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Tecnica Il gusto dell'esca di Rod Hutchinson pubblicato il 25/09/11
Sono trascorsi parecchi anni da quando, assieme ad alcuni fidati amici, intraprendemmo quell’avventura pionieristica che prese poi il nome di Carpfishing. Da allora molte cose si sono evolute, sono cambiate e sono state modificate in una sempre continua ed affannosa ricerca tendente alla “perfezione”, ma alla fin fine, quelle stesse cose sono sempre tornate verso il nucleo primordiale da cui tutto ebbe inizio. Ne sono convinto: la ciclicità regola gli eventi, e la pesca specialistica non fà eccezione. Ecco che ora, dopo una pausa forzata di qualche mese, mi ritrovo ancora qui assieme al “mio” Carpfishing (consentitemi di chiamarlo così, per me è come un figlio che ho allevato e visto crescere) che quest’anno ha deciso di riaccogliermi proprio come farebbe un devoto figliol prodigo: questa primavera infatti ho portato a riva il mio nuovo personal best, un sogno che per troppo tempo ho inseguito ma che la mia avara Inghilterra mai seppe regalarmi. Ritengo che avvenimenti come questo scatenino nel nostro io una serie di stimoli incontrollabili che infondono nuovo entusiasmo e rinnovato interesse, portandoci magari di nuovo verso sentieri che avevamo abbandonato da tempo e che non ritenevamo più la pena di intraprendere. Detto fatto! Ora mi ritrovo ancora qui, di nuovo in prima linea dopo molti anni a dannarmi l’anima per cercare di far luce su tutto quello per cui non ho ancora trovato una spiegazione convincente e comprovata dall’obbiettività dei fatti.
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Manco a dirlo, i meandri più oscuri del carpfishing sono costituiti proprio dall’argomento “esca”: un universo sul quale tanto(o forse troppo) è stato detto e scritto, giungendo spesso a confondere quella che è una tecnica di pesca con qualcosa di simile ad un’ alchimia improvvisata. Ma d’altra parte lo sappiamo bene, ai carpisti piace complicarsi la vita ed io non sono certamente diverso, così dopo un periodo di iniziale titubanza ho fatto la mia scelta: torniamo a parlare di esche da carpa. Sento che c’è ancora molto su cui dibattere, anche se sarebbe meglio dire “ripetere”, dato che i più giovani sono oggi fuorviati da numerosi “totem umani” che sempre più numerosi infestano la rete, perdendosi tutto il vero piacere della pesca. Vi prego, internet è un eccellente mezzo di comunicazione, ma non chiudetevi nel vostro salotto davanti ad un monitor: prendete le vostre fidate canne e recatevi in riva all’acqua più che potete, perché è solo qui che potrete tentare di carpire ciò che state cercando. Ho quindi deciso di proporvi una serie di riflessioni divise per sezioni, ma che fanno tutte capo ad un unico concept: l’esca da carpa.
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La scelta di procedere per capitoli deriva dal fatto che ritengo opportuno sviscerare specificatamente ciascuno degli ambiti che fanno parte del moderno concetto di “boilie”, i quali sebbene strettamente legati da relazioni di interdipendenza reciproca, meritano singoli approfondimenti dedicati. La base di lavoro è una sola: fatti oggettivi, che per noi carpisti non sono altro che gli esiti di tutte le nostre sedute. Cominciamo ragazzi! Gusto dell’esca: Cosa percepisce una carpa? Non si può parlare di boilies senza nominare il fattore gusto, davvero fondamentale nel determinare la differenza tra una buona esca unicamente attrattiva ed un vero e proprio alimento per carpe che queste non si stancheranno mai di ricercare, nemmeno dopo decenni. Il profilo gustativo dell’esca è fondamentale e non può essere lasciato al caso ed ora vi spiego brevemente perché. Come sapete io sono inglese e qui da noi le carpe sono pescate con frequenza disumana per tutto l’arco dell’anno fin dai primi anni ‘80, portandole così a modificare i loro comportamenti per quell’innato istinto di conservazione della specie proprio di ogni vivente. Già dai primi ’90 notammo che moltissime carpe avevano perso l’abitudine di aspirare l’esca come consono a questi animali, ma si limitavano a prenderla tra le labbra “tastandola“ anche per parecchi secondi in cerca di un possibile amo e relativo terminale, il tutto chiaramente senza nemmeno un bip degli avvisatori.
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Questi furono i frangenti che mi fecero concentrare sul gusto dell’esca: più questo soddisfa la carpa e per più tempo questa tiene in bocca la nostra insidia aumentando le possibilità che il nostro rig funzioni, garantendoci un’allamata e relativa partenza. Ciò è in sintesi quello che noi inglesi chiamiamo “Confidence”, ovvero una situazione in cui la carpa si sente più tranquilla, diminuendo così quella diffidenza in fase di alimentazione che ci fa restare a secco di strike. Sorrido pensando che qualche anno fà a causa di queste mie considerazioni, i carpisti italiani mi dipinsero come un esagitato visionario, ma ora vedo che anche voi vi state leccando le ferite perché le vostre carpe non sono più tanto facili da “fregare” come un tempo e vi state fermando a riflettere. Bene così. Per quanto concerne il gusto della boilie, la moda corrente in merito sembra volerci far credere che una buona esca debba essere necessariamente dolce. Se invece, guardiamo le cose obbiettivamente per come sono, ci rendiamo conto che molte delle esche da carpa che hanno preceduto la boilie (e sulle quali essa si è sviluppata), come furono le trout pellets o i cibi per gatti e cani, hanno tutt’altro che un sapore dolce. Non parlerei di dolcezza nemmeno se mi riferissi al mais o ad altri tipi di granaglie che al contrario hanno fortissimi sentori di acidità e di rancido, assolutamente opposti ad una nota gustativa dolce. Portando altri esempi più concreti mi è sufficiente pensare alle numerose farine animali impiegate nei nostri mix, come possono essere quella di pesce, carne, fegato o cozza direi che non sono esattamente delle caramelle. Oppure mi viene in mente il Robin Red: lo mettereste nel vostro caffè? Se vi piace piccante sicuramente si. Per quanto riguarda vermi, larve ed insetti…devo ancora avere il piacere.
http://www.carponline.it/blog/p/il_gusto_dellesca.htm
03/10/2011
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Ricordo che quando sviluppai i miei Addicted e Secret Agent, basai il mio lavoro proprio su queste insindacabili constatazioni, cercando di offrire agli anglers qualcosa che potesse realmente avvicinarsi a quello che le grosse carpe trovano in natura. I risultati in terra belga e francese furono strabilianti, e nella seconda metà degli anni ’90 questi due “piccoli mostri” raggiunsero la celebrità che si meritavano. Ma di questo ne parliamo la prossima volta!
Fine della prima parte
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03/10/2011