SCENARI D’USO DELLA TECNOLOGIA MULTI-TOCCO A SUPPORTO DEI METODI DI PARTICIPATORY DESIGN

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TRENTO

FACOLTÀ DI SOCIOLOGIA CORSO DI LAUREA IN:

LAVORO ORGANIZZAZIONE E SISTEMI INFORMATIVI

TITOLO:

SCENARI D’USO DELLA TECNOLOGIA MULTI-TOCCO A SUPPORTO DEI METODI DI PARTICIPATORY DESIGN

RELATORE:!

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LAUREANDO:

dott. Gian Marco Campagnolo!!

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Roberto Cricrì

CORRELATORI: prof. Vincenzo D’Andrea prof. Giolo Fele A.A. 2007/08


A Elisa e Matteo, che mi hanno indicato la strada.


Sommario

Premessa metodologica

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Capitolo 1 Il caso “laboratorio bandi on-line” 1.1 I workshop

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Primo incontro: “pratiche di lavoro”

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Secondo incontro: “tender configurator”

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Terzo incontro: “tender configurator e il metodo XO+?”

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Quarto incontro: “scacco in tre mosse - i bisogni dei beneficiari”

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Quinto incontro: “progettazione del nuovo configuratore”

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Sesto incontro: “prende forma il nuovo configuratore dei bandi”

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Conclusione

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Capitolo 2 Contributo originale

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2.1 Istanze emerse dal caso di studio

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2.2 Domanda di ricerca

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2.3 Uno sguardo alle interazioni con il multi-touch

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Capitolo 3 Analisi dei workshop

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Workshop “XO+?” del “tender configurator”

49

Workshop “paper prototyping” del nuovo “configuratore bandi”

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Workshop “XO+?” di “scacco in tre mosse”

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Il ruolo del multi-touch

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3.1 Categorie forti del multi-touch

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Comunione

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Traduzione

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Destinazione

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Stoccaggio della memoria

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Affordance e “categorie forti”

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Capitolo 4 Scenari d’uso

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Scenario 1 - Il co-design degli ipertesti

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Scenario 2 - Il brainstorming multi-touch

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Scenario 3 - Urbanistica multi-touch

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Capitolo 5 Quadro teorico interpretativo 5.1 Human-Computer Interaction

83 84

Il multi-touch come sottocategoria degli ambienti TUI

5.2 Collaborative creativity

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88

Tecnologia in uso

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“Symmetry of ignorance” e “boundary object”

90

5.3 Una discussione del Participatory Design alla luce degli scenari Multi-touch, “boundary object” e “terzo spazio”

93 95

Conclusione

98

Bibliografia

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Indice delle figure

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Premessa metodologica

Sono venuto a conoscenza del caso “laboratorio bandi on-line” durante il mio ultimo anno di specializzazione in Sociologia, nel periodo in cui ho sostenuto il tirocinio presso la “eTour s.r.l.”. Questa azienda utilizza e promuove l’approccio partecipato di origine scandinava - il Participatory Design - nei servizi rivolti ai propri clienti, in modo particolare nella progettazione dei sistemi informativi. Tra le varie e differenti attività che svolge (e che riguardano principalmente l’informatica e il turismo), è nata nel 2008 la collaborazione con l’ente pubblico Binarius. L’obiettivo: accompagnare il percorso di cambiamento organizzativo messo in essere dalla società, costituendo la figura del facilitatore per sostenere e promuovere il lavoro dei partecipanti durante le sessioni di progettazione partecipata. Quando ho espresso il desiderio di approfondire il caso perché di interesse per la mia tesi, mi è stata dimostrata molta disponibilità e libertà di azione, facilitando così il mio accesso al campo. Il motivo per cui non ho partecipato a tutti gli incontri è semplice da chiarire. Il mio inserimento in “eTour s.r.l.” è avvenuto successivamente alla nascita del progetto qui citato. Nel frattempo, man mano che il rapporto tra il sottoscritto e l’azienda si consolidava, sono stato dapprima messo a conoscenza del caso, e in un secondo momento mi è stata concessa l’opportunità di parteciparvi come osservatore. In quella singola occasione non fu effettuato alcun workshop di progettazione partecipata; ciononostante quella si rivelò un’occasione comunque utile, soprattutto perché potei osservare di persona il tipo di organizzazione che avrei successivamente studiato.

Nel corso degli incontri del “laboratorio bandi on-line” è stata prodotta una grande e varia mole di materiali, raccolti essenzialmente per scopi legati alle finalità del progetto. Tali materiali rispondono alla necessità di memorizzare i contributi (siano essi verbali o materiali)

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emersi durante le sessioni di lavoro. Una volta che mi sono stati messi a disposizione, essi hanno rappresentato una fonte ricca e articolata per indagare il caso di studio. Nella tesi che presenterò nel corso delle prossime pagine, ho scelto quindi di proporne un’analisi. Essi sono composti da: • i filmati dei workshop; • le foto scattate durante le sessioni; • i report di ogni incontro e • le tracce materiali (gli artefatti prodotti dagli attori organizzativi: le interfacce di cartone, le stampe delle videate del “tender configurator”, di “scacco in tre mosse”, le mappe costruite collettivamente, eccetera).

Ho fatto soprattutto uso dei filmati, in quanto il mio obiettivo è stato quello di osservare i movimenti corporei dei partecipanti intorno a un “centro di reciproca interazione” sul quale convergessero gesti e parole. Ogni metodologo potrà (giustamente) obiettare che anche solo la semplice posizione della telecamera può già determinare una specifica selezione della realtà studiata. A tale merito, anche Charles Goodwin (2003) ha sottolineato che le immagini con suono sono già una prima analisi, il prodotto conscio e inconscio delle scelte ad opera di chi ha in mano la telecamera. Scelte che determinano la ripresa di certi movimenti, personaggi, conversazioni e gesti, riducendo o cancellando il tempo a disposizione di altri, determinando così la mole di oggetti d’analisi a disposizione del ricercatore. Ma questi materiali, ai quali ribadisco di non aver concorso personalmente alla rilevazione, non sono stati rielaborati per nessun altro scopo se non quello di memorizzare lo svolgimento e l’avanzamento dei lavori del gruppo. Nei filmati e negli altri materiali non sono presenti “concetti di secondo livello”, cioè interpretazioni delle interpretazioni ad opera di ricercatori. Bensì, così come in un reportage giornalistico, i materiali sono stati raccolti per arricchire il lavoro dei redattori di Binarius, cioè allo scopo di condurne l’innovazione organizzativa e non certo di fornire materiale per un’analisi etnografica dell’organizzazione. Si tratteranno in questa tesi solo “concetti di primo livello”, appartenenti ai soggetti che hanno operano quotidianamente nell’organizzazione (Strati, 2004).

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Il fatto che i documenti provengano da una serie di incontri già in corso e che siano indipendenti dalla mia azione comporta il vantaggio di poter disporre di informazioni non reattive, cioè che non risentono degli effetti distorcenti che derivano dalle interazioni tra il ricercatore e i soggetti studiati (Corbetta, 1999). Il disegno della ricerca qui adottato, prevede innanzitutto un’analisi di secondo livello del materiale empirico, dei materiali creati e raccolti durante le sessioni del laboratorio bandionline. L’analisi sarà qualitativa, cioè rivolta a mettere in risalto le interpretazioni degli attori organizzativi, le sfumature e soprattutto i significati legati ai modi in cui gli utenti hanno lavorato nel corso dei workshop.

La struttura del racconto nel primo capitolo del caso di studio, e la scelta del materiale selezionato per l’analisi che sarà presentata nel terzo capitolo, derivano entrambe da una scelta arbitraria da parte di chi scrive. Quello qui presentato è infatti uno studio di caso, il quale è stato utilizzato per verificare o non verificare un’ipotesi, cioè per argomentarla. Pertanto non si offriranno in questa sede delle conclusioni relative allo stato generale dell’oggetto di studio, e nemmeno alle forze che determinano il fenomeno in generale (Strati, 2004). Inoltre è mio desiderio chiarire che questa proposta di tesi non è né una ricerca etnografica, né un’analisi organizzativa e nemmeno uno studio della prossemica delle azioni (anche se quest’ultima disciplina è stata importante per definire i contorni delle interazioni analizzate - Hall, 1972). Ciò che con così tanti “non” si vuole sottolineare, è che l’attenzione sarà espressamente rivolta a “come” gli attori hanno collaborato in piccoli gruppi durante i workshop di progettazione partecipata, cioè ai modi in cui hanno coordinato i gesti e le parole e hanno dato un ordine specifico alle interazioni.

Nell’elaborato si propone un’osservazione della tecnologia multi-touch, considerando la come possibile strumento di innovazione nei metodi di progettazione partecipata dei sistemi informativi. Orientandolo verso l’approccio partecipato alla progettazione, ancor più che un semplice strumento, il multi-touch può diventare un iper-strumento - un hyper-tool - nelle mani dei designer e degli utenti finali. Un “boundary object” che permette a mondi eterogenei di comunicare chiaramente ed efficacemente. Un oggetto che grazie alle proprietà innovative 8


che lo differenziano dagli altri device tecnologici, pone dei nuovi interrogativi circa l’uso delle tecnologie per sostenere e promuovere la creatività e la collaborazione nei metodi del Participatory Design. Il multi-touch infatti oltrepassa la tipica interazione uomo-computer mediata da mouse e tastiere, permettendo una parziale digitalizzazione della gestualità umana. Nuove proprietà e applicazioni del multi-touch sono sviluppate giorno dopo giorno e molti usi sono tuttora inesplorati. Il quesito fondamentale al quale questa ricerca si propone di rispondere è così riassumibile:

è possibile creare nuove forme di interazione supportate dalla tecnologia, allo scopo di promuovere e accrescere la creatività e la collaborazione durante le pratiche (metodi e tecniche) di Participatory Design?

Nel terzo capitolo si indagheranno perciò le pratiche partecipate, collaborative e in piccoli gruppi degli attori organizzativi, allo scopo di definire le “categorie forti” del multi-touch che derivano dall’analisi del materiale raccolto durante i workshop di progettazione partecipate. Nel quarto capitolo le “categorie forti” costituiranno la base per la creazione degli scenari d’uso del multi-touch. Gli scenari illustreranno degli usi ipotetici - “as if” - del multi-touch, creati per mezzo dell’immaginazione ma al contempo legati indissolubilmente alle pratiche situate rilevate nel caso. Nel quinto e ultimo capitolo i contributi qui presentati verranno ricondotti entro un quadro interpretativo di riferimenti teorici legati al filone dello Human-Computer Interaction e del Participatory Design.

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Capitolo 1 Il caso “laboratorio bandi on-line”

Il caso qui presentato riguarda l’esperienza, tuttora in corso, di un ente pubblico locale che si occupa della ricezione, preparazione e pubblicazione di bandi. Nel 2008 questa istituzione, a cui d’ora in avanti mi riferirò col nome di Binarius, ha avviato un processo di riorganizzazione e di innovazione del lavoro. È emerso nell’organizzazione il bisogno di un nuovo approccio al lavoro, in grado di: • collegare i bisogni dei fruitori finali (le imprese ad esempio) alla produzione dei bandi; • definire nuovi strumenti di lavoro; • sviluppare un’organizzazione efficiente del lavoro; • rafforzare l’insieme delle competenze. Tradizionalmente ogni ufficio divisionale (direzione industria, direzione commercio, direzione sport, ecc.) ha utilizzato diverse modalità di produzione dei bandi, adottando talvolta procedure e strumenti differenti nella programmazione. Così, nel quotidiano svolgersi del lavoro, si sono moltiplicati (e consolidati) i modi di lavorare, gli strumenti e le competenze specifiche di ogni ufficio. Questa differenziazione ha determinato, nelle attività dell’ente, una ridondanza delle procedure e delle competenze, rendendole difficilmente trasferibili e interscambiabili tra gli uffici. Proprio il tracciarsi di questi diversi processi di produzione dei bandi, ha fatto emergere nella dirigenza di Binarius il bisogno di un’azione di mutuo riconoscimento delle competenze, delle procedure e degli strumenti adottati.

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La strategia su come condurre il processo di riorganizzazione e di innovazione del lavoro ha preso forma con l’entrata in scena di “eTour s.r.l.”: una società specializzata nel campo delle ICT, promotrice di un approccio partecipato alla conduzione del processo di mutamento organizzativo e tecnologico. La sfida proposta da “eTour s.r.l.” è stata di motivare e di orientare alla partecipazione i lavoratori nelle fasi di progettazione del cambiamento. L’interesse: far sì che fossero i diretti interessati alla preparazione dei bandi (i redattori), a intervenire creativamente e operativamente sulle attività quotidiane e sugli strumenti del cambiamento. Tale interesse ha portato infine alla creazione del “laboratorio bandi on-line”, in cui un gruppo pilota di 18 lavoratori provenienti da tutti gli uffici direzionali, ha assunto la guida del processo di innovazione organizzativa. Il gruppo ha ridefinito la figura del progettista di bandi, gli strumenti con cui opera e le sue competenze, dando così avvio a una più generale riorganizzazione del lavoro all’interno di Binarius. È stata centrale dunque la decisione del gruppo di seguire un percorso di reciproco apprendimento, così da poter soddisfare il bisogno di riflessività imposto dalla riorganizzazione del lavoro. Un facilitatore - proveniente da “eTour s.r.l.” - ha affiancato il gruppo per promuovere e consolidare la comunicazione e la fiducia tra i membri, con il compito specifico di indirizzare il lavoro verso sessioni collaborative e partecipate di progettazione, e senza entrare nel merito dei contenuti delle pratiche di lavoro. Lungi dunque dal giudicare gli esiti emersi durante le sessioni, il facilitatore si è limitato a presentare al gruppo delle modalità di lavoro collaborative che appartengono ai metodi e alle tecniche del Participatory Design.

1.1 I workshop Gli incontri qui riportati del “laboratorio bandi on-line”, comprendono un periodo di circa sei mesi, nei quali sono stati organizzati i workshop basati su metodi e tecniche del Participatory Design. Attraverso questo approccio si è voluto sostenere e sviluppare una progettazione che 11


ponesse al centro il lavoratore di Binarius: uno user-centred design volto all’analisi riflessiva dell’organizzazione e alla progettazione e all’implementazione dei risultati entro artefatti concettuali e cartacei.

Primo incontro: “pratiche di lavoro”

Il primo incontro ha avuto senz’altro l’importante responsabilità di costituire nei fatti il gruppo. Tradizionalmente, durante la riorganizzazione del lavoro all’interno di un’azienda pubblica o privata, i lavoratori apprendono passivamente le conseguenze che derivano da tale processo. In questo caso, invece, averli fatti divenire il perno centrale dell’innovazione, ha reso necessario esplicitare il ruolo e la funzione al gruppo, per aiutarli a comprenderne gli obiettivi e la responsabilità di cui è stato investito. La responsabilità del successo dell’iniziativa non è stata legata, quindi, a un metodo rodato e tendenzialmente efficace, né tanto meno alle competenze di un consulente esperto. Piuttosto sono state la fiducia e la collaborazione tra i membri gli elementi fondamentali affinché il laboratorio potesse lavorare efficientemente e con incisività.

figura 1 - mappa cognitiva costruita collettivamente nella fase di brainstorming

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Innanzitutto, il gruppo ha proceduto a riconsiderare la figura professionale del progettista di bandi, plasmando collettivamente una mappa concettuale durante una fase di brainstorming, che chiarisse e affermasse “cosa comporta lavorare ad un bando” durante le attività pratiche quotidiane (figura 1). Nell’artefatto sono rappresentate parallelamente due visioni che differiscono a causa della prospettiva all’origine dei soggetti interrogati. In questa fase è stata coinvolta in via del tutto eccezionale la direzione, così da arricchire con un giudizio ulteriore la visione di ciò che comporta lavorare ad un bando.

figura 2 - voci principali del punto di vista della direzione

Nella sezione sinistra (figura 2) è stato raccolto il punto di vista della direzione, che ha plasmato una mappa con una prospettiva più “macro”: più vicina cioè alle attività di pianificazione dei bandi, che alla loro redazione.

Nella figura 3 è invece possibile osservare l’esito del confronto tra i soli redattori. In questa mappa i membri del laboratorio hanno inserito la loro conoscenza esperta, esplicitandola e formalizzandola così da poterla condividere con l’intero gruppo. È questo il livello operativo, più vicino cioè alla produzione concreta dei bandi pubblicati da Binarius. Il confronto delle due prospettive, effettuate entrambe sulle medesime attività di produzione dei bandi, ha chiarito ai partecipanti l’importanza di centrare sugli utenti finali l’approccio alla progettazione del cambiamento.

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figura 3 - voci principali del punto di vista dei redattori

Al termine dell’incontro, il gruppo ha infine stabilito operativamente l’obiettivo del “laboratorio bandi on-line”: dotarsi di un nuovo sistema informativo che, sulla base di quanto emerso precedentemente, incorpori la conoscenza legata al lavoro quotidiano di redazione dei bandi. Per il nuovo sistema è stata scelto di utilizzare un ipertesto, in grado di accompagnare step-by-step tutte le fasi di produzione dei bandi: dalla definizione degli obiettivi e il recupero delle informazioni preliminari (bandi precedenti, normative e regolamenti di riferimento), fino alla definitiva pubblicazione.

Secondo incontro: “tender configurator”

Durante il secondo incontro è stato presentato al gruppo il sistema informativo “tender configurator”, prodotto da un ente esterno specializzato nella creazione di sistemi informatici. Questo software è stato sviluppato precedentemente alla nascita del laboratorio bandi on-line, e rappresenta la soluzione informatica ottenuta attraverso un lineare processo tecnico-

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scientifico di progettazione, durante il quale la nuova tecnologia è stata ideata e realizzata senza averla precedentemente calata e provata nel contesto di lavoro.

Terzo incontro: “tender configurator e il metodo XO+?”

I primi due incontri hanno avuto l’obiettivo di creare “nei fatti” il gruppo “laboratorio bandi on-line”, nei quali sono stati chiariti e contestualizzati gli scopi e le modalità di lavoro del progetto. Durante quelle sessioni il gruppo ha subito così una trasformazione: da mero aggregato di individui che popolano la medesima organizzazione, a un insieme articolato e complesso, in grado di lavorare in maniera collaborativa per raggiungere i medesimi obiettivi.

figura 4 - il simulatore cartaceo, posizionato sulla parete dell’aula, orienta gli utenti durante la navigazione del “tender configurator”

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Questo è stato e ha continuato a essere possibile grazie alla fiducia che è andata crescendo nel corso del tempo: fiducia sia nelle relazioni reciproche tra i membri, sia nei confronti delle modalità di lavoro del laboratorio. Nel terzo incontro le attività hanno acquisito una maggiore operatività. I lavoratori sono stati suddivisi in gruppi da tre a cinque persone, assegnando a ognuno un colore specifico di post-it (blu, verde, giallo, rosa). I gruppi hanno mantenuto gli stessi componenti fino quasi al termine del “laboratorio bandi on-line”.

Il workshop è cominciato con l’animazione di un confronto, durante il quale i partecipanti hanno condiviso i giudizi riguardo il software “tender configurator”, il sistema informativo presentatogli nell’incontro precedente. A tal scopo sono stati forniti a ognuno i già citati postit, oltre a forbici, colla e alle stampe cartacee raffiguranti le schermate più significative dell’intero sistema. I partecipanti hanno trascritto le proprie riflessioni sviluppatesi durante il confronto, appuntandole direttamente sull’interfaccia del software. Il lavoro di analisi delle schermate è stato agevolato da un simulatore cartaceo preparato precedentemente e predisposto sulla parete dell’aula (figura 4). In questo modo i partecipanti hanno avuto costantemente a disposizione una mappa statica della struttura di “tender configurator”, che li ha aiutati a orientarsi durante la sessione.

Il simulatore cartaceo ha offerto ai redattori (privi di competenze specifiche nell’analisi o nella progettazione di ipertesti) una rappresentazione lineare e consequenziale della struttura, mantenendone comunque l’ordine gerarchico e funzionale delle sezioni che la compongono. Lo scopo del workshop è stato quello di far animare creativamente dagli stessi partecipanti, uno scenario ancorato a un caso concreto, e che emergesse dall’attivazione della conoscenza distribuita nell’organizzazione.

Un arena, quindi, per il confronto dialettico nella quale mettere in risalto: • le ipotesi d’uso dell’interfaccia del software e • i giudizi sulla compatibilità del sistema con le pratiche di lavoro dell’organizzazione.

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Gli utenti hanno collaborato animando creativamente il workshop, dando forma e senso all’esperienza d’uso del software e senza l’ausilio di alcuna spiegazione o informazione aggiuntiva proveniente dall’esterno. Al laboratorio è stato proposto il “metodo XO+?”, una variante adattata al caso del “metodo XO” (Foster et al., 2008), per la riprogettazione dell’interfaccia del “tender configurator”.

