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1.4 Il diciannovismo di Nenni, un parallelismo?

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Bibliografia

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Non è una conclusione a effetto, limata da una penna ormai consapevole75, e neppure scontata, vista la traversata del deserto in corso per l’antifascismo europeo di fronte al consolidamento del regime italiano e ai boati hitleriani (come dirà Rosselli, «con Hitler il fascismo diventa una cosa seria»76) nell’agonizzante Repubblica di Weimar. È il mantra che permea ogni testo degli anni d’esilio: per quanto terreo si mostri il presente, commisurare i suoi clamori a una scala più ampia, oltre il frastuono di fondo, calmerà i cedimenti alla disperazione, instillando l’energia per resistere. L’attesa, questa volta, è diversa dall’ibernazione aventiniana, appesa ai pronunciamenti sibillini della Corona; Lussu centellina gli interventi sugli organi di GL, soppesa le parole per mettere a fuoco un orizzonte insurrezionale concreto. In quel momento, i «profeti» accantoneranno la dottrina, perfezionata dopo i dibattiti sfiancanti che Lussu mal sopporta, e impugneranno le armi, preferibilmente di grosso calibro. La Marcia, in questo senso, può esser letta come la dimostrazione, in anticipo, dei teoremi che inquadrano la militanza giellista, coeva e soprattutto futura.

1.4 Il diciannovismo di Nenni, un parallelismo?

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Fra i racconti di quell’arco di storia italiana, ripercorso anche nella Marcia, che va dalla conclusione della guerra alla vittoria del primo governo Mussolini (e di riflesso la sconfitta, poco nobile, degli antifascisti), esiste un’opera di Pietro Nenni: Storia di quattro anni, a volte ripubblicata col titolo Il diciannovismo a ripresa della prima (e cruciale) sezione. Scritto in seguito alle dimissioni dalla direzione dell’«Avanti!» del dicembre 1925, viene mandato al macero non appena pronto, nel novembre 192677. Il quadriennio in questione va dal 1919 al 1922. Antonello Mattone ha coniato, per Lussu, l’idea di «ruralismo giacobino»78. In modo analogo, Pietro

75 Salvestroni colloca nel passaggio da La Catena alla Marcia la piena maturazione dello scrittore, riscontrando un’evoluzione tecnica, cfr. SALVESTRONI S., Emilio Lussu scrittore, cit., pp. 36-38. 76 L’editoriale di Rosselli, La guerra che torna, appare sul nono numero dei «Quaderni di Giustizia e Libertà», cit. in TRANFAGLIA N., Carlo Rosselli e il sogno di una democrazia sociale moderna, Baldini Castoldi Dalai editore, Milano, 2010, p. 352. Un paio di edizioni prima, il leader di GL ha analizzato: «Il fascismo dunque ha vinto. La sua storica funzione sembra consista nel determinare la frattura, nel rivelarci, per la sua stessa brutalità e inconsistenza, la precarietà, il fradiciume, delle fondamenta sulle quali abbiamo vissuto finora»; ibidem. 77 Lo racconta la Prefazione all’edizione del 1945, alla quale si farà riferimento: NENNI P., Storia di quattro anni (1919-1922), Roma, Einaudi, 1945, p. IX. 78 Cit. (da MATTONE A., Emilio Lussu dal sardismo al socialismo, Cagliari, 1975, p. 7) in SIRCANA G., Lussu, Emilio, in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 66, 2006, consultabile online: http://www.treccani.it/enciclopedia/emilio-lussu_(Dizionario-Biografico)/. «Il ruralismo di Lussu è la

Nenni è invece definito da Gaetano Arfè «giacobino libertario»79, erede secondo Sabbatucci di una tradizione «libertaria, ma anche giacobina, popolare, e a tratti populista, più che classista» alternativa alla «concezione eminentemente agitatoria e oratoria» del socialismo italiano80. Al timone dell’organo del PSI, Nenni ha occhieggiato sardisti e repubblicani come potenziali alleati. Può essere quindi interessante scandagliare i punti di contatto di questi due libri, Marcia su Roma e dintorni e Storia di quattro anni.

Foto 1 Nenni e Lussu, una vita politica dopo, durante una riunione ai tempi della comune militanza nel PSI (data: 13 novembre 1956); fonte: Archivio fotografico dell’Istituto Luce,

Fondo Vedo, FV00038403.

