Storia di Barcola Barcola è il biglietto da visita di Trieste. Per chi vi arrivi percorrendo la nostra stupenda Costiera infatti, dopo aver goduto dell'impareggiabile vi-sione della distesa del mare da una parte e della parete di cal-cari carsici riscaldati dal sole al tramonto dall'altra, con la città là in fondo che attende, questo è il primo nucleo abitato che si incontra Nessuna squallida periferia accoglie il visitatore, ma un delizioso rione residenziale che a tutta prima sembra soltanto formato da ville più o meno recenti, ma che invece ha un passato dal quale intendiamo trarre, perché non si spezzi il filo che ci lega al nostro passato, qualche curiosità storica. Imbocchiamo dunque la strada litoranea, e, se siamo d'estate, assisteremo ad uno spettacolo al quale ormai i triestini non fanno più tanto caso, ma che colpisce in particolar modo gli stranieri che arrivano nella nostra città. Si tratta dello stuolo di bagnanti che popolano la riviera e che circolano in tutta libertà. La popolare "scoierà" fu aperta per iniziativa del Duca d'Aosta quand'era ospite del castello di Miramar. In alto, poco sotto il ciglio dell'altopiano carsico, è ben e-vidente il tracciato della strada aperta dall'ingegnere Giacomo Vicentini e conosciuta col nome di "Napoleonica", forse solo perché costruita nell'anno della morte del grande corso. Il porticciolo di Cedas ha origini romane: era più ampio dell'attuale e poteva ospitare non meno di 60 legni minori. A monte di questo furono ritrovati scarsi resti di una villa risalente alla seconda metà del secondo secolo d.C. Tutta la zona divenne più tardi proprietà della famiglia Conti che dal luogo trasse nel 1650 il suo predicato nobiliare. La loro villa, ora di proprietà Janesich, fu particolarmente cara a Giusto Conti per la particolare salubrità eh' egli attribuiva al luogo, rimasto indenne dal contagio durante le epidemie di colera che infierirono a Trieste nel 1836, 1849 e 1855. Tre cippi, ancora esistenti, testimoniano con altrettante epigrafi la sua gratitudine. In tutta prossimità della villa sorgeva nell'800 la batteria di Cedas. Aveva un corpo di guardia fisso ospitato nella robusta casa in arenaria ubicata all'altezza del porto, che venne donato alla città nel 1885 come testimonia una la-pide murata all'estremità del suo braccio maggiore. Più avanti incomincia la sfilata delle ville costruite in stili assortiti a cominciare dall'ultimo decennio dell'800. Incuriosisce la villa di viale Miramare al 229, la nota "villa delle cipolle" eretta dalla ditta Giovanni Martelanz nel 1896 per l'ex prete Antonio Jakic, il quale, pare sovvenzionato dal governo dello zar, dal 1888 al 1908 svolse opera di propa-ganda panslava con un perio-dico politico-letterario. Lo stile russo in cui fu progettata la villa mi pare giustificato supporre sia, più che alle idee del proprietario, un omaggio ai rubli con i quali molto probabilmente fu costruita. L'armatura in legno delle cupole è opera dell'artigiano Francesco Gasperini.
