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Dislivelli

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Ricerca e comunicazione sulla montagna

Oggi le disuguaglianze permangono, l'iniquità divide il mondo fra inclusione ed esclusione, ma il contesto è profondamente cambiato. La popolazione globale ha superato la soglia degli 8 miliardi e il pianeta consuma ogni anno quasi il doppio di quanto gli ecosistemi sono in grado di produrre. E poi c'è un fattore nuovo, che rende tutto maledettamente più complicato: quello che Francesco indica con il termine “rapidacion”, riferito in particolare alla rapidità con cui la crisi climatica si manifesta e s'intreccia con le altre crisi sistemiche.

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Il tradizionale rapporto fra tempi storici (quel che accade nello spazio temporale della storia dell'uomo) e tempi biologici (quello degli ecosistemi) si è rovesciato e noi, nelle nostre piccole vite, assistiamo a fenomeni che prima avvenivano in ere geologiche. La fusione di un ghiacciaio, per fare un esempio, è il concludersi di un ecosistema che esiste almeno da 14 mila anni, ovvero dall'ultima glaciazione. Assistiamo alla fine di ecosistemi come i ghiacciai della Marmolada o dell'Adamello che ci hanno permesso di vivere garantendoci la risorsa idrica per l'agricoltura, l'allevamento di animali, la produzione idroelettrica e così via... Eppure facciamo fatica a comprendere le conseguenze che l'esaurimento di questi straordinari ecosistemi comporterà per le comunità che ne hanno sin qui beneficiato, nell'arco alpino come nelle pianure e nelle città che dipendono dai sistemi d'acqua dolce originati proprio da quelle riserve d'acqua che sono i ghiacciai.

Si dice che i cambiamenti climatici ci sono sempre stati ed effettivamente è così. Ma oggi abbiamo a che fare con due elementi di novità: i cambiamenti sono determinati dagli effetti climalteranti dell'agire umano (un modello di sviluppo insostenibile) e la rapidità con cui avviene il rovesciamento fra tempi storici e tempi biologici, che contrasta con la naturale lentezza dell'evoluzione biologica. In questo modo il pianeta precipita nell'inedito.

Alla fatica di cambiare si aggiunge pertanto l'inadeguatezza del nostro sapere, incapaci di comprendere «le molteplici relazioni che esistono fra le cose» (la complessità), prigionieri come siamo della «fiducia irrazionale nel progresso e nelle capacità umane» e di un rapporto di dominio verso la natura di cui siamo peraltro un'infinitesima parte (la perdita del senso del limite).

Descriverlo è urgente. Per questo con Maurizio Dematteis abbiamo deciso di scrivere “Inverno liquido. La crisi climatica, le terre

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