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Favole: •
Biancaneve e i sette nani Pag 4
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Il topolino bianco Pag 11
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La volpe e il lupo Pag 15
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Era una fredda giornata d'inverno; bianchi fiocchi cadevano volteggiando dal cielo come piume leggere e una regina sedeva ricamando accanto alla finestra aperta. Mentre cosÏ se ne stava, ricamando e guardando la neve, si punse un dito con l'ago e tre gocce di sangue rosse come rubini caddero sul bianco manto nevoso. Tanta era la bellezza di quelle tre stille rosso fiamma sul bianco immacolato che la regina pensò: "Oh, se potessi avere una bambina dai capelli neri come l'ebano, dalle labbra rosse come il sangue e dalla pelle bianca come la neve!" Poco dopo, diede alla luce una bambina a cui fu dato il nome di Biancaneve. Ma dopo poco si ammalò gravemente e
morì.5 Un anno dopo il re si risposò. La sua seconda moglie era bella, ma anche gelosa e crudele , e non poteva tollerare neppure il pensiero che esistesse al mondo qualcuna più bella di lei. Possedeva uno specchio magico, ed ogni giorno chiedeva:"Specchio, specchio delle mie brame, chi è la più bella del reame?" e ogni giorno lo specchio rispondeva: "O mia regina, al mondo non c'è nessuna che sia più bella di te" . Intanto però, Biancaneve cresceva e diventava sempre più bella. L'invidia della regina cresceva di pari passo con la bellezza della fanciulla, tanto che la costringeva a vestirsi di stracci e a fare la serva. La principessina affrontava ogni fatica senza un lamento. Anzi,
sempre allegra e sorridente: Solo un desiderio6era solita confidare, cantando, alle amiche colombe: incontrare presto l'uomo dei suoi sogni. Un giorno, mentre si trovava accanto al pozzo, le bianche colombe le confidarono un segreto: " Questo" dissero tubando "è un pozzo incantato. Esprimi un desiderio affacciandoti ad esso e se udrai l'eco il desiderio diverrà realtà." Così Biancaneve sussurrò: "Vorrei tanto trovare qualcuno che mi ami." E non appena l'eco le rispose, nell'acqua del pozzo apparve un bel principe su un cavallo nero. Il principe guardava Biancaneve con tanta ammirazione che la fece arrossire e fuggire timidamente nella sua stanza. La regina, di lontano aveva assistito a tutta la scena. Subito impallidì per l'invidia e corse a rivolgersi a suo specchio magico: "Specchio, specchio delle mie brame, chi è la più bella del reame?" e lo specchio le rispose: "Tu mia regina sei sempre bellissima, ma Biancaneve è più
bella7 di te!" La regina non poteva tollerare una rivale: e così convocò un guardiacaccia suo fido e gli disse: "Porterai la principessa nella foresta, e la ucciderai. Mi porterai poi il suo cuore come segno del delitto". Il guardiacaccia portò Biancaneve nella foresta ma al momento giusto non ebbe il coraggio di ucciderla. Le intimò di scappare nella foresta, e sulla strada del ritorno uccise un cerbiatto per portare il cuore alla regina. Biancaneve corse a perdifiato nella foresta, fin quando non arrivò in una radura, dove sorgeva una minuscola e graziosa casetta: entrò e capì che ci viveva qualcuno, e pensò che abitassero sette bambini senza mamma. C'erano infatti sette piccole sedie impolverate, sette piattini sporchi, sette camicine sporche e polvere e ragnatele dappertutto. Biancaneve non stette a
pensarci su: prese scopa e strofinaccio, e di buona 8 lena ripulì ogni cosa. Poi salì al piano superiore e vi trovò sette lettini di legno. Su ciascun letto era inciso un nome: Dotto, Gongolo, Eolo, Cucciolo, Brontolo, Mammolo e Pisolo. "Che strani nomi!" pensò Biancaneve.Poi, siccome era molto stanca , si addormentò sui lettini. Gli abitanti della casa erano sette nanetti che lavoravano nella miniera di diamanti vicina. Rientrando trovarono Biancaneve e decisero di ospitarla, raccomandandole di essere estremamente prudente per via della regina cattiva. Per Biancaneve iniziò un periodo sereno, con nuovi amici ed a contatto con la natura. Ma un brutto giorno la regina cattiva chiese di nuovo allo specchio chi era la più bella del reame. E lo specchio
