URBAN LOOP | Un nuovo volto per piazza Lupo

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UniversitĂ degli studi di Catania Dipartimento di ingegneria Civile ed Architettura (DICAR) Corso di laurea in ingegneria edile - architettura

URBAN LOOP Un nuovo volto per piazza Lupo

Anno accademico 2017/2018 Relatore: Prof. Ing. Sebastiano D’Urso Laureando: Francesco Ronsisvalle



A mio padre Il ricordo del tuo sorriso pieno di soddisfazione è stato e continuerà ad essere la solida impalcatura su cui costruire il mio sogno.



“L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio”. Italo Calvino, Le città invisibili


Indice Introduzione

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1. Intervento sul costruito

Recupero, Restauro e Riuso 18 Il costruito come risorsa 20 Conoscenza e strategie d’intervento 24

2. Spazio pubblico contemporaneo

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Evoluzione dello spazio pubblico Una sfida ardua

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3. Riferimenti progettuali

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Premesa Casi di studio 1. Pittsburgh Children’s Museum 2. Fontys Sports College 3. Centrale di cogenerazione Bressanone 4. Levinson plaza 5. Neue Meile

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4. Inquadramento 57

Inquadramento urbano Inquadramento a scala di quartiere

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5. Analisi del sito 67

Area di progetto

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Storia Timeline Relazioni Interesse storico Servizi ed attività culturali Piazze e zone a verde Accessibilità Descrizione dell’edificio Prospetti stato di fatto Esploso assonometrico Dettaglio costruttivo Descrizione distributivo - funzionale Stato di conservazione Considerazioni

72 76 78 80 82 84 86 88 90 91 92 94 96 98

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6. Progetto

Proposta progettuale Funzioni Piante Demolizioni Pianta piano terra Pianta copertura Prospetti Facciata cinetica Prospetti Sezioni Dettagli costruttivi Sostenibilità Impianto fotovoltaico ibrido

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Recupero acque piovane La nuova piazza Lupo Concept Planimetria Sezioni Dettaglio pavimentazione Illuminazione

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7. Una soluzione per il futuro

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8. Bibliografia e sitografia

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Bibliografia Sitografia

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Introduzione


Introduzione Le strategie di recupero e riuso del patrimonio costruito rappresentano, oggi, una tematica fortemente attuale ed una grande opportunità, oltre che un’avvincente sfida, per architetti e urbanisti. La crisi ambientale ed economica degli ultimi anni, infatti, ha condotto la popolazione ad una presa di coscienza nei confronti dei problemi legati all’uso del suolo e delle risorse ed ha spinto i progettisti a limitare la costruzione di nuovi edifici in favore di interventi sull’esistente. L’Italia, oltre al ricco patrimonio storico – architettonico che contraddistingue la propria eredità culturale, possiede una serie di “opere minori” realizzate dal dopoguerra ad oggi. Queste, dotate di un modesto valore figurativo, seppur lontane dalla magnificenza degli edifici monumentali, rappresentano comunque l’espressione di un passato recente che va tutelato e valorizzato. Gli edifici appartenenti a questa categoria, molto spesso, sono caratterizzati da una storia simile. Nati dall’urbanizzazione selvaggia compiuta all’indomani del secondo conflitto mondiale, non riescono ad assumere, se non per un brevissimo lasso di tempo, un ruolo definito all’interno della città e quindi, dopo una prima fase di distacco dal contesto in cui sono inseriti, ne conoscono 12

una successiva di degrado sociale che culmina con l’abbandono ed il precoce deterioramento dell’edificio. È questo il caso dell’oggetto della tesi: l’ex palestra Lupo. Situata nell’omonima piazza, tale struttura si colloca all’interno del centro storico della città di Catania, a pochi passi da piazza Teatro Massimo. Nata come una stazione degli autobus e convertita in corso d’opera in una palestra di scherma, dopo un’iniziale fase di utilizzo legata a questo sport, cadde in stato di abbandono diventando dimora di senzatetto e tossicodipendenti. Il lento declino della struttura ed i crescenti episodi di violenza documentati nella zona, oltre alla presenza dei parcheggiatori abusivi e all’utilizzo esclusivo della piazza come parcheggio, hanno contribuito a distaccare questa dal resto della città ed a creare nei cittadini un sentimento di estraneità e non appartenenza legato a questo luogo. Oggi la struttura, occupata informalmente da associazioni cittadine, è stata convertita con la collaborazione dell’amministrazione in un centro sociale. Ma, nonostante la riqualificazione operata dai volontari, il sentimento di distacco ed indifferenza nei confronti di questo luogo continua a persistere.


Sulla base di tali considerazioni, la tesi si è concentrata sulle esigenze degli abitanti, ponendosi come obiettivo principale l’attivazione di un processo d’intervento capace di mettere in sinergia più condizioni legate al contesto, all’area di progetto e all’oggetto specifico, al fine di recuperare in senso lato l’oggetto della tesi e di innescare nuove opportunità di rigenerazione sociale e culturale non solo nell’area, ma nell’intera città. Conoscere l’edificio ed il contesto in cui esso è inserito rappresenta un momento fondamentale che ogni progettista deve sostenere per l’elaborazione finale del progetto. Per questo motivo, dopo aver condotto uno studio preliminare prima sulla questione dell’intervento sul costruito e, dopo, su quella degli spazi pubblici contemporanei, nella tesi si è effettuato un rilievo critico e sistematico di tutti i fattori tipici del contesto insediativo e, successivamente, un’analisi dell’area di progetto con particolare attenzione sull’edificio. Queste informazioni hanno fatto emergere le criticità e le caratteristiche peculiari dello stato di fatto, elementi che costituiscono la base solida sulla quale si fonda il progetto. Da questi, sono stati elaborati una serie

di interventi mirati, in primo luogo, alla rifunzionalizzazione del singolo edificio dal punto di vista architettonico, energetico e funzionale, ed, in secondo luogo, alla riqualificazione dell’intera piazza Lupo, coinvolgendo all’interno del progetto anche via Spadaccini. Per quanto riguarda l’edificio, le scelte architettoniche operate, pur mantenendo attiva in chi lo osserva la memoria della precedente configurazione, fanno sì che esso abbia una nuova vita, trasformandosi da introverso ed occluso in flessibile ed aperto. Nodo cruciale dell’intero progetto è la destinazione d’uso scelta per la struttura. Compatibilmente con la sua impostazione planimetrica e con le attività svolte nell’areale, si è deciso di realizzare un centro culturale polifunzionale. La scelta di inserire attività eterogenee che ben si legano alla zona, oltre a rispondere alle esigenze dei cittadini, consente di ottenere un utilizzo continuativo della struttura nelle differenti fasce orarie, scongiurando così i fenomeni di micro criminalità e vandalismo. La piazza, invece, da spazio degradato destinato alla sosta ed al transito dei veicoli, diventa un nuovo salotto urbano ed un polo di collegamento tra le piazze già esistenti. 13


