolt, che permetteva correzioni per l’attenuazione dell’aria e del bersaglio. Tucker, Barnes and Chakraborty migliorarono il metodo studiato da Birch e Marshall, assumendo che sia il Bremsstrahlung che i raggi X caratteristici possano verificarsi a diverse profondit`a all’interno del bersaglio. (metodo chiamato x-raytbc) [13]. Solitamente la spettrometria diagnostica del fascio di raggi X non `e possibile in loco, perch´e la brillanza dell’anodo (fluenza fotonica) `e sempre troppo grande per ogni rivelatore spettrometrico. D’altronde, l’intensit`a fotonica emessa da un tubo RX commerciale `e sempre molto maggiore (almeno 9 ordini di grandezza) rispetto a quella accettabile da un normale sistema spettrometrico. Per ovviare a questa difficolt`a, si sono ipotizzate molte soluzioni, dalla ricostruzione computazionale alla costruzione di un sistema portatile basato su scattering Compton, a rivelatori in tempo reale che misurano alcuni parametri del fascio di raggi X e dell’alta tensione del generatore. Proprio un’ulteriore verifica di questo ultimo metodo `e stata uno degli scopi del lavoro effettuato in laboratorio. I valori prelevati in tempo reale tramite il rivelatore, vengono inviati ad un pc tramite un ADC e, un apposito programma sviluppato in LabView, esegue la ricostruzione dello spettro partendo dai parametri sperimentali [9]. Come menzionavo in precedenza sono stati elaborati anche alcuni modelli totalmente computazionali semi-empirici ed empirici che permettono la generazione dello spettro del tubo in funzione dei parametri del tubo. -Per approfondimenti [15]Comunque visti i benefici e le migliorie apportabili ai parametri del fascio che vanno ad incidere sul miglioramento dell’immagine e sulla dose assorbita dal paziente, resta ancora aperta la ricerca per un metodo che possa fornire nel modo pi` u preciso possibile lo spettro di un fascio di raggi X.

15


16

I raggi X


Capitolo 2 Descrizione dell’apparato sperimentale e sviluppo del sistema di misura Schema a blocchi Il sistema utilizzato per l’acquisizione degli spettri e delle forme d’onda dell’alta tensione e della corrente anodica `e rappresentato dal seguente schema a blocchi:

Figura 2.1: Schema a blocchi. Per realizzare questo sistema di acquisizione sperimentale portabile sono stati utilizzati strumenti di allineamento veloce come il multi-laser di puntamento visibile in Figura2.2, cos`ı da rendere pi` u efficiente e rapida la procedura di allineamento/collimazione. Dalla Figura2.1 si notano facilmente i due canali. Quello delle forme d’onda e quello spettrometrico entrambi in funzione contemporaneamente, in modo da otte17


18Descrizione dell’apparato sperimentale e sviluppo del sistema di misura

Figura 2.2: Multi-Laser. nere un risultato in funzione dell’altro. Di seguito troviamo la descrizione generale delle due linee, seguita da quella approfondita strumento per strumento.

2.1

Linea forme d’onda

a linea delle forme d’onda `e costituita da un inverter (generatore HV), un par-

L titore resistivo, un Analogic to Digital Converter (ADC), e da un programma di elaborazione dati in LabView. Le forme d’onda dell’alta tensione e della corrente anodica vengono prelevate direttamente dall’inverter (il generatore di alta tensione) su di un partitore resistivo che serve a dividere la tensione in modo che a 3V corrispondano 120kV (40kV per V) e a dividere la corrente in modo che a 1V corrispondano 100mA (100mA per V). Le uscite dell’inverter sono state indirizzate sul partitore resistivo cos`ı da renderle leggibili dall’ADC nel modo descritto in precedenza. In seguito le forme d’onda precedentemente divise vengono campionate dalla scheda NI USB-6366. All’interno dell’ADC `e presente un buffer dal momento che i dati entrano con una velocit`a maggiore rispetto alla velocit`a a cui lavora l’uscita USB. Il buffer permette di tenere in memoria un certo numero di dati in entrata e una volta riempito l’array, lo scarica sul pc tramite l’uscita USB 2.0. Le caratteristiche principali dell’ADC della National Instrument sono le seguenti:

Figura 2.3: ADC della National Instrument. • 8 simultaneous analog inputs at 2 MS/s/ch with 16-bit resolution; 16 MS/s total Al throughput;


2.2 Linea spettrometrica • deep onboard memory (32 or 64 MS) to ensure finite acquisitions, even with competing USB traffic; • two analog outputs, 3.33 MS/s, 16-bit resolution, ±10 V; • 24 digital I/O lines (8 hardware-timed up to 1 Mhz); • four 32-bit counter/timers for PWM, encoder, frequency, event counting, and more; • advanced timing and triggering with NI-STC3 timing and synchronization technology. Degli 8 analog input ne vengono utilizzati soltanto 2 per le forme d’onda dell’alta tensione e della corrente anodica. (Altre quattro uscite saranno collegate a due ulteriori rivelatori posti subito dopo l’uscita del tubo RX, cos`ı da prelevare i parametri necessari al programma di ricostruzione dello spettro). La velocit`a di campionamento `e stata stabilita in 100 kS/s. A questa frequenza le fluttuazioni delle forme d’onda, dovute all’azione dei circuiti di feedback, sono ampiamente sovracampionate essendo la loro costante di tempo dell’ordine di 0.1 ms. Anche la USB-6366 fa capo al PC che acquisisce i dati tramite un software appositamente realizzato in LabVIew.

