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I TALIOTE
rispetto a quelle del V, accentuazione da correlarsi alle crescenti rivalità commerc iali della città. Il che darà origine a cospicui caposaldi spec ie in prossimità degli spigoli del circuito. La singo larità, del resto, era stata già evidenziata nel seco lo scorso dal Capasso che ipotizzava: " su la spiana ta di S. Agostino a11a Zecca [dove] i resti dell'antica muraglia sono stati ricono sc iuti in una zona così ampia ... [che] non si arriva a spiegarli neppure aggiungendo una torre al semplice muro ... [è necessario] su pporre un fortilizio.
Difatti sulle antiche mura è costruito il convento ... La straordinaria fortificazione vuol dire, che ivi convergevano il lato meridionale e 1' orientale della cinta, e che si volle rendere più robusto quel cantone " <rn Ed ancora una volta il modello ispiratore del dispositivo sembrerebbe il mitico Castello Eurialo di Siracusa, posto appunto a11a convergenze di due cortine laterali.
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Ovviam ente lungo la ce rchia di Napoli non facevano difetto l e torri, di pianta quadrata, seco ndo la tipica concezione greca. A scansione rada si impiantarono in prossim ità delle porte e delle sezioni più vulnerabili.
Quelle: " rinvenute nella zona di S. Aniello a Caponapoli e in prossimità di S. Agostino alla Zecca, si appoggiavano, a vo lte, su l lato esterno della cortina muraria oppure ne erano completamente distaccate ; del primo tipo è la torre nei pressi cli via della Maddal ena, a pianta quadrata, ammorsata nella cortina esterna ed a lei contemporanea (IV sec. a.C.). Anche quadrate sono le tipiche torri di porta ritrovate a Forcella, come le due laterali al varco nei pressi dell'attuale porca S. Gennaro , oltre molte altre delle quali vi so no numerosi ricordi ... " <74 >
La lunga pace conseguente alla conquista ed unificazione romana, provocò a Napoli l'inesorabile abbandono della sua fortificazione perimetrale. L' incuria, progressivame nte più devastante si protrasse per secoli, dis so lvendosi con il tragico manifestarsi delle scor - rerie da mare dei Vandali: la riqualificazione delle difese divenne allora di indiffe ribil e urgenza. A farsene promotore provvide l ' imp e ratore ValenLiniano III ne l 440: qual e s ia stata però la portata del s uo intervento è o gge tto di approfondite ricerche. Difficile crede re c he la muraz ione tardo - imperial e altro non fosse che il puro restauro di quella italiota di g iu sto un millennio prima. Ma altrettanto incon cep ibil e su ppoITe che, nel rapido sgretolar si delle istituzioni e delle risorse economiche , fo sse il grandioso ri s ultato di una inedita impo s tazione Di certo molte parti dell'antica fortificaz ione permasero, magari ulteriormente potenziate: è s ignificativo che allorquando Beli sario penetrò nella città Io fece attraverso l'acquedotto, non essendogli riu sc ita l'e spu g nazion e d elle sue mura, ad onta della indubbia competenza bizantina in mat eria0 ' ' Po chi anni dopo sa rà un altro generale di Costantinopoli, Narsete, ad aggiornare queIJa stessa cerchia , senza peraltro a bb andonarn e l'ormai antichissima s truttura. Soltanto nel corso della dinastia angioina s i eresse un nuovo circuito, ponendo fine ad una v icenda difensiva protrattas i per oltre 1.500 anni. mania. Una dimostrazione di tanta incoercibile ambizione può cog li ersi allorquando , sotto Dionisio il Vecchio, giunse a fondare nu ove colonie s ulla cos ta adriatica settentrio n a le, per l ' esattezza Ancona071 e Lyssa, sostenendo tale espansionismo razziando e sacchegg iand o le coste dell'Etrnria, ed in particolare Cerveteri e l'i sola d'Elba. In definitiva d a parte della metropoli s ic ili ana: " ad una disposizione generalmente favorevole ag li Italici, in quanto avversari degli Italioti, si accompag nano però azioni di segno opposto, motivate in specie dalla necessità di conservare i dontini penisulari acquistati Nei confronti degli Italio t i, i Di onisi miraro no principalmente ad isolare una c itt à dall'altra, spezzandone le alleanze c he tra esse s i venivano costituendo in funz ion e preminente di difesa contro g li I talici " 081 •
S Iracusa
La vittoria sug li Etruschi del 474 ebbe tra i massimi protagonis ti la flotta di Siracu sa, colonia c he al l 'epoca s i avviava a diveniere un a della maggiori potenze militar i del M e diteIT a neo. La città, del resto , prosperava da seco li a l punto che i s uoi interessi ormai s i este nd evano ben oltre il rispettivo pur ampio territorio si cil iano t76J D i lì a breve, infatti, anche Crotone, Reggio e Locri diverranno suoi pos se dim enti. Una politica di così ampio res piro implicava, inevitabilm ente, I' in gerenza nelle vicende dell e altre colonie itali o te, co n alJean z e cangianti e spregiudicate: in non rare circostanze Siracus a si sc hi e rò persi no con g li Itali c i co ntro i connazionali per meglio accentuare la propria ege-
Logicamente tanto pragmatismo non poteva non aizzare violente reazioni di cui i Siracusani e bbero s in dall'inizio perfetta percezione, mettendone nel conto l e preved i bili estrinsecazioni Nessuna meravig li a, quindi , che la città si munì di straord in ar ie fortificazioni, incrementa nd one la rilevanza contestualme nte all'incre m entarsi della sua sfera di influenza strategica. L'acme di tali difese fu att in to con la cos tru zio ne di Castello Eurialo: " ... che è forse l a più bella e certo la più completa o pe ra fortificata dell'antichità, nella quale si somma no feliceme nte tutti i ri sultat i raggiunti dal mondo tecnico militare dell'epoca.'' '791
L'a vanzatiss im a fortificazione fu fatta eri gere, s tando alle più accreditate ipotesi, dal1o stesso Dioni s io il Vecchio, ne l breve int e rva11o tra l'assedio greco del 402 e quello carta g in ese d el 397. La rapidità della realizzazione è un'innegabile conferm a del vo litivo dinamismo del ce l ebre tiranno , c he, pochi anni prima, a so li vent ici nqu e anni, con una demagogica denunzia d e i capi militari, re i a suo du·e de lla sconfitta patit a dalla c itt à nel 406 ad o pera di Cartagine, era riuscito ad accentrare in se il co mple to coman d o delle forze armate. A ribadirn e però il dominio pro vv id ero indiret- tamente gli stessi Cartagines i che , imbaldanziti dal recenti ss imo success o , cercarono di consolidarne la portata investendo Gela. Al giovani ss imo stratego autocrate sembrò l'occasion e ideale per dimostrare le millantate attitudini militari , ma la sua conduzione rivelata s i incerta si risolse in una cocente disfatta: a stento si potettero evacuare gli sfortunati assediati trasferendoli a Siracusa. A quel punto , improvvisamente, la situazione mutò a s uo favore: i Cartaginesi, forse per una epidemia, forse per il timore di un più ponderato contrattacco s iracusano si reimbarcarono per l'Africa riconoscendo a Dioni s io la tirannia sulla città e su buona parte della Sicilia .
Per gli storici fu quello il contesto in cui il fortunato personaggio elaborò l'intento di fortificare poderosamente Siracusa secondo concezioni avanzatissime. Allo scopo individuò nella terrazza dell ' Epipole il sito ottimale per l'edificazione di un co-
Jossale caposaldo. Avrebbe costituito il vertice delle due lunghe muraglie che , costeggiando i suoi divergenti ciglioni, si sarebbero spinte sino al mare, serrando al loro interno l'abitato.
Sorse così Castello Eurialo, con l'articolata finalità di fornire una base inespugnabile per le operazioni di contrattacco proteggendo al contempo la città da qualsia s i potenziale aggressore sin dal suo più labile profilarsi. In sostanza si trattava di una ennesima riproposizione della concezione difensiva greca: la novità, invece, si concretizzava nella struttura adottata di straordinaria modernità. Innanzitutto, assodato che il: " ... punto più vulnerabile della terrazza di Epipole era ad occidente, dove il terreno restringendosi a guisa di istmo, si prolunga e si allarga verso uno sperone del monte Crimiti formando due declivi frastagliati da anfrattuosità e balze, che scendono, da un lato verso I' A napo , e dall'altro verso la pianura ora chiamata della Targia "c80> , si scelse tale direttrice per l'orientamento del castello, in modo da frustrare quell'unica via d'avvicinamento alla città.
Allo scopo si scavò un primo fossato, largo circa m 7, poco profondo ma corrente quasi da una estremità all'altra del colle. Un solo varco fu lasciato in corrispondenza del suo asse, angusto passaggio obbligato, lo stesso, peraltro, che ancora consente l'accesso al complesso. A poco meno di un centinaio di metri da quel primo ostacolo si aprì un secondo fossato di configurazione geometrica più definta: una sorta di enorme punta di freccia, largo circa 22 m e profondo 7, antistante ad una prima opera avanzata. La nuda s uperficie rocciosa lasciata fra i due rappresentava, a sua volta, un'ulteriore micidiale interdizione, costituendo un perfetto campo di tiro per le artiglierie neurobalistiche e per gli arcieri postati nell'opera avanzata. Tentare di superarla, anche a passo di corsa, equivaleva ad un inevitabile suicidio in massa!