Poco oltre parte da viale Miramare la salita a Contovello, percorso antichissimo perché ricalca il tracciato della strada consolare romana che, staccatasi dalla Gemina Postumia ad Avesica (con tutta probabilità l'attuale Prosecco), per il valico di Moncolano scendeva al mare: indi per le vie del Cerreto e del Perarolo si innestava sulla strada del Friuli e raggiungeva Trieste percorrendo press'a poco la vie Udine e Carducci. Moncolano deriva da Mons Catalanus, monte dei Catali, una delle tribù preromane che popolavano questi luoghi. Più avanti, la vecchia casetta di viale Miramare 135 ospitava l'ufficio dei "savornanti", di coloro cioè che s'erano assunti il compito di togliere dai velieri o di portare sugli stessi il pietrisco che fungeva da zavorra. Spingevano le loro barche fino a San Giovanni di Duino dove raccoglievano la materia prima necessaria alla loro opera che poi trasportavano a Trieste per disporla laboriosamente e faticosamente in fondo alle stive. Si trattava di uomini dai fisici eccezionali, capaci di annien-tare con un pugno i malcapitati che avessero compiuto l'im-prudenza di avventurarsi in qualche disputa con loro. Tra le donne era invece diffuso il mestiere della lavandaia. Orne, mastelli e caldai facevano parte del corredo di ogni casa barcolana come pure le ampie cucine affumicate ne erano una caratteristica costante dovuta alla necessità continua di grandi quantitativi di acqua bollente. E le vaste sciorinature di panni al sole conferivano al paesaggio una vivace nota di allegria. Proseguendo oltre troviamo l'imponente mole del cosidetto albergo americano., costruito verso il 1950, ponendo le fondamenta del quale furono rinvenuti ambienti d'epoca romana pavimentati a mosaico, probabilmente appartenuti ad una villa. Ma questi non sono gli unici ricordi che i romani hanno lasciato a Barcola: le campagne archeologiche degli anni 1887-1891 rivelarono l'erezione verso la metà del primo secolo d.C. di ville e circa un secolo dopo di terme, ubicate le prime sul terreno sottostante al tratto meridionale del viadotto ferroviario e le seconde a valle dell'edificio scolastico. Due mosaici reperiti nelle prime sono conservati nel tempietto che custodisce pure il cenotafio di Winckelmann. Il reperto più importante, però, è costituito da una statua d'atleta acefala di proporzioni e linee classiche che insiste sulla gamba destra flettendo la sinistra ed inarcando il torso con cadenza policletea. Nel 1842 vi venne rinvenuta un'urna ornata da bu-crani e con un'epigrafe dedicatoria Dietro l'albergo americano sorge, al n. 11 di via Aurelio Nicolodi, la dominicale dei Giuliani, a lato della quale esiste tuttora un edificio che, per la sua forma insolita, ha scatenato le supposizioni più ardite circa la sua destinazione originale. Si tratta di una costruzione cilindrica, rastremata verso l'alto, a due piani più il pianoterra, coronata da balconata in legno e con copertura "a capanna" in tego-le. Il piccolo stemma in marmo, sopra la porta d'entrata, carica to e cimato da una corona recante la data 1719 e le lettere F:L:D:M:C: forse non ha relazione alcuna con la data di erezione. Si pensò ad una torretta militare avente fini di difesa da nemici che venivano dal mare o da terra, come i turchi, per analogia con altre torri esistenti nel territorio come quella di Corgnale. La bal-conata aveva anche suggerito che la torre fosse un posto di vedetta
