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NOTA BIOGRAFICA
Olindo Malagodi nacque il 28 gennaio 1870 nella vecchia casa di famiglia a Cento di Ferrara.
Il padre, Tommaso, aveva combattuto come volontario, nel 1848 alla difesa di Vicenza, nel 1849 alla difesa di Roma. Olindo fece gli studi classici a Cento ed a Bologna, frequentò le facoltà di lettere di Bologna, di Firenze e di Milano, si laureò nel 1893 a Brera. Era bruno, alto e robusto, esercitato nel ciclismo e nell'alpinismo. Aveva un caratteristico viso di latino appenninico: somigliava — come egli diceva scherzando — al Magnifico Lorenzo.
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Già da prima del '90 era stato attratto dalla politica, scriveva articoli, faceva discorsi, girava la provincia col calessino, in tempo di elezioni, ad attaccare manifesti. Era ammiratore di Massarenti, socialista al modo umanitario dei giovani che sentivano in cuore il tema di una società giusta, il bisogno di redimere le plebi e farne cittadini, la vergogna dello stato di inferiorità umana in cui erano tenuti i braccianti o le mondariso della Bassa padana.
A Milano divenne giornalista e collaboratore della «Critica Sociale» di Turati. Ben presto si delineò una rottura ideale. I «compagni», nei quali il classismo e la passione politica prevalevano su ogni altra voce, si dispiacquero vivacemente di un saggio del M. sulla Débàcle di Zola, ove al di fuori degli schemi letterari naturalistici e decadentistici, una sensibilità poetica fine e sana metteva in luce tutto quello che c'era di meccanico e di sforzato nei romanzi del francese, ammiratissimo allora dalla sinistra italiana ed europea. Si urtavano una mentalità positivistica ed impregnata di democraticismo astratto ed una mentalità di democratico liberale, incline ad una sorta di evoluzionarismo e panteismo mistico ed alla considerazione simpatica della storia.
Nel 1895 il M. si trasferì a Londra come corrispondente di giornali italiani (il «Secolo» di Milano, soprattutto, e poi la «Tribuna» di Roma) e vi rimase 15 anni. La partecipazione alla vita inglese — che era allora vita mondiale, nelle cose della politica come in quelle della scienza, della poesia o dell'economia — facilitò al M. il ritrovamento della sua personalità genuina. Divenne conoscitore profondo della lingua, della poesia e della pubblicistica inglese.
Nacque così, nel 1901, l'Imperialismo: la civiltà industriale e le sue conquiste, un saggio sulle forze ideali e pratiche che modellano la nostra civiltà e che culmina, in polemica con l'egualitarismo astratto e al tempo stesso con le dottrine autoritarie o conservatrici, nell'affermazione meditata del «progresso politico... (come)... passaggio da minoranze esigue e tiranniche a minoranze più larghe e più utili e perché questo progresso dovrebbe fermarsi al limite dove la minoranza diventa maggioranza?»
Seguirono, nel 1905, una inchiesta, svolta in occasione del terremoto, sulla Calabria desolata, e nel 1922 la redazione e l'introduzione alle Memorie della mia vita di Giovanni Giolitti.
Parallelamente cresceva e si affermava la vocazione del M. come poeta e come narratore. Il Focolare e la Strada (1904 e di nuovo 1922), Nonni, padri e nepoti (1924), La casa della doppia vita (1934) sono formati di racconti, ispirati da una sorta di senso omerico o goethiano della complessità della vita, nella chiave minore, melanconica od ironica, che si addice alle cose e alle persone della provincia padana di cui trattano in gran parte. In Un'libro di versi (1908), Madre Nostra e altri versi (1914), Poesie vecchie e nuove (1928), si esprimono egualmente, in un linguaggio lirico caldo e come velato, la meditazione ed il sentimento del perpetuo rinascere e perire e rinascere che sono nei grandi fatti della vita naturale (Emilio Cecchi).
Negli anni stessi di questo lavoro letterario intenso, schivo e sincero, il M. acquistava autorità sempre maggiore come informatore e commentatore politico, prima da Londra e poi, tornato in Italia nel 1910, come direttore della «Tribuna». A Roma, in breve tempo la sicurezza e semplicità del suo giudizio anche sugli avvenimenti più gravi, la sua fede tranquilla nella libertà, la trasparenza e la discrezione dello stile e del carattere gli acquistarono la confidenza dei massimi uomini politici del tempo. Di qui le Conversazioni della guerra che escono soltanto ora secondo il desiderio espresso dal loro autore, e cioè che non comparissero finché ne vivevano i protagonisti, l'ultimo dei quali, il cardinale Tedeschini, è morto nel novembre del 1959. LXXXIII
Chi scrive, benché fosse allora ragazzo, ricorda i quaderni nei quali le Conversazioni erano man mano annotate e la cura fedele con cui vennero più tardi copiate a macchina e preparate per una lontana pubblicazione. Così come conserva pensieri e commenti sulla guerra che il M. aveva scritto in margine, ma al di fuori delle Conversazioni, per lasciare a queste il loro raro carattere di intelligente documento originale. Nominato senatore nel 1921 su proposta di Giolitti, allora presidente del Consiglio, il M. vide la sua persona minacciata e la sua carriera politica e giornalistica interrotte nel 1922 dal fascismo. Risoluto a non servire la dittatura, della quale il suo cuore di liberale ed il suo occhio di osservatore politico avevano divinato ben presto l'esito («finirà in una catastrofe politica estera e trascinerà con sé la monarchia che non ha saputo resistergli» disse al figlio ed agli amici fin dall'agosto 1923, ai tempi dell'incidente di Corfù,) il M. si chiuse nella cura di interessi affidatigli, fra i quali la corrispondenza romana della Nacion di Buenos Aires; nella frequentazione di amici come Benedetto Croce, Guglielmo Ferrerò, Emilio Cecchi, Armando Spadini, Raffaele Mattioli; nel comporre racconti e poesie; nel preparare e stendere in parte un saggio storico ancora inedito su Il regime liberale e l'avvento del fascismo Morì improvvisamente a Parigi, a sessantaquattro anni, il 30 gennaio 1934.
(g. f. m.)