5 lezioni fotografiche

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5 Lezioni per migliorare le tue foto weshoot.it

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Sommario: 5 Lezioni per migliorare le tue foto

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L’esposizione

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Come imparare a regolare la corretta esposizione

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Ma qual’è il suo funzionamento?

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Lettura MATRIX:

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Lettura SEMI-SPOT:

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Lettura SPOT:

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come regolare l’esposizione della nostra reflex attraverso i tre fattori tempi, diaframmi ed ISO.

La regola dei terzi Componiamo le nostre immagini correttamente

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Come si applica la regola dei terzi nella fotografia di paesaggio 12 Come si applica la regola dei terzi nella fotografia di ritratto

Profondità di campo

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Che cos’è e come si regola

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Ma cos’è la profondità di campo?

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Ma come si regola la profondità di campo?

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L’istogramma Impariamo a leggere i suoi valori

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Facciamo un esempio pratico per capire meglio come funziona l’istogramma. 23

Le modalità di scatto

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Prova a scattare Manualmente

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Modalità P o Program

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Modalità A (AV per Canon) o priorità di diaframmi

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Modalità S (TV per Canon) o priorità dei tempi

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ModalitĂ M o Manuale

Complimenti

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L’esposizione Come imparare a regolare la corretta esposizione

Capire il concetto dell’esposizione in fotografia è molto importante, in quanto l’esposizione è quella formula che regola la quantità di luce (apertura diaframma) che deve entrare nel sensore e il tempo necessario (tempo di esposizione) che serve ad impressionarlo in quel dato tipo di supporto (ISO o tipo di pellicola) per ottenere un immagine che restituisca la corretta realtà. L’esposizione, definita in EV (Expsosure Value), è regolata dall’esposimetro interno della reflex digitale (esistono anche esposimetri esterni) e può essere regolato: • manualmente quando si lavora nel programma “M”.

• regolato in automatico dalla macchina fotografica in modalità “P”.

• semi-automatico nelle altre modalità “A” (Nikon) o “Av” (Canon) per la priorità di diaframmi e “S” (Nikon) o “Tv” (Canon) per la priorità di tempi.

Abbiamo dunque capito che tre sono i fattori che influenzano l’esposizione e tutti quanti sono strettamente correlati tra loro: 1. Sensibilità ISO (più basso è il valore, ISO 100 ad esempio, meno luce verrà impressa; viceversa più alto sarà il valore, ISO 6400, maggiore sarà la luce che catturerà).

2. Tempi di scatto (scatti più rapidi, come ad esempio 1\1000, faranno immagazzinare meno luce; scatti più lenti, ad esempi 20″sec, permettono di catturare più luce).

3. Apertura diaframmi (all’aumentare dell’apertura, ad esempio f1,4, entrerà più luce, ma diminuirà anche la profondità di campo; chiudendo il diaframma, ad esempio f/16, aumenterà la profondità di campo ma entrerà meno luce).

Come facciamo dunque a capire se l’esposizione dell’inquadratura che stiamo facendo per la nostra foto è corretta? A seconda del modello e marca della macchina fotografica l’indicatore dell’esposimetro possiamo trovarlo: • all’interno del mirino (tutte le reflex): si attiva premendo il tasto di scatto a metà corsa e guardando all’interno del mirino dovrebbero accendersi dei valori che indicano vari dati, tra cui appunto l’esposimetro.

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• nel display LCD, insieme a tutti gli altri dati di scatto e impostazioni.

• sul secondo display nella parte superiore del corpo macchina ( questa opzione non è presente su tutti i modelli di reflex).

Ma qual’è il suo funzionamento? L’esposimetro indica, come dicevamo, la quantità di luce necessaria per esporre correttamente il soggetto ed è indicata da una barra con al centro uno “0” (che sta a significare il punto esatto della corretta esposizione) sulla sinistra una freccia che indica valori da -1 a scendere (sottoesposizione), sulla destra invece una freccia che indica valori da +1 a salire (sovraesposizione). Quindi se avremo la freccia che punta verso i valori positivi, la macchina ci sta indicando che la foto verrà troppo chiara, se invece punterà verso i valori negativi la foto risulterà scura. Questi valori sono indicati sul display con dei trattini, a seconda del modello di reflex, possono essere calcolati valori anche di 1/3 di stop come illustrato nell’immagine sottostante.