Nonostante ciò un terzo fossato fu praticato immediatamente alle spalle dell'opera avanzata, corrente anch'esso da una estremità all'altra del colle, con andamento si mmetrico al precedente e dimen sioni maggiori , circa m 16 di larghezza in corrispondenza dell'estremità sette ntrionale e m 9 per la meridionale, profondo m 9. A ridosso del suo ciglio interno si eresse un recinto cuneiforme, posto a protezione della base del 'mastio' del castello, definizione quest'ultima senza dubbio anacronistica, come del resto quella di 'cas tello' , ma priva di più calzanti coeve proprio per l'eccezionale modernità dell'opera. Quanto al ' mastio' consisteva in una costruzione a pianta trapezoidale, di circa m 70x30, il cui lato minore retrostante al recinto era difeso da ben cinque torri, distanziate appena 3 m l'una dall 'a ltra , ciascuna delle quali di m 4x7 circa. Alle loro spalle dei robusti contrafforti lunghi m 6 e spessi circa 2, destinati, probabilmente, a soste nere una struttura lignea fungente da spalto.
Proseguendo ancora nella medesima direzione, al di là: " ... del mastio, trovasi un grande recinto di forma anche trapezoidale, con un lato rivolto verso la Epipole e che qui aveva perciò la porta di ingresso del caste11o, aperta in un forte muro dello spessore di m. 5 circa, che sbarrava una grande cavità, praticata nella roccia , per rendere meno ripido l'accesso. Nel grosso di questo muro si trovano gli avanzi di un cunicolo largo m. 0,96 che sboccava nella porta. Il mastio doveva avere dal lato di mezzogiorno, più in basso, un altro recinto di fiancheggiamento su cui ricadeva una caserma scavata in parte nella roccia, difesa da una grande toITe e da un muro le cui tracce vennero disperse ...
Anche a tramontana del mastio doveva esistere un altro recinto difeso da un muro ...
Il Castello, dovendo difendere il s ottostante ingres- so della città (Epipole) aveva a tramontana un robusto muro in discesa , per cui veniva collegato ad un'opera a tenaglia facente capo a un dipylon , a sua volta protetto da un ' altra fortificazione s taccata che faceva te sta con una grande torre, al muro di tramontana della terrazza di Epipole " <80
In estrema sintesi il sistema fortificato dell 'E urialo constava: b) di un sistema di quattro fossati pressochè paralleli destinati a successivi sbarramenti all'avanzata nemica proveniente da occidente, prima che questa potesse raggiungere il mastio. I fossati erano destinati a rompere l 'at tacco, a diluirlo elasticamente in profondità e infine a fronteggiarlo successivamente in condizioni di dominio particolarmente adatte e con forze facilmente affluenti e da ogni lato attraverso i cunicoli coperti, nel momento e nel punto prescelto. c) dei tre fossati , il primo rettilineo ... [il] secondo, tagliato a dente con saliente ottuso verso l'attacco Il terzo ... [con] andamento irregolare ma chiaramente angolato a tenaglia, cioè con l'angolo ottuso aperto verso il casteJlo. Tra il 3° e il 2 ° fossato, le testate laterali risultavano coperte dai tiri d'infilata o dal pericolo di infiltrazioni di fianco non soltanto dalla difficile praticabilità del terreno di accesso , ma anche da opportuni rilievi e rinterri. Inversamente , data la loro angola- zione, da questi rinteTTi si poteva battere il fondo dei fossati. Un quarto ed ultimo fossato era scavato al piede delle torri affiancate Al fondo del terzo fossato, come s'è detto, si accede attraverso undici sbocchi di una galleria sotterranea di manovra "<82 > Al di là dell'evidentissima complessità e sofisticazione dell'Eurialo, ciò che più impressione è l'ampio ricorso ai camminamenti sotterranei per la difesa avanzata, un larvato esempio dei quali lo si è già evidenziato a Cuma. In particolare l'accennata galleria, praticata con andamento parallelo alla parete di levante del terzo fossato, può riguardarsi come una antesignana teoria di casamatte 'traditore': dalle sue feritoie, perfettamente defilate, riusciva possibile, infatti, eliminare qualsiasi incauto nemico che fosse riuscito a penetrare nel fossato stesso. Degna di menzione è ancora un ' altra galleria, lunga 180 m, che metteva in comunicazione sempre il fondo del terzo fossato con il forte
"a) di un mastio a forma trapezia, col lato occidentale (m. 32.50), composto da cinque torri quadre lunghe quattro metri co11egate da brevi cortine interposte e i-ientranti. Verso nord, il ma stio sprofo nda in un fossato: sempre a nord avviene la saldat ura del centro di resistenza alla cinta della città con avancorpi a travers a raggiungibili percorrendo i camminamenti so tterranei ... procedendo sia dall'interno del mastio , sia da un altro centro di raccolta più avanzato previsto per lo smistamento dei rincal zi.
118 Re s ti del pilone del ponte posto a difesa dell'ingres so. In dettaglio , la lunga galleria: " ... che va dal 3 ° fossato al forte (N), presen ta molti elementi degni di studio. Fu scavata nella roccia con divers i attacchi di lavorazione, dimostrando l'accorgimento abile degli architetti militari greci, e la loro preoccupazione di finire sollecitamente il lavoro, raggiungendo il livello stabilito. Ess i perciò si servirono della lavorazione a foro cieco, attaccando lo scavo ai due estremi; e, nello s tesso tempo, aprirono in punti intermedi altri pozzi di escavazione, e due attacchi di scavo a cielo aperto. La sezione della galleria mi s ura m. 2,60x3,40 " (831 •
Per concludere con il terzo fossato è interessante un' ultima osservazione circa la presenza dei re st i di un pilone e di due spalle, s trutture residue di quello che doveva essere il ponte levatoio che lo scavalcava. Il piimo è spesso m 2 mentre le seco nde s ono l'una di m 1.40 e l 'altra di m 1.25 , per una larghezza comune di m 6.7. Essendo improbo manovrare un ponte di m 9x7 la so lu z ion e adottata, c he di verrà ca nonic a in ogni struttura analoga fino al XIX seco lo , consistette nel rendere sollevabile sol ta nto la seco nda metà dello s tesso, che fatta ru otare intorno ad un perno so tto sta nte la sog lia d ' ingre sso del mastio , finiva per serrarla come un secondo portone.
Esaurita la sia pur brevis s ima descrizione, va ricordato che il complesso su bì ne i secoli succe ss ivi g li immancabili adeguamenti alle più evolute esigenze. É del resto anc he probabile che nella s ua definizion e originaria non disponesse delle famose cinque torri , nè dell ' intera trama di camminamenti sot terranei. infatti: " ... si può ritenere che in un primo tempo , insieme alla muraglia settentrionale della terrazza, sia stato costruito il muro di s barramen to del pianoro d ' ingre sso d 'occ idente, con una o due aperture domi- nate da una rocca rudimentale col fronte a prua di nave, che poi costituì il mastio del castello. In un secondo tempo, cioè dal 402 al 397, fu data esecuzione al castello, secondo i piani di Dionisio, utilizzando le opere preesistenti; furono cioè aperti i fossati, scavate le gallerie, costruito il lripylon d'ingresso all'Epipole con una rudimentale porta a tenaglia. Posteriormente fu migliorata quest'opera obliterando la porta centrale, furono costruiti i due muri di sbanamento paralleli, fu riordinata la costruzione del forte (N) e forse rifatta la costruz ione della grande muraglia di diramazione per comprendervi le gallerie sovrapposte sboccanti nelle postierle.
Probabilmente, allora o poco dopo, fu eseguita la trasformazione del mastio con la costruzione delle cinque grandi torri sul fronte, ricostruendo un tratto del muro nord. immediatamente dopo, avvenne la chiusura fra le dette torri e la costruzione del conidoio con cui fu messo in comunicazione diretta il mastio col ponte levatoio e l ' opera avanzata. Fu costruita gran parte del braccio meridionale dell'opera a tenaglia e furono chiuse le due postierle in essa sboccanti. Ad epoca posteriore va attribuita la ricostru zione del forte muro di sbarramento del 3° fossato, e la ricostruzione del muro est del mastio " <841 •
La tragica conclusione dell'assedio di Siracusa alle armi romane, nonostante il geniale apporto di Archimede, sembrerebbe smentire la validità difensiva dell ' Emialo. ln realtà il caposaldo fu ceduto, inviolato, dietro la promessa di salvezza per la popolazione.
