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INTRODUZIONE
Subito dopo la morte di Franklin D. Roosevelt, si può dire che tutti i suoi collaboratori abbiano ricevuto offerte di editori perché scrivessero le proprie memorie. È risaputo che tali offerte vennero per lo più accettate; ritengo anzi senz'altro eccezionale il caso di tanti libri scritti sulla vita e l'opera di un uomo a così breve distanza dalla sua morte.
Personalmente non avevo alcuna intenzione di gravare con altro peso sui già carichi scaffali delle biblioteche. I meravigliosi, indimenticabili ricordi degli anni 1940/1945 erano cosa mia, cui si aggiungeva una quantità d'appunti disordinati, che intendevo disporre in qualche modo per donarli alla Biblioteca Roosevelt di Hyde Park, dove conservarli ad uso dei biografi futuri. Non ignoravo infatti quanto di quel che sapevamo di Abramo Lincoln fosse stato ricevuto dall'esame fornito di brani lasciatici dai suoi contemporanei di secondo piano.
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Sapevo che Harry Hopkins meditava di scrivere un libro; me ne aveva anzi parlato alcuni mesi prima che Roosevelt morisse, mentre stava avviando le trattative con gli editori. Quando lo ritrovai nell'estate e nell'autunno del '45, me ne parlò come se il libro progredisse, tanto che ne attendevo la pubblicazione con vivo desiderio. Ignoravo allora, ma l'appresi in seguito, che sperava di farsi aiutare dall'amico Raymond Swing. Vidi un'ultima volta Hopkins in novembre e me ne andai quindi ad Hollywood a lavorare ad un film di Samuel Goldwyn, << I migliori anni della nostra vita >>, il cui titolo intinto di speranze, fa riferimento al futuro in contrasto col passato. Mi trovavo presso gli studi cinematografici della Goldwyn quando David Hopkins mi telefonò che il padre era morto e circa una settimana dopo mi chiamò New York Louise Hopkins per chiedermi se sarei stato disposto a portare a termine il libro. Risposi che avrei fatto qualunque cosa per la memoria di Harry, ma non avevo alcuna idea del lavoro da compiere. Sapevo che il libro si limitava agli anni di guerra – quelli duranti i quali fui in intime relazioni con Roosevelt e Hopkins – , ma ignoravo quale forma avrebbe preso, a che punto fosse arrivato Hopkins, quanto infine, nello scrivere, egli si basasse sulla sua memoria e quanto sui documenti. Era evidente che non volevo azzardarmi a commentare un falso, continuando il libro come se fossi stato Hopkins, ma ritenevo di dover incominciare con questa nuda ammissione: << A questo punto Hopkins morì, sicché il seguito della sua narrazione non può essere altro che una serie di frammenti >>.
Ultimati i miei impegni ad Hollywood e fatto ritorno qualche settimana dopo a New York scoprii che Hopkins no aveva scritto neppure le parole << Capitolo Primo >>, ma che la documentazione era enorme. C'era in casa sua una quantità di carte che riempivano una quarantina di armadi e molte di più ancora in un magazzino, riferentesi queste ultime agli anni del New Deal e che no avevo mai viste. Fortunatamente, Hopkins aveva assunto un aiuto, Sidney Hyman, che durante otto mesi aveva lavorato a classificare i documenti in tante cartelle intestate: << Conferenza di Casablanca >>, << Aiuti alla Russia, 1943 >>, eccetera, in modo che nei mesi che mi ci vollero per leggerli, potei seguire l'ordine cronologico, incominciando a farmi un'idea della narrazione. Potei anche incominciare rendermi conto delle lacune, delle parti che mi riuscivano confuse ed oscure, decidendo di intervistare alcune persone per acquisire informazioni più complete e ottenere qualche chiarimento. Ciò mi procurò una quantità notevole di viaggi e di corrispondenza, mentre il lavoro, che in un primo tempo avevo previsto sarebbe stato compiuto in un anno, si protrasse per due anni e mezzo lasciandomi ben poco respiro: mattina,, pomeriggio e sera.