2.2

Linea spettrometrica

li spettri policromatici in uscita dal tubo RTM 101 HS 0.6/1.3 sono stati

G acquisiti con un rivelatore al germanio (HPGe) raffreddato ad azoto liquido;

rivelatore a semiconduttore caratterizzato da un’elevata risoluzione energetica grazie al germanio utilizzato altamente puro (High-Purity Germanium).

Figura 2.4: Rivelatore HPGe, con relativo imbuto per l’azoto, cavi di alimentazione e di output segnale; posizionato su di una base regolabile cos`ı da facilitarne l’allineamento con il fascio RX

19


20Descrizione dell’apparato sperimentale e sviluppo del sistema di misura Il fascio viene collimato fortemente sul rivelatore di Ge iperpuro (HPGe). Questo processo di collimazione viene effettuato per ridurre l’intensit`a del fascio che va ad interagire con il rivelatore e per evitare di campionare anche raggi deflessi da altri oggetti ed acquisire soltanto quelli perpendicolari al rivelatore. Va inoltre specificato che questo esperimento sarebbe dovuto avvenire a distanze maggiori, ma impossibilitati dalle misure del laboratorio, siamo stati costretti a collimare il fascio pi` u volte in modo da non avere un’eccessiva energia, e un’eccessiva quantit`a di fotoni che interagiscono con il rivelatore al germanio. Questa richiesta `e dovuta ad una delle caratteristiche fondamentali dei rivelatori a semiconduttore, chiamata ”tempo morto” Figura2.5. Di seguito ne riporto una breve spiegazione.

Figura 2.5: Visualizzazione del tempo morto di un rivelatore. Il tempo morto `e il tempo richiesto dal rivelatore e dall’elettronica di acquisizione per processare un evento che si pu`o esprimere come durata del segnale. Questa caratteristica `e fortemente connessa con l’efficienza. Distinguiamo due casi fondamentali: • estendibile o paralyzable; • non estendibile o non-paralyzable[7]. Nel primo caso, l’arrivo di un secondo evento sul rivelatore durante il tempo morto prolunga tale intervallo a partire da quell’istante fino al termine del segnale. Se il conteggio `e molto alto `e possibile che si verifichi un pile-up, ovvero il tempo morto complessivo viene esteso fino alla paralisi del rivelatore. Dunque con un rivelatore che rimane attivo durante il tempo morto `e preferibile utilizzare sorgenti di bassa intensit`a. Al contrario, i rivelatori che non rendono possibile la rivelazione di un secondo quanto di radiazione durante il tempo morto, perdono semplicemente tutti gli eventi caduti in quest’intervallo, per questo vengono detti non paralizzabili (avendo a disposizione nel nostro esperimento un tubo con alta fluenza, siamo stati costretti a collimare fortemente il fascio proprio per questo motivo). I fotoni che interagiscono con il rivelatore al germanio depositano energia che viene convertita in un impulso di carica. Solitamente questo segnale `e troppo piccolo per essere elaborato direttamente; pertanto questa piccola corrente viene mandata da un pre-amplificatore sensibile alla carica che integra l’impulso di corrente che lo attraversa producendo in uscita una differenza di potenziale ∆V proporzionale alla carica Q. Lo ”shaping amplifier” (letteralmente amplificatore di forma) converte il segnale in uscita dal pre-amplificatore in una forma utilizzabile per la misura, producendo in output un impulso di tensione con altezza Vpicco proporzionale alla


2.3 Apparato di emissione carica depositata Q. L’MCA (MultiChannel Analizer) misura l’altezza di questo picco e lo assegna al canale relativo alla sua energia. Reiterando questo procedimento per i molti fotoni incidenti sul rivelatore si ottiene lo spettro del fascio, che acquisito dal pc attraverso un software specifico, viene visualizzato ed analizzato.

2.3

Apparato di emissione

l fascio primario policromatico `e generato da un tubo radiogeno costruito dalla

I IAE di Milano con anodo rotante alla velocit`a di 10000 giri/minuto in tung-

steno/renio. Le caratteristiche di questo modello di tubo sono l’elevata potenza di carico (le alte correnti e tensioni sono disponibili in tabellla) e la buona stabilit`a dell’alimentazione. Esternamente alla stanza dove avviene l’irraggiamento `e posizionata una console che permette di impostare l’alta tensione di alimentazione (kVp), la corrente sul catodo (mA) e la durata di emissione (ms).

Figura 2.6: Tubo radiogeno RTM 101 HS 0.6/1.3 della I.A.E. Spa Milano in posizione per la caratterizzazione del fascio. Si notano i due cavi dell’alta tensione ai lati. Al centro, l’uscita del fascio `e pre-collimata da un apposito collimatore in piombo.

Le caratteristiche sono riassunte nella tabella sottostante:

21


22Descrizione dell’apparato sperimentale e sviluppo del sistema di misura Produttore:

I.A.E. Spa - Cormano, Milano.

Macchie focali:

0,6mm - 1,3mm.

Velocit` a di rotazione dell’anodo:

3000 rpm - 10000 rpm.

Potenza anodica nominale:

22kW - 37kW; 60kW - 105kW.

Diametro anodico:

102mm.

Materiale anodico:

Tungsteno.

Angolo anodico:

12, 5◦ .

Campo di radiazione:

30cm a 70cm distanza dal tubo; 43cm a 100cm distanza dal tubo.

