La follia

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Riccardo Alfonso

La follia

Edizioni fidest


I diritti di ristampa, di traduzione, di diffusione elettronica e memorizzazione e di riproduzione e di adattamento totale o parziale con qualsiasi mezzo (anche microfilm e copie fotostatiche) sono proprietà degli autori e riservati per tutti i paesi. Edizione speciale, ottobre 2014, (testi riprodotti da originale dall’autore.) Copyright 2012 by Fidest – Roma – Via delle Cave di Pietralata 64 - 00157 Roma fidest@gmail.com 2


Nota introduttiva

Nel momento in cui mi accingo ad affrontare quest'aspetto della vita umana non intendo trattarlo dal punto vista medico-scientifico o analizzandola sotto la lente d'ingrandimento del psicologo. Mi limito ad una riflessione tipica del cronista che nel riportare un certo evento si trova nelle stesse condizioni del suo lettore davanti a comportamenti incomprensibili se non di ardua lettura. Penso, ad esempio, a una madre che uccide il figlio salvo poi davanti all'inquirente dichiararsi innocente e lo afferma con tanta sincerità, a dispetto delle prove schiaccianti che provano il contrario, da lasciarci perplessi tanto da ingenerare interrogativi più inquietanti dello stesso delitto che le risultanze investigative hanno fatto emergere. In un altro mio libro "Il pendolo" ho affrontato il tema del serial killer e constatato che i suoi atti criminali si compiono con freddezza e determinazione come se il concetto di morale si fosse capovolto e concepisse il male come un bene. In un altro mio libro, ancora, "L'Antropofago" ho analizzato la figura di chi si ciba uccidendo i suoi simili e per poi convenire che tutto ruota intorno a questa realtà dentro e fuori il nostro corpo. In altri miei lavori, infine, mi sono dilungato a tratteggiare la figura di taluni personaggi della storia che è più vicina ai miei tempi cercando di capire cosa possa frullare nella mente di un dittatore come ad esempio Hitler e lo stesso Stalin che mandarono a morte sicura milioni di persone in quei mattatoi che 3


conosciamo meglio come lager o gulag, campi di lavoro correttivi. Benché questi campi, ma mi riferisco, nello specifico, a quelli russi, fossero stati pensati per la generalità dei criminali, il sistema dei Gulag è noto soprattutto come mezzo di repressione degli oppositori politici in quella che fu l'Unione Sovietica, ma resta un "vizietto" che anche oggi si pratica per gli avversari dell'attuale regime, in auge nella Federazione russa. E' stata una sofferenza inflitta solo perchè appartenevano a una razza diversa, avevano osato criticare il loro "padrone" o praticavano un'altra professione religiosa o militavano in partiti politici oppositori del tiranno. E' una follia che ho intravisto anche tra i cultori del capitalismo e delle logiche consumistiche in quella che comunemente chiamiamo "società del benessere" ma dove chi ha non si fa scrupolo di sfruttare le miserie altrui per trarne sostanziosi benefici economici. Visto poi nel suo complesso il comportamento degli "umani" esprime una manifesta idea sadico-masochista allorquando si lasciano, ogni anno, morire milioni di bambini di fame, di sete e per mancanza di medicinali salva vita. Da una parte si esalta il diritto alla vita ma poi una volta nati si fa di tutto per negarla nei fatti. La mia idea è che il nostro cervello per quanto possa essere strutturato da regole logiche e votato alla solidarietà, alla fraternità e alla ricerca del bene comune, nasconda tra le sue pieghe il seme della malvagità, della cattiveria e in questo contesto la stessa natura si dissocia tra chi è fondatamente buono e solo le circostanze della vita lo possono spingere ad azioni violente e chi è "strutturalmente" votato 4


alla perversità. Lo considero una sorta di retaggio diabolico che alberga nelle nostre menti e aspetta solo l'occasione per manifestare tutta la sua brutalità. La prima domanda che mi pongo è se tutto questo devo considerarlo follia oppure analizzarla come chi vedendo nel male degli altri il suo bene lo deve reputare un "errore" della natura alla stregua di chi nasce con quattro dita in una mano, o storpi o gravati sin dalla prima età o negli anni a seguire da malattie gravi e invalidanti. In altri termini dovremmo trovarci al cospetto di un DNA la cui disposizione sequenziale dei nucleotidi, che costituisce l'informazione genetica e lo avvolge in strutture ordinate può nel suo procedimento alterare il codice genetico e le proteine responsabili della trascrizione, contribuendo ad una errata registrazione genica. Da qui riprendendo il discorso dianzi fatto nel ritenere che i filamenti di nucleotidi del DNA, legati tra loro attraverso i fosfati e disposti secondo un preciso ordine ripetuto avrebbero potuto, in alcuni loro tratti, mantenere instabile l'informazione genetica, chiamata "cristallo aperiodico". Partire, quindi, dall'idea che la "follia" è già dentro il nostro DNA non è dopotutto un'ipotesi peregrina. D'altra parte già in altre branche della medicina si paventa l'origine di alcune patologie al Dna e alle sue svariate funzioni biologiche e di cui tutti noi siamo fortemente dipendenti. Ora se tutto ciò che ci capita è da far risalire a quest'acido nucleico che contiene le informazioni genetiche necessarie alla biosintesi di RNA e proteine indispensabili per lo sviluppo ed il corretto funzionamento della maggior parte degli organismi viventi ne deriva che molti se non tutti i nostri compor5


tamenti risentono fortemente di tali condizionamenti anche sotto il profilo caratteriale e delle tendenze nei nostri rapporti sociali e culturali e nel modo come li assimiliamo e li rappresentiamo. La follia, quindi, fa parte dello stesso pacchetto genico così come le devianze volte alla violazione delle norme, che la collettività si è imposta, mutandone l'atteggiamento sociale. A questo riguardo il sociologo francese Émile Durkheim sostiene che "Non bisogna dire che un atto urta la coscienza comune perché è criminale, ma è criminale perché urta la coscienza comune" e soggiunge: "Non lo biasimiamo perché è un reato, ma è un reato perché lo biasimiamo". In proposito andrei più in là paventando la possibilità che questo genere di "devianza" non sia casuale ma collegata alla stessa logica della sopravvivenza: aggressivi per difendersi, per esercitare un ruolo predominante di predatore, per favorire la selezione della specie e vale ancor più per l'essere umano essendo al vertice della catena alimentare e come tale la sua capacità prolifica potrebbe raggiungere un livello critico di compatibilità ambientale. Non dimentichiamo che per tutta la sua esistenza l'uomo è stato dominato dall'assillo di preservare la specie moltiplicandosi e lo faceva anche perché il "numero" rappresentava la forza: solo un esercito dotato di molti combattenti poteva sconfiggere le forze numericamente più modeste che vi si opponevano. Oggi con l'avvento delle tecnologie e della robotistica non conta tanto il numero quanto la "qualità" che la stessa numerologia esprime. Questo rende obsoleti e inutili gli attuali sette miliardi di abitanti e pare che solo la follia potrà ridurli drasticamente. 6


Capitolo primo La follia

Il cervello è senza dubbio una "macchina" complessa e le cui funzioni non sembrano del tutto note alla scienza, per quanto siano stati fatti grandi progressi, in specie da un trentennio a questa parte. E' che vi appare sempre piÚ come un ponte di comando da dove partono tutti gli ordini e dotato di un apparato che proprio per le sue complesse funzioni mostra d'essere molto sensibile ai cambiamenti nel suo intreccio particolarmente vulnerabile. Se in questa sede mi limito a quelle patologie che si richiamano alle malattie psichiatriche non vuol dire che non riconosca le diverse interdipendenze in atto che possono interagire con il male che ho considerato al centro della mia attenzione e restarvi integre o appena sfiorate, lasciandovi delle tracce labili. Sta di fatto che se noi vogliamo fissare un confine dobbiamo farlo coincidere necessariamente con l'estrema frontiera della scienza, forse la sua sfida finale, che è quella della "comprensione delle basi biologiche della coscienza e dei processi mentali che ci consentono di agire, di percepire, di apprendere o di ricordare". "Questi processi sono confinati in particolari regioni del sistema nervoso o rappresentano una proprietà globale che procede dall'intera struttura nervosa? E se i diversi processi mentali sono localizzati in singole regioni cerebrali, quali possono essere 7


le proprietà che pongono in relazione le caratteristiche anatomiche e fisiologiche con i meccanismi specifici, di una certa regione, che essa mette in opera nel corpo della percezione, del pensiero o del movimento? E per approfondire meglio questi rapporti è opportuno condurre un esame globale della regione stessa o analizzare il comportamento delle sue singole cellule? In che modo i geni ne influenzano il condotta e per quali vie i processi dello sviluppo e dell'apprendimento regolano l'espressione genica delle cellule nervose1?" Il cervello, quindi, raccoglie in se una complessità di non facile lettura proprio per le sue svariatissime implicazioni che non a caso spinsero i neurologi della prima metà del XX secolo a considerare il sistema nervoso come una impenetrabile scatola nera e dalla quale ne trassero la convinzione che fosse impossibile ricavarne un'analisi obiettivamente validabile. Ora di certo ne sappiamo di più ma non credo che tutto "l'universo cerebrale" sia stato scandagliato a dovere anche per via di taluni limiti posti dalla nostra stessa cultura scientifica tradizionale. Penso, ad esempio, ai poteri dell'inconscio collegabili alla psicologia, alla parapsicologia, allo spiritualismo e più in generale all'esoterismo il cui valore oggettivo ha motivo di mostrarsi di gran lunga superiore alla vasta e composita fenomenologia psichica. Dobbiamo probabilmente a quelli che con una certa fantasia sono stati chiamati "psiconauti" se oggi dobbiamo mettere in conto una svariata tipologia di procedimenti atti a scoprire leggi o costanti biopsicologi1

Fonte: Principi di neuroscienze (E. R. Kandel, J. H. Schwartz e T.M. Jessell)

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che di indiscusso valore universale, la cui violazione, a livello inconscio, può, su soggetti costituzionalmente predisposti, essere causa di profondi turbamenti e con il conseguente instaurarsi di conflitti interiori, di gravi neurosi e imponenti disturbi psicosomatici. I numerosi studiosi che vi hanno posto mano lo hanno fatto spesso per vie diverse e con angoli di visuale addirittura contrapposti e spesso unilaterali. Il fine era, comunque, comune. Essi tendevano alla conoscenza dell'essere umano nella sua totalità e a mettere in piena luce la sua vita psichica e le forme del suo comportamento. Un aspetto da non trascurare sta, infatti, anche nella constatazione che l'attività cerebrale spesso esce dai suoi ambiti naturali nel governo del singolo individuo per collegarsi virtualmente con altri esseri umani e persino con il mondo animale. Lo stesso Pavlov nelle "Torri del Silenzio" coglie dati analogici tra il comportamento del cane e quello dell'uomo e ne evidenzia lo stato di turbamento e di disagio derivante dai contrasti tra gli impulsi a compiere una determinata azione e quelli inibitori e frustranti in molteplici "riflessi condizionati". Del resto non solo i cani ma anche altri animali hanno dato segni di spiccata individualità e intelligenza istintiva oltremodo aperta e in sintonia, a volte, con le contestuali emotività umane. La stessa reattività negli atteggiamenti dell'uomo, posto davanti all'uso di farmaci sia afferenti ad alcune malattie del corpo sia attinenti alla salute mentale nell’ambito della Depressione, Schizofrenia, Disturbo Bipolare e Disturbo da Deficit dell’attenzione e Iperattività (ADHD), sono indicativi di questo rapporto "forte" tra causa ed effetto a livello cerebrale. 9


Un esempio significativo l'ho tratto dalla lettura dell'interessante libro di Oliver Sacks "Risvegli" (Editore Gli Adelphy) dove l'autore traccia "La vita e le reazioni di alcuni pazienti che si sono trovati in una situazione del tutto unica, e le considerazioni che essi suggeriscono alla medicina e alla scienza". Devo precisare per chi non avesse letto il libro che si tratta di malati, tra i pochi sopravvissuti, alla grande epidemia di encefalite letargica nei primi anni del XX secolo. Il percorso narrativo affronta un tema di natura metafisica essendo l'autore convinto che non basti considerare l'infermità in funzioni puramente meccanici e chimici, e che occorra invece considerarla anche in termini biologici o metafisici, cioè sotto l'aspetto di organizzazione e di disegno strutturale. Dal mio punto di vista sono propenso ad allargare il discorso perchè la sostanza, che possiamo palpare fisicamente, ha un contenuto di una vitalità e diversità di compiti, straordinaria se è ben alimentata e può disporre degli opportuni utilizzi. Penso, facendo un esempio banalissimo, a una batteria che presa da sola posso gingillarla tra le mani ma non saprei proprio che farne se non la impiegassi per alimentare un piccolo elettrodomestico o il mio rasoio elettrico e così via. In questo gioco delle parti le capacità cognitive del cervello sono senza dubbio importanti. Qui entrano in gioco strumenti quali il linguaggio, la comprensione, la memoria, l'apprendimento, la concentrazione, l'attenzione l'orientamento, la capacità di lettura e scrittura, il calcolo, il giudizio, il pensiero astratto, la programmazione, l'organizzazione e via di questo passo. Sono, indubbiamente, delle capacità 10


complesse risultanti da processi che possono essere comuni a diverse funzioni cognitive. Il tutto, indubbiamente, non è a se stante, sottoforma di tante camere stagne, ma bisogna considerare gli svariatissimi intrecci e scambi d'informazioni interagenti tra loro per cui un danno provocato da una parte che non risponde ai requisiti d'efficienza può, inevitabilmente, avere effetti ritorcenti su quelle funzionanti a regola d'arte. A complicare il tutto va ad aggiungersi la possibilità che l'effetto reattivo può rendersi manifesto non tanto nel settore nel quale la disfunzione si è espressa ma rivelarsi, per la sua ricaduta, su un'altra porzione inizialmente sana e che tale sarebbe rimasta se non avesse subito il danno di riflesso. Tale aspetto, come si può agevolmente dedurre, rende ardua la diagnosi e la conseguente terapia sia essa di natura chirurgica o medica. Da qui parte uno studio più accurato e approfondito che può riguardare sia la neurologia in generale, sia la neuropsicologia in particolare, che è deputata ad analizzare i processi mentali scomponendoli in sotto-processi indipendenti come accade per la memoria nella quale si possono distinguere tre fasi. La prima parte dalla codifica delle informazioni. La seconda si verifica con l'immagazzinamento e successiva conservazione nel tempo dell'informazione e alla fine al suo recupero e all'analisi critica e comparativa dell'esperienza acquisita quotidianamente. Per queste tre modalità si prevedono vari passaggi proprio perchè le loro interazioni sono inevitabili per la stessa efficienza dell'intera operazione 11


cognitiva. Penso a questo riguardo al ruolo mnemonico di una memoria ora sensoriale che mantiene l'informazione al massimo per due secondi e seguita da quella a breve termine dove il dato è trattenuto tra i dieci e i trenta secondi e alla fine sopravviene quella a lungo termine che salda l'informazione e la rende permanente. Ma non finisce qui, ovviamente. Il citato sistema di memoria temporanea è, a sua volta, articolato in sottosistemi dove vi presiede un supervisore che abbiamo chiamato "attenzionale di controllo". Lo stesso aspetto assume la memoria a lungo termine che si distingue in memoria semantica (regole, concetti e linguaggio), in episodica dove si collocano gli eventi in un preciso contesto spaziotemporale, autobiografica per inserirvi l'insieme dei ricordi e alla fine la memoria procedurale che non ci fa dimenticare le cose che abbiamo appreso nella guida, ad esempio dell'auto, nell'andare in bicicletta, nel suonare uno strumento ecc. Si tratta di una pianificazione e modulazione che include altri sistemi cognitivi ma che sono portati all'inevitabile decadimento con l'età. E' un processo in sé graduale e persino specialistico e condizionato dalle specifiche condizioni fisiche generali del soggetto interessato, se ci riferiamo alle variabili imposte dai diversi sottosistemi come quello updating (aggiornamento), dall'inhibition (inibizione) e dallo shifting (capacità di spostare e alternare l’attenzione). E dire che tutto parte da una cellula: il neurone che potrei definire "albero della vita" e dal cui soma si diramano tanti rami o prolungamenti chiamati neuriti e dentriti (piccoli rami) che conducono impulsi diretti prevalentemente in direzione del soma e con un singolo neurite più lungo detto assone, dal 12


greco asse. I punti di contatto funzionali neuronali si hanno tramite le sinapsi che hanno il compito proprio di tenere uniti i neuroni e che a loro volta hanno dei punti di contatto con altre cellule dette neurogliali o glia ma che non sono in grado, in linea di massima, di trasmettere segnali pur essendo piÚ numerose dei neuroni. E' stato notato, infatti, che in particolari situazioni anche le cellule non nervose possono scambiarsi informazioni2. Ora come accade per un'orchestra non bastano degli spartiti e degli strumenti per mettere insieme una musicalità corale ma è necessaria la presenza di un direttore che con la sua bacchetta regoli l'insieme e ne coordini i ruoli. Possiamo chiamarlo nella fattispecie una "funzione esecutiva" che raccoglie tutti i singoli comportamenti e dà a loro l'armonia necessaria per evitare stonature. Da qui scaturiscono le risorse attentive, la pianificazione e la modulazione di altri sistemi cognitivi. Ne deriva un'intricata rete di contatti codificati in sequenze d'impulsi che controllano l'intera gamma dei comportamenti innati e acquisiti dell'organismo, tra i quali i movimenti finalizzati come l'alimentazione e le attività difensiva e riproduttiva. L'ap2

Sono le cosiddette gap junctions (giunzioni comunicanti) costituite da zone di stretta apposizione tra la membrana plasmatica di cellule diverse. Si trovano in numerosi tessuti embrionali e in alcuni tessuti adulti. Attraverso queste giunzioni le molecole di piccole dimensioni possono passare liberamente dal citoplasma di una cellula a quello di un'altra. In questo modo si possono creare, nell'ambito di gruppi cellulari, gradienti di concentrazione di sostanze importanti sia per il processo di sviluppo che per l'accrescimento e la differenzazione. Esse sono presenti anche in alcuni tipi di neuroni, dove sono chiamati sinapsi elettriche, e consentono l'accoppiamento elettrico di due cellule. (Fonte: Introduzione alle neuroscienze umane John A. Kiernan - Casa editrice Ambrosiana)

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prendimento, a sua volta, può aver luogo perché i circuiti intercellulari del sistema nervoso si modificano continuamente con l'uso. In questo variegato contesto noi c'imbattiamo in un sistema nervoso variabile che include sia la semplice rete nervosa dell'Hydra sia quella dei mammiferi che comprende encefalo, midollo spinale, nervi periferici e gangli. E' una progressione, in termini specialistici, che non costituisce una conventio ad excludendum poiché vi posso notare una continuità nel processo evolutivo che continua a restare collegata e all'occorrenza ad interagirvi. Sono, come ho già avuto modo di rilevare, processi delicati e come tali devono essere trattati e sondati con una particolare sensibilità e attenzione. Dietro tutta la scienza c'è, dunque, "l'io penso" che è il terzo momento del cammino verso una scienza intesa come "lettura filosofica del mondo." Mi richiamo, in proposito, al saggio del prof. Roberto Fondi3: "Verso la nuova biologia; dall'evoluzionismo all'organicismo." Nella prima parte di questo suo lavoro il docente ricorda lo scandalo e poi il silenzio dei neodarwinisti all'uscita del volume di G. Sermonti e R. Fondi: "Dopo Darwin. Critica all'evoluzione" del 1980. Il fatto è che oltre al successo editoriale del volume, 3

Con il termine "antievoluzionismo" si fa riferimento a tutte quelle critiche ed ipotesi alternative sollevate nei confronti della teoria dell'evoluzione biologica, secondo le quali la teoria manca di fondamento logico, testabilità scientifica o sufficienti prove. Tali critiche sono considerate senza fondamento dalla comunità scientifica in quanto non condotte con metodo scientifico o invalidate dallo stesso, pregiudiziali e non basate su evidenze; tecnicamente non suffragate da pubblicazioni su riviste scientifiche dotate di impact factor e sottoposte a peer reviewing. (fonte Wikipedia)

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l'edificio del darwinismo fu attaccato da voci autorevoli di valore indiscutibile (Gould, Elderedge, Stanley, Carson ecc.) E' che queste implicazioni del paradigma evoluzionistico hanno avuto una genesi nelle più antiche dottrine induiste al sistema organicistico d'impronta aritotelico-linneana. Ne derivò, come prima conseguenza, che la biologia per oltre un secolo si fermò al paradigma evoluzionistico delineato da Monet de Lamark (1809). Tale teoria fu ripresa da Darwin (1859) e confermata un secolo dopo da Monod (1959). Da allora nuove prospettive sono state delineate da Erich Jantsch4 e Ervin László5 che estesero il paradigma evoluzionistico dal mondo biologico all'intero Universo fisico, ma, modificando il secondo postulato, per affermare che il processo di trasformazione si è realizzato non in maniera lenta e graduale ma a "salti" governato perciò non solo da leggi deterministiche, statistiche come pensava Darwin, ma anche da leggi indeterministiche. A parte tali osservazioni di indiscutibile rilevanza teorica, c'è da riscontrare un totale disaccordo fra i dati della paleontologia ed il paradigma evoluzionistico. Secondo tale paradigma, si dovrebbero rinvenire tracce graduali di organismi unicellulari, poi di organismi pluricellulari sempre più complessi sino 4

Erich Jantsch (8 gennaio 1929, Vienna - 12 Dicembre 1980 Berkeley, California) è stato un astrofisico austriaco. E' stato descritto come "eclettico e originale genio" da Ralph H. Abraham in "La Genesi di complessità." 5 Ervin László (Budapest, 1932) è un filosofo e pianista ungherese. Esperto di filosofia della scienza è considerato il fondatore della teoria dei sistemi. Ha pubblicato circa 75 libri tradotti in 19 lingue e oltre 400 pubblicazioni scientifiche. È stato candidato due volte (2004 e 2005) al premio Nobel per la pace, nel 2001 ha ricevuto il Goi Award e nel 2005 il Mandir of Peace Prize.