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Ottimo, ma adesso perché la macchina fotografica fa questi calcoli e mi indica questi valori? Perché come detto prima, sta eseguendo una lettura della luce presente sulla scena che stiamo inquadrando; la lettura della luce può avvenire in due modi: • Di luce riflessa: come dice la parola, è la luce che il soggetto rimanda alla fotocamera.

• Di luce incidente: che è quella che arriva direttamente sul soggetto (si misura con esposimetro esterno posto verso l’obiettivo).

Noi analizzeremo il primo caso, in quanto gli esposimetri interni delle reflex utilizzano questo metodo e possono farlo in 3 modi: 1. Lettura esposimetrica matrix

2. Lettura esposimetrica semi-spot o ponderata centrale

3. Lettura esposimetrica SPOT

Lettura MATRIX: Quando la tua reflex sarà impostata in questo modo, il sistema interno farà una lettura quasi intera della luce presente sull’area inquadrata, facendo una media e restituendo quindi dei valori per una corretta esposizione. Questi valori non sono assoluti in quanto, come ricordavamo prima, sono dettati dai quei tre fattori tempi, diaframmi, ISO che a secondo delle esigenze possono essere regolati in maniera diversa, ma questo lo vediamo più avanti.

Lettura SEMI-SPOT: Quando imposterai questo sistema di esposizione, la tua reflex farà una lettura medio-ponderata, ossia leggerà sempre tutto il fotogramma ma darà più importanza nella fascia centrale (su alcuni modelli di reflex questo diametro è modificabile).

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Lettura SPOT: Quando invece avrai impostato questo sistema di esposizione, lo strumento farà una lettura solo nella parte centrale dell’inquadratura (o dove sarà selezionato il punto di messa a fuoco), porzione molto piccola e precisa e per questo motivo bisogna avere una certa pratica e consapevolezza per poterla utilizzare.

Per scegliere quale dei tre sistemi di lettura utilizzare adesso non possiamo starti a spiegare tutti i casi esistenti al mondo, ma ci limiteremo a suggerirti di utilizzare maggiormente il metodo MATRIX, specie se hai il sole alle spalle e quindi la scena davanti a te è illuminata quasi tutta allo stesso modo senza forti contrasti; quando invece nell’inquadratura cominciano a presentarsi zone con maggior contrasto (forte zone di ombra o forti zone di luce), allora poi li starà al fotografo e alla sua esperienza scegliere la misurazione più adatta facendo più letture, magari in SPOT, nelle varie zone di ombra e di luce e poi fare calcoli e prendere decisioni sulla corretta esposizione. Compresi e assodati questi concetti vediamo

come regolare l’esposizione della nostra reflex attraverso i tre fattori tempi, diaframmi ed ISO. Supponiamo di andare in montagna e trovarci davanti a questo paesaggio:

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ora impostiamo la macchina fotografica su P, con lettura esposimetrica su MATRIX, questa ci restituirà dei valori in automatico, ad esempio: ISO 200, f/11, 1/500s; bene fin qui tutto facile, potresti anche scattare ed avere la tua foto bella e pronta, come fanno in molti, ma vanificheresti una delle cose che il fotografo ama fare di più, ossia scegliere manualmente la corretta esposizione. Allora adesso prova a impostare la modalità M (manuale), sempre con lettura esposimetrica su MATRIX e scattare senza impostare nulla; cosa succede? La foto risulta troppo scura o priva di dettagli? Oppure troppo chiara, quasi bianca? Normalissimo, devi regolare quei tre fattori tempi, diaframmi e ISO di cui parlavamo poco fa.

Tenendo conto che gli ISO in digitale rappresentano le vecchie pellicole ASA, dovremo per prima cosa impostarli in base alle condizioni di luce (si tende a tenerli sempre il più bassi possibile per evitare il rumore digitale o grana) presente sulla scena, essendo quella sopra, una foto ripresa a metà giornata (sole alto quasi perpendicolare), andranno impostati gli ISO più bassi che la vostra reflex permette (di base dovrebbe essere 100 o 200); a questo punto guardando il display della reflex vedremo dei valori che ci indicano tempi di scatto, diaframma e l’esposimetro che ci segnala qualcosa; l’indicatore dell’esposimetro segnalerà dei valori positivi o negativi in base a come sono stati impostati i tempi e i diaframmi; essendo un paesaggio, suggeriamo di chiudere il diaframma per avere una maggiore profondità di campo e quindi avere tutta la foto a fuoco, imposteremo f/11; adesso manca il “tempo”. Come sapere quale tempo scegliere per far si che la nostra foto sia correttamente esposta? Guarderemo nel mirino o nel display esterno cosa ci indica il cursore dell’esposimetro: se sarà spostato verso il “+” vorrà dire che con quei dati, la foto verrà sovraesposta (molto chiara), di quanto? Lo leggeremo in base alle tacchette rappresentate su quella barra e si misurano in “STOP”. Nell’esempio qui sotto, si può notare