Capacit` a termica anodica:

300kJ-400kHU.

Dissipazione termica massima:

1kW.

Generatore:

Inverter ad alta frequenza(12kHz)a bagno d’olio.

Alta tensione nominale massima:

150kV.

Alta tensione nominale minima:

20kV.

Corrente anodica massima:

800mA(a 81KVp).

Corrente anodica minima:

10mA.

Filtrazione intrinseca:

1,5 mmAl(a 75KVp).

Tra l’anodo ed il bersaglio il fascio incontra diversi materiali di cui `e composto il tubo da cui ne risulta attenuato: • (2,38±0,05) mm di Pyrex; • (3,06±0,05)mm di Olio; • (2,33±0,05)mm di Lexan. Di seguito riporto lo schema a blocchi dell’alimentazione del tubo, che comprende l’inverter, il generatore ad alta tensione, i collegamenti con i circuiti di feedback, i comparatori e il collegamento finale per l’alimentazione del tubo. Il funzionamento si pu`o riassumere nei pochi seguenti passaggi; l’inverter si limita ad innalzare la frequenza dell’alimentazione prelevata, da 50Hz a 12kHz. Con una tale frequenza `e possibile alimentare un generatore di alta tensione di dimensioni ridotte, di buon rendimento e quindi di ridotta dispersione termica. A questo generatore sono collegati i riquadri in rosso dello schema a blocchi che


2.3 Apparato di emissione

Figura 2.7: Schema a blocchi dell’alimentazione del tubo con annessi circuiti di feedback.

contengono i circuiti di feedback riportati in appendice. Grazie a questi circuiti `e possibile ridurre l’uscita del generatore ad alta tensione, dando in uscita 1V per ogni 20kV per la tensione e 1V per ogni 200mA per la corrente anodica. La gestione di quest’ultima risulta pi` u problematica in quanto per piccolissime variazioni che subisce, si modifica la temperatura del filamento anodico e di conseguenza si modifica sensibilmente l’energia e l’intensit`a del fascio; per questo avremo una forma d’onda della corrente con ”ripple” molto pi` u pronunciati rispetto a quelli per la tensione. Le uscite di questi circuiti sono collegate, la tensione in parallelo e la corrente anodica in serie, a dei comparatori (riquadri in blu nello schema a blocchi) che mi permettono appunto di comparare queste uscite con i valori di riferimento da noi richiesti tramite la console (riquadri in verde). Quest’operazione viene effettuata poich´e, a causa dei rumori che si formano nei collegamenti tra i circuiti e il generatore HV, nonostante i vari filtri introdotti nei circuiti di feedback, risulta praticamente impossibile avere in uscita il valore richiesto. Quindi se la tensione o la corrente anodica superano il valore prefissato, l’oscillatore ad alta frequenza dell’inverter viene spento causando una diminuzione della tensione e della corrente anodica; quando queste scendono sotto un valore limite l’oscillatore viene riacceso. Il sistema mantiene cos`ı tensione e corrente anodica in un intorno del valore stabilito dall’operatore. Tutto questo processo viene effettuato e controllato dai comparatori visibili nella Figura2.7 che mandano impulsi triggerati all’inverter. A questo punto in uscita avremo delle forme d’onda con molti picchi (”ripple”) e con un apposito software in LabView, effettuando le relative trasformate di Fourier e conoscendo la loro frequenza di oscillazione, sar`a possibile eliminare tutto il rumore e ripulire di molto il segnale, cos`ı da renderlo il pi` u possibile analizzabile.

23


24Descrizione dell’apparato sperimentale e sviluppo del sistema di misura

2.4

Apparato di acquisizione dello spettro

apparato di acquisizione dello spettro consiste in sostanza nel rivelatore al germanio iperpuro (HPGe), all’interno del quale `e presente un pre-amplificatore e uno shaping amplifier che rendono il segnale acquisibile da un MultiChannel Analizer (MCA) che attraverso una scheda di acquisizione dati USB `e collegato al pc. Il programma che effettua l’analisi del segnale ricevuto `e elaborato dal software di acquisizione ADMCA della AMPTEK. Di seguito `e riportato lo schema a blocchi dell’apparato di acquisizione con annesso il rivelatore al germanio.

L’

Figura 2.8: Schema a blocchi dell’apparato di acquisizione. Il rivelatore al germanio iperpuro di cui sono riportate in tabella le specifiche, funziona nel seguente modo. Il cristallo di cui `e fatto il rivelatore produce un campo elettrico al suo interno e gli elettroni che hanno ricevuto dalle radiazioni con energia sufficiente per passare nella banda di conduzione sono in grado di migrare verso gli elettrodi di segno opportuno, cosi come faranno le lacune, ma in verso opposto. Le caratteristiche principali del nostro rivelatore sono: • l’energia di ionizzazione (creazione coppia lacuna-elettrone) `e molto bassa, permettendo cos`ı di generare molti portatori di carica; • il numero atomico degli elementi considerati (germanio e silicio) `e alto, garantendo elevate sezioni d’urto; • la densit`a `e tanto alta da avere in un piccolo volume la massa sufficiente ad assicurare un’ottima efficienza. [7]