magico 9 le rispose : "Al di là dei sette monti, al di là delle sette valli c'è la casa dei sette nani, in cui vive Biancaneve che è ancora più bella di te". La regina decise di uccidere Biancaneve: prese una mela, una mela bellissima e la immerse in un veleno magico. Poi si trasformò da mendicante, ed andò nella casa dei nani. Biancaneve stava preparando una torta e impietosita le offrì una fetta. In cambio la strega travestita le diede la mela e Biancaneve diede un morso. Subito cadde a terra addormentata, sembrava morta! La strega fuggì felice: l'unico
antidoto era il primo bacio
d'amore, credeva che i nani vedendola morta l'avrebbero sepolta. Ma i nani, disperati non vollero separarsi da Biancaneve e la misero in una bara di cristallo nella foresta, per vegliarla in continuazione. Passò molto tempo. Un bel giorno
un principe su un cavallo nero sentì la gente10 del villaggio parlare di quella meravigliosa fanciulla che giaceva addormentata nel bosco. Il suo cuore diede un sobbalzo. Si trattava forse della bellissima fanciulla che aveva visto un giorno a palazzo e che non era più riuscito a trovare? Subito cavalcò fino alla radura nel bosco. Quando la vide non ebbe dubbi: era proprio quella fanciulla che aveva incantato il suo cuore, ed era morta! Mestamente, il principe sollevò il coperchio di cristallo e si chinò per darle un bacio al suo amore perduto. Immediatamente Biancaneve aprì gli occhi e sorrise: quel primo bacio d'amore aveva spezzato l'incantesimo. Così il sogno che un giorno Biancaneve aveva confidato al pozzo dei
de-
sideri divenne realtà. Il principe la fece salire sul cavallo e partì con lei verso il suo palazzo tra le nuvole... dove vissero, per sempre, felici e contenti!
In una foresta abitava una famiglia di 11 topolini. C’era la mamma Tipa, il padre Tipo, e sette fratellini. Era una famiglia di topini grigi, ma il più piccolo dei fratellini, che si chiamava Tipino, aveva il pelo bianco. Questo era una cosa veramente brutta per la famiglia dei topini. Quando andavano alla ricerca di semi nel prato, il colore bianco di Tipino si vedeva da molto lontano e la grande Aquila, scopriva subito i topini. La famiglia era riuscita a fuggire, ma Tipino non poteva più cercare il cibo insieme ai suoi fratellini e rimaneva chiuso nella tana. I
fratellini lo prendevano in giro per questo e la mamma Tipa doveva consolare il povero Tipino che piangeva. Un giorno Tipino prese coraggio è uscì dalla tana di notte al buio, quando la grande Aquila dorme. Aprì la porta e piano piano uscì fuori senza far rumore. Nessuno si accorse di niente. Tipino corse nel prato
felice. Finalmente non correva pericolo. 12 C’era la luna piena e riusciva anche a trovare del cibo. Ma il povero Tipino non sapeva che la notte è il regno della terribile Civetta, che con i suoi grandi occhioni riusciva a scoprire anche i più piccoli topolini anche di notte. Figurarsi Tipino con il suo pelo bianco! La Civetta scese in picchiata verso Tipino che mangiava i semini. Il piccolo topino aveva imparato ad essere attento e sentì il rumore delle ali della Civetta in tempo e corse nella sua tana, chiudendo la porta. La famiglia si svegliò e chiese a Topino cosa fosse successo. Topino piangeva e raccontò della Civetta. La mamma lo rimproverò perché era uscito senza avvisarla, ma poi cercò di consolarlo per il grande spavento. I mesi passavano e per Tipino diventava sempre più noioso rimanere chiuso nella tana, con gli scherzi degli altri fratellini. Ma arrivò l’inverno e un bel giorno nevicò fitto fitto.
Tutto13 il paesaggio era cambiato. Non c’era più il verde del prato, il rosso e il giallo dei fiori, il marrone della terra: c’era solo bianco. Ovunque! La famiglia uscì come al suo solito per cercare i semini, ma questa volta il grigio del loro pelo si vedeva benissimo sulla neve bianca. La grande Aquila
attaccò
la
famiglia
dei
topini
che
incominciò a correre verso la tana gridando a più non posso. Tipino si affacciò alla finestra e vide la famiglia in pericolo. Senza pensarci due volte uscì dalla tana e corse incontro alla famiglia in fuga. Con sua grande sorpresa si accorse che il suo pelo era dello stesso colore della neve. Era finalmente diventato invisibile agli occhi della grande Aquila. Sua sorella Tipa era rimasta indietro e stava per essere raggiunta dalla Grande Aquila. Tipino corse a più non posso e nascose sua sorella sotto di sé. L’Aquila vide sparire il topolino senza capire cosa fosse successo e salì in alto per vedere meglio.
