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Introduzione

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Bibliografia

Bibliografia

INTRODUZIONE Emilio Lussu (Armungia 1890 – Roma 1975) ha vissuto tante vite in una sola: cacciatore nelle distese fiorite delle lande sarde, leggenda nella leggenda della Brigata Sassari, arruffapopolo — bene in vista i nastrini delle medaglie di guerra — del Partito sardo d’Azione, leader antifascista in patria e all’estero, dopo l’evasione rocambolesca da Lipari, agente segreto, quindi ministro e icona parlamentare di una sinistra dissidente. Una biografia sempre controvento, in direzione ostinata e contraria, con il beneplacito della sorte, come i paladini dell’epica protetti dalle divinità: esce indenne da quattro anni di prima linea nel ‘15-‘18, si difende a mano armata dalle aggressioni dello squadrismo isolano, fugge dal confino nonostante un’infezione che gli consuma i polmoni. In questa ricerca, raccontiamo una di quelle esistenze: l’attività letteraria di Lussu intrecciata — perché inscindibile — con la sua militanza politica in Giustizia e Libertà (GL). Fra il 1933 e il 1938, l’Europa sembra capitolare di fronte all’astro nero dei fascismi: l’impero favoleggiato da Mussolini precipita nella cronaca con l’aggressione all’Etiopia, e la popolarità del Duce sale alle stelle; l’ascesa di Hitler pare inarrestabile, nell’accelerazione fanatica del militarismo nazista traluce la spirale verso una nuova, catastrofica guerra. In questo periodo, escono le opere maggiori di Lussu, mentre lui deve affrontare due operazioni chirurgiche terribili per sconfiggere la tubercolosi contratta nelle prigioni del regime. Senza quell’interminabile convalescenza, non avremmo il suo capolavoro, Un anno sull’Altipiano. A Marcia su Roma e dintorni (1933), affresco satirico della vittoria fascista in Italia, è dedicato il primo capitolo. L’analisi politica del primo scritto della maturità letteraria si riflette nella pubblicistica giellista: un suo articolo, Orientamenti, nel 1934 contribuisce a sfasciare la Concentrazione antifascista. Sui periodici del movimento, Lussu si batte per la sua conversione in un Partito socialista del futuro, sulle ceneri di quello italiano che ritiene screditato dall’immobilismo del dopoguerra. Non a caso confrontiamo il libro con un’altra cronaca in presa diretta, quella registrata da Pietro Nenni in Storia di quattro anni. Agli albori del 1935, e siamo al secondo capitolo, si apre una fase travagliata della biografia: il sardo si allontana polemicamente da GL (senza lasciarla, ma dimettendosi dal Comitato Centrale) e da Parigi, dove tornerà nella primavera del 1937, per curare la tubercolosi al prezzo di due interventi e una lunghissima convalescenza. Prima di finire sotto i ferri, consegna Teoria