Po Seidonia
Un esempio di fortificazione italiota di gran lunga meno lacunoso dei precedenti, sebbene alquanto più recente, è quello della cerchia urbica di Poseidonia-Paestum. Infatti: " ... sono veramente rari i casi in cui è dato poter segu ire nella sua interezza il tracciato della cinta fortificata di una città antica. In questo senso Paestum rappresenta sicuramente un osservatorio privilegi a to, offrendo una visione pressocchè inte gra dei quasi 5 km di percorso che circondano la città TI discreto stato di conservazione dell'elevato delle torri, porte , cortine consente inoltre una lettura piuttosto fedele del monumento, nonostate i parziali restauri effettuati a partire dagli anni trenta di questo seco lo " <85 ) fn dettaglio le: " torri hanno tutte pianta quadrangolare e pres entano dim e ns ioni più o m e no costanti (da 6 ,00 m. a 6 ,30 m. di larghezza per la fronte esterna; da 5 ,50 m. a 6 ,60 rn. di lunghezza per i lati). Nel loro assetto originario erano di s poste «a cavallo >> de ll e co rtine , aggettando così tanto verso l'esterno che verso l ' interno ...
U s ito d'impianto, all'epoca, si presentava come un'ampia pianura costiera nei pressi della foce del Sele, al di sopra di uno zoccolo sedi mentario di modestiss ima altezza. Originariamente il mare lo lambiva: l'avanzamento del litorale di quasi 2 km ne ha s travolto la connotazione ambientale. Per quanto è possibile individuare al presente, la s ua fondazione non deve rimontare oltre la fine del VU e l'inizio del VI secolo: in alcuni saggi di scavo sono emersi, ancora una volta, frammenti di ceramiche micenee. Strabone l'attribuisce ai Sibariti<86l, ipotesi non priva di credibilità.
La pianta, a pprossi m a ti vame nte rettangolare-trapezoida le, è scandita da una robusta ci n ta turri ta real izzatil mediante: " ... due paramenti in blocchi , collegati a distanze più o meno costa nti da briglie trasversali, e riempimento di terreno misto a pietre... " <871 , ovvero seco nd o la tec nica tradizi o nal e greca. Anche in dettaglio la fortificazione perimetrale si co nfe rma di impos ta z ione canonica, con doppia cortina a blocchi para llepipedi , ciascuna di circa m. I. 5 di spessore, e colmata di scheggioni e teròccio.
Tuttavia i du e paramenti non sembre rebbero co ntemporanei, m a esito di un potenziamento per raddoppio di una più arcaica impostazi on e unifilare, soluzione che, oltre ad i11cremen tarne l a resistenza passiva, permi se di ricavare i n so mmità un ampio cammÌ11o di ronda. Sempre in me rito alla tecnica murari a , è perfettamente ri co noscibil e un a dupli ce mod alità esecutiva. L a prima contempla i conci messi in o pera nel senso della lunghezza, maniera precip ua g r eca, m entre l a seco nda un loro a ltern ars i nel senso della lunghezza e de ll 'altezza, maniera qu esta invece di matrice latina, carat teri zzata da un a maggiore s tabilità. La disomogeneità d eve ricondursi ad interventi restauratori, o potenziatoti, di e poca romana. Il materiale, comu nqu e, è sempre il m e de s imo , co me pure le dimensioni dei blocchi: non è affatto da es clud e r s i c h e s iano proprio gli s tess i, divelti o crollati per even ti bellici o s ismici e ricollocati nella nuova giacitura, re pu tata più sicura.
A Paestu m molte torri so no scampate a ll a distruzione , alcune in man .iera addirittura so rprend ente , tan to da essere ancora adibite ad abitazioni. La distanza tra loro, come già osse rvato in diverse fortificazioni italiote, ecced e però la co mpatibilit à co n un corretto fiancheggiamento. Ed anche in qu es to caso Ja palese d eficie nza non è imputabile ad una inad eguata co mpe te nza d e i progetti s ti ma, piuttos to , all'eccessivo costo delle torri. Il che consente di de su mere, dal loro infittirsi o rarefar s i, il grado di pericolos ità pres unta per il se ttore.
Non molto resta dell'elevato: è probabile, comunque, che le torri avessero una struttura semplice, con un basamento pieno fino al livello del cammino di ronda, dal quale probabilmente s i accedeva , tramite porte aperte s ui fianchi , ad una prima camera. Lo spesso re delle pareti (0,60 m. circa) consentirebbe con tutte le caute le dov ute al catti vo stato di conservazione delle stru tture, di ipotizzare la presenza di una seconda camera.
Unici indizi per una restituzione dell'elevato s ono forniti dalla T. 4 che s ulla fronte e s terna c on s erva, quasi certamente in situ, tre feritoie a sezione rettangolare (h 0,65 m: largh. interna 0,40 m, es terna O, 10 m circa) attribuibil i al primo piano ... Si può .. . sottolineare che l'articolazione degli spazi è ancora piuttosto sempli ce e che la presenza del basamento pieno non risponde a criteri funzionali ... nè tantorneno tattici: fornire cioè un supporto solido al piazzamento di armi da getto di grosso calibro. Le dimen s ioni stesse di queste torri sembrano in fatti escludere tale possibilità. Indi cat iva potrebbe essere in vece la d isposizione di queste torri a distanze non dico cos tanti , ma comunque piuttosto ravvicinate (da un minimo di 50 m ad un mass im o di 100 m ca)
A motiv i di carattere strategico si deve inoltre il ricorso a postierle, numerose .. . [nel] settore nord-oriental e d el circuito ... Da questi passaggi vi ene un ' ul teriore conferma delle modalità di esecuzione del potenziamento del muro. Sono infatti chiaramente distinguibili le due fasi: Ja prima, relativa al muro interno, è stata realizzata con b lo cchi di dimensioni minori (0,25 - 0,30 x 0,80 - 1,00 m ca) dispo s ti di piatto, su assise più o meno regolare. La tecnica contrasta nettamente co n quella impiega ta nella fase del raddoppiamento, contraddi stinta dall'impiego di blocchi di maggiori dimensioni (0 ,45 - 0,60 x 1,00 - l ,30) di spost i a lte rn ativamente di testa e di piatto e che so prattutto risu lt ano privi di qualsiasi legante struttural e con i blocchi del paramento retrostante " <881 •
11 discreto stato di conservazione della cerchia co nsente di approfondire la co ncezion e delle porte, da sem pre punto critico di ogni fortificazione. In numero di quattro ad eccezione di una , completamente distrutta per l'ammodernamento de ll a recente strada, per le restanti tre: " .. . possiamo , almeno in pianta, ricostruire pe rfettam e nte la struttura originaria. Si tratta infatti di porte fiancheggiate da torri s u uno o su e ntrambi i lati ... e dotate di un'ampia corte inte rn a, chiusa tra gli stretti pa ssaggi dell ' ingre ss o es terno ed incemo "< 89 '.
La grandezza e l'evoluto li vello de ll e fortificazioni non bastarono co munque a salvare la città dalla conquista operata nel TV seco lo dai Lucani. L 'offe ns iva degli Italici investì le principali città greche, confermandoci l a crescente ostilità fra le due etnie, esplosa al co ncluders i del V seco lo a. C. In quello scorcio st orico: " .. . i Sanniti, e i popoli derivati , si spinsero contro le c itt à greche della costa. Cuma fu conquistata nel 421; a Neapolis si in se diò un nutrito nucleo di Sanniti, così c he s i ebbero magi strature doppie ; alla fine del seco lo Poseido nia fu conquistata anch'essa ... " <90>
La rozza popolaz ione italica s opravvenuta apportò ovvia m e nte alterazioni alla fortificazione perimetrale di Posei donia sec ondo le s ue peculiari e s perienze Non vennero tuttavia rimosse o smantellate le possenti mura greche, ma ulteriormente potenziate con accorgimenti difensivi tipicamente sa nniti .
Fra ques ti il rincalzo con un vistoso aggere del piede delle cortine, minacciate dalle ormai temibili macchine ossidionali, introdotte in Italia e perfezionate proprio dei tecnici greci. In particolare:" ... nell'ultimo terzo del IV secolo, al tempo dell ' occupazione lucana, fu scavato lungo il settore settentrionaJe della cerchia di Paestum un fossato a sezione trapezoidale , le cui pareti obblique erano interrotte da una piccola t errazza: larghe circa m 20 nella parte supe ri ore, e 11 nella inferiore , erano riempite di acqua dolce per un aJtezza di m 5. " (91 >
Nel 273 a.C. Poseidonia divenne colonia l ati na in virtù della sua comprovata fedeltà a Roma: la sua esistenza però volgeva al termine, minata dalla ragione s te ssa dell'antica prosperità: l'ampia foce del fiume Sele, sicuro porto naturale e comoda via d'acqua, iniziava ad impaludarsi. L'agonia fu lunga , a differenza dello spopolamento, che ebbe subito vistosi sviluppi. La grande metropoli decadde a povero villaggio insalubre : le spietate incursioni saracene abbattutesi tra l 'Ylll ed il IX secolo ne completarono la desertificazione. In pochi decenni la palude regnò incontrastata e so ltanto miserabili pastori di bufale raccontavano agli in creduli romantici viaggiatori di fantastiche dimore di giganti avviluppate dai rovi.
La loro riscoperta ri sale al XVIU secolo e gli scavi ai giorni nostri: grazie all'isolamento protrattosi per circa un millennio le mura di P ose idonia forniscono oggi uno dei più comp let i, affascinanti e significativi esempi della fotificazione italiota.
Note Capitolo Quarto
' Da A. LA REGINA, La lancia e il Toro. in La cultura della tran.H111uu1za. a cura di E. NARCISO, Napoli 199 I. p. 53. Cfr. STRABONE, Geoiraphica. V. 4. 12.