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come un valore di 1/60s, anziché 1/500s, porti a un eccessiva luminosità della foto: SOVRAESPOSIZIONE +3EV

Dicevamo, quindi, se la barra risulta positiva, vuol dire che entra troppa luce e dovremo ruotare la ghiera dei tempi di 3 STOP, diminuendoli, per far si che l’otturatore rimanga aperto meno tempo ed impressioni meno luce; al contrario se l’indicatore sarà spostato verso la parte negativa, agiremo sempre sulla ghiera dei tempi aumentandoli, permettendo così all’otturatore di restare aperto più tempo e di immagazzinare la luce necessaria. Qui sotto un esempio dove il valore dei tempi era impostato su 1\2000, riducendo la luminosità generale di tutta l’immagine:

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SOTTOESPOSIZIONE -3EV

Sono valori assoluti questi che ci da l’esposimetro? Assolutamente no, perché è possibile ottenere la stessa esposizione anche impostando ISO e diaframmi differenti, mantenendo fermo il tempo sullo stesso valore; Tenendo sempre in considerazione l’immagine del paesaggio montano qui sopra, potremmo impostare come tempi 1/1000s, lasciare gli ISO a 200 e aprire il diaframma per permettere di far entrare più luce, quella luce che non entra più dai tempi perché sono il doppio più veloci di prima (1/500s), regoleremo la ghiera del diaframma a f/8 (ossia 1 stop in meno), così facendo riporteremo la livella dell’esposimetro su “0”; agendo invece sugli ISO, avremmo dovuto impostare 1/1000s, f/11 e ISO 400.

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La regola dei terzi Componiamo le nostre immagini correttamente La fotografia è luce in grado di impressionare il sensore e registrare le informazioni che poi saranno visibili all’occhio umano come immagini. Quindi esposizione e trasmettere sensazioni sono i principali fattori che terminano una buona fotografia. Ma un ruolo fondamentale lo gioca anche la composizione. Dinamicità, forza e impatto vengono enfatizzati anche da come inquadriamo e posizioniamo i vari elementi all’interno dell’immagine. Avrai sicuramente sentito parlare almeno una volta nella vita, che per ottenere immagini più accattivanti il soggetto debba essere posizionato in uno dei punti focali dell’immagine o nelle linee di forza. Ma cosa sono i punti focali? Come li riconosciamo?

Nell’immagine qui sopra puoi notare come le linee di forza, orizzontali e verticali, dividano l’immagine in nove parti uguali e i punti focali sono il risultato dell’intersezione di queste linee (punti in verde). Questa suddivisione dell’immagine viene chiamata appunto “regola dei terzi”. La regola dei

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terzi ci è stata tramandata nei secoli dalla pittura, infatti, questa tecnica ha sempre garantito nelle rappresentazioni di qualsiasi genere, dalla pittura alla fotografia, dinamicità e armonia, colpendo l’occhio e catturarne l’attenzione.

Come si applica la regola dei terzi nella fotografia di paesaggio Nella fotografia di paesaggio, la regola dei terzi si applica per dare una maggiore importanza al primo piano o al cielo, posizionando quindi la parte a cui si vuole dare maggior rilievo a 2/3 dell’immagine. Che significa? Semplice, l’orizzonte del vostro panorama dovrà essere posizionato su una delle due linee orizzontali; quindi in parole povere se vorrai dare maggiore importanza al primo piano dovrai trovarti di fronte a questa situazione:

puoi notare come il soggetto sia posizionato nel punto focale in basso a destra, mentre l’orizzonte si trova nell’ultimo terzo. l’Immagine oltre a risultare ben bilanciata, indirizza lo sguardo dal primo piano (parte più in evidenza) verso l’orizzonte, dove ci sono appunto le montagne. Lo stesso discorso vale per le inquadrature verticali.