per la pesca del tonno; ma come ipotesi più probabile riteniamo che l'edificio fosse stato un granaio o un mulino. Alle spalle della casa Giuliani esiste quella che fino all'inizio della prima guerra mondiale fu dei conti Prandi, in cui il 2 settembre 1790 fu ospite il re delle Due Sicilie Ferdinando IV di Borbone. Costui in viaggio da Napoli a Vienna volle assistere "al divertimento della pesca in Barcola" dove si recò via mare, "accompagnato da splendido corteggio de' suoi e degli Austriaci, al suono della musica turca, e siccome il pa-trizio triestino sig. Giacomo de' Prandi aveva raccolte varie leggiadre contadine abbigliate ad uso di nozze affinchè con le liete loro danze rusticali concorressero a render dilettevole a sì benigno monarca il soggiorno triestino, informatane la M.S., si degnò intervenirvi, trattenervisi e partirne con segni di graziosa compiacenza, e benigno gradimento, contestato ancora con un generoso re gaio a quelle villereccie donzelle". A memoria di tale evento fu scolpita una lapide che venne posta al di sopra della porta d'ingresso del podere. I possedimenti Prandi erano molto e-stesi e giungevano fino al mare: loro era anche il porticciolo, venduto al Comune di Trieste per 10.000 fiorini nel 1872, che esisteva al posto dell'attuale giardino, piantato nel 1890 a cura della Società d'Abbellimento. La villa fu venduta il 10 maggio 1914 alla "Fondazione barone Carlo e baronessa Cecilia di Rittmeyer per un asilo di ciechi poveri in Trieste", e fu destinata al benemerito ufficio che ricoprì fino alle recenti riforme scolastiche. La chiesa di Barcola ha ori-gini antichissime: certamente anteriori al 1338. L'affetto che Enea Silvio Piccolomini aveva portato alla chiesetta della lo-calità in cui, ospite dei Burlo, amava villeggiare durante il periodo in cui fu vescovo di Trieste, ci è testimoniato dal breve datato 3 novembre 1462, col quale, salito al trono pontificio col nome di Pio II, dominicale dei Giuliani, a lato della quale esiste tuttora un edificio che, per la sua forma insolita, ha scatenato le supposizioni più ardite circa la sua destinazione originale. Si tratta di una costruzione cilindrica, rastremata verso l'alto, a due piani più il pianoterra, coronata da balconata in legno e con copertura "a capanna" in tego-le. Il piccolo stemma in marmo, sopra la porta d'entrata, carica-to e cimato da una corona recante la data 1719 e le lettere F:L:D:M:C: forse non ha relazione alcuna con la data di erezione. Si pensò ad una torretta militare avente fini di difesa da nemici che venivano dal mare o da terra, come i turchi, per analogia con altre torri esistenti nel territorio come quella di Corgnale. La bal-conata aveva anche suggerito che la torre fosse un posto di vedetta per la pesca del tonno; ma come ipotesi più probabile riteniamo che l'edificio fosse stato un granaio o un mulino Alle spalle della casa Giulia-ni esiste quella che fino all'ini-zio della prima guerra mondiale fu dei conti Prandi, in cui il 2 settembre 1790 fu ospite il re delle Due Sicilie Ferdinando IV di Borbone. Costui in viaggio da Napoli a Vienna volle assistere "al divertimento della pesca in Barcola" dove si recò via mare, "accompagnato da splendido corteggio de' suoi e degli Austriaci, al suono della musica turca, e siccome il pa-trizio triestino sig. Giacomo de' Prandi aveva raccolte varie leggiadre contadine abbigliate ad uso di nozze affinchè con le liete loro danze
rusticali concorressero a render dilettevole a sì benigno monarca il soggiorno triestino, informatane la M.S., si degnò intervenirvi, trattenervisi e partirne con se-gni di graziosa compiacenza, e benigno gradimento, contestato ancora con un generoso regalo a quelle villereccie donzelle". A memoria di tale evento fu scolpita una lapide che venne posta al di sopra della porta d'ingresso del podere. I possedimenti Prandi erano molto e-stesi e giungevano fino al mare: loro era anche il porticciolo, venduto al Comune di Trieste per 10.000 fiorini nel 1872, che esisteva al posto dell'attuale giardino, piantato nel 1890 a cura della Società