' Da A. LA REGU\A, La lancia cit., p. 53.
• Preà,a al riguardo G. B0uT11ouL, Le guerre. elementi di polemologia, Milano 1961, p. 553: ''Negli animali, le migrazioni sono dovute o alla carestia o a quel minimo di previsione che si può fare quando si è in attesa dell'arrivo della stagione fredda. Nell'uomo. questi motivi cli migrare hanno un'influenza identica a quella che hanno sugli animali. Ma ci sono anche altri motivi. La concezione del livello di vita si aggiunge a quella del semplice sostentamento. Un popolo relativamente pro!>pcro può benissimo emigrare perchè sente l'attrattiva di un paese nuovo, in cui le risorse sono più abbondanti e in cui la facilità di ascesa a un grado di civiltà più elevato è maggiore ... Oltre a queste cause edonis tiche , c i sono poi tulle le cause sociali, che sono conseguenza dei fenomeni di violenza e sono imparentate col fatto guerra, come ad esempio le proscrizioni il cui motivo può essere razzista oppure religioso oppure politico, eccetera. Vengono infine. con tutto il loro codazzo di conseguen7e, le guerre. che indubbiamente costituiscono il fenomeno migratorio più frequente nell'uomo ".
' D a H A. L. F1sHbR, Storia d'Europa, Bergamo 1964, voi. I, pp. 50-51.
• Da FESTO, 150 L. ( 1913) , in Glossaria Latina, IV. 1930. La citazione è tratta da A. LA R EGINA, La lancia cit., p. 54, n. 24.
7 Da M. FAGIOLO. La psicologia della coloni:za:.ione e il mito solare della ragione, in Guida allo studio dell'architettura antica, Napoli 1978. pp. 232-233.
8 Da H A. L. F1s11cR, Storia... , cit., voi. I. pp. 47-48.
9 Da H. A. L. F1SHER, Storia , cit., p. 56.
0 Da M. FAGIOLO. La psicologia , cit.. p. 230.
" P. G. Gt zzo. Le ciuà scomparse della Ma gna Grecia, Perugia 1982, pp. 16-17.
11 Per approfondimenti sulle origini e sulla fortifica;,ione di Capua antica cfr. L. SANTORO. Fortificazioni della Campania antica, Salerno I 979, pp. 214-216.
11 Da M. FAGIOLO. La psicologia , cit.. p. 231.
'' D a M. POETE. Le, ciuà antica, in Guida ... , cit., p. 159.
1 ~ Da M . PoETE. La ciuà antica cit., p. I 60.
16 Da E. ACQUARO, Cartagine: 1111 impero :,111 Mediterraneo, Roma 1978, p. 129.
17 Da Tu c rDl'IE, La guerra del Peloponneso, VI, 2, 6.
,R Da P. G. Guzzo. Le citlà cit.. p. 142.
19 Da Y. GARLA.". Recherches de poliorcétique grecque. Limoges 1974, p. 20. La traduLione dal francese è dell' A.
:'() G. C. KoHN. Di :.io nario delle guerre, Milano I989, p. 436, così sintetizza la Guerra del Peloponneso, 460-445 a.C.: " La Lega Delio-Attica, gradualmente si trasformò in un impero marittimo con centro Atene che ebbe, success ivament e, le città stato di Corinto e Sparta come rivali . A causa di una rivolta degli Il oti Sparta ruppe l'alleanza con Atene rifiutando il suo aiuto; qundi Atene si alleò con i rivali di Sparta (462). Megara chiese l'aiuto di Atene contro Corinto e nel 460 dichiarò guerra. Ini1i almente vittoriosi, gU ateniesi man mano fonnarono un impero su tutta la Grecia centrale dopo aver sconfitto la flotta di Corinto (460) ed un'armata di Corinto inviata per attaccare Megara (459). Egina, alleata di Corinto, ven ne assediata e conquistata da Atene nel 457. Sparta provocò un conflitto inviando una spedizio ne in B oezia per appoggiare la sua alleata Tebe; vinse la battaglia di Tanagra (457) contro Atene nei pressi di Tebe. ma poi si ritirò. Allora gli ateniesi sconfissero i tebani a Enofìt (457) ed ebbero il dominio di tutta la Boezia. Sotto la guida di Pericle (495? -429) gli ateniesi nel 455 conquistarono una lunga fascia costiera achea e gli iloti spa rtani divennero loro vassalli, quindi procedellero a coloninare il golfo di Corinto. Nel 451 inizia una tregua di 5 anni con Sparta. Quando la Boezia si rivoltò contro Atene le sorti cambia rono in favore di Sparta e dei suoi alleati; Megara, la Focide e l'Eubea insorsero. Un'armata spartana marciò su Atene ma venne bloccata in tempo dalle truppe di Pericl e. Atene recuperò l'Eubea, ma il suo impero ormai non esisteva più. Ne l 455 venne negoziata la Pace dei Trent ·Anni: Atene poteva mantenere il proprio impero marittimo e Sparta l'egemonia sul Peloponneso. ma dopo soli 14 anni la rivalità tra Sparta e Atene riprese ". Si scatenò allora la Seconda o Grande Guerra del Peloponneso protrattatasi dal 431 al 404 a.C., che vide la completa disfatta di Atene, con la distruzione delle s ue fortificazioni e della s ua !lotta, nonchè con la sottomissione a Sparta.
11 La prima fase della Seconda Guerra del Peloponneso si aprì nel 431 con il re di Sparta Archidamo 11 alla testa delle sue truppe per rinva sio ne delr Attica: la campagna si risolse in cocenti sconfitte, e soltanto la vittoria del 422 ad Anfipoli invertì il corso della guerra.
22 Da Y. GARLAN, Reclterches ... , cit. pp. 23-24. L a tradu zione è dell'A.
23 Da E. N. L UTIWAK. La grande strategia dell'impero romano, Milano 1981, pp. 82-83.
2 • Da A. G1ULtA1'0. Urbanistica delle ciuà greche, in Guida , cit.. p. 163.
25 La citazione è traila da Y. GARLAN. R echerches , cit., p. 88.
Le Fortificazioni Italiote
26 Cfr. E. VOLPINI, La scienza nell'Antichità e nel Medioevo, in Storia della scienza, a cura di M. DAUMAS, Bari I 969, voi. I., pp. 2)1 - 213.
21 La citazione è tratta da Y. GARLAN, Recherches , cit. , p. 90.
28 Da H. TREZINY, Les tecniniques grecques de fortijìcc11ion et leur dijfusion à la péripherie du monde grec d'occident, in La fortification dans l'histoire du monde grec, Paris 1986, p. 187.
29 La citazione è tratta da Y. GARLAN, Recherches cit., pp. 101-102
.10 Da H. A. L. F1SHER, Storia , cit., voi. 1, p. 57.
3 ' Cfr. Y. GARLAN, Recherches , cit., pp. 112-116.
32 Circa la biografia del celebre storiografo, ricorda P. SGROJ nell'introduzione a La Guerra del Peloponneso, Napoli 1968, voi. l, p. 7:" .... si può quindi supporre che sia nato intorno al 460. Nell'inverno del 424, ottavo anno di guerra, incrociava come stratego a capo di una squadra navale nelle acque di Taso, l'isola a nord del Mar Egeo, di fronte alla Tracia. Fu chiamato in soccorso dal collega Eucle, che difendeva la piazzaforte di Anfipoli ... minacciata dal generale spartano Brasida. Ma non giunse in tempo, e, affrettandosi, riuscì so lo a salvare Eione, il porto di Anfipoli, alle foci dello Strimone. Ciò gli fu imputato a colpa, e stette in esilio per venti anni non sappiamo se condannato a morte per tradimento fino al 404, quando le Mura Lunghe di Atene furono distrutte, e gli esuli tornarono in patria. L'esilio gli diede agio di attingere direttamente notizie sugli eventi in corso presso ambedue le parti belligeranti, specie presso i Peloponnesi. Sua residenza abituale durante questi venti anni è probabile sia stata la località tracia di Skapté Hyle. dirimpetto a Taso, località in cui Tucidide sfruttava le miniere d'oro che gli davano indipendenza economica e possibilità di viaggiare, e dove godeva di molta autorità [La sua opera] si arresta in modo così brusco a mezzo della campagna estiva del 41 L da far pensare da antichi biografi che l'autore fosse finito di morte violenta ".
1 Da TUCIDIDE. La guerra del Peloponneso, a cura di P. SGROJ, cit., voi. 11 , p. 181-L. VI, I OI.
.l4 Da TUCIDIDE, La guerra ... , cit., voi. TI, p. 19 l-L. VII, 11.