La prima lettura dei documenti fu per me un'esperienza che agì da stimolo che – debbo confessarlo – continuò per tutta la durata del lavoro. Trovai qui infatti molte risposte a molte domande che m'ero poste quando ero vicino alle massime autorità del mio Paese, trovai la soluzione di gran parte dei dubbi che m'erano sorti osservando atteggiamenti, dichiarazioni e atti di Roosevelt e Hopkins. Mi proposi dapprima di scrivere il libro in forma assolutamente impersonale, ma mi accorsi sempre più che non potevo estraniarmi dalle mie esperienze personali (quelle che appunto avevo avuto intenzione di esporre un giorno in qualche modo), tanto più che la lettura dei documenti e i ricordi di quelli con il quali parlai contribuirono ad accrescerle e a ravvivarle. Pensai allora di fare del libro una biografia di Hopkins durante gli anni di guerra, facendola procedere da una prefazione che ne tratteggiasse la carriera, comprendendovi il New Deal, prima che egli si trovasse direttamente coinvolto nei principali avvenimenti mondiali. Non potevo parlare degli anni precedenti al '40 con profonda e diretta cognizione di causa, ma mi addentrai ad esaminare la sua carriera molto più a fondo di quanto avessi l'intenzione di fare, soprattutto perché personalmente incuriosito da capire in che modo un uomo dalle origini tanto umili e così poco preparato a grandi compiti avesse potuto raggiungere l'eccezionale posizione che effettivamente occupò. Una cosa mi colpì profondamente: fu il constatare quanto il New Deal avesse contribuito a preparare Roosevelt, Hopkins e, ben s'intende tutto il popolo americano, agli sforzi giganteschi richiesti dalla guerra totale. Prima che il popolo cominciasse a rendersi conto che ci voleva il rimedio dei carri armati, dei bombardieri e delle portaerei, si richiedeva, per combattere quel male pauroso, una salda preparazione morale. Specie ad Hopkins, il New Deal fornì l'allenamento ideale al combattimento, perché la sua vita fu allora una serie di battaglie accanite contro la miseria diffusa, i cataclismi naturali, i politicanti provinciali, gli altri uffici governativi e gli innumerevoli critici del Congresso e della stampa i quali avevano costantemente i fucili puntati contro il suo programma di grandi spese. Fortunatamente, egli (o i suoi segretari per lui) tenne alcune voluminose raccolte di ritagli di stampa, che incominciavano dal giorno del suo arrivo a Washington. Queste collezioni di ritagli sono ricchi di quegli attacchi malvagi che si mantennero costanti per dodici anni e che in alcuni casi colpirono e ferirono Hopkins assai più gravemente di quel che egli volesse ammettere. Ma si può anche dire che egli rimase sempre del parere che la libertà di attaccare, così lui come chiunque altro fosse quel sangue nuovo che col suo ossigeno rinnova la vita della democrazia. Quanto profonda fosse in lui tale convinzione, risulta dalle parole che egli scrisse sulle future relazioni con la Russia, parole che ho riportato nel capitolo finale di questo libro.
Guardando al passato, come ho dovuto fare costantemente in questa mia opera, mi pare che l'ostilità di tanta parte della stampa costituì per Roosevelt un elemento fondamentale, perché contribuì ad ispirarlo più che a frenarlo e che senza quell'elemento egli non sarebbe stato quel Presidente che fu. Non era uomo da lottare quando si fosse trovato in un'atmosfera di nauseante unanimità.