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Nel caso in cui il principale soggetto sia il cielo, magari mentre stai facendo una bella fotografia notturna, ti basterà inquadrare una porzione maggiore di cielo, spostando l’orizzonte nella seconda linea orizzontale, come nell’esempio qui sotto:

Come si applica la regola dei terzi nella fotografia di ritratto Nella fotografia di ritratto la regola dei terzi va applicata sulle parti principali del soggetto, solitamente corrispondono all’occhio, nel caso di un primo piano, il viso per mezzi busti o figure intere. Quindi cerca di posizionare nei punti focali o lungo le linee di forza il tuo soggetto in modo da decentrarlo, facendolo risultare decisamente più interessante. Ti mostriamo alcuni esempi qui di seguito:

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La regola dei terzi non è limitata soltanto alle tecniche fotografiche sopra elencate, ma estende il suo raggio di azione a 360°, coinvolgendo anche tipi di fotografia come quella macro, street, reportage; resta da sottolineare, malgrado la sua utilità, la possibilità di non essere obbligatoriamente rispettata.

Rompere le regole:

Come accennato sopra, la regola dei terzi ci viene in soccorso nella maggior parte delle situazioni, ma è bene ribadire che non è l’unica e non è imposta; infatti nella fotografia, come nella pittura, ricercare inquadrature simmetriche, minimali o fuori dagli schemi spesso può essere un arma vincente per stravolgere completamente la fotografia e catturare l’attenzione di chi la sta osservando.

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Profondità di campo Che cos’è e come si regola La profondità di campo è un altro fattore molto importante per la riuscita di una buona fotografia. A seconda delle situazioni, la profondità di campo può influenzare di molto il risultato di un’immagine e per questo va studiata e compresa a fondo.

Ma cos’è la profondità di campo? La profondità di campo (detta anche PdC) è quella parte dell’immagine dove gli oggetti risultano nitidi e ben focalizzati; ad esempio possiamo guardare come nella qui sotto, la profondità di campo è ben focalizzata sul piano del corpo del soggetto mentre gli altri piani, tutto ciò che c’è prima del soggetto e tutto ciò che sta dopo e quindi dietro al soggetto, risultano fuori fuoco (detti cerchi di confusione); si parla in questo caso di “ridotta profondità”, poiché solo una parte dell’immagine è chiara all’osservatore, mentre il resto, meno nitido e chiaro, quindi sfocato, fa da contorno al soggetto, non intralciando la vista di chi la osserva.

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Nella figura successiva, invece, possiamo notare come la PdC sia fondamentale che rimanga nitida su tutto il piano dell’immagine, per permettere a chi la sta guardando di non perdersi nessun dettaglio dello splendido paesaggio.

Abbiamo quindi visto in questi due esempi quanto la profondità di campo sia importante e sopratutto vada scelta e curata per ottenere immagini di grande effetto.

Ma come si regola la profondità di campo? La PdC è definita da tre fattori: • Distanza dell’oggetto dal sensore (maggiore è la distanza, più ampia sarà la profondità di campo e viceversa).

• Apertura del diaframma (maggiore sarà l’apertura ƒ, minore sarà la PdC, viceversa, più chiuderemo il diaframma, più la nostra profondità aumenterà).

• Lunghezza focale dell’ottica (un obiettivo con maggiore angolo di campo, ad esempio i grandangoli, avranno un maggior raggio di campo e quindi profondità, mentre con uno zoom, avendo un campo di visione più ristretto, diminuirà la PdC.)

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Immaginiamo di avere come obiettivo un 50mm, che sappiamo rappresenta la realtà, quasi come la percepisce l’occhio umano e di utilizzare un’apertura di diaframma fissa a ƒ/2,8 (PdC molto ridotta), vediamo nella foto qui sotto come la profondità di campo, rappresentata dal colore verde, vari, al variare della distanza del soggetto:

Utilizzando invece sempre un 50mm e mantenendo il soggetto sempre alla stessa distanza di 5mt, vediamo come varia la PdC chiudendo i diaframmi, ricordando che una maggiore apertura del diaframma, permette si di far entrare più luce, ma riduce molto la profondità di campo, viceversa, utilizzando diaframmi più chiusi, avremo meno luce che entra, ma una maggiore profondità di campo:

Infine possiamo osservare come la profondità di campo varia in base alla lunghezza focale dell’ottica; immaginiamo di stare per fotografare un soggetto a 10 mt. di distanza, con un obiettivo a lunghezza focale 400mm e diaframma ƒ/2.8, la nostra profondità di campo risulterà essere di soli circa 10cm, mentre se utilizzassimo sempre il nostro famoso 50mm, la PdC risulterebbe di circa 7,62mt.