I partecipanti hanno collaborato in piccoli gruppi al confronto e all’analisi delle schermate, coordinando gesti e discorsi, e arricchendo la riflessione sui propri bisogni concreti. Le figure 5, 6 e 7 mostrano le attività collaborative e prossemiche svoltesi durante lo svolgimento del compito. In questa fase ogni membro si è attivato per condividere con gli altri partecipanti i propri giudizi riguardo l’oggetto di analisi; accompagnando le consuete pratiche dialettiche con la creazione e la manipolazione di artefatti in grado di incorporare e memorizzare gli esiti emersi durante il confronto. figure 5, 6 e 7 - workshop XO+? del “tender configurator”

Sulle stampe (i blow-up) messe a disposizione, i lavoratori hanno contrassegnato con un cerchio

“O” i punti ritenuti più importanti e più chiari dell’interfaccia, e hanno sbarrato con un segno “X” gli elementi ritenuti superflui e fuori posto, annotando a margine o su post-it la spiegazione di tale giudizio. Sono state inoltre identificate con un punto interrogativo (“?”) le parti non chiare; e sono state infine proposte delle modifiche con l’aggiunta (“+”) di nuovi

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fogli e post-it sull’interfaccia (figure 8, 9 e 10). La figura 11 (ingrandimento della figura “10”) illustra questo passo del workshop. L’aggiunta di una nota adesiva (il colore rosa contraddistingue il sottogruppo che ha prodotto questa pagina) con la dicitura «modificare la label da “descrizione” con “denominazione”» è l’effetto dovuto all’incontro tra le differenti esperienze e competenze professionali dei creatori del sistema informativo, da una parte, e i redattori dei bandi, dall’altra. Alla dicitura «FESR Fondo Europeo Sviluppo Regionale, [...]» è assegnato un significato distinto se a farne uso sono i primi o i secondi.

Gli informatici l’hanno qualificata come la dicitura del campo, che ha lo scopo di descrivere in maniera più articolata il codice (univoco) riferito al fondo. «DESCRIZIONE» chiarisce allora un campo all’interno di un database, e nulla più. Per i redattori, invece, l’importanza del codice univoco del bando ha un’importanza

figure 8, 9 e 10 - manipolazione dei blow-up durante il workshop XO+?

minore; per questo hanno segnato nella relativa colonna il dubbio emerso con la dicitura «è utile visualizzarlo?». Il processo

di produzione dei bandi segue logiche differenti da quelle dell’architettura di un database, e pertanto ciò che per gli informatici è una dovuta, benché secondaria, chiarificazione, per i redattori ha un’importanza primaria nello svolgimento del proprio lavoro.

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I gruppi hanno successivamente condiviso in aula i propri giudizi e pareri durante una specifica fase di restituzione collettiva. Tutti gli artefatti prodotti durante il workshop incorporano e raccontano, nelle dovute varianti, la distanza tra le due professioni. Lavorando in piccoli gruppi, in grado di formalizzare e sedimentare le narrazioni delle opinioni personali e di collaborare sincronicamente sui blow-up, è stato dunque possibile ottenere dei risultati originali durante tale fase di riprogettazione dell’interfaccia del “tender configurator”.

figura 11 - dettaglio figura 10

Quarto incontro: “scacco in tre mosse - i bisogni dei beneficiari”

Coerentemente all’obiettivo del laboratorio di avvicinare il linguaggio e le modalità di fruizione dei bandi ai bisogni dei beneficiari, e date le ottime capacità dimostrate dai membri 19


di lavorare in gruppo (svolgendovi attività creative e collaborative) si è potuto procedere al passo successivo. È stata pertanto inclusa nelle attività del laboratorio anche la progettazione del sistema dedicato alla comunicazione esterna, in special modo indirizzata al pubblico dei fruitori dei bandi. L’incontro è stato suddiviso in tre fasi: 1. ricerca dei bisogni dei beneficiari; 2. presentazione introduttiva del sistema informativo “scacco in tre mosse”; 3. “workshop XO+?” di re-design dell’interfaccia di “scacco in tre mosse”.

figura 12 - gli stakeholder di Binarius

Fase 1 Nella prima fase i membri hanno collaborato attivamente alla costruzione di una mappa concettuale in cui sono stati raccolti e ordinati gli stakeholder di Binarius. Attraverso un brainstorming sono stati identificati sia i beneficiari (imprese, cittadini, altri enti) sia gli 20


intermediari (associazioni, professionisti, media, eccetera) che entrano in gioco durante l’intero processo di creazione, comunicazione e fruizione dei bandi. La figura 12 illustra quanto articolato e approfondito sia stato il lavoro collaborativo di questa fase, nella quale sono stati inseriti non solo i soggetti principali, bensì l’intero insieme di enti e attori interessanti anche solo parzialmente o di riflesso dalle attività dell’organizzazione. La mappa è stata creata allo scopo di raccogliere e elencare gli stakeholder, ma durante la sua modellazione i partecipanti hanno proceduto autonomamente all’inserimento di un ulteriore livello di complessità. Immaginando di porsi nei panni degli “utenti finali”, essi hanno arricchito le corrispettive voci in elenco inserendovi i bisogni e le possibili domande di tali utenti (figura 13, 14). Attingendo alla propria esperienza di redattori, quale sorgente di conoscenza nei confronti di tali soggetti, i lavoratori di Binarius hanno elevato la progettazione a un livello successivo, ponendo al centro della progettazione i bisogni dei fruitori dei bandi.

figura 13 - dettaglio “impresa”

figura 14 - dettaglio “cittadino”

Fase 2 Così come è successo nell’incontro precedente con il “tender configurator”, in questa seconda fase è stato introdotto un sistema informativo, anch’esso preesistente alla creazione del laboratorio bandi on-line. “Scacco in tre mosse” è il sito web utilizzato per la comunicazione dei bandi al pubblico dei fruitori. Tramite questo portale gli utenti finali possono accedere ai bandi pubblicati on-line da Binarius, e scegliere all’interno della lista quelli a loro rivolti.

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Fase 3

Anche nella terza fase si è fatto riferimento al lavoro effettuato nell’incontro precedente. Si è passati alla rielaborazione dell’interfaccia di “scacco in tre mosse” riproponendo al gruppo il “metodo XO+?”: ai membri, suddivisi nuovamente nei medesimi sottogruppi, sono state fornite delle stampe rappresentanti gli screenshot principali del sistema informativo. In questa occasione però, a differenza della precedente, è stata data l’opportunità agli attori di “esplorare” il sistema informativo, cioè di navigarlo direttamente a schermo. In questo modo nelle pratiche di re-design partecipato è stato aggiunto uno spazio virtuale di confronto tra i membri. Uno spazio raffigurante, insieme ai blow-up cartacei, l’oggetto di analisi del workshop (figura 15 e 16). Non solo le persone sono state quindi gli attori centrali delle pratiche di progettazione partecipata, bensì un soggetto complesso e ibrido fatto di umanità e materialità.

figure 15 e 16 - workshop XO+? di “scacco in tre mosse”

Lo schermo del computer permette agli utenti di effettuare una simulazione dell’uso di “scacco in tre mosse”. Nel confrontarsi dialetticamente in riferimento alle immagini trasmesse dallo schermo, le parole degli attori ne sono legate in modo indessicale, cioè si arricchiscono di un potere che va al di là della mera identificazione e descrizione delle proprietà del sistema informativo, ma diventano lo strumento per cui esso è valutato e riprodotto (Goodwin, 2003).

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Parallelamente gli attori hanno manipolato i fogli raffiguranti gli screenshot di “scacco in tre mosse”: • cerchiando gli elementi dell’interfaccia risultati chiari e importanti; • segnando con una “X” gli elementi fuori posto o inutili; • segnando con un “?” le parti incomprensibili; • appuntando a margine o su post-it note e commenti (anche in questo caso il colore rappresenta il gruppo di appartenenza); • aggiungendo delle intere pagine. Il lavoro collaborativo dei sottogruppi ha permesso non solo di lavorare sui blow-up considerandoli rappresentazioni statiche del sistema, bensì ha animato la creatività degli attori portandoli a riconfigurare la sequenza delle pagine navigabili. Le figure 17 e 18 illustrano il mock-up finale realizzato da uno dei gruppi, nel quale è ben chiara la sequenzialità delle pagine che compongono la struttura dell’ipertesto. Ogni pagina riproposta incorpora le modifiche derivate dal “metodo XO+?” che riguardano sia valutazioni descrittive e di etichettamento, sia valutazioni di merito sull’appropriatezza dei campi visualizzati. La pagina di colore rosa è invece un’aggiunta creata ad hoc dal gruppo, collocata in una specifica fase del processo di navigazione del nuovo “scacco in tre mosse”.

figure 17 e 18 - mock-up finale

I risultati emersi dal lavoro dei “workshop XO+?” del “tender configurator” (terzo incontro) e di “scacco in tre mosse” (quarto incontro) sono stati oggetto di alcune riflessione da parte del 23


gruppo. Ne è emersa l’esigenza di integrare in un unico prodotto sia il sistema dedicato alla configurazione dei bandi sia quello per la loro pubblicazione. In un incontro intermedio sono stati presentati alla dirigenza di Binarius i risultati raggiunti dal laboratorio, insieme alla proposta di integrare i due sistemi. I dirigenti hanno confermato la fiducia riposta nel laboratorio e il ruolo centrale degli utenti nel processo di innovazione organizzativa. Negli incontri successivi l’obiettivo del laboratorio bandi on-line è stato quindi quello di progettare un «sistema integrato per la redazione e la pubblicazione dei bandi».

Quinto incontro: “progettazione del nuovo configuratore”

Il laboratorio si è concentrato dapprima sulla sola fase di progettazione del configuratore, posticipando il lavoro legato alla pubblicazione dei bandi in un momento successivo. Lo scopo del quinto incontro è stato quindi di progettare la nuova interfaccia del “configuratore bandi on-line” utilizzando il metodo del “paper prototyping”. In questo caso, diversamente dalle volte precedenti, i membri non hanno avuto a disposizione alcuna traccia né alcun esempio che li guidasse nel percorso creativo di progettazione; dunque senza l’ausilio di altri sistemi informativi sotto forma di stampe cartacee e rappresentazioni su schermo. Gli utenti hanno fatto ricorso innanzitutto alla propria conoscenza esperta di redattori di bandi e, successivamente, hanno animato la sessione sfruttando le capacità di lavoro collaborativo apprese nel corso dell’esperienza del laboratorio bandi on-line. Suddivisi in tre gruppi i lavoratori hanno utilizzato fogli, post-it e forbici per la modellazione creativa e collettiva dei mock-up, quali rappresentazioni cartacee delle future e preferibili videate che avrebbe dovuto avere l’interfaccia del nuovo configuratore di bandi.

Le immagini (19 - 24) provenienti dal video dell’incontro mostrano il lavoro in piccoli gruppi che ha permesso, attraverso un confronto sia dialettico che pratico, la partecipazione attiva degli utenti alla co-costruzione degli artefatti. Il workshop di “paper prototyping” è stato suddiviso in tre fasi.

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figure da 19 a 24 - fasi di “paper prototyping” dell’interfaccia del “nuovo configuratore bandi”

Fase1 Partendo dalla mappa delle attività necessarie per la redazione di un bando (figura 3, cfr. 1° incontro), i gruppi hanno definito “che cosa” dovrebbe fare un sistema computerizzato di supporto, ossia hanno raccolto l’insieme delle funzioni necessarie a un redattore di bandi durante lo svolgimento quotidiano del suo lavoro.

Fase2 Successivamente alla definizione di “che cosa” dovrebbe fare il sistema, gli sforzi degli utenti sono stati rivolti alla definizione della corretta “sequenza delle azioni” del configuratore di bandi. In questa fase i lavoratori hanno simulato l’utilizzo dell’interfaccia durante lo svolgersi delle concrete attività quotidiane di Binarius. Il gruppo alpha ha autonomamente unito le due fasi producendo un’unica rappresentazione ordinata delle funzioni richieste. La figura 25 illustra questo passo, nel quale l’insieme delle attività di supporto richieste al configuratore è stato ordinato nella sequenza appropriata al lavoro di produzione dei bandi. La lettera “C”, all’interno del cerchio in alto a sinistra, indica 25


la specifica posizione dell’immagine all’interno di una struttura più ampia, che riguarda l’intero funzionamento del sistema. I due post-it gialli rappresentano invece il livello più prossimo al lavoro operativo degli utenti. La dicitura «DESTINATARI» nel primo post-it chiarisce il titolo attribuito alla prima pagina, così come l’elenco puntato sottostante definisce quali funzioni e informazioni debbano essere presenti nella pagina. Il post-it sottostante è strutturato allo s t e s s o m o d o : t i t o l o « D E T TA G L I O BENEFICIARI» ed elenco di punti che ne chiarisce le funzioni associate. La sequenza delle due pagine è stata gerarchicamente ordinata ed è stata inoltre posta una freccia per illustrare tale ordine. Questo dettaglio, così come l’intero artefatto co-prodotto dal gruppo, mostra il passaggio da un elenco statico dei propri bisogni di utenti a una rappresentazione dinamica e concreta delle pratiche lavorative in uso. figura 25 - dettaglio gruppo alpha

Fase 3 Nella terza fase il gruppo beta è riuscito a effettuare una prima interfaccia di cartone del configuratore bandi. L’immagine riportata nella figura 26 rappresenta la home page del nuovo sistema informativo, dove sono riportati:

• il titolo della pagina «BENVENUTO dal TUO CONFIGURATORE BANDI»;

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• i campi dedicati all’inserimento del nome «utente» e della «password» da parte dell’utilizzatore e • il tasto di conferma «INVIO».

figura 26 - “home page” gruppo beta

Una nota appuntata sul post-it giallo arricchisce la rappresentazione della pagina, chiarendo l’intenzione degli utenti-progettisti di utilizzare una specifica modalità di accesso al sistema per i diversi profili con cui gli utenti sono registrati.

Nella figura 27 è rappresentato il menu principale che appare sugli schermi degli utenti una volta effettuato l’accesso dalla home page. Il layout scelto dal gruppo, con la pagina suddivisa in tre frame, è molto simile a quello degli ipertesti utilizzati per i siti web. I partecipanti hanno inserito delle illustrazioni dettagliate dei campi (e quindi delle funzioni) attraverso pulsanti ed etichette.

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figura 27 - “menu principale” gruppo beta

Per tale scopo hanno utilizzato dei post-it di diverso colore per evidenziare la similarità o delle esplicite differenze tra i campi. Il frame sinistro è dedicato al supporto alla “navigazione” del sistema: • è statico, cioè il contenuto rimane lo stesso indifferentemente dalle pagine che si scorrono nel sistema; • vi sono inseriti degli strumenti, delle funzioni e dei servizi di riferimento alla pagina visualizzata.

Ogni riga corrisponde a uno strumento specifico: «FONTI NORMATIVE», «BANDI CHIUSI», «BANDI APERTI», eccetera. Queste formano l’insieme delle fonti di informazioni necessarie ai redattori nelle diverse fasi di produzione dei bandi, pertanto rimangono costantemente visualizzate e a disposizione dell’utente. 28


I restanti due frame compongono il vero e proprio “configuratore bandi”. Il frame superiore rappresenta il menu per l’accesso alle funzioni a disposizione dell’utilizzatore. Le funzioni sono «CREA BANDO», «SALVA IN BOZZA», « A N T E P R I M A » , « VA L I D A Z I O N E » , «PUBBLICAZIONE», «ESCI». Nel frame centrale gli utenti hanno predisposto figura 28 - interfaccia gruppo alpha

delle etichette rappresentanti le sezioni da compilare per la produzione del bando: «SELEZIONA

LA

LINEA

DI

FINANZIAMENTO», «TITOLO BANDO», «OBIETTIVO E FINALITÀ», eccetera. A ogni sezione è stato affiancato un pulsante che, una volta premuto, apre il dettaglio della pagina. Una volta compilata, salvata e chiusa, il relativo pulsante informerà il completamento del processo figura 29 - interfaccia gruppo beta

con la dicitura «FATTO» (visibile per la sezione «TITOLO BANDO»). Così come per gli ipertesti informatici esistono zone sensibili di collegamento per pagine interne ed esterne al sistema, gli utenti hanno in questo caso rappresentato il medesimo concetto attraverso la prototipazione cartacea delle pagine. La progettazione di un sistema informativo in uso

figura 30 - interfaccia gruppo gamma

che si appoggia alla tecnologia informatica non ha quindi richiesto, in questa specifica fase, alcuna competenza esperta nell’utilizzo dei

computer o del linguaggio HTML. Si ribadisce infatti la totale esclusione, alla partecipazione attiva del workshop, di altri individui che non fossero i redattori di Binarius.

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Le figure 28, 29 e 30 illustrano gli artefatti prodotti da ogni gruppo (alpha, beta, gamma) al termine della terza fase. Le differenze nella forma sono tanto evidenti, quanto la somiglianza nei contenuti. Questi ipertesti cartacei forniscono, nelle specifiche modalità preferite dal gruppo, la rappresentazione dell’interfaccia progettata al fine di soddisfare i bisogni comuni a tutti i partecipanti. Bisogni legati alle pratiche di lavoro in uso in Binarius. Il lavoro collaborativo che è stato effettuato durante il workshop ha permesso una rappresentazione genuina delle differenti visioni delle pratiche organizzative, arricchendo i contributi e i suggerimenti durante la successiva fase di restituzione con tutti i membri del laboratorio.

Sesto incontro: “prende forma il nuovo configuratore dei bandi”

In quest’ultimo incontro è stata effettuata la sintesi conclusiva del lavoro prodotto nelle sessioni precedenti. I membri del laboratorio si sono dichiarati pronti per completare l’interfaccia del nuovo “configuratore bandi” sulla base del materiale prodotto negli incontri passati. Per lo svolgimento del workshop è stato riproposto il metodo del “paper prototyping”: strutturando il lavoro in tre fasi distinte i lavoratori hanno raccolto i contributi di ognuno, convergendo su un configuratore unico. Sfruttando a tale scopo il mock-up del sottogruppo beta prodotto nel quinto incontro (figura 29). Il workshop è stato scomposto in tre fasi: 1. “cosa mi aspetto dal sistema” - l’individuazione del “cosa”, ossia le funzioni necessarie al soddisfacimento dei bisogni avvertiti dagli utenti; 2. “con che sequenza” - la descrizione del “come” l’interfaccia debba operare in funzione di quanto emerso dal punto precedente; 3. con quali strumenti di interfaccia - la definizione e la scelta della tecnologia (informatica) più appropriata al caso.

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figura 31 - mock-up collettivo dell’interfaccia del nuovo “configuratore bandi”

La figura 31 mostra il risultato del workshop: un esteso e complesso mock-up composto da fogli appuntati e post-it. L’immagine proposta è un collage di foto scattate alla lavagna sulla quale l’intero gruppo ha partecipato alla costruzione dell’artefatto. Gli elementi appuntati rappresentano le funzioni e le entità più significative secondo il punto di vista dei partecipanti. I post-it e i fogli sono l’esito della prima fase, dove sono stati raccolti gli elementi in risposta al quesito di “che cosa” gli utenti si aspettano dal sistema. La 31


disposizione di tali elementi sulla lavagna risponde alla domanda posta nella seconda fase, relativa all’ordine strutturato degli elementi che ne compongono la giusta sequenza. A differenza dei workshop nei quali il lavoro di creazione degli artefatti era affidato alla collaborazione di piccoli gruppi, in questo caso l’incontro ha richiesto la partecipazione di tutti i membri. Perseguendo l’obiettivo di sintetizzare i contributi precedenti e di racchiuderli in un unico artefatto, è stato deciso che un singolo attore fosse addetto alla manipolazione degli oggetti sulla lavagna, determinando una modalità di collaborazione limitata al confronto verbale e escludendo la possibilità ai membri di interagire direttamente sul mock-up.

figure 32 e 33 - scene di costruzione del mock-up in figura 31

Le figure 32 e 33 mostrano la fase di sintesi creativa svoltasi durante il workshop, durante il quale i partecipanti insieme a un facilitatore: • hanno condiviso verbalmente i giudizi riguardo i contributi dell’interfaccia; • si sono alternati alla lavagna nella fase di creazione partecipata dell’interfaccia cartacea del configuratore di bandi.

Conclusione

Gli incontri del “laboratorio bandi on-line” si sono conclusi con i risultati presentati nel paragrafo precedente. Ma ciononostante non è stato possibile riportare gli ultimi passi diretti 32


al completamento del percorso che li ha condotti fino a quel punto. Nei giorni in cui le pagine di questa tesi vengono scritte è in atto il confronto tra i lavoratori di Binarius e un team di ingegneri informatici per la realizzazione del sistema unico per la configurazione dei bandi e relativa pubblicazione on-line. Grazie alla creazione del “laboratorio bandi on-line”, i lavoratori di Binarius hanno avuto a disposizione uno spazio nel quale far convergere e legare le esperienze lavorative provenienti dalle rispettive divisioni. Durante i workshop di progettazione partecipata essi hanno avuto l’opportunità di mettere in circolo, di condividere la conoscenza legata alle loro capacità intellettuali e operative. I redattori hanno assunto il ruolo centrale della progettazione del nuovo sistema; in altre parole sono stati il motore innovativo necessario al mutamento organizzativo.

