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MICHELE VESCHI – “Limiti 3X2”

In questo rito carnevalesco vigono estremi che perdono ogni distanza, quasi, si può dire, entrassero in risonanza tra loro. E mica aspetti da poco: divisioni come sacro e profano, della baldoria e della morte, accostamenti che, prendendo spunto dalla chimica, nel solo giorno del Carnevale si regalano tra loro molecole per diventare, assomigliare all’altro capo, che fino al giorno prima non riteneva nemmeno di potersi sfiorare con chi o cosa non le era degno.

Il rito del Carnevale come perno centrale aveva l’incoronazione del re da burla, che nell’arco della giornata viene per l’appunto incoronato, ma anche detronizzato entro il termine della festa. Ancora due contrapposti, così vicini tra loro. E di solito, dopo la deposizione, il re da burla viene decapitato. Viene decapitato in quanto essere unico, non sarà mai lo stesso, anche se dovesse essere incoronato l’anno successivo.

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Secondo Batchin è nella Roma antica e nel tardo Medioevo che vede la realizzazione della funzione del Carnevale. Rimanendo comunque vivida anche nel Rinascimento, tanto che l’atteggiamento della parodiadà i suoi frutti più succulenti: Erasmo, Cervantes, con la loro ricchezza di linguaggio in cui vengono a mescolarsi espressioni sublimi e plebee.

Nel tardo Medioevo il Carnevale si estendeva a giorni e giorni di fiera, vendemmie, persino sacre rappresentazioni, supportando di fatto in certe manifestazioni tutte le grandi feste ecclesiastiche. Sembra quasi che tale modello di Carnevale che ci arriva, al pari di un messaggio in una bottiglia, è quanto mai attuale, dove si spinge a sottomettere ogni valore alle esigenze della produzione. L’alternanza di “stili”, uno monoliticamente serio e l’altro carnevalesco, era dettata al tempo degli antichi carnevali in base al ciclo stagionaleagricolo. Sarebbe mai possibile, oggi, realizzare qualcosa di simile, come ad esempio in un tempo arcaico per le Olimpiadi, ossia alternanza tra cicli di produzione (frenetica?) e altri di festa, in cui quest’ultima si fa beffe delle differenze a tutti i livelli?

Siamo lontani soltanto se lo vogliamo, e non è una citazione da social, visto che si va confermando anche attraverso esperimenti scientifici: siamo co-creatori di quanto succede nel nostro pianeta e, di conseguenza, a noi stessi. E allora, perché non festeggiare ogni giorno, magari uno spaccato di giorno, un cantuccio che sia il nostro focolare cui riscaldare lo spirito portando gli angoli della bocca verso l’alto. Come farebbero il Cappellaio Matto e i suoi amici durante il giorno del “Non compleanno”.

Limiti 3x2 di MICHELE VESCHI

Per quel che potevo capire, non c’era tra loro alcun collegamento se non il tenue vincolo del succedersi nel

tempo. (P. CHAMPKIN)

Per quanto si possa girarci attorno, la comunicazione è un processo.

A volerne orientare quello che è il focus, possiamo dire che è il passaggio dal perché l’altro dice, o comunque vive una situazione data, al come la dice.

Facciamo un passo indietro, o meglio, all’interno di questo paradigma. Secondo lo psicologo Paul Watzlawick, il primo (dei suoi cinque) assiomi sulla comunicazione recita così: “Non è possibile non comunicare”. Ecco che viene spontaneo inserire nel nostro tutto quotidiano, un nostro tutto collettivo.