d'Abbellimento. La villa fu venduta il 10 maggio 1914 alla "Fondazione barone Carlo e baronessa Cecilia di Rittmeyer per un asilo di ciechi poveri in Trieste", e fu destinata al benemerito ufficio che ricoprì fino alle recenti riforme scolastiche. La chiesa di Barcola ha ori-gini antichissime: certamente anteriori al 1338. L'affetto che Enea Silvio Piccolomini aveva portato alla chiesetta della lo-calità in cui, ospite dei Burlo, amava villeggiare durante il periodo in cui fu vescovo di Trieste, ci è testimoniato dal breve datato 3 novembre 1462, col quale, salito al trono pontificio col nome di Pio II, concesse indulgenza alla stes-sa. Luigi de Jenner ha notizia che "nel 1693 esisteva ancora, mantenuta dai vicini, sotto la cura del Capitolo". Nel 1785 la chiesa venne eretta a curazia escorporando territorio dalle parrocchie di Sant'Antonio Taumaturgo ed Opicina. Due anni dopo venne pubblicato il bando per l'erezione di una nuova chiesa, alla quale nel 1838 fu aggiunto il campanile. Nel 1892 venne elevata a par-rocchia. Ma già alla metà del secolo scorso era diventata troppo angusta per le necessità dei fedeli e si iniziò a pensare ad un suo ampliamento: a tal fine nel 1865 l'imperatore Massimiliano elargì 1.000 fio-rini e l'imperatrice Carlotta 500. Nel corso degli anni tale fondo raggiunse una consi-stenza di 25.000 corone che vennero messe a frutto in una banca di Lubiana; ma con la fine della prima guerra mondiale un confine scese tra il deposito ed i depositanti ren-dendo irrecuperabile la somma. Finalmente nel 1930 prese corpo la concreta possibilità di arrivare ad un rifacimento della chiesa. Il progetto fu elaborato dall'architetto Giovanni Berne che ideò l'ampliamento dell'unica navata di San Rartolomro con la formazione di due corpi laterali e la costruzione di una nuova abside. Il campanile rimase quello della vecchia chiesa, alzato di un tamburo ottagonale e munito di cuspide. Un'idea particolarmente felice fu quella di riutilizzare, per la nuova facciata, quel rosone ch'era appartenuto alla chiesa di San Rocco (vulgo San Pietro) demolita nel 1870, e che da allora giaceva all'orto lapidario. Questo rosone, uno dei più brillanti esempi dell'applica-zione dell'arco pentalobato in-flesso, il cui stile gotico lo fa risalire almeno al XIV secolo, non è originario della chiesa di San Rocco, ultimata nel 1602, ma già allora doveva essere stato recuperato da qualche e-dificio sacro preesistente. L'elemento più notevole che presenta l'interno della chiesa è lo stupendo altare barocco della seconda metà del '600, qui e-retto nel 1952, e già a San Giusto dove aveva occupato l'abside della navata del SS.
Sacramento tra il 1826 e il 1940 proveniente da Venezia, e precisamente dalla cappella della B. V. della Pace annessa al complesso architettonico della Scuola Grande di San Marco, e demolita per la sistemazione di quello ad Ospedale Civile. L'ex altare maggiore, ora ricostruito sul lato sinistro della navata, proviene del pari della Catte-drale, dov'era stato eretto nel 1716 in onore di San Filippo Neri, e venne trasportato a Bareola agli inizi dell'800. Il terzo altare, dedicato in origine alla Madonna della Salute, ed ora alla B.V. del Rosario, fu scolpito per la primitiva chiesa di Sant'Antonio Taumaturgo in capo al Canai Grande (1769-1827). Alla demolizio-ne di questa venne rieretto a San Giusto e nel 1932 definitivamente a Bareola Delle tre campane che esistono in cima al campanile, una è del 1952, la seconda del 1939 e la terza del 1906. L'epigrafe esistente su quest'ultima ricorda che dal 1838 al 1906 il suo posto era occupato da quella campana che ora si trova al museo di via Imbriani e che prima stava sulla Torre del Porto da dove, a partire dal 1636, annunciava le