Collaborando creativamente durante i workshop di progettazione partecipata i membri hanno fatto emergere la propria conoscenza tacita (Polanyi, 1966) delle pratiche di lavoro. Durante queste sessioni collaborative la conoscenza distribuita nell’organizzazione è stata formalizzata e incorporata negli artefatti cartacei che hanno acquisito così una triplice valenza.

La prima è appunto quella di incorporare la conoscenza esperta delle pratiche situate di lavoro di una specifica organizzazione. L’artefatto illustrato dalla figura 31 rappresenta infatti la sintesi del processo di riflessione organizzativa.

La seconda riguarda il valore strumentale degli artefatti prodotti una volta trasferiti nelle mani, ad esempio, dei progettisti informatici. Nel caso degli ingegneri informatici riportati nel caso di Binarius, poter ricorrere al mock-up riportato nella figura 31 rappresenta senz’altro un vantaggio. Innanzitutto perché l’analisi delle attività lavorative dell’organizzazione è già stata effettuata, per di più dai soggetti che le praticano quotidianamente. In secondo luogo è un vantaggio in quanto la responsabilità legata all’introduzione di una nuova tecnologia è condivisa tra gli ingegneri e i lavoratori di Binarius.

Il terzo aspetto legato agli artefatti cartacei prodotti in sessioni di Participatory Design risulta essere importante per il lavoro dei ricercatori organizzativi che analizzano questo caso. La 33


conoscenza ivi trasferita dagli attori organizzativi risulta embedded nel materiale empirico, divenendo lo strumento attraverso cui lo studioso può effettuare e arricchire la propria ricerca. Nella tesi qui proposta tali artefatti ricoprono un valore epistemologico fondamentale, insieme ai filmati che saranno analizzati nel corso dei seguenti capitoli.

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Capitolo 2 Contributo originale

È possibile individuare nuovi e appropriati strumenti per i metodi e le tecniche di progettazione partecipata presentate nel caso? Avvalersi quindi di tecnologie nuove e tuttora poco esplorate, in grado di replicare, se non addirittura di innovare, le istanze emerse dalla rappresentazione del caso?

Riformulando, è possibile creare nuove forme di interazione supportate dalla tecnologia, allo scopo di promuovere e accrescere la creatività e la collaborazione durante le pratiche di Participatory Design?

2.1 Istanze emerse dal caso di studio Binarius è un’organizzazione pubblica locale. La sua posizione è all’interno di una più vasta burocrazia, e pertanto sottoposta alla direzione e al controllo politico. Inoltre è suddivisa internamente per comparti funzionali (agricoltura, industria, sport, eccetera) anch’essi definiti e regolamentati da poteri esterni all’ente. Gli obiettivi e i tempi dei processi lavorativi sono definiti da norme e regolamenti. Quindi ogni lavoratore conosce i limiti e le possibilità di azione della propria area di competenza. A un livello di interpretazione generale, l’organizzazione Binarius può essere considerata come un sistema socio-tecnico complesso e analizzabile a differenti livelli. L’interpretazione a

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cui farò riferimento è quella presentata da Mike Martin durante il “keynote speech” di MCIS2008. Secondo questo autore le caratteristiche di un sistema socio-tecnico derivano dalla specifica conformazione degli elementi e delle relazioni che lo compongono. A seconda che queste parti vengano interpretate dai partecipanti come ambigue o date per certe, il sistema assume diverse caratteristiche distintive. Nel mio caso ho scelto una prospettiva che tenesse per certi i ruoli e le attività, e ambigua la risorsa. I ruoli sono gli elementi che, nel polilogo organizzativo, definiscono la conversazione tra gli attori in termini di distribuzione delle responsabilità e di sequenza degli atti. A ogni singolo lavoratore è inoltre riconducibile una specifica attività: la redazione dei bandi, cioè il servizio offerto dall’ente pubblico. Lo schema illustrato nella figura 34 rappresenta un singolo attore, ma nella formalizzazione di Martin bisogna immaginarne una pluralità che comunica e interagisce nel polilogo organizzativo per mezzo della risorsa.

figura 34 - prospettiva “Agent”: l’ambiguità sulla risorsa

Il polilogo è lo spazio e il tempo in cui si realizzano le interazioni degli attori mediate da una molteplicità di azioni sulla risorsa. Nel caso presentato la risorsa è rappresentata dal nuovo “configuratore bandi on-line”, ossia l’oggetto del processo di innovazione organizzativa

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verso il quale convergono l’impegno e la collaborazione dei lavoratori di Binarius. Esso agisce infatti come mediatore nelle interazioni tra le attività di ogni utente. Prendendo avvio dall’attività, che incorpora la conoscenza esperta delle pratiche lavorative di Binarius, propongo di investigare le azioni, cioè le relazioni in grado di definire i confini della risorsa (lo strumento tecnologico). Nel caso riportato le azioni sono rappresentate dalle attività collaborative che gli attori hanno effettuato durante i workshop di progettazione partecipata. Osservando attraverso questa “lente” macroscopica il sistema socio-tecnico di Binarius, ho individuato delle istanze fondamentali derivate dalle pratiche partecipate, collaborative e in piccoli gruppi, descritte nella narrazione nel caso. • Co-costruzione: durante i workshop gli utenti partecipano collettivamente alla realizzazione creativa degli artefatti. • Manipolazione collettiva: le sessioni di progettazione permettono una manipolazione collettiva e sincronica degli artefatti. • Rappresentazione collettiva delle attività: da un insieme di prospettive provenienti da una molteplicità di attori diversi, durante i workshop le visioni delle attività sono state condivise e successivamente incorporate negli artefatti • Impegno collettivo: gli utenti hanno collaborato al raggiungimento del medesimo obiettivo. Possono tali specifiche istanze essere promosse e arricchite? Può la creatività, che è stata il motore dell’innovazione organizzativa, svilupparsi maggiormente se anche i metodi partecipativi di progettazione vengono innovati dall’uso di una nuova tecnologia? È possibile rintracciarne una che permetta quanto più possibile il riferimento a tali istanze?

2.2 Domanda di ricerca Essi hanno collaborato per ri-progettare l’interfaccia del sistema informativo a cui è stato legato il processo di innovazione. L’interfaccia rappresenta l’elemento di interazione primaria 37


degli utenti col sistema di trasmissione delle informazioni organizzative. A partire dal presupposto che debba essere la tecnologia ad adattarsi al modo in cui gli attori interagiscono, e non viceversa, sono state effettuate delle specifiche modalità di lavoro che orientassero il processo di innovazione organizzativa verso una prospettiva socio-tecnica. Gli attori hanno potuto condividere i giudizi e le personali visioni professionali (Goodwin, 2003) durante i vari workshop. Le interazioni degli attori si sono svolte secondo un approccio euristico di apprendimento reciproco, ed è in questa prospettiva che intendo orientare il mio sguardo sul caso. Durante i design game di “XO+?” e di “paper prototyping” gli utenti hanno co-costruito materialmente il processo di ricerca. Nelle fasi operative sono stati creati e di manipolati degli artefatti per: • la ri-progettazione delle interfacce del “tender configurator” e di “scacco in tre mosse” e • il design dell’interfaccia del nuovo “configuratore bandi on-line”. In queste interfacce sono stati incorporati i giudizi degli utenti che sono emersi durante attività creative che comprendono il confronto dialettico, la produzione materiale di artefatti e la condivisione reciproca dei significati. I lavoratori che popolano l’organizzazione sono i portatori di quella conoscenza tacita che è indissolubilmente legata al contesto di lavoro e al fare. I concetti di conoscenza tacita (Polanyi, 1966) e di cognizione distribuita (Hutchins, 2000) illustrano il motivo per cui la partecipazione degli attori ha avuto un’importanza fondamentale per il laboratorio bandi on-line..

Ritengo che questo caso presenti dei caratteri originali legati al modo con cui sono stati organizzati i workshop: • attraverso il lavoro collaborativo e • svolto in piccoli gruppi. I lavoratori coinvolti non hanno semplicemente partecipato alle sessioni del laboratorio. Non si è trattato quindi di una mera presenza in aula. Il termine “partecipato” è utilizzato frequentemente ma non senza una certa ambiguità. Qui per “partecipato” non si intende che gli utenti finali di un servizio, di un prodotto o di un processo vengano invitati a una semplice

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presenza passiva o piuttosto vengano “messi a conoscenza” di decisioni già raggiunte o di esiti immodificabili. La partecipazione dei membri nel laboratorio bandi on-line ha prodotto qualcosa di più: la costituzione di un gruppo di ricerca consapevole e responsabile degli obiettivi, capace di creare e sostenere al proprio interno la fiducia necessaria per raggiungerli. Le attività svoltesi nel corso dei workshop sono contraddistinte da un elevato grado di collaborazione tra i membri, collaborando tra loro per raggiungere gli obiettivi attesi per ogni incontro. Ogni attività del laboratorio ha presentato un elevato grado di collaborazione tra gli attori, prescindendo comunque dal numero di componenti dei gruppi. Ci sono stati infatti episodi in cui il gruppo ha lavorato in plenaria e altri per sottogruppi. Nel primo incontro tutti i diciotto membri del laboratorio hanno partecipato al brainstorming per la realizzazione di un’unica visione condivisa di “cosa comporta lavorare a un bando”. In quell’occasione tutti i redattori hanno preso spunto dalla propria esperienza, coordinando la comunicazione dei contributi di ognuno in questo spazio comune per il confronto e la realizzazione della mappa mentale. Le attività dei workshop “XO+?” e di “paper prototyping” svolte durante gli incontri successivi sono state invece organizzate in piccoli gruppi, così da creare le condizioni per promuovere la partecipazione attiva di tutti i membri. Tali gruppi composti dalle tre alle cinque persone sono stati preferiti rispetto alla modalità precedente perché ritenuti maggiormente coinvolgenti, ossia in grado i limiti emotivi dei partecipanti che derivano dall’esporsi pubblicamente ai colleghi. Perciò quello che ho potuto osservare durante i workshop sono state soprattutto le interazioni tra i membri che, seduti attorno alla scrivania, hanno proceduto in sessioni collaborative di progettazione partecipata. Il tratto euristico di queste attività risponde al bisogno di reciproco apprendimento che il laboratorio ha posto come elemento fondamentale per lo svolgimento e la riuscita del progetto. Esso rappresenta il valore al quale questa tesi si orienta, sostenendo l’importanza del processo di apprendimento basato su prove ed errori, attraverso regole poco definite, permettendo così agli attori di far emergere da sé stessi sia la conoscenza che la creatività necessarie.

Questi caratteri contraddistinguono il caso “laboratorio bandi on-line”, e mostrano una prima e approssimativa categorizzazione delle attività che vi si sono svolte. Tramite questi caratteri,

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e avvalendosi inoltre del contributo della prospettiva Agent, è possibile rifinire ulteriormente la concettualizzazione delle pratiche situate avvenute durante gli incontri. Ciò che ho potuto osservare nei filmati e nel materiale raccolto, e che sarà riproposto in maniera più approfondita successivamente, si presta alla azione di labelling che ho proposto nel “paragrafo 2.1”. Durante tutti i workshop sono state effettuate delle attività partecipate e collaborative sia concettuali che manuali, a prescindere dal numero di partecipanti e dalla dimensione dei gruppi. Ciononostante propongo per l’analisi che presenterò, di isolare le istanze specifiche e situate che ho individuato nel corso delle attività progettuali, al fine di renderle lo strumento con il quale creare una proposta empirica e originale, che prenda unicamente spunto dal caso di studio. La co-costruzione degli artefatti, la manipolazione collettiva e sincronica avvenuta durante la loro creazione, la rappresentazione collettiva delle attività lavorative dei redattori e l’impegno collettivo (collaborazione) dei gruppi, hanno concorso a far sorgere il quesito fondamentale di questo studio.

È lecito domandarsi se sia possibile individuare nuovi e appropriati strumenti per i metodi di progettazione partecipata? Avvalersi quindi di tecnologie nuove e tuttora poco esplorate, in grado di replicare, se non addirittura di innovare, le istanze emerse dalla rappresentazione del caso? Riformulando: è possibile creare nuove forme di interazione supportate dalla tecnologia, allo scopo di promuovere e accrescere la creatività e la collaborazione durante le pratiche di Participatory Design?

La creatività è intesa come una proprietà organizzativa in grado di creare e sfruttare la conoscenza necessaria alle attività innovative. La creatività organizzativa non è una proprietà individuale (Sundholm et al, 2004), ma deriva dalla collaborazione tra i membri. Dunque la creatività è prodotta e situata socialmente (Barab & Plucker, 2002), quindi connessa con l’ambiente e le relazioni tra i membri che lo compongono. Arias et al. (2000) propongono il termine “symmetry of ignorance” per indicare la conoscenza tacita degli attori (Polanyi, 1966) necessaria per risolvere i problemi organizzativi. Per poter fare ricorso alla “simmetria di ignoranza” è richiesta la creazione di ambienti, contesti e artefatti che fungano da “boundary objects”, ossia da “oggetti di confine” che permettano la collaborazione tra

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differenti visioni della realtà (cioè differenti culture).È possibile individuare una specifica tecnologia che funga da boundary object e che permetta il perpetrarsi delle istanze rilevate nel caso di Binarius? Prendere in esame gli ambienti di tangible computing per risolvere tale quesito è quanto svilupperò nelle prossime pagine.

Gli studi di tangible computing hanno cercato di estendere i confini delle abilità umane, in particolare le abilità tattili e fisiche che ognuno impiega nelle quotidiane interazioni con ciò che lo circonda. Ricerche in questo ambito hanno convenuto che di norma gli attori interagiscono con i computer per mezzo di oggetti (come tastiere, mouse e schermi), ma che potrebbero sfruttare al meglio le proprie abilità se le interazioni fossero dirette sugli oggetti stessi. Questi potrebbero non rappresentare più il veicolo attraverso il quale interagiamo con entità totalmente virtuali come, ad esempio, i cursori, bensì potrebbero assumere un ruolo diretto nell’interazione coi computer (Dourish, 2001). Partendo dall’idea, proposta dagli studi di tangible computing, di immaginare un tipo di interazione tra uomo e macchina non più limitata alla mediazione di mouse e tastiera, ma semmai più vicina alle abilità gestuali dell’agire quotidiano, propongo di analizzare una possibile sotto-categoria di questo filone: il multi-touch. Tratterò una prima riflessione sul fenomeno nel prossimo paragrafo, anticipando qui che il multi-touch è una variante della più tradizionale interazione via touch-screen (schermo tattile) con un computer o con un altro dispositivo. Uno schermo touch-screen dotato di multi-touch riconosce più punti di contatto simultanei, permettendo l’esecuzione di gesti con entrambe le mani e con più dita. Gesti intuitivi, come l'utilizzo di due dita o mani per ingrandire o rimpicciolire lo schermo, sono una delle funzionalità del multi-touch.

In questa tesi propongo una specifica investigazione delle pratiche collaborative degli attori organizzativi avvenute durante le sessioni di progettazione partecipata narrate nel caso; allo scopo di definire le “categorie forti” del multi-touch che derivano dall’analisi del materiale raccolto durante gli incontri (foto, filmati, testi e artefatti). Le “categorie forti” costituiranno la base per la fase successiva di questo elaborato, nella quale proporrò degli scenari d’uso del multi-touch. Gli scenari illustreranno degli usi ipotetici - “as if” - del multi-touch, creati per mezzo dell’immaginazione ma al contempo legati indissolubilmente alle pratiche situate 41


rilevate nel caso. Le “categorie forti” costituiscono lo strumento fondamentale con cui propongo la realizzazione degli scenari d’uso, ossia le proprietà d’uso della tecnologia multitouch che emergono dal caso empirico analizzato e da una prima riflessione sul multi-touch (che presenterò nel prossimo paragrafo).

Parafrasando Gibson (1979) e Norman (1988) propongo di accostare concettualmente le “categorie forti” alle affordance. Negli ambienti lavorativi gli oggetti si costruiscono nelle relazioni che li legano agli attori. Il loro ricoprire un ruolo più o meno attivo non è dovuto alle proprietà tecniche dell’oggetto, ma al tipo di relazione che, nella pratica, lega soggetto e oggetto. Adottando questa prospettiva cercherò di definire una proposta d’uso del multi-touch legata alle mie riflessioni limitate ai risultati effettivamente emersi nel caso “laboratorio bandi on-line”. Tali risultati faranno riferimento a come gli utenti, durante lo svolgimento di pratiche di progettazione partecipata dell’interfaccia di sistemi informativi, potranno appropriarsi “in uso” della tecnologia multi-touch, cioè durante lo svolgimento di attività situate e contestuali.

Ritengo infine sia importante chiarire che con il termine “tecnologia multi-touch” non intendo escludere dalla mia riflessione un elemento cruciale: il software. Le proposte che saranno presentate nel “capitolo 4”, durante la narrazione degli scenari “as if”, acquisteranno congruità solo se comprenderanno anche quest’ultimo elemento. Il software, strumento materiale del computer oltreché retorico, completerà la rappresentazione dell’uso situato del multi-touch, permettendo la descrizione delle attività specifiche degli attori in relazione all’oggetto. Grazie alla definizione ad hoc degli applicativi ipotetici e funzionali, si creeranno le condizioni per favorire una rappresentazione più arricchita e complessa delle funzioni delle pratiche situate di progettazione partecipata appartenenti al caso “laboratorio bandi on-line”.

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2.3 Uno sguardo alle interazioni con il multi-touch Le azioni più elementari che si possono “performare” sulla superficie di un dispositivo multitouch sono principalmente quelle di: • “selezione”; • “raggruppamento”; • “ordinamento”; • “connessione” e • “creazione” (se si considera che plausibilmente non esiste alcun limite allo sviluppo di applicazioni software dedicate alla generazione creativa di entità).

figura 35 - multi-tocco

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Per quanto il multi-touch non sia una novità assoluta (i primi studi risalgono già agli anni Ottanta, Han 2006), negli ultimi tempi ingegneri e ricercatori organizzativi stanno riversando un’attenzione particolare a questa tecnologia, che porta con sé delle feature, ossia delle proprietà specifiche che la rendono originale e promotrice di nuovi interrogativi.

Mi riferisco in primo luogo all’attributo principale: il multi-tocco. Diversamente dal suo predecessore, il touch-screen, che consentiva l’interazione con la macchina attraverso la pressione di un singolo tocco sulla superficie dello schermo, il multi-touch è in grado di ricevere simultaneamente molteplici input. In questo senso è plausibile considerarlo un dispositivo multi-utente, ossia in grado di “accogliere” (ricevere, elaborare, rappresentare) le azioni di più attori contemporaneamente. Questa originale interazione con il computer rappresenta un allontanamento dalla più tradizionale modalità con cui gli individui interagiscono con le macchine. Innanzitutto perché può venir meno la necessità di utilizzare strumenti tangibili di intermediazione con i computer quali mouse e tastiere: soprattutto gli strumenti di puntamento come mouse e penne ottiche cedono il passo a comandi eseguiti direttamente sul display dalla pressione delle dita e dalle mani degli utenti. Inoltre, se non è una novità parlare di interazione di più utenti su uno stesso computer, senz’altro si può riconoscere che il multi-touch offre un ambiente particolarmente adatto al simultaneo intersecarsi di più azioni provenienti da differenti attori (se dotato di un apposito software dedicato alla collaborazione tra gli utenti).

La tecnologia multi-touch può essere anche multi-user in funzione delle dimensioni fisiche del device. Sono di recente commercializzazione display di telefoni cellulari e touchpad di piccole dimensioni che, per quanto siano multi tocco, difficilmente permetteranno l’interazione con il computer a più di un singolo utente per volta. Lo studio delle affordance relative ad apparecchi di queste dimensioni non possono essere prese in considerazione da questa ricerca. Questa selezione risponde alla necessità di non volersi riferire alla tecnologia multi-touch in sé, bensì alla tecnologia in uso. La collaborazione, l’interagire simultaneo e situato di più attori ne è invece il fulcro; perciò si farà riferimento a display multi-touch di dimensioni sufficienti a permettere sessioni partecipate tra due o più utenti.

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figura 36 - la superficie del multi-touch può ospitare molteplici input provenienti da più utenti contemporaneamente

L’ambiente digitale di interazione, cioè l’essere un artefatto informatico, rende ancor più complessa e ricca la tecnologia multi-touch. Questa proprietà rende assai vaste le possibilità di impiego e di adattabilità della tecnologia, che può così trasformarsi in strumento per le pratiche di progettazione partecipata. In altri termini significa avere la possibilità di mettere a disposizione degli utenti un device con il quale operare in un ambiente digitale che permette, a ragion dello stato dell’arte, applicazioni pressoché innumerevoli. Senza lasciarsi andare a situazioni visionarie e prive della dovuta attenzione del contesto d’uso della tecnologia, è indubbio che gli sviluppi dell’informatica e il costante aumento di confidenza degli utenti con i computer possa fornire una spinta decisiva ad un utilizzo efficace dell’artefatto.