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Abbiamo quindi visto come la profondità di campo sia influenzata da questi 3 fattori, è dunque importante capire a fondo questo argomento, perché può essere utilizzata sia in modo creativo (spesso nel ritratto si utilizzano ridotte PdC per enfatizzare il volto del soggetto) che studiata accuratamente per avere tutti i piani e soggetti a fuoco.

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L’istogramma Impariamo a leggere i suoi valori L’istogramma è quel valore grafico che trovi, dopo aver scattato una foto, sul display LCD della tua reflex oppure lo puoi osservare successivamente, nei programmi di fotoritocco quando apri le tue foto per elaborarle e si presenta così:

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Nella prima foto possiamo notare il grafico di colore bianco posizionato in alto a destra (a seconda del modello e marca di reflex ovviamente cambia), nella seconda illustrazione, invece, oltre a quello bianco troviamo anche altri 3 grafici colorati rosso-verde-blu, quelli stanno ad indicare i canali RGB, per cui potremo leggere con molta accuratezza se ci sono errori sui toni di alcuni colori. All’interno dei programmi di fotoritocco, come Photoshop o Lightroom, invece l’istogramma ci apparirà in questo modo:

Dicevamo appunto, l’istogramma serve a leggere la luce, ci indica quali valori compresi tra 0 (nero) e 255 (bianco) sono stati impressi sull’immagine scattata; tutto ciò che sta prima dello “0”, quindi sul lato sinistro, indica che i pixel sono completamente neri, ossia privi di dettaglio; tutto ciò che si trova dopo il “255”, quindi sul lato destro, saranno i pixel bianchi, anch’essi privi di dettaglio. Come possiamo vedere nel grafico qui sotto, l’istogramma viene suddiviso in questo modo:

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• l’asse verticale indica la quantità di pixel sul fotogramma di una determinata luminosità.

• l’asse orizzontale invece è leggermente più complesso da comprendere; è suddiviso in 3 sezioni: il lato sinistro, parte dal valore 0, riguarda i pixel e quindi le zone di ombra presenti nell’immagine, la parte centrale indica i mezzitoni e la parte destra invece indica i pixel più luminosi fino ad arrivare al bianco assoluto che è il 255.

Ne consegue che, se avremo l’istogramma spostato tutto verso sinistra l’immagine sarà sottoesposta; quanti pixel avranno quelle tonalità (o porzione dell’immagine)? Più il picco è alto e più i dettagli dei pixel sulla foto presenteranno zone scure, se sono sul bordo o in prossimità dello “0”, invece, saranno proprio dettagli neri, non visibili all’occhio umano:

viceversa, se l’stogramma sarà spostato tutto verso destra, avremo una maggioranza di pixel tendenti al bianco, mentre quelli sul valore 255 e oltre, saranno bianchi assoluti, non visibili all’occhio umano, ne consegue che la foto in quella parte sarà bianca:

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Facciamo un esempio pratico per capire meglio come funziona l’istogramma. Se dovessimo fotografare un tramonto con il sole quasi frontale, avremo sicuramente delle zone in ombra; per cui scegliendo di esporre nella modalità “spot” nel punto più luminoso della nostra inquadratura, avremo più o meno una situazione simile:

Nell’immagine qui sopra puoi notare come le zone evidenziate in rosso corrispondono a quella porzione di istogramma che si avvicina allo “0” del lato sinistro, il picco cerchiato di rosso indica che quelli sono pixel neri o molto vicino al nero, per cui in quella parte dell’immagine avremo zone prive di dettaglio o molto scure non visibili all’occhio umano; Al contrario, se esponessimo sempre in modalità “spot”, ma stavolta per le ombre, avremo più dettagli nelle zone scure, ma ci ritroveremo per forza di cose a sovraesporre il cielo:

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in questo caso, come si può notare dalla foto qui sopra, la parte evidenziata in rosso, corrisponde ai dettagli o pixel bianchi che si avvicinano al valore 255 o lo superano; questi sono porzioni di pixel che non si recuperano nemmeno in post produzione. Se avessimo esposto correttamente facendo una prima misurazione sulle ombre, una seconda sulle alte luci e poi con un calcolo tra le differenze di “stop” che passano tra luci e ombre, fatta una media valutativa (ad esempio con 4 stop di differenza tra luci e ombre, esponendo per le ombre, avresti dovuto sovraesporre di 2 stop), avremo avuto una situazione simile a questa:

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possiamo notare come l’istogramma sia ben “spalmato” lungo tutto l’asse orizzontale, ci sono dei picchi nella parte sinistra delle ombre, ma non sono vicine al punto “0”, per cui con un po di fotoritocco sono recuperabili, idem per le alte luci, ossia parte destra dell’istogramma, ci sono presenti zone chiare, ma non sono vicine all’estremo “255” e quindi recuperabili anch’esse con i programmi di fotoritocco.