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a culminare negli artropodi6, nei vertebrati e alla fine nell'uomo. E' vero, invece, che fin dalle rocce sedimentarie più antiche si rinvengono corpi microscopici di sostanza organica a forma sferoide o di bastoncello, se ne deve dedurre che la vita è apparsa nel nostro pianeta già pronta, senza che vi sia stato un lungo periodo di evoluzione chimica. Si aggiunge che nell'era Paleozoica si è verificata un'esplosione di vita pluricellulare e tale esplosione si sviluppa poi gradualmente e con continuità, non secondo il paradigma evoluzionistico, ma secondo discontinuità strutturali, senza che si siano mai rintracciati i "famosi" anelli di congiunzione o "progenitori comuni" alle differenti categorie sistematiche (taxa) dei regni vegetale e animale. Per di più non si è affatto verificato quel progressivo aumento di complessificazione e di diversificazione descritto dal paradigma evoluzionistico. A questo punto è lungi da le l'idea di farmi intrappolare dalle ragioni dei darwinisti e dei loro oppositori in quanto il filo del mio discorso resta quello del come la mente ha concepito "l'idea della follia" e nel ricercare le ragioni in cui si è smarrita in essa. Resta il mio desiderio di capire le ragioni profonde e antiche che si possono celare dietro questo male endemico che ha attraversato il mondo degli umani, e non solo, e ha offerto ai piccoli e ai grandi personaggi di tutti i tempi di mostrare uno spettacolo 6

Gli Artropodi sono animali invertebrati provvisti di uno scheletro esterno, (esoscheletro), contenente“Chitina” (una sostanza organica azotata, talvolta impregnata di sali minerali e sostanze coloranti) e di zampe articolate, letteralmente, infatti, il termine artropode significa piedi articolati. Noi identifichiamo in natura gli artropodi in crostacei, in miriapodi (come il millepiedi) gli insetti e gli aracnidi (ragni, scorpioni, acari).

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di sé non certo edificante ma umanamente degno di menzione e di riflessione. C'è quasi da chiedersi se un po' di follia non ci sia in tutti noi quando adottiamo comportamenti asociali e siamo pochi solidali con il nostro prossimo e spesso lo tiranneggiamo con i nostri rigurgiti razzisti, d'integralismo religioso e di fanatismo capitalistico. E' la follia dell'avere in opposizione a quella dell'essere. Considero poi quanto la "filosofia dei valori" possa aver subito gli effetti del suo ribaltamento tradizionale operato da Nietzsche con la sua teoria della trasvalutazione dei valori. O meglio quanto lo abbiamo fatto a dispetto dello stesso autore e di quanti l'hanno seguito tra i quali Hartmann7 (aseità dei valori), Ehrenfeds (soggettività dei valori). Max Scheler (oggettività dei valori) nonché alcuni tomisti8 (Derisi, De Finance, Maritain). Questo concetto che esprimiamo identificandolo con la parola "valore" merita, a mio avviso, di spenderci qualche parolina in più. Comincio con il dire che il valore esprime una modalità dell'essere che l'accompagna capace di racchiudere temi e termini trascendentali quali verità, bontà, bellezza in una relazione bipolare in quanto il 7

La vita di Nicolai Hartmann fu interamente consacrata all'insegnamento; nato a Riga nel 1882, fu professore nelle università di Marburgo, Colonia, Berlino e Göttingen; morì a Gottinga nel 1950. Di impostazione fenomenologica, fu autore di numerosissime opere, tra le quali vanno ricordate, senz'ombra di dubbio, Princìpi di una metafisica della conoscenza (1921), Etica (1926), Filosofia sistematica (1931), Il problema dell'essere spirituale (1933), La fondazione dell'ontologia (1935), Possibilità e realtà (1938) e La struttura del mondo reale (1940). 8 Dottrina filosofica e teologica di San Tommaso d'Aquino, che segna l'apogeo della Scolastica, e rappresenta ancora oggi la filosofia ufficiale della Chiesa cattolica. (Fonte Hoepli italiana)

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valore è una correlazione tra dignità ed estimazione ed è, inoltre, dotato, in quanto trascendentale, sia di soggettività che di oggettività. In questa fattispecie mi riferisco soprattutto alla "percezione dei valori" che considero una facoltà valorativa e cioè estimativa di cui l'essere umano è naturalmente dotato. Se a questo punto consideriamo il danno che la follia provoca in tema di valori bisogna anche capire se l'insegnamento ricevuto l'abbia educato a distinguere i valori autentici dagli pseudo-valori. Se il giudizio è positivo il folle al cospetto di una grande opera d'arte ma anche per un richiamo di natura spirituale, mostra resipiscenza nel senso che limita il più possibile, sia pure a livello d'inconscio, gli effetti lesivi attinenti al suo male che è negazione per tutto e tutti. Questo squarcio, che offre il fianco a una sorta di ravvedimento sia pure temporaneo, esterna a mio avviso, lo sforzo della mente a sfuggire dalla morsa dell'irrazionale per ritornare in quella del razionale. Potrebbe anche significare che il demente ha consapevolezza della sua natura deviata ma non riesce, se non a tratti, a superarne gli ostacoli. Questa prova di forza l'ho rilevata con la battaglia ingaggiata da John Nash, un genio della matematica con la follia che lo perseguitava e che alla fine la sua intelligenza e la sua volontà gli ha permesso di sconfiggerla, ma non totalmente, credo. Sylvia Nasar nel suo libro "il genio dei numeri" (Rizzoli editore) ha tra l'altro scritto parlando di Nash: "E' riuscito a tornare a una vita in cui pensiero e emozione sono di nuovo strettamente intrecciati, dove avere e dare sono fondamentali, e i rapporti sono più simmetrici. Può essere meno di quello che 18


era dal punto di vista intellettuale, forse non otterrà mai un'altra conquista, ma è diventato molto di più di quanto sia mai stato: una persona molto bella." Lo fu anche per merito di coloro che lo hanno amato nel profondo e senza riserve. Lo divenne perchè assunse la consapevolezza del suo male e volle fermissimamente lottare per uscire da quel tunnel degli errori in cui si era cacciato. Parliamo di un uomo che a trent'anni con le sue intuizioni e scoperte era riuscito a guadagnare riconoscimenti, rispetto e autonomia. Si era costruito una carriera brillante giungendo all'apice della professione matematica, viaggiava, teneva conferenze, insegnava, s'incontrava con i matematici più famosi del tempo, e divenne egli stesso famoso. E sempre a trent'anni Nash soffrì del primo, devastante episodio di schizofrenia paranoide allucinatoria, la più catastrofica, mutevole e misteriosa delle malattie mentali. Nash subì gravi forme di delirio, di allucinazioni, di disturbi del pensiero e dell'emotività, e la sua volontà fu spezzata. Preso dalla morsa di questo "cancro della mente", come talvolta è chiamata tale patologia universalmente temuta, Nash abbandonò la matematica per dedicarsi alla numerologia e alle profezie religiose; credeva di essere una figura messianica di grande ma segreta importanza. Fuggì varie volte in Europa, subì una mezza dozzina di ricoveri coatti per periodi che durarono fino a sei mesi, fu sottoposto a trattamenti farmacologici e a terapie di shock di ogni genere, ebbe brevi periodi di remissione ed episodi momenti di speranza che duravano solo pochi mesi e infine divenne un fantasma triste che si aggirava per il campus del Princeton University, dove un tempo 19


era stato un brillante studente di dottorato, vestito in modo eccentrico, borbottando fra sé e sé, scrivendo misteriosi messaggi sulle lavagne, un anno dopo l'altro9. Le origini della schizofrenia sono misteriose. Si sa solo che nel 1806 il disturbo fu descritto da Eugene Bleuler la prima volta. Egli la espose come un tipo specifico di alterazione del pensiero, dell'emotività e del rapporto con il mondo esterno. Il termine schizofrenia fa riferimento a una spaccatura delle funzioni psichiche, una distruzione peculiare della coesione interna della personalità psichica. Per la persona che sperimenta i primi sintomi, vi è un'alterazione di ogni facoltà percettiva, del tempo, dello spazio e del corpo. Nessuno dei sintomi, il sentire voci, i deliri bizzarri, l'apatia o l'agitazione estreme, l'indifferenza verso gli altri è preso singolarmente,specifico della malattia. Ciascun sintomo varia a tal punto da soggetto a soggetto, e nel tempo per uno stesso soggetto, che il concetto" di caso tipico" è praticamente inesistente. Si calcola che l'uno per cento della popolazione mondiale ne sia soggetta ma non si sa, tra l'altro, il perchè colpisca un individuo e non un altro sebbene si sospetta che risulti da uno sviluppo di predisposizione ereditaria. Altri, invece, sono propensi a credere che sia una conseguenza delle tensioni quotidiane. Eppure taluni elementi ambientali come le guerre, la prigionia, le droghe e l'educazione non sembrano di per se essere correlate all'insorgenza della malattia, almeno non ne esistono le prove. 9

Fonte Dal libro "Il genio dei numeri" di Sylvia Nasar (Rizzoli editore)

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Capitolo secondo Il male che sconvolge la mente

Il cervello può essere attaccato da elementi ostili in svariati modi e le tracce che lasciano possono durare a lungo e diventare irreversibili. Cominciamo a farcene una ragione e a cercare di capire l'esatta incidenza del male, le sue diramazioni e persino le regressioni che possono giungere improvvise e alquanto inaspettate come per i casi citati nel libro di Oliver Sacks "Risvegli" (Gli Adelphi) e che avrò modo di ritornarci nel prosieguo del mio lavoro. Vale su tutto una premessa e che penso ci trova tutti concordi nel ritenere che mentre registriamo il dato, a proposito dell'allungamento della vita dell'uomo, esso ha poco significato se non è anche preservata la qualità della vita ma anche quella di mantenerla e migliorarla. A questo riguardo si sa bene che uno dei processi dell'invecchiamento cerebrale riguarda alcune forme morbose, caratteristiche della persona anziana, che determinano una perdita grave della memoria e un deterioramento delle facoltà intellettive. Parecchi dati sperimentali fanno pensare che l'invecchiamento sia una conseguenza di modificazioni che intervengono sulle macromolecole che codificano l'informazione genetica. Di recente sono state adottate nuove tecniche neurofisiologiche in grado di valutare la funzione di circuiti cerebrali il cui malfunzionamento causa malattie come la demenza. In futuro, queste tecniche 21


potrebbero essere la base per programmi di neuroriabilitazione più efficaci. La ricerca è stata evidenziata da uno studio internazionale, pubblicato sulla rivista Journal of Neuroscience. In tale ambito vi è stata la partecipazione del Prof. Vincenzo Di Lazzaro, Direttore della Cattedra di Neurologia dell’Università Campus Bio-Medico di Roma, insieme con altri neuroscienziati del Regno Unito, Giappone, Germania e con il Prof. Paolo Mazzone, neurochirurgo del CTO di Roma. Per la prima volta al mondo i ricercatori hanno potuto valutare il funzionamento di circuiti complessi della corteccia cerebrale, composti da oltre 20 tipi di neuroni, e che sono coinvolti nelle funzioni della memoria. È stato dimostrato, inoltre, che questi circuiti cerebrali, che sovrintendono a diverse forme di apprendimento, in particolare di tipo motorio, sono funzionalmente indipendenti, anche se strettamente connessi a livello anatomico. “Utilizzando tecniche di stimolazione magnetica transcranica, un tipo di stimolazione del cervello superficiale e non invasiva – ha spiegato Di Lazzaro – siamo riusciti a dimostrare l’esistenza di circuiti di neuroni tra loro indipendenti anche in un’area molto ristretta del cervello umano". "Pur se spazialmente vicini, questi circuiti possono essere attivati selettivamente. Modulandoli, perciò, attraverso la stimolazione magnetica, si possono ottenere effetti su specifiche forme di plasticità cerebrale, ovvero l’insieme dei cambiamenti della corteccia cerebrale che si verificano durante l’apprendimento e che sono alla base, ad esempio, della funzione mnemonica.” Oltre che per lo sviluppo di nuove forme di neuro-riabilitazione, le ricadute saranno applicabili a diversi campi delle neuroscienze: 22


dalla psicologia allo studio dei processi di apprendimento. Con la possibilità, sullo sfondo, dell’utilizzo di nuove e più efficaci metodiche di attivazione non invasiva dei circuiti cerebrali legati alle funzioni mnemoniche. In questo modo, si potrebbe arrivare a potenziare la loro funzione in pazienti affetti da forme di disturbo della memoria fortemente invalidanti, come le demenze, per le quali oggi non esiste un trattamento efficace. Sono patologie il cui numero, con l’invecchiamento generale della popolazione, è destinato a crescere in modo notevole nei prossimi vent’anni. Secondo i più recenti dati divulgati dalla Società Italiana di Neurologia, i disturbi della memoria colpiscono attualmente circa il 7 per cento della popolazione generale over-65, per arrivare fino al 30 per cento degli ultraottantenni. La demenza dell'anziano detta anche Alzheimer, se è e resta il frutto di un logorio specifico attribuibile all'età avanzata non si può dire la stessa cosa per le altre forme di pazzia anche se resta un piccolo dubbio se consideriamo la senescenza degli organi che compongono il corpo umano non calcolabile nella stessa misura poiché la capacità di degrado, legato al tempo in taluni casi, subisce un'accelerazione ma anche una decelerazione dettata da fattori che ci sono sconosciuti anche se in proposito sono state avanzate interessanti teorie. Ma se parliamo di vecchiaia e di malattia ad essa collegata il discorso non mi appare esaustivo se non citassi anche il Parkinson. "Il Parkinson10 è una malattia neurodegenerativa, ad evoluzione lenta ma progressiva, che coin10

Fonte Parkinson.it

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volge, principalmente, alcune funzioni quali il controllo dei movimenti e dell'equilibrio. La malattia fa parte di un gruppo di patologie definite "Disordini del Movimento" e tra queste è la più frequente. I sintomi del Parkinson sono forse noti da migliaia di anni: una prima descrizione sarebbe stata trovata in uno scritto di medicina indiana risalente al 5.000 A.C. ed un'altra in un documento cinese risalente a 2.500 anni fa. Il nome è legato però a James Parkinson, un farmacista chirurgo londinese del XIX secolo, che per primo descrisse gran parte dei sintomi della malattia in un famoso libretto, il "Trattato sulla paralisi agitante". Di Parkinson, deceduto nel 1824, non esistono né ritratti né ovviamente fotografie". "La malattia è presente in tutto il mondo ed in tutti i gruppi etnici. Si riscontra in entrambi i sessi, con una lieve prevalenza, forse, in quello maschile. L'età media iniziale è intorno ai 58-60 anni, ma circa il 5% dei pazienti può presentare un esordio giovanile tra i 21 ed i 40 anni. Prima dei 20 anni è estremamente rara. Sopra i 60 anni colpisce 1-2% della popolazione, mentre la percentuale sale al 3-5% quando l'età è superiore agli 85". La Società Italiana di Neurologia (SIN) ribadisce, a questo riguardo, il ruolo fondamentale della diagnosi precoce per un intervento terapeutico tempestivo e mirato finalizzato a rallentare il decorso della malattia. Il fattore tempo, infatti, è fondamentale; basti pensare che, al momento dell’esordio dei primi disturbi motori tipici della malattia, come la lentezza dei movimenti e il tremore di riposo, la malattia di Parkinson è già in una fase troppo avanzata per poter essere bloccata, poiché, in questo stadio, almeno il 60% delle cellule dopaminergiche della sostanza 24


nera sono già morte.“Nella malattia di Parkinson la diagnosi precoce è di fondamentale importanza per poter attuare una strategia terapeutica capace di modificare la storia naturale della malattia" – dichiara il Prof. Aldo Quattrone, Presidente della SIN e Rettore dell’Università Magna Graecia di Catanzaro – e soggiunge: "Iniziare il trattamento sintomatico o neuro-protettivo in una fase precoce di malattia o meglio ancora nella fase pre-motoria potrebbe rappresentare la strategia terapeutica del futuro mirata a controllare bene i sintomi e evitare gli effetti indesiderati a lungo termine della terapia farmacologica. In queste fasi, infatti, i farmaci dopaminergici o i farmaci neuroprotettivi potrebbero davvero modificare o perfino arrestare il decorso della malattia." ”Per diagnosticare la malattia di Parkinson nella fase pre-motoria bisogna prestare attenzione a sintomi non specifici, la cui presenza aiuta ad identificare i soggetti a rischio di sviluppare la malattia. I sintomi premonitori più importanti sono il deficit olfattivo (ipo o anosmia), la depressione, dolori nelle grandi articolazioni, l’ipotensione ortostatica e, soprattutto, il disturbo comportamentale in sonno REM (Rapid eye movement Behavioural Disorder, RBD), caratterizzato da comportamenti anche violenti durante il sonno, quali urlare, scalciare, tirare pugni". Il RBD al momento rappresenta il marcatore predittivo più importante della malattia di Parkinson: circa il 60% dei pazienti con disturbo comportamentale in sonno REM, infatti, sviluppa la malattia di Parkinson entro 10-12 anni. La ricerca in Italia, già molto attiva su questo fronte, si sta concentrando sempre di più sulla fase pre-motoria della malattia, i cui sintomi caratteristici 25


possono manifestarsi anche molti anni prima della comparsa dei sintomi motori. La Società Italiana di Neurologia conta tra i suoi soci circa 3000 specialisti neurologi ed ha lo scopo istituzionale di promuovere in Italia gli studi neurologici, finalizzati allo sviluppo della ricerca scientifica, alla formazione, all’aggiornamento degli specialisti e al miglioramento della qualità professionale nell’assistenza alle persone con malattie del sistema nervoso. In questo senso procede lo studio della “Neuroregulina”. Essa è una sostanza presente nelle cellule dopaminergiche. Svolge un ruolo rilevante nello sviluppo di malattie importanti come schizofrenia e il Parkinson e nelle situazioni psico-fisiche che determinano un abuso di droghe. La scoperta, contenuta in uno studio pubblicato sulla rivista scientifica Molecular Psychiatry (al primo posto nel ranking internazionale per quanto riguarda gli argomenti di psichiatria ed al quinto per quelli di neuroscienze), è stata realizzata nei laboratori sperimentali della Fondazione Santa Lucia IRCCS ed è anche il frutto di collaborazione tra tre Università della Capitale, Tor Vergata, La Sapienza ed il Campus biomedico di Trigoria. I neuroni dopaminergici sono importanti perché regolano il movimento e la motivazione. Si pensa che una loro disfunzione sia collegata alla schizofrenia, al morbo di Parkinson ed all’abuso di droghe. Ricercatori hanno individuato il meccanismo chiave per cui la neuroregulina, sostanza che, studi di genomica avevano già collegato ai disturbi schizofrenici, regola la funzione delle cellule dopaminergiche. Le prove sperimentali ottenute in questo lavoro indicano come la neuroregulina modula, attraverso il glutammato, la funzione 26


delle cellule dopaminergiche. Ciò apre importanti orizzonti di ricerca atti ad individuare le disfunzioni del segnale mediato dalla neuroregulina che si ritengono essere una causa importante nella determinazione della schizofrenia e della malattia di Parkinson. Da questo studio potranno perciò scaturire nuove prospettive per sviluppare farmaci più efficaci e sicuri per il trattamento della schizofrenia e del morbo di Parkinson, che mirano perciò a normalizzare il rilascio di dopamina nel cervello attraverso un meccanismo neuroregulina-dipendente. Al fianco del Prof. Mercuri hanno lavorato presso i Laboratori Sperimentali dell’IRCCS Santa Lucia Ada Le Donne, Annalisa Nobili, Emanuele Claudio La tagliata, Virve Cavallucci, Ezia Guatteo, Stefano Puglisi-Allegra, Marcello D’Amelio. E’ degno di nota il fatto che la dottoressa Le Donne, sviluppando tematiche di ricerca sulla funzione della neuroregulina, ha ottenuto per il 2015 un prestigioso finanziamento per i giovani ricercatori della fondazione Americana (National Alliance for Research on Schizophrenia and Depression-NARSAD Brain & Behavior Research Foundation). La notizia, ovviamente, apre nuove opportunità di ricerca sempre più specialistiche e approfondite e ci permette di trarre buoni auspici per il futuro. Oggi, tuttavia, ciò che sappiamo di sicuro è che l'invecchiamento va attribuito alle alterazioni del DNA e dell'RNA. Tre ipotesi vanno per la maggiore: 1. Le mutazioni e le anomalie dei cromosomi si accumulano con l'età. Man nano che questi errori si accumulano nei geni in attività, le sequenze del DNA di riserva (di ridondanza), che contengono lo stesso tipo d'informazione 27


ne prendono il posto finché tutta l'informazione ridondante è stata esaurita. A questo punto intervengono i fenomeni della senescenza. Teoria proposta da Zhores Medvedev. 2. L'apparato genetico non contiene un programma vero e proprio per l'invecchiamento ma che gli errori che si verificano durante la duplicazione del DNA tendono ad aumentare con l'età per via dei danni casuali e delle alterazioni che si verificano con l'andare del tempo (uso e logoramento, effetti delle radiazioni e così via). Quando il numero degli errori accumulati diviene significativo, vengono a formarsi mRNA anormali e molecole proteiche alterate che ovviamente non possono funzionare in maniera efficiente. E' una teoria sostenuta da molti esperti. 3. L'invecchiamento fa parte di una più vasta sequenza evolutiva. Allo stesso modo con cui alcuni geni programmano le fasi dello sviluppo embrionale, altri geni potrebbero programmare i processi d'invecchiamento dell'organismo. Perciò le modificazioni che si osservano nel-l'età avanzata sarebbero la normale espressione di un programma che ha inizio con il concepimento e termina con la morte. Questa ipotesi è stata proposta da Bernard Strehler. In tutti e tre i casi potremmo immaginare la presenza di "cellule orologio" altrimenti dette "orologio biologico" in cui Leonard Hayflick ha osservato che i fibroblasti umani normali, fatti crescere in coltura, si dividono regolarmente sino a coprire l'intera 28


superficie del contenitore della coltura stessa. Se a questo punto un ugual numero di cellule viene trasferito in altri due contenitori, nei quali è presente liquido di coltura fresco, esse si dividono di nuovo sino a divenire confluenti. I fibroblasti umani normali, in coltura possono moltiplicarsi soltanto in un numero limitato di volte (circa cinquanta) in un arco di tempo di 7-9 mesi. A partire all'incirca dal 35° passaggio la loro capacità di dividersi comincia a ridursi. Alla fine le cellule smettono di moltiplicarsi e muoiono. Una controprova l'abbiamo allorché mettiamo in un contenitore i fibroblasti provenienti da donatori di età avanzata e notiamo che la loro capacità riproduttiva è minore dimostrando, in questo modo, che il processo di senescenza è già in atto senza nulla concedere al loro naturale processo moltiplicativo che resta fissato a circa cinquanta. Oltre al muscolo scheletrico, uno dei sistemi più spesso interessati dalle malattie mitocondriali è il sistema nervoso centrale, con molte possibili manifestazioni; queste possono comprendere, come abbiamo già visto nella descrizione delle singole sindromi, epilessia, episodi simili ad ictus, incoordinazione motoria, spasticità e demenza. Le malattie mitocondriali associate a compromissione cognitiva includono la MELAS, la KSS, la sindrome di Leigh11 e molte altre. 11

