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Dislivelli

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Ricerca e comunicazione sulla montagna

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La Narrazione

La metafora dello sci di Enrico Camanni

In natura non c’è niente di perenne, e meno che mai nei progetti umani. Come per le piste di sci, che prima o poi bisognerà capire se ce le possiamo permettere. Si dovrà reinventare la montagna turistica invernale e integrare le grandi infrastrutture con il turismo dolce, collegando l’inverno all’estate e alle mezze stagioni.

Ve la ricordate le barzelletta di Pierino? «Papà, dove comincia la neve perenne?»

«Ma che dici, figliuolo? La neve comincia sempre per enne!»

Ecco, molto di quanto sta succedendo al mondo dello sci e all’industria della neve risale a quell’aggettivo obsoleto, ma in fondo confortante, che ci insegnavano a scuola: “perenne”. Di solito era abbinato proprio alla neve, perché almeno su quella non si discuteva: in montagna ci sarebbe sempre stata, cadesse il mondo; la neve è perenne e basta. Invece era un’illusione, anzi un falso, perché in natura non c’è niente di perenne, e meno che mai nei progetti umani. Di sicuro nella seconda metà del Novecento, quando le montagne furono trasformate in dorate periferie e lo sci portò soldi e promesse nei luoghi da cui i montanari emigravano per povertà, tutti pensarono che fosse una ricchezza senza fine, ma cinquant’anni dopo siamo qui a leccarci le ferite, non solo per avere spremuto oltre misura certi ambienti e distrutto la loro bellezza, ma soprattutto perché il sistema s’è inceppato e non esistono immediate alternative, dato che lo pensavamo eterno. Pe renne, appunto.

La questione è complessa e ogni semplificazione por ta fuori strada. Bisognerebbe evidentemente smettere di progettare nuovi impianti, rinnovando quelli vecchi solo quando ha senso, e occorrerebbe distinguere attentamente tra i comprensori “capaci di futuro” e quelli troppo bassi, obsoleti e antieconomi ci. Fare delle scelte, insomma, non più basate sulla speculazione di corto periodo ma su uno sguardo di lungo respiro, che sappia leggere attentamente le previsioni – purtroppo centrate, e perfino ottimistiche – degli scienziati della neve e del clima.

Nel recente libro-dossier “Inverno liquido”, una grande inchiesta sui territori dello sci dalle Alpi agli Appennini, Maurizio Dematteis e Michele Nardelli dimostrano come ovunque, senza eccezioni, le certezze siano svanite con il riscaldamento climatico, i costi dell’energia, i costi dei biglietti, la neve da cannone e una nostalgia di natura che sfiora anche l’industria artificiale dello sci, spiegandoci

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