Tale spazio non rimane rilegato semplicemente alla piazza, ma si appropria anche della copertura dell’edificio e della carreggiata stradale. Attraverso questo espediente gli automobilisti, nonostante possano continuare a transitare nella piazza, acquisiscono la consapevolezza di trovarsi in un luogo in cui l’uomo ha finalmente la priorità .

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Intervento sul costruito


restauro, recupero e riuso Prima di affrontare il tema dell’importanza che ai giorni nostri riveste il progetto sul costruito, è doveroso un approfondimento sulla terminologia che descrive e differenzia i vari tipi di intervento. Con la locuzione “intervento sul costruito” secondo la norma UNI 11151:20051 si fa riferimento all’“Insieme di azioni di conservazione e/o trasformazione del bene edilizio esistente, finalizzate a: mantenere e/o incrementare i valori presenti e le prestazioni in essere del bene; trasformare le condizioni d’uso”. Da tale definizione si può evincere che l’intervento sul costruito riguarda una grande pluralità di beni edificati e tutto l’ambiente, più o meno antropizzato, nel quale essi sussistono2. All’interno di questa macro categoria, in particolare, rientrano gli interventi di restauro, recupero e riuso. La norma UNI 10914:2001 con il termine restauro intende la “combinazione di tutte le azioni tecniche, amministrative ed organizzative, incluse le attività analitiche, che intervengono sul costruito tutelato, finalizzate a mantenere le informazioni contenute nell’edificio e nelle sue parti, l’integrità materiale e ad assicurare la conservazione e la protezione dei suoi valori culturali”. 18

Affiancata a tale definizione, all’interno della medesima norma UNI, si ha quella di recupero, il quale viene indicato come la “combinazione di tutte le azioni tecniche, amministrative ed organizzative, incluse le attività analitiche, che intervengono sul costruito, finalizzate a mantenere o aumentare le prestazioni residue del bene”. Nonostante ad una prima lettura non si riesca a percepire tra le due definizioni una sostanziale differenza, focalizzando l’attenzione su alcune parole utilizzate, si arriva a comprendere che esse si distinguono per oggetto, fine e, conseguentemente, per il modo in cui raggiungerlo, ossia per le tecniche ed i materiali utilizzati. Infatti, il restauro si interessa solo del “costruito tutelato”, ossia di quei manufatti per i quali, secondo la definizione brandiana di restauro3, è avvenuto il riconoscimento della loro qualità estetica e storica. Inoltre, il restauro ha come obiettivo finale, indipendentemente dalle funzioni o dall’uso che viene attribuito a tali edifici, la salvaguardia e la trasmissione al futuro dei “valori culturali” di cui essi sono portatori. Il recupero, invece, si rivolge ad un patrimo-


Intervento sul costruito - Capitolo 1 nio secondario che, pur non avendo un’istanza storica ed estetica paragonabile al “costruito tutelato”, merita ugualmente di essere conservato. In questo caso, i minori vincoli ad esso correlati fanno in modo che il fine ultimo sia il ripristino ed il mantenimento nel tempo delle proprie prestazioni. Infine, il riuso, sempre all’interno della norma UNI 10914:2001, viene definito come “combinazione di tutte le decisioni, derivanti dalle attività analitiche, finalizzate a modificare l’utilizzo di un organismo edilizio o dei suoi ambiti spaziali o, qualora non utilizzato, a definirne l’utilizzo; il riuso può attuarsi anche senza opere edilizie, oppure con interventi di manutenzione, riqualificazione o restauro”. Il riuso rappresenta quindi un intervento complementare sia al restauro che al recupero e, come tale, può essere applicato tanto ai beni monumentali quanto alle preesistenze di minor valore. Tale intervento è orientato alla valutazione delle prestazioni residue dell’edificio e alla conseguente attribuzione di una nuova destinazione d’uso che sia ad esso compatibile e che ne consenta la permanenza in esercizio. È, quindi, uno dei mezzi migliori per garantire la reale conservazione di un bene.

Note Norma quadro in materia di qualificazione del progetto per gli interventi sul costruito 2 Gasparoli Paolo, Talamo Cinzia, Manutenzione e recupero. Criteri, metodi e strategie per l’intervento sul costruito, Alinea, Roma, 2006, p. 19 3 “Il restauro costituisce il momento metodologico del riconoscimento dell’opera d’arte, nella sua consistenza fisica e nella sua duplice polarità estetica e storica, in vista della sua trasmissione al futuro”. Cesare Brandi, Teoria del Restauro 1

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IL COSTRUITO COME RISORSA “Le nostre città non sono opera delle attuali generazioni, né delle precedenti: né di questo secolo, né del secolo passato. Esse sono l’opera, perseverante e continua, di molte generazioni, di molti secoli, di molte civiltà diverse. Sono come quei monumenti storici ai quali ogni generazione, ogni secolo ed ogni civiltà ha aggiunto al suo passaggio una nuova pietra, che non è stata posta per capriccio, ma con deliberata intenzione. In ciascuna di queste aggiunte eterogenee si esprimono le necessità, le inclinazioni, le tendenze di ogni generazione, di ogni secolo, di ogni civiltà, e insieme i mezzi impiegati per soddisfarle. Esse sono come gli strati delle formazioni geologiche: ognuno di essi rivela esattamente agli occhi dello scienziato le condizioni reali della natura all’epoca della sua formazione. Quest’opera eterogenea, frutto di sforzi e di obiettivi così diversi, ha potuto conservarsi fino ad oggi perché, a prezzo di qualche miglioramento o di qualche modifica, ogni civiltà successiva è riuscita ad adattarla al suo uso e ai suoi bisogni, che erano di poco differenti da quelli della civiltà precedente”1. Con queste parole, espresse da Ildefonso Cerdà nella lunga nota di accompagnamento al suo piano2, l’urbanista spagnolo spiegava che le città, come oggi le 20