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figura 37 - coordinazione al multi-touch

La collocazione spaziale dello schermo non è esente da conseguenze sul concreto utilizzo dello strumento. La ricerca di Müller-Tomfelde et al. (2008) presenta un confronto tra i vantaggi e gli svantaggi della visione (e non dell’interazione) conseguenti la posizione verticale, orizzontale o inclinato del display. Quelli posizionati verticalmente sono spesso considerati più utili per un uso “pubblico”, alla maniera di una lavagna, permettendo una visione tendenzialmente più completa agli osservatori non prossimi allo schermo. Quelli orizzontali, i tabletop, permettono maggiori possibilità di impiego da parte sia di singoli utenti che di piccoli gruppi. In questa collocazione gli osservatori più distanti incontrano però maggiori problemi a causa di un angolo di prospettiva maggiormente acuto. Gli schermi

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inclinati offrono una visione meno “pubblica” rispetto a quelli verticali, ma allo stesso tempo permettono una visibilità maggiore rispetto a quelli orizzontali.

Nel prossimo capitolo verranno presentati alcuni dei frammenti delle interazioni collaborative e prossemiche individuati nel caso di studio. Essi sono stati selezionati avvalendosi di due “lenti” particolari: 1. le istanze emerse da un’interpretazione più generale del caso di studio (Agent): • co-costruzione; • manipolazione collettiva; • rappresentazione collettiva delle attività; • impegno collettivo. 2. Le caratteristiche del multi-touch emerse dalla fase di riflessione sulla tecnologia che ho descritto precedentemente: • multi-utenza e multi-tocco; • dimensioni fisiche; • ambiente digitale; • collocazione spaziale.

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Capitolo 3

Analisi dei workshop

I filmati a cui ho avuto accesso riportano le interazioni avvenute durante gli incontri del “laboratorio bandi on-line”: i partecipanti hanno collaborato in piccoli gruppi, realizzando le visioni di insieme delle pratiche lavorative. La partecipazione è stata effettuata allo scopo di costruire, con un approccio centrato sull’utente finale, l’interfaccia del sistema informativo “configuratore bandi on-line”: il futuro strumento di lavoro di Binarius. In questo capitolo è mio interesse rilevare e riportare le attività situate di collaborazione, avvenute durante i workshop di progettazione partecipata. L’obiettivo è quello di ricreare la complessità delle pratiche di progettazione partecipata, evitando di isolare la gestualità dalle parole, e viceversa. Per raggiungere questo obiettivo farò uso soprattutto delle immagini catturate durante lo svolgimento dei workshop, riportando alcune sequenze dei fotogrammi più significativi. L’attenzione quindi non è rivolta solamente a chi parla, ma si cercherà di dare risalto a tutto il contesto delle interazioni, verbali e non verbali: • gli sguardi; • l’indessicalità dei dialoghi, ossia le parole utilizzate in riferimento a qualcos’altro; • i riferimenti agli artefatti, cioè all’oggetto materiale del confronto; • i gesti. Soprattutto questi ultimi sono di particolare interesse per la mia analisi, e ancor più se accompagnati da proposizioni o ancora altri gesti. L’analisi insomma non si limita al solo linguaggio, ma comprende anche gli oggetti “di cui” si parla o “con cui” si comunica. Le interazioni che hanno avuto luogo durante i workshop si sono sviluppate a partire da

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molteplici azioni verbali, e ancora più spesso da combinazioni di modalità comunicative diverse, miste a modalità d’azione non-verbale.

Workshop “XO+?” del “tender configurator”

In questo workshop gli utenti erano stati chiamati a esprimere i propri giudizi riguardo l’interfaccia del software “tender configurator”, un prodotto creato da una società specializzata nella realizzazione informatica di sistemi informativi. Utilizzando il “metodo XO+?”, i lavoratori hanno contrassegnato sui blow-up messi a disposizione i punti ritenuti più importanti e più chiari, e hanno eliminato gli elementi ritenuti superflui. Hanno inoltre identificato le parti non chiare e bisognose di ulteriori chiarimenti e infine hanno aggiunto fisicamente i propri suggerimenti tramite post-it o interi fogli. Il workshop è stato organizzato dividendo i partecipanti in piccoli gruppi. Lo scopo era duplice: in primo luogo la somma dei lavori per sottogruppi avrebbe permesso un consistente numero di contributi, e in secondo luogo il lavoro in gruppi da tre a massimo cinque componenti avrebbe promosso la partecipazione attiva di ogni redattore.

Fase1

Le immagini riportate si riferiscono a un gruppo occupato nelle attività di “XO+?” del workshop. Tutti e tre i membri sono seduti e rivolti verso la scrivania, intorno a quello che considero il “centro di reciproca interazione”: il riferimento materiale del confronto degli attori; l’oggetto contestualizzato verso cui sono diretti i molteplici gesti, discorsi e sforzi collaborativi che concorrono alla realizzazione in pratica delle attività di progettazione. Esso è pertanto dinamico e contestuale, ed è rappresentato in queste immagini dal blow-up di “scacco in tre mosse” al quale fanno riferimento i dialoghi e le manipolazioni dei membri del gruppo. La disposizione spaziale adottata dai partecipanti è sociopetale nei confronti della stampa manipolata dall’attore posizionato al centro. Infine le immagini dimostrano che in 49


riferimento al codice cinestetico ogni attore ha la possibilitĂ di raggiungere tutte le stampe disposte sulla scrivania, distendendo le braccia o inclinandosi con il tronco, ma senza alzarsi in piedi.

figure 38 e 39 - fotogrammi delle interazioni avvenute durante la prima fase del workshop XO+?

Nel primo fotogramma un redattore (il primo da destra) ha posto un quesito in merito alle modalitĂ di redazione dei bandi e specificamente in riferimento ai fondi strutturali. La domanda ha preso spunto da quanto rappresentato nel blow-up in corso di valutazione. Nel secondo fotogramma un secondo attore (il primo da sinistra) ha preso la parola e ha presentato la propria visione in merito, aiutandosi nell’argomentazione con gesti “in ariaâ€? e con specifici riferimenti alla pagina cartacea (terzo e quarto fotogramma).

figure 40 e 41 - fotogrammi delle interazioni avvenute durante la prima fase del workshop XO+?

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L’attore ha arricchito il proprio racconto, proponendo un esempio per chiarire il quesito e rifacendosi di continuo a quanto delle pratiche di redazione dei bandi fosse già incorporato nelle immagini stampate. In questo modo l’attore ha attinto alla propria conoscenza esperta di redattore, “performando” una rappresentazione creativa delle proprie pratiche lavorative, e utilizzando come traccia un artefatto che incorpora tali pratiche a partire, però, da una prospettiva diversa: quella dei progettisti informatici del “tender configurator”.

Nello spazio che ha incluso gli attori e gli artefatti si è perciò verificato un confronto veicolato: sia da pratiche discorsive, sia da gesti e da manipolazioni. Il dialogo tra il primo e il secondo attore ha prodotto una riflessione su un’istanza specifica del loro lavoro, portandoli a sviluppare e definire i propri giudizi. Nel frattempo il terzo attore ha modificato materialmente l’interfaccia stampata: con la penna ha spostato, annotato, eliminato e rinominato delle parti sul foglio a partire dai contributi prodotti.

Nella situazione descritta si può fare un duplice riferimento alle istanze emerse nel paragrafo 2.1. L’istanza “rappresentazione collettiva delle attività” è emersa ogni qual volta i membri del gruppo hanno concorso alla definizione delle pratiche lavorative che compongono la professione di redattori di bandi in Binarius. Tale definizione non è il prodotto di un singolo individuo, bensì deriva dalla condivisione contestuale dei contributi emersi intorno al “centro di reciproca interazione”. La collaborazione che ha permesso il susseguirsi degli scambi verbali e non verbali fa riferimento al concetto di “impegno collettivo”, che ha permesso la definizione di una “cornice di partecipazione” (Goodwin, 2003) nella quale ogni attore ha adattato il proprio parlato e il proprio agire dimostrando la propria intenzione collaborativa. Cosa significa collaborare? Cosa significa lavorare insieme, dove “insieme” non delinea unicamente la compresenza degli attori, bensì l’impegno collettivo di due o più attori verso un obiettivo condiviso? Le parti che compongono la collaborazione situata possono essere analizzate nella comunicazione e nella coordinazione (Sundholm et al, 2004), e dunque le pratiche collaborative sono implicitamente definite dall’uso di questi due concetti. La comunicazione è il legame fra gli attori interessati dal gioco collaborativo. Equivale in altri termini a condividere e partecipare alla co-costruzione di una stessa visione della realtà 51


attraverso pratiche discorsive. La coordinazione è l’organizzazione di differenti elementi di un’attività o di un corpo complesso, così che possano effettivamente lavorare assieme per raggiungere uno scopo condiviso (ibidem).

La costituzione di uno spazio condivisibile, che permetta quindi la collaborazione situata degli sforzi, è un requisito fondamentale per la creatività. Questa è da intendersi come il motore che dà avvio alle soluzioni con le quali rispondere ai bisogni e ai problemi che si presentano, nel nostro caso, durante la progettazione. Più che una proprietà o un talento individuale, la creatività è il frutto di un lavoro situato e collaborativo, che può essere ancor più efficace se accompagnato opportunamente da un contesto ambientale e da un supporto tecnologico adatti.

Fase 2

figure 42 e 43 - fotogrammi delle interazioni avvenute durante la seconda fase del workshop XO+?

Le immagini 42 e 43 si riferiscono a una nuova situazione, all’incirca dieci minuti più tardi di quanto avvenuto nella “fase 1”. Durante questo lasso di tempo il gruppo ha proseguito nelle attività del workshop, analizzando differenti e varie videate del “tender configurator”. Il “centro di reciproca interazione” ha continuato a essere rappresentato dalle stampe del sistema

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ma, diversamente dalla fase precedente, si notano delle differenze nelle performance dei partecipanti. L’attore al centro stava ponendo un quesito riguardo a quanto rappresentato da una specifica voce del blow-up e, per condividerlo con gli altri, ha adoperato degli atti verbali rivolti alternatamente al vicino alla sua destra e a quello alla sua sinistra. Contemporaneamente ha accompagnato lo svolgersi del discorso: • con i gesti delle mani, • delimitando con la penna la zona di interesse sul foglio. Col tempo, ed entrando maggiormente “nel vivo” del confronto, i partecipanti che stavano occupando i posti ai lati si sono lentamente avvicinati al blow-up, arrivando a inclinare il busto sulla scrivania. Le immagini 44, 45 e 46 riportano sommariamente la sequenza di interazioni che si sono succedute in quel brevissimo lasso di tempo, all’incirca dieci secondi, durante i quali ogni partecipante ha assunto un ruolo attivo nel dialogo. Ognuno, quindi, ha avuto un accesso diretto alla pagina del “tender configurator”. Ciò gli ha permesso di interagire e di coordinarsi con gli altri membri, “in riferimento” e “per mezzo” dell’artefatto stesso. Questo è diventato quindi sia l’oggetto del parlato, sia il veicolo della comunicazione. Un veicolo in grado di trasmettere e decodificare i significati del parlato, in grado di acquisire tanta più forza quanto più i significati siano legati alle pratiche di lavoro incorporate nella rappresentazione delineata nel blow-up.

figure 44, 45 e 46 - fotogrammi delle interazioni avvenute durante la seconda fase del workshop XO+?

I fotogrammi mostrano due attori, e non più uno solo, che manipolano materialmente l’artefatto. Manovrando delle penne a sfera, essi danno consistenza e lasciavano una traccia

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• orientandosi con l’ausilio della mappa (cfr. “figura 1”) creata nel primo incontro del laboratorio, che raccoglieva l’esito del brainstorming su “che cosa” comportasse lavorare alla creazione di un bando. Nel “capitolo 1” ho descritto lo svolgimento del processo di design dell’interfaccia del “configuratore bandi”. La figura 27 che ripropongo in questa pagina illustra il “menu principale” del sistema informativo, così come è stato presentato quale prodotto definitivo della progettazione. Per una descrizione più dettagliata rimando il lettore al “capitolo 1”, in quanto in queste pagine l’obiettivo è di illustrare in maniera approfondita le modalità di collaborazione verbali e gestuali che hanno portato a tale artefatto, che in questa fase ha assunto il ruolo di “centro di reciproca interazione” tra i membri del gruppo.

figura 27 - “menu principale” gruppo beta

Il gruppo è composto da cinque lavoratori di Binarius, quattro donne e un uomo, seduti intorno a una scrivania. Ognuno di essi è disposto in maniera da rivolgersi frontalmente al

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del proprio agire, cioè delle attività legate all’utilizzo del metodo “XO+?”. In una visione ancora più ampia si potrebbe includere nel atto di manipolazione il gesto immortalato nel terzo fotogramma, nel quale il primo attore a destra è intervenuto indicando un punto specifico del foglio. Questo è accaduto perché l’attore era inserito in una “cornice di partecipazione” nella quale ciò che veniva detto (ciò insomma che, verbalmente o meno, ha contribuito a formare il giudizio collettivo dell’interfaccia) si è tradotto nei segni di approvazione e di eliminazione delle parti che costituivano il blow-up. Collaborando sincronicamente tutti i membri del gruppo hanno insomma coordinato gesti e parole per raggiungere un giudizio condiviso in merito all’artefatto. Riferendosi nuovamente alle istanze emerse nel paragrafo 2.1, si può in questo caso fare riferimento al concetto di “manipolazione collettiva”: gli atti linguistici e le interazioni degli attori operate simultaneamente in merito al “centro di reciproca interazione”, “del quale” e “col quale” i membri hanno definito concettualmente e materialmente il significato delle loro attività.

Workshop “paper prototyping” del nuovo “configuratore bandi”

Durante l’incontro in cui è stata effettuata la progettazione dell’interfaccia del nuovo configuratore di bandi (cfr. “quinto incontro”, capitolo 1), si è svolto il workshop in cui si è fatto uso del metodo del “paper prototyping”: una variazione “semplificata” del test di usabilità durante il quale gli utenti hanno simulato una rappresentazione realistica delle proprie attività lavorative, interagendo con una versione cartacea dell’interfaccia. I partecipanti sono stati suddivisi in piccoli gruppi, da tre a cinque persone, composti da redattori provenienti da uffici divisionali eterogenei. L’intento del workshop è stato quello di facilitare ai redattori di Binarius il lavoro di prototipazione dell’interfaccia, dotandoli di strumenti che fossero già acquisiti e di facile utilizzo: carta e penne, forbici, colla e post-it. Durante queste attività gli attori hanno partecipato al design dell’interfaccia: • raccogliendo e confrontando le proprie visioni circa il modo di lavorare alla redazione di un bando e

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“menu principale”, descrivendo così una serie di assi sociopetali (Hall, 1972) tra gli individui e il “centro di reciproca interazione”. Quest’ultimo è raggiungibile da ogni membro e quindi disponibile alla manipolazione, per quanto esso sia stato prevalentemente nelle mani di soli due attori seduti l’uno di fronte all’altro. Riporto di seguito la trascrizione della conversazione tra i due soggetti. Per la trascrizione ho fatto uso del sistema sviluppato da Gail Jefferson per l’analisi della conversazione (in Goodwin, 2003, p. 22). Le convenzioni più importanti a cui ho fatto ricorso in questa trascrizione sono l’uso della parentesi quadra aperta ([) per indicare una sovrapposizione del parlato tra i due attori. Il corsivo è stato utilizzato per indicare una particolare enfasi del parlato, ad esempio un suono più marcato per sottolineare quanto detto o per prendere la parola. Le mie annotazioni personali sono appuntate in corsivo entro doppie parentesi tonde. Il trattino (-) è utilizzato per segnalare un troncamento sonoro del parlato, mentre il segno di uguale (=) indica un “legamento”, ossia quando non c’è alcun intervallo tra la fine di un’unità e l’inizio della successiva. I numeri all’interno di parentesi tonde - esempio (1.0) - indicano la durata in secondi dei silenzi che intercorrono tra due enunciati. I segni di punteggiatura hanno un significato diverso in quanto indicano i cambiamenti di intonazione: il punto (.) indica un’intonazione discendente, il punto interrogativo un’intonazione ascendente (?) e la virgola (,) un misto ascendente-discendente presente soprattutto durante un elenco.

figure 47 e 48 - fotogrammi delle interazioni avvenute durante il workshop di paper prototyping

L’attrice con la maglia di colore rosso (sulla destra) e l’attore con la giacca marrone (sulla sinistra) si stanno confrontando in merito all’architettura della pagina che dovrà ospitare il 56


“menu principale”. In questa fase il confronto dialettico è accompagnato e arricchito da quanto presente sulla scrivania: fogli, penne, post-it. La bozza del “menu principale” è in realtà un insieme senza limiti definiti, composto da fogli e appunti sparsi sulla scrivania; i post-it rappresentano talvolta un’azione o un’entità specifica e talvolta uno spazio ancora da “etichettare”. Parlato e gesti si sviluppano l’uno in rapporto all’altro all’interno della medesima cornice d’azione. Le attività che si manifestano sono situate, distribuite e organizzate dalle azioni verbali e non verbali, che prendono forma nelle interazioni degli attori.

10 Mario:

è un problema di

20 02

[ “edma” Clara:

3

[ sì sì però voglio dire qui potremmo fare l’ingresso del configuratore

40

[ allora qui

0 4 Mario:

[ io avevo pensato

50

qui in cima, metti il menu delle azioni. (1.0)

60

cioè cosa vuoi fare. =

70 Clara:

anche con quella si può entrare nel configuratore. =

80 Mario:

esatto!

90

che potrebbe essere "crea una bozza di bando", "lo salvo", "lo mando in pubblicazione", (0.5)

10 Clara:

e ma poi c'è però anche la fase delle ricerche di = (0.3)

11

come dire = (1.0)

12

più allargata per dire.

13 Mario:

uno è questo, e uno è questo qui

14

questo è il menu dei comandi,

15

[e

15 Clara:

[ho capito

16

ma qui sei già nel menu del

17

[configuratore

17 Mario:

[no- (0.3)

18

io ti apro questa cosa qui con un menù in cui c'è scritto "bozza di bando", "crea bando", ok? (0.5)

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19

((Clara fa un cenno di assenso))

20

se io faccio questa azione, sotto mi si apre [...]

Nel tempo di circa cinquanta secondi in cui si è svolto il confronto tra Clara e Mario, sono state numerose le occasioni in cui, contemporaneamente alla realizzazione dell’artefatto grafico, si sono verificate delle azioni collettive di “codificazione” e di “messa in evidenza” (Goodwin, 2003). Nella riga 3 Clara ha indicato con un gesto della mano il luogo sulla pagina dove ha inteso inserire l’ingresso del configuratore. In questo modo ha suddiviso l’ambiente della scrivania tra “figura” e “sfondo”, facendo emergere gli elementi pertinenti alla rappresentazione della propria idea. Così facendo Clara ha trasformato l’oggetto materiale, costituito dalla pagina, in una struttura ordinata di significati, in grado di dare forma alla propria immaginazione e rendendola condivisibile agli altri attori.

figure 49 e 50 - fotogrammi delle interazioni avvenute durante il workshop di paper prototyping

Nelle righe 13 e 14 è invece Mario a accompagnare il proprio parlato con i gesti, suddividendo l’intera rappresentazione di fogli, scritte e post-it in sotto-sezioni ordinate (i frame di navigazione che compongono il “menu principale”). Pertanto l’artefatto non è un semplice riflesso del parlato, bensì lo completa organizzando il discorso in un modo a cui la lingua parlata non può far ricorso. La sequenza degli atti verbali e dei gesti che compongono questa fase della progettazione, evidenziano il ruolo cruciale che ha assunto il mock-up nelle mani degli attori.

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Quest’ultimo è stato oggetto di una costruzione collettiva dei partecipanti che, insieme a Mario e Clara, si sono alternati nel corso di tutto il workshop. Ognuno di essi ha avuto la possibilità di manipolare materialmente e di confrontarsi verbalmente con i colleghi, assumendo di volta in volta il ruolo di ideatore, di progettista e di prototipista. La pagina cartacea descrive e illustra il “menu principale” quale risultato della rappresentazione collettiva delle attività lavorative degli attori. Quanto è stato incorporato nell’artefatto è infatti il risultato del particolare confronto avvenuto tra i redattori. Esso è particolare perché: • sono stati utilizzati strumenti specifici (carta, post-it, ecc.); • i partecipanti sono stati collocati all’interno di un determinato assetto organizzativo e materiale (che ha determinato il numero dei partecipanti e la disposizione spaziale delle persone e degli oggetti attorno e sul tavolo di lavoro).

