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2.3 Teoria (e meccanica) dell’insurrezione

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Bibliografia

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rimbecillendo tutti e vogliono, dopo 12 anni, resuscitare l’Aventino. Che ignominia!»211. Un mese dopo, ribadisce il progetto di sottrarre i repubblicani all’orbita socialista. Resta prematuro, però, un suo riavvicinamento al movimento: non è intenzionato a propagandare tesi che non condivide212. «L’ideologia di “G. e L.” quale la andate esprimendo dopo il mio esilio non ha nessuna consistenza — ammonisce Lussu —, e hanno ragione di chiamarvi degli anarcoidi. Intellettuali e operai, e ora ci aggiungete anche gli artigiani. Che confusione»213. Stando al malato, l’orizzonte di GL dovrebbe invece rinverdire la missione tramontata per l’abdicazione della sinistra: «Insomma noi dobbiamo essere quello che doveva essere il partito socialista italiano»214 .

2.3 Teoria (e meccanica) dell’insurrezione La degenza determina mesi di silenzio: quando riscrive a Rosselli, è il giorno di San Valentino del 1936, Lussu può annunciargli d’aver praticamente concluso la stesura di Teoria dell’insurrezione215. È un’opera cui tiene davvero: un anno prima, ha preallertato Rosselli perché cerchi un editore al suo prossimo lavoro, che definisce semiserio «il più importante libro politico del dopo guerra»216. Ha appena iniziato a concepire la geometria della ricerca, ma già si spende per garantirne l’uscita. Ora ci ritorna senza schernirsi: «Credo fermamente che sia il libro più interessante del momento — assicura all’ex professore —. […] L’ho anteposto al libro sulla guerra, perché mi pare politicamente necessario. Il libro vuole essere un contributo serio alla formazione di un partito s.[ocialista] r.[ivoluzionario] e ad una teoria insurrezionale»217. Il racconto sulla guerra che comunica d’aver temporaneamente sacrificato, ça va sans dire, è Un anno sull’Altipiano. Come per la Marcia, Lussu riferisce che ad animare le pagine è la sua «esperienza personale»218; quindi «la essenza del libro è la teoria e non la pratica», gli dice ad aprile promettendogli la

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211 Ivi, p. 163-164. 212 Cfr. Lettera a Carlo Rosselli, [Clavadel], 27 novembre [1935], ivi, p 165. 213 Ibidem. 214 Ivi, p. 166. 215 Cfr. lettera a Carlo Rosselli, [Clavadel], 14 febbraio [1936], ivi, pp. 169-171. 216 Lettera del 9 febbraio [1935], cit., p. 153. 217 Lettera del 14 febbraio [1936], cit., pp. 170-171. 218 Ivi, p. 170.

spedizione del manoscritto219. Quella busta arriva a destinazione quando l’autore è sotto i ferri. Mentre riferisce a Salvemini gli alterchi con Lussu, Rosselli finisce per difendere il ruolo dei giellisti: «Finalmente è evidente che noi non possiamo essere né gli uomini del compromesso né gli uomini che vi almanaccano sopra — chiarisce a febbraio —. Noi siamo i fuorilegge, i traditori della patria fascista e anche della vecchia patria tout court»220. Potrebbe essere l’epigrafe all’ultima fatica del sardo. Ha dovuto quasi litigare, minacciando di uscire con un’altra casa editrice221 , ma alla fine la tormentata trafila si risolve: dopo le insistenze di Lussu, a giugno il libro è pronto a essere stampato, per i tipi di GL222. Il testo rimarrà ignoto in Italia fino al Dopoguerra, quando sarà ripubblicato assieme alle altre opere dell’esilio. In quell’occasione Salvemini commenterà, tagliente: «Speriamo non lo mettano in manicomio dopo aver letto quel libro»223. Cosa c’è in quelle pagine di pericoloso per il sistema immunitario della neonata Repubblica? O, meglio, perché a Liberazione compiuta quelle tesi, marziali, rischierebbero d’apparire marziane, al punto da tradire l’infermità mentale del loro ideatore? Con le dovute proporzioni, e meno stringatamente, i 28 capitoli di Lussu aspirano a riprodurre quel che Qu’est-ce que le Tiers-État? dell’abate Sieyès ha rappresentato per la Rivoluzione francese: un abbecedario della ribellione. Da qui, forse, il sarcasmo di Salvemini: dieci anni dopo, il rigore scientifico mescidato ai propositi sovversivi stona, apparentemente, con il profilo paludato di ministro nei governi De Gasperi. Ma Lussu non è mai assomigliato così tanto a Lenin, per riecheggiare il ritratto vivido di Rosselli in Fuga in quattro tempi224, come nel 1936. Prima di rileggere quel manifesto, spesso tralasciato dalla critica, inquadriamolo. Simonetta Salvestroni ha rintracciato nella pubblicistica giellista,