condanne capitali. Alle spalle della chiesa, al n. 10 di via Moncolano, la contessa Regina Nugent si fece erigere dall'architetto Feliciano Vittori una villa, arieggiante un castelletto, in cui nell'inverno 1881-82 fu ospite S.A.I.R. Maria Antonietta, Granduchessa-Ma¬dre di Toscana, il cui figlio, l'arciduca Lodovico Salvatore, che abitualmente dimorava a Zindis presso Muggia, fu l'au-tore di una imponente serie di preziosi volumi di viaggi. La villa, sebbene alterata nelle sue linee originali, esiste ancora e sugli stipiti del portone d'accesso porta inciso il nome della padrona, mentre il cancello è sormontato da una corona comitale e dalla data di erezione 1881. Diversi membri di questa famiglia sono sepolti nel cimitero di Bareola; ad essa apparteneva Lavai Nugent conte di Westmeath, imperial-regio feldmaresciallo, cavaliere del Toson d'Oro, comandante dell'ordine di Maria Teresa, nato in Manda nel 1777, uno degli eroi dell'esercito austria-co dell'epoca napoleonica e della prima guerra d'indipen-denza Ebbe parte preponderante nella liberazione di queste terre dai francesi nel 1813: firmò infatti, assieme al con-trammiraglio Thomas Freemantle, la convenzione di resa dei francesi asseragliatisi nel castello di San Giusto. Negli anni 1834 e '35 divenne comandante militare del Litorale. Morì nel 1862. Margherita Nugent, nipote di Regina, ha donato al Comune di Trieste il palazzetto Leo e la contigua ex chiesa di San Sebastiano. Ancora più a monte, al n. 7/1 di via Illersberg esiste ancora la casa dominicale dei Burlo, certamente l'edificio più antico di Barcola, la cui loggia dagli archetti a tutto sesto ancora sci ttura rinascimentale, in que-sta casa, secondo una tradizio-ne raccolta da uno storico come il Kandler, fu ospite il vescovo di Trieste Enea Silvio Piccolomini durante una o più estati del triennio 1448-1450, quelle cioè che dai documenti risulta abbia trascorso nella sua diocesi. Tradizione d'altronde molto verosimile, conoscendo l'amicizia che legava il presule a Domenico Burlo. Un evidente riflesso dell'affetto che egli aveva portata all'ospite si scorgerà più tardi, quando, salito al trono pontificio, lo benefiche-rà con la nomina a suo familiare e ciambellano. L'omonimo nipote Domenico, intimo dell'imperatore Massimiliano, procuratore generale del Comune, poi giudice e rettore in diverse riprese, fondatore di una solida casa di commercio, indi esattore cesareo dei dazi della Quarantia e dei sali, farà
murare sulla dimora avita una lapide, ancor oggi esistente, recante lo stemma di famiglia e nella parte superiore le lettere Domenico) B(urlo) ed in quella inferiore il millesimo MDXXII nonché le parole, ammirevoli nella loro invitante semplicità, AMI-CORUM HOSPITIUM. La zona di Barcola è interessante anche per le opere di fortificazione che vi vennero erette soprattutto dopo la co-struzione della linea ferrovia-ria: le batterie di San Bortolo e Lengo, il forte Kressich, la "fortezza di Terstenich". Per quanto riguarda la prima, costruita nel 1841, sappiamo che ebbe una parte, poco onorevole a dire il vero, nel quadro del blocco del porto di Trieste nel maggio 1848 da parte della flotta sardoveneta-napoletana al comando dell'ammiraglio Albini. Venne ampliata nel 1854, anno di costruzione del forte Kressich, e si potenziò il suo armamento dotandola di 6 cannoni da 48 libbre e di un posto fisso di fanteria Di questa batteria rimane una casamatta, ora occupata dalla fabbrica di essenze Janousek di viale Miramare 87. Sull'architrave di una porta è incisa la data MDCCCXXXV poi modi¬ficata in MDCCCXXXXI. La batteria Lengo invece si trova a pochi metri dal caval-cavia ferroviario in viale Mi-ramare 81. Il suo terrapieno, murato, scarpato e munito di cordolo, è ancora in