~ 5 Ricorda Y. GARLAN, Guerra e società nel mondo antico, Bologna 1985, pp. 150-151: "Greci e romani conobbero due tipi di arco: un tipo semplice e un tipo composito. E ' probabile che il primo esistesse dalla fine dell'epoca paleolitica: aveva due bracci fatti di un unico pezzo di legno, che si incurvava ad arco circolare sotto la trazione dell'arciere. Esso continuò ad essere il normale complemento del cacciatore fino alla fine dell'Antichità, ma sui campi di battaglia, da Omero in poi, in genere fu sostituito dal tipo composito, che era già abbastanza ampiamente diffuso in Asia occidentale e in Egitto dal 11 millennio ... La potenza di quest'arco era superiore a quella del precedente, perchè elasticità e robustezza erano accresciute dalla fissazione di un fascio di tendini sulla superficie esterna dei bracci, e di lamelle di corno su quella interna. Legato insieme a fatica ... perchè la naturale tedenza dei bracci era quella di flettersi nella direzione opposta (donde l'attributo di palintone riservato a quest'arma), esso prendeva allora una forma caratteristica, a doppia incurvatura. poichè le diverse sezioni flettevano in modo diverso. Pare che la sua portata utile fosse all'incirca di 60 metri, mentre la portata massima poteva raggiungere i 200 ...".
36 Sempre Y. GARLAN, Guerra , cit., pp. 151-152, precisa: " Pare che la fionda a mano avesse una portata lievemente superiore a quella dell'arco, anche composito; essa consisteva in una doppia striscia di cuoio o di fibre vegetali collegata a una tasca dove si trovava una palla di pietra, argilla o piombo, che il più delle volte pesava dai 20 ai 30 grammi. Il fromboliere, che trasportava le munizioni in una piega della tunica o in un piccolo tascapane, faceva roteare l'ordigno verticalmente, poi orizzontalmente sopra la testa prima di mollare una delle cinghie in modo da liberare il proiettile e spedirlo, con una precisione st upefacente, nella direzione voluta. Forse anche questa invenzione appartiene alla fine dell'epoca paleolitica; comunque il suo uso nel mondo egeo è testimoniato a partire dal III millennio ... ".
17 Da Y GARLAN, Recherches .. . , cit., p . I 35. La traduzione è del!' A .
.is Da P G. Guzzo, Le città , cit., p. 16.
39 Da E. N. LUTIWAK, La grande strategia , cit., p. 183.
40 Precisa N. DAVEY, Storia del materiale da costruzione, Milano 1961, p. 23: "La tecnica greca era più raffinata e regolare, come si può vedere nella piattaforma del tempio di Poseidone a Paestum, che risale al l a metà del V secolo a. C. l corsi in questo caso sono di varia altezza. Nello stesso periodo si diffuse un tipo di muratura isodomica, caratterizzata da corsi di blocchi di altezza e lunghezza uniforme, con giunti posti, a corsi alterni, vertica l mente l'uno sull'altro... ".
"' Un interessante st udio sui costi delle fortificazioni perimetra l i è quello di P. DucREY, les fortifications grecques: role. fonction, efficacité, in La fortification dans , cit. pp. 134-135. In particolare: "La costruzione di una torre a Cizique tra la fine del IV e l'inizio del m secolo costò 9.200 dracme. Senza tener conto del livello monetario ed app li cando ipoteticamente il medesimo salar io giornaliero di 6 oboli ad operaio, si è ottenuto il totale di 1533 giornate per 50 uomini. Sapendo che di torri se ne contano spesso a decine, e che la l unghezza di alcune cinte può ragg iun gere i 5,6 e persino 7 chilometri, è facile farsi un'idea degli oneri sosten uti per tali costruzioni ". La traduzione dal francese è del!' A.
4 2 Cfr. H. TREZINY, Le tecniques grecques .. . , cit., p. I 96.
J .\ Cfr. G. HALLIER , Pierre de taille et mesures normalisées: Apollonia de Cyrenaique et Massalia, in Lafortijìcation dans... , cit., p. 252.
Ingegno E Paura Trenta Secoli Di Fortificazioni In Italia
44 Precisa sempre G. HALLIER, Pierre ... , cit. , p. 270: "I monogrammi incisi sulle pietre sono senza dubbio dei marchi di cavatori o di appaltatori ... pertanto si può imaginare che gli appaltatori aggiudicatari si comportavano al medesimo tempo, sia da cavatori sia da squadratori di pietre dal che la necessità di un doppio controllo , allo scarico dei battelli e prima della po sa in opera ".
•s Cfr. Y. GARLAN , Recherches , cit., pp. 263-268 .
4{\ Cfr. Y. GARLAN , Recherc hes ... , cit., pp. 150-151.
'
7 Cfr. F. Russo , La d(fesa costiera del regno di Sicilia dal XVI al XIX se colo , Roma 1994, vol. 1, pp 56-64.
'
8 Da L. SANTORO, Fortifi ca z ioni , cit. , pp. 74.
49 Da L. S ANTORO, For1ijica z ioni , cit. , pp. 75-76.
50 Cfr. P. G. G uzzo, Le città , cit. , pp. 221-225.
5 1 Da Y. GARLAN, Recherche s cit., pp. 246-250.
52 Cfr. F. R usso , Ragguaglio sul settore defilato , in Capua città d ' arte, di C. RoBOTTI, Lecce 1996, pp. 137-148.
53 Da V. FO NTAN A, P. MORACHTELLO, Vitruvio e Raffa ello. il 'De architettura' di Vìtruvio nella traduz ione inedita di Fabio Calvo Ravennate , Roma 1975, pp. 89 - 91.
54 Da Y. GARLA , Recherches.. . , cit., pp . 261-262. La traduzione è dell'A.
11 Da A. CASSI RAM ELLI , Dalle caverne ai rifugi blindati , Milano 1964, pp. 28-29.
56 Da P. G. G uzzo , Le città scomparse , cit. , p. 180.
57 Da M. PAG ANO, Ricerche sulla c inta muraria di Cuma , in Mélanges de l ' écolefrançaise de Rame , Mefra Tome 105 , 1993, p. 847 - 850. Cfr. anche B. D'AGOSTINO, F. FRATTA , Gli s cavi d e ll'I. U. O. a Cuma negli anni 1994-95, in Istituto Universitario Orientale, Annali di Archeologia e s toria anti ca, Nuova serie n 2 , Napoli 1995 , p. 204 e sgg.
58 Da W. JOHANNOWSKY , Cuma , in Enciclop edia dell'Arte Anti ca , U, 1959 , pp. 970- 971. La citazione è tratta da L. SANTORO , Fortifi ca z ioni , cit., p. 79, nota n 7.
5 ' Al riguardo cfr. R. FoLz, A. GuJLLOU , L. Mu SSET, D. So URDEL, Origine e forma z ion e dell ' Europa Medie vale , Bari 1975, pp. 92 -95.
60 Da M. P AGAN O, Ricerc he , cit., p. 862.
6 1 Da M. PAGA NO, Consideraz ioni sull ' antro de lla Sibilla a Cuma, in voi. LX d ei R endiconti d ell'Accademia di Archeologia Lette re e Belle Arti di Napoli 1985-1986, p. 71.
62 Da M. PAG ANO, L'acropoli di Cuma e l'antro della Sibilla , in Civiltà d ei Campi Fle grei, atti del convegno internazionale, a cura di Marcello Gigante , Napoli 1992, p .. 267
6 3 Da A. FLAMIGNI , Il potere marittimo in Roma antica, Roma 1995 , p. 17.
64 Da L. SANTORO, le mura di Napoli , Napoli 1984 , p. 25.
65 Da L. SA NTORO, Fortifi caz ioni , cit. , p. 64.
66 Da L. SA NTORO, Le mura , cit. , p 26.
6 7 Da L. SANTORO , Fortifica z ioni. , cit. , p 64.
6R Da L. SANTORO, Fortifica zioni..., cit., p. 65.
69 La citazione è tratta da L. SANTORO, Le mura , cit. , p. 42 n Da B. CAPASSO , Napopli greco - romana , Napoli 1978, p. 143.
70 Da L. SANTORO, Fortifi caz ioni ... , cit., p. 65.
71 Da L. SA NTORO, Fortifica z ioni ... , cit., p. 65.
72 Da L. SANTORO , Le mura , cit. , p. 37.
1 • Da L. SANTORO, Le mura , cit. , p. 38.
75 B. M1 cc10, U. POTENZA, Gli acquedotti di Napoli, Gaeta 994 , p. 28, preci sano che: " anche se molli attribuiscono l'interruz ione del Claudio a 'decisione di Belisa1io per costringere alla re sa Napoli tenuta dai Got i ' questa tesi non convince del tutto Chi legga la 'Guerra Gotica ' di Procopio non può non costatare che il taglio degli acquedotti era normale attività bellica equamente praticata sia dai Goti che dai Bizantini... una lettura dei cap i toli di tale opera relativi alla presa di Napoli ci induce a pensare che l' acquedotto attraverso il quale Belisario prese la città, in effetti, fosse il Bolla. Tale acquedotto, infatti, entrava in Napoli: ' all ' altezza de ll a prima torre aragonese a nord di Po1ia Capuana, superando su archi e pilastri il dislivello del fossato'.
76 Cfr. A, FLAMIGNI , Il potere marittimo ... , cti. , pp. 16-18.
77 Cfr. G. LuCHETTJ, R. Belogi , Ancona pia zzaforte del Regno d ' Italia, in Studi storico militari 1990, Roma 1993 , pp. 542-543.
78 Da P. G. Guzzo , Le città , cit. , pp. 126- 127.
79 Da A. CASS I RAMELLI , Dalle caverne , cit., p. 41.
80 Da L. MA UCERI, Il Castello Eurialo ne lla storia e nell'arte, Catanìa 1981, p. 13.
8 1 Da L. MA UCERI, Il Castello ... , c it. , p. 14.