2.4 Apparato di acquisizione dello spettro Per fare funzionare al meglio il rivelatore e sfruttare al massimo le sue caratteristiche, occorre che l’agitazione termica al suo interno sia molto bassa, cosi da migliorare al massimo il rapporto segnale-rumore. Inoltre bisogna essere in grado di separare le cariche nel modo pi` u rapido possibile cos`ı da evitare possibili riaccoppiamenti, per mezzo del campo elettrico. Entrambe queste condizioni rendono necessario l’uso di un materiale con elevato grado di purezza e ad una temperatura molto bassa, per questo nel nostro esperimento abbiamo utilizzato un rivelatore al germanio iperpuro (HPGe) raffreddato con azoto liquido. Per quanto riguarda il rivelatore risulta fondamentale prima di qualsiasi esperimento effettuare le dovute calibrazioni, in energia e in efficienza cos`ı da assicurarsi la validit`a delle misure successivamente prelevate. Nell’apposito paragrafo ”calibrazioni” sono riportati entrambi i metodi generali di calibrazione sia in efficienza che in energia (con le relative misure prelevate). All’interno del rivelatore troviamo il pre-amplificatore di carica dal quale escono impulsi di questo tipo Figura2.9 in cui l’ampiezza dell’impulso `e proporzionale all’energia depositata dal fotone; In uscita dal pre-amplificatore di carica ho un feedback capacitivo, la corrente che entra `e un impulso assimilabile ad una delta di Dirac e per questo la si pu`o pensare come carica. Questa va a caricare un condensatore e quindi in uscita non mi trovo altro che la tensione ai capi del condensatore (proporzionalmete alla legge Q = C · ∆V ), bufferizzata dal circuito che determina la velocit`a del sistema [10].

Figura 2.9: Forma d’onda in uscita dal pre-amplificatore di carica. In seguito il condensatore si scarica sulla resistenza posta in parallelo e molto grande. A questo punto procedendo con l’arrivo dei fotoni si nota come la linea di base si alza generando un off-set [Figura2.9], questo va scartato con un differenziatore. Con l’utilizzo di uno Shaping Amplifier e con l’aiuto di alcuni filtri ho la possibilit`a di ”sistemare” il segnale. Effettuando la trasformata di Fourier si riesce a tagliar vie le componenti armoniche ad alta frequenza (fronti molto ripidi), e le componenti a bassa frequenza (discese lente). Quindi avr`o, un differenziatore fatto con un filtro passa alto e di seguito ad un buffer, ”n” integratori fatti con filtri passa basso.[Figura2.10]. Il passa alto mi fa passare il fronte, per`o mi abbatte la parte costante, mi taglia via l’offsett e gran parte del rumore, mentre il passa basso mi arrotonda il picco in salita e mi taglia le code [18]. A questo punto vengono meno le componenti ad alta frequenza cos`ı come quelle a bassa frequenza. Prima di entrare nello shaping amplifier avevo una banda di alcune centinaia di MHz, mentre ora mi ritrovo una banda di circa 20MHz con la quale riesco a gestire tutto il segnale. Dall’immagine si pu`o notare l’evolversi del segnale, dall’uscita del rivelatore all’entrata nell’MCA (maggiore `e il numero degli

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26Descrizione dell’apparato sperimentale e sviluppo del sistema di misura

Figura 2.10: Filtri presenti nello Shaping Amplifier. integratori, pi` u il segnale in uscita tender`a ad una gaussiana)[Figura2.11]. Quindi lo scopo dello Shaping Amplifier `e quello di ridurmi la banda passante tagliandomi il rumore sia ad alte (dominante) che a basse frequenze (meno forte ma comunque presente), mantenendomi inalterato il segnale, anzi, rendendomelo maggiormente gestibile [Figura2.11]. Lo Shaping Amplifier mette a disposizione altre funzioni come ad esempio quella del ”pool-zero”; una rete resistiva-capacitiva posizionata tra il pre-amplificatore e l’amplificatore permette di sistemare il pool-zero del segnale (risulta sempre difficile sistemare il pool-zero, poich`e sistemando i picchi alti perdo precisione in quelli bassi e viceversa). Inoltre a causa degli impulsi, la linea di zero tende a spostarsi e grazie al ”base-line restorer” una volta impostata, riesco a riportarla velocemente allo stato iniziale. I segnali in uscita dallo Shaping Amplifier vengo dati in pasto ad un convertitore analogico digitale che nel nostro caso si trova all’interno di un MCA (MultiChannelAnalizer).

Figura 2.11: Evoluzione del segnale. Da notare come la salita del segnale prima dello S.A. `e molto pi` u breve della discesa; l’informazione utile `e contenuta tutta nella salita che ha una durata dell’ordine dei micro-secondi mentre la discesa ha una durata dell’ordine dei milli-secondi. L’analizzatore multicanale `e in grado di suddividere gli impulsi in base alla loro ampiezza e di conteggiarli memorizzando i totali in un opportuno array di memoria. In generale, gli impulsi subiscono un qualche trattamento (pulse shaping) prima di raggiungere il multicanale vero e proprio, per rendere possibile il loro


2.4 Apparato di acquisizione dello spettro

27

campionamento. Una volta campionati si ottiene il risultato visibile in Figura2.12 e lo spettro viene riportato sul computer. Di seguito troviamo tutte le specifiche dei vari componenti che mi vanno a formare la linea spettrometrica.

Figura 2.12: Metodo di funzionamento del Multi Channel Analizer Rivelatore Produttore

GLP-10180/07-P (TN), USA.

Ortec,

Oak

Ridge

Amplificatore, Shaping Amplifier

SILENA S.p.A. Milano Mod.7611/7.

MCA

MCA, AMPTEK MCS8000A, 1024 canali.