essere: sopra di esso è stato costruito un casello ferroviario. Anche questa batteria partecipò all'a-zione del 1848 eseguendo dei tiri di rimbalzo contro le navi dell'Albini che causarono dei danni. La "fortezza di Terstenich" invece era ubicata circa dove oggi sorge l'antenna più esterna di monte Radio, ma non disponiamo di altre notizie su questa fortificazione. Durante l'ultima guerra, per opporre l'estrema resistenza all'avanzata alleata, furono costruiti verso il '44 dall'Orga-nizzazione Todt lungo il viale Miramare dei nidi di mitraglia¬trici (uno di questi, un piccolo bunker a pianta esagonale, è ancora visibile nel giardino dell'ex albergo Excelsior), nonché delle difese anticarro. Erano costituite da quattro nu¬clei: due sbarramenti chiudistrada, uno poco prima del bivio per Miramar e l'altro all' altezza della villa Cesare; tra questi una batteria con casa-matta all'altezza di via Panzera ed un'altra all'altezza del casello del dazio. Contemporaneo alla costruzione delle batterie è lo scavo della galleria antiaerea sotto il parco dell'istituto Rittmeyer mentre risaliva all'inizio delle ostilità il rifugio semin¬terrato nel giardinetto attorno al quale girava il tram. Poco dopo la metà del secolo scorso arrivarono a Barcola le prime avvisaglie del progresso: la costruzione della "ferrata" con l'erezione del monumentale viadotto e l'apertura della strada litoranea quale conseguenza della costruzione del castello di Miramar nel 1857. Nel 1863 Giacomo Bonomo acquistò il terreno contrasse-gnato dal numero tavolare 601 per impiantarvi uno squero e lo stesso anno iniziò l'attività che ebbe la sua massima fioritura entro la fine del secolo con la costruzione di velieri, navi e imbarcazioni minori. Cambiò diverse volte proprietà e con-cessionari, ma ancora oggi la ditta SERAN perpetua sul luogo un'attività nautica ultrasecolare.
Anteriormente al 1875 esi-stevano ditte per la conserva-zione del pesce, e questa attività continuerà più tardi con la Klink & Lauer, 1' "Alimentaire" e la Semler & Gerhardt. Nel 1884 venne fondata la distilleria a vapore Camis & Stock che, eccetto per un breve periodo che va dal 1915 al 1919 durante il quale emigrò a Linz per motivi bellici, rimase a Barcola fino al 1929, data in di Roiano. Oggi la ditta Stock è divenuta una grande industria ed i suoi prodotti - tra cui primeggiano i distillati di vino e di vinacce ed il "cherry-brandy" - hanno raggiunto fama e diffusione internazionali. Negli edifici che occupava in origine a Barcola ha oggi sede la carrozzeria Tlustos. Nel 1898 venne fondata la fabbrica di liquori Baker che, dopo essere passata anch'essa per Roiano, ebbe la sua sede nella zona industriale ed oggi a Gorizia. Alla fabbrica di saponi Carlo Pollack, che già nel 1882 aveva esibito i suoi prodotti all'Esposizione Agricolo-Industriale, subentra, agli inizi del secolo, la fabbrica di vaselina Jean Zibell & Co., poi Raffinerie di Ozokerite. Vi viene eretta la fabbrica di ghiaccio cristallino di Enrico Ritter de Zahòny che darà lavoro fino ad ottanta operai ed il cui comprensorio sarà poi occupato dalla concessionaria Fiat Antonio Grandi. Nel 1920 la Fabbrica di Essenze Fratelli Janousek fondata nel 1883 a Praga, apre a Barcola, sul posto già occupato dalla batteria di San Bortolo, la sua succursale che nel 1936 diviene indipendente. Presso a questa ditta esiste il colorificio Zankl. La Jacopo Serravallo, produttrice del noto "Vino di China Ferrugginoso" singolarmente apprezzato persino nel sudest asiatico, merita un accenno particolare in quanto è la ditta più antica che tuttora mantiene la propria sede nel rione che l'ha vista nascere. Fino a poco tempo fa continuava in via del Cerreto la produzione per il mercato italiano di questa