La sindrome di Leigh conosciuta anche come encefalopatia necrotizzante subacuta è una malattia della prima infanzia caratterizzata da acidosi lattica, interruzione dello sviluppo psicomotorio, problemi di alimentazione, convulsioni, paralisi extraoculare e debolezza con ipotonia. La morte solitamente insorge entro uno o due anni dalla nascita. All'esame istologico si osservano aree bilaterali e parzialmente simmetriche di distruzione del tessuto cerebrale con aspetto spongiforme e proliferazione vasale, le aree più colpite sono la sostanza grigia periventricolare del mesence-

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All’esordio della malattia il coinvolgimento cognitivo può essere parziale, manifestandosi con specifici deficit cognitivi, in particolare nel ragionamento astratto, nella memoria verbale, nella memoria visiva, nel linguaggio (sia nelle parole che nella fluenza del discorso), nelle funzioni esecutive o costruttive, nel calcolo, nell’attenzione e nelle funzioni visuo-spaziali. Le funzioni cognitive e le abilità intellettive possono declinare da un iniziale deficit focale, selettivo, ad una vera e propria demenza. Per demenza si intende una compromissione della memoria cronica e disabilitante, che coinvolge almeno una delle funzioni cognitive, determinando una incapacità di riflettere e/o giudicare. Possono essere coinvolte, tra le funzioni cognitive, la memoria, il linguaggio, l’orientamento spazio-temporale, le abilità prassiche12 (cioè la capacità di eseguire movimenti finalizzati al raggiungimento di un risultato o di un obiettivo), il pensiero astratto, la capacità di risolvere problemi. Possono associarsi alla demenza anche cambiamenti nella personalità. Sono state individuate mutazioni patogenetiche nel mtDNA di alcuni pazienti con disturbi cognifalo, il tegmento del ponte e le regioni periventricolari del talamo e dell'ipotalamo. La maggior parte dei casi sono ereditari con trasmissione autosomico-recessiva e mostrano una ridotta attività del complesso IV (citocromo C ossidasi) della fosforilazione ossidativa mitocondriale, oppure, nella maggior parte dei casi, la mutazione interessa una proteina necessaria per l'assemblaggio di questo complesso della fosforilazione ossidativa, piuttosto che una componente strutturale dello stesso. (Fonte Wikipedia) 12 Costituisce un valido supporto nella formulazione di una diagnosi certa in bambini che presentino difficoltà in più ambiti dello sviluppo (Disturbi dell'Apprendimento, Deficit di Attenzione e Iperattività, segni di Disprassia).

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tivi, ma si sa ancora molto poco su come in effetti il difetto genetico e la conseguente compromissione della respirazione cellulare possano contribuire all’espressione di alterazioni cognitive, come la compromissione nell’apprendimento e nella memoria. E’ stato ipotizzato un coinvolgimento dei mitocondri anche nella patogenesi di alcuni disturbi psichiatrici come la depressione, la schizofrenia ed il disturbo bipolare. Sono stati osservati, ad esempio, casi di comorbidità tra MELAS e disturbo bipolare o schizofrenia; episodi depressivi maggiori sono stati descritti in casi di PEO; tuttavia, l’associazione tra disordine della funzione dei mitocondri e presenza di uno di questi disturbi è ancora da definire con certezza. Quindi un’ipotetica alterazione di funzionamento dell’esecutivo centrale potrebbe ripercuotersi sul funzionamento della memoria (e non solo!), ma unicamente attraverso un’indagine specifica è possibile identificare il problema a monte, per inquadrarlo, definirne le cause (se non sono ancora note) ed eventualmente pianificare una possibile soluzione. Ma la pazzia è un male che può coglierti di sorpresa o arrivare gradualmente o indirettamente dal perdurare di stati depressivi. Un disturbo psicotico, ad esempio, è una condizione in cui una persona vive un grave distacco dall'ambiente che lo circonda trovando grave difficoltà ad iniziare delle attività e a provare sentimenti autentici nei confronti delle altre persone. La realtà può spesso essere vissuta come minacciosa allontanando ancora di più il paziente dai rapporti con gli altri. Diverse malattie si manifestano con sintomi psicotici: disturbo schizofrenico 31


disturbo schizoaffettivo disturbo bipolare disturbo depressivo alcuni disturbi di personalità disturbi indotti da sostanze. In buona sostanza si può dire che il disturbo psicotico può essere definito come un grave disordine mentale caratterizzato da profonda incapacità nell'affrontare la realtà, evidenziato tipicamente da deliri, allucinazioni, eloquio disorganizzato (da cui si può desumere la disorganizzazione del pensiero, “disturbo formale del pensiero”), e/o da comportamento catatonico e/o disorganizzato. In questa definizione è molto importante soffermarsi sulla “profonda incapacità nell'affrontare la realtà” il che, in altre parole, indica la perdita di contatto con la realtà. La psicosi può cambiare definitivamente la vita dei pazienti e dei membri delle loro famiglie. Le terapie in uso a volte non consentono al paziente di tornare a vivere come faceva prima della malattia. I disturbi con caratteristiche psicotiche comprendono la schizofrenia, il disturbo schizofreniforme, il disturbo schizoaffettivo e i disturbi dell'umore con manifestazioni psicotiche. Alcuni disturbi psicotici possono altresì, in situazioni di scompenso, presentare caratteristiche psicotiche. La schizofrenia, nello specifico, è una forma di malattia psichiatrica caratterizzata da un decorso superiore ai sei mesi (tendenzialmente cronica o recidivante), dalla persistenza di sintomi di alterazione del pensiero, del comportamento e dell'affettività, con una gravità tale da limitare le normali attività della persona. È da tenere presente che schizofrenia è un termine piuttosto generico che indica non una entità 32


nosografica unitaria, ma una classe di disturbi, tutti caratterizzati da una certa gravità e dalla compromissione del cosiddetto "esame di realtà" da parte del soggetto. A questa classe appartengono quadri sintomatici e tipi di personalità anche molto diversi fra loro, estremamente variabili per gravità e decorso. La schizofrenia colpisce in media più frequentemente soggetti nella tarda adolescenza e nella prima fase dell'età adulta (nel 75% dei casi l'esordio avviene tra i 15 e i 35 anni, mediamente più tardi nelle donne), ma alcune forme colpiscono prevalentemente persone adulte o di mezza età. È una malattia ubiquitaria, riscontrata in ogni epoca e cultura. Il suo tasso di prevalenza varia tra lo 0,6% e lo 0,8% della popolazione generale. Accanto alla schizofrenia, che rappresenta la patologia psicotica più comune, le psicosi possono esistere in comorbilità con altre patologie di tipo internistico o neurologico. Le psicosi “organiche”, anche dette “secondarie a patologie internistiche o neurologiche”, rappresentano, dopo la schizofrenia, la seconda patologia caratterizzata da disturbi allucinatori e/o deliranti. Nell'ambito delle psicosi “organiche” va collocato anche il delirium tremens. Si tratta di un sintomo che si manifesta in circa il 5% dei casi di sindrome da astinenza in pazienti assuefatti all'alcool. Il delirium tremens è costituito principalmente da stato confusionale con disorientamento spazio-temporale, tremore, allucinazioni. I disturbi psicotici di origine “organica” o secondaria stanno diventando sempre più comuni. Ad esempio, in Italia è stato calcolato che ci sono circa 33


700.000 pazienti colpiti da demenza e di questi circa un terzo manifesta sintomi psicotici. Dal punto di vista clinico, la sintomatologia delle psicosi secondarie è costituita da allucinazioni e deliri ma, quasi sempre, rispetto alle sindromi psichiatriche schizofreniche, manca il repertorio completo dei sintomi positivi e negativi. Per tale ragione queste psicosi, quando anche si presentano con un quadro psicopatologico abbastanza strutturato in senso psicotico, vengono etichettate come “simil-schizofreniche” (schizophrenia-like psychosis). Spesso nelle psicosi associate a patologie neurologiche si hanno quadri psicopatologici misti, nei quali coesistono oltre ai disturbi del pensiero e della percezione, disturbi dell'umore (depressione o mania), disturbi dell'attenzione (fino ad arrivare agli stati confusionali), disturbi cognitivi (come per es., nelle demenze). Un'altra malattia che sembra di "moda" in questi tempi, in specie tra i giovani, è la depressione. Essa è, in effetti, un problema con il quale il mondo moderno si confronta, essendo questo uno tra i disturbi psicologici più diffusi ai giorni nostri: si calcola infatti che circa il 20% della popolazione presenterà un episodio depressivo nel corso della sua vita. Si tratta di un disturbo dell'umore caratterizzato da un insieme di sintomi cognitivi, comportamentali, somatici ed affettivi che, nel loro insieme, sono in grado di diminuire in maniera da lieve a grave il tono dell'umore, compromettendo il "funzionamento" di una persona, nonché le sue abilità ad adattarsi alla vita sociale. La depressione spesso si manifesta con sintomi non facilmente riconosciuti come indicativi di una patologia specifica, con conseguente ritardo nel34


l’effettuazione di una corretta diagnosi e nell’inizio di una cura appropriata. L'episodio depressivo maggiore è caratterizzato da sintomi che durano almeno due settimane causando una compromissione significativa del funzionamento sociale, lavorativo o di altre aree importanti. La depressione può presentarsi in forma di un singolo episodio transitorio (si parlerà quindi di episodio depressivo) oppure di un vero e proprio disturbo (si parlerà quindi di disturbo depressivo), e che sono a loro volta caratterizzati da una maggiore o minore gravità. Quando i sintomi sono tali da compromettere l'adattamento sociale si parlerà di disturbo depressivo maggiore, in modo da distinguerlo da depressioni minori che non hanno gravi conseguenze e spesso sono normali reazioni ad eventi negativi. Umore depresso, mancanza di autostima, incapacità di provare piacere, sono tra i sintomi depressivi più comuni che possono essere accompagnati da sintomi somatici quali perdita di energia, disturbi del sonno, lamentele fisiche, disturbi alimentari con conseguenti variazioni di peso, mal di testa, dolori articolari, addominali o altri tipi di dolore, alterazioni cognitive o difficoltà a concentrarsi. Tali disturbi interferiscono spesso con la capacità individuale di svolgere le normali attività giornaliere ed apprezzare attività ritenute precedentemente piacevoli. Nei casi più gravi non sono infrequenti ricorrenti pensieri di morte o ideazioni di tipo suicida o autolesionista. Nella maggior parte dei casi la depressione si configura come disturbo depressivo maggiore, cioè un decorso clinico caratterizzato da più epi35


sodi depressivi maggiori; in almeno la metà dei casi, infatti, un episodio depressivo maggiore sarà seguito da un ulteriore episodio depressivo, portando quindi alla formazione di un disturbo depressivo. In queste specifiche sintomatologie le funzioni cognitive risultate più compromesse in seguito a studi di valutazione delle prestazioni e a test neuropsicologici sono l’attenzione, l’apprendimento e la memoria (working memory verbale e spaziale, memoria a breve e lungo termine, immagazzinamento, manipolazione, recupero). Risultano compromesse anche le funzioni esecutive (fluenza verbale, processi di inibizione, capacità di pianificazione e sequenziamento, problem solving, decision making), la velocità di elaborazione e la velocità psicomotoria. La causa scatenante potrebbe essere l'assunzione di sostanze tossiche comprese le cosiddette "droghe leggere": la canapa indiana e derivati, l'ecstasy (nome scientifico MDMA) ma anche l'hashish, il tabacco, gli psicofarmaci e l'alcool. Alcuni deficit sembrano essere persistenti anche dopo l’intossicazione. Inoltre è stato descritto (Ramaerkers et al, 2008) che la storia d’uso della sostanza determina la risposta a livello cognitivo e comportamentale ad ogni singola dose assunta. Le evidenze suggeriscono inoltre che gli individui che iniziano a consumare cannabis in età precoce possono essere più vulnerabili a deficit neuropsicologici duraturi rispetto ai soggetti che hanno iniziato ad usarla successivamente (Porath-Waller 2009). Gli studi sugli effetti che l’uso di cannabis comporta per le funzioni cognitive evidenziano la comparsa di deficit nell’attenzione sostenuta, nell’ap36


prendimento, nella memoria, nella flessibilità mentale e nella velocità di processamento delle informazioni13. Solowij (2010) afferma che il deficit di apprendimento e memoria nei consumatori probabilmente riflette i neuroadattamenti e le alterazioni delle funzioni del sistema cannabinoide endogeno. Gli studi sull’uomo indicano che più è precoce l’inizio d’uso di cannabis, maggiori e più gravi sono le conseguenze cognitive associate (Ehrenreich et al., 1999). Le argomentazioni scientifiche che possono essere prodotte per dimostrare quanto le sostanze possono essere dannose per il proprio cervello e quindi per la mente sono moltissime ma spesso di difficile comunicazione e spiegazione per la loro complessità scientifica. Una informazione su tutte però appare particolarmente comprensibile nella sua drammatica chiarezza: il cervello comincia la sua maturazione acquisendo gli stimoli del mondo esterno a partire dalla nascita, ma completa tale processo tra i 20 e i 21 anni con importanti varianti individuali. Come è comprensibile, durante questo processo le cellule cerebrali sono particolarmente sensibili e la loro fisiologia e naturale maturazione può venire facilmente alterata e deviata dai forti stimoli provenienti dall’esterno quali quelli prodotti dalle droghe e dall’alcol. Va anche chiarito che tutte le sostanze stupefacenti sono psicoattive e in grado, pure a basse dosi, di interferire con questa maturazione cerebrale. E' che dobbiamo considerare la circostanza che mentre le cellule cerebrali maturano e le relazioni tra esse si consolidano, la persona sviluppa sempre di più la sua personalità e il suo funziona13

Fletcher et al., 1996, Pope & Yurgelun 1996, Solowij et al., 2002.

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mento mentale. Appare, quindi, evidente che, se il cervello di un ragazzo in piena maturazione, viene continuamente sottoposto a sostanze in grado di stimolare enormemente e intossicare le cellule nervose in evoluzione (e quindi particolarmente sensibili) non potrà avere uno sviluppo fisiologico ma sarà deviato dalla sua naturale evoluzione. Quindi, i danni che queste sostanze sono in grado di produrre nel cervello dei più giovani scardinano importanti e delicati sistemi neuropsicologici all’interno di un sistema cerebrale in piena maturazione, creando, oltre a documentabili danni fisici, anche il persistere di percezioni alterate del proprio essere e del mondo esterno. Queste percezioni vengono memorizzate dall’individuo creando quindi una distorsione cognitiva che può permanere per moltissimo tempo se non addirittura per tutta la vita, condizionando il “sentire”, il “pensare”, il “volere” e, in ultima analisi, il proprio comportamento. Molti ragazzi usano nell’età dell’adolescenza droghe e alcol esponendo sé stessi, quindi, ad una violenza neurologica e psichica di cui ignorano sicuramente la gravità. Ne deriva, statistiche alla mano, che il 75% dei disturbi mentali si manifesta entro il venticinquesimo anno di età e riguarda i giovani che rappresentano il 27% della popolazione mondiale. Considerando che i disturbi mentali si evidenziano durante le fasi della crescita fino all'età adulta, è opportuna una riflessione sull'adeguatezza dei servizi di salute mentale rivolti a bambini, adolescenti ed adulti al fine di assicurare continuità delle cure. Gli addetti ai lavori sono consapevoli di questi 38


danni provocati alla salute umana e per stimolarne la sensibilità non mancano convegni e dibattiti volti a evidenziare pericoli potenziali a carico delle nuove generazioni. In una recente Conferenza il dialogo è stato aperto con gli operatori del settore per aumentare la consapevolezza e le loro conoscenze sulle problematiche e le possibilità di promuovere lo sviluppo di modelli che garantiscano la continuità e specificità delle cure. Così accade che la salute è messa a dura prova quotidianamente mentre altri fattori vi interferiscono accentuando alcune forme di morbilità e tra queste la depressione che interessa per lo più i giovani e le demenze per gli anziani. Entrambi, tra l'altro, sono importanti cause di invalidità e per quanto riguarda la demenza essa è la quarta causa di morte negli ultrasessantacinquenni. In Europa si stima che la malattia di Alzheimer, che da sola costituisce il 54% di tutte le demenze, colpisca in prevalenza la popolazione ultrasessantacinquenne. Questa patologia aumenta con l’età e risulta maggiore nelle donne. Nel sistema nervoso dei pazienti di demenza di Alzheimer si possono osservare diverse alterazioni microscopiche. Tali alterazioni sono presenti anche nel cervello di persone anziane che non presentano disturbi delle facoltà mentali, ma i quadri che si osservano nelle forme di Alzheimer sono molto più gravi e le lesioni molto più numerose di quanto non lo siano nel sistema nervoso di persone anziane che non presentano disturbi funzionali. Uno dei segni patologici distintivi del morbo di Alzheimer è costituito dalla presenza di placche 39


senili che si accumulano nel cervello all'esterno delle cellule. Le caratteristiche più salienti di queste placche sono la presenza di sostanza amiloide e di un ammasso irregolare di processi neuronali e gliali lassamente aggregati. Per dare un'idea di ciò che parliamo basti pensare che nel sistema nervoso centrale gli assoni e i dendriti sono così strettamente intrecciati tra loro che è impossibile determinare con esattezza il loro sito d'origine e la loro terminazione mediante osservazione diretta. Va tuttavia precisato che oggi esistono metodi che permettono di marcare, negli animali da esperimento, una specifica popolazione neuronale e che permettono di condurre importanti acquisizioni neuroanatomiche. Le metodiche in proposito sono diverse. Tutto ciò dimostra che le cause della demenza possono essere molteplici e perciò la sua diagnosi non indica di per sé la presenza di una malattia specifica. La demenza non è una conseguenza inevitabile dell'invecchiamento. Infatti la maggior parte degli individui invecchia senza andare incontro a perdite significative delle capacità intellettive. Tuttavia la comparsa della demenza è legata all'età. Una diagnosi sicura del morbo di Alzheimer si può fare soltanto con l'esame autoptico con il cervello e con il riscontro delle caratteristiche alterazioni morfologiche. Gli stadi finali della malattia, caratterizzati dal vuoto mentale e dalla perdita del controllo di tutte le funzioni organiche, possono non intervenire prima di 5-10 anni dall'inizio della malattia. 40


Capitolo terzo La follia nell'età classica

Se dovessi citare tutti gli autori che dall'antichità ad oggi si sono cimentati nei loro romanzi e saggi sul tema della follia ci vorrebbe una pubblicazione imponente che esula, tra l'altro, dalle mie più modeste intenzioni. Mi limito a uno solo: Paul-Michel Foucault. Potrei dire che l'ho fatto perchè è un mio contemporaneo, e in un certo senso l'intenzione è questa, ma dovrei subito dopo aggiungere che ritengo sia l'uomo giusto per il tempo che ha vissuto, per l'essere un francese che suppongo più affine al mio modo di pensare e più ancora alle influenze culturali transalpine che hanno dominato i miei anni giovanili e al fatto che sia stato un uomo di sinistra. Egli nacque il 15 ottobre del 1926 a Poitiers in Francia. Fu il secondogenito di una famiglia della media borghesia francese composta da tre figli. Suo padre e i suoi nonni erano chirurghi mentre sua madre ebbe il merito d'influire sensibilmente sull'educazione del figlio che dopo aver frequentato una scuola cattolica alle primarie, studiò filosofia con Louis Girard ed entrò nel prestigioso Lycée Henri-IV di Parigi. Nel 1946, dopo appena un anno dalla fine della seconda guerra mondiale, Foucault fu ammesso all'École Normale Supérieure classificandosi tra i primi quattro e dove si laureò in filosofia nel 1948 e nel 1950 in psicologia. Ebbe la fortuna di studiare con Maurice Merleau-Ponty e Louis Althusser. 41


Il primo ebbe una formazione influenzata dal pensiero di Edmund Husserl, che però egli interpretò in maniera originale, e di Max Scheler. E' da notare, inoltre, il rapporto di Foucault con Sartre, Simone de Beauvoir e altri intellettuali della Parigi degli anni '40, coi quali condivise un clima culturale che permeò il suo pensiero. Sartre, come si sa, è stato un filosofo francese considerato uno dei protagonisti dello strutturalismo. Da giovane Foucault condusse un'esistenza molto travagliata. Più volte tentò il suicidio e abusò di alcolici. Visse, tra l'altro, la sua omosessualità in maniera complessa. Ritengo che la sua svolta culturale abbia avuto inizio negli anni cinquanta allorché studiò i testi di Nietzsche e di Heidegger. E' anche il periodo in cui si iscrisse al partito comunista francese e nel 1952 lavorò come psicologo al servizio psichiatrico del professor Jean Delay a l’hopital Sainte-Anne a Parigi. Scelse tra il 1954 e il 1958 la via dell'insegnamento della lingua francese nelle università di Uppsala (Svezia, dove ebbe una relazione con il compositore Jean Barraqué), Varsavia e Amburgo. Ma l'anno che più mi interessa è stato il 1961 allorché presentò la "Storia della follia nell'età classica" come tesi principale diretta da Georges Canguilhem e l'Introduzione alla «Antropologia» di Kant sotto la direzione di Jean Hyppolite. "Goffman14 sosteneva che ciò che consideriamo sintomo di malattia mentale è la violazione del14