Workshop “XO+?” di “scacco in tre mosse”

Nel corso del quarto incontro (cfr. capitolo 1) l’obiettivo del workshop è stato quello di riprogettare l’interfaccia del sistema informativo “scacco in tre mosse”. Per questo i partecipanti hanno lavorato in piccoli gruppi composti da tre a cinque persone. Così suddivisi gli attori hanno animato le attività di riprogettazione dell’interfaccia, disponendo solo in questa occasione di personal computer e: • utilizzando i monitor per visualizzare i contenuti delle schermate del sistema informativo; • esplorandone l’architettura con un browser per la navigazione degli ipertesti. Avere a disposizione dei personal computer ha permesso ai partecipanti del “laboratorio bandi on-line” di simulare l’uso di “scacco in tre mosse” nel suo ambiente di origine, ossia in quello digitale. Inoltre, il fatto che tale applicativo fosse un ipertesto, e perciò navigabile secondo canoni standardizzati e in uso nella maggior parte dei siti web, ha facilitato il compito degli utenti durante la sua esplorazione.

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Agli attori sono stati forniti gli ormai consueti strumenti di creazione e di manipolazione delle interfacce cartacee come i post-it, i cartelloni, i pennarelli e quant’altro utilizzato durante tutti i workshop di re-design delle interfacce presentati fino a qui. Però solo i partecipanti che hanno animato e popolato questo incontro hanno avuto la possibilità di ricorrere alle potenzialità offerte dall’informatica, appropriandosene per arricchire i propri contributi nei workshop, e semplificando al tempo stesso il proprio lavoro.

figure 51 e 52 - fotogrammi delle interazioni avvenute durante il workshop XO+? di “scacco in tre mosse”

Il gruppo che ho preso in esame in questa analisi è composto da tre lavoratori di Binarius. La disposizione spaziale che hanno assunto è visibile nelle figure 51 e 52: seduti tutti allo stesso lato della scrivania. Questa disposizione è probabilmente dovuta al piccolo numero dei componenti del gruppo e alla specificità del “centro di reciproca interazione”. Quest’ultimo è differente dagli altri presentati nelle analisi precedenti, poiché si tratta di un insieme eterogeneo fatto di realtà materiali e virtuali. Nelle interazioni che i membri hanno tessuto, c’è stato un continuo altalenarsi tra l’uso della carta e quello delle immagini trasmesse dai monitor, ossia tra i blow-up cartacei e l’ipertesto navigabile sullo schermo. Entrambi fanno parte della medesima realtà che è stata presa in considerazione dagli utenti-progettisti nel workshop “XO+?”, succedendosi nel corso degli eventi e divenendo di volta in volta la figura e lo sfondo l’una dell’altra. Le immagini (51 54) illustrano degli istanti tratti dalla sequenza in cui gli attori hanno attivato un confronto riguardo una specifica pagina del sistema informativo. Nell’atto di argomentare, il soggetto 60


seduto al centro ha fatto un uso frequente di termini indessicali. Con essi si è riferito a una funzione operativa incorporata nel software, che ha potuto provare e visualizzare sullo schermo insieme ai colleghi. I gesti che hanno accompagnato le parole del soggetto, hanno creato una sorta di ponte tra quanto detto (in riferimento a quanto trasmesso dallo schermo) e le immagini stampate sui fogli.

figure 53 e 54 - fotogrammi delle interazioni avvenute durante il workshop XO+? di “scacco in tre mosse”

Una considerazione particolare è legata alla collocazione del monitor. Se infatti gli attori erano dislocati su un unico lato della scrivania è perché erano vincolati dalle possibilità di fruizione delle immagini trasmesse dallo schermo. Inoltre le immagini (51 - 54) dimostrano che avendo a che fare con un personal computer, appunto, l’interazione concreta con la macchina è stata necessariamente gestita in un rapporto uno-a-uno. Così il gruppo ha organizzato il lavoro dividendo la pratica di navigazione (con il computer) da quella di manipolazione (con i blow-up e i post-it). Anche la dimensione del device ha influenzato la possibilità di fruizione delle immagini da parte degli altri membri: lo schermo infatti non è più grande di 17’’. Lo spazio ibrido in cui si situa questo workshop è dunque un fattore determinante delle pratiche collaborative e partecipate che sono state effettuate dagli attori. Lo spazio è ibrido perché è “digitale” e “analogico”, dando una specifica forma sia alla comunicazione che alla coordinazione. Le figure 55, 56 e 57 illustrano come i compiti siano stati suddivisi dagli attori per far fronte all’eterogeneità degli strumenti a disposizione. 61


Ciò che si vuole sottolineare in questo caso non è se lo “spazio ibrido” sia da valutare in quanto veicolo di innovazione; e nemmeno si vogliono qui misurare gli esiti dei processi di progettazione partecipata confrontando ambienti totalmente paper-based contro ambienti come questo. Osservando queste immagini verrebbe da chiedersi piuttosto che cosa succederebbe se gli utenti potessero usufruire di un ambiente totalmente digitale. Un ambiente, quindi, che permetta sia la navigazione virtuale degli ipertesti, e al tempo stesso una manipolazione sincronica e collettiva delle pagine e delle funzioni. Invece di un “centro di reciproca interazione” composto da immagini trasmesse dal monitor e da fogli e post-it sulla scrivania, si potrebbe immaginare un unico spazio in grado di ospitare l’oggetto, gli strumenti, e le manipolazioni plurime ad opera degli utenti-progettisti. Se ogni partecipante avesse avuto a disposizione la medesima accessibilità agli strumenti e ai contenuti, cosa sarebbe successo? Che risultati sarebbero emersi se ogni individuo avesse potuto coniugare l’attività di navigazione, necessaria ad figure 55, 56 e 57 - compiti suddivisi dagli attori per far fronte all’eterogeneità degli strumenti a disposizione

esempio a comprendere l’utilità della pagina all’interno del più vasto sistema informativo, con l’attività di manipolazione, quindi con la vera e propria attività di riprogettazione dell’interfaccia?

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Il ruolo del multi-touch

In questo capitolo sono stati descritti alcuni degli eventi in cui gli utenti che hanno partecipato al “laboratorio bandi on-line” hanno fatto emergere la propria creatività durante attività di collaborazione cognitive e materiali. La creatività è stata la leva con cui i partecipanti hanno creato e rielaborato, a seconda delle occasioni, le interfacce dei sistemi informativi. Tale creatività non era legata al lavoro individuale delle persone, bensì era il frutto della collaborazione tra gli individui che compongono il gruppo di lavoro (Sundholm et al., 2004). Invece di considerare tale fenomeno come una proprietà individuale, un tratto inserito e racchiuso dalla mente di un singolo attore, questa prospettiva propone di concepirla come un elemento diffuso all’interno di un gruppo. Il quadro che ho cercato di delineare a partire dalla descrizione del caso di studio fino ad arrivare all’analisi dei workshop, è stato quello di un contesto contraddistinto dalle parole chiave di: • promozione della creatività nelle attività rivolte all’innovazione organizzativa; • ricerca della semplicità nell’utilizzo degli strumenti di lavoro di progettazione e di redesign; • ampliamento della partecipazione e della collaborazione degli attori in ogni fase del processo di progettazione dei sistemi informativi.

È perciò all’interno di questo quadro che ho inteso sviluppare le idee circa un possibile utilizzo della tecnologia multi-touch. Ancor prima di immaginare con quale forma e con quali applicativi, la mia ricerca è stata dunque rivolta alla definizione del contesto nel quale immergere le proprietà, le feature, che essa necessita. Ciò per soddisfare un prerequisito fondamentale allo svolgimento di questo elaborato, ossia quello di cominciare il mio lavoro creativo a partire da un contesto reale e, perciò, dal concetto di tecnologia-in-uso. Con esso intendo adottare un approccio relazionale, che non analizzi in modo separato la tecnologia, il contesto di reale utilizzo e i potenziali utenti, ma che sia focalizzato nelle reciproche interazioni che compongono il sistema socio-tecnico.

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Il multi-touch è da intendersi come un “boundary object”: uno strumento che permette a differenti realtà di comunicare chiaramente ed efficacemente, in grado di far raggiungere una comprensione condivisa dei problemi organizzativi tra gli utenti che popolano il contesto: tra redattore e redattore, ma anche tra redattore e progettista. Quest’ultimo è da intendersi come la tipica figura (o le figure) che tradizionalmente accompagna i processi di cambiamento organizzativo e tecnologico: un consulente, un progettista, un esperto, proveniente da una differente cultura organizzativa e che quindi adotta necessariamente una propria e originale visione professionale (Goodwin, 2003).

Le proprietà più evidenti e superficiali di un dispositivo multi-touch sono già state introdotte nel paragrafo 2.3. In questa sede propongo comunque un accenno riguardo quanto concerne alle possibilità di interazione tra l’uomo e il device. Non è infatti trascurabile che le feature del multi-touch possano (è un interrogativo tuttora da superare) mettere da parte il modo di interazione tradizionale, permettendo una comunicazione basata su gesti fisici più naturali. Il concetto di “gestualità digitalizzata” significa che le interazioni hanno luogo nel device, attraverso gesti non mediati da, per esempio, mouse e tastiere. Il multi-touch è un ambiente nel quale input e output corrispondono, perciò gli utenti possono interagire fisicamente e direttamente sulla superficie dello schermo, dove gli effetti appaiono simultaneamente alle loro azioni. Ritengo pertanto che questo specifico tipo di configurazione oltrepassa il modo tradizionale con cui ci si relaziona coi computer. Conformemente all’approccio scandinavo del Participatory Design, propongo una prospettiva che sottolinei l’importanza che nella progettazione ha: • il ruolo di una comunicazione chiara e efficiente; • la comprensione reciproca fra gli utenti; • la trasmissione di conoscenza tra differenti comunità di pratiche esperte.

In questa prospettiva la progettazione è un insieme di pratiche discorsive nelle quali vengono trasmesse continuamente idee, competenze, opinioni e visioni individuali legate al sapere e al saper fare degli attori organizzativi. Questi elementi ricalcano il concetto di “simmetry of ignorance” (Arias et al, 2000), nel senso che rappresentano l’insieme di conoscenze tacite e

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distribuite nell’organizzazione necessarie alla risoluzione dei problemi e, nel caso “laboratorio bandi on-line”, al processo creativo legato alla progettazione e al re-design delle interfacce dei sistemi informativi. Durante l’analisi dei workshop il contesto è stato approfondito e ulteriormente definito secondo i canoni da me proposti. In tale contesto è allora plausibile domandarsi quali possano essere le proprietà del multi-touch che vi si riferiscono e con quali possibili effetti.

È necessario precisare che proprio conseguentemente alla scelta di immaginare l’uso del multi-touch in ragione delle “categorie forti” emergenti da tale contesto, è plausibile e ragionevole pensare che: un’analisi rivolta a un differente contesto organizzativo difficilmente possa e debba fornire degli esiti che li ricalchino alla perfezione. Le “categorie forti” del multi-touch sono legate al caso di studio e quindi sarà al suo interno che potranno fornire delle proposte di “uso”. Con quanto detto non si vuole escludere la possibilità di utilizzare in altri contesti le “categorie forti”, ma ritengo sia raccomandabile tenere conto del fatto che esse sono emerse da un caso particolare e da esso sono state definite.

3.1 Categorie forti del multi-touch Le conferme empiriche che ho ritrovato nel caso, riguardanti l’uso situato di metodi di progettazione partecipata di sistemi informativi che richiamassero e permettessero l’introduzione e l’uso del multi-touch, richiamano a mio avviso queste “categorie forti”: • comunione; • traduzione; • destinazione; • stoccaggio della memoria.

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Comunione

L’interazione uomo-macchina può diventare, grazie alla proprietà del multi-tocco e ad una dimensione sufficiente dello schermo, un’interazione fra più uomini e il computer. Le attività coordinate e prossemiche svolte da piccoli gruppi di attori (e non da singoli individui) promuovono l’utilizzo del multi-touch per accompagnare le pratiche, ad esempio, di “paper prototyping” quali esempio concreto di bricolage (Ciborra, 2002). Con un computer tradizionale (schermo, tastiera e mouse) è certamente possibile lavorare in gruppo, ma ciò comporta la suddivisione e l’organizzazione delle competenze. Come abbiamo visto nel workshop “XO+?” di “scacco in tre mosse” i tre componenti del gruppo hanno organizzato il lavoro differenziando i compiti, sebbene ognuno avesse le medesime competenze dei colleghi in fatto di utilizzo del computer. Un solo soggetto ha interagito con la macchina, mentre gli altri due si occupavano della manipolazione delle interfacce cartacee. Il re-design dell’interfaccia è stato perciò sviluppato grazie ai contributi di ognuno, trasmessi attraverso il parlato e accompagnato da gesti indessicali rivolti di volta in volta allo schermo e alle stampe sparse sulla scrivania. Il concetto di “comunione” propone l’eventualità di condensare le attività interpretative e manipolatorie in un unico ambiente, mantenendo inalterate le caratteristiche delle pratiche di progettazione partecipata presentate.

Traduzione

Il confronto dei giudizi e delle rappresentazioni effettuato tra gli attori coinvolti nel processo di progettazione e re-design delle interfacce può svolgersi in altri modi rispetto a quelli tradizionali: direttamente e in maniera tangibile sulla superficie di un display multi-touch. A partire dal caso “laboratorio bandi on-line” si possono immaginare workshop simili e organizzati con l’ausilio di software dedicati alla modellazione e alla progettazione di interfacce. Tali software dovranno ovviamente riconoscere ed elaborare molteplici tocchi da parte degli utenti. 66


Nel workshop di “paper prototyping” del “configuratore bandi” ho mostrato il confronto verbale che si è verificato tra due partecipanti del gruppo: in quell’occasione entrambi i soggetti hanno rappresentato la propria idea su come sviluppare concretamente l’interfaccia del sistema informativo. La rappresentazione di ognuno ha fatto uso sia di dialoghi verbali, sia di gesti indessicali indirizzati all’artefatto in costruzione: gesti che hanno indicato e specificato il parlato, e azioni accompagnate da parole utili a chiarire e contestualizzare il gesto. In quell’occasione, dunque, molte parole sono state spese per dare significato alle azioni e per creare degli esempi su “come avrebbe potuto essere l’interfaccia”, su che cosa stesse intendendo in concreto l’attore parlante. Utilizzando un dispositivo multi-touch - completo dei suddetti software - l’organizzazione del parlato e dei gesti potrebbe essere differente, e forse migliore. Il display può mostrare il workin-progress della progettazione dell’artefatto, e in questo ambiente digitale incorporare gli atti linguistici degli attori dediti all’esemplificazione della propria idea. Invece di spiegare “che cosa” o “come” disporre gli elementi nell’interfaccia o quali azioni siano ad essi associate, l’utente-progettista avrebbe la possibilità di trasmettere la propria idea attraverso la manipolazione dell’oggetto in costruzione. La “traduzione” che può effettuare il multi-touch è ancor più vantaggiosa quanto più gli attori che interagiscono appartengono a comunità di pratiche differenti: vocabolario, competenze, visioni professionali che divergono e che rendono più difficile la reciproca comprensione. La possibilità di spiegare e di confrontarsi “in pratica” circa il re-design dell’interfaccia, può promuovere il lavoro collaborativo che è stato svolto dai partecipanti dei sottogruppi del laboratorio.

Destinazione

Si è visto nel racconto del caso di come la conduzione del processo di innovazione da parte degli utenti di Binarius sia stata considerata un prerequisito fondamentale al successo del laboratorio. La scelta di dotarsi di un sistema informativo che presentasse un’interfaccia progettata dagli utenti stessi è stata una conseguenza dell’adozione dell’approccio partecipato.

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Le tecniche del “paper prototyping” e “XO+?” hanno permesso a soggetti non esperti nella progettazione e implementazione di architetture informatiche, di realizzare comunque il prototipo del nuovo “configuratore bandi”. Fogli di carta, post-it, forbici e colla sono stati senza dubbio fondamentali a far emergere e concretizzare la creatività dei partecipanti. Questi strumenti si sono rivelati perciò in grado di creare - in maniera semplice, creativa ed efficace una guida intelligibile agli esperti di informatica. Proprio grazie a tale guida gli informatici potranno successivamente tradurre e trasferire la conoscenza delle pratiche lavorative dell’organizzazione all’interno di un ipertesto. A quel punto si potranno verificare nell’ambiente informatico - che è appunto l’ambiente di destinazione del “configuratore bandi” - quali siano i punti di forza e di debolezza derivanti dall’implementazione del sistema informativo. Ma è proprio necessario effettuare questo passaggio di traduzione? Poniamo il caso di poter arrangiare su di un dispositivo multi-touch degli applicativi che, digitalizzando la naturale gestualità umana, permettano agli utenti (non esperti nell’uso del computer) di effettuare con la medesima semplicità le operazioni di creazione, rotazione, taglia-incolla, ricollocazione, effettuati con gli strumenti materiali dei workshop presentati (post-it, forbici, ecc..). Poniamo inoltre il caso che lo schermo del multi-touch sia grande abbastanza da permettere un’organizzazione partecipata e collaborativa delle attività. In tale caso allora la costruzione di - ad esempio - l’interfaccia di un ipertesto, potrà godere dell'ambiente digitale perché l'ambiente di discussione (nel quale la progettazione è in atto) combacia con quello di destinazione (cioè di reale utilizzo). Questo comporterebbe quindi la possibilità di effettuare in loco l’implementazione dell’artefatto socio-tecnico. L’implementazione non dovrebbe quindi essere necessariamente effettuata una volta che il processo di ideazione e progettazione sia arrivato al termine, bensì può essere eseguito volta per volta, anche solo per verificare piccole modifiche. Inoltre il test dell’interfaccia nell’ambiente digitale potrebbe essere effettuato autonomamente dagli attori che partecipano alla progettazione. Nel caso di studio è plausibile pensare allora a dei progettisti di bandi che hanno la possibilità di testare l’eseguibilità dell’ipertesto durante lo svolgersi dei workshop e senza l’intervento di soggetti esterni.

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Stoccaggio della memoria

Durante le sessioni partecipate di progettazione, e soprattutto durante i workshop, le attività degli utenti sono state memorizzate in video-registrazioni, foto, appunti e conservando gli artefatti cartacei da loro prodotti (mock-up). Queste “memorie” hanno permesso di conservare quanto è stato detto e prodotto nel corso del laboratorio, perché restasse a disposizione degli utenti negli incontri successivi. Questo materiale ha molto valore per chi si occuperà in seguito di informatizzare i risultati prodotti dai partecipanti. Questo materiale è stato indispensabile - ad esempio - per effettuare questa ricerca. Tali esempi evidenziano l’importanza di poter accedervi nel corso del tempo. Ogni canale citato offre una rappresentazione originale per la prospettiva e le proprietà stesse del media. L’ambiente digitale del multi-touch permetterebbe, come qualsiasi altro computer, una continua memorizzazione delle interazioni degli utenti, nonché lo stoccaggio degli oggetti prodotti durante il suo utilizzo. Nel caso di studio è emerso come gli attori hanno partecipato alla rappresentazione collettiva delle attività lavorative di Binarius. Nell’analisi del workshop “XO+?” del “tender configurator” hanno annotato sui blow-up (le stampe cartacee di alcune “videate” del sistema informativo) i propri commenti, modificando inoltre il contenuto degli stessi. Le interazioni sono state filmate, le stampe sono state conservate e inoltre fotografate. Ma se i blow-up non fossero stati cartacei, e piuttosto fossero stati delle rappresentazioni virtuali su di uno schermo tattile? Un display in grado di garantire la medesima semplicità delle attività e la collaborazione sincronica dei partecipanti? Insomma, la capacità dei computer di memorizzare, riprodurre e trasferire delle informazioni è ben nota. Immaginando che tali informazioni possano condensare e riproporre il lavoro creativo, partecipato e collaborativo di progettazione delle interfacce, si apre un ventaglio davvero considerevole di possibilità. Tale lavoro va ovviamente inteso sia nella veste delle attività dei workshop, ma anche in quella dei risultati incorporati negli artefatti.