Fig. 1 Teatro di Marcello (Roma)

Fig. 2 Tempio della Concordia (Agrigento)

Fig. 3 Duomo di Siracusa (Ortigia)


Intervento sul costruito - Capitolo 1 percepiamo, sono il frutto di stratificazioni successive dovute alle grandi trasformazioni che ciascuna epoca storica ha apportato sulle precedenti. Sin dal passato, infatti, i progettisti hanno plasmato e ripensato le opere dei loro predecessori per adattarle a quelle che erano le esigenze e le funzioni del proprio tempo. Espressione tangibile di ciò è la città di Roma, segnata nel corso della sua grande storia da significativi esempi di trasformazioni d’uso che hanno spesso generato interessanti interventi sul costruito. Uno di questi è il Teatro di Marcello (fig 1). Nato come teatro per giochi e spettacoli e dedicato dall’imperatore Augusto all’erede e nipote Marco Claudio Marcello, nell’epoca medievale, con l’aggiunta di piccole costruzioni all’interno, venne trasformato in un castello fortificato; successivamente, con gli interventi cinquecenteschi di Baldassare Peruzzi diventò un edificio ad uso residenziale e commerciale e, ancora oggi, dopo il restauro eseguito in periodo fascista, viene utilizzato per ospitare al suo interno uffici ed abitazioni. Altri esempi noti si hanno anche in Sicilia con il Tempio della Concordia ad Agrigento (fig 2) ed il duomo di Siracusa ad Ortigia (fig 3). Nati entrambi come templi greci,

sono giunti fino a noi grazie alla trasformazione in basiliche paleocristiane. Il primo, pur conservando le tracce del proprio passato negli archi a tutto sesto presenti nei muri perimetrali della cella, ha mantenuto le sue caratteristiche di tempio. Il secondo, al contrario, è adesso una cattedrale barocca che, attraverso le colonne doriche presenti all’interno e nelle pareti esterne delle navate laterali, mostra la sua storia. Rispetto al passato, l’intervento sul costruito ha assunto nel tempo una nuova rilevanza che ha reso i temi del recupero e della conservazione estremamente attuali. Infatti, a partire dalla prima metà del Novecento, grazie agli studi avanzati da ricercatori e professionisti di diversi paesi, si è giunti all’elaborazione di documenti - guida, le cosiddette “carte del Restauro”, che hanno rivoluzionato l’approccio di architetti e urbanisti con il patrimonio monumentale. La nuova sensibilità nei confronti del costruito ha prodotto, quindi, un nuovo modo di progettare basato sul rispetto ed il dialogo con l’esistente. Tale atteggiamento tra gli anni Settanta ed Ottanta, momento in cui si arresta il boom economico che aveva condotto ad una crescita fuori controllo delle città, si è esteso anche al patrimonio minore, inglo21


Fig. 4 Mappa dei creditori (biocapacità > impronta ecologica) e debitori (biocapacità < impronta ecologica) ecologici, tratta dal sito www.footprintnetwork.org (2013)

bando quegli edifici che, seppur non dotati di un grande valore figurativo, possiedono buone potenzialità e meritano di essere tutelati in quanto testimonianza di una storia recente. Oltre che per la salvaguardia del patrimonio storico culturale, la tematica del recupero e dell’intervento sul costruito ha assunto particolare importanza negli ultimi anni per le sue ricadute sociali e, soprattutto, ecologiche. Oggi, infatti, è in corso, sia a livello 22

nazionale che a livello mondiale, una grave crisi economica e ambientale che sta evidenziando la minor disponibilità di risorse e di suolo per lo sviluppo e la crescita degli anni a venire. Nonostante il percorso avviato dalle varie nazioni attraverso una serie di summit e protocolli iniziati con il rapporto Brundtland (“Our Common Future”)3 nell’ormai lontano 1987, la situazione attuale sembra abbastanza chiara: la capacità di resilienza del nostro pianeta non è infinita e, anzi, continua a diminuire. Infatti, secon-


Intervento sul costruito - Capitolo 1 do i dati del Global Footprint Networkw, organizzazione di ricerca internazionale che elabora ogni anno l’impronta ecologica degli esseri umani sulla Terra, nel 2017 l’umanità sta usando la natura ad un ritmo 1,7 volte superiore rispetto alla capacità di rigenerazione degli ecosistemi4, ossia per il soddisfacimento dell’attuale fabbisogno di risorse naturali è come se servissero quasi due pianeti. In particolare, l’Earth Overshoot Day, giorno in cui la richiesta di risorse naturali supera la quantità che la Terra è in grado di offrire, è caduto il 2 agosto, mai così presto da quando il mondo è andato per la prima volta in sovrasfruttamento (intorno ai primi anni ‘70 del Novecento). Questo crescente sbilanciamento ecologico si manifesta con i fenomeni di siccità, deforestazione, erosione del suolo, perdita di biodiversità e accumulo di anidride carbonica nell’atmosfera. La situazione risulta ancora più critica se si pensa alla disparità di consumo di risorse tra i diversi Paesi; come mostra la figura 4, infatti, il debito dei Paesi sviluppati, come l’Italia è fortunatamente bilanciato da quelli che, non avendone ancora i mezzi, sono in credito ecologico.

tati quasi un’esigenza. Dopo secoli passati a densificare le città, oggi è palese l’impossibilità di disperdere risorse come le parti di città già costruite. La rigenerazione in chiave sostenibile può dare quindi un contributo importante per il risanamento di questo debito con la natura. Trasformare è la parola d’ordine per il prossimo futuro. Note Lopez de Aberasturi Antonio, Ildefonso Cerdà. Teoria generale dell’urbanizzazione, Jaca Book, Milano, 1985, p. 77 2 Si fa riferimento al piano di ampliamento per la città di Barcellona redatto nel 1859 da I. Cerdà con il nome di “Plano de los alrededores de la ciudad de Barcelona y proyecto de su reforma y ensanche”, passato alla storia semplicemente come “Piano di Cerdà”. 3 Documento redatto da Gro Harlem Brundtland, presidentessa dalla Commissione mondiale sull’ambiente e lo sviluppo (WCED), in cui per la prima volta venne introdotto il concetto di sviluppo sostenibile (« lo sviluppo sostenibile è uno sviluppo che soddisfi i bisogni del presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri »). 4 https://www.overshootday.org/newsroom/ press-release-italian/ (2018) 1