Erving Goffman (Mannville, 11 giugno 1922 – Filadelfia, 19 novembre 1982) è stato un sociologo canadese. Il principale contributo di Goffman alla teoria sociale è la sua formulazione dell’interazione simbolica nel suo La vita quotidiana come rappresentazione (The Presentation of Self in Everyday Life) del 1959. E' stato Autore, nel 1961, del testo Asylums. Le istituzioni totali: i

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le regole cerimoniali della vita quotidiana. Una violazione grave e consistente di queste regole è innanzitutto ciò che fa si che una persona sia messa in ospedale psichiatrico. Coloro che hanno compiuto violazioni più gravi sono tenuti in "reparti arretrati" mentre coloro che sono considerati meno "malati", o in via di guarigione, sono messi in un "buon reparto", dove sono maggiormente osservate le regole dell'interazione ordinaria.15" A partire da tali considerazioni, Foucault traccia un'idea della storia della malattia nel Quindicesimo secolo, e dell'accresciuto interesse per la detenzione in Francia nel Diciattesimo secolo.

hôpital général meccanismi dell'esclusione e della violenza (Asylums: Essays on the Condition of the Social Situation of Mental Patients and Other Inmates) - che sarà il capostipite di un filone di pensiero - per il quale aveva attinto informazioni all'Istituto d'igiene mentale di Washington, descrive la "istituzionalizzazione" come la reazione dei pazienti alle strutture burocratiche di un'istituzione ospedaliera. (Fonte Wikipedia) 15 Randall Collins

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La sua attenzione si accentra soprattutto sulla fondazione per decreto (1646) di un hôpital général, che servirà da luogo d'internamento per folli, ma anche per poveri, e criminali. Il luogo sarà al contempo foriero di repressione e di carità. Tutte queste "confusioni" sollevano indubbiamente degli interrogativi. Ben presto venne anche fornita una risposta. Vi sono stati, sì, dei luoghi riservati ai soli pazzi: l'Hôtel-Dieu accoglierà solo alienati; Bethlem Royal Hospital a Londra accoglierà solo lunatici, ma nella generalità dei casi i folli, i furiosi saranno mescolati, confusi con gli altri internati, semplicemente in una sorta di prigione. Si tratta allora di analizzare la differenza tra questi due luoghi. Quando sono internati solo folli, si tratta proprio di una volontà medica, quel che non avviene negli altri casi. C'è di più: Foucault suggerisce che il senso di confusione che ci ispira l'internamento è il riflesso di una visione inesatta; non dobbiamo pretendere di valutare l'età classica con i paradigmi buoni per la modernità. Si tratta soprattutto di comprendere, non un errore dell'età classica, ma anzi un'esperienza omogenea dell'esclusione, dei segni positivi, una coscienza positiva. E seguendo questo filone di pensiero Foucault dedica speciale attenzione al modo in culo status di folle evolve dalla figura accettata — se non addirittura "riconosciuta" — nell'ordine sociale, alla figura dell'escluso, malato da rinserrare tra quattro mura. Egli studia le diverse maniere e i differenti tentativi di trattamento dei folli, e si documenta con le 44


opere di Philippe Pinel16 e Samuel Tuke17. Foucault è netto nel classificare i trattamenti suggeriti dai due pensatori come non meno autoritari di quelli caldeggiati dai loro predecessori. Il ricovero ed i metodi descritti da Tuke si risolvono essenzialmente nel castigo dei folli, perché imparino a comportarsi normalmente: sono costretti effettivamente a comportarsi in modo perfettamente sottomesso e conforme alle regole accettate. Analogamente, il trattamento spiegato da Pinel sembra una versione puramente estesa della terapia dell'aversione, compresi trattamenti quali docce gelate e camicie di forza. Foucault ravvisa in tali metodi una mera brutalizzazione reiterata del pa16

Philippe Pinel (Jonquières, 20 aprile 1745 – Parigi, 25 ottobre 1826) è stato uno psichiatra francese. È considerato un innovatore della psichiatria per la nuova concezione che egli introdusse nei riguardi del malato mentale separandolo da altre figure di emarginati sociali con i quali veniva comunemente associato. (Fonte Wikipedia) 17 Samuel Tuke (31 luglio 1784-14 ottobre 1857) è stato un Quaker filantropo e riformatore salute mentale. E 'nato a York, in Inghilterra. Ha notevolmente avanzato la causa del miglioramento della condizione del folle, e si dedicò gran parte alla Retreat York (Fonte Chisholm, Hugh, ed. (1911). Enciclopedia Britannica (11 ° ed.). Cambridge University Press e Wikipedia). The Retreat occupa un posto centrale nella storia della psichiatria. Ogni libro di testo sull'argomento cita la parte unico svolto dalla nostra organizzazione nel rimodellamento degli atteggiamenti nei confronti delle persone che sono malati di mente. Inaugurato nel 1796 da William Tuke, un mercante di tè in pensione, il Ritiro originale è stato destinato ad essere un luogo in cui i membri della Società degli Amici (Quaccheri) che stavano vivendo disagio mentale potrebbe venire e recuperare in un ambiente che potrebbe essere sia familiare e simpatico alle loro esigenze. Alcuni anni prima, un Leeds Quaker, Hannah Mills, era morto in condizioni squallide e disumane che poi prevalso nella York Asylum, e sgomento a questo Tuke e la sua famiglia giurato che mai più debba qualsiasi Quaker essere costretto a subire tale trattamento.

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ziente, in cui si rievoca la struttura del giudizio e della punizione18. E' un racconto crudo di una storia di una pazzia trattata da chi considera il malato un "diverso", un difetto della natura da voler cancellare dalla vista della gente normale e che invece oggi dovremmo persino superare lo "stadio di malattia" considerato da Freud per capire sino in fondo se i pazzi non siamo noi con i nostri comportamenti schizofrenici, le nostre violenze ammantate da perbenismo che permettono a milioni di bambini di morire di fame e di sete e nell'aver impedito alle loro rispettive famiglie di accedere alle medicine salvavita per mancanza di un reddito da lavoro e dove il lavoro non si trova. Alla fine, la follia sarà riconosciuta quale malattia dell'anima, e con Sigmund Freud quale malattia mentale. A voler ben considerare abbiamo persino snaturata la pazzia nei suoi "valori più alti", di quelli che pur follemente perdendoci nei nostri atti quotidiani ci permette di rifugiarci nella pazzia pur di uscire da questa "gabbia di matti". Ma come scrittore Foucauld non si ferma qui. Nel 1963 pubblica "Nascita della clinica" un’archeologia dello sguardo medico (Naissance de la clinique). E' a suo dire: "Une archéologie du regard médical". A questi lavori si aggiungono altre pubblicazioni e la sua fama si fa grande sino a diventare "un mostro sacro della cultura francese" con l'elezione alla cattedra di Storia dei Sistemi di Pensiero al Collège de France19. 18

Fonte Wikipedia Tutti i professori del Collège de France hanno l’obbligo di impartire 26 ore di insegnamento all'anno (che possono essere svol-

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Foucault muore a Parigi a causa di una malattia legata all’AIDS, il 25 giugno 1984. La sua produzione può essere divisa generalmente in due periodi: il primo relativo alle teorie raccolte nelle opere Storia della follia nell'età classica, "Nascita della clinica", "Le parole e le cose" e "L'archeologia del sapere". In queste opere Foucault propone un'analisi ch'egli definisce "archeologica", dei processi di costituzione e di formazione del "sapere" di un certo momento, in un certo luogo, per una certa disciplina. In particolare Foucault analizza il formarsi del campo di studi delle "scienze umane". Per la realizzazione di quest'analisi egli introdurrà, tra gli altri, il concetto di "episteme", col quale indicherà l'insieme delle formazioni discorsive performanti per i sistemi concettuali di una determinata epoca storica, in un determinato contesto geografico e sociale. A partire dall'episteme, secondo Foucault, diviene possibile che solo certi "giochi di verità" abbiano luogo e non altri. Un esempio di disciplina che, nella nostra epoca e cultura, fornisce epistemi, è la psicoanalisi freudiana che ricorre spesso nell'opera dell'autore oltre che come esempio di scienza in grado di produrre conoscenza, anche cote in forma di seminari di 13 ore al massimo). I docenti devono presentare ogni anno una ricerca originale, e ciò li costringe a rinnovare ogni volta il contenuto del loro insegnamento. La partecipazione ai corsi e ai seminari è del tutto libera; non richiede né iscrizione né titoli di studio, ma nemmeno gli insegnanti ne rilasciano alcuno. Nel vocabolario del Collège de France si dice che i professori non hanno studenti, ma solo degli uditori. Nei corsi Foucault lavora sia con i materiali teorici che porteranno alla creazione di Sorvegliare e punire, sia con quel concetto di biopotere (a cominciare dal corso del 1976, Bisogna difendere la società (Il faut défendre la société) che sarà il lascito più scottante per la teoria critica a venire.

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me fonte di esercizio di potere nel limitare la libertà critica, sfruttando la propria autorità di disciplina consolidata. Il secondo periodo della sua produzione è invece direttamente interessato all'esercizio del potere e al suo funzionamento. Visse il 1968 fuori dalla Francia, ma partecipò alla temperie culturale seguente, come pensatore di prestigio oltre che accademico riconosciuto. Risente della cultura marxista, ma ribalta completamente il discorso sul soggetto della storia, non riconoscendo una classe repressa portatrice inevitabile di sviluppo, come in Marx. Foucault elabora piuttosto una "microfisica del potere", nella quale il potere "non è qualcosa che si divide tra coloro che lo possiedono o coloro che lo detengono esclusivamente e coloro che non lo hanno o lo subiscono. Il potere deve essere analizzato come qualcosa che circola, o meglio come qualcosa che funziona solo a catena. Non è mai localizzato qui o lì, non è mai nelle mani di alcuni, non è mai appropriato come una ricchezza o un bene. Il potere funziona, si esercita attraverso un'organizzazione reticolare". Il concetto di potere espresso da Foucault è profondamente attuale, essendo una sorta di campo relazionale mai gestito da qualcuno (il capitalista, il prete...). È prima di tutto un discorso (una proliferazione di discorsi) portato verso una direzione in seguito a stratificazioni di un senso piuttosto che un altro. Qualcosa che condiziona ma che lascia margini di gioco, di distorsione, di sviluppo. Il tema della conoscenza è centrale nel pensiero di Foucault, che ad 48


essa lega la storia stessa della cultura dell'Occidente con riferimenti all'esercizio del potere tramite la gestione della verità effettuati ad esempio dalla Chiesa o dalla scienza positiva. Una rivoluzione della conoscenza e della "verità" porta inevitabilmente dei cambiamenti forti nella essenza stessa della società e della sua cultura. Cosicché la storia si viene a delineare come costituita da momenti di grave crisi delle "verità" seguiti da periodi di relativa stabilità in cui una serie di "discorsi" domina su altri. Il "discorso", quindi, si viene a delineare come una costruzione basata su degli epistemi tramite il quale viene esercitato un potere e rispetto al quale, per la difesa di questo discorso, esistono una serie di tecniche e procedure, tra cui l'interdetto ossia il divieto di trattare certi argomenti: la creazione dei tabù, oppure il rapporto con i discorsi dei folli, che in quanto tali non vengono presi in considerazione oppure caricati di valori misteriosi, ma mai trattati. Foucault, quindi, vale per me doppio come un "saggista della follia" e per aver scandagliato il pensiero politico del suo tempo che è stato, entro certi limiti temporali, anche il mio. In entrambi i casi le ricadute sull'equilibrio psichico dell'essere umano sono state importanti e gravi. Penso ad esempio a quanto peggiora la salute mentale degli italiani per effetto della crisi, mentre quella fisica rimane stabile. Lo afferma l’indagine Istat «Tutela della salute e accesso alle cure» presentata di recente a Roma. «La depressione è il problema mentale più diffuso e riguarda 2,6 milioni (il 4,4% della popolazione) di persone con prevalenze doppie tra le donne in tutte le 49


età. L’indice che definisce la salute mentale, spiega il documento, è sceso di 1,6 punti nel 2013 rispetto al 2005, in particolare per i giovani fino a 34 anni (-2,7 punti), soprattutto maschi, e gli adulti tra 45-54 anni (-2,6). Ancora maggiore il calo per la popolazione straniera, dove arriva tra le donne a 5,4 punti. Per quanto riguarda la salute fisica percepita il dato è sostanzialmente stabile, con il 7,3% delle persone sopra i 14 anni che dichiara di stare male o molto male, in leggero calo rispetto al 7,4% del 2005. «Rimangono invariate - sottolinea il rapporto - le disuguaglianze sociali nella salute, nei comportamenti non salutari, nelle limitazioni all’accesso ai servizi sanitari. Permane lo svantaggio del Mezzogiorno rispetto a tutte le dimensioni considerate». Eventi dolorosi, consapevolezza di avere una grave malattia, la difficoltà di gravi problemi economici, la perdita del lavoro sono le cause di depressione più diffuse. E' che al cospetto di questi scenari non posso non ripetere il discorso che ho sempre fatto è che nell'ansia di affermare come incrollabile il diritto alla vita si è perso di vista un altro diritto ad esso collegato a filo doppio che è il diritto a vivere. Il lavoro, ad esempio, non è un optional ma una necessità perché solo con il lavoro noi riusciamo ad interagire con il prossimo, a garantirci l'accesso ai beni primari: alimentazione, istruzione, un tetto sotto cui ripararsi dalle intemperie. Sono semmai un optional i beni secondari ovvero quelli per i quali se ne facciamo a meno non minacciano la nostra vita ma semmai la rendono più comoda. E' proprio sulla possibilità di garantire a tutti un modulo di vita che ci consenta di vivere che si gioca tutta la partita della nostra presenza sulla terra. 50


Capitolo quarto Il ricordo della paura e la paura che non si controlla è follia?

E' stata scoperta la proteina che tiene traccia del ricordo della paura. La ricerca è italiana. E' stata guidata da Piergiorgio Strata20 e i lavori sono stati pubblicati sulla rivista "Neuron". Lo studio è stato realizzato dall'Università di Torino e dalla Fondazione S. Lucia di Roma. La paura, come il dolore, è un meccanismo di difesa che ci aiuta a prevenire pericoli e situazioni peggiori, ma può anche essere una malattia che fa vivere in uno stato di eterna ansia. Negli esperimenti condotti sui ratti è noto che suoni associati a leggere e fastidiose scosse elettriche sono memorizzati, dopo una fase di apprendimento, come una "lezione di 20

Strata, Piergiorgio. – Medico italiano (n. Albenga, 1935). Conseguita la laurea in medicina e chirurgia nel 1960 presso la Scuola Normale Superiore di Pisa, collaborò (1965-67) con J. Eccles a Canberra e Chicago. È stato prof. di fisiologia all’Univ. di Pisa (1967-75) e poi all’Univ. di Torino (1975-95), dove è prof. di neurofisiologia dal 1996. Le sue ricerche riguardano in partic. la neurofisiologia del cervelletto, i meccanismi della memoria e la plasticità neuronale. Dal 2008 è presidente dell’Istituto nazionale di neuroscienze e direttore dell’EBRI (European Brain Research Institute). Ha ricoperto numerosi incarichi come rappresentante del Governo italiano in comitati internazionali e programmi di ricerca sulla salute. Ha ricevuto numerosi premi, tra cui nel 2004 il premio Antonio Feltrinelli dell’Accademia dei Lincei. (Fonte Enciclopedia Treccani)

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pericolo". Alla fine dell'esperimento, anche il solo suono induce negli animali uno stato di paura e di ansia. In questo contesto la formazione dei ricordi, associati ad eventi traumatici, è mediata da una struttura posta nella profondità del nostro cervello e che l'uomo ha ereditato dai rettili. Si tratta dell'amigdala. Essa regola gli stati emotivi di paura ed ansietà, mentre alterazioni della sua funzione inducono patologie quali attacchi d'ansia, depressione ed autismo. E proprio da qui parte lo studio condotto su topi dal citato gruppo di ricercatori universitari Benedetto Sacchetti, Bibiana Scelfo e Filippo Tempia, guidati dal Professor Piergiorgio Strata. Essi hanno dimostrato che la memoria di un evento che provoca paura è accompagnata da modificazioni stabili in un particolare tipo di sinapsi (formata dalle fibre parallele e dalla cellula di Purkinje21). 21

Le Cellule di Purkinje o neuroni di Purkinje sono una classe di neuroni GABAergici (ovvero utilizzanti il neurotrasmettitore GABA) situati nella corteccia cerebellare, più precisamente nella parte intermedia della stessa, lo strato gangliare. Sono neuroni inibitori che regolano i movimenti complessi e coordinati, impedendo un movimento troppo brusco. Prendono il nome dal loro scopritore, l'anatomista ceco Jan Evangelista Purkyně, che li individuò tra le prime cellule nervose - nel 1837. Le cellule del Purkinje sono alcuni tra i più grandi neuroni del cervello umano (i più grandi sono le cellule di Betz); sono dotate di un intricato complesso di arborizzazioni dendritiche, caratterizzato da un gran numero di spine dendritiche. Le Cellule del Purkinje si trovano all'interno dello strato di Purkije del cervelletto, dove sono allineate come pezzi del domino posti uno di fronte all'altro. Le loro grandi arborizzazioni dendritiche formano degli strati quasi bidimensionali attraverso cui passano le fibre parallele dagli strati più profondi. Queste fibre parallele hanno le relativamente più deboli sinapsi eccitatorie (glutamatergiche) collegate alle dendriti delle cellule di Purkinje, mentre le fibre rampican-

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A sua volta tale sinapsi possiede in esclusiva una specifica proteina (la subunitĂ delta2 del recettore del glutammato, codificata dal gene GRID2 la cui mutazione provoca atassia cerebellare); quando questa manca l'aMicrocircuito del cervelletto. Le sinapsi eccitatorie sono indicate con un nimale "impara" la (+) e le sinapsi inibitorie con un (-). reazione di paura MF: Fibra muscoide. acquisita ma poi la DCN: Nuclei cerebellari profondi. dimentica, mentre IO: Oliva inferiore. CF: Fibra rampicante. la paura innata riGC: Cellula dei granuli. mane intatta. VenPF: Fibra parallela. gono pertanto conPC: Cellula di Purkinje. GgC: Cellula del Golgi. fermate alcune reSC: Cellula stellata. centi ricerche che BC: Cellula a canestro. hanno dimostrato (fonte Wikipedia) l'importanza del cervelletto anche nel controllo delle emozioni e non soltanto nella regolazione dei movimenti, come sostenuto per lungo tempo. Negli animali la stimolazione del cervelletto ha provocato reazioni comportamentali indicative di un aumentato stato di paura. Nell'uomo la stessa stimolazione evoca sintomi psicotici, mentre in pazienti ti provenienti dal nucleo olivare inferiore nel midollo forniscono un input eccitatorio molto potente a dendriti prossimali e soma cellulare. (fonte Wikipedia)