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Affordance e “categorie forti”

Le “categorie forti” sorgono da una sorta di parallelismo del concetto di affordance, e con esso hanno infatti molto in comune. Coniato dallo psicologo percettivo J.J. Gibson (1979) e ripreso successivamente da altri autori, tra cui spicca il nome di Donald A. Norman (1988), il termine affordance riflette le relazioni possibili che intercorrono tra gli attori e gli oggetti: cioè delle proprietà del mondo reale. Per Gibson le affordance sono quindi delle relazioni che fanno parte della natura: possono non essere visibili, conosciute o desiderabili. Alcune affordance possono essere pericolose, altre ancora possono non essere ancora state svelate e si può legittimamente sospettare che talvolta possano risultare inesauribili. A differenza di Gibson, Norman si interessa soprattutto della progettazione dei prodotti e non più solo agli oggetti in quanto tali. Gli artefatti possono avere sia affordance reali che percepite, e le due possono non essere la stessa cosa. Soprattutto nel dominio delle interfacce grafiche - prosegue Norman - ciò che è possibile controllare da parte dei progettisti sono le affordance percepite. Il computer tradizionale, quello cioè dotato di tastiera, monitor, mouse, offre delle modalità di interazione come, ad esempio, il puntamento e il “click” del mouse. Molte di queste affordance non hanno valore secondo l’autore. Così, anche se il display non è touch-screen, cioè se non rileva la pressione delle dita sullo schermo, esso presenta comunque una rappresentazione che promuove il tocco e la manipolazione da parte dell’utente, con l’unico risultato di non produrre alcun effetto nel sistema computerizzato. Tutti gli schermi “afford” il tocco delle mani, ma è solo il multi-touch a essere in grado di riceverlo e di elaborarlo. Questo è il punto principale che intendo sviluppare nel prossimo capitolo. Il tocco delle mani - il multi-touch - è quanto ritengo possa aprire degli scenari di utilizzo ancora celati e tuttora da dimostrare. Si cercherà di rendere “percepibili” le affordance seguendo così il consiglio di Norman, in modo tale da rendere disponibile agli utenti (del caso presentato) il ventaglio delle possibili attività legate all’uso di un dispositivo multi-touch.

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Capitolo 4 Scenari d’uso

Il contributo originale di questa tesi termina con la presentazione degli scenari, con cui si illustreranno degli esempi narrativi di come la tecnologia multi-touch possa essere vissuta in un contesto di progettazione partecipata di sistemi informativi. A tale riguardo ritengo che la riflessione sulla “tecnologia multi-touch” espressa finora, rappresenti un esteso e complesso concetto con cui è possibile costruire degli scenari nei quali immaginarne l’uso. La descrizione degli scenari dell’uso situato e pratico della tecnologia, creerà le visioni in cui poter immaginare il multi-touch quale strumento di accompagnamento alle metodologie di Participatory Design. Gli scenari illustreranno un futuro plausibile, ma non sono da intendersi come delle predizioni. Lo scopo di questo capitolo non è quello di fornire delle previsioni sul futuro che avrà la tecnologia multi-touch. Gli scenari vanno intesi piuttosto come delle prospettive di uso del multi-touch entro una visione “come se”. Perciò saranno contraddistinti da una duplice natura: sia di prototipazione, che di ricerca. Di prototipazione perché si immagineranno le caratteristiche possibili che avrà il dispositivo multi-touch, come potrebbe funzionare e come gli utenti interagiranno con esso. Di ricerca per creare un set concettuale di origine empirica (il caso “laboratorio bandi on-line”) in preparazione di una, eventualmente, fase successiva di sperimentazione sul campo. Tale fase potrà contare sull’analisi effettuata nei capitoli precedenti di questo elaborato, che hanno portato alla definizione degli scenari quali ipotetici casi in cui il multi-touch verrà utilizzato in sessioni di progettazione partecipata dei sistemi informativi. Con la sperimentazione sarà quindi possibile verificare quanto e come il multi-

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touch possa essere utile e innovativo alle pratiche creative e collaborative di progettazione partecipata. Il motivo per cui i risultati di questo elaborato saranno presentati sotto forma di scenari è perché con essi è possibile prevedere e immaginare nuove attività che possono essere prodotte dall’interazione con un nuovo artefatto (Carroll, 1995). Non sono storie tratte dal presente, ma offrono uno sguardo a un futuro che può, ma non deve, essere realizzato. Essi sono casi rappresentativi delle situazioni reali in cui gli utenti svolgono le loro attività e permettono di esprimere dettagliatamente le situazioni d’uso, documentando punto per punto le azioni verbali, i gesti e le interazioni degli utenti. Gli scenari saranno presentati sotto forma di testi, ossia di narrazioni nelle quali saranno definiti in maniera astratta i contesti, gli attori e le attività: come delle sceneggiature di eventi nelle quali prenderanno forma le tipicità delle situazioni e la sequenza di eventi che le caratterizza. L’uso delle “categorie forti” presentate nel capitolo precedente sarà fondamentale, e imprescindibile, nella narrazione creativa degli scenari. Ciò in ragione della volontà di adottare un approccio alla tecnologia “in uso” e non alla “tecnologia in sé”: ossia un tipo di indagine che prenda spunto dalle pratiche situate di attori reali in contesti reali, e non dalle sole caratteristiche del multi-touch, (quali ad esempio le specifiche tecniche definite dai suoi creatori). Negli scenari si esploreranno quindi alcuni dei plausibili usi futuri del multi-touch, originati sulla base dalle caratteristiche dei workshop di progettazione partecipata emerse dall’analisi del caso “laboratorio bandi on-line”. La narrazione sarà ambientata in una ipotetica situazione in cui i limiti economici, di tempo e cognitivi vengono retoricamente sorpassati per mettere in luce quegli aspetti che ho ritenuto maggiormente significativi allo scopo di sintetizzare e presentare gli esiti prodotti dall’analisi del caso. Il primo e il secondo scenario presentano entrambi delle variazioni dei tradizionali workshop di progettazione partecipata, molto simili a quelli che ho potuto vedere nel caso di studio di questa tesi. Tali scenari riguardano dunque il Participatory Design ed entro tale approccio che vanno considerate le idee proposte. Tali idee, in cui vengono fatti interagire gli attori e il multi-touch, sono solo alcune semplici proposte, assolutamente non esaustive, perché determinate da una mia personale scelta che deriva dall’esperienza con cui ho analizzato il caso.

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Nel terzo scenario si proporrà un semplice esempio di progettazione nel campo del design urbanistico. Tale esempio può fungere da ispirazione per immaginare l’uso del multi-touch in altri e nuovi campi, avvalendosi certamente dell’esperienza accumulata nell’analisi delle pratiche situate di progettazione partecipata, e allontanandosene consapevolmente. Per questo motivo il terzo scenario va considerato semplicemente come una proposta per ispirare, anche esteticamente, un uso collaborativo e creativo del multi-touch.

Scenario 1 - Il co-design degli ipertesti Marta lavora per una importante società che ha sede nel centro di una grande città. Nello specifico si occupa di semplificare e rendere più efficace la comunicazione nel world wide web. Il suo lavoro richiede di gestire personalmente i rapporti con i clienti che si rivolgono all’azienda. Oggi è una giornata importante per Marta, perché questa mattina arriveranno due importanti clienti stranieri. Si sente sicura per quanto riguarda il proprio lavoro, ma teme che troppo spesso ciò che vuole proporre al cliente venga frainteso o almeno non pienamente compreso; soprattutto se è costretta a parlare in una lingua straniera. Un problema, quello dell’ambiguità della comunicazione, che Marta ha imparato a non sottovalutare nel corso degli anni. All’ora prevista Marta incontra i clienti stranieri nel proprio ufficio. Li fa accomodare alla propria scrivania e distribuisce loro il brief del progetto che è già stato concordato per e-mail: il design dell’architettura del portale internet della società dei clienti. La conversazione ha così inizio, durante la quale vengono ripresi i punti fondamentali che saranno svolti durante l’incontro. Al termine di questa breve introduzione riepilogativa, Marta mette da parte il brief cartaceo e preme un interruttore sotto il piano di vetro della scrivania. Immediatamente la superficie si illumina, mostrando un display multi-touch grande all’incirca una trentina di pollici. Lo schermo mostra una tela completamente bianca, ad eccezione di una serie di simboli raccolti in una palette disposta sulla sinistra dello schermo. A questo punto Marta invita i clienti a disegnare uno schizzo - “to sketch” - dell’idea che hanno in mente per il progetto. Marta appoggia il dito sul simbolo “!” per attivare la funzione “tratto libero”, tracciando così delle forme sulla tela, passando semplicemente il dito sulla superficie 73


dello schermo. Appoggiando il dito sul simbolo “"” la tela torna nuovamente bianca. I clienti possono così cominciare la creazione a quattro mani del proprio disegno, facendo uso anche di alcune forme geometriche: “▢” “△” “⃝” utili per rappresentare differenti concetti e categorie. Proseguendo nel lavoro Marta consiglia loro di porre dei titoli, delle “label”, alle forme. Così mostra loro che premendo il simbolo “ !"” appare un pop-up sullo schermo, sul quale lampeggia un cursore proprio come accade nei più comuni software di videoscrittura. Contemporaneamente è visualizzata una tastiera digitale che mostra uno switch grafico con diverse configurazioni: alfabeto latino, greco, cirillico; ma anche arabo, indiano e cinese. I clienti, dato che provengono dall’estremo oriente, scelgono l’opzione “cinese”. Il testo può essere spostato su qualsiasi parte della tela, tenendo semplicemente il dito appoggiato sull’oggetto e spostandolo a piacimento su tutta la superficie dello schermo. Inoltre tutte le figure e le caselle di testo possono essere spostate e modificate successivamente, Marta mostra come puntando due dita alle estremità di un oggetto, questo possa essere ingrandito o ridotto allontanando o avvicinando gli indici. Il sistema permette anche altri tipi di manipolazione: gli oggetti possono venire capovolti e ruotati, impilati, trasportati fuori dalla tela grafica e così eliminati. Dopo circa dieci minuti i clienti hanno concluso la propria bozza di rappresentazione. Si tratta di un insieme di forme titolate e disposte verticalmente secondo un ordine gerarchico. Per semplificare il proprio lavoro Marta esegue la funzione di “traduzione automatica”: il sistema aggiunge immediatamente le traduzioni in lingua italiana a tutti i testi in cinese. Le figure rettangolari sono state utilizzate per rappresentare le pagine web, infatti quella posta in cima è titolata “home page”. All’interno di queste Marta nota che le figure tonde sono state utilizzate per occupare l’ipotetico spazio riservato ai contenuti multimediali, mentre quelle triangolari (di piccole dimensioni) sono state utilizzate per rappresentare i pulsanti, cioè i comandi ipertestuali all’interno delle pagine. A questo punto Marta invita i clienti a tracciare delle linee di congiunzione tra gli oggetti, in modo da definire (aggiungendo eventualmente anche del testo) il tipo di relazione che intercorre tra questi. In questa seconda fase i clienti tracciano i link e riordinano definitivamente le figure e i testi che compongono la loro idea di architettura del portale. Marta preme il pulsante “!” ed effettua un salvataggio del lavoro finora prodotto, per poi suggerire alcune migliorie, consigliando delle modifiche che illustra direttamente sul documento: spostando alcuni oggetti, ri-etichettandoli e aggiustando alcune relazioni. Dopo aver salvato con

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un altro nome questa versione, Marta giustifica tali modifiche ripescando dal sistema il file precedente e “avviandolo”. Il computer elabora lo schema, trasformandolo in un ipertesto navigabile da un qualsiasi browser internet. I testi vengono trasformati in titoli e paragrafi, le forme rettangolari in frame, quelle tonde in loghi di immagini e filmati e le linee scompaiono tramutandosi in link attivi sulle forme triangolari. In questo modo Marta può mostrare loro come lo schema, in un contesto d’uso, presenti alcune ambiguità di interpretazione per chi lo sta navigando. Inoltre riesce a dimostrare con vari esempi come alcune delle idee dei clienti, apparentemente logiche e sensate durante la fase di ideazione, comportino dei problemi tecnici nella fase di implementazione in un sistema informatico. Infatti Marta può, una volta rilevato l’errore, mostrare in pratica l’effetto con e senza modifiche. In questo modo dimostra di tenere in considerazione la proposta dei clienti, ma allo stesso tempo si dimostra professionale e attenta alla riuscita del progetto.

La progettazione dell’architettura di un sistema informatico insieme ai clienti, presenta un aspetto innovativo se, come in questo caso, avviene simultaneamente alla fase di test. Tradizionalmente il rapporto cliente-fornitore può comportare lungaggini inutili e pause tra un intervento e l’altro. Principalmente questo accade a causa di limiti di tempo, anch’essi dovuti ad altri limiti legati all’organizzazione del lavoro e alla tecnologia a disposizione. Nello scenario si è cercato di mettere in luce cosa potrebbe accadere se fosse possibile condensare alcune fasi del progetto in un’unica, rapida seduta. Inoltre il lavoro di Marta ha richiesto competenze sociali oltreché tecniche. Infatti è stato necessario instaurare un clima di fiducia e di rispetto con i clienti per far sì che essi si riconoscano quale parte attiva e primaria nel processo di definizione conclusiva dell’idea. Lo scenario mostra così un esempio di progettazione partecipata di un ipertesto. Benché i veri e propri utenti finali del portale non siano stati interpellati, è pur vero che i rappresentanti portano con sé una personale visione di come il portale dovrà essere. Tale visione è codefinita dalla loro cultura organizzativa e dall’esperienza professionale accumulatasi nel tempo attraverso i contatti con gli stakeholder della società.

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Comunione I due clienti dello scenario creano e manipolano una rappresentazione condivisa dell’idea del portale della propria società. Le attività di collaborazione si compongono di coordinate azioni di manipolazione degli oggetti rappresentati sulla superficie del multi-touch, e da atti verbali di definizione e chiarificazione rivolti sia l’uno all’altro, sia a Marta quale facilitatrice delle pratiche di progettazione. L’attributo “multi-tocco” e una dimensione sufficiente dello schermo hanno permesso a tutti e tre gli attori di partecipare alla co-costruzione di una rappresentazione che includesse tre visioni, ognuna con un retroterra culturale, lavorativo e storico differente. Ma ciò che più importa è che tale co-costruzione è stata sincronica e dialogica: la mediazione dello strumento tecnologico tra gli attori non solo non ha agito come un limite alle interazioni faccia-a-faccia, ma anzi ha permesso di accompagnare il parlato e i gesti a uno spazio digitale. Tale spazio tangibile ha “digitalizzato” la gestualità degli attori: • permettendo a ognuno di lavorare contemporaneamente agli altri; • permettendo un tipo di interazione uomo-macchina mediata da gesti semplici e naturali sullo schermo; • permettendo una presentazione visuale del parlato.

Destinazione Aver creato una bozza del sistema su un dispositivo multi-touch, invece che con gli strumenti tradizionali del paper prototyping, ha facilitato il lavoro di Marta. Ovviamente tale confronto non sarebbe possibile se non fosse stato disponibile un software creato appositamente per ricreare la gestualità naturale delle persone. Fermo restando dunque sulla facilità con cui sono stati adoperati gli strumenti per la creazione dello schema, tutte le conseguenze derivanti dalle potenzialità di un ambiente digitale diventano un surplus produttivo per le attività collaborative descritte nel caso. Nello scenario infatti Marta preme un semplice pulsante e lo schema logico-concettuale cocostruito dai clienti si trasforma in un ipertesto navigabile con un qualunque browser. L’implementazione è raggiunta senza alcun intervento secondario. In altre parole Marta, o chi per essa, ha potuto fare a meno della fase in cui, raccolte le informazioni, si passa alla creazione dell’infrastruttura informatica con appositi software e linguaggi. Ciò comporta 76


inoltre che tale operazione, almeno in teoria, può essere svolta autonomamente dai diretti interessati, senza cioè che essi debbano possedere specifiche competenze informatiche. Uno dei vantaggi è quello di poter testare immediatamente il funzionamento dell’artefatto, racchiudendo in un’unica sessione l’ideazione, la modellazione e l’implementazione dell’ipertesto. Un ulteriore vantaggio risiede nel fatto di poter costruire un definito e completo progetto ipertestuale senza che una terza persona (ad esempio un esperto di programmazione) debba tradurlo in “linguaggio macchina”, senza cioè interpretare quanto costruito dai progettisti-utenti, per poi rielaborarlo e produrre un artefatto che rischia di essere una rappresentazione differente da quella originale.

Traduzione Nello scenario si vede come gli attori comunichino verbalmente, con i gesti e infine si confrontino nella costruzione digitale dell’ipertesto. La progettazione è effettuata tramite il fare: la spiegazione dei concetti che concorrono alla co-costruzione dell’artefatto è accompagnata visualmente dalle immagini create sulla superficie del multi-touch. Lo scenario ha estremizzato le difficoltà comunicative tra gli attori, ponendo che parlassero due differenti lingue. Un limite che può risolversi trovando un linguaggio comune in quello delle immagini, delle azioni e quindi della pratica.

Scenario 2 - Il brainstorming multi-touch Nel corridoio degli uffici Marco incontra Max, il consulente esterno, al distributore di caffè. Ne approfitta per fare quattro chiacchiere prima che inizi la loro giornata di lavoro insieme. Max preferisce definirsi un “facilitatore” e anticipa a Marco che la giornata odierna non sarà faticosa, forse addirittura divertente. Alle dieci esatte Marco fa il suo ingresso nell’aula 14, all’ottavo piano del palazzo che ospita gli uffici dell’organizzazione per cui lavora. Vi trova una dozzina di persone, tra cui Max. Le altre facce gli sono ben note: ci sono Zanussi e Braghini dell’ufficio

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acquisti, Maglia e Monni dell’ufficio del personale, Borghi e il giovane stagista dell’ufficio vendite, le tre colleghe dall’amministrazione, e poi Marchisi e Bonetti del marketing. Max prende la parola e richiama l’attenzione dei partecipanti: si presenta a tutti come un “facilitatore”, spiegando in poche parole che il suo compito è di organizzare l’incontro in modo da renderne loro i protagonisti, sia nelle attività che nei contenuti. Successivamente mostra il maxi-schermo posto sulla parete della stanza e, con esso, la proposta di effettuare un brainstorming partecipato, per definire gli obiettivi del gruppo di lavoro a partire dalle considerazioni di ognuno. Max spiega che il maxi-schermo è solo uno degli strumenti tecnologici che utilizzeranno. Nella stanza sono infatti stati preparati tre dispositivi multi-touch, sui quali Marco e i suoi colleghi lavoreranno in gruppi di quattro persone. I multi-touch sono degli schermi quadrati disposti orizzontalmente. Max invita gli impiegati a prendere posto ognuno su un lato dei multi-touch e di prepararsi a «scrivere di getto» le proprie idee, lasciando correre la propria creatività in merito alla domanda «quali concetti descrivono meglio il nostro progetto?». Marco prende posto a un multi-touch insieme a Braghini degli acquisti, Bonetti del marketing e il giovane stagista delle vendite. Formato così un gruppo eterogeneo la sessione di brainstorming può avere inizio. Lo schermo del multi-touch, nota Marco, presenta un colore diverso per ogni lato, identificando cromaticamente i quattro partecipanti. Senza alcuna istruzione il giovane stagista poggia la mano sull’area colorata posta davanti a sé: immediatamente appaiono un popup lampeggiante(una sfera gialla) e una tastiera grafica. Seguendo l’esempio anche gli altri poggiano la mano sull’area dinanzi, moltiplicando il numero dei pop-up sul display. Lo schermo si riempie di sfere gialle, verdi, rosse e azzurre contenenti parole e brevi frasi: in breve tempo lo spazio comincia ad essere piuttosto affollato. Max propone ai partecipanti di fare un po’ di ordine nello spazio, raggruppando dove possibile i concetti simili. Questa volta Marco prende l’iniziativa: poggia una mano sulla sfera «efficienza» (in azzurro) e un’altra su «time-saving» (in verde) e mantenendo la “presa”, le avvicina l’una all’altra. I colleghi aiutano Marco, partecipando ognuno ad arrangiare le sfere. Talvolta possono non essere d’accordo, per cui nasce un confronto per decidere se mettere una sfera in quel mucchio o nell’altro, ma in breve sulla superficie del multi-touch le sfere sono ordinate in cinque gruppi molto variopinti. Terminata questa fase Max propone di condividere in plenaria i risultati del brainstorming in gruppi. Perciò accende il maxi-schermo posto sulla parete che trasmette le immagini originate da ognuno dei tre dispositivi multi-touch. Marco nota che i cinque gruppi di sfere si trovano nella zona centrale del maxi-schermo, affiancati da diversi gruppi variopinti di cubi, a sinistra, e di

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piramidi, a destra. Su invito di Max ogni gruppo designa un portavoce che, abbandonata la sua postazione, si dirige al maxi-schermo per collaborare con i rappresentanti degli altri gruppi. Viene ripetuta l’attività di riordinare gli oggetti sullo schermo svolta precedentemente. Anche il maxi-schermo infatti è multi-touch, e perciò permette ai tre soggetti di spostare facilmente su tutta la superficie i concetti incastonati nelle figure tridimensionali. Al termine di questa fase le aggregazioni di oggetti sullo schermo sono numerose e quantitativamente poco omogenee, oltreché ovviamente multiformi e variopinte. I partecipanti allora eliminano i termini ridondanti, e giocano con le figure allargando graficamente quelle più significative e riducendo quelle ritenute secondarie. Questa operazione si effettua puntando due indici sulla figura e allontanandoli o avvicinandoli per modificarne la dimensione. Successivamente scelgono di mettere la domanda «quali concetti descrivono meglio il nostro progetto?» al centro dello schermo, di porre vicino le figure più grandi, ossia più significative, e via via quelle più piccole. Nel frattempo i colleghi alle loro spalle partecipano dispensando consigli e opinioni sulle modifiche da apportare. La scena ottenuta presenta aggregati di solidi molto eterogenei per forme e colori, mostrando così l’eterogeneità dei contributi. La sessione di brainstorming può considerarsi conclusa: Max non ha toccato una sola volta nessuno dei dispositivi multi-touch, tantomeno il maxi-schermo, lasciando gli attori liberi e totalmente responsabili dei risultati finora prodotti. L’immagine ottenuta viene salvata e spedita via mail a tutti i partecipanti.