In un clima così apocalittico, il recupero ed il riuso del patrimonio costruito sono diven23


Conoscenza e strategie d’intervento Quanto detto nel paragrafo precedente, non vuole essere un invito a rinunciare alla progettazione ex-novo, bensì intende manifestare come “costruire sul costruito” rappresenti un modo complementare di esplorare moderne soluzioni; queste possono sviluppare una nuova sensibilità progettuale, rinnovando ed ampliando così il linguaggio dell’architettura contemporanea. Chiarito ciò, è necessario concentrarsi sulle responsabilità che investono i progettisti nella scelta delle strategie d’intervento per il recupero e la rifunzionalizzazione del patrimonio minore, oggetto della tesi, sottolineando l’imprescindibile valore che riveste la conoscenza in tali tipi di progetto. “L’architetto che si trova di fronte a un edificio che richiede cure specifiche deve entrare in profondità nella occasione del suo lavoro, deve innanzitutto saper leggere il testo che si appresta a modificare, deve riflettere sul significato del suo intervento, sul suo rapporto con la committenza e decidere sulla liceità di qualsiasi trasformazione sulla base di costi e benefici culturali oltre che economici, collettivi oltre che individuali, pubblici oltre che privati. Decisioni che possono essere prese solo “caso per caso” e solo dopo un’accurata istruttoria storica, estetica e costruttiva”1. 24

In questo estratto, l’architetto Paolo Portoghesi evidenzia come nel contatto con un’opera già costruita non sia possibile definire a priori regole nette per la progettazione; esistono, infatti, molteplici approcci che variano in base al tipo di dialogo che si vuole instaurare con l’esistente. Rispetto alla progettazione ex-novo, si richiede quindi una maggiore attenzione e valutazione dei vari parametri in gioco. Lo scopo è quello di giungere ad una decisione finale che, in base ai risultati scaturiti dalle varie analisi, discenda da un giudizio complessivo sulla fattibilità non solo in termini economici e tecnici, ma soprattutto sociali e culturali. Nella fase analitica è necessaria una corretta programmazione ed acquisizione degli obiettivi conoscitivi posti alla base del progetto; nessuna informazione raccolta deve risultare fine a se stessa, ma al contrario deve costituire un tassello significativo per lo sviluppo delle varie fasi. La conoscenza dell’oggetto ed, in particolar modo, del contesto su cui si va ad intervenire rappresenta inoltre uno dei momenti più delicati; ad essa è demandata la riuscita delle operazioni successive. Non di rado capita che un edificio, nonostante sia stato recuperato a regola d’arte,


Intervento sul costruito - Capitolo 1 diventi un contenitore vuoto a causa di errate scelte d’uso. Questo, nella maggior parte dei casi, può portare sia a ripercussioni sull’intera operazione di riqualificazione, sia a processi di svalutazione sulle aree edificate limitrofe. Il progettista, per evitare di incorrere in scelte progettuali sbagliate, non dovrà limitarsi, quindi, ad analizzare solo gli aspetti architettonici, tecnici e costruttivi dell’edificio esistente, ma dovrà indagare il contesto più ampio nel quale il manufatto si colloca. Completata la fase di analisi, alla luce dei risultati ottenuti, si deve passare all’elaborazione di una corretta strategia d’intervento. “Recuperare un edificio significa compiere un’azione trasformativa che apporta un nuovo valore all’esistente che nei casi più riusciti non si sostituisce a quello primitivo ma a esso si aggiunge”2. L’obiettivo principale di ogni progettista è, quindi, quello di sviluppare, secondo la propria sensibilità e soggettività, un dialogo tra vecchio e nuovo che si manifesta con un rapporto di reciproca valorizzazione. Per fare ciò è necessario, oltre alla scelta di destinazioni d’uso compatibili con la morfologia, la struttura e le condizioni di conservazione, un particolare rispetto, basato

sui principi di reversibilità e riconoscibilità delle aggiunte, nei confronti dell’esistente e una grande attenzione nell’uso dei materiali e delle soluzioni tecnologiche. Le strategie d’intervento che si possono adottare su un bene minore, soggetto ad un processo di recupero e rifunzionalizzazione, si muovono tra i due estremi della continuità e del contrasto con l’esistente. Di conseguenza è possibile distinguere due tipologie di intervento: quella minimale e quella radicale. Nella prima categoria si inseriscono quegli interventi che, pur rendendo leggibile la trasformazione, cercano di mantenere quasi immutata l’immagine originale. Nella seconda categoria si hanno, invece, quegli interventi in cui il nuovo si distingue nettamente dall’esistente sia a livello formale che funzionale. Un esempio di intervento minimale è quello realizzato da Norman Foster & Partners nel Reichstag di Berlino. L’edificio, devastato dai bombardamenti del secondo conflitto mondiale e dalla ricostruzione insensibile avvenuta negli anni Sessanta, venne riqualificato dallo studio londinese in seguito alla vittoria del concorso architettonico indetto nel 1992. La scelta fu quella di non sventrare l’edificio originale per inserire un nuovo corpo 25


Fig. 5 Dettaglio cupola Reichstag (Berlino)

Fig. 7 Dettaglio esterno Museo di Storia Militare (Dresda)

Fig. 6 Dettaglio interno Reichstag (Berlino)

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Fig. 8 Dettaglio interno Museo di Storia Militare (Dresda)


Intervento sul costruito - Capitolo 1 moderno, bensì di far convivere, attraverso un sapiente dialogo, la struttura nuova, in acciaio e vetro, con quella antica, mostrando chiaramente le giunzioni tra gli strati storici e il nuovo intervento. Elemento cardine del progetto è la nuova cupola semisferica (fig. 5), rivestita da due strati di vetro interposti da uno strato di vinile di stagno, che sposandosi perfettamente con la facciata neoclassica, oggi rappresenta uno dei principali simboli della nuova Berlino, sintetizzando in modo esemplare innovazione sociale e tecnologica3.