8 2 Da A CASSI RAMELLl, Dalle caverne , c i t. , p. 46.
81 Da L. MAUC ERI, Il Castello... , cit., p. 20.
Le Fortificazioni Italiote
84 Da L. MAUCERI, Il Castello ...• cit., p. 48 .
85 I. O' AMBROSJO, Le fortificazioni di Poseidonia-Paestum. Problemi e prospettive di ricerca , in Annali dipartimeno di studi d e l mondo classico e del mondo antico -Archeologia e storia antica-Napo l i 1990, p. 7 I.
86 Cfr. P. G. G u zzo. Le città ... , cit., pp. 99-107.
87 Da I. D' AMBROSIO, Le fortifica zioni , cit., p. 73.
88 Da I. D' AMBROSIO, Le fortificazioni , cit., pp. 73 -75.
89 Da T. D' AMBROSIO, Le fortificazioni , cit., p. 75.
90 Da P. G. Guzzo, Le città , cit., p. 126.
91 Da Y. GARLAN, Recherches , cit., p. 252.
Capitolo Quinto
Le macchine ossidionali*
Le tracce architettoniche
Dagli esempi, descritti negli ultimi due capito] i, è affiorata, dapprima confusamente quindi sempre più nitidamente, la reazione strutturale delle fortificazioni all'avvento delle macchine ossidionali. Da un lato , infatti , si rese indispensabile neutralizzare , per quanto possibile, le temibili potenzialità offensive di quei congegni, dall'altro, per quanto conveniente, adottarne alcuni per la difesa. [n entrambi i casi il repertorio formale , fino ad allora inalterato per l' intenninabile stasi evolutiva della tecnologia militare(!> , dovette adeguarsi alla rivoluzionaria realtà , originando una precipua architettura. Ovviamente non si trattò di un processo fulmineo nè , meno che mai omogeneo, ma gradual e ed irreversibile. In definitiva, potrebbe immaginarsi del tutto similare a quello che, circa due millenni più tardi, si innescherà con la comparsa della polvere pirica121 • Occorreranno anche in questo ben più progredito contesto oltre due secoli di espedienti e di elucubrazioni prima che i tecnici siano in grado di elaborare opere capaci di resistere ai cannoni ed, al contempo, di utilizzarli efficacemente per incrementare la propria inviolabilità. E, parimenti, mentre la completa valenza funz ion ale di tali fortificazioni si conseguirà soltanto in pieno Rinascimento, i prodromi della soluzione di continuità possono già individuarsi nelle mura trecentesche riscontrandosi, in quelle successive, tutte le tappe del perfezionamento delle artiglierie.
In maniera esattamente analoga le cerchie greche, ed italiote in particolare, hanno conservato nei loro ruderi la risposta architettonica alla sequenza evolutiva delle macchine ossidionali ed il definitivo superamento delle arcaiche procedure d'investimento, peraltro fino ad allora di scarsa conseguenzialità. Dalle loro vetuste macerie, infatti, emergono impostazioni complesse e sofist icate del tutto incongrue alla tradiz ional e dinamica d'assedio ed alla insignificante reattività difensiva, di trascurabile proiezione esterna. Non a caso, negli esempi citati, è stata evidenziata la rilevante distanza fra le torri, di gran lunga eccedente I' ottimale sfruttame nto del tiro di fiancheggiamento, al quale, tuttavia, le stesse erano chiaramente finalizzate. J loro interassi, infatti, superavano ampiamente la gittata efficace degli archi coevi, la scia ndo vaste tratte di cortina prive della esiziale copertura. La spiegazione corrente , ovviamente, insiste su motivazioni economiche, cioè di esasperato contenimento degli oneri di costruzione persino quando, risaputamente, inficiante l'affidabilità globale della fortificazione. L a riflessione, quand'anche attendi bi le è però scarsamente plausibile e pertanto condivisibile soltanto parzialmente, so prattutto osservando un 'altra anomalia delle medesime cerchie, altrettanto ripetutamente evidenziata: il loro surdimensionamento perimetrale, non giustificato da alcuna impellente costrizione urbanistica.
In poche parole, il massimo risparmio sulla difesa attiva, ormai di indiscussa efficacia, e, per contro, il massimo sperpero per ampliare a dismisura quella puramente passiva. Difficile credere prioritario ed inderogabile l'inglobamento di sterili terreni mediante abnormi circonvoluzioni delle mura considerando che si trattava, abitualmente, di aree destinate ad un probabile svi luppo edilizio, ma lontano nel tempo. Meno credibile ancora ritenere che quegli appezzamenti fossero capaci di sostenere, per l'intera durata degli assedi , gli animali domestici. Più sensato, invec e, supporre che l'opzione di diradare le torri, certamente positiva per le finanze pubbliche , riuscisse praticabile proprio perchè non debilitava il fiancheggiamento, limitando - lo magari a pochi settori critici, col rischio in tal modo di suggerire agli assedianti dove attaccare.
Ora, assodata la portata insufficiente del tiro degli archi e rilevate le caratteristiche dimensionali ed architettoniche delle torri in questione, è giocoforza subordinarne i loro eccessivi interassi, le ampie piazze sommitali, le s trombature e l 'a ltezza dal calpestio delle loro feritoie a settore obbligato, all'esistenza ed alla disponibilità di micidiali armi da lancio da posta, o da fortezza. Grazie alle loro considerevoli gittate, alla esattissima punteria ed alla facilità d'impiego, quelle antesignane artiglierie leggere, avrebbero consentito di 'spazzare' le mura da grandi distanze. Infatti, pur essendo indubbio che la cadenza di tiro di siffatti congegni fosse sensibilmente inferiore a quella dei provetti arcieri, la stabilità fornita dall'adozione di solidi affusti perme tteva , persi no a serventi scarsamente addestrati, centraggi s is tematici. Ogni cittadino, in definitiva , presc indendo dalla sua forza fisica, dalla sua attitudine militare e dal suo coraggio era in grado di impiegare tali macchine, incrementando così vistosamente il numero dei difensori attivi. Inoltre la potenza di cui disponevano imprimeva ai dardi energie cinetiche tanto rilevanti . da poter trapa ss are agevolmente corazze ed elmi, rendendoli perciò letali laddove le frecce non impensierivano. Pertanto, i brevi interassi fra le torri , indispen sab ili per gli archi, non avrebbero più avuto ragion d'essere , permettendo il diradamento.
Una ulteriore conferma della prese nza delle artiglierie meccaniche, sebbene in funzione meramente offensiva, si ravvisa ancora nella copertura delle torri e delle mura, già evidenziata nel precedente capitolo. Anche ipotizzando tiri fortemente arcuati, difficilmente le frecce avrebbero potuto abbattersi sugli spalti con densità tali da provocarne l'abbandono in massa dei difensori. Inoltre essendo l'ordinata massima della loro parabola di poco maggiore alla sommità delle fortificazioni, la ricaduta non avrebbe potuto fornire alle frecce l'accel erazio ne necessaria per trapassare le armature.
Ovvio, pertanto , che questa seconda categoria di test imonian ze strutturali lasci addirittura intravedere l'avvento di una artiglieria meccani ca pesante, d'assedio, dalle prestazioni micidiali e d accurate, in grado di effettuare lanci parabolici di proietti di considerevole mole , capaci, questi sì , di maciullare assembramenti di difensori. Incompren si bile , altrimenti, in un ambito per giunta di esas perato contenimento dei costi, l ' immensa spesa richie sta per munire l'intero sv iluppo degli spalti, s pesso divers i chilometri, di robuste e durature tettoie.
Curiosamente entrambe le sol uzioni adottate dai Greci italioti, diradamento delle torri e copertura delle fortificazioni, non trovarono pari applicazione nell 'architettura militare dei Romani , se nza dubbio altrettanto consci delle minacce dell e artiglierie meccaniche. Le loro cerchie urbiche continuarono, fino alla dissoluzio ne dell'impero , a mantenere sca nsioni fra le torri non eccedenti la trentina di metri, e non contemplarono, abitualmente, l'impiego di tettoie continue. É probabile che i ridotti interassi dipe sero, eminentemente, dall 'es igenza di di sporre di un maggior volume di tiro, ovvero di più macc hin e da lancio di minori dimen s ioni , implicanti a loro vo lta piccole quanto frequenti torri. Ma è altresì probabile r avv isar e, sempre nella medes ima ri so luzione , una maggiore di s ponibilità economica ed umana , ovvero ri sorse finanziare meno limitate, per opere comunque di gran lunga meno onerose, ed abbondanza di cittadini addestrati alle armi. Senza contare l'ine s istenza di nemici tecnicamente evoluti, ed il ruolo di sbarramento delle difese di frontiera.