specialità medicinale, mentre ora è reperibile solo all'estero. Accuratamente conservati, i suoi uffici costituiscono un caratteristico esempio di arredamento ottocentesco, tutto a "boiseries" e lastre di vetro smerigliate. Ma verso appunto il penul-timo ed ultimo decennio dell'Ottocento, mentre si sviluppano queste ed altre attività industriali attorno alle vie del Cerreto e Bonafata, sul lungo-mare prendeva corpo l'altra iniziativa, quella tendente a trasformare la zona in località residenziale e climatica Nel 1886 sorge il bagno Excelsior che, dotato nel 1909 di un teatrino, è completato nel 1895 con l'omonimo albergo dall'al-tra parte della strada, cui nel 1910 si aggiunge la pista di pattinaggio, mentre nel 1904 le attrezzature si arricchiscono della sede dei canottieri "Net-tuno". Risale al 1890 il palaz-zetto neogotico di viale Miramare 58, costruito da Edoardo Tureck per il padrone di tutto questo complesso, Alessandro Cesare. Questo dinamico imprenditore, che trasformò Barcola da villaggio agricolo in stazione di soggiorno, possede¬va nel 1881 una flotta di 8 navi con le quali faceva concorrenza ali' "IstriaTrieste". Direttore della Società Filarmonico-Drammatica, fu anche consigliere
comunale. Nato ad Alessandria d'Egitto il 13.12.1847,» morì a Trieste il 1.3.1921. Nel 1902 Federico Martellanz costruì la villa di via Bonafata 14 per il barone Giulio de Macchio, imperialregio ingegnere navale, che si era ritirato nella nostra città due anni prima. Il suo primo cugino Carlo la cui madre era dama di corte dell'arciduchessa Carlotta, fu l'ultimo ambasciatore d'Austria-Ungheria a Roma. Nel 1875 Barcola fu collegata col centro da un primo servizio di diligenze ed otto anni dopo, nel 1883, fu raggiunta dalle rotaie. E così il tram a cavalli, d'eribaltabili dette giardinette e d'inverno con le vetture chiuse a tre finestre per fianco, divenne parte del paesaggio. Il 2 ottobre 1900 il primo tram a trazione elettrica raggiunse Barcola, per ritornare ippotrainato durante la prima guerra. Dopo il conflitto la linea venne contrassegnata col n. 6, e da allora nel cuore di tutti i triestini questo numero è rimasto inscindibilmente legato alla gioia delle vacanze e dei bagni. Ed il n. 6, che dal cavalcavia ferroviario fino al capolinea di Barcola correva in sede propria, parallelamente alla bella recinzione del parco ferroviario formata da 310 pilastri e cordonata in pietra d'Aurisina intervallati da una cancellata di ferro, ed al quale per smaltire d'estate l'aumentato traffico venivano agganciati fino a due rimorchi, portò fedelmente i triestini al "Ferroviario", al-l"'Excelsior", al "Popolare" (1926), ai "Topolini" (1935), alla "scoierà", anno dopo anno. Fino al 30 dicembre del 1969. Alle ore 21.24 il condu-cente, chiuse le porte, mise in moto la vettura n. 409 che girò lentamente attorno al giardinetto, ed il tram, dopo 86 anni, lasciò Barcola per sempre. Lo scoppio della prima guerra mondiale, travolgendo un "mondo ed un sistema di vita, fece quasi scomparire le tradizioni popolari del luogo, fino allora gioiosamente seguite. La devota partecipazione al tempo d'Avvento si esternava nella quotidiana assistenza alle messe mattutine per tutto il mese precedente il Natale: nel buio delle prime ore della giornata invernale scendevano per i ripidi sentieri verso la chiesa le fioche luci delle lanterne dei fedeli. La sera della Vigilia, tutte le case di Barcola si illuminavano della tremolante luce di una o due fiammelle di candela poste tra i vetri delle finestre e che dovevano ardere tutta la notte. All'interno, nel-l'accogliente tepore domestico, le famiglie si radunavano attorno le mense, apprestandosi a consumare la ricca cena della Vigilia, tra le cui portate non potevano mancare