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con lesioni in questa sede sono stati documentati gravi disturbi della sfera emotiva (ad esempio depressione ed autismo). Il cervelletto è inoltre in grado di regolare direttamente e indirettamente l'attività dell'amigdala e, come dimostrato per la prima volta con questo studio, è coinvolto nella formazione dei ricordi legati alla paura. "L'identificazione di un sito così specifico per il consolidamento della memoria della paura apre la via - ha dichiarato il Professor Strata - alla manipolazione della proteina coinvolta e alla possibilità d'interferire con i fenomeni di paura ed ansia. A livello per ora del tutto teorico, la manipolazione di tale proteina potrebbe farci dimenticare esperienze sgradevoli che possono influenzare negativamente il nostro stato psichico. Altra prospettiva, sulla quale attualmente lavoriamo, riguarda lo studio dei meccanismi molecolari della modificazione sinaptica associata alla memorizzazione della paura dimostrata in questo lavoro". Lo studio effettuato dai ricercatori di Torino e Roma fa parte di un vasto progetto per studiare i meccanismi della memoria e dell'apprendimento a livello di modificazioni che avvengono nelle sinapsi (plasticità sinaptica); tali studi sono di fondamentale importanza per i processi di riabilitazione. Il progetto è sostenuto dal Ministero dell'Università e della Ricerca e dal Ministero della Salute attraverso la Fondazione Santa Lucia. Sin qui la notizia che ho riportato, come faccio di consueto, in specie se si tratta di una ricerca medico-scientifica, ma ho voluto in qualche modo scavare più a fondo ritenendo che tale percorso po54


trebbe aprire la strada ad altre riflessioni proprio sul tema della follia che ho posto al centro delle mie attenzioni in questo mio lavoro. Da qui l'idea che la scoperta della proteina che tiene traccia del ricordo della paura apre, a mio avviso, un percorso cognitivo estremamente interessante per spiegare ed anche estendere in altri campi comportamentali i vari atteggiamenti umani e la loro capacità d’incidere sulla “ereditarietà” e, per chi ci crede, sulla “reincarnazione”. Mi riferisco, quindi, alla varietà e complessità delle implicazioni che possono scaturirne sulla condotta umana, sulla sua atavica aggressività e per finire su certe fobie in apparenza “inspiegabili” come quella di attraversare la strada, di prendere un aeromobile, di soffrire di claustrofobia, ecc. Le stesse risposte aggressive ed asociali possono derivare da tale nostro “rapporto” con il passato e la traccia che ne deriva potrebbe avere una sua origine in qualche parte del nostro cervello o, per meglio dire, da “un particolare tipo di sinapsi (formata, ad esempio, come nel caso citato, dalle fibre parallele e dalla cellula di Purkinje)”. Cerco, percorrendo questo tratto, e sono anni oramai che lo faccio, di capire in senso “letterario” o se vogliamo “psicologico e sociologico” taluni comportamenti fino a quelli estremi che interessano la psicologia criminale e, in senso lato, la criminologia. Probabilmente si tratta di una deformazione professionale avendo fatto per anni il cronista e l’opinionista ed avuto per questo motivo rapporti continui con personaggi che mi hanno colpito soprattutto per il fatto che sembravano avere due specifiche personalità: quella in apparenza invisibile ed impal55


pabile che si scatenava solo in particolari momenti o per via di “messaggi chiave” stimolanti l’effetto morboso o maniacale (è il caso di taluni serial killer) e la seconda con un risultato che denotava una forma differenziata di atteggiamento quasi “sconcertante” per chi da lungo tempo, a detta di taluni testimoni, non aveva dato adito ad atti men che corretti o, se vogliamo, ossequienti ad un condiviso codice di comportamento. D’altra parte le cronache anche recenti, in specie quelle a sfondo criminale, ci sorprendono di continuo allorché interpellando i vicini ed anche i parenti si dice di un padre che era buono ed affettuoso, o di una madre attaccatissima ai figli e che pure li hanno uccisi e, a volte, crudelmente e senza un attimo di esitazione. E persino appaiono tremendamente sinceri dichiarando, in qualche caso, che non ricordano o rimuovono del tutto l’atto violento gridando, convinti, la loro innocenza. Forse, e non solo con un po’ di fantasia, potremmo dire che la prova, similarmente a quanto accade con le impronte digitali, potremmo riscontrarla accertandoci che i soggetti sospetti siano o meno “possessori” di un “particolare tipo di sinapsi”. E a questo punto dovrei fermarmi per evitare di far “degenerare” il mio ragionamento portandolo oltre i confini della conoscenza scientifica per fargli compiere il salto nella fantascienza e nell’esoterismo. Ma come si fa a non pensarci? Come si fa ad assistere alla tanta violenza che ha costellato tutta la storia dell’umanità e probabilmente ancora prima della comparsa dell’uomo sulla terra, e non cercare di comprendere il perché tutto ciò possa essere accaduto e continua, purtroppo, a verificarsi? Ora ciò 56


che mi chiedo è al tempo stesso semplice ed arduo. Semplice nella proposta, difficile nel tradurla in atti concreti in specie se i nostri impegni professionali ci offrono poco tempo a disposizione. Ciò non di meno vorrei poter coniugare le mie riflessioni con i riscontri scientifici si altri studiosi della materia per capire il possibile nesso tra chi scrive, e potremmo definirlo un teorico o anche un “fantasista dai colori molto accesi” e chi con la punta del bisturi e del microscopio elettronico o con le provette da laboratorio indaga sulle “certezze” che la scienza ci permette oggi, ancor più di ieri, e certamente potrà aprire la strada, da pionieri, agli scienziati e ai ricercatori di domani. Capire, in altre parole, il perché abbiamo avuto un Hitler o uno Stalin o un Saddam Hussein può essere un'indagine affascinante e diciamo pur sempre accademica, ma l’aspetto più interessante sarebbe soprattutto quello di comprendere se è possibile evitare che in avvenire si riproducano, in qualche modo, personaggi del genere. A questo punto mi convinco sempre di più che il mistero della vita non sta tanto sul come si nasce e si muore quanto sul perché. E su quel perché la “devianza” può impossessarsi di noi e renderci strumenti ed artefici del male come frutto proibito da cogliere necessariamente per un disegno arcano della natura o, più semplicemente, per una sinapsi che ha fatto cilecca? Nelle miei letture, mi sono spesso imbattuto in storie tremende dove la brutalità di taluni, nei confronti dei propri simili e più in generale nel mondo animale e riguardo la stessa natura, non sembrava mai toccare il fondo. La stesso progresso scientifico e tecnologico non ha costituito, in tutte le epoche del57


la storia umana, un deterrente ma ha offerto, semmai, più raffinate e sadiche modalità di pratiche aberranti. Uomini e donne sono stati scuoiati vivi, evirati, fatti a pezzi, torturati con una tale raffinatezza di mezzi e di congegni di tortura per avere avuto la sola colpa di professare un'idea diversa dal mandante del supplizio. Essi non sono vissuti solo e comunque in un mondo di barbari e selvaggi dagli occhi demoniaci, ma hanno avuto la ventura di nascere e crescere in paesi cosiddetti a democrazia compiuta, con persone ben vestite, colte e dai modi garbati. Vale per tutte queste oscenità quanto è emerso nel campo di prigionia di Guantánamo sull'isola di Cuba dove dall'11 gennaio 2002, il governo degli Stati Uniti, sotto l'amministrazione Bush, ha aperto un campo di prigionia all'interno della base, finalizzato alla detenzione di prigionieri catturati in Afghanistan e ritenuti collegati ad attività terroristiche. L'effetto a questo riguardo è stato più sconcertante perché furono imprigionati e torturati non solo i terroristi ma anche degli innocenti denunciati solo per la bramosia del delatore di riscuotere un compenso. Il risultato fu che i carcerieri si ritrovarono con confessioni fantasiose frutto della disperazione e per il vano tentativo da parte di tali soggetti di sottrarsi a tali pratiche delittuose e altri invece si trasformarono in larve umane. E' la barbarie che richiama una similare nel tentativo di frenare la prima. In questo caso il dibattito potrebbe essere aperto affrontando l'argomento da un'angolatura diversa. Tanto per cominciare si parte dalla constatazione che siamo al cospetto di forme di fanatismo collettivo esaltato per lo più da 58


un'erronea lettura di taluni classici come possono essere nel mondo cristiano e musulmano rispettivamente la Bibbia e il Corano. E la glorificazione mistica è tale che si mette in gioco la propria vita se essa è considerata sacrificabile per un ideale più alto e solenne. E il settarismo si sostiene con maggiore efficacia se l'ambiente è reso favorevole da una esaltazione collettiva dove i soggetti psicologicamente più deboli diventano delle vere e proprie vittime sacrificali così come accadeva con quelle forme di martirio rese, a volte, sino alle estreme conseguenze, nella pratica di usanze pseudo religiose dell'antichità ma che non sembrano, a tutt'oggi, del tutto avulse in certi particolari ambienti della nostra società contemporanea. Il perché si verifica questa sorta di "identificazione", attraverso la quale si attribuisce a se stessi qualità e attributi di altri, è posto da Watson in diretta relazione con gli stimoli comportamentali che lo determinano offrendo una visione meccanicistica dell'uomo in un certo senso passiva e umiliante. Per spiegare l'essere umano nella sua globalità è necessario superare il concetto di "homo natura" e risalire all'homo transcendens che comprende la finitudine della sua natura e trascende se stesso. A mio avviso noi possediamo un qualcosa di più intimamente collegato con l'esterno come se le nostre antenne riescono a captare segnali affini alle nostre compatibilità ricettive che ci permettono di identificarci con creature, non necessariamente della stessa specie, e assorbirne i messaggi, le tendenze, le opinioni, le volizioni. Ho citato, in alcuni miei lavori, tre significativi esempi di trasmissione di pensiero che mi hanno ri59


guardato personalmente. Nel primo caso mi trovavo in Australia mentre fungevo da guardia del corpo ad un incaricato al prelievo di denaro conseguente alle vendite di biglietti ferroviari nelle stazioni periferiche di Melbourne. M'imbattei improvvisamente in un balordo che con fare aggressivo era sbucato da una siepe approfittando del buio della notte e delle poche e fioche luci che ad una certa distanza da me illuminavano l'esterno della stazione dove si trovava il mio compagno esattore. Restai come paralizzato e i miei occhi s'incrociarono con i suoi. Rimanemmo immobili a guardarci per una manciata di secondi. Di colpo arretrò e si dissolse nel buio. Cosa era accaduto? Perchè non era andato oltre? Perchè era fuggito pur in presenza di una preda facile da derubare? E' un interrogativo al quale non seppi subito dare una risposta ma che mi apparve piÚ chiaro nell'episodio successivo. Ero da alcuni anni rientrato dall'Australia e mi trovavo a Roma. Mi trovavo con un amico nello studio di un notaio in attesa d'essere ricevuti e in presenza di altri clienti per lo stesso motivo. Davo di spalle alla porta d'ingresso ma colsi con un certo stupore gli sguardi degli astanti che mi erano di fronte e incominciai a realizzare l'idea di un pericolo incombente. Non feci, tuttavia, in tempo a girarmi che sentii un qualcosa di freddo che premeva sul collo e una voce secca e decisa che m'invitava a non voltarmi e informandomi che la canna della pistola pigiava su di me. Ordinò di metterci in ginocchio e di svuotare i portafogli e consegnare tutti gli oggetti di valore in nostro possesso per depositarli su un grosso fazzoletto messo per terra. Eseguimmo l'ordine e ricordo che con uno stratagemma evitai di dargli la mia fede facendola scivolare all'interno della scar60


pa. Nell'altra stanza dove si trovava lo studio del notaio, e che era in compagnia di un cliente, udii del trambusto e una voce alterata che ripeteva al suo interlocutore che non poteva aprire la cassaforte perchè la sua chiusura era a tempo ed era possibile farlo solo il mattino successivo. Eravamo alle sette di sera. La risposta fu irritata e la minaccia alquanto inquietante poichè il rapinatore gridò al complice che ci teneva sotto la minaccia della pistola di sparare per ucciderci. A questo punto mi volsi, mi alzai e guardai fisso negli occhi l'aggressore. Anche in questa circostanza i nostri sguardi s'incrociarono e restarono fissi per una manciata di secondi. Arretrò di qualche passo e sembrò volesse dirmi qualcosa. Sta di fatto che il messaggio che avvertii nell'inconscio fu tranquillizzante. M'invitò di nuovo a stendermi per terra ma le sue parole non furono perentorie. Lo disse quasi come se mi supplicasse di farlo. Dopo qualche minuto i due uscirono di scena e a noi non restò che riaverci dallo spavento e nel sentirci questa volta rinfrancati dallo scampato pericolo. Il terzo episodio fu diverso. Ero sotto le armi. Mi trovavo di sentinella lungo un tratto del limitare della caserma che il filo spinato separava dall'attiguo bosco. Era una notte d'inverno e la visibilità era molto scarsa. Si notava appena la guardiola dove riposava il capoposto e i due militari che si sarebbero alternati di lì a poco con me dato che i turni erano di due ore ciascuno. In caserma i miei commilitoni mi avevano avvertito d'essere prudente perché il tratto che avrei dovuto sorvegliare era il preferito di chi facendo tardi alla ritirata pensava di sgattaiolare in caserma senza passare dall'ingresso per evitare l'inevi61


tabile punizione. Avrei dovuto far finta di non vederli. Così quando sentii un fruscio e un rumore come di un ramo spezzato immaginai si trattasse del solito ritardatario. Ma un certo punto fui colto dal sospetto. Riuscii a intravedere, a pochi metri da me, una sagoma insolita appiattita sul terreno e sentii un grugnito che era di certo un suono poco umano. Era un cinghiale. In pochi secondi, mentre restavo immobile, riuscii a distinguere meglio la testa grande e massiccia e il lungo muso conico dell'animale. Per quanto fosse buio i miei occhi si erano oramai abituati all'oscurità e avevo saputo perfino sfruttare qualche luce accesa sull'aia delle vicine cascine per cercare di sforare le tenebre che mi avvolgevano. Che fare? Imbracciai il fucile, il classico modello 91 modificato 38 con la baionetta incorporata e lo puntai contro quell'ombra e premetti il grilletto. Niente. Riprovai e ancora niente. Intravidi i suoi occhi obliqui e cercai con un fare frettoloso e maldestro di ricorrere alla baionetta pur di difendermi in qualche modo. L'animale non si muoveva e io non sapevo cosa fare, ma non osavo chiamare il capo posto nel timore che la mia voce lo rendesse più aggressivo. Quando tempo restammo in questa posizione di stallo non saprei dirlo. Io ridotto a un manichino con un fucile reso incapace di sparare e una baionetta che mi appariva sempre più un'arma poco utile per la circostanza e quell'animale che mi stava di fronte e a tratti grugniva e con le zampe sembrava voler scavare il terreno. Sta di fatto che a un certo punto non lo vidi più. Restai ancora fermo indeciso sul da farsi e mi riebbi solo quando nella cascina più vicina sentii l'abbaiare dei cani e le finestre del casolare si aprivano lasciando trasparire una lama di luce. Rea62


lizzai che il cinghiale fosse fuggito e chiamai il capoposto per informarlo dell'accaduto. Gli riferii anche del fucile che aveva fatto cilecca ma non riuscii ad avere una risposta esaustiva. Solo in seguito scopersi l'arcano. Le cartucce erano state manomesse facendo sparire la polvere da sparo che conteneva. Qualcuno le aveva utilizzate, rischiando che il proiettile gli esplodesse tra le mani, per fabbricare dei fuochi d'artificio. Mi fu data anche un'altra spiegazione per via di un incidente mortale che era accaduto qualche anno prima del mio arrivo. Una sentinella aveva intimato l'alt ma l'ufficiale d'ispezione non aveva risposto alla richiesta della parola d'ordine per farsi identificare e per tutta risposta si beccò una pallottola in pieno petto che l'uccise sul colpo. Da allora, in specie alle matricole come me, le munizioni venivano taroccate. Con il senno di poi ritornai piÚ volte a riflettere sull'accaduto e mi convinsi che qualcosa c'era stata tra me e il cinghiale. Dovevo considerarlo un parto della fantasia o un modo per giustificare il fatto che ero rimasto immobile come una statua di sale mentre avrei dovuto comunque reagire? In effetti come era accaduto con gli altri due casi citati i nostri sguardi si erano incrociati e per quanto la vista dell'animale sia notoriamente debole qualcosa c'eravamo scambiati con il pensiero. Ne ero certo. Cercai di approfondire il problema che mi ero posto con letture specialistiche ma se non ebbi riscontro scientifico una breccia si aprÏ entrando nel mondo esoterico. Ebbi poi notizia di taluni esperimenti americani e russi sul linguaggio degli animali e 63


il modo di comunicare con loro attraverso gli ultrasuoni o altre sofisticate apparecchiature. Che ci siano riusciti e come resta un segreto militare. D'altra parte vi sono già degli animali domestici come il cane e il gatto che mostrano, in taluni casi, delle capacità sorprendenti di comunicare e farsi intendere dai loro padroni e viceversa. Oggi sono convinto che noi siamo in grado di comunicare con l'esterno e la circostanza non ci deve apparire tanto fantastica se pensiamo che siamo in grado con un'antenna di captare i messaggi radio-televisivi e di vederceli apparire sullo schermo del nostro televisore o sul monitor del computer. Chi ci dice che la stessa cosa possa accadere con un settore del nostro cervello trasformato in una sorta di radio rice-trasmittente e che riesce ad entrare in sintonia con tutti coloro che sono in grado di sintonizzarsi con essa possedendo la stessa lunghezza d'onda? D'altra parte sappiamo molto bene che il nostro cervello, per quanto fosse stato scandagliato a lungo, riesce ancora a sorprenderci con le sue capacità intellettive, le sue intuizioni, il genio che riesce ad esprimere in persone in apparenza poco dotate se si pensa che un Einstein giovinetto non sembrava tanto geniale come in seguito si rivelò. La pazzia, con molta probabilità, diventa in questo contesto il prezzo che noi paghiamo per non essere stati in grado di mettere ordine all'intricato groviglio di contatti che il cervello detiene e deve gestire senza soluzione di continuità. Nash, che ho già citato, è stato nel suo campo un genio, e la sua follia ritengo sia stato il risultato di uno sforzo mentale andato oltre misura facendo saltare qualche collegamento sinaptico come accade per l'elettricità quanto vi un carico improvviso di voltaggio. 64


Capitolo quinto La malvagità come follia

Tempo fa mi hanno regalato un libro il cui titolo da subito attrasse la mia attenzione. Lo ha scritto Stefania Bonura ed è titolato "Le 101 donne più malvagie della storia22" Non è che io gongolassi dalla gioia per il solo fatto che una donna parlasse male di altre donne come se venisse meno una solidarietà di genere che so più forte rispetto all'altro sesso. Non posso negare che questo preconcetto mi abbia sfiorato ma ho compreso al tempo stesso che a stuzzicarmi era un po' la solita presunzione maschile nel vedere la donna angelo e demone, madre e prostituta, donna di piacere e di affetti puri e casti. Da una parte la Madonna e dall'altra Erodiade. E' qui che la mia maturità di pensiero ha avuto il suo canto del cigno allorché mi sono reso conto, per quanto vi fossero delle sottili distinzioni comportamentali e risposte diverse nei contatti sociali, che vi sarebbero stati molti punti in comune tra i due sessi e la malvagità e la stessa pazzia, per l'appunto, non erano poi tanto dissimili se espresse da una donna in luogo di un uomo o vice versa. A volte resta ancorato nell'immaginario collettivo la figura di personaggi che interpretano la trasgressione e la perfidia declinandola al femminile e vi appare tanto grande che alla fine basta un nonnulla 22

Newton Compton Editori

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per estendere il discorso pure nei confronti di chi è imputabile di colpe minori. Mi perdonerà l'autrice se a questo punto riprenderò alcuni suoi passi narrativi nel tratteggiare alcune figure femminili espungendoli dalla sua narrazione e di farlo per intero. E' che certi tratti sono stati descritti così bene che dirlo in altre parole mi pare una indebita diminutio in pejus. Nella sua introduzione la Bonura in poche parole indica l'oggetto delle trame femminili che vuole tracciare: "Maghe, streghe, tessitrici d'intrighi, regine dispotiche, efferate criminali, vedove per vocazione, contesse annoiate e genitrici nevrotiche." Un elenco lungo e variegato che parte dall'antichità per giungere sino ai tempi nostri. Vi è in tutto questo scavare nel "marciume" anche un motivo, per l'autrice, da ritenere ben da conto precisando che "alcune di queste perfide celebrità siano state troppo severamente giudicate dall'opinione pubblica del loro tempo, da quel pregiudizio popolare di "chi dice donna dice danno". E fa un esempio che considera esemplare citando Madeleine Smith, che venne giudicata non colpevole nel 1857 per l'avvelenamento del suo amante Emile L'Angelier, fu tuttavia condannata dalla società vittoriana per le sue lettere scabrose portate in giudizio come elemento di prova. Anzi, poco importava che avesse ucciso l'uomo, che dopotutto per l'opinione pubblica meritava quella sorte, ma perché era più esecrabile il suo comportamento libertino dell'omicidio in sé. E' che a volte, e il discorso vale per entrambi i sessi, il rapporto di coppia o quello in seno alla famiglia di una figlia o di un figlio, dei nonni e di altri congiunti è reso tanto tragico e conflittuale che chi lo 66


subisce si sente in trappola a tal punto da ritenere il delitto una soluzione inevitabile. E' qui che ritengo possa far capolino la follia in quelle donne come dice Renato Siebert "prive di volontà e responsabilità, parassite, al limite dell'insufficienza mentale." Un giorno sarà quello del risveglio e la loro risposta non potrà non essere violenta, espressa secondo un codice di giustizia interiore e che a volte si espande oltre i limiti familiari come a voler far pagare un prezzo salato anche per chi, pur sapendo, ha fatto poco o nulla per sostenere la vittima e portarla al suo riscatto, ma questa volta rendendolo incruento. D'altra parte la stessa parola "follia" è stata usata e abusata oltre misura da chi al cospetto di un delitto efferato trova la sola logica spiegazione nella pazzia dell'autore. Del resto non ci sembra vi siano alternative al cospetto di una donna o di un uomo che uccide il coniuge e i figli e si suicida o ne espia la colpa in una lunga detenzione. Vi è, tuttavia, da precisare che "l'attuale nostra cultura è stata permeata dai condizionamenti non molto lontani da quelli odierni e che hanno maturato il loro sapere sia dalle conoscenze, dalle valutazioni e dalle reazioni sociali sia da una complessa e disomogenea saggezza, retaggio di millenni di pensiero, e di esperienze manifeste nelle forme della religione e della morale, dell'arte e della letteratura, della filosofia, della medicina con i suoi dintorni e, in un senso più specifico, del diritto con la sua dottrina"23. Un'evoluzione vi è stata solo di recente con i primi studi scientifici in questo campo che furono indirizzati dall'obiettivo d'individuare un'unità e un me23

Levra (1985)

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todo di analisi capace di disegnare i confini entro cui porre la criminalità, il crimine, il criminale. Mi preme, a questo riguardo, senza voler entrare nel merito degli studi lombrosiani, citare quella corrente di pensiero, a cavallo tra gli anni trenta e sessanta del XX secolo, che considera l'ipotesi del delinquente biologicamente predisposto derivanti sia da disturbi ghiandolari trasmessi dalla madre sia dal corredo cromosomico (sopran numerario y) e costituente la base genica del comportamento violento. Un aspetto su cui mi sono soffermato nel mio libro "Il pendolo" sostenendo la tesi che si può essere criminali e anche folli in combinazione o separatamente per un danno derivante dallo sviluppo embrionale. Facevo osservare che come si può nascere con un dito in meno di una mano o ad essere predisposti a malattie invalidanti così il cervello può presentare delle lesioni o delle malformazioni che possono persino invertire il codice morale sino a rendere normale che si possa uccidere il proprio simile o essere un antropofago. E' certamente possibile che l'impulso omicida sia stato - come scrive Massimo Centini24 - provocato dal desiderio di vendetta, o da uno stato mentale anomalo, o che un delirio religioso fosse il disturbo originario, ma ritengo che nessuna delle due ipotesi sia definitiva. E' molto probabile che l'assassino abbia un'aria inoffensiva e che, presumibilmente, sia una persona senza una specifica identità, vestito in modo ordinato e decoroso." 24

Criminal Profiling - Come si costruisce un profilo psicologico (Xenia Edizioni)