Una ulteriore motivazione potrebbe ravvisarsi ne lla disistima da parte romana della più evoluta concezione polemologica italiota, che soltanto con il diffondersi del cristianesimo troverà anche nell'impero piena adozione, divenendo da allora la nota di s tinti va della civiltà occidentale. Per la stessa, essendo la guerra una sciagurata necessità, il minore dei mali consisteva nel potenziare le difese piuttosto che il numero dei combattenti. Fu , in definitiva , la medesima concezione che si generalizzò molti secoli dopo nell'irriducibile confronto con il mondo islamico, avara di uomini quanto prodiga di mura e cannoni. Rappresentò perciò la perfetta antitesi di quella orientale che riguardò la guerra come una delle massime attività umane, con assoluta indifferenza per lo sperpero di vite. Nessuna meraviglia che presso le armate sultanili, gli assedi si trasformassero sistematicamente in allucinanti mattanze , le cui perdite abitualmente eccedevano di molto quelle degli sconfitti. Le inesauribili potenzialità demografiche evitarono il collasso ma evitarono pure qualsiasi interesse per le innovazioni tecnologiche , determinando l'inesorabile marginalizza zi one culturale delle società musulmane 0 >
Per meglio esemplificare quanto delineato è il caso di ritornare brevemente ad alcune delle già citate fortificazioni della Magna Grecia. Ri su lta così s ubito evidente che:" ... il Castello Eurialo a Siracusa fornisce il migliore esempio di un sistema difensivo avanzato progettato per proteggere un fronte limitato e per funzionare autonomamente. Esso costituisce un caposaldo munitissimo in grado di interdire quella che altrimenti sarebbe risultata una fin troppo facile via di penetrazione all'Epipole. Non ci sono difese adiacenti abbastanza vicine da fornire alcun appoggio. Perciò nel suo disegno finale, che fu probabilmente opera di Archimedec 4 >, Eurialo disponeva di strutture permanenti in pietra e di tre fossati, disposti in linea di massima nella maniera raccomandata da Filone di Bisanzio.
Le differenze fra le loro dimensioni e le prescrizioni del trattatista, infatti , possono ascriversi alle condizioni ambientali. Le opere avanzate, entrambe dietro il fossato interno ed il fossato centrale, senza dubbio contenevano postazioni per l'artiglieria ad un livello molto più basso della batteria principale, postata sulle famose cinque torri, linea estrema di resistenzac 5 >.
Se un aggressore fosse stato abbastanza demente da lanciare un attacco all'Eurialo, i suoi uomini e l e sue macchin e ossidionali, mentre avanzavano dal c ig lio del fossato esterno, avrebbero potuto essere battuti da una qual s ias i cata pulta della batteria prin c ipal e delle cinque torri e d e i fossati. Inoltre, la forza attaccante sare bbe stata anche esposta al tiro di sbarram e nto per tutto il tempo che avrebbe impiegato per attraversare faticosame nte il primo fossato nonch è la fasc ia inte rmedia fra quello ed il s uccessivo, di circa 90 mdi es te ns ion e. E se g li assalitori, miracolo sa mente, c i fo ssero riu sci ti avendo trovato il fossato es te rno privo di difesa, sareb bero stati a quel punto sufficientemente vic ini per evitare i tiri della batteria principale ; ma, allorq~ando avrebbero tentato di attraversare il fossato interno avrebbero avuto di front e le b a li ste piazzate nello stesso, in grado di concentrare s u di loro un violentissimo tiro radente.
Incidentalmen te le mi s ure prescritte da Filone per un s istema di tre fossati possono fornire un ulteriore riscontro per la larghezza della fascia di terreno antis tante la cortina principale, qu e Jla c he non poteva essere battuta dall e catapulte po state sulla s tess a o sull e sue torri. La controscarpa de l fossato esterno, infatti, si sarebbe do vu ta collocare a circa 70 m. dal muro d e lla città. li dato s ug geri sce l ' impossibilità per le artiglierie postate sulla cerchia e sulle torri di tirare a bersag li più vicini di tale distan z a. Ovvio , quindi , che l'ultimo fossato fosse pos izionato per prevenire una penetraz ion e del nemico al di là della principale copertura di difesa dell ' artiglieria.
La suddetta s ituazione comunque rappresenta una s oluzione eccezionale ... [in casi più frequenti come] a Perge e a Paestum, per esempio torri contigue possono agevolm e nte appoggiars i reciprocamente [in particolare] può essere facilmente osse rvato che so ltanto una stretta stri sc ia di terreno, aderente alla base delle torri e larga circa 6 m, non è coperta dall'artiglieria difensiva. Nessuna necessi tà pertanto di ricorre re a batterie fra le opere avanzate e que sta . Ci s i as petta, inol - tre, che il fossato interno in un tale sistema possa essere molto più vicino alla base del muro dei 35 m raccomandati da Filone. Ora la sezione rettilinea delle mura settentrionali di Paestum, dispone di otto torri i cui interassi variano da un minimo di 70 m a poco più di 100 ... [proprio antistante ad esse] nel 1961 fu scoperto un fossato, con andamento parallelo, il cui ciglio interno era a circa 5-6 m di distanza. Il fossato, a sua volta, misurava 20 m da sponda a sponda, contro i 30 prescritti da Filone, con una profondità di 8 contro i 9 dello stesso autore. L'artiglieria sulle otto torri poteva agevolmente battere ogni pezzetto di terreno compreso fra il ciglio esterno del fossato e l'estremo della loro massima gittata, pari a circa 350 m. Le batterie di catapulte al livello del terreno, nello stretto spazio fra la base del muro ed il fossato, non avrebbero potuto accrescere ulteriomente l'estensione della copertura " (6)
Pertanto il contemporaneo ampliarsi a dismisura ed allontarsi dal piede delle mura dei fossati , come pure l'incrementarsi della scarpatura e la diradazione delle torri, non può ascriversi semplicisticamente a remote incoerenze, appagate da sterili surdimensionamenti estetici. Sono, invece, le più vistose conseguenze della rielaborazione delle fortificazioni, l'accennata risposta strutturale alla radicale mutazione poliorcetica, le cui prime incerte manifestazioni sembrano potersi collocare tra la fine del V e gli inizi del IV secolo a.C.
Cronologicamente, infatti: " ... « fu solamente a partire dall'inizio del IV secolo che iniziò a verificarsi una seria evoluzione. Si procedette ancora molto lentamente sino a che i successi folgoranti riportati da Filippo il Macedone e da suo figlio Alessandro aprirono gli occhi a tutti». In precedenza le tecniche della poliorcetica e quelle riguardanti le macchine da gue1Ta erano veramente rudimentali, ancorchè si facesse uso di macchine delle quali le nostre fonti documentarie hanno cura di fare menzione. É probabile che si trattasse ancor di arieti " (7) Più in dettaglio è molto probabile che le: " ... prime macchine da lancio semplici balestre o già basate sul principio della torsione furono inventate nel 399 dagli ingegneri greci che Dionigi il Vecchio aveva fatto venire a Siracusa per riprendere la lotta contro i cartaginesi. Si diffusero poi lentamente in Grecia nella prima metà del IV secolo e infine, a ritmo accelerato , in Macedonia al tempo di Filippo e di Alessandro. A quest'epoca risale, se non l'invenzione, almeno il miglioramento dei congegni a tors ione , come testimonia l'utilizzazione dei petroboli durante l ' assedio di Tiro, nel 322. É più difficile precisare, invece , il seguito di questa evoluzione fino all'inizio dell ' impero romano, anche se è probabile che abbia comportato notevoli perfezionamenti nei particolari: intorno al 275, per esempio , si sarebbe iniziato a regredire tabelle di calibratura, che stabilivano rapporti fissi tra il diametro delle matasse di propulsione , la lunghez za o il peso dei proiettili e le dimensioni delle diverse parti della macchina. Comunque , fu in epoca ellenistica che si fece uso dei pezzi di artiglieria più gro s si che il mondo antico abbia conosciuto, capaci di proiettare frecce di 4 cubiti(= 1,85 m) e palle di 3 talenti (78 kg) a una distanza che variava fra i 100 e i 300 metri "(8) Di certo a partire dagli inizi del IV secolo, s ignificativamente, presero a comparire, a diversificarsi, a perfezionarsi ed a diffondersi rapidamente, le macchine d'assedio. Ben presto si bipartirono in due distinte tipologie: da urto e da lancio. Se nella prima di es se permane l'ariete, la cui invenzione si perde nella notte della preistoria, è nella seconda, ovvero nella capacità, assolutamente impraticabile sino ad allora, di battere con violenza le mura e , soprattutto, i loro difensori da ragguardevole distanza, che la poliorcetica del IV secolo s egna una netta rottura con il pas s ato. Lo s te ss o ariete del resto, per millenni ingenuo congegno di percussione, ricevette nel periodo in questione migliorie e potenziamenti tali da renderlo solo concettualmente affine ai remoti archetipi, ma talmente temibile da costringere a cospicui adeguamenti alla parte basamentale di qualsiasi opera difensiva.
Diversificazione delle macchine ossidionali
Sebbene tutti i congegni, più o meno grandi, impiegati neglj assedi vengano correntemente ricordati quali macchine ossidionali, definizione generica di cui per comodità e per mancanza di precise informazioni ci siamo fin qui avvalsi, a partire dall'epoca dei precedenti esempi non è ulteriomente utilizzabile. Del resto le stesse fonti, sia pure lacunose ed incomplete, da quel momento iniziano a fornire in merito pedanti descrizioni e minuziose differenziazioni tipologiche, in relazione alle precipue caratteristiche strutturali ed operative di siffatte armi. E proprio in ossequio a tanta precisione va osservato che la già esposta suddivisione fra 'urto' e 'lancio' non può, pertanto, ritenersi tecnicamente corretta.