219 Lettera a Carlo Rosselli, Clavadel (Davos), 4 aprile [1936], ivi, p. 177. Lussu promette di spedire, «per raccomandata», il manoscritto il successivo lunedì mattina; ibidem. 220 Lettera di Carlo Rosselli a Salvemini, 29 febbraio 1936, cit. in TRANFAGLIA N., Carlo Rosselli e il sogno di una democrazia sociale moderna, cit., p. 361. 221 Cfr. lettera a Carlo Rosselli, [Clavadel, 22 febbraio, 1936],LUSSU E., in Tutte le opere, vol. 2, cit, p. 174, dove l’autore sostiene «Io vi rendo un servizio nell’offrirvelo. Se non lo pubblicate, tanto peggio per voi. Io lo pubblicherò egualmente». Nella lettera precedente, del 18 febbraio, Rosselli si è invece premurato della tiratura: «con 7 o 800 copie non si riprendono le spese»; ivi, p. 172. 222 Cfr. ivi le lettere a Carlo Rosselli da Clavadel del 27 aprile [1936], p. 179; 18 maggio [1936], p. 180; e 5 giugno [1936], p. 182. 223 SALVEMINI G., lettera a Egidio Reale, 1° marzo 1946, cit. in BRIGAGLIA M., Emilio Lussu e Giustizia e Libertà, cit., p. 150. 224 Cfr. ROSSELLI C., Fuga in quattro tempi, in Id., Socialismo liberale e altri scritti, Giulio Einaudi editore, Torino, 1973, p. 523.

dapprima in sottofondo e poi fragorosamente, «il superamento di quanto era affermato in Marcia su Roma e dintorni»225 che si riflette compiutamente nella Teoria, un unicum nel paesaggio di uno scrittore refrattario all’accademia: non si parla semplicemente di un trattato, allora, ma soprattutto di «un atto politico, incitamento all’azione e preparazione scrupolosa di questa in base agli ammaestramenti che vengono dalle insurrezioni tentate dagli altri»226. Nella Prefazione, ultimata nel gennaio 1936, Lussu si propone di analizzare il problema in modo scientifico, consapevole di quanto la tecnica svanisca al momento di passare all’azione227. Avrebbe voluto, dice, riflettere sui massimi sistemi, senza sbandare verso la Penisola più del necessario. Non gli è stato possibile, perché «Noi attraversiamo, in Italia, una situazione eccezionale — spiega —. Se non sapremo trarne profitto, il fascismo minaccia di avere vita assai lunga»228. Lussu fotografa un punto di non ritorno: se il proletariato non insorge ora, «noi non vedremo mai la fine del regime». L’unica arma contemplata, e contemplabile, è la violenza. «Quanti pensano, creando combinazioni di stile parlamentare, di accelerare il processo di dissolvimento del fascismo — scandisce —, involontariamente non fanno che prolungarlo. Contro il fascismo italiano non v’è, in prima linea che una classe. Il proletariato; che una tattica: la rivoluzionaria»229. Fin dall’antefatto, l’interlocutore prediletto è definito; gli altri scaglioni sociali sono persi alla causa, oppure compromessi. L’elenco è lungo: «La borghesia liberale e democratica è stata spazzata via o ha aderito al regime. Essa non conta più nulla, in Italia. La borghesia, la Chiesa, la monarchia, anche se la crisi si facesse infinitamente più acuta, non prenderanno mai posizione contro il fascismo, cioè contro se stesse. Sarebbe un suicidio»230. Questa tesi irraggia ogni pagina, è il presupposto per addentrarsi nell’architettura lussiana, dove verrà ribadita frequentemente. Isnenghi ha classificato il libro come una sorta di Arte della guerra231 . Nell’opera erompe l’«impronta volontaristica»232 che secondo lo studioso è la cifra di

225 SALVESTRONI S., Emilio Lussu scrittore, cit., p. 48. 226 Ivi, p. 53. 227 Cfr. LUSSU E., Teoria dell’insurrezione, in Id., Tutte le opere, vol. 2, cit., pp. 306-309. 228 Ivi, p. 307. 229 Ivi, p. 308. 230 Ibidem. 231 Cfr. ISNENGHI M., Ritratti critici di contemporanei. Emilio Lussu, in «Belfagor», cit., p. 315. 232 Ivi, p. 316.