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"I crimini più complessi - precisa Centini - ai quali risulta difficile applicare uno schema logico, sono quelli privi di una motivazione razionale, spiegazione che ha una propria fisionomia definita solo nella mente di chi compie il crimine e che di conseguenza non può essere neppure lontanamente immaginata dall'osservatore esterno, anche se specializzato e provvisto d'esperienza. Infatti quando un omicidio si basa su motivazioni paradossalmente "logiche" (rapina, vendetta, gelosia e sfera dei sentimenti, o in relazione alla criminalità organizzata) è comunque possibile orientare le indagini in alcune direzioni escludendone altre. Ma quando il crimine si sottrae a questa dimensione "logica", perché l'autore si muove seguendo un percorso mentale imprevedibile, diventa molto complesso per l'investigatore strutturare un'analisi che possa dirsi logica e quindi portare alla luce aspetti coerenti del crimine indagato." Oggi è in un certo senso più forte il tentativo di spiegare la criminalità soprattutto nelle sue espressioni più eclatanti e patologiche, per cui la ricerca biologica ha avuto un nuovo e forte impulso. Ne consegue che molti studi in neurologia e psicologia fisiologica muovono dall'assunto che sia possibile individuare fattori biologici in grado di spiegare la caratteropatia e il comportamento criminale violento. Ho buoni motivi di credere che siamo già sulla strada giusta per creare una sorta di "impronta cerebrale" che consenta di distinguere gli individui socialmente pericolosi e caratterialmente versati in azioni criminali dal resto della popolazione mondiale. In questo modo ci tornerebbe molto facile considerare la personalità dell'imputato di qualsivoglia delitto e capire se esso è dovuto a una fatalità o dettato da 69


una volontà deviata. Sindromi, come il disturbo esplosivo intermittente e la reazione ipercinetica25, vengono spesso riferite a fattori neurologici e associate al comportamento aggressivo26 nonostante la scarsità di prove certe sia dalla loro natura genetica, sia della maggiore frequenza in soggetti criminali. Storicamente la biologia sembra aver posto un velo sulla complessità del fenomeno, disconoscendone o non considerandone gli aspetti interattivi, normativi e di significato sociale che lo organizzano a livello di espressione individuale e che orientano le politiche si selezione informale e istituzionale. Ciò ha favorito un doppio riduzionismo fatto di "come se". E' che se vogliamo capire la natura umana nello specifico dovremmo anche spiegarci, ad esempio, il motivo per cui un giovane è impedito ad amare la propria sorella, pur desiderandola, o disdegna come alimento la carne di cane o di gatto ma gradisce quella dell'agnello e del coniglio e gli ripugna l'idea di pasteggiare un topo in salmì. Sono limiti convenzionali acquisiti con il tempo o va ricercata una ragione più profonda? La gelosia dei fratelli ha qualcosa a che fare con la madre e il suo rapporto speciale che si instaura con il figlio e che si interrompe bruscamente con il nuovo venuto? E' che il primogenito ha marcato il territorio e il secondo lo ha violato? Quanta di questa avversità, che l'età infantile non riesce a controllare ma l'ottiene meglio con il passare degli anni, può riverberarsi nell'età adulta e in che forma? La storia di Abele e Caino può non essere una leggenda ma semmai trasformata in leggenda per nascondere una fragilità 25 26

American Psychiatric Association (1994) Elliott 1988

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che tende a celarsi dentro di noi ma che è latente ed è pronta ad esplodere eppure i due fratelli rivali raramente trasformano questo loro sentimento deviato in un delitto. Si limitano nei casi più acuti a farsi del male verbalmente, a punzecchiarsi, a non frequentarsi. Ho vissuto da vicino la tragedia di un padre che ha visto il figlio uccidere il fratello improvvisamente, senza una ragione plausibile nel senso che erano seduti in salotto uno a leggere un libro e l'altro a maneggiare un tablet mentre il padre era intento a seguire un programma televisivo con la cuffia per non arrecare disturbo. I giovani avevano 23 e 24 anni. Il padre si scosse di colpo dalla sua posizione da un urlo che non sapeva nulla di umano. Vide il figlio con gli occhi stralunati impugnare la sciabola che teneva di solito chiusa in una vetrinetta dello stesso salotto e il fratello con gli occhi sbarrati in piedi ma barcollante che con le mani cercava di fermare il sangue che sgorgava dal collo. Una scena tremenda mentre la madre accorsa anch'essa dalla cucina fu presa da una crisi isterica. Passarono forse pochi secondi. Il ferito oramai rantolava a terra in una pozza di sangue e il fratello accanto che fece scivolare dalla mano la sciabola del padre, ricordo della sua carriera militare, e continuava a restare eretto ma con lo sguardo assente. Si seppe poi che il fendente fu inferto con violenza e senza alcun preavviso. Si parlò di un raptus omicida. Non vi era armonia tra i due fratelli. Il fratricida era il più giovane di qualche anno, era introverso e morbosamente attaccato alla madre la quale pur non dandolo a vedere in modo palese si sentiva più attaccata 71


al maggiore. Caino in questa circostanza non si può classificare un criminale abituale eppure dentro di lui deve essere scattata una molla da tempo compressa. Incontrai i genitori dopo qualche giorno dal fatto: erano distrutti. Sembravano improvvisamente invecchiati. In un sol colpo avevano perso entrambi i figli. In seguito non li rividi più. Si trasferirono altrove. E' una storia che ha lasciato anche a me il segno e continua a farmi riflettere. Penso a mio fratello Mario che è morto a cinque anni di difterite mentre io ne avevo due. Allora era un male che non perdonava ma se presa in tempo una vita poteva essere salvata. Ciò che appresi in seguito è che mio fratello aveva accolto malissimo la mia venuta. Era geloso ma non aggressivo. Il male che lo colse e l'isolamento che subì nel timore che mi contagiasse gli fecero perdere la volontà di vivere e si spense. Queste considerazioni mi permettono oggi di guardare al paradigma biologico e all'unità di analisi centrata sul corpo come tentativi storicamente e scientificamente superati, pur potendo riconoscere, al contempo, dignità scientifica all'interesse clinico per la dimensione biologica. Sarebbe infatti riduttivo trascurare, in ambito clinico, gli aspetti e le problematiche neurologiche, fisiologiche, costituzionali. In altri termini non dobbiamo guardare l'aspetto esteriore che può essere più o meno gradevole ma all'interno dei percorsi neuronali e attraverso la mediazione cognitiva, affettiva e simbolica operata dall'individuo nel corso del suo sviluppo e nei contesti di attribuzione sociale che caratteristiche, anche patologiche, ma in se aspecifiche, 72


vengono organizzate, strutturate, e in tal modo rese distinte, entro ambiti di significati che orientano l'emergenza di un comportamento. Ora se ritorno al libro della Bonura è perchè sono convinto che il disturbo mentale rappresenti un fattore predisponente al delitto e la circostanza è stata presa così seriamente che ha stimolato molti studiosi sulla ricerca casistica e statistica dei rapporti tra tipologie psichiatriche e atteggiamento criminale. "Anche rispetto a questi studi è possibile rilevare27 una sorta di chiusura epistemologica riferibile più che a una esplosione di livelli, a una sovrapposizione, nell'ambito dello stesso piano logico di realtà, di dimensioni in se diversificate, che non interagiscono in modo lineare, ma che sono organizzate su dimensioni comportamentali non coincidenti: nella malattia mentale il nucleo organizzatore è, per intenderci, collocato a livello cognitivo affettivo individuale, mentre nel crimine lo si può individuare piuttosto sul piano dell'azione come costrutto interpersonale, simbolico-sociale, normativo." "Centrato su come la società, attraverso le sue istituzioni, la sua coltura, tende a costruire un'immagine, una rappresentazione, una selettività di comportamenti, finalizzate al controllo sociale e al mantenimento delle norme stabilite, il primo ostruzionismo sembra non cogliere la circolarità autoreferenziale di questo processo, attribuendo un'autonomia differenziata ai suoi momenti. Ciò che questo filone di studi non sembra aver considerato - osserva De Leo - adeguatamente è che il controllo seleziona e definisce il crimine non più di quanto il crimine come 27

Gaetano De Leo e Patrizia Patrizi "La spiegazione del crimine" (Il Mulino Saggi)

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problema selezioni e definisca il controllo: o meglio entrambi esprimono un dominio di prestazioni selettive, da cui rispettivamente operano selezioni ricorsive, autopoietiche e comunicazionali." La storia della malvagità femminile la Bonura la fa risalire a Olimpia d'Epiro, madre di Alessandro Magno per poi passare al nome altrettanto famoso di Cleopatra e ancor prima di Fulvia essendo le due donne amate dallo stesso uomo: Antonio. Ma sul tema della malvagità associata alla follia io la intravedo soprattutto in un uomo in luogo di una donna. Quando Bonura descrive Anna Bolena come la "bella Elena di Troia" per cui venne scatenata una guerra e la considera portatrice di sciagure, un essere demoniaco, una strega, una terribile Circe in grado di irretire grazie ai suoi sortilegi mi rivolgo, istintivamente, al soggetto delle sue attenzioni Enrico VIII che ne fu ammaliato sino al punto d'abbandonare la moglie Caterina d'Aragona, d'origine spagnola. Mi sembra persino naturale che Enrico VIII fosse attratto da questa donna che generò, ricambiato, un sentimento profondo e un amore spassionato rispetto a una moglie appassita dal tempo e da un genere di matrimoni contratti per lo più da ragioni di stato, per altro tipici di quel tempo, in specie tra i regnanti e le loro famiglie per consolidare posizioni di potere e alleanze internazionali. Di certo la Bolena aveva un passato che le aveva permesso di esercitare le sue armi seduttive che poteva aver appreso alla corte francese, tra le più raffinate dell'epoca, e dove vi era rimasta per qualche tempo. All'epoca le dame di un certo ambiente, e quello della Corte era il terreno più congeniale per farlo, esercitavano la seduzione come un 74


gioco, un esercizio che era lecito e ammesso. Forse tutto cominciò come un passatempo che entrambi si permettevano tra i rigidi formalismi di corte. Non va ignorato anche il clima politico che si respirava in quell'epoca dove la scoperta di nuove terre era diventata fonte di ricchezza per il vecchio continente e la Spagna era tra le più attive nazione a coglierne i frutti. Da qui, probabilmente, un raffreddamento dei rapporti tra gli inglesi e gli spagnoli e la moglie spagnola di Enrico VIII poteva averne subito gli effetti e per giunta il marito non le perdonava di non avergli dato un erede maschile mentre la giovane Bolena avrebbe potuto offrirgli tale opportunità. Un altro aspetto non trascurabile erano i rapporti non idilliaci con la Chiesa di Roma e non mi appare nemmeno trascurabile il fatto che i cattolici avessero accumulato enormi ricchezze in Gran Bretagna che avrebbero fatto gola a molti e in primis ad Enrico VIII. Anna Bolena a questo punto poteva essere "l'utile e il dilettevole" ben sapendo il re che il Vaticano non avrebbe riconosciuto l'annullamento del precedente matrimonio e quindi dare il benestare per il successivo e, per giunta, con la scomunica papale che sarebbe seguita se tale trasgressione si fosse concretizzata. Così avvenne la rottura e si scatenò sulla Bolena la ritorsione di quanti intravidero in lei la donna fatale, calcolatrice, lussuriosa capace di soggiogare il re e di renderlo suo schiavo e per questo fu decapitata, ovvero per delle calunnie. E' Enrico VIII il deus ex machina e la Bolena una delle sue vittime. Ora la storia dovrebbe alzare il velo delle reticenze e dirci se il male e la follia non albergassero solo in quest'uomo che fece del potere uno strumento al servizio delle sue inclinazioni perverse. E qui 75


vorrei spezzare persino una lancia in favore della Bolena per indicarla come la classica vittima designata che gioca con il fuoco e che la ripaga mandandola alla perdizione. La follia, è bene ricordarlo, non solo distrugge chi ce l'ha ma spesso coinvolge gli altri e in certe occasioni ne condiziona la stessa vita. D'altra parte continuando a leggere il libro di Bonura mi sento d'escludere alcuni nomi di donne definite dall'autrice "malvagie" e altro ancora sia perchè non v'intravedo l'attinenza con la follia che pure ho cercato d'intuire nelle loro azioni ma semmai astuzia, intelligenza, voglia di sopravvivere in un mondo crudele e che reputo in certi casi legittimo per non essere sopraffatte e pragmatismo nel riconoscere che la vera potenza sta nella ricchezza e soprattutto nel saperla ben gestire. Forse un'eccezione la fa Charlotte Corday. Lei in quei giorni infuocati della rivoluzione francese, "vide senza dubbio arrestati molti dei suoi amici, il suo confessore venne giustiziato, e molti altri condannati. Di una cosa era certa: andava fermato Marat. La sua rabbia, tuttavia, dettò le sue azioni e non le consentì di comprendere che il suo gesto non avrebbe scosso le coscienze e a pagare sarebbe stata solo lei, oltre al leader giacobino Marat." L'averlo accoltellato a morte non penso si possa definire un raptus perché l'idea di farlo era stata maturata e pianificata da giorni. Posso in alternativa considerarlo un gesto da folle? Forse si. La circostanza di averle fatto il vuoto intorno a se uccidendo tutti quelli che l'avevano frequentata e scambiati con essi la stessa passione rivoluzionaria, giocò indubbiamente, un ruolo decisivo per indurla al gesto estremo. La sua mente non riusciva a sbloccare la di76


sperazione che lei provava e la voglia di far pagare a caro prezzo chi riteneva, legittimamente, il maggiore responsabile. Un'altra donna la peruviana Francisca De Zubiaga aveva in corpo la stessa passione di Charlotte. Seppe, per amore e frenesia di potere quando il marito Gamarra nel 1829 divenne presidente della repubblica, sedare le rivolte degli oppositori con pugno di ferro. La famosa femminista Flora Tristàn nel suo diario di viaggio "Pérégrinations d'une paria" "dopo aver avuto la possibilità d'intervistare Francisca raccontò quello che la donna le aveva confidato, la sua passione per i cannoni e per le voci acclamanti del popolo, il suo amore per il potere, la sua capacità di servirsi del suo sesso da un lato e del suo pugno virile per imporlo dall'altro". Qui mi pongo l'interrogativo se in talune donne la femminilità e l'arte del sedurre non sia stata una vera e propria arma per contrastare il dominio del maschio e asservirlo ai suoi poteri? Certo non la considero una follia ma ancora una volta la voglia di sopravvivere in un mondo crudele avvalendosi delle armi che si posseggono e per dimostrare, tutto sommato, che l'uomo è un debole e anche quando si combatte per un avversario degno di questo nome bisogna agire ad armi pari per quanto il terreno resti quello delle battaglie e delle rivoluzioni e se l'uomo imbraccia la spada a lei tocca mostrargli il seno, o la sua intelligenza o la sua astuzia. La prova di quanto asserisco la diede l'etiope Tytu Betul allorché insieme al marito si mise a capo di un esercito di centomila uomini e marciò contro l'esercito italiano di stanza ad Amba Alagi e poi verso 77


Macallè. Due battaglie e due vittorie. Fu lei determinante mostrandosi inflessibile e piena di risorse. Fu una donna crudele? Certo. Gli etiopi assoldati dagli italiani, detti ascari, catturati dagli uomini di Betul furono puniti con l'amputazione di piedi e mani. Si racconta che la donna assistette alle torture e alle mutilazioni con grande partecipazione. Ci provava piacere? Forse. Era forse dominata da quel genere di follia che fa apparire giusto quello che non lo è? Forse. Un altro personaggio, questa volta del nostro tempo, è stato Elena Ceausescu. Più di quanto Bonura racconta dovrei a questo riguardo aprire un capitolo a parte e cercare altre fonti e maggiori approfondimenti. Lei e il marito Nicolae sono passati alla storia come due nomi terribili. Il 25 dicembre del 1989 furono fucilati dopo un processo celebrato a Tirgoviste. "Un mostro a due teste li definì il loro stesso avvocato difensore. "Figlia di contadini Elena Petrescu prima di diventare la signora Ceausescu, priva di titoli di studio, si avventurò nella capitale molto giovane per trovare lavoro. Per un certo periodo, infatti, fece l'operaia poi cominciò a dedicarsi alla politica entrando nella lega dei giovani comunisti. Fu qui che incontrò Nicolae. Si sposarono nel 1939. Elena aveva 20 anni. Quando nel 1948 la Romania divenne una Repubblica popolare del blocco sovietico l'attivismo di Nicolae venne premiato grazie all'elezione a presidente di Gheorghe Gheorghiu-Dej28 di cui era uomo 28

Gheorghe Gheorghiu-Dej 8 Novembre 1901 - 19 marzo 1965) è stato il comunista capo di Romania dal 1947 fino alla sua morte nel 1965. Il Generale Securitate Ion Mihai Pacepa, che disertò

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di fiducia. Da qui la sua rapida carriera e, di conseguenza, anche quella della moglie, che subì un'accelerazione dopo l'elezione dello stesso Nicolae29 come presidente del consiglio nel 1967. Ma perché da parte mia tanto interesse su questa coppia? Premetto che non posso dare per certo che quanto mi è stato verbalmente riferito e in via confidenziale da un diplomatico rumeno sul finire del XX secolo, sia rispondente al vero ma gli indizi non mancano sul ruolo svolto dai coniugi Ceaușescu dopo che fu istituita la Securitate, ovvero un corpo speciale di polizia per il controllo serrato della popolazione. L'obiettivo era anche un altro più ambizioso e anche più inquietante poiché si fondava su alcuni esperimenti tenuti segretissimi sui neonati e le stesse partorienti e che facessero da cavie nei laboratori medici riesumando quando già accadeva nei lager nazisti. Occorreva per realizzare questo progetto molta materia prima e da qui fu reso illegale l'aborto, furono vietati i contraccettivi e fu imposto un numero minimo di nascite ad ogni famiglia. Si trattava di quattro-cinque figli. Questa abnorme crescita demografica mise in difficoltà il sistema paese con una grave crisi alimentare che spinse molte donne ad affidare i loro figli agli orfanatrofi che il regime fece chiedendo asilo polito agli Stati Uniti nel 1978, ha scritto che Ceauşescu era, presumibilmente, tra i "dieci leader internazionali del Cremlino che aveva ucciso o tentato di uccidere" Gheorghiu-Dej. 29 Nicolae Ceaușescu (Scornicești, 26 gennaio 1918 Târgoviște, 25 dicembre1989) è stato un politico rumeno. Segretario generale del Partito Comunista Rumeno dal 1965, fu il Presidente della Romania e Presidente del Consiglio di Stato della Romania dal 1967 al dicembre 1989, anno in cui fu deposto e processato con le accuse di crimini contro lo stato, genocidio e "distruzione dell'economia nazionale."

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moltiplicare per favorirne la cessione. In proposito per vie ufficiali sappiamo solo che questi bambini erano denutriti, affaticati, abbandonati, privi d'istruzione e furono condannati a contrarre l'Aids per via delle trasfusioni che i medici ordinavano loro per riabilitarli. Ciò che, invece, mi fu confidato è decisamente più terribile e allarmante. Questi infanti fin dalla nascita venivano selezionati per degli sperimenti scientifici sul controllo delle menti e per gli effetti derivanti dall'uso di armi biologiche. I coniugi Ceaușescu non solo ne erano a conoscenza ma avevano il compito di pianificare, curandone i particolari, il progetto e di circoscriverne l'informativa a pochi fedelissimi e che per quel loro segreto, con la caduta del regime, furono tutti uccisi. Si pensò anche a "sistemare" questi bambini, così taroccati, con le adozioni internazionali per cui fecero loro apprendere la lingua inglese. Non si conosce, nei dettagli, lo scopo di questi affidamenti ma qualsiasi fosse stata la ragione la caduta del regime pose fine a questo circuito sicuramente perverso se si pensa ai mandanti e al fatto che ci trovavamo in piena guerra fredda e con il tentativo di entrambi i blocchi d'infliggere all'altro colpi bassi per affievolirne la capacità aggressiva. Oggi dovremmo pensare che oltre agli esperimenti rumeni altri nello stesso senso, o semplicemente a livello di ricerca da laboratorio tra alambicchi e provette, abbiano continuato a testare e persino con cavie umane e forse un giorno ne sapremo qualcosa di più. Il dubbio in tal senso mi è sorto osservando certi comportamenti criminali scatenati da "cellule dormienti" e dai messaggi subliminali che hanno ri80


cevuto e che troviamo altrimenti inspiegabili. Il chiarimento e la tessitura delle trame per il momento ci perviene solo dalla fantascienza anche perchè è difficile far digerire all'opinione pubblica che si possa giungere a tali e complessi screening e spingere a guardare con sospetto il nostro vicino di casa anche se nulla di anormale, secondo il nostro modulo di concepire la convivenza, vi appare. Dovrei, a questo punto, pensare che anche la follia è un'arma d'uso corrente per certe operazioni criminali nella gestione del potere a livello istituzionale? Intendo dire che la pazzia non è solo quella di chi uccide o compie delle stravaganze o sevizia le sue vittime, ma può generare uomini e donne che con fredda determinazione pianificano genocidi, scatenano guerre regionali, provocano disordini razziali e paure irrazionali per il diverso. Se passo alla seconda parte del libro di Bonura titolata "Donne e crimini" il primo nome che mi appare è quello di Locusta passata alla storia come la famosa avvelenatrice dell'antichità e alla quale i romani più facoltosi nel primo secolo d.C. si rivolgevano desiderosi come'erano di far fuori i rivali ingombranti. Si dice che una delle sue prime clienti di alto rango fu proprio Messalina, intenzionata a liberarsi di Tito, un suo amante. A un certo punto della sua vita Locusta fece un passo falso e fu condannata a morte ma a salvarla in extremis ci pensò Agrippina, quarta moglie dell'imperatore Claudio che aveva bisogno dei suoi servigi per uccidere il marito e il piano riuscì in pieno anche con la complicità del medico di corte. Alla fine la donna venne arrestata e condannata per aver assassinato quattrocento persone. Per un altro verso Giulia Teofania, allieva prediletta della 81