Di tutti gli attacchi contro di lui, quello che probabilmente irritò e stupì maggiormente Hopkins fu l'accusa inventata di sana pianta che nell'autunno del '43 egli avesse complottato dietro le quinte della Casa Bianca per allontanare il generale Marshall dal posto di Capo di Stato Maggiore, liberandosene attraverso la promozione ad una sinecura in Europa. La cosa mi interessò molto, perché i documenti di Hopkins forniscono molte prove sulle pressini che in varie occasioni vennero esercitate sul Presidente, ma non ci danno alcun indizio sul motivo per cui, improvvisamente, alla seconda conferenza del Cairo, Roosevelt annunciò di aver nominato Eisenhower, anziché Marshall, a comandante supremo dell'Overlord, che era l'operazione per la grande invasione dell'Europa e non precisamente una sinecura. Cercai di scoprire quale fosse stato il fattore dominante di quella storica decisione. Andai a parlare, a Washington, con l'ammiraglio King, il quale mi disse in termini molto precisi quel che ricordava, fornendomi anche molte altre preziose informazioni sulla preparazione di questo libro. Parlai con Laurence Steinhardt, John J. McCloy e Lewis Douglas, che si trovavano tutti al Cairo nonché con Averell Harriman e Charles E. Bohlen i quali erano stati alla conferenza immediatamente precedente, quella di Teheran. Il generale Arnold mi scrisse in una lettera quale era la sua versione. Andai a Londra da Winston Churchill che mi inviò quattordici fogli dattiloscritti in risposta al mio questionario e che intervistai ancora altre tre volte. Parlai al capo di Stato maggiore di Churchill, il generale Sir Hastings Ismay, più tardi Lord Ismay, a Anthony Eden, Lord Beaverbrook, Brendan Bracken e a molti altri collaboratori di Churchill. Ebbi lunghe conversazioni su questo e su molti altri argomenti con John G. Winant. Più tardi chiesi a Henry L. Stimson, all'ammiraglio Leahy e al generale Eisenhower che mi fornissero le loro versioni sui precedenti della decisione relativa al comando dell'Overlord e finalmente Marshall, di ritorno dalla missione in Cina ai primi del '47 per assumere l'importante compito di segretario di Stato, mi fornì anche la sua.
Erano tutte diverse l'una dall'altra, benché non si escludessero a vicenda e, dopo questa indagine come dopo altre del genere, ne trassi la convinzione che nessuno saprà mai sceverare nella complessità dei pensieri di Roosevelt, l'ultimo movente delle sue decisioni.
Poco dopo che avevo cominciato a lavorare a questo libro, il Presidente Truman mi scrisse una lettera molto gentile per esprimermi il compiacimento che ci si disponesse a pubblicare i << documenti di un valoroso servitore dello Stato, il compianto Harry L. Hopkins >>, aggiungendo: << Se vi posso essere d'aiuto, vi prego di non esitare a chiederlo. Spero anche che troverete la più completa collaborazione da quanti avvicinerete nel compimento di questa grande opera >>. In seguito, parlai con il Presidente dei suoi rapporti con Hopkins che risalivano all'epoca del programma di assistenza, nel 1933. Né il Presidente, né qualsiasi altro al governo mi dette mai consigli, diretti o indiretti, su quel che avrei dovuto dire o tacere, ne mi chiese o suggerì di sopprimere o attenuare alcunché di quanto fosse qui espresso. Sottoposi spontaneamente il manoscritto, una volta completato, al Dipartimento della Difesa, soltanto per quanto riguardava il segreto militare e debbo essere grato al segretario Forrestal e al suo aiutante, comandante Robert W. Berry, della collaborazione datami. Non mi si chiese di tralasciare nulla, ma soltanto di parafrasare un notevole numero di telegrammi, perché la loro pubblicazione testuale avrebbe potuto compromettere il segreto dei cifrari. Inviai anche il manoscritto alla sezione storica dei capi di Stato maggiore uniti e sono molto grato al comandante T. B. Kittredge e ai suoi collaboratori per molti suggerimenti e correzioni su alcuni dati di fatto e su certe valutazioni. Ho beneficiato anche del grande aiuto di Miss Grace Tully, Frank C. Walker, Samuel J, Rosenman, Aubrey Williams e del comandante C. R. Thompson i quali hanno letto e controllato in tutto o in parte il manoscritto, il che naturalmente non li fa per nulla responsabili di quanto abbi scritto io.