fetto dialogo tra contenuto e contenitore. Note Portoghesi Paolo, “Riuso dell’architettura”, in Materia n. 49, aprile 2006, p. 20 2 Grecchi Manuela, Malighetti Laura Elisabetta, Ripensare il costruito. Il progetto di recupero e rifunzionalizzazione degli edifici, Maggioli Editore, San Marino, 2008, p. 283 3 AA. VV., “Norman Foster. Progettazione integrata dal design alla pianificazione”, in Lezioni di architettura e design, n. 2, Milano, marzo 2016, p. 40 4 Galateo Simona, “Innesti e ristrutturazioni”, in I grandi temi dell’architettura, n. 12, Hachette, Milano, agosto 2015, pp. 39 - 40 1

In posizione diametralmente opposta si pone l’intervento radicale realizzato dallo studio Libeskind con l’ampliamento del Museo di Storia Militare di Dresda. In questo caso, il progettista, ben lontano dal voler gentilmente accostare silenziosi volumi al preesistente edificio in stile neoclassico, decide di squarciarlo a metà, inserendo una scheggia appuntita di cinque piani (fig. 7), realizzata in cemento armato e vetro4. Il nuovo volume vetrato, in contrapposizione alla linearità della preesistenza, s’incunea con forza all’interno della struttura, scardinando i percorsi espositivi interni (fig. 8). Il risultato è quello di una nuova impostazione museale e allestitiva in un per27


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Spazio pubblico contemporaneo


Evoluzione dello spazio pubblico Un argomento, apparentemente in antitesi, ma in realtà complementare a quello appena discusso è rappresentato dalle architetture a “volume zero”. Con questa locuzione, coniata da Aldo Aymonino e Valerio Paolo Mosco1, ci si riferisce al progetto degli spazi pubblici contemporanei che, a partire dagli anni novanta, hanno focalizzato la loro attenzione sui vuoti, ossia su quelle aree che la crescita urbana precedente aveva lasciato libere e prive di significato, i cosiddetti spazi interstiziali. Lo spazio pubblico che in antichità, dalle agorà greche ai monumentali palcoscenici barocchi, si rispecchiava prevalentemente nel concetto di piazza, a causa della rivoluzione industriale prima e del funzionalismo del movimento Moderno poi, venne relegato come elemento residuale della progettazione urbana. Infatti, a partire dal XIX secolo l’evoluzione dei sistemi di trasporto costrinse le città industriali ad adattare gli spazi pubblici ai nuovi tipi di mobilità. Questo causò la perdita da parte di questi luoghi dei valori sociali, culturali e simbolici che li avevano caratterizzati fino a quel momento. La situazione venne aggravata agli inizi del Novecento dal principio urbanistico dello zoning che, 30

attraverso la settorializzazione delle varie funzioni, trasformò la natura intrinseca dello spazio pubblico da area di mescolanza funzionale e relazionale in spazio monovalente. Questo fenomeno condusse ad una crescente crisi dello spazio pubblico urbano culminata con la creazione di spazi amorfi e squallidi nelle periferie e la trasformazione, soprattutto nel secondo dopoguerra, delle piazze storiche in grandi parcheggi. In questo clima, lo spazio pubblico che, in quanto tale, doveva essere di tutti, finiva per essere di nessuno, favorendo i fenomeni di abbandono e degrado non solo d’uso, ma soprattutto di significato. I primi anni ‘70 del Novecento rappresentano il momento della svolta. In questo periodo, inizia infatti il lento declino della metropoli. La crisi economica di quegli anni aveva spazzato via le grandi industrie ed i posti di lavoro ad esse collegati. Da questo momento in avanti si ha un ripensamento radicale dell’architettura. Infatti, le grandi aree interne ed esterne ai confini urbani, destinate originariamente al settore produttivo ed industriale, vennero gradualmente smantellate, creando così delle profonde cicatrici


Spazio pubblico contemporaneo - Capitolo 2

Fig. 1 Vista aerea di una porzione del waterfront di Barcellona

in tutto il territorio. Queste rappresentarono il punto dal quale le grandi metropoli europee furono costrette a ripartire. Ma la storia insegna che è proprio nei momenti di crisi che le città riescono a reinventarsi trovando nuove soluzioni. Da quel momento, infatti, si iniziarono a mettere in discussione i rigidi strumenti urbanistici utilizzati negli anni precedenti. Vennero proposti mezzi più flessibili attraverso i quali furono ripensati in maniera del tutto diversa intere realtà urbane e suburbane. L’attenzione si focalizzò non solo sulle piazze, ma

soprattutto sulle zone e sui manufatti in disuso, sulle ex banchine portuali, sui binari dismessi, sui viadotti autostradali, quindi su tutte quelle aree della città dove il cemento non aveva lasciato posto al verde. Gli anni ’80 e ’90 del secolo scorso segnarono quindi il definitivo momento di rottura con il passato e diedero alla luce i migliori esempi di rinascita delle città attraverso lo spazio pubblico contemporaneo. Un caso emblematico è quello di Barcellona dove in pochi anni si raggiunse la consapevolezza che lo spazio pubblico rappresen31


tava il miglior modo in cui una società potesse esprimere la propria cultura sociale. Acquisito ciò, nella città catalana vennero realizzati una serie di interventi puntuali, eseguiti non solo sulle aree consolidate ma anche sulle parti periferiche, i quali riuscirono a rilanciare l’immagine della metropoli. Questi furono caratterizzati dalla “presenza di un linguaggio contemporaneo, più votato al minimalismo che al monumentalismo, che con pochi ma significativi elementi – la scultura, il tipo di piantumazione, le linee di illuminazione, i percorsi pavimentati, il trattamento delle superfici – conseguirono la perfetta integrazione formale e funzionale con il tessuto circostante, creando luoghi, e non semplicemente spazi progettati, dove la gente riesce a socializzare, comunicare, condividere il quotidiano e soprattutto sentirsi orgogliosa di essere di Barcellona”2. L’operazione barcellonese di rinnovamento a partire dagli spazi pubblici si rivelò un gran successo. L’architettura dei vuoti diventa da quel momento un tratto saliente della nuova città e Barcellona si trasforma in un modello da studiare e da seguire. Quello della città catalana, non fu però un caso isolato. Progetti concettualmente simili si ebbero anche nelle principali città 32