madre, riuscì a rinverdire la tradizione delle avvelenatrici, nella Palermo del XVII secolo, sollevando dalle ambasce quanti erano vittime dei prepotenti o anche di amanti scomodi o di mariti poco graditi e bastava loro somministrare gradualmente una certa pozione per liberarsene definitivamente. E ancora altre storie di veleni con la marchesa di Brinvilliers che li propinava con "fredda e crudele impassibilità" come per dimostrare che in ogni ceto sociale il loro comune denominatore non mutava genere. La sua fine fu altrettanto ingloriosa con la decapitazione e il suo corpo bruciato. Per non parlare poi della "Vecchia dell'aceto" al secolo Giovanna Bonanno di Palermo e di Anna Zwanziger che avevano due grandi passioni: i giudici e l'arsenico. Ma non finisce qui, dovrei soggiungere perché la nostra autrice continua a trattare l'affare dei veleni con Catherine Deshayes Montvoisin, le stregonerie con Tituba l'indiana e le streghe di Salem, Un altro filone è stato quello della crudeltà impartita da donne ad altre donne come fu il caso della signora Sarah Metyard e di sua figlia. "Avevano entrambe una struttura corporea esile, i capelli biondi e la pelle color latte. Dall'aspetto non si sarebbe mai detto che nascondessero un animo oscuro e una propensione a godere delle pene altrui. Queste due torturatrici vissero non solo facendo del male agli altri ma la madre, una donna incapace di qualsiasi gesto amorevole, infieriva spesso sulla figlia e alla violenza fisica si aggiunse anche quella verbale e che, alla fine, fu fatale per entrambe le donne perché furono ascoltate e denunciate finendo entrambe giustiziate. Un caso che trovo più affine su quanto scrivo sul tema della follia è quello di Hè82


léne Jégado. Qui entra in ballo una infermità chiamata la "monomania" che nella prima metà dell'Ottocento era riconosciuta come una delle malattie mentali che potevano affliggere l'essere umano. Oggi il termine è caduto in disuso e al suo posto sono stati riscontrati specifici disturbi legati a particolari impulsi incontrollabili e a stati deliranti come la piromania, l'erotomania e la cleptomania. Il caso fu portato alla luce nel corso del procedimento penale intentato alla donna. Siamo agli inizi della seconda metà del secolo XIX. E' calzante in questo caso la citazione di Orazio nell'Epistola ai Pisani: "Vedo il bene, riconosco che è il bene e, tuttavia, mi lascio trascinare dal male." Eppure a distanza di tempo la storia di Hèléne continua ad essere incomprensibile. "Uccise ben trenta persone e di certo sarebbero state molto di più se i suoi tentativi di avvelenamenti non fossero andati a vuoto. Tra le sue vittime ci sono persone di entrambi i sessi e di tutte le età. In taluni casi a morire è qualcuno che ha redarguito la donna per un motivo o un altro, ma per altri è impossibile dare una, seppur minima, valida giustificazione di una reazione così sproporzionata." Venne giustiziata nel 1851, dopo essere stata giudicata abbastanza sana di mente per determinare lucidamente i decessi, ma "anormale" per il genere umano. Questa circostanza la considero indicativa su quanto ho già scritto sulla possibilità che il suo sia stato un difetto "genico" che ha alterato il processo evolutivo generando un'inversione del proprio codice di comportamento nel quale appariva naturale uccidere e sorprendente che altri non facessero altrettanto. Tra tutte le storie di avvelenatrici e di torturatrici 83


per la Bonura non poteva mancare la citazione della madre dei briganti Giuseppina Salvo, moglie di un mafioso siciliano e madre di sette figli. Il The New York Times la definì la "feroce covata". Il suo fu un dominio violento, mantenuto con il sangue, come avrebbe fatto qualsiasi uomo al suo posto. Applicava pene crudeli a chi non pagava e non lesinava ritorsioni e vendette. Questa storia, sembra voler fare il paio con quella oltre Atlantico di Bonnie Elisabeth Parker che con il suo compagno Clyde sfidarono il mondo e lasciarono dietro di loro una scia di sangue e di vittime. Tra i due fu amore a prima vista e quando Clyde fu incarcerato fece in modo di favorirgli la fuga con un complice. Da qui le loro scorribande e le loro follie omicide. Sono personaggi, per lo più, emblematici. Penso a Louise Peete, una donna particolare in quanto non uccide i mariti o i suoi amanti ma li cerca deboli di carattere per spingerli al suicidio. Poi come una bimba viziata che vuole un gioiello che l'attrae non si fa scrupolo di rubarlo e colta sul fatto uccide il suo proprietario nella cui casa era ospite. Di solito i media ci propinano serial killer di genere maschile ma Vera Renczi ci dimostra che anche tra il sesso cosiddetto "debole" vi sono campioni di questa razza. Figlia di una bellissima donna ungherese di origine aristocratica e di un uomo d'affari rumeno vive in un ambiente agiato e di alto rango sociale. Forse se non le fosse mancata la madre in tenera età e il padre impegnato nei suoi viaggi d'affari non avrebbe cercato una vita trasgressiva e dagli amori mercenari. A un certo punto decide di sposarsi ma ben presto è presa dalla gelosia e non si trattiene dall'avvelenare il marito con l'arsenico versato in un 84


bicchiere di vino e riesce, poi, a far scomparire il cadavere. Dopo un anno s'inventa la storia della morte del marito per un incidente d'auto. "Il suo proposito non è quello di fugare eventuali sospetti ma di ottenere il certificato di morte per potersi risposare." Anche questa volta le scappatelle extra coniugali del nuovo marito saranno fatali tant'è che si ammala e scompare. La donna non si risposa ma i suoi amanti finiscono con il fare la stessa fine dei suoi due sposi. E questa storia va avanti per anni fino a quando una moglie sospettosa induce la polizia a fare indagini più accurate e in una perquisizione, nel castello dove soggiornava Vera, scoprono, in una cantina, un vero e proprio cimitero con tante bare, targhe ed epitaffi. Si trattò di 35 sarcofaghi di zinco. Con il caso di Ilse Koch, ai tempi della Germania hitleriana, chiudo questa carrellata anche se le storie descritte da Bonura continuano. In questo caso la donna legò la sua storia criminale ad uno tra i più tragicamente famosi campi di concentramento nazisti a Buchenwald nei pressi di Weimar30 in Turingia. Era la moglie del comandante del campo. Quando gli alleati entrarono in questo lager sul finire della guerra "l'orrore li colse come un'ondata di fumo tossico. Come fosse un confine tra il bene e il male. I soldati superarono il cinico varco e si ritrovarono improvvisamente all'inferno: corpi ema30

Weimar è una città extracircondariale di 65.479 abitanti della Turingia, in Germania. È uno dei maggiori centri culturali della Germania e appartiene al Patrimonio dell'umanità dell'UNESCO con i siti Weimar classica e Il Bauhaus e i suoi siti a Weimar e Dessau. Nelle sue vicinanze, a circa 8 km, si trovava il campo di concentramento di Buchenwald dove, fra il 1937 e il 1943 furono uccise più di 54.000 persone. La località ospita ora un centro di memorie e di documentazione.

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ciati, denutriti, disidratati, stremati e poi cadaveri, cadaveri e ancora cadaveri." Basta pensare che all'inizio erano in centomila e alla liberazione si son ritrovati in ventimila. La donna aveva pieni poteri secondo un ordine impartito dal marito e li utilizzò insieme al coniuge per divertirsi nei modi più sadici. Tra i tanti orrori vi era anche quello dello scuoiamento. la pelle umana veniva, infatti, utilizzata su espresso desiderio di Ilse per paralumi, guanti e copertine di libri. Gli internati venivano sottoposti a torture come fossero cavie. Iniettavano loro virus, droghe, veleni per testare le loro reazioni, perlopiù devastanti, sottoponevano gli omosessuali a ogni sorta di terapia, sterilizzavano le donne e castravano gli uomini, esponevano i loro corpi a ustioni e congelamenti. Ora termino con Giancarlo Berardi che ha pubblicato con la casa editrice di Sergio Bonelli un albo davvero unico: "Julia. Le avventure di una criminologa." Come dice di lei il suo stesso creatore, Julia non vola, non pratica le arti marziali, ma affronta la vita con le armi tipiche del suo sesso come l'intelligenza, la sensibilità e la partecipazione. Una donna che più che giudicare sui delitti efferati su cui deve investigare cerca di capire le motivazioni. La sua vita si articola tra l'università, in cui insegna Criminologia, l'ufficio del procuratore, di cui è consulente, i suoi affetti e le sue delusioni amorose. Così i personaggi nascono dalla penna di un autore e danno un taglio particolare alla figura di donne "antagoniste" che si misurano e si contrastano e compongono quel mosaico che le vuole sante e peccatrici ma soprattutto figlie del nostro tempo. 86


Capitolo sesto La casa comune

L'essere umano come animale sociale apre le porte a una convivenza scelta come modello di vita che ci permette di costruire e tramandare il presente affidandolo al futuro. Da qui noi traiamo l'insegnamento che ci porta a considerare una teoria unitaria del mondo fisico e biologico finalizzata a migliorare l'uomo e a renderlo non schiavo del caso, come sconsolatamente afferma Monod, ma fiducioso del potere della ragione di scoprire le leggi secondo cui il grande artefice ha costruito il mondo. Alla domanda fondamentale se i "grandi sistemi" siano governati dal caso o, invece, da un'evoluzione ordinata, fa riscontro un'altra fondamentale domanda: quale libertà, comunque, rimane all'individuo? Ma penetrando a fondo la questione, si evidenzia che tutti i sistemi reali sono aperti ed è possibile, quindi, passare dal concetto di entropia a quello di negentropia31 e da questo a quello d'informazione 31

Negentropia Nella teoria dell’informazione, la quantità d’informazione contenuta in un messaggio e trasferita dal sistema trasmittente a quello ricevente, in quanto tale quantità può essere espressa in termini probabilistici con una formula analoga (a parte il segno opposto) a quella che esprime l’entropia in termodinamica; talora tale quantità è detta semplicemente entropia. Il termine è usato anche in ambito propriamente termodinamico, soprattutto in biologia, nello studio di quei sistemi che si evolvono verso stati di ordine e organizzazione crescenti, con particolare riferimento al ruolo dell’informazione nella termodinamica dei sistemi biologici. (Fonte Treccani.it)

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semplice e complessa. Per meglio penetrare il problema ci si richiama ai concetti di "logos" (discorso ragionato) e nous (pensiero) che sono alla base rispettivamente, dell'organizzazione e della teoria e della decisione. Questa distinzione può trovare riscontro oggi in quella fra piano logico, definito come cibernetico e piano decisionale o noetico. E' comunque da rilevare che i sistemi in generale sono soggetti a forme di evoluzione "automatica" o "soggettiva" (auto o self) che resistono ad ogni forma di controllo esterno e che, in genere, hanno tendenza a destabilizzare il sistema esaltando le differenze e creando tensioni e gradienti esterni. Ecco spiegate le ragioni sistemiche dell'ingovernabilità dei sistemi diano essi tecnologici, economici, sociali e politici. Nell'attuale clima di autodistruzione, è da riflettere se per caso la scienza occidentale non abbia trascurato la scienza più importante che si chiama "scienza interiore o scienza della coscienza" ed è significativo che proprio un esploratore spaziale E. Dean Mitchell32 sia stato il fondatore dell'Istituto di scienze noetiche (1973) e che abbia pubblicato in collaborazione con altri scienziati di varie discipline due volumi intitolati "Psichic Esploration" riguardanti la tematica della ricerca psichica dalle origini sino ai nostri giorni. Mitchell ha splendidamente sintetizzato i problemi che oggi minacciano l'esistenza dell'uomo e 32

Edgar "Ed" Dean Mitchell (Hereford, 17 settembre 1930) è un astronauta statunitense. Fu il sesto uomo a porre piede sulla Luna nel corso della missione spaziale Apollo 14. Durante questa missione compì due attività fuori bordo per una durata complessiva di oltre nove ore. Mitchell fece parte degli equipaggi di riserva come pilota del modulo lunare nella missione precedente di Apollo 10 e in quella successiva di Apollo 16.

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dell'intero cosmo e si è augurato che sia promosso un processo di metanoia grazie al quale l'umanità ristabilisca l'antica armonia con l'ambiente che la circonda. Si è giunti, comunque, alla conclusione che la coscienza umana può acquisire sensazioni impossibili con altro meccanismo conosciuto e che il pensiero produce effetti psicocinetici33. La fisica deve riconoscere che tanto nel microcosmo che nel macrocosmo si verificano violazioni delle leggi deterministiche, violazioni causate dalla volontà, intesa come pensiero, come forza dinamica. Si evidenzia, quindi, la necessità di una "Scienza integrata", che cerchi di associare i tre universi: cibernetico, psichico e noetico34. Stiamo, per altro, assistendo a una crisi generale dell'umanità che sta assumendo gli effetti di un'alienazione che Hegel nella "Fenomenologia dello spirito" faceva risalire alla scissione avvenuta, in epoca post-ellenica, tra "cultura" e "natura". A questo punto bisogna per forza arrivare a riconoscere il profondo valore eidetico della scienza moderna. Ciò costituisce un'introduzione alla metafisica della scienza 33

Psicocinesi. Facoltà paranormale con cui si riesce a influenzare un oggetto già in moto. Se invece, si influenza un oggetto fermo si ha la cosiddetta telergia o telecinesi. La telergia, invece è un fenomeno anch'esso parapsicologico ma consiste nel movimento di oggetti non determinato da agenti fisici. Tale spostamento rumoroso di aggetti viene indicato con il termine di "toribismo" e dagli autori tedeschi con quello di "poltergeist". Lo si ricollega, generalmente, con energie psicocinetiche provenienti da particolari oggetti in determinate condizioni. 34 Noetica deriva dal greco "Nous" che significa "mente" nella sua accezione più elevata, indica infatti non tanto la mente razionale, quanto la pura coscienza. Le Scienze Noetiche sono quindi le scienze che studiano la Coscienza e la sua interrelazione con il piano materiale. Talvolta il termine è usato direttamente come sinonimo di Scienze Noetiche (la "Noetica").

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e porta la teoria della conoscenza a una nuova visione ermeneutica del valore ineliminabile della "religio". Ad ogni uomo incombe un dovere preciso: passare dalla lotta bestiale per l'esistenza alla collaborazione nella vita associata di tutti gli esseri umani e di concerto con gli elementi della natura. Bisogna, in conclusione, saldare nella stessa prassi della razionalità il "rivivere (Nacherlehen) con la costruzione mentale (Nachilden) e riconoscere che la nuova scienza dell'uomo, per essere veramente scienza della vita, ha da essere non solo esplicazione della natura, ma comprensione della vita dell'uomo realizzando la coscienza della comunione di vita con l'altro ed assumerne la responsabile consapevolezza di ciò che lega nella nostra vita. Vi inserirei a questo punto il concetto di salute mentale inteso come una condizione di normalità, benessere e equilibrio di tipo affettivo, emotivo, neurobiologico, del tono dell'umore, cognitivo e comportamentale. Il tutto recepito come armonia ed equilibrio con i propri simili e la natura. Secondo la definizione del dizionario Merriam-Webster, la salute mentale è "uno stato di benessere emotivo e psicologico nel quale l'individuo è in grado di sfruttare le sue capacità cognitive o emozionali, esercitare la propria funzione all'interno della società e rispondere alle esigenze quotidiane della vita di ogni giorno". Intendo l'essere pari in tutto e per tutto, nelle circostanze liete e in quelle dolorose, nelle gioie e nelle afflizioni poiché dobbiamo, finalmente, acquisire la consapevolezza che l'equilibrio non si raggiunge con la diversità ma con la similarità e la salute mentale può diventare il sistema migliore per indicarci la giusta via e dischiudere la mente dalle tenebre che l'avvolgono. 90


Capitolo settimo Il caos deterministico

"Il concetto di "caos", normalmente, è strettamente connesso a quello di "causalità", intesa come mancanza di un ordine, di una legge che presieda all'evoluzione del sistema osservato, per contro, i sistemi retti da leggi deterministiche, come quelli di cui si occupa la fisica classica, dovrebbero presentare comportamenti prevedibili in base alla conoscenza delle condizioni iniziali (si pensi ad esempio al moto dei pianeti intorno al sole). I matematici moderni hanno dunque provato una grande sorpresa quando si sono imbattuti in sistemi retti da leggi rigidamente deterministiche ma che ciò nondimeno presentavano un comportamento assolutamente caotico e imprevedibile, la cosa interessante era che questi comportamenti caotici, negli esempi studiati, apparivano come fenomeni di biforcazione, nel senso tecnico del termine, in quanto i comportamenti caotici non si verificavano sempre, ma comparivano solo quando i parametri contenuti nelle leggi di evoluzione attraversavano certi valori critici. Di solito ciò che ci si aspetta da un modello matematico è la previsione di comportamenti in qualche modo riconducibile ad un ordine, anche se molto complicato, cosicché i comportamenti caotici appaiono come un pericolo da evitare ad ogni costo pena la vanificazione dei modelli adoperati; e quindi è naturale che i matematici si siano posti la domanda se i comportamenti caotici nei sistemi deterministici siano 91


una regola o un'eccezione. A questa domanda ha dato una risposta nel 1967 l'americano Smale, il quale, con un celebre teorema, ha dimostrato in sostanza, che, quando si ha a che fare con un sistema in cui il numero delle variabili di stato è inferiore a tre, allora il caos deterministico è praticamente improbabile mentre quando questo numero è inferiore o superiore a tre, la probabilità di comportamenti caotici deterministici è elevata e cresce sempre di più con l'ammontare del numero delle variabili di stato. Questo risultato mette in crisi, almeno sul piano teorico, i modelli connessionistici delle attività cognitive, in quanto questi ultimi sono caratterizzati da un numero di variabili di stato molto elevato (almeno una per ogni componente di base), potremmo allora dire che in un certo senso, i risultati interessanti ottenuti con questi modelli sono una fortunata eccezione alla regola che li vuole praticamente sempre caotici. Harth a questo riguardo ha proposto una via d'uscita da tale situazione, facendo notare che, innanzitutto, che un sistema a comportamento caotico deterministico è un amplificatore d'informazione, in quanto con il passare del tempo aumenta sempre più l'informazione necessaria a specificare le modalità della sua evoluzione, e in secondo luogo, in presenza specialmente di situazioni in cui il sistema può, per certi valori dei parametri, ammettere comportamenti oscillatori debolmente stabili, si possono venir a creare, nel corso del comportamento caotico, situazione temporanee (ma la cui durata può essere abbastanza lunga) in cui il sistema presenta comportamenti ordinati (generalmente molto complessi). Questi momenti di relativo ordine nel corso del disor92


dine caotico vengono chiamati dai matematici "attrattori vaghi". Ora il cervello umano, sempre secondo Harth, sembra trovarsi proprio in una situazione del genere, in quanto appare come un sistema che, da un lato, è caotico per il grande numero di componenti e, dall'altro, è un amplificatore d'informazioni in quanto anche una piccolissima stimolazione esterna può innescare al suo interno patners di attività che interessano tutto il sistema. La psicologia e la psicofisica hanno ampiamente mostrato come non sia l'intensità fisica degli stimoli ad avere importanza quanto un processo di pensiero, o emotivo di vasta portata può essere innescato da stimolazioni apparentemente trascurabili. Inoltre vi è da tener presente che nel cervello esistono effettivamente dei sottosistemi che fungono da oscillatori debolmente stabili (si pensi al talamo), cosicché la presenza di attrattori vaghi diventa altamente probabile. Harth identifica questi ultimi con le idee, di cui da millenni si parla in ambito filosofico, e pone quindi la teoria del caos deterministico alla base di una teoria matematica del cervello che dovrebbe essere il fondamento di una Psicologia scientifica. Una proposta altrettanto interessante viene da Nicolis, il quale basandosi sugli studi effettuati da Matsumoto e Tsuda, fa notare come un sistema caotico deterministico, in presenza di rumore casuale, dia luogo a comportamenti ordinati, questo rumore casuale effettivamente è presente nel nostro cervello e deriva dalle fluttuazioni delle attività sia neuronale che di altri componenti, come le cellule4 gliali. Secondo Nicolis, quindi, l'attività cognitiva consisterebbe di due fasi: una prima in cui il comportamento caotico fungerebbe da amplificatore d'informazione per 93


gli stimoli d'ingresso e una seconda in cui il rumore casuale farebbe "collassare" il comportamento caotico instauratosi in un qualche comportamento ordinato, che equivarrebbe alla "categorizzazione" degli stimoli in questione. A sostegno delle argomentazioni di Harth e Nicolis vi è il fatto che recentemente quando una tecnica introdotta da Grassberger e Procaccia, vari autori, quali la Babloyantz, Dvorak, Siska, servendosi di dati provenienti da registrazioni elettroencefalografiche, hanno potuto evidenziare numericamente la presenza di comportamenti caotici deterministici nel cervello, rimane comunque il fatto che anche se si può ovviare all'inconveniente dei comportamenti caotici, il paradigma del calcolatore analogico non può rimediare al grave problema costituito dalla rigidità delle frontiere. Se prendiamo, per altro, la descrizione matematica dei processi di auto-organizzazione questa non può essere considerata come una rappresentazione realistica dei rapporti tra un organismo e l'ambiente che lo circonda: infatti tutti questi processi nei modelli finora usati, sono innescati dalla variazione dei parametri del sistema. Siccome questi ultimi rappresentano l'influenza dell'ambiente esterno, una descrizione del genere equivale ad asserire che è l'ambiente esterno a determinare il comportamento del sistema studiato, che viene così ad essere caratterizzato da leggi di struttura fissa e immutabile e, soprattutto, da frontiere rigide e non modificabili, invece che di "auto-organizzazione" sarebbe più giusto parlare di "etero-organizzazione". Se invece prendiamo in considerazione le effettive interazioni che avvengono tra un sistema e l'ambiente che lo circonda 94


quali vengono studiate dalla Biologia e dalla Psicologia, ci accorgiamo che le cose vanno ben diversamente, innanzitutto non è quasi mai possibile stabilire quale dei due, l'organismo o l'ambiente, determini il comportamento dell'altro. In generale si può solo dire che organismo e ambiente appaiono come sottosistemi interagenti di un più ampio sistema che li comprende entrambi. Possiamo dire, giunti a questo punto, di essere vicini alla comparsa di un nuovo e più elevato paradigma, quello dell'uomo cibernetico inteso come sistema a frontiera mobile? Probabilmente è troppo presto per poterlo affermare, ma certamente molte ricerche scientifiche stanno andando ormai in questa direzione, anche la cosiddetta intelligenza artificiale, dopo gli scacchi subiti nel corso della sua storia, sta accorgendosi che il paradigma del computer digitale è troppo povero, grazie anche ai nuovi sviluppi tecnologici, che hanno dato luogo alla costruzione di "macchine connessionistiche" e nell'immediato futuro, porteranno alla progettazione di "calcolatori sinergetici" già, per altro, in fase di studi avanzati da parte di Shimizu e del suo team in Giappone. In ogni caso anche se questo nuovo paradigma si affermerà, saremo ben lontani dall'aver risolto una volta per tutte il problema della natura della mente, che è uno di quei problemi la cui soluzione si trova in cima a una scala con infiniti gradini, tutto quello che si potrà umilmente dire è che l'uomo cibernetico è un piccolo gradino di questa scala35. Questo è un tratto guidato verso un fine preciso e la stessa natura del "logos" segue un percorso mirato con i suoi frammenti biologici, quello ciberne35

Fonte: Eliano Pessa docente di intelligenza artificiale nell'università di Roma.