le passere fritte, le verze "in teda", il sedano affettato e, tra la frutta, le castagne lesse. Il mattino di Natale, nella piccola chiesa traboccante di fedeli e risuo¬nante delle voci gaudiose del coro locale, veniva celebrata messa solenne, come avveniva anche la mattina di Pasqua. In quest'ultima festività, alla messa seguiva un'imponente processione teoforica con concorso quasi unanime dei barcolani, tra i quali era molto ambito il privilegio di sostenere il baldacchino del Santissimo. Le donne indossavano i loro più bei costumi tradizionali ed il coro parrocchiale era accompagnato dalla banda militare giunta dalla Caserma Grande di Trieste. Sei soldati con la baionetta inastata facevano scorta d'onore. Terminata la processione, la banda si esibiva in un concerto nella sala della cooperativa di consumo accanto alla
chiesa. Durante la mattinata era d'obbligo la merenda con gelatina, pinza e prosciutto, ed in chiusura il presnitz. A partire da otto giorni pri-ma, l'avvicinarsi della sagra per il giorno del patrono era annunciata da gaie musiche che si elevavano qua e là nei cortili delle case: erano i suonatori che approfittavano dell'imminente festività per raggranellare qualche soldo con le "mantegnade". Per il 15 ago-sto, festa dell'Assunzione, ve-niva organizzato un pellegri-naggio via mare per lucrare "el perdon de Barbana". Alla sera del 14 una piccola flottiglia di barche lasciava il porticciolo per essere il mattino successivo in quel santuario lagunare. Se il vento era favor espiativo, in quanto era integrato dalla penitenza. Concludiamo accennando ad altre due manifestazioni che si svolgevano a Barcola. La prima visse per pochi anni, all'inizio del secolo. Dopo il 1860 ebbe luogo, il mercoledì delle Ceneri, lungo il passeggio di Sant'Andrea, un corso aristocrativo post-carnevalesco, senza maschere e senza schiamazzi, ma infiorato di violette, sorrisi ed inchini: l'ultimo riverbero di un carnevale ormai sepolto. Nei primi anni del secolo, quando tutta Sant'Andrea fu trasformata per la costruzione del nuovo porto e della nuova stazione in un grande cantiere, il corso si spostò alla riviera di Barcola dove fiorì ancora per tre o quattro anni. Il corso delle viole consisteva in una dignitosa cavalcata di signori in tuba e di eleganti amazzoni cui seguiva una lunga teoria di lussuosi equipaggi, tirati da pariglie di razza, nei quali sedeva il fior fiore della città. L'altra manifestazione, di carattere sportivo questa, erano le famose regate in cui italiani e tedeschi si mi-suravano una volta all'anno e per le quali Trieste pativa la sua passione estiva e marinara. In fondo, di tutta la regata, tutto quello che ai triestini inte¬ressava era la borghese jole a quattro e la gioia di vedere la "Ginnastica" battere il "Turnverein". Il sole di mezzogiorno piombava a picco sulla riviera, la gente era vicina al colpo di calore, il sudore avava inzuppato persino la schiena delle giacche, tutti avevano perduto la voce a forza di urlare, ma non si davano per vinti: tutti in fila, per due chilometri, signore eleganti e dignitosi signori, urlavano assieme ai ragazzetti: "Forza Ginnastica!". E nulla era più delizioso che vedere le pale dei remi tinte di giallo e di nero, che nel turbine di schiu-ma sembravano giochi di luce e nulla più, restare a poco a poco sulla scia dell'armo celestino della "Ginnastica", che filava via quasi invisibile, risucchiato nella gran luce del sole... Ed anno per anno, il"Turnverein" con le sue pale gialle e nere non riuscì una sola volta a vincere la regata. E con negli occhi l'immagine di questa domenica barcolana, piena di sole, di mare, d'azzurro, di folla festante, chiudiamo questa serie di notizie su di una incantevole località che tutti amiamo.