Leon Henderson ebbe la bontà a Washington, di indire per me un convegno a casa sua che occupò otto ore del pomeriggio e della sera. Erano presenti Robert Kerr, intimo amico di Hopkins fin dai tempi del Grinnell College, Miss Jane Hoey e la Signora Frances Kelly che collaborarono con Hopkins nelle sue prime attività di assistenza sociale a New York e durante il New Deal, Aubrey Williams, Isador Lubin, Miss Ellen Woodwards, Howard Hunter, il colonnello Laurence Westbrook, i coniugi Arthur E. Goldschmidt e Henderson, tutti suoi collaboratori al programma d'assistenza. A questa riunione vennero prese molte note da Sidney Hyman e dalla mia segretaria miss Grace Murphy, che hanno costantemente lavorato con me dall'inizio al compimento di questo libro. Fu in seguito a questo convegno che mi indussi a far ricerche su taluni aspetti dell'attività di Hopkins che mi erano ignoti o quasi. Ebbi poi una lunga conversazione e uno scambio di lettere con la sorella di Hopkins, signora Adah Aimo e fui in corrispondenza con la prima moglie, signora Ethel Gross Hopkins e i suoi figli David e Robert; come anche con il fratello dottor Lewis Hopkins, col dottor John Nollen, ex presidente del Grinnell College, e col dottor Edward A. Steiner, uno dei più distinti insegnanti di quell'istituto. Ebbi un colloquio estremamente piacevole e che m'illuminò su molti punti, durante una colazione con il più tenace oppositore e compagno d'armi di Hopkins, Harold L. Ickes.
L'elenco di coloro coni quali ebbi uno o più colloqui e uno scambio di corrispondenza è lunghissimo. In alcuni casi Hyman li intervistò da solo. Vorrei dire una parola di ringraziamento singolarmente per quanti mi aiutarono, non perché avessero un qualsiasi tornaconto nel mio lavoro, ma semplicemente per il desiderio che la mia narrazione fosse il più possibile completa e accurata, ma sono costretto ad elencarli tutti insieme in ordine alfabetico:
Herbert Agar, Joseph Alsop, Paul Appleby, Frank Bane, Bernard M. Baruch, Lord Beaverbrook, la signora Anna Boettiger, Louis Brownlow, il generale J. H. Burns, dottor Vannevar Bush, Lord Cherwell, marchese Childs, Grenville Clark, Benjamin V. Cohen, dottor James B. Conant, comandante Granville Conway, Oscar Cox, Wayne Coy, dottor Samuel H. Cross, Joseph E. Davies, Chester Davis, Clarence Dykstra, Stephen Early, Morris Ernst, dottor Herbert Evatt, colonnello Philip R. Faymonville, Herbert Feis, giudice Jerome Frank, giudice Felix Frankfurter, dottor James R. Fulton, Richard V. Gilbert, dottor Jacob Goldberg, Philip Graham, Lord Halifax, Robert Hannegan, William D. Hassett, Frances Head, generale Sir Leslie Hollis, Hershel Johnson, John Kingsburry, Fiorello La Guardia, Thomas W. Lamont, dottor William Langer, Lord Layton, Lord Leathers, Walter Lippman, Sir Robert Bruce Lockhart, Oliver Lyttleltone, Archibald MacLeish, generale Robert McClure, dottor Ross McIntire, comandante D. C. McKinley, ammiraglio John McCrea, John E. Masten, Charles E. Merriman, dottor James Alexander Miller, Jean Monnet, Henry Morgenthau jr., Edward R. Morrow, Robert Nathan, David K. Niles, Robert P. Patterson, Frederik Polangin, Quentin Reynolds, Franklin D, Roosevelt jr., Elmo Roper, Beardsley Ruml, vescovo Bernard Sheil, ammiraglio Forrest Sherman, Victor Sholis, Harold Smith, ammiraglio
Harold R. Stark, Sir William Stephenson, Edward Stettinius, Robert Stevens, Raymond Swing, Herbert Bayard Swope, Myron C. Taylor, Dorothy Thomson, Rexford Tugwell, signora Edwin M. Watson, Sumner Welles, signora Wendell Willkie, generale Arthur Wilson, Ira Wolfert.
Ebbi anche una breve conversazione con Andrei Gromyko. Quando gli dissi che m'ero accinto a scrivere un volume basato sui documenti di Harry Hopkins e che avrei voluto consultare delle personalità sovietiche, mi rispose che il libro poteva e non poteva essere utile.