La prefazione alla prima edizione, firmata ottobre 1926 (cioè quando è già sopravvenuto e poi tramontato l’Aventino), offre un bilancio che ricorda certi passaggi lussiani. Il focus, vista l’ascendenza politica di Nenni, è fisso sui dolori del socialismo:

…mi sono trovato di rivivere giorno per giorno le tormentose vicende degli ultimi anni e di constatare il vuoto desolante di certi schemi rivoluzionari, la totale assenza di senso politico nella battaglia che i socialisti impostarono nel 1919 — spiega l’autore —. […] Una ortodossia puramente formale, un rivoluzionarismo puramente verbale, l’assenza di senso politico e cioè di piani concreti e precisi, il distacco fra Partito e Paese, l’aver sacrificato il valore universalmente umano del socialismo facendone un affare interessante esclusivamente talune categorie operaie, ecco ciò che ha portato al disastro

convinzione che un progetto di socialismo passi attraverso il coinvolgimento delle masse — sintetizza Bianca Maria Rotondo in Isolitudini: storia del Sardismo nel XX secolo, tesi di dottorato, Università degli Studi di Messina, a.a. 2016-2017, relatore FEDELE S., p. 67 —. Dunque il richiamo al mondo delle campagne, sentito e sofferto, è sempre anche un invito a un suo radicale cambiamento, a una sua entrata nella storia». 79 Cit. in SABBATUCCI G., Partiti e culture politiche nell’Italia Unita, cit., p. 110. 80 Ivi, p. 104.

del 1922 il movimento socialista, proprio nell’ora in cui la via gli si presentava libera per definitive realizzazioni. […] Insomma esso si comporta come se il Socialismo dovesse essere il risultato di una evoluzione da maturare nei secoli, ma non la realtà di domani81 .

I primi passi del testo vedono Nenni stigmatizzare le contraddizioni del PSI, che durante le (altalenanti) vicende belliche fatica a compattarsi su una linea univoca. Sembra ricalcare quello della Marcia l’affresco critico della smobilitazione: «Dopo tante sofferenze, dopo essere stati per mesi o per anni a tu per tu con la morte, dopo essere vissuti fra il fango e i pidocchi, questi giovani scendevano dalle trincee ebbri di godimento e di potenza. Abituati al comando, essi facevano il loro ingresso nella vita civile con una psicologia del tutto speciale. Prendevano d’assalto la vita come avevano preso d’assalto le trincee»82 .

Sulla Penisola incombe un «cataclisma», mentre il proletariato non riesce a rispondere al «primo atto di privata violenza»83, l’incendio della redazione dell’«Avanti!» del 15 aprile 1919. Eppure «Le condizioni per la rivoluzione esistevano. Ciò che mancava era la preparazione rivoluzionaria — assicura Nenni —. […] Ma nessuno si poneva alla testa della massa, nessuno cercava di dare al malcontento uno sbocco politico»84. Inizia a scorrere, sempre più copioso, il sangue, ma il partito è bloccato nella catalessi. Le classi popolari non riescono a capacitarsi degli avvenimenti mentre precipitano; nella visione di Nenni, invece, si dimostra migliore il tempismo della borghesia, che smaltisce le giravolte ideologiche della guerra e fiuta l’«affare», cioè «servirsi degli ex-combattenti, come di una trincea di copertura per i propri interessi e per la difesa dei mal conseguiti guadagni»85. Con i tentennamenti sull’impresa di Fiume, inizia una serie estenuante di indecisioni. Nella cronaca di Nenni, ai «fatti» il PSI replicherà sempre e solo con nubi di parole. «Era ancora un atteggiamento passivo, mentre le fazioni borghesi più decisamente antisocialiste passavano all’azione. […] la passività socialista era destinata a tramutarsi in un aiuto indiretto alla reazione»86. Manca, come constaterà Lussu, uno scarto mentale: a orazioni apocalittiche nei toni non riesce a corrispondere — come fosse un deficit congenito alla psicologia delle sinistre dell’epoca — una traduzione nella lotta politica.

81 NENNI P., Storia di quattro anni, cit., pp. XII-XIV. 82 Ivi, p. 18. 83 Ivi, pp. 20-21. Di lì a poco, è introdotto il termine «diciannovismo»; a p. 28. 84 Ivi, rispettivamente, pp. 27 e 31. 85 Ivi, p. 33. 86 Ivi, pp. 38-39.