Comunione Soprattutto in questo scenario viene messo in risalto come gli attributi del multi-touch non solo permettano, ma promuovano la collaborazione tra gli utenti. In questo workshop gli utenti coordinano i propri discorsi e azioni in differenti conformazioni socio-tecniche. Inizialmente si lavora in piccoli gruppi di quattro persone. La coordinazione dei gesti è in scena sulla superficie del display, nel quale vengono a registrarsi i contributi di ognuno. Non c’è alcuna divisione dei ruoli, perché i quattro partecipanti contemporaneamente propongono idee, prima, e danno ordine alle “sfere”, dopo. L’attività di sintesi svolta al maxi-schermo ricalca gli stessi principi. Questa volta la posizione del display è verticale e non più orizzontale, in modo da permettere agli attori esclusi dalla diretta manipolazione, di poter comunque partecipare alla definizione collettiva della rappresentazione.

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Destinazione Nel caso di studio “laboratorio bandi on-line” il brainstorming è stato effettuato raccogliendo i contributi dei partecipanti in una mappa cognitiva digitale. Il vantaggio è stato quello di poter sfruttare le potenzialità informatiche: la facilità con cui si possono modificare i testi elettronici, fin dalla fase di raccolta; la possibilità di memorizzarli, copiarli e distribuirli rapidamente. Questo scenario ha permesso di immaginare una situazione nella quale tutti gli utenti possano proporre idee, ma anche raccoglierle e ordinarle.

Traduzione Il multitouch in questo caso è uno strumento eterotopo, cioè crea una nuova sintassi estremamente ordinata: è al tempo stesso un oggetto materiale e uno strumento concettuale. Infatti «si serve delle proprietà specifiche di supporto materiale per costruire una struttura cognitiva che non potrebbe esistere dentro il cervello [...]» dei partecipanti al brainstorming (Goodwin, 2003, p. 128).

Scenario 3 - Urbanistica multi-touch Il laboratorio di disegno tecnico ha ancora le tapparelle abbassate. Francesca si dirige verso le finestre e le alza una ad una, lasciandole bene aperte. Stamattina i suoi studenti dovranno fare una esercitazione impegnativa, così vuole assicurarsi che non gli manchi una buona dose di fresca aria mattutina. Suonata la campanella lentamente l’aula inizia a popolarsi di alunni. Sono studentesse e studenti dell’ultimo anno di geometra e oramai solo poche settimane li separano dagli esami di maturità. Francesca attende gli studenti si siedano a coppie sugli alti sgabelli posti davanti al comune tecnigrafo: un piano leggermente inclinato sul quale sono disposte righe, squadre e matite. Una volta accomodati gli studenti sfilano da un lungo tubo di alluminio una tela arrotolata. Disposta e ben stesa sul piano viene fissata agli angoli con dei fermi. Successivamente viene accesa e la sua superficie si illumina, trasmettendo l’immagine di un foglio completamente bianco, rivelandosi

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così come uno schermo portatile. Francesca spiega intanto alla lavagna il compito richiesto per l’esercitazione: il progetto architettonico di una scuola nell’area edificabile in via Pasolini, 56. Dal proprio computer Francesca invia agli studenti il file che contiene i dati dei rilievi compiuti sul posto nel corso di una loro precedente esercitazione. Quando sugli schermi degli studenti appare l’immagine dell’area edificabile il lavoro può avere inizio. Stefano, uno degli studenti della prima fila, apre il menu del sistema del display portatile e selezione la modalità “vista ortogonale”. Dopodiché inizia a disegnare sullo schermo utilizzando una matita con punta 0.4 (una matita digitale, non di grafite) e aiutandosi con squadre e righe. Delinea dei tratti, ci ripensa, li cancella, li riscrive, ma non ha bisogno di gomma: gli basta tracciare una “#” con l’indice sul tratto destinato ad essere eliminato, oppure per una modifica meno netta il sistema riconosce il movimento rotatorio del suo dito, cancellando efficacemente quanto sottoposto a contatto. Il suo compagno di banco, Giacomo, ha suggerito di dividere la scuola in due edifici: uno principale dove ospiterà le aule, gli uffici, i laboratori e la mensa; e un altro adibito a palestra. Per controllare se la conformazione del terreno sia regolare, Stefano decide di visualizzare graficamente le variazioni del suolo. Effettivamente non c’è abbastanza spazio per disporre entrambi gli edifici sullo stesso livello, per cui opta per uno spiazzo vicino, in una depressione di circa sette metri. «Penso che questa possa andare» dice Stefano indicando sul display l’area prescelta. Tenendo premuto l’indice sull’area appare sullo schermo un messaggio che mostra le specifiche del terreno: nessuna falda acquifera sottostante e terreno solido ma non roccioso. «Certamente» risponde Giacomo «ma ha una forma talmente irregolare...forse dovremmo ridurre le dimensioni della palestra. Ti faccio vedere». Appoggiando la mano sulla palestra, Giacomo trascina l’immagine nell’area scelta, e la fa ruotare con le dita, provando differenti disposizioni prima di trovarne una che fortunatamente gli permette di non ritoccare le dimensioni dell’edificio. Tenendo premuto il dito sul perimetro della palestra, appare un menu grafico nel quale Stefano inserisce i dati relativi all’altezza e allo spessore dei muri esterni: cinque metri per cinquantacinque centimetri gli sembra una proporzione accettabile. Accedendo nuovamente al menu del display portatile, seleziona la vista 3D: le linee si tramutano in muri e lo spazio circostante acquisisce profondità, simulando una vista reale. Stefano può cambiare prospettiva a piacimento, spostandosi verticalmente e orizzontalmente effettuando dei movimenti coordinati con entrambe le mani appoggiate sullo schermo. Può incrementare lo zoom avvicinando una mano all’altra, e ridurlo allontanandole. 81


Ritornati alla “vista ortogonale” Stefano e Giacomo lavorano a quattro mani, inserendo dati e valori, e lavorando ognuno su un singolo edificio. Ogni zona creata nel progetto urbanistico è modificabile e gli studenti possono simulare l’uso dei materiali e dei colori semplicemente scorrendo le opzioni già presenti nella memoria del computer. Il sistema elabora rapidamente i dati, fornendo dei feedback circa la massa, i volumi e l’impatto dell’edificio selezionato. Questo li porta talvolta a riconsiderare all’istante i propri calcoli, così come a confrontarsi vivacemente su quale conformazione sia preferibile a un’altra.

Negli scenari sono state descritte alcune pratiche di progettazione partecipata entro ambienti socio-tecnici. In questi ambienti le interazioni verbali e non degli attori sono, per scelta narrativa, rivolte a un “centro di reciproca interazione” rappresentato dal multi-touch. Nelle diverse conformazioni in cui è stato presentato (scrivania, maxi-schermo, tela portatile; verticale, orizzontale, eccetera) si è voluto sottolineare l’importanza di non proporne un’unica definizione. Ciò allo scopo di mantenere eterogenei e articolati i caratteri che hanno portato alla creazione degli scenari. L’obiettivo degli scenari, si ribadisce, è stato in primo luogo quello di raccogliere gli esiti incorporati nelle “categorie forti” del multi-touch emerse dall’analisi del lavoro partecipato, collaborativo e in piccoli gruppi, individuate nel corso dei workshop del caso di studio “laboratorio bandi on-line”. In secondo luogo gli scenari, in ragione dei requisiti che risiedono nelle “categorie forti”, promuovono delle linee guida verso una conclusiva, ed eventuale, fase di sperimentazione del multi-touch. In quanto “linee guida”, il valore degli scenari va inteso nella misura in cui possa fornire ai progettisti un’ispirazione e dei capisaldi emersi empiricamente.

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Capitolo 5 Quadro teorico interpretativo

L’inquadramento teorico della mia tesi ha fatto riferimento a due filoni principali. Il primo è quello della Human-Computer Interaction, i cui sviluppi negli ultimi anni hanno fatto emergere un’ingente mole di contributi sia nell’ambito della creazione di nuovi paradigmi, sia nello sviluppo di nuove tecnologie. Dagli ambienti digitali basati su interfacce grafiche (GUI), composte da elementi a due dimensioni come finestre, icone e menu; si sono affacciati nel mondo delle interazioni uomo computer gli ambienti basati su interfacce tangibili (TUI), composti cioè da oggetti fisici e materialmente manipolabili. Fra questi due mondi si colloca l’interfaccia multi-touch, che offre un modo innovativo di interagire con i computer. Alcuni paper hanno sfruttato le potenzialità di questa originale conformazione “tattile-digitale” per soddisfare quesiti eterogenei. Fra cui l’installazione CityWall a Helsinki (Peltoten et al., 2008) e gli studi di Tomer Moscovich (2006) sull’interazione continua e coordinata con tali dispositivi. Alla definizione del concetto di “collaborative creativity” è riservato il secondo paragrafo di questo capitolo teorico. Soprattutto i lavori di Arias et al. (2000), Sundholm et al. (2004), Barab e Plucker (2002), mi hanno aiutato a definire in maniera più sistematica i concetti che, più degli altri, hanno attraversato le pagine di questo elaborato: la creatività e la collaborazione. Successivamente viene chiarito il concetto di “tecnologia in uso” che più volte è stato richiamato nel corso delle pagine precedenti. A questo seguono i concetti di “symmetry of ignorance” e di “boundary object”.

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Quest’ultimo rappresenta il ponte verso l’approccio partecipato alla progettazione dei sistemi informativi, i cui principi relativi a questa proposta di tesi, saranno descritti in riferimento soprattutto ai testi contenuti nell’opera di Douglas Schuler e Aki Namioka (1993). Il Participatory Design è inoltre il frame all’interno del quale si collocano le pratiche che compongono il “terzo spazio” (Muller, 2003), rappresentando quell’ambiente ibrido nel quale l’utilizzo di un “boundary object”, come il multi-touch, può rivelarsi innovativo alle pratiche stesse.

5.1 Human-Computer Interaction Il filone di studi che si occupa di interazione uomo-macchina (HCI - Human-computer interaction) ha raggiunto negli ultimi vent’anni una cospicua mole di contributi relativa alla creazione di nuovi paradigmi e nuove forme di lavoro, apprendimento e collaborazione nell’informatica. Col tempo molti di questi contributi hanno enfatizzato e sviluppato idee entro approcci socio-tecnici, dirigendo lo sviluppo futuro della disciplina: dai computer, verso un ibrido punto focale, nel quale convergono gli sforzi per migliorare la comprensione dei sistemi umani, sociali e culturali che creano il contesto d’uso (Greenbaum & Kyng, 1991, in Arias et al., 2000). Complessi problemi di progettazione richiedono maggiore conoscenza di quanta sia in possesso di ogni singolo individuo, poiché la conoscenza necessaria a risolverli è distribuita tra gli attori che compongono l’ambiente in questione. Le sfide che nel futuro potranno interessare gli studi dell’interazione tra persone e computer necessitano di un’attenzione particolare, che includa lo sviluppo di tecnologie innovative dell’informazione, che sostengano l’apprendimento e la progettazione in contesti caratterizzati da problemi complessi (ibidem).

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Il multi-touch come sottocategoria degli ambienti TUI

Successivamente al diffondersi delle interfacce grafiche (GUI - graphical user interface) sono state sviluppate quelle tangibili (TUI - tangible user interface). Queste ultime forniscono un’interazione di tipo fisico, trasformando degli oggetti solidi posti su un tavolo di lavoro (workbench) in strumenti di input e di output. In questo modo le TUI restituiscono all’interazione uomo-macchina la dimensione fisica naturale. Kim e Maher (2006) hanno presentato un esperimento in cui hanno analizzato i comportamenti di alcuni progettisti durante sessioni collaborative di progettazione degli spazi, confrontando le differenze emerse nei sistemi basati sulle interfacce grafiche e in quelle TUI.

Attraverso tali osservazioni gli autori hanno notato che i designer delle sessioni GUI hanno discusso verbalmente le proprie idee e deciso una soluzione prima di eseguire azioni di modellazione (cioè di azione diretta sul device tecnologico). Diversamente i progettisti nelle sessioni TUI comunicavano le proprie idee durante la manipolazione degli oggetti posti sul workbench. In termini di interazione collaborativa nelle attività specifiche dell’esperimento, gli ambienti TUI hanno permesso ai progettisti: innanzitutto di accedere collettivamente e simultaneamente agli oggetti e, in secondo luogo, di creare un confronto maggiormente rivisitato e composto da azioni e gesti, prima di giungere al risultato finale. Le differenti interazioni, proseguono gli autori, possono derivare dalle differenti proprietà degli strumenti a disposizione dei designer. Nell’ambiente GUI era a disposizione un singolo mouse: così il compito di utilizzarlo poteva essere svolto da un solo soggetto alla volta. Il partner poteva così partecipare solo attraverso il parlato e i gesti rivolti allo schermo. Diversamente, in ambiente TUI era possibile accedere liberamente all’insieme di oggetti posti sul workbench. Attraverso dirette e naturali manipolazioni degli oggetti fisici e rapide visualizzazioni, i progettisti hanno completato più velocemente il task e sembrano aver intrapreso un numero maggiore di azioni collettive (ibidem).

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In accordo con Kim e Maher anch’io penso che, durante sessioni collaborative di progettazione, gli ambienti GUI siano meno adatti rispetto a quelli TUI. I primi permettono un’interazione mediata da un singolo device (per esempio il mouse) per gestire molteplici compiti, diversamente dalle interfacce tangibili in cui la rappresentazione del lavoro e gli strumenti di input sono uniti in un unico spazio. Questa unione favorisce l’interazione creativa tra gli attori, facendo emergere le idee, e permettendo che la comunicazione si arricchisca delle costruzioni in pratica del discorso: permettendo così di costruire e presentare materialmente la proposta, rendendo accessibile la reciproca manipolazione del progetto in costruzione.

Input e output coesistono anche negli ambienti multi-touch, dove gli utenti performano un’interazione fisica e diretta sul display, sul quale appaiono simultaneamente gli effetti delle loro azioni. Gli oggetti in questo caso sono delle rappresentazioni grafiche sullo schermo, quindi virtuali e intangibili. Ciononostante le interazioni hanno forma attraverso gesti che non sono mediati da altri strumenti (come mouse e tastiere). In questo caso si potrebbe dire che la gestualità della manipolazione viene parzialmente digitalizzata. Il multi-touch (con gli opportuni software) è perciò in grado di riconoscere i gesti naturali legati alle azioni di manipolazione degli oggetti, permettendo così un approccio più naturale e naïve con il computer. Con questo si intende sottolineare che, non dovendo fare ricorso a sistemi di puntamento e input, primo fra tutti il mouse, l’utente non è tenuto ad apprendere il funzionamento di un ulteriore device per poter usufruire dell’ambiente digitale.

Il multi-touch oltrepassa la tradizionale via di interazione con mouse, tastiera e schermo, offrendo la possibilità di utilizzare entrambe le mani, molteplici dita e di dare accesso a diverse persone che interagiscono insieme (se le dimensioni del display lo permettono). Senza alcun manuale di istruzioni e attraverso una modalità molto intuitiva, gli utenti che interagiscono con il multi-touch possono utilizzare entrambe le loro mani per “buttare giù” uno schizzo, dipingere, fare accordi musicali, spingere e spremere degli oggetti, manipolare e dare forma alle figure (Han, 2006). Utilizzando gesti intuitivi, gli utenti possono gestire foto (afferrarle, allungarle e allargarle, disporle e ruotarle); scorrere all’interno di mappe a due e tre dimensioni aumentando e riducendo lo zoom. Alcuni multi-touch sono in grado di 86


riconoscere differenze nella pressione delle dita e nella temperatura, e permettono inoltre la scrittura su tastiere grafiche.

L’azione di passare un dito sulla superficie del display, consente di muovere una pagina o un’immagine trasmessa sullo schermo, proprio come accadrebbe con un foglio di carta su una scrivania. Essere in grado di manipolare con le proprie mani una pila di documenti digitali, offre un’esperienza che assomiglia all’interazione che si ha quotidianamente con gli oggetti fisici; allo stesso tempo offre le funzionalità legate al potenziale degli strumenti digitali, come ad esempio la ricerca o la modifica del testo. Un caso in letteratura è il lavoro sull’interazione multi-touch di Tomer Moscovich (2006). In questo studio l’autore si interroga sulle interazioni di tipo continuo e coordinato, come ad esempio dipingere con un pennello. Come l’autore, anch’io ritengo che l’interazione eseguibile con il tocco diretto delle dita sia “attraente”, poiché rappresenta un concetto semplice, che riflette il nostro quotidiano modo di interagire con gli oggetti.

Un secondo caso di studio in letteratura è il CityWall (Peltoten et al., 2008): un’installazione collocata in una via pubblica di Helsinki in Finlandia. Negli otto giorni di studio 1199 persone hanno interagito con il TouchWall, un’estesa superficie multi-touch verticale. Per studiare l’uso socialmente organizzato di un display pubblico, i ricercatori hanno fornito agli utenti uno strumento in grado di abilitare molteplici interazioni basate sui gesti: attraverso uno schermo di grandi dimensioni e le proprietà multi-tocco del device. La sfida è stata quella di creare le condizioni per un’interazione rivolta a qualsiasi tipo di utente, che prescindesse da eventuali competenze informatiche. Vi era installato un sistema di navigazione di foto e video, con cui gli utenti potessero performare delle esperienze ludiche. Due erano i principi fondamentali di interazione: • la “manipolazione diretta” (gesti naturali applicati sulla superficie digitale) e • la “non modalità” (assenza di differenti modi di interazione).

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5.2 Collaborative creativity* Come è già stato ripetuto più volte nel corso del testo, la risoluzione dei complessi problemi di progettazione richiede più conoscenza di quanto ogni singolo attore possegga in sé. Ciò perché normalmente la conoscenza necessaria alla risoluzione di questi problemi è tacita (Polanyi, 1966) e distribuita fra gli stakeholder. La visione “classica” della cognizione partiva dall’assunto che la mente umana fosse il motore logico centrale. Perciò le azioni di “problem solving” si riducevano essenzialmente in inferenze logiche lineari: l’ambiente risultava essere il dominio del problema, e il corpo umano lo strumento di acquisizione dei dati. La cultura, il contesto, la storia e le emozioni erano considerati comunque fenomeni importanti, ma ciononostante sono rimasti esclusi per molto tempo (Hutchins, 2000). Diversamente dall’approccio “classico”, nuovi studi hanno affermato che far convergere differenti e spesso controversi punti di vista, entro un ambiente dove gli stakeholder possano comprendersi reciprocamente, può portare a nuove intuizioni, idee e artefatti (Arias et al., 2000). Inoltre, è plausibile pensare di dotare questi ambienti di strumenti tecnologici, che aiutino gli attori a collaborare alla definizione e alla risoluzione delle questioni relative alla progettazione.

Riconoscere che i processi cognitivi sono una realtà sociale e non individuale, porta inevitabilmente a chiedersi quale sia il valore della collaborazione. Nelle fasi di progettazione si incontrano differenti culture nelle quali esistono differenti norme, simboli e rappresentazioni. Perciò è importante superare la singola mente dell’individuo e concentrarsi invece sulla collaborazione quale leva per raggiungere quanto più possibile il delinearsi di una visione condivisa della realtà. In un gruppo tanto più è elevato il livello di specializzazione e professionalizzazione, tanto maggiore sarà la mole e l’eterogeneità della conoscenza in gioco. In altre parole si confronteranno diverse e ricche visioni della realtà che poggiano su una base professionale acquisita in anni di studio e di pratica. Quanto più la specializzazione aumenta, tanto più la

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collaborazione diventa necessaria, magari avvalendosi dell’aiuto di tecnologie che supportino il lavoro in team (Sundholm et al., 2004). L’organizzazione assomiglia sempre più ad un organismo complesso, nel quale è pressoché impossibile scindere i processi cognitivi individuali da quelli collettivi, e dove peraltro la conoscenza è incorporata nelle pratiche. Questo organismo, per esistere, evolvere e perciò innovarsi, ha bisogno di attingere e condividere alla conoscenza organizzativa. La creatività è dunque il motore col quale affrontare e risolvere i problemi derivanti dall’agire organizzato: è il risultato di un impegno collettivo che si manifesta ancor più se supportata dalla tecnologia. La collaborazione in gruppi creativi richiede che le attività individuali di ogni attore vengano organizzate, così che ognuno possa contribuire con idee, critiche alla definizione e ai modi di raggiungere l’obiettivo (ibidem).