Tutte le macchine, infatti, producevano in qualche modo un urto, sebbene agendo da distanze notevolmente diverse. La vera differenza era semmai nel contatto o meno fra la macchina ed il suo bersaglio: l'ariete e la cortina al momento della percossa aderiscono strettamente, non così invece la balista, che rimane sempre nettamente distaccata dal punto d'impatto, incaricandosi il proietto di trasportarvi la sua energia cinetica. Pertanto mentre l'urto di un ariete è ancora antropomorfo, concretamente analogo ad un pugno, quello di una palla di balista lo è ormai soltanto figuratamente. Nonostante ciò già in una commedia di Plauto s i può leggere:
" Meus est ballista pugnus, cubitus catapulta est mihi"< 9 •
Esaurita que sta basilare puntualizzazione, sotto il profilo cronologico l'accennata suddivisione fra macchine da urto o da lancio, costuisce già una fase abbastanza tarda rispetto all'avvento delle stesse. La più arcaica, infatti, può so ltanto distinguerle in base alla loro diversa maniera di tentare di aver ragione delle fortificazioni, ovvero se di tipo elusiva o di strutt iva. Alla prima vastissima categoria appartenevano le arcaiche scale d'assedio, i più sofisticati 'tollenoni' ed anche le grandi torri ambulatorie, oltre ad un nutriti ssimo repertorio di congegni, più o meno occasionali, tutti però miranti allo scavalcamento delle mura senza nemmeno tentare di brecciarle.
Nella seconda, di gran lunga più variegata e composita, rientravano invece le macchine de stinate a sfondare le fortificazioni, a demolirne le sovrastrutture, ed a tacitarne ogni reazione difensiva. Fu soltanto seco li dopo, grazie ali' assoluta preminenza guadagnatasi nella conduzione degli assedi, che la categoria ricevette, ad opera dei trattatisti, la classica bipartizione in macchine da urto e da lancio. Tuttavia nell'ambito di quest'ultime, mentre sin dal IV sec. quelle impiegate nel tiro antiuomo, nella difesa o nell 'offesa, fornirono prestazioni sostanzialmente simili per letalità e modalità d'impiego alle moderne artiglierie leggere, quelle destinate a battere le strutture richiesero u·na ben più lunga gestazione, senza peraltro attingere mai esiti distruttivi appena paragonabili persino a quelli delle più rudimentali artiglierie d'assedio a polvere. Nessuna balista, infatti, per potente che fosse stata avrebbe mai potuto sgretolare una muraglia per debole c he fosse stata. Il suo compito si riduceva, e non era affatto insignificante, a tener lontano i difensori dalla sezione battuta dagli arieti, a distruggere le loro contromacchine e le protezioni posticce.
Scendendo ulteriormente in dettaglio fra le macchine da urto rientravano , oltre agli arieti, di tutte le fogge e le dimensioni, anche congegni meno usuali, quali 'trapani', arpioni e palanchini giganti per svellere conci di pietra, per sgangherare porte, per strappare merli, eccetera. Per la stretta contiguità operativa possiamo includere fra le stesse anche macchine 'passive', quali le 'test uggi ni ' o le 'vinee', sorta di corazzature collettive mobili, immancabilmente impiegate per la protezione degli arieti e dei loro serventi dal tiro piombante degli assediati. É interessante ri cordare, che tutta la menzionata categoria di macchine, a differenza di quelle da lancio trovava, per ovvie ragioni, impiego soltanto da parte degli attaccanti. Le artiglierie meccaniche, quelle definite 'leggere', invece, sebbene di indifferenziata validità, riuscivano di gran lunga più efficaci in funzione difensiva , per vari ordini di motivi. Innanzitutto tirando attraverso sottili feritoie risultavano in pratica invulnerabili; secondariamente, non dovendosi spostare, potevano impiegare affusti più pesanti e stab ili, premessa di precisione nella punteria e veloc ità nella cadenza; infine essendo i loro bersagli costituiti da nuclei di attaccanti, bassi, immobili ed inermi ai dardi, garantivano letalità altissime.
P e r concludere è agevole osservare che, sebbene tutte le menzionate macchine permasero nei contesti ossidionali per quasi venti secoli, so ltanto quelle da lancio introdu ssero defini zioni d'impiego tutt'oggi vigenti, quali set tori di tiro, defilamento, copertura balistica, traiettorie incrociate, appoggio reciproco delle opere, cadenza di tiro, angoli di alzo e di brandeggio, gittata efficace, massima depressione, ecc., tanto per citare le principali. Ovviamente all'epoca ebbero altre designazioni, altre identificazioni: il mutare della lin gua però non ne ha minimamente alterato i rispettivi s ignificati, adottati ed adattati immediatamente dalle artiglierie a polvere. Tale invarianza giustifica, e consente, nonostante le precisazioni esposte, di applicare nei loro confronti, oltre al termine generico di ' artiglieria', una delle sue tante qualificazioni moderne quali , leggera, pesante, campale, da piazza, navale , ecc., ricavandone, di volta in volta, una adeguata connotazione della partico lare arma in esame. La licenza se nza dubbio non ortossa, ed apparentemente anacronistica, evitando, per quanto possibile le astruse nomenclature coeve quali, gastrofete, balista, scorpione, onagro, catapulta, trabucco, mangano , arcobalista, carrobalista , ecc., favorisce però una più immediata percezione e valutazione funzionale.
Un'ultima annotazione va riservata alle tante macchine composite che comparvero in quel medesimo scorcio storico . Si trattava normalmente di aggregati capaci di sfruttare s u di un unico supporto, quasi sempre mobile , le prestazioni dì più congegni. Si ebbero così to1Ti dotate alla base di mieti ed in sommità di catapulte, come pure testuggini al riparo delle quali tiravano baliste e sco rpioni. Indi s pensabile pertanto tracciare , almeno delle principali tipologie, delle esaurienti descrizioni, sulla falsariga delle fonti.
Scale d'assedio
L ' umilissima scala a pioli, rappresenta, senza dubbio, nella connotazione elementare il più antico congegno per violare le fortificazioni. Per millenni lo scavalcamento costituì oltre all'insidia, di cui leggendaria quella del cavallo di Troia, l'unica possibilità di penetrare ostilmente all'interno di una cerchia. La scala, quindi, se non ne garantì l'esito ne agevolò il tentativo. Quale minaccia abbia costituito quel modestissimo attrezzo nella storia delle fortificazioni lo dimostra lo scrupolo con cui, ancora alla fine del '700, si evitavano cortine di altezza inferiore ai 7 m, canonizzato limite operativo delle scale<101 !
Pur essendo a chiunque notissima nella sua versione domestica, quelle propriamente d'assedio se ne discostavano alquanto per la larghezza, per la robustezza e per l'interasse dei pioli. Dipendendo la conquista di uno s palto dal numero di attaccanti in grado di giungervi contemporaneamente, una singola scala doveva consentire a più uomini di salirvi affiancati, nel minor tempo possibile. Al pari dell'altezza però anche la sua larghezza non doveva eccedere un preciso limite, circa 4 m, poichè altrimenti sarebbe risultata troppo pesante per esse re issata e troppo fragile per il potenziale carico. La difficoltà, a prima vista, ammetteva una apparentemente ovvia logica soluzione: aumentare il numero delle sca le riducendone al massimo le dimensioni. Gli esempi, certamente non mancano, ma si trattò se mpre di ripieghi occas ionali e d'urgenza. Scale molto strette, indubbiamente facili da approntare in discreto numero e da maneggiare, s i dimostravano altrettanto facili da abbattere. La loro stab ilità laterale, infatti, soprattutto quando gli attaccanti ne raggiun-gevano la sommità, era estremamente precaria, per cui sp ingendole, con un rudimentale forcone da fieno, a destra o a sinistra, rovinavano immediatamente. Per contrastare la difesa se ne realizzarono di uncinate in modo da avvinghiarsi alle merlature, ma il rimedio non risultò vantaggioso.
Tollenoni
Per frustrare la minaccia delle scale d'assedio la fortificazione iniziò, ben presto, ad adottare ingegnose soluzioni. Le mura, ad esempio, si munirono di sporti e di protuberanze che ne impedivano il saldo appoggio, constringendo gli attaccanti a disporle con una scarsa pendenza, causa di forti osci Il azioni e repentine rotture. Ma fu l'incrementarsi abnorme del1' altezza delle delle difese che finì per relegarle ad impieghi sporadici, affidando, negli assedi meglio organizzati, ai tollenoni, il loro tradizionale compito. Questi, in dettaglio, erano costituiti da un s uppo1to verticale, abitualmente un grosso palo saldamente infisso nel terreno, e da un lungo braccio, ad esso congiunto nella parte centrale tramite un doppio snodo, capace di ruotare orizzontalmente e verticalmente. Alla sua estremità stava collegata una capace 'navicella' di vimini, dotata , a sua volta, di un secondo snodo, necessario a garantirle la verticalità, qualsiasi inclinazionazione assumesse il braccio.