Un nome si nota per l'assenza dall'elenco: quello di Eleonor Roosevelt. La vidi una quantità di volte nel corso del mio lavoro e so che, se ne avessi richiesto l'aiuto, me lo avrebbe dato con la consueta incomparabile generosità, non mi riuscì di farle alcuna domanda, perché le sue memorie le appartengono e mi sentii riluttante ad invadere il campo.
Moltissimi altri con i quali parlai per caso mi furono d'aiuto e di guida, anche sconosciuti i quali, sapendo che un libro del genere era in corso, mi scrissero gentilmente sui contatti che avevano avuto con Hopkins. Naturalmente mi accinsi a leggere tutto quanto era stato pubblicato sull'epoca rooseveltiana e la seconda guerra mondiale e non è stata la parte più lieve del mio lavoro, dato che in certi periodi i volumi del genere sembravano uscire al ritmo dii uno al giorno. Senza dubbio tra i migliori – mentre sono in corso di pubblicazione le memorie di Eisenhower e di Churchill – furono secondo me “The Roosevelt I knew” di Frances Perkins e “On Active Service in Peace and War” di Henry L. Stimson e McGeorge Bundy. Vi sono poi altri libri che mi auguro siano accolti dai posteri con estrema diffidenza.
Debbo esprimere la mia gratitudine a Miss Phyllis Moir e alla signora Eva Marks che per un certo tempo lavorarono a New York a questo libro insieme a Hyman e me come pure ad Alex A. Whelan, che collaborò con me in Inghilterra nell'ultima fase del mio lavoro e a Sam Simson all'ammirevole personale dello Hart Stenographic Bureau di New York. La mia gratitudine va anche a Miss Lucy Mitchell, Victor Samrok, William Fields e agli altri della società per i diritti d'autore che mi sono stati di grande aiuto accordandomi un lungo congedo dalla mia abituale attività professionale. Quando cominciai a scrivere questo libro riflettei parecchio se, riferendomi ai vivi, dovessi citarne i nomi con i loro titoli abituali. Ma mi pare pesante, oltre che assurdo, scrivere qualcosa come << Roosevelt telegrafò quindi, a Mister Churchill >>, eccetera. Analogamente, ho evitato per quanto possibile i riferimenti ai mutamenti di grado, come per esempio: << il tenente colonnello (più tardi colonnello, generale di brigata, maggiore generale, tenente generale, e generale d'Armata) Dwight D. Eisenhower >>.
Decisi, quando detti inizio a questo lavoro, di cercare d'immergermi completamente nel clima di quel periodo, senza lasciarmi influenzare dagli eventi successivi. Sentivo che il mio giudizio su qualsiasi parte dei documenti stessi esaminando – per esempio, il disperato bisogni d'aiuti della Russia al momento della battaglia di Stalingrado – non doveva riflettere minimamente quel che mi capitava di leggere sui giornali del mattino. La cosa fu molto più facile di quel che mi aspettassi. Fu anzi per me,una gran risorsa quella di poter evadere da un presente tanto incomprensibile e angoscioso, per rifugiarmi in quei tempi in cui, come ha scritto Herbert Agar, << i gentiluomini nutrivano fiducia reciproca >>, quando << il bene e il male, l'oscurità e la luce,erano così grandi da superarci >>, quando << l'animo e la mente uscivano di sé, tanto che moltissimi oggigiorno negano che mai quella vita sia stata vissuta >>. Questo libro narra in parte la storia di quelle giornate e posso assicurare il lettore di non avere omesso nulla d'importante che fosse a mia conoscenza o che mi risultasse dai documenti del mio amico Harry Hopkins. Mi auguro che in avvenire anche altri documenti siano resi pubblici e la pubblicazione sarà tanto più utile quanto più sollecita, poiché racchiude insegnamenti che i popoli di tutto il mondo hanno bisogno d'apprendere al più presto.
Robert E. Sherwood.
http://www.slideshare.net/RareBooksnRecords/roosevelt-and-hopkinsanintimatehistoryrobertesherwood19481034pgsgovpol
Parte Prima
PRIMA DEL 1941: LA PREPARAZIONE DI HARRY HOPKINS