Fig. 2 Parc de la Villette, B. Tschumi

Fig. 3 Promenade Plantée, P. Mathieux e J. Vergely


Spazio pubblico contemporaneo - Capitolo 2 Europee ed Americane. In particolare, la Francia offre due esempi straordinari con il Parc de la Villette di Bernard Tschumi (fig. 2), realizzato al posto dell’unico mattatoio della città, e con la Promenade Planteè di Philippe Mathieux e Jacques Vergely (fig. 3), creata sul percorso sopraelevato di una vecchia ferrovia dismessa. Grazie a questi due progetti si ha un avvicinamento definitivo della scala paesaggistica a quella dello spazio pubblico. Nonostante in quegli anni furono realizzati numerosi progetti che consolidavano la figura dello spazio pubblico contemporaneo, alcune teorie sociologiche prevalentemente di marca francese, tra tutte quella di Marc Augé, profetizzavano la scomparsa dello spazio pubblico in favore degli edifici della grande distribuzione commerciale. La previsione, in parte avveratasi con la riduzione di alcune aree pubbliche a semplici estensioni delle attività commerciali, è stata però bilanciata da un nuovo fenomeno, stavolta inaspettato: l’aumento dal basso della domanda di spazi pubblici. Oggi si sta assistendo, infatti, ad un rinnovato interesse popolare per tali aree che si manifesta attraverso fenomeni di riappropriazione da parte di associazioni e gruppi cittadini.

In particolare, nell’ultimo decennio, grazie anche all’ausilio dell’informazione globale e dei social network, la popolazione ha assunto sempre di più la consapevolezza che il territorio è un bene collettivo da tutelare ed ha iniziato a rivendicare a gran voce i propri spazi sociali. Questo non solo ha portato all’aumento della domanda di aree per la collettività, ma ha anche mutato il rapporto che la comunità ha con il progetto. Oggi l’uomo, grazie ai meccanismi della progettazione partecipata ed alle operazioni di “guerrilla gardening”3, non è semplice fruitore degli spazi pubblici, bensì parte integrante ed attiva del progetto. Tutto questo ci porta a capire come lo spazio pubblico contemporaneo abbia assunto multiple ed eterogenee declinazioni che vanno al di là dei concetti tradizionali di piazza, strada, giardino e parco. “Lo spazio pubblico rappresenta oggi l’unità di misura dei processi di trasformazione urbana e territoriale”4, per questo la staticità degli archetipi sopra citati non è più capace di descrivere ed interpretare la complessità e la dinamicità della città contemporanea. Lo spazio pubblico quindi non si configura più come una semplice area di “arredo urbano”, bensì è un luogo di relazioni sociali e 33


Fig. 4 High Line, Diller scofidio+Renfro & Field Operations

Fig. 7 Olympic Sculpture Park, Weiss + Manfredi

Fig. 5 Simcoe WaveDeck, West8

Fig. 8 Gardens by the Bay, WilkinsonEyre e Grant Associates

Fig. 6 Children’s Bicentennial Park, Elemental

Fig. 9 Teruel - Zilla, Mi5 Arquitectos + PKMN [pacman]

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Spazio pubblico contemporaneo - Capitolo 2 culturali, crasi tra scultura, architettura e design, in cui gli scenari dinamici ed effimeri che lo compongono creano un paesaggio attivo, proiezione fisica dei bisogni del cittadino. L’architettura a volume zero indica quindi una serie di spazi molto diversi tra loro che assolvono molteplici funzioni e che si configurano come un sistema in cui, a varie scale, si connettono opere artificiali ed elementi naturali. Gli esempi, nati dalle recenti sperimentazioni architettoniche, sono pressoché infiniti, ma può essere utile distinguere alcune delle categorie principali degli spazi pubblici contemporanei. Tra queste troviamo le grandi passeggiate; esse possono sorgere da ferrovie e viadotti dismessi, come nel caso della newyorkese High Line (fig. 4) oppure, qualora si trovino in prossimità di aree costiere, fluviali o portuali, possono essere inseriti nella categoria dei Waterfront, ad esempio il canadese Simcoe WaveDeck (fig. 5). Si hanno, inoltre, i parchi e giardini che però assumono una nuova veste rispetto al passato; questi possono essere interpretati in chiave ludica, divenendo così “playground”, in questa categoria troviamo il Children’s Bicentennial Park a Santiago del Cile (fig. 6); diventare dei grandi musei all’aperto in cui alberi e prati si alternano

a installazioni artistiche come nel caso del l’Olympic Sculpture Park di Seattle (fig. 7) o ancora degli orti urbani che, riprendendo i giardini botanici, assumono una funzione educativa e didattica, tra tutti il Gardens by the Bay di Singapore (fig. 8). Infine, troviamo le piazze che svolgono, ancora oggi, un ruolo fondamentale nella città rappresentando lo spazio pubblico per eccellenza. Esse assumono la funzione di cerniere di collegamento, e, soprattutto nelle grandi città, sono arrivate a conquistare anche le coperture degli edifici (fig.9), generando la nascita di un nuovo filone progettuale. Note Aymonino Aldo, Mosco Valerio Paolo, Spazi pubblici contemporanei. Architettura a volume zero, Skira, Milano, 2006 2 Sebastiano D’Urso, Barcellona. Lo spazio pubblico tra infrastrutture e paesaggio, Maggioli Editore, Segrate (MI), 2008, p.121 3 Manifestazione non violenta, nata negli anni ‘70 a New York, con lo scopo di trasformare aree urbane abbandonate in nuovi giardini. Oggi è una forma di protesta diffusa in tutti i paesi. 4 Dell’Osso Riccardo, Spazi pubblici contemporanei, Maggioli Editore, Segrate (MI), 2014, p. 68 1