dell’insurrezione (1936), un trattato giacobino dove la disamina delle sommosse del passato sfocia nel presente, con un abbecedario rivoluzionario che vagheggia piani particolareggiati per rovesciare, un giorno, i totalitarismi. Questa volta, si propone un paragone con un’altra fatica apparsa in Francia, la Tecnica del colpo di Stato di Curzio Malaparte. Finalmente dimesso, nel 1937 Lussu ritorna sulla scena, riallacciando la collaborazione al settimanale «Giustizia e Libertà» con una serie di articoli sulla guerra civile spagnola e la necessità di spedirvi una Legione italiana. In Spagna sta poche settimane: deve accorrere a Parigi, perché i servizi segreti del regime hanno orchestrato l’esecuzione dei fratelli Rosselli. Da Carlo, l’amico centrale nella sua vita intima, si è accomiatato fra le urla di un litigio che non può più essere ricomposto: ne raccoglie il testimone, diventa leader di GL e vi imprime una svolta come «movimento di unificazione socialista». Il terzo e ultimo capitolo copre proprio il biennio 1937-1938, quando secondo Aldo Garosci Giustizia e Libertà trova la forza di sopravvivere alla morte del suo fondatore, con gli ultimi lampi di efficacia sulla via, sconnessa da rancori, dell’antifascismo in cerca d’unità all’estero, mentre in sottofondo s’odono i boati — sempre più fragorosi — dell’imminente Secondo conflitto mondiale. E nel 1938, l’anno dell’Anschluss e della conferenza di Monaco, vede la luce Un anno sull’Altipiano (1938), un memoriale vivido che la critica ha consacrato ai piani alti della letteratura del Novecento, nel solco della migliore tradizione italiana. Eppure quel testo è scritto controvoglia, per racimolare denaro e rimpinguare le tasche del sardo. A vent’anni di distanza, Lussu scolpisce un dramma che confuta il frasario ipocrita del regime senza scadere a sua volta nella retorica: racconta le trincee con le loro atrocità e sporadici momenti lieti, con un dogma: la guerra è una necessità e rinunciarvi, negli anni Trenta come allora, attira le dominazioni più spregevoli. Per quest’elaborato, è stato imprescindibile il riferimento a Emilio Lussu e “Giustizia e Libertà” di Manlio Brigaglia, recentemente scomparso. Un ruolo fondamentale ha avuto anche l’opera omnia di Emilio Lussu che sta promuovendo meritoriamente l’Istituto sardo per la storia della Resistenza e dell’Autonomia: in particolare ci si è avvalsi dei primi due volumi, Da Armungia al Sardismo 1890-1926 e L’esilio antifascista 1927-1943, con punte nel terzo. Il secondo tomo racchiude il prezioso epistolario con Carlo Rosselli e gli articoli di Lussu sui periodici del movimento (dai «Quaderni» al settimanale «Giustizia e Libertà»). Utilissima si è

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confermata la biografia maggiore di Lussu, Il cavaliere dei Rossomori, scritta dal conterraneo Giuseppe Fiori. Per la parabola di GL ci si è sorretti alle monografie di Marco Bresciani (Quale antifascismo?), una storia intellettuale, Mario Giovana (Giustizia e Libertà in Italia), sul fronte cospirativo decapitato dalle retate, e Aldo Garosci; mentre Fascismo e antifascismo di Emilio Gentile è stata la bussola nel quadro, più ampio, delle traversie dei fuorusciti. Affrontare uno scrittore canonizzato dalla critica ha inevitabilmente necessitato di una corposa schiera di esegesi, fra le quali citiamo, per tutte, la lettura di Giovanni Falaschi. C’è anche una motivazione personale che ha accresciuto la mia passione per Lussu. Fin da ragazzino, ho avuto la fortuna di camminare sui sentieri dell’altopiano di Asiago: uno scenario mozzafiato, dove il verde smussa i saliscendi della piana abbracciata dai monti. Lì, parecchio tempo prima, qualcuno aveva combattuto una guerra. Non quei conflitti — così li vedeva la mia prospettiva distorta e viziata dai film — remoti e mitologici, quindi indolori, fra Romani e un inventario di tribù sanguigne ma condannate dai numi a soccombere; né le farse in costume dei secoli successivi. Fino alla polvere da sparo, agli occhi d’un bambino, la storia militare europea è un cartone animato noioso. Arrancando verso la cima dell’Ortigara, dove per la prima volta ho sentito il nome di Lussu, rimanevo stupito dalla quantità di metallo frammisto al terriccio, da quelle serpentine scavate in alta montagna, dai grovigli di filo spinato. Quelle cicatrici nei fianchi delle cime sono una didascalia migliore delle epigrafi, sature di retorica, dei monumenti consumati dalle intemperie. Lassù respira solo il vento. Mine, contromine, grotte, crateri. Da qualche parte l’erba sta metabolizzando i vecchi fossati e ogni tanto affiora un bossolo: frammento, arrugginito, di Storia. Ho amato Un anno sull’Altipiano perché, forse, la sua lettura ha coinciso con una piccola maturazione: l’impressione di visitare un museo a cielo aperto con un’audioguida interiore d’inchiostro. All’università mi sono affezionato alle pagine di Lussu, perché trasmettono tenacia, ci ricordano quanto siano preziosi gli istanti ricevuti in dono da chi divide con noi un tratto di strada — siano un paio di guerre mondiali e il cospirazionismo politico o una giornata banale — e che il destino si può irridere pure se è disperato, senza cinismo. La prosa di Lussu consacra questo insegnamento: l’ironia è l’antidoto, il sovversivismo più potente.

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