Software manufacturer

ADMCA v2.0.0.5 ; Amptek Inc, Bedford(MA), USA.

Scheda di aquisizione USB

USB-6366 National Instrument.


28Descrizione dell’apparato sperimentale e sviluppo del sistema di misura


Capitolo 3 Elaborazione dati acquisiti i seguito sono riportate in tabelle ed in grafici tutti i risultati ottenuti in

D laboratorio, con i relativi commenti e la relativa elaborazione. 3.1

Calibrazioni

ecessarie per la buona riuscita e la correttezza dell’esperimento, le calibrazioni in efficienza ed in energia sono descritte successivamente; di seguito sono riportate anche tutte le informazioni teoriche e i relativi risultati ottenuti in laboratorio. ` possibile non effettuare la calibrazione in efficienza prima di ogni esperimento E poich´e non dipende dai parametri di controllo del tubo come corrente e tensione, ma soltanto dal tipo di rivelatore, mentre `e fondamentale eseguire quella in energia prima e dopo ogni sessione di misure.

N

3.1.1

Calibrazione in efficienza

l calcolo dell’attivit`a di un radionuclide identificato, nel nostro caso di un fascio di raggi X, richiede la calibrazione in efficienza del rivelatore. Questa, in funzione dei casi, pu`o essere misurata sperimentalmente o teoricamente. Per geometria di conteggio si intende la disposizione relativa di sorgente e rivelatore, e definisce la frazione di radiazione emessa incidente sul rivelatore. Considerando una sorgente monoenergetica di fotoni, l’efficienza intrinseca εT (E) `e data dalla frazione dei fotoni emessi dalla sorgente che interagisce nel rivelatore, producendo un evento rivelabile. Mentre invece per efficienza intrinseca della sorgente ΩεT (E) si intende il rapporto tra le due grandezze descritte in precedenza, ovvero quella frazione di fotoni che incide rivelatore che produce una interazione misurabile. Il rapporto picco su totale R(E) rappresenta invece la frazione di fotoni di fissata energia che hanno prodotto una interazione registrata nel picco di assorbimento totale rispetto al totale dei fotoni che hanno prodotto un’interazione di qualsiasi tipo. A questo punto si pu`o definire l’efficienza di picco come [8]:

I

eP (E) = R (E) · ΩεT (E)

(3.1)

Per comprendere del tutto la curva di calibrazione in efficienza di seguito riportata, `e utile considerare il fatto che al crescere dell’energia, le interazioni Compton 29


30

Elaborazione dati acquisiti e quelle per produzione di coppie diventeranno progressivamente pi` u importanti e consequenzialmente si perderanno informazioni sull’efficienza totale. Di seguito mi limito a riportare la curva di calibrazione fatta dal professor Baldazzi al momento dell’acquisto del rivelatore al germanio, ma comunque attendibile in quanto la calibrazione in efficienza dipende solo ed esclusivamente dal tipo di rivelatore, e non dai parametri dell’inverter che modificano il tipo di fascio.

Figura 3.1: Grafico della calibrazione in efficienza In Figura3.1 `e possibile verificare e prendere atto della curva di calibrazione in efficienza dove in ordinata abbiamo l’energia del fascio mentre in ascissa abbiamo l’efficienza. Dal grafico si pu`o constatare come per un’efficienza pari a 1, per ogni fotone che incide ne leggiamo uno, mentre per efficienza pari a 0,5 per ogni due fotoni incidenti ne leggiamo uno, e cosi via. Si nota quindi come il range di energie all’interno del quale il rivelatore ha un’alta/ottima risposta `e tra i 20 e i 100 keV.

3.1.2

Calibrazione in energia

elle misure relative tipiche della corrente pratica della spettrometria, la de-

N terminazione dell’energia di un picco incognito viene effettuata ricorrendo ad

un’opportuna calibrazione, che permette di associare ad una posizione canale determinata il corrispondente valore in energia. Per effettuare tale calibrazione sono richiesti fasci caratterizzati da picchi noti; a questo punto le coppie energia (in keV) - posizione (espressa in canali) potranno essere interpolate al fine di ricavare una funzione che mi determini l’energia incognita di futuri picchi. A questo punto avendo a disposizione diverse coppie di valori di posizione-energia la calibrazione risulta relativamente semplice. In prima approssimazione posso utilizzare una semplice funzione rettilinea: E = B0 + B1 · x

(3.2)

Il termine B1 costituisce il rapporto keV/canali, ovvero l’ampiezza in termini di energia di ciascun canale, mentre l’intercetta B0 `e in generale diversa da zero


3.1 Calibrazioni

31

in quanto rappresenta un offset nella regolazione dell’ADC. Per un intervallo di circa 100keV questa interpolazione `e pi` u che adeguata ma in generale per intervalli pi` u ampi si tende ad interpolare con una funzione differente, che si discosta sensibilmente dalla linearit`a soprattutto a basse energie. Secondo la seguente funzione polinomiale: E = B0 + B1 · x + B2 · x2 + B3 · x3

(3.3)