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Una sfida ardua “L’architettura è pericolosa. Anzi, è un’arte socialmente pericolosa perché l’architettura è imposta a tutti. L’architettura impone una immersione totale. Non sei uno che scrive musica, o una commedia. La presenti alla prima, ha successo o non ha successo, è un problema tuo. Come uno che dipinge un quadro: può piacere o non può piacere, ma nessuno lo può imporre. Una brutta musica, insomma si può non ascoltare o un brutto quadro si può non guardarlo, ma un brutto palazzo è lì, di fronte a noi e lo vediamo per forza. E questa è una responsabilità pesante anche per le generazioni future, resta fisicamente. [...] Quello dell’architetto è un mestiere così delicato e pericoloso non solo per chi lo pratica ma anche, direi soprattutto, per gli altri”1. Con queste parole, l’archistar Renzo Piano, in una conversazione con Renzo Cassigoli, spiega quanto sia delicato il ruolo dell’architetto e quante responsabilità esso comporti. Se si pensa allo spazio pubblico contemporaneo, il compito si fa ancora più arduo. Infatti, l’avvicendarsi di successi e insuccessi in tale campo, dalla seconda metà del XX secolo ad oggi, ha palesato la maggior difficoltà nel progettare il vuoto piuttosto che il costruito. Un esempio fra tutti è dato dal “sistema delle piazze” di 36

Fig. 10 Sistema delle piazze, Franco Purini e Laura Thermes

Fig. 11 Parco di Superkilen, particolare della prima area


Spazio pubblico contemporaneo - Capitolo 2 Gibellina Nuova (Fig 10). Progettate a cavallo tra gli anni ’80 e 90’ dagli architetti Franco Purini e Laura Thermes, le piazze dovevano diventare uno spazio collettivo, luogo di ritrovo e socializzazione per gli abitanti della città. Ma l’eccessiva autoreferenzialità dell’opera, abbinata all’assenza di interlocuzione con gli enti locali e la popolazione, ha portato al suo fallimento. Il progetto, rimasto incompiuto, oggi è costituito solo da tre piazze che, a causa del mancato riconoscimento da parte dei cittadini, appaiono deserte e avvolte da un silenzio glaciale.

saggisti di Topotek I e gli artisti visivi di Superflex, si configura come un esperimento architettonico, artistico e soprattutto sociale in cui si è lavorato prevalentemente sul conseguimento di un sentimento di integrazione ed identità. L’obiettivo è stato raggiunto, non percorrendo la strada di un’improbabile sintesi tra i diversi gruppi, bensì inserendo, nelle tre aree funzionali in cui è divisa la fascia, una sovrapposizione di frammenti multiculturali, ossia cento oggetti di arredo urbano, almeno uno per ogni comunità, proposti dagli stessi abitanti del quartiere.

Questo esempio dimostra come sia fondamentale il senso di appartenenza da parte della comunità. In particolar modo, quando ci si trova davanti ad un gruppo eterogeneo, come nel caso di Gibellina Nuova, talvolta il compito dell’architetto è proprio quello di “costruire” la comunità.

I due esempi dimostrano come, di fronte alla complessità della società e della città contemporanea, non esistano regole ferree ed universali nella progettazione dello spazio pubblico, ma anzi la sua riuscita si manifesta proprio quando i progettisti, spogliandosi del proprio ruolo, adottano un approccio interdisciplinare.

Questo è quello che è accaduto nel Superkilen di Copenaghen (fig. 11). Tale parco sorge a Nørrebro, un quartiere difficile e complesso in quanto popolato da ben 57 comunità, contraddistinte da usi e costumi differenti. Il progetto, realizzato dallo studio danese BIG in collaborazione con i pae-

Il loro compito risiede quindi nell’imparare ad ascoltare e condensare le esigenze ed i desideri della collettività; è necessario comprendere il contesto sociale e culturale dello spazio e, solo dopo aver fatto ciò, è possibile disegnarlo. Il posizionamento degli arredi urbani, la distribuzione delle zone a 37


verde o degli impianti illuminanti e la scelta di una trama articolata o semplice per la pavimentazione non bastano ad assicurare la riuscita di uno spazio pubblico, ma, coordinati ad un’approfondita analisi del contesto, rappresentano gli strumenti attraverso cui influenzare i comportamenti della comunità, stimolandola alla fruizione del luogo. Oggi, la sfida del progettista e, più in generale, della città è quella di far competere la bellezza degli spazi pubblici contemporanei con il fascino di quelli storici. L’obiettivo è sicuramente ambizioso, soprattutto se si valuta la distanza temporale che intercorre tra le due. Mentre, infatti, gli spazi pubblici storici sono entrati nella memoria collettiva grazie alle relazioni fisiche e sentimentali instauratesi lentamente nel tempo, quelli contemporanei devono funzionare immediatamente, dimostrando di avere fin dal principio una riconoscibile identità. Nonostante ciò, le sperimentazioni progettuali che hanno dominato il panorama architettonico nell’ultimo decennio, dalle grandi realtà urbane a quelle più piccole, hanno creato, soprattutto a livello europeo, risultati sorprendenti che lasciano ben sperare per il futuro della città. 38

Note Cassigoli Renzo, Piano Renzo, La responsabilità dell’architetto. Conversazione con Renzo Cassigoli, VIII edizione ampliata, Passigli Editori, Firenze, 2014, pp. 92 - 93 - 108 1


Spazio pubblico contemporaneo - Capitolo 2

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riferimenti progettuali


Premessa In questo capitolo, prima di iniziare con l’inquadramento e l’analisi del sito, si è scelto di analizzare una rassegna di progetti ritenuti significativi in quanto, oltre ad approfondire e completare la riflessione sui due temi appena trattati (l’intervento sul costruito e lo spazio pubblico contemporaneo), fanno emergere nodi progettuali di particolare rilevanza che hanno influenzato la successiva fase progettuale. I casi presentati sono stati selezionati per le tematiche affrontate, la scala d’intervento e le condizioni di partenza simili a quelle dell’oggetto della tesi. In particolare, tutti i progetti documentano approcci efficaci alle problematiche legate a: - controllo del sistema di relazioni tra forma, funzione e materiali utilizzati; - riuso di aree preziose, spesso situate nel cuore dei tessuti urbani; - tema dell’integrazione tra urbanistica ed ecologia; - dialogo con il contesto urbano e sociale preesistente; - sostenibilità e miglioramento del confort acustico ed ambientale. - miglioramento qualitativo degli spazi pubblici e della mobilità pedonale. 42

La descrizione dei progetti nelle pagine seguenti non pretende di essere esaustiva, piuttosto si configura come una scheda che ha l’obiettivo di consentire una lettura immediata delle informazioni principali e delle scelte progettuali operate caso per caso. Per fare ciò, ogni progetto è raccontato con una breve scheda anagrafica in cui vengono indicati il nome dei progettisti, la committenza, la posizione geografica dell’intervento, le date significative, la superficie totale e le peculiarità del progetto. Tutto è accompagnato da una breve descrizione delle scelte e dell‘iter di ideazione e realizzazione e da una documentazione iconografica tesa ad evidenziare gli aspetti salienti dei vari esempi.