Dicevamo che la comunicazione è un processo. Ma che tipo di processo? Si può dire sia sistematico, in quanto le persone che ne sono coinvolte fanno parte appunto di un sistema che si influenza in maniera reciproca, circolare. Proprio il modello circolare fa a sua volta parte di una triade insieme al modello lineare, ossia quando due individui entrano in contatto (Emittente e Ricevente), andando a creare un invio del messaggio, il quale partirà dall’Emittente arrivando al Ricevente, per mezzo di un canale. In tale modello non possiamo ancora parlare di comunicazione, ma solo di una semplice trasmissione dell’informazione data. In quanto, prerogativa di questo modello primario, non è prevista alcuna risposta dal Ricevente. Ossia, in esso non potrà esserci nessuna interferenza comunicativa. Il secondo modello della comunicazione è appunto quello circolare, in cui tra Emittente e Ricevente viene inserito il concetto di feedbackda parte di quest’ultimo. Viene da sé che in questo caso si prende in esame anche una non comprensione, o solo una comprensione parziale dell’informazione avvenuta tra le due parti. E l’interferenza della comunicazione viene considerata parte integrante del modello. Così come per l’ultimo modello, quello ciclico. Esso non è altro che un numero di più cicli di comunicazione circolare, in cui Emittente e Ricevente si scambiano i ruoli. Ne risulta quello che è il terzo assioma della comunicazione di Watzlawick: la triade stimolo-risposta-rinforzo .

Ed ecco che il nostro processo di comunicazione diventa pragmatico, in quanto a contare sono gli effetti di quanto comunichiamo (Emittente), non le nostre intenzioni. Ossia a contare è quanto l’altro (Ricevente) recepisce e, di conseguenza, la risposta che si andrà a ricevere. Prendendo sempre spunto dalle parole di Watzlawick, posiamo dire che “Come comunicatori veniamo prima visti, poi sentiti e infine compresi”.

Stando alle percentuali di eminenti studiosi (in particolare dello psicologo Albert Mehrabian), oltre la metà, il 55%, della nostra comunicazione avviene mediante la cosiddetta comunicazione non verbale, ossia il linguaggio con cui vengono espresse le nostre emozioni, sentimenti e atteggiamenti, tutti registrati sotto una specifica postura da parte dell’Emittente l’informazione. Il 38% invece avviene per comunicazione para-verbale(che insieme alla non verbale compone la comunicazione analogica), vale a dire il ritmo, il volume, i silenzi della nostra comunicazione. Infine, il 7%, è rappresentato dalla comunicazione verbale, che da sola compone quella che è considerata la comunicazione logica. Quest’ultima tipologia è un pochino più lenta rispetto a quella analogica, in quanto quest’ultima è parte di un vero e proprio codice genetico, mentre la comunicazione logica va appresa nell’arco di una vita.

Ne scaturisce il terzo aspetto, o parametro, del processo, che è la comunicazione. Strategico: in quanto l’individuo che possiede una strategia tracciata, ha bisogno di obiettivi chiari per raggiungerli con maggiore efficacia. Ecco che attraverso il logos (parola) diviene una concausa di quanto affermiamo, e nemmeno quella principale, ma solo, lo andiamo a ripetere, il 7%. Vale per tutto e, a maggior ragione, per le arti considerate figliole predilette da chi si esprime attraverso

loro, ossia gli artisti. E dove possiamo trovarne, se non nei miti, in letteratura, in arte?

Tutti questi ambiti potremmo racchiuderli in uno più grande, un maxi insieme che riguarda tutti noi: il tempo. Sia se abbiamo davanti una tela, una struttura narrativa o un oracolo, possiamo delimitarlo in un lasso temporale in cui poterlo giostrare, più o meno, a nostro piacimento. E qui casca l’asino. O meglio, l’asino, prima di cadere, potrebbe essere entrato in risonanza con un altro corpo che ne ha appunto provocato la caduta. Cos’è il fenomeno della risonanza? Accade quando due corpi, attraverso le loro onde interferiscono, entrando per l’appunto in risonanza.