B0 ha sempre lo stesso significato ma risulter`a un’approssimazione leggermente variabile in funzione della posizione nell’intervallo di energie considerato. La determinazione della posizione di un picco `e di solito possibile con accuratezza dell’ordine di 0.1 canali. Nel nostro caso con rivelatore al germanio iperpuro (HPGe) opereremo con rapporti keV/canali non superiori a 0.5 e quindi con un contributo sull’incertezza finale sull’energia calcolata inferiore a 0.05keV. L’accuratezza complessiva con cui vengono determinati i valori di energia di un picco determinato pu`o essere stimata dalla propagazione quadratica degli errori sulla posizione calcolata e dall’errore sulla calibrazione. Effettuando le dovute approssimazioni per semplificare il calcolo, si giunge alla conclusione che per un esperimento con misure di routine, ci si pu`o attendere un’accuratezza nella determinazione delle energie dell’ordine di 100-120 eV. Piccoli spostamenti della calibrazione sono abbastanza frequenti e per questo si effettua un controllo continuo durante l’esperimento, ad esempio monitorando i picchi di energia nota sempre presenti all’interno di uno spettro. Anche le capacit`a dei moderni calcolatori aiutano in questo, applicando dei fattori correttivi che permettono di shiftare lo spettro, di una misura opposta allo spostamento di calibrazione determinato in modo da riallineare lo spettro con la calibrazione energetica [8]. Questa calibrazione a differenza di quella in efficienza, che dipende solo ed esclusivamente dal tipo di tubo, varia principalmente a seconda dei parametri del tubo e per questo va effettuata necessariamente prima e dopo ogni sessione di misure. Di seguito riporto le modalit`a e i dati relativi alla calibrazione effettuata in laboratorio: sono stati misurati i picchi caratteristici (di energia nota) delle seguenti sorgenti radioattive:

Calibrazione in energia: sorgenti Sorgenti Am-241

Co-57 Fe-55

Energia (KeV) 13,944 26,345 59,537 14,413 122,061 136,470 5,894

Canali 92,00 176,00 400,60 95,00 823,60 921,00 38,00

Intensit` a delle righe 9,60 2,40 35,90 9,16 85,60 10,68 8,50


32

Elaborazione dati acquisiti Le coppie di valori ”posizione canale”-energia sono state interpolate al fine di ricavare una curva di calibrazione:

Figura 3.2: Fit della calibrazione in energia.

3.2

Spettri

li spettri sono stati acquisiti con la catena spettrometrica descritta in precedenza; va fatto notare come la tensione di alimentazione del rivelatore al germanio (HPGe) `e stata fornita gradualmente cos`ı da evitare qualsiasi problema con il rivelatore. Il modulo di alta tensione utilizzato per l’alimentazione `e in grado di misurare contemporaneamente tensione e corrente, cos`ı innalzando di poco la tensione abbiamo verificato che la corrente tendesse a zero. Se questo non fosse avvenuto, saremmo stati di fronte ad una temperatura non ancora ottimale per il germanio e quindi non avremmo potuto fornire tensione. (La corrente deve tendere a zero se non ci sono moti di agitazione termica poich`e la zona di depletion region tende a svuotarsi e rimanere tale). Quindi, una volta assicuratisi che il rivelatore avesse raggiunto la temperatura richiesta, abbiamo fornito tensione in modo graduale fino ad arrivare ad 1kV. Una volta alimentato il rivelatore, `e stato possibile acquisire gli spettri tramite il software Amptek sul pc. Spettri acquisiti con una corrente anodica fissata a 320mA ma variando la tensione; ad una distanza di 480cm con una collimazione di 0,8mm di tungsteno.

G

Gli spettri misurati coincidono con le previsioni: si possono infatti notare le tipiche linee di fluorescenza del tungsteno. Si nota altres´ı una bassissima filtrazione intrinseca del tubo, infatti intorno ai 20 keV vi sono dei picchi che solitamente vengono filtrati con appositi spessori di alluminio. Di seguito riporto gli spettri ottenuti con il programma di simulazione scritto in linguaggio LabView [Figura3.5]. Spettri ottenuti inserendo negli appositi campi i valori di alta tensione, corrente anodica e le caratteristiche del tubo RX. Possiamo notare confrontando questi spettri con i precedenti, l’ottima attendibilit`a e affidabilit`a del software di ricostruzione dello spettro RX.


3.2 Spettri

33

Figura 3.3: 320mA-80kV.

Figura 3.4: 320mA-120kV.

Figura 3.5: Console del programma di simulazione dello spettro; si possono notare le specifiche del tubo con tutti i parametri da dover inserire, per ottenere la simulazione.


34

Elaborazione dati acquisiti

Figura 3.6: 320mA-80kV.

Figura 3.7: 320mA-120kV.

3.3

Forme d’onda

e forme d’onda della corrente anodica (Anode Current Waweform) e dell’alta

L tensione anodica (High Voltage Waweform) sono state campionate a 100 kS/s per corrente e alta tensione impostate rispettivamente a 320 mA e 120 kVp. Queste sono state esportate dal programma appositamente scritto in linguaggio LabView. Come descritto in precedenza e dall’analisi grafica notiamo come il valore costante impostato dall’utente non si mantiene tale proprio a causa dei circuiti di feedback e del rumore. Allo stesso modo, in accordo con la parte teorica si nota come il ”ripple” della corrente anodica sia molto pi` u pronunciato rispetto a quello dell’alta tensione, per le cause descritte sopra.

Le forme d’onda riportate in Figura3.8 ed in Figura3.9 hanno gi`a subito il processo di filtrazione e sono quindi gi`a state sottoposte all’analisi di Fourier, che mi appresto a descrivere con l’aiuto di alcune immagini prelevate direttamente dal programma di acquisizione delle forme d’onda in linguaggio LabView: come si pu`o vedere dallo spettro di potenza in Figura3.10, la forma d’onda ha una componente


3.3 Forme d’onda

Figura 3.8: Anode Current Waveform, 120kV, 320mA.