A quel punto Tipino e Tipa corsero più 14 in fretta che potevano fino alla tana dove li aspettava il resto della famiglia. La paura fa diventare anche i piedini più piccoli molto veloci! Tutti festeggiarono Tipino e i suoi fratelli smisero di prenderlo in giro e anzi lo elogiavano per il suo grande coraggio. Per quell’inverno e per tutti quelli a venire Tipino con il suo pelo bianco usciva a procurare il cibo e la famiglia rimaneva nella tana. L’estate Tipino rimaneva in casa e i fratellini cercavano i semini e così nessuno pericoli
e
vissero
felici
per tanti anni nella
foresta.
correva
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Intorno alla metà agosto, nei giorni precedenti la festività di S. Rocco, il bosco tra Ripacandida, Forenza e Ginestra è attraversato da carri che trasportano
vari
animali,
soprattutto
maiali.
Secondo una tradizione che si perde indietro nel tempo, a Ripacandida, piccolo borgo insediato sulla sommità di una collina, il giorno di S. Rocco ha luogo una grande fiera. Nella notte, si festeggia con rudimentali fuochi d’artificio, sullo sfondo di campi rigati dalle stoppie che bruciano. Da tutto il circondario arriva gente per la compravendita dei vari animali. Ma l’attrazione principale sono i maiali, acquistati generalmente uno per famiglia, che sono fatti crescere, all’ingrasso, in angusti c
aselli e, infine, macellati alle soglie dell’inverno.
Il lupo e la volpe, che in quel bosco sono gli animali dominanti, vedono passare quei carri trasportare una serie di animali,
la maggior parte dei quali, appunto, tozzi, rosei e 16 senza pelo. Carri che vanno verso il paese carichi, e
che
tornano
indietro
scarichi.
Incuriositi
seguono i carri, fino al limite del bosco, che è separato dal paese soltanto da una stretta vallata. In quel tempo, l’asino o la mula sono il principale mezzo per muovere persone e cose, la corrente elettrica è stata scoperta, ma non è ancora una risorsa utilizzabile in quei luoghi, e gli inverni sono freddi e nevosi. La legna del bosco scalda le case, quasi sempre solo l’ampio locale in ingresso, che è dominato dalla cucina in muratura, con annesso focolare, fuochi per le pentole e forno per il pane e le focacce. Il calore del focolare e della cucina non arriva nelle stanze da letto. I carboni ancora appena ardenti sono trasferiti dal focolare in appositi ‘scaldini’, per riscaldare, se non le stanze, almeno i letti. Le famiglie sono numerose e gli spazi sono limitati. Questo significa poche stanze, ciascuna con tanti letti.
Oppure, 17 nel caso di famiglie molto povere, un 'unica grande sala con locali separati da tendoni. In cucina, di solito in un sottoscala, è ricavato lo spazio per il pollaio e la conigliera. Il sottotetto ospita un’altra piccola stanza e la piccionaia. L’angusto spazio per il maiale, il casello, è all’ esterno, come la stalla per l’asino o per la mula. La casa è concepita per uomini e animali, in modo che la famiglia abbia risorse essenziali per mantenersi in autonomia. Il latte, altra importante risorsa alimentare, viene venduto porta a porta, al mattino,
trasportato
in
bidoni
metallici
e
distribuito mediante contenitori metallici che ne misurano la quantità. A quell’estate, un’estate torrida, segue il più rigido e nevoso inverno che il lupo e la volpe, e non solo loro, ricordino. Un inverno interminabile, che non concede cibo a chi non sia in letargo. I due animali, di giorno in giorno sempre più deboli, si ritrovano, quasi senza accorgersene e spinti dall’
Di fronte c’è Ripacandida, il paese del traffico 18 di quegli strani animali color rosa. Il lupo e la volpe si guardano l’un l’altro e, con passo lento e strascicato, senza neanche un cenno d’intesa, si avviano giù verso la valle. Giunti in paese, nevica fitto. Nel silenzio del tardo pomeriggio, le strade sono deserte. Rasentando i muri, il lupo e la volpe si trovano davanti a un imponente portone di legno. Alla base del portone, un
buco
circolare
nel
legno
permetterebbe di
guardare dentro il locale. Ma i due animali, prima ancora di realizzare l’idea di guardare attraverso il buco, sentono nell’aria, proveniente da quel buco, caldo odore di cibo. Passa meno di un istante tra il guardare all’interno del locale, una cantina, ed entrarvi, con una certa difficoltà, perché il buco è abbastanza
stretto.
Ma
loro
due
sono
estremamente magri. Ed ecco cosa sono diventati tutti quegli strani animali dalla grande pancia e dalle gambe corte! Salsicce, soppressate, salami, trippa, prosciutti.