Esulando dall’asino, per fare un esempio concreto: se un battaglione di soldati batte il proprio passo mentre si trova sopra un ponte, tale passo, entrando in risonanza con il materiale (o i materiali) con cui è stato costruito il ponte, potrebbe far crollare lo stesso ponte, con le conseguenze che si possono immaginare. E visto che non siamo qui per essere menagramo, alle conseguenze non ci pensiamo. E, dunque, per il medesimo motivo ne prendiamo le distanze. Entrando così in conflitto con esse. Ricordate l’interferenza della comunicazione? Il conflitto, per definizione, è uno scontro tra due o più persone, e può delinearsi all’interno degli ambiti più disparati: da quello di coppia, al professionale o magari tra individuo e società (di cui l’individuo stesso è parte). Ma anche tra generazioni. E qui ci sarebbe da aprire una parentesi sul senso di colpa, quell’infingardo che sembra si sviluppi in noi nel ventaglio che va dai tre ai cinque anni. La parola conflitto ha origine latina conflictus (urto) ed è a sua volta composta da cum e fligere, ossia urtare una cosa con un’altra, producendo, come nel caso della risonanza, uno scontro. Ma si era detto che lo scontro, il conflitto, può riguardare ogni ambito. Dunque, vale anche per la letteratura, l’arte, e sì, anche il mito. Senza scomodare Freud, occorre una specifica, una di quelle postille che tutti guardano ma nessuno vede: il conflitto, prima di tutto, ha una valenza individuale, ossia parte da noi stessi, dal nostro interiore. E siamo sempre nella sfera emozionale, dove per darci un tono, una spinta, una motivazione dobbiamo passare per le nostre passioni, coadiuvato poi dalla volontà. È quest’ultima a tradurre in moto tutta, o comunque gran parte, dell’energia che mettiamo con la nostra passione. Saranno loro due, in un costante quanto sottile equilibrio a far perdurare nel tempo una tela, un libro o una leggenda che porta le stelline nei nostri occhi, affascinando ogni nostro desiderio, caricando del suo sale le nostre attitudini e comportamenti. Spesso però non basta, o meglio, volendo possiamo guarnire il tutto con la più classica delle ciliegine. Ma prima della guarnizione va fatta la torta.

Se si vuole un modello riguardo le competenze (la nostra torta), non baderemo a spese, facendola di ben quattro strati.

Incompetenza inconscia: le cui caratteristiche sono basso livello di performancee una totale mancanza di consapevolezza.

Incompetenza conscia: performance sempre bassa, ma essendoci invece la consapevolezza abbiamo (o avremo) modo di trovare i punti deboli e le conseguenti aree di

miglioramento (ecco che i nostri limiti, venendo a galla, ci permettono di trasformarli, attraverso la consapevolezza, in elementi supportivi).

Competenza conscia: qui, nel nostro terzo strato di torta, abbiamo una performance migliorata e stiamo lavorando per migliorare, per rafforzare le nostre competenze e le capacità (comprese le caratteriali).

Competenza inconscia: nel nostro ultimo strato, quello prima della ciliegina, il nostro livello di performance (e questa non è intesa solo per gli sport, ma per ogni passo che facciamo nella nostra esistenza) va da solo, ossia si autocontrolla in modo automatico. E, di conseguenza, non è più necessario un controllo cosciente.

Ed eccoci alla ciliegina. Geoff Colvin ha sostenuto che «Le differenze tra coloro che realizzano performance specialistiche e gli adulti normali sono il risultato di un periodo, lungo tutta la vita, di impegno volontario per migliorare la performance in un campo specifico». Uno dei più autorevoli giornalisti economici americani getta di fatto l’ancora, o la ciliegina, per quello che viene definito l’esercizio intenzionale. Che, giusto per intenderci, ha tra le sue caratteristiche di non essere, per propria natura, piacevole. È anche di più: mentalmente molto impegnativo, ma di suo, e qui di ciliegine ce ne è da farne un sacco pieno, mette a disposizione la possibilità di risultati (attraverso feedback) costantemente disponibili; può essere ripetuto a lungo ed è, ciliegina delle ciliegine, progettato per migliorare la prestazione. C’è poca speranza per i limiti, a meno che non insistiamo nel comprarli dalle nostre stesse convinzioni, le quali spesso li mettono in offerta 3x2.

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