Figura 3.9: High Voltage Waveform, 120kV, 320mA. a 40 kHz di ampiezza pari circa al 7% rispetto alla componente a 12 kHz dovuta alla frequenza propria dell’inverter. In verit`a si pu`o vedere anche una componente di grande ampiezza a circa 210 kHz, tuttavia tale componente `e dovuta ai transitori di apertura/chiusura (spike) dei componenti di potenza (IGBT o SCR) e si pu`o pensare che venga in parte filtrata dalle capacit`a presenti a monte del tubo RX. In ogni caso, tale componente di alta frequenza d`a origine a stretti picchi, intensi ma di area trascurabile nella forma d’onda. In poche parole la componente a 210kHz pu`o essere tranquillamente considerata rumore a radiofrequenza (il pi` u difficile da isolare e da filtrare), generato nel partitore (nonostante il bagno d’olio che lo isoli) e nei collegamenti tra il partitore ed il circuito di controllo del segnale. Si osservi che l’apparato in esame mantiene la forma d’onda al di sotto della soglia dei 120 kV a meno della media di tali spike per obbedire alla normativa.

35


36

Elaborazione dati acquisiti Di seguito `e spiegato come, grazie all’analisi di Fourier, `e possibile isolare queste frequenze che causano ”noise” e ripulire in modo significativo il segnale delle forme d’onda.

Figura 3.10: 120 kVp, 100 mA nominali. Spettro di potenza della forma d’onda dell’alta tensione. Le componenti armoniche al di sopra dei 50 kHz sono praticamente assenti se si eccettua la componente a 215 kHz dovuta al noise prodotto dal pilotaggio dei dispositivi di potenza da parte delle onde quadre prodotte dall’oscillatore dell’inverter. Il ripple ha dunque una costante di tempo variabile al variare sia della tensione che della corrente anodiche impostate. Per valutare la filtrazione pi` u opportuna `e stato sviluppato un programma che elabora le forme d’onda. In Figura3.11 si pu`o ossevare la forma d’onda dell’alta tensione (120 kV, 100 mA) originale e la stessa forma d’onda a cui `e stata applicata una filtrazione passa-basso del secondo ordine alla frequenza di taglio di 50 kHz. Si pu`o pertanto concludere che una filtrazione passa-basso aggiuntiva `e necessaria per un corretto campionamento del segnale. Sono dunque state eseguite misure sulle differenti forme d’onda per trovare la frequenza di taglio opportuna al fine di non danneggiare, con il filtro, il contenuto informativo del segnale. In ultimo va ricordato che secondo il teorema di Shannon (o di Nyquist o del campionamento) la frequenza di campionamento deve essere almeno il doppio della componente armonica massima di frequenza massima che compone il segnale[19]; fc ≥ 2fmax

(3.4)

questo risulta necessario affinch´e non avvenga il fenomeno di aliasing: fenomeno per il quale con un sotto-campionamento il programma va ad acquisire sempre e comunque la forma d’onda con frequenza pi` u bassa e non sempre questa corrisponde a quella corretta.


3.3 Forme d’onda

Figura 3.11: DX: 120 kVp, 100 mA nominali. Forma d’onda dell’alta tensione. ´ presente il rumore ad alta frequenza introdotto dalle comNessuna filtrazione. E mutazioni dei dispositivi di potenza dell’inverter. SX: 120 kVp, 100 mA nominali. Forma d’onda dell’alta tensione. Filtrazione: passa-basso alla frequenza di taglio di ´ stata eliminata gran parte della componente del rumore. 50 kHz. E

37


38

Elaborazione dati acquisiti


Conclusioni e sviluppi futuri li obiettivi principali e da raggiungere durante questo lavoro di tesi erano essenzialmente due: quello di mettere a punto un sistema spettrometrico portabile e quello di confrontare i dati ottenuti sperimentalmente con quelli ottenuti con il programma di ricostruzione computazionale dello spettro. Per quanto riguarda il primo scopo lo si pu`o definire totalmente raggiunto; innanzitutto `e stato studiato un sistema di collimazione con filtri mobili e di allineamento veloce; questo `e stato possibile grazie al montaggio del rivelatore su di una base regolabile in altezza ed in inclinazione e con l’utilizzo di un sistema di multi-laser di puntamento. Questo apparato, ha permesso l’allineamento tra tubo RX, collimatori e rivelatore HPGe, in modo preciso e veloce anche se l’operazione, come si pu`o intuire, `e comunque estremamente delicata: si tratta di allineare, a una distanza di circa quattro metri, la macchia focale del diametro di 0.6 - 1.6 mm con un collimatore in tungsteno di 100 - 400 µm. Per quanto riguarda la portabilit`a, i moduli di alimentazione ad alta tensione e lo shaping amplifier sono stati sviluppati utilizzando moduli ibridi e l’MCA - modello Amptek MCA-8000- `e miniaturizzato e comunica con il PC tramite una semplice porta USB. Il collaudo del sistema `e stato effettuato utilizzando l’apparecchiatura a raggi X presente al DIFA. Si tratta di un sistema radiologico, di tipo medicale, che consente fasci fino a 150 kV. Il generatore di alta tensione `e di tipo ”inverter” con regolazione on-off. Le forme d’onda dell’alta tensione e della corrente anodica soffrono di un alto livello di rumore dovuto ai circuiti di commutazione e alle alte potenze in gioco. Si `e quindi reso necessario individuare le componenti dovute al rumore (mediante analisi di Fourier). Sono state individuate le armoniche del segnale alle frequenze inferiori a 50 kHz mentre il rumore si trova a frequenze superiori ai 200 kHz. Le componenti del rumore devono essere eliminate mediante filtrazione (un passa-basso del secondo ordine con frequenza di taglio di 50 kHz) per ottenere il segnale vero da utilizzare del modello computazionale.