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E, ancora, sugli scaffali, quanti formaggi, di ogni tipo e forma! Il lupo e la volpe sono disorientati. Non sanno neanche con quale cibo cominciare. Sanno solo che, ora, possono nutrirsi, finalmente. E cominciano a mangiare, passando da un cibo all’ altro, con frenesia. A un certo punto, la volpe guarda la pancia del lupo che diventa sempre più grande, a vista d’occhio. Poi guarda la sua pancia, e quindi il buco da dove sono entrati. Si avvicina al buco e fa una prova per capire se sarebbe riuscita a uscire. Ci sarebbe riuscita, seppure a fatica. Decide allora di non mangiare altro, ma di portare con sé del cibo da consumare fuori dalla cantina. Lei sì, si sente proprio furba, altro che il lupo! ‘Quello stupido animale – dice a se stessa la volpe – continua a mangiare senza sosta e senza pensare a null’altro. Voglio proprio vedere come farà ad uscire dal quel buco nel portone.'
Neanche il tempo di terminare la frase e una 20porta interna alla cantina, cigolando, si apre. Un omone grosso e un po’ impacciato si fa avanti. Il padrone della cantina. L’uomo fa un saltello indietro, sorpreso dal vedere prima il disordine generale, poi i due animali. Il lupo e la volpe, a loro volta, fissano l’uomo, pronti a scappare. L’uomo incrocia gli sguardi, prima verso il lupo, poi verso la volpe, quindi si guarda intorno. Trova un bastone, lo prende e comincia a inseguirli, ansimando e con poca agilità. La volpe si dirige immediatamente verso il buco del portone e riesce a uscire e a mettersi in salvo. Il povero lupo, dopo esser sfuggito all’omone correndo lungo i muri della cantina, esausto e appesantito dal cibo ingerito, tenta anch’egli di uscire attraverso il buco. Ma ha mangiato troppo e la pancia, strapiena di cibo, è troppo grande e non gli permette di uscire. E allora, ‘titingh’ e titanghe, titingh’ e titanghe, titingh’ e titanghe’,1 sul lupo si abbattono i colpi di bastone del padrone della cantina.
Malridotto, 21 pieno di lividi e con qualche osso incrinato, il lupo, subìta la dura lezione, è lasciato libero di uscire. Zoppicando, si dirige lentamente verso il bosco. Dopo un breve tratto di strada, viene avvicinato dalla volpe, che gli dice, con voce sofferente: ‘Caro mio, ce la siamo vista brutta! Quante botte!’ ‘Eh sì – risponde il lupo con la voce strozzata per il dolore – guarda come sono ridotto, non sto sulle zampe. Ma tu dov’eri?’ ‘Non mi avrai visto. Quell’uomo, dopo aver picchiato te, ha picchiato anche me.’ A quel punto, la volpe prende una forma di ricotta, che aveva portato con sé uscendo dalla cantina, la estrae dal cestello che la contiene, e se la appoggia sulla testa. ‘Guarda – dice al lupo – tu avrai le ossa rotte, ma io ho la testa spaccata, e il cervello è uscito fuori.’ ‘O povera volpe, chissà come starai male!’ ‘Male, male, molto male, – conferma la volpe – sono paralizzata talmente da non riuscire quasi
neanche a muovermi.
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E dobbiamo rientrare nel bosco. La strada è lunga e innevata.’ Dopo una breve pausa, la volpe aggiunge: ‘Caro amico lupo, non potresti portarmi su di te?’ Il lupo, pur sofferente e zoppicante, comprende che la volpe sta molto peggio di lui. E allora, se la carica addosso e comincia, con molta fatica, a dirigersi verso il bosco. La volpe, soddisfatta di se stessa e della sua furbizia, comincia a ripetere un lamentoso e ambiguo ritornello: ‘E lu stuort’ porta lu dritt’, e lu stuort’ porta lu dritt’, e lu stuort’ porta lu dritt’.’ Dopo non molta strada, però, inavvertitamente un pezzo di ricotta cade dalla testa della volpe e finisce sulla neve, proprio davanti al lupo. Dapprima sorpreso, il lupo realizza quasi immediatamente che non si tratta di cervello, ma di ricotta. Capito l’inganno, prima che la volpe ripeta ancora una volta il perfido ritornello, il lupo scaraventa giù la volpe e, con le ultime forze rimaste, la riempie di botte.
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In collaborazione con:
Realizzazione a cura di Roberta Pezzano Corso per"Animatore per l'infanzia" anno 2012 Docente:D'AGATA Antonio G.