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tico, e si risolve in una entità metacosmica. Siamo, dunque, al cospetto di un infinitamente grande e di un altro incommensuratamente piccolo. I due estremi si toccano e interagiscono tra loro. Entro questi paradigmi si possono inserire tutte le più recenti ricerche sul caos che portano a un profondo rinnovamento della scienza paragonabile a quello fatto con la relatività e con i quanti e ci permette di comprendere meglio la problematica dell'ordine, della organizzazione e della complessità. Questa evoluzione della scienza, tuttora in atto, ha avuto inizio con l'introduzione della "sintropia" di Fantappiè nel 1942. Essa ha importanti conseguenze in campo cosmologico perché introduce un finalismo "globale" nell'evoluzione cosmica. L'universo, quindi, non si evolve ciecamente, come sosteneva il Monod, ma secondo una precisa finalità, che come sostiene il principio antropico è la formazione dei viventi e dell'uomo in grado di comprenderne il cosmo. Se l'osservatore è considerato un semplice punto geometrico, privo di struttura, esso non pone alcuna condizione all'evoluzione cosmica. Ma se esso è un vivente, la sua posizione nel cosmo, pur non essendo centrale è tuttavia eccezionale perché deve stare dove ci sono le condizioni adatte per la vita. Ne segue che le costanti universali della Natura non possono avere dei valori arbitrari, ma devono essere tali da consentire la formazione delle galassie, delle stelle e dei pianeti. In questo modo si passa da una scienza "entropica" basata sul caso, sul disordine e sulla degradazione a una nuova scienza sintropica ed olistica, basata sull'ordine, sul finalismo e sulla complessità e nella quale l'uomo viene a occupare il posto che gli compete. 96


Capitolo ottavo I campi finiti della biologia

Quando leggo che la biologia è la scienza che studia gli organismi viventi ed i loro rapporti con l'ambiente che li circonda penso che quanto ho scritto nel precedente capitolo è senza dubbio un naturale completamento del mio discorrere intorno alla natura, al cosmo che ci circonda e ci compenetra e alle forze provenienti dallo spazio che interagiscono sul nostro essere e divenire. La stessa circostanza che la biologia abbia come oggetto della sua ricerca la vita stessa ha fatto si che la conquista della sua autonomia confliggesse, in misura maggiore o minore, con la religione, la filosofia, la chimica e la fisica spaziale e che per secoli si sono mantenute autonome e disvelate per quanto fossero, ciascuna nella loro particolarità, depositarie della vita sotto i suoi multiformi aspetti sia di natura organica sia inorganica. Questo approccio è stato a lungo in contrasto con la diversa visione dei viventi dominandone le loro culture e nelle quali con intenti dissimili ritenevano molto più soddisfacente che nella materia vivente esistesse una qualche forma di forza (talora indicata come vis vitalis, forza vitale) che nobilitava la materia e le conferiva le straordinarie proprietà della vita. Questa concezione indicata come vitalismo, ha costituito il principale ostacolo allo sviluppo della biologia moderna ed è ancora presente, in forma più o meno esplicita, anche ai giorni nostri, nonostante gli spet97


tacolari progressi raggiunti dalla ricerca biologica. In effetti è solo nella seconda metà del XIX secolo che la formulazione della teoria cellulare, della teoria dell'evoluzione attraverso la selezione naturale, l'identificazione delle leggi che regolano la trasmissione dei caratteri ereditari e la sintesi in laboratorio dei primi composti organici hanno posto le premesse per lo sviluppo della biologia moderna. Oggi abbiamo maggior consapevolezza che l'essere vivente, anche il più semplice, si presenta come estremamente complesso, a tutti i livelli, sia nella forma sia nella composizione chimica, sia della sua struttura molecolare. E', tuttavia, una complessità che fa il paio con gli stessi sistemi inorganici anche se questi ultimi non sono uguali tra di loro e non si ripetono mai in modo identico come accade invece alle piante della stessa specie. Oggi sappiamo che questo è possibile perché gli esseri viventi dispongono di un particolare composto, l'acido desossiribonucleico (DNA dall'inglese deoxyrbonucleic acid), le cui molecole di enormi dimensioni hanno una possibilità praticamente illimitata di contenere informazioni su come un organismo debba essere fatto e su come debba funzionare. Il DNA registra questa informazione genetica dell'organismo e si duplica con grande precisione. La struttura stessa delle molecole del DNA, costituite da due filamenti che sono uno lo "stampo" dell'altro, offre il modello con cui questo può realizzarsi. Da qui la constatazione che ogni essere vivente deriva dalla moltiplicazione di quello preesistente ed è al tempo stesso la dimostrazione dell'inesistenza della cosiddetta generazione spontanea della vita. Va, tuttavia, sottolineato che il mantenimento di un certo grado di 98


variabilità genetica tra gli individui della stessa specie è necessario alla selezione naturale e quindi all'evoluzione. Ciò è tanto vero che nel corso dell'evoluzione, accanto all'insorgenza, sia pure con bassa frequenza, ad ogni generazione, di mutazioni, sono stati selezionati anche altri meccanismi generatori di variabilità genetica, come ad esempio, la riproduzione sessuata, che consente di rimescolare i patrimoni genetici di individui diversi, creando, di volta in volta, nuove combinazioni di caratteri. In questo campo l'ingegneria genetica ha cercato d'introdursi analizzando i fenomeni biologici per determinare soluzioni diverse da quelle proposte dalla natura. Tali tentativi sono stati effettuati, probabilmente, dagli esperti del settore nei lager della Germania nazista potendo disporre di un gran numero di cavie umane e si sospetta che gli stessi, tra quelli sopravvissuti e i loro allievi, lo hanno ripetuto in Romania come ho già citato in precedenza. Si deve ricordare, a questo punto, che dagli anni immediatamente precedenti l'ultima guerra, per quasi un trentennio la biologia sovietica rifiutò la "genetica occidentale". Nel 1948 fu imposto un credo di Stato e primeggiò il famigerato Trofim Lysenko, sostenuto personalmente prima da Stalin e poi da Kruscev. Per quali idee i genetisti sovietici subirono decenni di persecuzioni? la storiografia ufficiale occidentale fa riferimento all'ostracismo dato al mendelismo (la teoria del gene) e alla base materiale dell'eredità (DNA). Ma il pensiero biologico non è esaurito né da un ambiente onnipotente (Lysenko), né da una eredità materiale sede di tutto (vedi il gene egoista di Dawkins). Bisogna anche ricordare quelle tendenze interne della vita, quelle leggi della forma su cui si 99


fonda la teoria di Baer. Anche queste furono disconosciute dalla genetica lysenkniana, ma esse non furono mai accettate neppure entro la moderna genetica occidentale. Qualunque accenno al finalismo o a una legalità naturale è sempre stato, in Occidente, derubricato a superstizione e a pseudo-scienza anche quando aveva tutta la dignità di una teoria matematica (R. Thorn) od embriologica (C.Waddington). Ecco perché i sovietici, nel primo incontro ufficiale con la biologia occidentale, hanno preferito far riferimento ad un gruppo minoritario (il Gruppo di Osaka per lo studio delle strutture dinamiche) piuttosto che alla genetica ufficiale, cattedratica ed accademica. Quel piccolo gruppo esprimeva proprio il rifiuto del meccanicismo e l'interesse per lo sviluppo, verso cui la biologia sovietica guarda con rinnovata attenzione. "Sono stata colpita - ha commentato la Karpinskaja - dal comune sentimento di insoddisfazione per i modelli meccanicistici del mondo e per la mancanza di attenzione dedicata correntemente alle proprietà fondamentali dello sviluppo." I.V. Beloussov ha attribuito la diversità delle forme alle accelerazioni e ai ritardi nello sviluppo dei diversi organi (eterocronie). I geni agiscono sullo sfondo, ma le variabili dinamiche sono al di fuori di essi. Gli organismi tendono ad autorganizzarsi, cioè a comporre e a conservare le proprie forme per una tendenza formativa interna. Secondo la "teoria dell'autorganizzazione" richiamata da V.G. Cherdanzev, la forma organica è determinata da strutture generative sostanzialmente indipendenti dalla composizione materiale delle regioni in sviluppo. La forma non è propriamente "causata" da fattori meccanici o chimici, è resa esplicita è "rivelata" da questi. La biologia 100


sperimentale svolge una funzione ermeneutica, interpreta un testo misterioso e arcaico, che non può essere in alcun modo ricostruito dai suoi elementi costitutivi. Tutto questo oggi si scopre in biologia: a) A livello genetico ove gruppi di geni appaiono situati nello spazio di acido DNA, come se fossero punti materiali di concentrazione, rispettando una determinata legge di rapporto armonico con il territorio nel quale si trovano. Questa legge è precisabile con una funzione esponenziale in campo interspecifico e cioè considerando i dati biometrici di diverse specie, dalla drosofila all'uomo. E' merito di H. Naora (1988) - della Università australiana averlo dimostrato concretamente, al punto che le possibili deviazioni da tale legge conducono alla distruzione della specie 8 e persino al cancro). Si tratta, quindi, di un vero ordine spaziale nell'arrangiamento territoriale dei geni specifici: una vera architettura interna del microcosmo cellulare e cromosomico di cui tratta anche Lima de Faria (1980). b) A livello epigenetico o auxologico dell'embrione, ove si segnala uno dei problemi più importanti ancora non risolti: quello del riconoscimento di un possibile modello spaziale dell'organismo durante lo sviluppo (orto e morfogenetico). Lo esprime così L.V. Beloussov (1988), della scuola embriologica moscovita, il quale propone funzioni non lineari per studiare l'accrescimento reale dei sistemi cellulari e organici in rapporto a campi (finiti) di tensioni meccaniche che creano modelli spaziali (territoriali) regolari degli organismi in sviluppo. A 101


parte il determinismo casuale e l'auto-organizzazione di questi campi, la cosa più importante e poter osservare la loro architettura sistemica, così come accadde a livello puramente genetico. c) A livello organico (adulto della specie) ove le funzioni sistemiche territoriali, di relazione fra organi e spazio corporeo, sono anch'esse perfettamente precisabili e anzi si dimostrano in tal modo vere dinamiche intra ed interspecifiche, le quali differiscono tra loro. Inoltre la probabilità di transfers fra l'una e l'altra dinamica risulta praticamente nulla. Ciò fra l'altro attesta la fallacia dell'interpretazione darwiniana dell'evoluzione che si basa sul passaggio della dinamica intraspecifica a quella interspecifica. Ma, purtroppo, siamo sempre sull'A.C.E., nell'unus mundus della biologia, il quale rivela strutture omologhe nel Systema e quindi dinamiche omologhe nei rapporti organici con il loro microuniverso. E ciò supera il concetto di parentela reciproca, perchè non sappiamo a che livello bisognerebbe fermarsi sull'A.C.E. Conseguenze fondamentali su tutto ciò sono: 1. Non è essenziale e anzi è superfluo e spesso dannoso parlare di parentele filetiche ed evolutive sulla base di analogie e somiglianze. 2. E' fondamentale, invece, la ricerca di omologie sistemiche sulla traccia di omologie territoriali d'ordinamento delle strutture genetiche ed organiche nel loro spazio ontico36. 36

Ontico che concerne l'essere, come esistenza singola determinata nel tempo e nello spazio. (dizionario online Hoepli)

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3. Queste omologie sistematiche si verificano in campi finiti che nell'ambito organico delle specie giungono a essere auto-poietici per un processo di vera auto-organizzazione o selforganization. 4. Si situa così la scoperta sistemica in un piano epistemologico che non ha nulla a che vedere con la funzione (o il vecchio funzionalismo: due sistemi di pensiero che possono apparire in reale conflitto tra loro). L'insieme di queste ricerche e di queste indagini in campo biologico ci porta convenire con M.I. Franz (1987) che non è possibile introdurre nella scienza attuale il concetto di sincronicità e quindi del supporto mondo a-casuale. In tutta questa farneticante ricerca un dato ci sembra certo. Non riusciamo ad accontentarci dei tempi lunghi che portano all'evoluzione della specie umana e vogliamo in qualche modo accelerarne i processi, ma gli effetti potrebbero essere devastanti anche sul piano dell'equilibrio mentale e alterarlo come può accadere per la pazzia. D'altra parte se vogliamo far dipendere la vita non dalla natura ma dalle provette e dagli alambicchi da laboratorio il rischio di un fallimento è molto elevato. Un'altra caratteristica fondamentale, peraltro, degli esseri viventi è quella di accrescersi, cioè di aumentare la propria massa prelevando materia dal mondo inorganico e trasformarla in composti organici attraverso un gran numero di reazioni chimiche. Questo accade in condizioni chimico-fisiche estremamente blande, a temperatura ambiente, o molto vicina ad essa, a pressione costante di un'at103


mosfera, a pH vicino alla neutralità, in assenza di scariche elettriche. A lungo restò un mistero sul come fosse possibile ottenere un risultato a queste condizioni finché non si scoprì che gli esseri viventi producono dei particolari catalizzatori (cioè sostanze in grado di accelerare lo svolgimento di una reazione chimica, ritrovandosi inalterati alla fine della reazione stessa). Essi si chiamano enzimi e ciascuno dei quali è in grado di catalizzare in modo specifico e con grandissima efficienza una singola reazione chimica. Dal punto di vista chimico gli enzimi sono proteine, molecole di grandi dimensioni per contenere una grande quantità d'informazioni. L'aspetto, invece, che ritengo grave deriva dalla rapidissima espansione della specie umana e che dipende anche dal fatto che è posto al vertice della catena alimentare. La natalità resa infrenabile ha già provocato negli ultimi decenni profonde mutazioni all'ambiente. In questo modo è stata condizionata pesantemente l'evoluzione e la sopravvivenza stessa di molte altre specie viventi e che impongono all'essere umano di porsi il problema di quanto egli possa continuare a modificare l'ambiente senza mettere a repentaglio anche la sua stessa esistenza in futuro. E' stato, senza dubbio, un gravissimo errore dei nostri antenati ancorare l'idea del "crescete e prolificate" rendendola assoluta e non relativa nel senso che se in passato il numero degli abitanti e degli eserciti faceva la differenza per contrastare l'avversario oggi l'eccesso di popolazione rischia di far collassare il pianeta. Ancora oggi devo assistere al compiacimento del Papa per le famiglie numerose considerandole una benedizione divina. E' una follia. 104


Capitolo nono La mela di Eva

Dopo la creazione del cielo e della terra il signore Dio si rese conto che "nessun cespuglio campestre era sulla terra, nessuna erba campestre era spuntata perché non aveva fatto piovere sulla terra e nessuno lavorava il suolo e faceva salire dalla terra l'acqua dei canali per irrigare tutto il suolo. Allora il Signore plasmò l'uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l'uomo divenne un essere vivente. Poi il signore piantò un giardino in Eden, a oriente, e vi collocò l'uomo che aveva plasmato. Il Signore fece germogliare dal suolo ogni sorta di alberi graditi alla vista e buoni da mangiare, tra cui l'albero della vita in mezzo al giardino e l'albero della conoscenza del bene e del male. Il Signore prese l'uomo e lo pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse. Il Signore diede questo comando all'uomo: "Tu potrai mangiare di tutti gli alberi del giardino, ma dall'albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare, perché, quando tu ne mangiassi, certamente moriresti". Poi si rese conto che non fosse bene per l'uomo non avere un aiuto da una creatura a lui simile anche se già aveva plasmato dal suolo ogni sorta di bestie selvatiche e di uccelli. Così convenne di modellare con la costola che aveva tolto all'uomo una donna e decise che sarebbe stata la sua sposa. Poi sopravvenne la tentazione stimolata dal serpente, sotto le spoglie della più astuta di tutte le bestie 105


selvatiche fatte dal Signore e Eva raccolse la mela dall'albero della conoscenza del bene e del male e l'addentò e indusse il suo compagno a fare altrettanto. Scoperti il signore condannò il serpente a strisciare sulla terra senza avere mai la possibilità di sollevarsi e rese mortali sia la donna sia l'uomo. Così Adamo ed Eva furono cacciati dal Paradiso e si resero capostipiti dell'intera umanità generando per primi Caino e Abele. Questa fu la storia conosciuta dai bambini che frequentavano la parrocchia e si preparavano ad apprendere le prime nozioni di catechismo. Seguì, una volta più grandicelli, la lettura della mitologia greca-romana che traeva la sua origine dal caos dove a un certo punto due esseri potenti e belli balzarono fuori: Gea la terra, piena di ogni fecondità, ed Eros, principio dell'amore che crea la vita. D'allora in poi il caos si trasformò in armonia di elementi anche se poi i figli di Gea e di Eros resero la terra alquanto agitata con i loro prodigi e mostri. Urano fu scacciato dal trono dal figlio Cronos ma alla fine subì lo stesso trattamento da uno dei suoi figli Giove sottratto con astuzia alla vorace fame del genitore e portato di nascosto sul monte Ida. Così nelle verdi valli della Grecia, donde si scorge il mare, i Poeti pastori narravano l'origine del mondo e degli Dei, agli uomini semplici ed ignari, che non potevano concepire le grandi forze e le leggi primordiali della natura, se non in forma di esseri umani smisurati e violenti, in preda a passioni selvagge. Tuttavia quelle strane e rozze personificazioni, quei miti barbari e paurosi adombravano due profonde verità: l'idea di un'evoluzione grandiosa del 106


mondo fisico e quella di un continuo progresso nella vita morale. Quegli stessi bambini poi giovinetti e infine adulti si ritrovarono a riconsiderare le due storie presa seriamente la prima e trattata come una "verità" e la seconda, frutto di una cultura barbara e incivile e dai caratteri favoleggianti. Spuntarono, però, anche primi dubbi e con essi altrettanti interrogativi che ancora oggi riscontrano risposte che non appagano pienamente se non lasciano del tutto scettici. Quando dalla biologia apprendiamo che il codice della vita è racchiuso nel DNA e che esso è duplicato per assicurare la continuità della specie mi chiedo cosa ha permesso di formare per la prima volta quella cellula per conservarvi i caratteri distintivi di una vita. L'essere umano prima non esisteva e poi è spuntato e lo intendo anche riferendomi al suo progenitore la scimmia. Ci manca di sapere come è nato chi ha acceso per primo il fiammifero. Da qui l'osservazione che ritengo oltremodo importante: chi è Dio? Come è stato generato? Perché è eterno mentre noi siamo mortali? E se è un essere che vive fuori dal tempo è in grado di vedere solo il presente in quanto nella sua posizione non può esistere né il passato né il futuro, perchè vuole metterci alla prova se conosce già la risposta? E se è così perchè ha bisogno dell'albero della conoscenza del bene del male per costruire la vita terrestre di Adamo ed Eva? Egli sa già che avrebbero trasgredito, che Caino avrebbe ucciso Abele per gelosia, che il male avrebbe reso perverso l'uomo e che il progresso lo avrebbe portato sulla strada della sua autodistruzione. Ed è senza dubbio profetica per noi mortali la "rivelazione di Gesù Cristo 107


che Dio gli diede per render noto ai suoi servi le cose che devono presto accadere, e che egli manifestò inviando il suo angelo al suo servo Giovanni". Fu il prologo dell'Apocalisse dove le nequizie umane affondano nella palude del disonore. Tutto qui mi viene da chiedere? E' possibile che l'essere umano nasce vive e muore per generazioni solo per dimostrare le sue debolezze e per magnificare le virtù del suo creatore? A che pro? Lo fa forse per esaltare meglio la sua perfezione? Se si questo nostro progenitore ha forse bisogno d'essere incensato per ciò che è? Ma da chi dovrebbe essere glorificato? Forse da un piccolo e insignificante uomo? Non costituisce una diminutio umiliante? La lode rivolta alla perfezione in questo frangente è senza dubbio pleonastica. E allora penso a un altro racconto più realistico che è quello di esseri ibernati che sognano, durante il loro lungo viaggio, immaginando di trovarsi sulla terra e di costruirsi un mondo modellato secondo la loro fantasia e capacità creativa. Un bel giorno si risveglieranno da quel freddo torpore e si ritroveranno spersi nel creato forse a chiedersi come noi che siamo il loro sogno in quale regno albergano e chi è il loro Dio inteso come il creatore di tutte le cose che ci circondano e ci compenetrano. Forse a questo punto capiranno d'essere diventati dei folli che vagano impazziti nello spazio e che il mistero della vita è una bolla di sapone destinata a dissolversi perchè in effetti per tutti noi non vi è un destino ma solo una traccia fugace e solitaria del nostro essere che sfugge alla logica del tempo, ai cieli che ci sovrastano e ci fanno navigare nel nulla dal quale veniamo e nel quale ci perderemo. 108


Indice Pag. Cap. 3 7 1 21 2 41 3 51 4 65 87 91 97 105

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Oggetto Nota introduttiva La follia Il male che sconvolge la mente La follia nell'età classica Il ricordo della paura e la paura che non si controlla è follia? La malvagità come follia La casa comune Il caos deterministico I campi finiti della biologia La mela di Eva

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