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Le modalità di scatto Prova a scattare Manualmente Ti sei mai chiesto a cosa servono le modalità di scatto P,A,S,M? Oppure, in quali occasioni utilizzare una impostazione piuttosto che un’altra? Bene, non ti preoccupare, mettiti seduto comodamente perché nelle prossime righe cercheremo di spiegarti il funzionamento e l’approccio corretto da adottare quando si comincia a fotografare e non si hanno le idee ben chiare rispetto alla modalità di scatto da scegliere. Al giorno d’oggi, la maggior parte delle fotocamere digitali hanno all’interno del loro software varie modalità di scatto che possono cambiare in base al modello, ma in ogni caso ce l’hanno e sono talmente tante che spesso molti di noi nemmeno sanno a cosa servono o come si utilizzano.

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Tralasciando le modalità di ripresa automatiche che non permettono all’utente di comandare la propria fotocamera digitale (rappresentate solitamente da diverse icone, quali il fiore, la montagna, il ritratto) vediamo insieme le modalità di scatto P,A,S,M, che al contrario, servono proprio a lasciare libero campo di controllo dell’esposizione al fotografo.

Modalità P o Program Questo tipo di modalità è tra le 4, la meno creativa. Infatti è una modalità molto simile a quella “auto“; è la fotocamera stessa a decidere tempi, ISO e diaframmi, lasciando al fotografo il compito di regolare solamente il bilanciamento del bianco, la composizione e la compensazione dell’esposizione. Dunque la modalità “P” potrebbe tornarci utile in quei momenti in cui non abbiamo molto tempo per regolare i tre parametri o quando siamo alle prime armi e vogliamo essere sicuri di portare a casa almeno un paio di scatti buoni.

Modalità A (AV per Canon) o priorità di diaframmi Tra tutte le modalità di scatto, questa è quella che personalmente utilizzo di più. Infatti con questa impostazione è il fotografo a dettare legge sulla profondità di campo. Lasciando il compito di gestire i tempi al software della reflex, noi abbiamo il pieno controllo dei diaframmi; potremo così scegliere un’apertura maggiore per avere meno profondità di campo e staccare il soggetto dallo sfondo, oppure chiudere il diaframma per avere tutti i piani a fuoco. Si può utilizzare in molti contesti fotografici, come ad esempio la fotografia di ritratto, macro, paesaggio e still-life.

Modalità S (TV per Canon) o priorità dei tempi Contrariamente alla modalità A, la priorità dei tempi, invece, lascia al fotografo il pieno controllo della scelta del tempo. Questa modalità di ripresa può essere molto utile nelle fotografie sportive o dove abbiamo bisogno di tempi ben prestabilì per fermare il soggetto o per creare effetti particolari, come le scie luminose, come la fotografia notturna, star-trail e via dicendo.

Modalità M o Manuale Con questa impostazione, la reflex è totalmente nelle nostre mani. Hai il comando e il controllo di ogni singola impostazione, dovrai imparare ad essere molto rapido per impostare velocemente la giusta accoppiata tempi/ diaframmi/ISO; consiglio quanto meno, se non state scattando in studio con lampade o flash, di mantenere attiva la funzione AUTO del bilanciamento del bianco e di impostare gli ISO sempre il più bassi possibile e quindi preoccuparti solamente dei tempi e dei diaframmi durante lo scatto.

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Quindi, è vero che scattare nella modalità M (manuale) sarebbe la soluzione più opportuna sia per imparare a migliorarsi, sia per avere il pieno controllo dell’esposizione e quindi sullo scatto, mettendoci sempre la propria vena creativa ma è pur sempre vero che le altre modalità di scatto, anche se sono semiautomatiche, non vuol dire che non bisogna conoscerle o non usarle, anzi, come visto negli esempi sopra, in alcune situazioni sono davvero indispensabili semplificando la vita del fotografo professionista.

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Complimenti Ora sei pronto per fare foto che emozionano. Se vuoi ampliare le tue vedute fotografiche. Se vuoi imparare da grandi fotografi, non ti resta che partecipare ad un loro workshop. Accedi su weshoot e cerca il workshop che pi첫 ti piace.

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