A dispetto della sua tradizione, il PSI si dimostra solo «un grande organismo, una grande macchina per le elezioni», cioè un cartello elettorale, debole di fronte a una borghesia che serra i ranghi87. Le elezioni del novembre 1919, secondo Nenni, sono un bivio: si potrebbe rovesciare il vecchio parlamentarismo, in cui sono stati iniettati 156 deputati socialisti, a patto di saper reagire. Con un passo che preconizza l’Aventino dipinto da Lussu, la sezione del diciannovismo termina nell’impasse:

Se in quel momento si fosse lanciata la parola d’ordine della Repubblica dei lavoratori e si fosse fatto appello a tutti i ceti del popolo lavoratore, il successo poteva essere travolgente — assicura Nenni —. Ma il partito amava indugiarsi nella contemplazione della sua forza, si compiaceva del suo isolamento, senza avvertire l’assurdità della parola d’ordine: “soli contro tutti”, in un periodo rivoluzionario, quando il successo dipende dalla capacità di assorbire o neutralizzare le forze contigue. […] una rivoluzione ogni giorno annunciata ed ogni giorno rinviata finisce per essere una rivoluzione vinta. Ed il destino dei vinti è la schiavitù88 .

Il secondo nucleo del libro è intitolato L’abdicazione dello Stato liberale. Curiosamente, si apre con uno scorcio su Fiume89, analogo per temi e sarcasmo a quello della Marcia. Monta la confusione ideologica quando la Terza Internazionale scomunica i riformisti. Il ministero di Nitti è «nato-morto», i compressi di un giolittismo appannato sono ormai sfilacciati, nel PSI si profila una scissione da «delitto di lesa rivoluzione»90 che sprofonderà nella «tragedia», al congresso di Livorno del 1921. La «gioventù irrequieta e famelica», nel frattempo, indossa «con entusiasmo la camicia nera», mentre il proletariato «si dibatteva nella più tragica impotenza […]. Non era certo impossibile chiedere a questo proletariato uno sforzo eroico, ma per quello mancavano nei dirigenti volontà ed audacia»91 . A differenza dell’impianto lussiano, asettico in superficie ma vasto nella trafila di defezioni, il testo di Nenni non scinde il singolo colpevole dalla massa dei responsabili. La Marcia ha un’attenzione quasi bonaria, disillusa verso i nomi e cognomi che incontriamo sull’altra barricata dopo pochi paragrafi dalle rispettive boutade. Storia di quattro anni rifugge questo lusso. Il rimpallo di cariche, mozioni e nomi è una cartografia minuta dei notabili socialisti che hanno invocato a lungo un

87 Ivi, p. 47, cfr. «Ogni giorno diveniva più evidente che per la classe dirigente la guerra era un’occasione […] per tornare indietro, verso superate forme di autocrazia. Si cominciava a invocare l’uomo forte. Manette, galera e quando non bastasse piombo nello stomaco: ecco i miracolosi rimedi […]»; ivi, p. 51. 88 Ivi, p. 55. 89 D’Annunzio «scimmiottava le signorie medievali. Si era circondato da una vera e propria corte nella quale abbondavano i cortigiani, gli adulatori e gli sbafatori […]»; ivi, p. 62. 90 Ivi, p. 86 e 110. 91 Ivi, pp. 118-119.

battesimo di fuoco cui ora si sottraggono. Lussu, da ex ufficiale, ha salvato qualche personaggio: l’onestà non vacilla in figure isolate, di solito d’umile estrazione sociale. Alle potenzialità del popolo, pronto a mobilitarsi, è corrisposta — un po’ come al fronte — l’inadeguatezza dei comandanti. E così il sardo ha indugiato sui “graduati minori”, personalità ai margini del potere, pure fascista: ci sono gli antagonisti, da Mussolini a Emilio De Bono, ma a brillare sono le crisi di coscienza, per così dire, di provincia. In Nenni, questo aspetto è secondario: il suo libro processa l’intero stato maggiore socialista, professando (ottimistica) fiducia per le truppe. Racconta i tormenti intellettuali dei numi tutelari riformisti e massimalisti, una «autoflagellazione» di polemica in lacerazione92 . Con la connivenza dello Stato, ormai il terrorismo fascista straripa nell’illegalità: «la borghesia reazionaria insorse all’attacco, offendendo ogni sentimento di umanità, ebbra di distruzione e di sangue»; per contro, il proletariato «resisteva come poteva, senza un piano, senza una guida, abbandonato al proprio istinto, sperdendo la lotta in episodi locali […] senza connessione»93. Nenni ritrae con insistenza la dispersione delle forze socialiste. Un capitolo alla volta, il voltaggio si impenna verso una Spannung irrisolta: i fatti di cronaca, a cascata, fotografano una guerriglia (perché, con l’abdicazione dei comandanti, gli episodi di resistenza non varcano la dimensione locale) a senso unico. Non è concesso neppure uno scontro finale all’altezza della retorica, sempre più rumorosa quanto inconcludente, dei leader antifascisti; il copione — pare suggerire Nenni — era già steso, compromesso dalle prime incertezze, dall’ostinato immobilismo. E così, alle elezioni «truffa» del 1921, è trascritta la lezione:

Sulla rivoluzione totalitaria non era più possibile coltivare delle illusioni. Sul terreno della violenza il proletariato era battuto. Con la borghesia armata, con lo Stato rafforzato, col proletariato scisso, un moto insurrezionale sarebbe stato rapidamente soffocato. La seconda tattica esigeva una spregiudicatezza di manovra, una unità sostanziale di vedute, uno spirito di comprensione e di tolleranza che facevano difetto al Partito, ligio assai più alle formule che all’azione, combattuto fra il volere ed il potere, totalitario nelle sue aspirazioni e perciò immobilizzato nell’azione94 . Trasponendo, non solo in questo brano, un nome proprio al posto di «Partito», si avrebbe l’impressione di leggere i dissidi interiori del (giovane) protagonista di un

92 Ivi, p. 128. 93 Ivi, p. 132 e 135. 94 Ivi, p. 139; il voto è invece definito «truffa» a p. 137.

romanzo di formazione. Da questo punto di vista, Nenni è attento: i nomi che accompagnano, con cura maniacale, mozioni e relazioni congressuali della vita interna al PSI sono taciuti quando l’autore confeziona le sue conclusioni. È un gruppo collettivo, i quadri di partito, ad aver marciato incontro alla rovina, per le motivazioni che costellano ogni pagina, di fronte a un nemico — lo si riconosce — superiore per disciplina e organizzazione militare. Siamo apparentemente agli antipodi della sentenza di Lussu, così attento a registrare i singoli cambi di casacca, senza trascurare (né giudicare apertamente) le ragioni di chi soccombe. La Marcia è permeata di una “pietà” estranea al calcolo politico di Nenni. Quanto vale per l’individuo — non sovrapponibile in Lussu alla classe d’estrazione, quasi trascurato dall’impostazione nazionale di Nenni — non si ripete, però, su scala macroscopica: se il metro è quello classista, i due sono concordi: ceti dirigenti, grande e media borghesia, industriali, attempati liberali e monarchia sono compromessi col fascismo, secondo gradi diversi dalla complicità alla colpevolezza. In definitiva, le due opere condividono la diagnosi di fondo, anche se divergono sull’analisi del terreno di coltura storico (l’arco temporale della Marcia, va ricordato, è più ampio): Lussu si serve del campo nemico per metter a nudo le debolezze dell’antifascismo, la tendenza al compromesso congenita a una certa classe politica; da capofila socialista, Nenni documenta meticolosamente gli errori del suo movimento, fino alla «disfatta»95 . Così il funerale (politico) di Giolitti è l’ultimo successo della sinistra96, che poi indugia in un pacifismo masochistico97 e in un «isolamento» controproducente almeno quanto la fiducia nella Corona. Di fronte a un «fatto tipicamente italiano», Nenni finisce per riprodurre la tesi machiavelliana cara a Lussu: «La sproporzione nella lotta stava tutta in ciò: il proletariato era disarmato, il fascismo era armato; sul proletariato erano sospese le minacce della galera e dell’affamamento, i fascisti agivano sotto gli occhi dell’autorità sicuri dell’impunità»98. È capitale una delle ultime similitudini, che ha il sapore di quelle della Marcia: «Fu l’assenza di senso politico che perse il Partito

95 «La disfatta socialista» è il titolo dell’ultima sezione del libro; ivi, pp. 145-223. 96 Cfr. ivi, pp. 143-148. 97 Cfr. ivi, pp. 151-160. Si segnalano: «Mai nessun social-democratico ha osato affermare che di fronte all’illegalismo ed alla violenza borghese debba il proletariato incassare e tacere», in merito al disorientamento dell’«Avanti!»; ivi, p. 153, e il diciannovismo come «puro fenomeno di eccitamenti verbali e di intransigenza vecchio stile, dal quale doveva ineluttabilmente germinare la disfatta»; ibidem. 98 Ivi, p. 169 e 172. Con Lussu è condivisa anche la disistima per Facta, definito «deputato di Pinerolo — il quale aveva giusto l’autorità per presiedere il consiglio comunale del natio borgo […]»; ivi, p. 189.

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