Lussu, un’indole lontana dal generale Sun Tzu, serafico e filosofeggiante, però tutta giellista233. Secondo Brigaglia, c’è di più; la centralità dello scritto è assoluta:

In realtà, la Teoria è “il libro” di Lussu perché in esso si mescolano e si unificano saldamente tutti i tratti più caratteristici della sua biografia: la secchezza recisa del giudizio politico, il culto del coraggio come scommessa morale, il gusto della storia, la predilezione per la scrittura perentoria e netta. Ma è “il libro” soprattutto perché l’insurrezione non è l’argomento d’una astratta speculazione: è il punto attorno al quale si era concentrata, con sempre maggiore forza e soprattutto negli anni dell’esilio, la riflessione di Lussu intorno al problema italiano: l’insurrezione che Lussu disegna è da una parte l’obiettivo al quale deve puntare tutta l’azione di formazione e di preparazione delle forze rivoluzionarie italiane e dall’altra è il “luogo” storico e politico in cui si risolve la serie di posizione che Lussu è venuto assumendo, sempre più nettamente, nel quadro del “che fare?” antifascista234 .

Saremmo, insomma, di fronte al monumento d’inchiostro di Lussu nel suo volto più sincero, o quantomeno — e la sfilza di richiami nelle lettere lo comprova — a un’opera cruciale nell’orizzonte d’attesa del suo autore. Come visto, il trattato è politicamente necessario, tanto da fargli accantonare i bozzetti del memoriale di guerra che diverrà Un anno sull’Altipiano, cui il nome di Lussu è indistruttibilmente legato, nella letteratura e per chi frequenti la Storia. In un momento di ristrettezze economiche, cosa lo spinge, malato, sull’orlo dell’indigenza, a rinunciare all’incasso di un lavoro su commissione235 per congegnare un labirinto dottrinario, teso a un’insurrezione futura sempre più chimerica? Una raccolta di saggi su Lussu si intitola, significativamente, Emilio Lussu: l’utopia del possibile: il punto, come svelato da Isnenghi nel quadro su «Belfagor», sta a nostro avviso lì, nell’incendio che convoglia la penna del sardo, nella fede che quando il mondo, vada a destra o sinistra, rifrange ogni colpo allora lo si può (anche) affrontare armati di caratteri tipografici. Non importa se il confronto razionalizza gli schemi o li scompagina caoticamente: il focus è sul possibile, anche quando sembra uscire dalla fiction e non dalla lunga esperienzia delle cose moderne et una continua lezione delle antique machiavelliana236, cui Lussu si sentirebbe più affine. «Esaltarne la grandezza di scrittore suona riduttivo — ricorda Gian Giacomo Ortu — se non è detto che anche la letteratura fu uno strumento della

233 L’attivismo, a conferma della lettura di Isnenghi, figura fra i pilastri di GL: «Ai principi originari si accomunava un forte carattere volontaristico, individualistico ed elitario, unito alla carica contestativa del determinismo positivistico proprio della tradizione socialista riformista»; cfr. RIDOLFI M., Storia dei partiti politici, Bruno Mondadori, Milano-Torino, 2008, p. 117. 234 BRIGAGLIA M., Emilio Lussu e Giustizia e Libertà, cit., p. 154. 235 Della genesi, viziata dalle insistenze di Salvemini di Un anno sull’Altipiano si dirà nel prossimo capitolo. Il «libro sulla guerra», lo anticipiamo, è per Lussu l’occasione di racimolare un gruzzoletto, come avvenuto — anni prima — grazie agli articoli, ben remunerati, sui periodici statunitensi. 236 Cfr. MACHIAVELLI N., Il Principe, cit., p. 1.

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