G

Gli sviluppi futuri prevedono l’immediata acquisizione di una serie di spettri a diverse tensioni e correnti anodiche a cui seguir`a l’elaborazione e il confronto con il modello della simulazione computazionale al fine di ricavare i corretti parametri. In seguito si svolgeranno campagne di misura (presso lo IASF-INAF, il Policlinico S. Orsola, il Centro di Taratura COMECER e -se sar`a possibile- anche presso un produttore di tubi radiogeni); tutto ci`o al fine di ottenere dati spettrometrici per una vasta gamma di tipologie di sistemi radiogeni per l’adattamento del modello semi-empirico computazionale sviluppato.

39


40

Conclusioni e sviluppi futuri


Appendice A Circuiti di feedback uesti circuiti possono essere descritti approssimativamente cos`Äą: il partitore

Q di tensione che si trova all’interno del tank del trasformatore, divide l’alta

tensione fornendo 1V per ogni 20kV. Vi sono poi un instrumentation amplifier che preleva il segnale in forma differenziale introducendo una costante di tempo e un amplificatore operazionale con guadagno variabile per correggere le tolleranze dei resistori del partitore. Tutte le varie resistenze e i vari condensatori inseriti servono a eliminare, o meglio ridurre al minimo, tutti i vari rumori e interferenza create. Le prime resistenze e condensatori visibili in figura partendo dal tank mi vanno a creare un filtro passa basso.

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42

Circuiti di feedback

Figura A.1: Circuito di feedback1.


43

Figura A.2: Circuito di feedback2.


44

Circuiti di feedback


Bibliografia [1] Rignanese Luigi Pio; Evoluzione della radiologia clinica: ricerca e sviluppo della tomografia con fasci quasi-monocromatici, Universit`a degli studi di Bologna 2011. [2] Dispense del Prof. Nico Lanconelli. [3] http : //www.qualitydigest.com/magazine/2009/mar/article/real − time − x − ray − inspection.html . [4] http : //www.medcyclopaedia.com/library/radiology/chapter03/33 .aspx . [5] Simone Masetti, Sviluppo di un tomografo multi-energy per lo studio preclinico di nuove metodiche diagnostiche finalizzate al riconoscimento precoce della patologia tumorale. Universit`a degli studi di Bologna 2008. [6] X-rays in atomic and nuclear physics N.A. Dyson. [7] Andrea Capra, Studio della Risposta di un Rivelatore di Germanio Iperpuro per Spettroscopia Gamma in Campi Magnetici molto Intensi. Universit`a degli studi di Pavia 2008. [8] Mario Marengo ”La fisica in medicina nucleare” P`atron Editore Bologna 2001 [9] On field Spectrometry for diagnostic X-ray beams: Comparison between innovative devices, Rossi P.L. Andreani L. Bollini D. Bontempi M. Cappelli S. Zuffa M. Margotti A. Labanti C. Baldazzi G. Dept. of Phys., Univ. of Bologna, Bologna, Italy. [10] Radiation Detection and Measurement Glenn F. Knoll Chapter17 Pulse Shaping, Counting, and Timing. [11] Sviluppo di un Sistema Spettrometrico OnLine e di un Rivelatore ”Compton Camera” per la Spettrometria dei RX; G. Baldazzi, P.L. Rossi, S. Masetti, L. Roma, R. Golfieri; University of Bologna, Dep.t of Physics, Bologna, Italy. [12] Presentazione del prof. Giuseppe Baldazzi ”Fisica delle radiazioni”. [13] Diagnostic x-ray spectra: A comparison of spectra generated by different computational methods with a measured spectrum; Madhava Bhat and John Pattison 1998. [14] Enrico Tommasi, Rivelatori al silicio 2003. 45


46

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Ringraziamenti esidero innanzitutto ringraziare il Professor Baldazzi per i preziosi insegnamenti durante le settimane trascorse in laboratorio e per l’entusiasmo che mi ha trasmesso. Inoltre, ringrazio la correlatrice Lucia che `e sempre stata disponibile a dirimere i miei dubbi e ad aiutarmi durante la stesura di questo lavoro. Ancora, vorrei ringraziare tutti i miei amici compagni di corso, Fabio, Luca, Nicola, Riccardo, Alessandro, Mirko che mi hanno reso meno pesante lo studio, mi hanno supportato e sopportato; Diego, che pi` u di tutti mi ha aiutato nei momenti difficili dedicandomi gran parte del suo tempo, rendendomi possibile la compilazione di questo elaborato; il mio amico di vecchia data Riccardo che `e sempre stato presente come da vent’anni a questa parte; ed infine Luigi, che mi ha introdotto nel �mondo� del laboratorio ed `e sempre stato prodigo di consigli ed aiuti. Concludendo, desiderio ringraziare con affetto i miei genitori per il sostegno economico, morale ed il grande aiuto che mi hanno dato e Linda, per essermi stata vicino ed avermi sopportato nei momenti pi` u difficili di questo percorso.

D

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