Come illustrato dagli studi di Suchman (1997) sul traffico aereo, la cooperazione sul lavoro non deriva dalla divisione del lavoro e dai meccanismi formali di coordinamento, quanto da forme emergenti e situate di collaborazione. Per operare un “design del cambiamento”, bisogna tener presente che i prodotti di una qualsiasi progettazione professionale sono stati pensati e costruiti sulla base di una proiezione parziale e situata delle condizioni del loro utilizzo. Essi non saranno definitivi, ma punti di partenza per lo sviluppo di artefatti-in-uso che saranno inevitabilmente cambiati e riadattati per inserirsi nell’ambiente lavorativo.

La progettazione è quindi un chiaro esempio nel quale emerge la necessità di avvalersi dell’aiuto di tecnologie per sostenere il lavoro collaborativo. Da qui le complessità che ne derivano quali: • il bisogno di sintetizzare differenti prospettive dello stesso problema, • gestire ingenti quantità di informazioni rilevanti alla fase di progettazione, • comprendere le scelte strategiche che determinano l’intero percorso evolutivo del artefatto o del processo in progettazione.

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Tecnologia in uso

Nella teoria sociologica classica il concetto di tecnologia implica l’idea di un mezzo per raggiungere un risultato desiderato oppure un obiettivo. Il concetto di “tecnologia in sé” si fonda sull’assunto per cui le tecnologie sono elementi assoluti e decontestualizzati, ossia slegati dai contesti d’uso e dai sistemi di attività in cui vengono inseriti. In questo contributo invece si vuol far riferimento al concetto di “tecnologia in uso”, immergendosi in una prospettiva socio-tecnica interessata alle reciproche interazioni tra gli attori e la tecnologia. Un’ottica nella quale è necessario adottare un approccio relazionale, al fine di analizzare congiuntamente tecnologie, utilizzatori e contesti d’uso (Bruni e Gherardi, 2007). Ciò significa anche non guardare alla tecnologia come a un oggetto, cioè a un’entità singola e separata dalla realtà, bensì considerarla interconnessa e al tempo stesso agente attivo che influenza e che viene influenzato dall’ambiente situato d’uso, dalla comunità di pratiche che la utilizza e da tutto il bacino di conoscenze tecniche e di relazioni interessate. La “tecnologia in uso” è una traiettoria di azione e un processo di negoziazione tra gli attori circa le modalità di interazione che, lungi dall’essere neutrale e ininfluente, dà forma e partecipa alla realizzazione dell’attività collaborativa. Il richiamo al Participatory Design è esplicito: oggetti e tecnologie compongono l’infrastruttura tecnologica su cui poggiano le pratiche di lavoro quotidiane. Perciò aderire alla prospettiva di coinvolgere gli utenti finali alla realizzazione di soluzioni e nuovi scenari d’uso, significa anche non dare per scontato l’esito dell’introduzione e del mutamento di nuove tecnologie nei sistemi informativi degli ambienti di lavoro e di progettazione.

“Symmetry of ignorance” e “boundary object”

Arial et al. (2000) propongono di avvantaggiarsi della “symmetry of ignorance”, ossia dei differenti aspetti della conoscenza, cruciali alla risoluzione dei problemi, che risiedono nelle menti individuali degli stakeholder come conoscenza tacita. La “symmetry of ignorance”,

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lungi dall’essere un ostacolo, può rivelarsi una opportunità per la creazione di nuova conoscenza e di nuove idee, in ragione della stessa natura che la contraddistingue, ossia il coesistere di differenti e spesso discordi punti di vista, dovuti a specifici e differenti percorsi professionali degli attori. La sua stessa esistenza richiede la creazione di ambienti, contesti e artefatti che agiscano come “boundary object”, ossia che permettano la collaborazione tra differenti visioni del reale e tra differenti culture.

Nel lavoro di Calzà et al. “Interactive Use Case” (2004) i ricercatori hanno utilizzato un software come “boundary object”, permettendo a utenti e progettisti di raggiungere una comprensione condivisa della complessità dei problemi organizzativi. Le metodologie e gli strumenti rivolti alla partecipazione ricoprono così il ruolo di “boundary object”, al fine di superare le difficoltà di trovare un linguaggio comune, che permetta un dialogo volto alla realizzazione di un contesto adeguato alla progettazione. Poiché ogni attore possiede un proprio linguaggio, inteso come insieme di significati e valori che derivano dalla comunità di pratiche di appartenenza, è necessario oltrepassare il limite attraverso un oggetto (sia esso uno strumento o una pratica) che permetta alle differenti visioni di comprendersi reciprocamente. Non è quindi sufficiente predisporre un set di strumenti e pratiche volte unicamente alla rilevazione delle specifiche delle pratiche lavorative del contesto organizzativo. Se il progettista, seppur accuratamente, si limitasse a prendere nota dei requisiti necessari alla descrizione del sistema informativo, tralascerebbe comunque un problema cruciale: come le specifiche verranno usate e il ruolo che esse giocheranno nel processo di progettazione (ibidem).

I “boundary object” facilitano la comunicazione e la collaborazione tra differenti comunità di pratiche. Sono strumenti che giocano un ruolo nel tenere traccia delle riflessioni sistematiche (e collettive) in merito ai contenuti delle idee di progettazione (Bødker e Christiansen, 1995). Rappresentando l’esperienza di costruzione e di esplorazione delle idee della progettazione, essi rendono tali idee condivisibili e quindi negoziabili. I “boundary object” agiscono come delle externalizations che catturano differenti domini della conoscenza umana (Bruner, 1996 in Arias et al., 2000). Tali esternalizzazioni, da una parte incorporano e memorizzano gli esiti 91


del lavoro intellettuale, stoccandolo materialmente in artefatti tangibili; dall’altra rappresentano degli artefatti con cui gli stakeholder possono effettuare una conversazione riflessiva con i materiali” (Schön, 1983 in ibidem).

In questa tesi è stato proposto di considerare la tecnologia multi-touch quale “boundary object” in specifiche e situate pratiche di Participatory Design. Il multi-touch rappresenta infatti lo strumento per realizzare e condividere le pratiche di costruzione di significato, un “oggetto di confine” che diviene il veicolo durante sessioni collaborative di progettazione. Collaborare presuppone la costruzione di uno spazio comune di comprensione reciproca e di accordo sui metodi dell’intendere, e «come una lavagna, un boundary object ‘si pone al centro’ di un gruppo di attori con differenti punti di vista» (Star & Giresemer, 1989, p. 46 in Bødker e Christiansen, 1995).

In questo senso è da intendersi il mio interesse nei confronti del multi-touch, verso cioè uno strumento rivolto alla partecipazione, alla collaborazione creativa e alla definizione di una visione condivisa, che permetta e anzi promuova la comunicazione tra attori eterogenei: tra gli utenti stessi, da una parte, e tra utenti e progettisti di sistemi informativi, dall’altra. Per proseguire nella definizione del quadro teorico al quale questo elaborato si riferisce, introdurrò innanzitutto i principi cardine dell’approccio partecipato alla progettazione dei sistemi informativi. Nella seconda parte farò riferimento agli studi di M.J. Muller (2003) per presentare e ultimare la mia proposta di introduzione del multi-touch negli “spazi ibridi” del Participatory Design, al fine di innovarne le pratiche creative e collaborative di progettazione.

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5.3 Una discussione del Participatory Design alla luce degli scenari La progettazione di sistemi informatici è invariabilmente accompagnata dalla necessità di raccogliere e definire i requisiti di funzionamento del sistema. I possibili usi che fanno seguito all’adozione e all’utilizzo delle tecnologie, da parte degli utenti inseriti in contesti specifici, sono difficilmente prevedibili a priori, specie nella fase di ideazione e implementazione dell’artefatto. Come si è cercato di mettere in luce in questa tesi, lo stesso vale per il multitouch, ancora oggetto di indagine per i ricercatori sociali, così pure per gli sviluppatori tecnici. Gli studi del Participatory Desing sono nati e si sono sviluppati intorno ai temi della creazione e dello sviluppo di sistemi informativi, proponendo che fossero gli utenti finali a contribuire attivamente alle loro fasi di progettazione. Il Participatory Design rappresenta quindi un approccio originale in cui le persone destinate all’uso del sistema giocano un ruolo critico e responsabile nella sua progettazione. Ciò, è bene sottolineare, collaborando e facendo convergere il proprio lavoro a quello dei progettisti di sistemi, e non sostituendosi a questi ultimi. Ma il concetto di partecipazione si confronta irrimediabilmente con il culto dello specialista (Schuler e Namioka, 1993), ossia di colui che è esperto e domina autorevolmente il corso della progettazione e della risoluzione dei problemi contando sulla proprie competenze. Le competenze specialistiche ed esperte andrebbero considerate piuttosto in questo senso: come un ingrediente importante, ma non come una fonte indiscutibile di potere e autorità.

Sono due le caratteristiche principali del Participatory Design che ne definiscono la traiettoria come strategia di design: una politica e una tecnica (Ehn, 1992). La mia proposta di tesi si riferisce soprattutto alla seconda, che illustra come la partecipazione degli attori contribuisca al raggiungimento del successo delle sessioni di progettazione. Il Participatory Design rende inoltre esplicita la critica, e inevitabile, presenza dei valori degli attori nel processo di sviluppo dei sistemi informativi (Suchman, 1993). Con sistemi informativi si intende l’insieme di risorse umane e tecnologiche per gestire l’interscambio di dati, informazioni e 93


conoscenza tra gli attori. Qualcosa di più di un sistema astrattamente circoscritto all’uso di tecnologie informatiche, bensì l’intero insieme di tecnologie, siano esse carta e penna, necessarie a creare, gestire e trasformare le pratiche di lavoro in uso nei contesti organizzativi.

La volontà di collocare la tecnologia multi-touch nelle pratiche di Participatory Design risponde alla necessità di fornire agli utenti e agli sviluppatori uno strumento in grado di migliorare e arricchire la comunicazione: un “boundary object” appunto. In questo senso propongo di inquadrare il mio contributo all’interno del Participatory Design, cioè in un approccio allo sviluppo dei sistemi informativi che permetta agli utilizzatori della tecnologia di capirsi reciprocamente, sostenendo l’apprendimento reciproco (reciprocal learning) e la progettazione tramite il fare (design-by-doing). Introdurre e modificare sistemi informativi significa, di fatto, modificare le pratiche di lavoro. Così come i mutamenti tecnologici siano portatori di opportunità e nuove vie di interazione nelle organizzazioni, è senza dubbio importante ricordare come non esista una via esatta, cioè giusta a priori e che non necessiti di considerare quale sia il contesto d’inserimento delle nuove tecnologie. In altre parole lo sviluppo di sistemi non può prescindere dal contesto, dalle pratiche situate di lavoro e dalla conoscenza esperta degli attori coinvolti.

L’utente acquisisce così un ruolo centrale, diventa perno e fonte di ispirazione per il lavoro di progettazione dei sistemi, attraverso uno “user-centred design” che mira a far emergere la conoscenza altrimenti perduta nei processi formali di comunicazione e progettazione. Questo approccio pone l’enfasi sulla necessità di creare sistemi che funzionino anche nel mondo reale, non solo durante i test di laboratorio (Greenbaum, 1993). Diventa allora fondamentale esplorare tecniche e strumenti che permettano l’emergere della conoscenza insita negli attori e fra gli attori, ovvero nelle pratiche situate di lavoro. Ciò è raggiungibile attraverso metodologie che prevedano un’analisi che parta dagli attori stessi: utenti e tecnologia devono reciprocamente capirsi gli uni con l’altra. Allo stesso modo, anche utenti e designer di sistemi hanno bisogno di strumenti per collaborare, facendo convergere gli sforzi e condividendo una visione della realtà quanto più simile.

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Multi-touch, “boundary object” e “terzo spazio”

In quanto oggetto di confine, l’idea di questo paragrafo è quella di inserire il multi-touch all’interno dello “spazio ibrido”, concetto descritto nel paper di Michael J. Muller (2003). L’autore propone una problematizzazione dei metodi HCI, ponendoli tra due spazi distinti: il mondo dei “software professionals”, e quello degli utenti finali. Ogni mondo ha infatti la sua propria conoscenza, le sue pratiche e confini ben definiti. Spostamenti da uno spazio all’altro sono problematici, e tradizionalmente unidirezionali. Muller fa notare che tra i metodi della HCI tradizionale, siano pochi quelli che permettono risultati inaspettati, come «imparare qualcosa che non si pensava di dover conoscere» (ibidem, p. 6).

L’approccio del Participatory Design ha invece enfatizzato i concetti di mutualità e reciprocità, sottolineando l’importanza del mutuo riconoscimento tra diverse prospettive. Rispondendo al quesito su quali caratteri di un “terzo spazio” siano collocabili entro le pratiche del Participatory Design, Muller ne sintetizza alcune facendo riferimento agli studi sugli “spazi ibridi” concettualizzati da Bhabha (1994, in ibidem, p. 5): • la sovrapposizione tra due (o più) regioni; • la messa in discussione e la contestazione degli assunti; • l’apprendimento reciproco; • la sintesi di nuove idee; • la negoziazione e la co-creazione di identità, linguaggi di lavoro, comprensione, relazioni, azioni collettive; • dialoghi tra e attraverso le differenze; • enfasi sull’autorità ridotta - enfasi sull’interpretazione incrementata; • enfasi sull’individualismo ridotta - enfasi sul collettivismo incrementata; • l’eterogeneità come la norma.

Lo “spazio ibrido” è quindi un zona di confine tra due regioni o aree d’influenza che contiene un’imprevedibile e mutevole combinazione di attributi di entrambi gli spazi (ibidem); perciò può essere considerato un “terzo spazio” senza confini stabili e definiti. 95


Muller afferma che il ruolo del Participatory Design è quello di fungere da “terzo spazio” nell’HCI. Dopo aver posto tra i poli di un continuum (astrattezza vs concretezza) i metodi di progettazione partecipata (ad esempio “rapid prototyping” vs etnografia), l’autore chiarisce i requisiti della partecipazione in entrambi gli opposti domini: nel reame dell’astrattezza gli utenti devono entrare nel mondo dei “software professional”, mentre nel mondo concreto sono i “software professional” a dover entrare nel mondo degli utenti.

Il lavoro di Muller prosegue analizzando il tratto mediano del continuum, nel quale si collocano quelle pratiche che prendono forma in un dominio disciplinare incerto, ambiguo e in sovrapposizione, che non appartiene né ai “software professionals” né agli utenti finali (ibidem). Questo “terzo spazio” delle pratiche di Participatory Design individuato da Muller è centrale per questa tesi, in quanto ritengo che esso rappresenti quell’ambiente ibrido nel quale l’uso di un “boundary object” - come il multi-touch - possa rivelarsi innovativo alle pratiche stesse. L’innovazione a cui mi riferisco è legata a quanto emerso dalla definizione delle “categorie forti”, con le quali si è voluto adottare un approccio rivolto in prima istanza verso le pratiche situate di Participatory Design, verificatesi nel corso dei workshop del caso di studio “laboratorio bandi on-line”.

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*

Dal “New Oxford American Dictionary”: collaboration: “the action of working with someone to produce or create something”. from Latin collaboratio(n-), from collaborare ‘work together.’ cooperation: “the process of working together to the same end”. from Latin cooperatio(n-), from the verb cooperari; later reinforced by French coopération. Spesso utilizzati come sinonimi, i due termini presentano alcune differenze. Il concetto di “collaborazione” è una filosofia di interazione e di stile di vita personale, dove gli individui sono responsabili per le loro azioni, inclusi l’apprendimento e i rispetto delle abilità e dei contributi dei loro colleghi. La “cooperazione” è una struttura di interazione progettata per facilitare il raggiungimento di uno specifico prodotto finale o scopo, attraverso l’unione di più persone che lavorano in un gruppo.

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Conclusione

Nel corso del testo ho indagato il multi-touch quale strumento innovativo per sostenere e stimolare la creatività e la collaborazione all’interno dei metodi e delle tecniche di Participatory Design. Più di un semplice strumento, il multi-touch è un “iper-strumento” che promuove la creatività e la collaborazione tra gli attori, permettendo un’interattività con gli oggetti grafici rappresentati sullo schermo come se fossero tangibili. Alla luce del concetto di “spazio ibrido” in cui si collocano i metodi di Participatory Design, considero il multi-touch come un device adatto a tali contesti di ambiguità: un “boundary object” che permetta a mondi eterogenei di comunicare efficacemente e chiaramente. Ciò in ragione delle “categorie forti” emerse dal confronto tra l’analisi del caso di studio e la tecnologia stessa. Negli scenari il multi-touch ha assunto forme, modi di utilizzo, collocazioni nello spazio e applicazioni assai eterogenee. Sono stati immaginati alcuni metodi di Participatory Design affini a quelli presentati nel caso di studio. I punti di contatto tra il caso reale e gli scenari proposti consistono nelle “categorie forti”:

comunione destinazione traduzione stoccaggio della memoria

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Queste sono le dimensioni che contraddistinguono la mia proposta, attraverso le quali delineo un percorso di progettazione d’uso del multi-touch e delle relative applicazioni software, articolato nei seguenti momenti.

Le nuove possibilità in termini di collaborazione, coordinazione e comunicazione tra utenti, e tra progettisti e utenti, incorporate nelle “categorie forti”:

come specificità che derivano dalla natura digitale dell’interazione collegata all’utilizzo del multi-touch.

come specificità legate alla collocazione fisico-spaziale del device e degli attori che operano in un contesto reale d’uso.

Il multi-touch rappresenta un ponte: che mette in relazione differenti e complesse comunità di pratiche, i designer, gli utilizzatori finali e i ricercatori organizzativi coinvolti nella progettazione del cambiamento organizzativo; che allo stesso tempo unisce i due ambienti dell’interazione nella progettazione, quello digitale di manipolazione e quello fisico-tangibile nel quale esiste il lavoro situato degli attori organizzativi.

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Indice delle figure

figura 1 - mappa cognitiva costruita collettivamente nella fase di brainstorming

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figura 2 - voci principali del punto di vista della direzione

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figura 3 - voci principali del punto di vista dei redattori

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figura 4 - il simulatore cartaceo, posizionato sulla parete dell’aula, orienta gli utenti durante la navigazione del “tender configurator”

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figure 5, 6 e 7 - workshop XO+? del “tender configurator”

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figure 8, 9 e 10 - manipolazione dei blow-up durante il workshop XO+?

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figura 11 - dettaglio figura 10

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figura 12 - gli stakeholder di Binarius

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figura 13 - dettaglio “impresa”

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figura 14 - dettaglio “cittadino”

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figure 15 e 16 - workshop XO+? di “scacco in tre mosse”

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figure 17 e 18 - mock-up finale

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figure da 19 a 24 - fasi del workshop di paper prototyping dell’interfaccia del “nuovo configuratore bandi”

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figura 25 - dettaglio gruppo alpha

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figura 26 - “home page” gruppo beta

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figura 27 - “menu principale” gruppo beta

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figura 28 - interfaccia gruppo alpha

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figura 29 - interfaccia gruppo beta

29

figura 30 - interfaccia gruppo gamma

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figura 31 - mock-up collettivo dell’interfaccia del nuovo “configuratore bandi”

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figure 32 e 33 - scene di costruzione del mock-up in figura 31

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figura 34 - prospettiva “Agent”: l’ambiguità sulla risorsa

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102


figura 35 - multi-tocco

43

figura 36 - la superficie del multi-touch può ospitare molteplici input provenienti da più utenti contemporaneamente

45

figura 37 - coordinazione al multi-touch

46

figure 38 e 39 - fotogrammi delle interazioni avvenute durante la prima fase del workshop XO+?

50

figure 40 e 41 - fotogrammi delle interazioni avvenute durante la prima fase del workshop XO+?

50

figure 42 e 43 - fotogrammi delle interazioni avvenute durante la seconda fase del workshop XO+?

52

figure 44, 45 e 46 - fotogrammi delle interazioni avvenute durante la seconda fase del workshop XO+?

53

figure 47 e 48 - fotogrammi delle interazioni avvenute durante il workshop di paper prototyping

56

figure 49 e 50 - fotogrammi delle interazioni avvenute durante il workshop di paper prototyping

58

figure 51 - 52 - fotogrammi delle interazioni avvenute durante il workshop XO+? di “scacco in tre mosse”

60

figure 53 e 54 - fotogrammi delle interazioni avvenute durante il workshop XO+? di “scacco in tre mosse”

61

figure 55, 56 e 57 - compiti suddivisi dagli attori per far fronte all’eterogeneità degli strumenti a disposizione

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