Riferimenti progettuali - Capitolo 3

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Casi di studio

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1. Pittsburgh Children’s Museum

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2. Fontys Sports College

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3. Centrale di cogenerazione di Bressanone

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4. Levinson plaza

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5. Neue Meile

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Inquadramento


Inquadramento urbano Catania, situata al centro della costa ionica nella Sicilia orientale, si estende sull’omonima piana alluvionale tra il mare e le pendici dell’Etna, vulcano attivo più alto d’Europa (ca 3.350 m). Rappresenta il comune non capoluogo di regione più popoloso d’Italia, nonché una delle dieci maggiori città italiane e la quarta del mezzogiorno. La sua area metropolitana è la settima d’Italia per numero d’abitanti1. Giudicata tra i luoghi più accoglienti per il clima ideale, i terreni fertili e l’abbondanza di acque fu citata anche nel “Viaggio in Italia” di Goethe: “qui si può vedere quanto la natura ami la varietà dei colori, qui dove essa fa sfoggio del grigio azzurro cupo della lava, coperta da un muschio giallo acceso, sopra vi cresce una specie di sedime di un bel rosso con altri vaghi fiori dalla tinta violetta”. Catania vanta una storia lunga ventotto secoli scandita da una continua sovrapposizione di dominazioni tra cui si annoverano quella greca, romana, ostrogota, bizantina, musulmana, francese e spagnola, fino all’annessione al regno d’Italia. Al fine di una maggiore comprensione delle recenti dinamiche urbane può essere utile ripercorrere per grandi linee la 58

sua storia passata e recente. Le notizie sulle origini della città molto spesso si mescolano col mito e la leggenda, lo stesso Omero parla, infatti, dei ciclopi come primi abitanti della zona. Oggi, grazie ai vari studi storici ed ai reperti ritrovati nel XVIII secolo per merito del principe di Biscari e nel XIX dell’architetto Ernesto Basile e dell’archeologo Paolo Orsi, è chiaro che Catania fu originariamente un insediamento


Inquadramento - Capitolo 3 dei Sicani, popolo di origine iberica. Dopo il XIII secolo a.C. venne conquistata dai Siculi, di origine italica, che costrinsero i Sicani a stabilirsi nella Sicilia occidentale. Una conferma di questo è data dal nome stesso di Catania che molti fanno risalire all’antico termine siculo “katàne” (grattugia)2, in riferimento alle asperità del territorio lavico su cui sorge. Nel 729 a.C. venne colonizzata dai greci Calcidesi che, per iniziativa di Theocles, circa dieci generazioni dopo la fine della leggendaria guerra di Troia, fondarono la città di “Kathanae”3. L’avvento dell’era romana e bizantina, cancellò ogni traccia dei primi coloni. Durante la dominazione romana, in particolar modo, vennero create opere architettoniche superbe tra cui le ancora visibili terme Achilliane ed il celebre anfiteatro, secondo per grandezza solo al Colosseo. I Normanni, per primi, delinearono le attuali caratteristiche urbane rendendo il Duomo, per la sua vicinanza al porto, punto nevralgico della città e iniziando la costruzione del Castello Ursino. Nel Medioevo, malgrado alcuni eventi sismici avessero colpito la città, con gli Angioini prima e con gli Aragonesi poi, si raggiunsero alti livelli di prosperità che portarono all’istituzione nel 1434 della prima università siciliana, il Siculorum Gymnasium. Nonostante le diverse

Fig. 1 Colata lavica del 1669 dipinto del pittore Giacinto Platania, testimone oculare dell’evento.

dominazioni, la maggior parte delle testimonianze storico-artistiche sono andate perdute a causa degli eventi tellurici e bellici che colpirono nei diversi anni la città. Sono ben sette le distruzioni accertate e proprio per queste Catania, come la fenice che riesce a risorgere dalle proprie ceneri, è diventata un simbolo di rinascita. In particolare, i due eventi che segnarono la città furono la colata lavica del 1669 ed il terremoto del 1693. L’eruzione dell’Etna del 16 aprile del 1669, considerata la più devastante in epoca storica, ebbe appunto inizio in primavera e si concluse solo a metà luglio dello stesso anno. Essa seppellì migliaia di ettari di terreno coltivato e, giungendo fino al mare in 59


Fig. 2 Allegoria del terremoto del 1693, Ignoto

Fig. 3 Catania dal terremoto del 1693 al 1708, Ignoto

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corrispondenza dei quartieri occidentali di Catania, annullò quasi tutto il complesso di mura e fortificazioni. Ma la sciagura peggiore arrivò nel gennaio del 1693, precisamente alle 5 di notte del 9 gennaio ed alle 21 di sera dell’11 gennaio4, date in cui due scosse di terremoto con epicentro nella città di Noto distrussero gran parte della Sicilia orientale e rasero al suolo quasi del tutto la città, causando un numero complessivo di vittime pari a circa due terzi degli abitanti di Catania. Ben presto, però, la città, malgrado l’intensità delle sue rovine, iniziò a rinascere. La ricostruzione fu dovuta al vicario generale del Vicerè Uzeda: Giuseppe Lanza Duca di Camastra. Egli, avvalendosi dell’ingegnere De Grunembergh, decise di ricostruire sullo stesso luogo seguendo uno schema ortogonale di assi viari rettilinei con due vie principali: il cardo, da nord a sud, rappresentato dalla via Uzeda (attuale via Etnea) e il decumano, da est a ovest, rappresentato dalla via Lanza (attuale via Antonio di Sangiuliano); da queste, sempre con innesti ad angolo retto, si dipartivano le altre strade. La città, dal punto di vista architettonico, nel corso del Settecento fu quasi interamente ricostruita dai più valenti architetti e dalle maestranze provenienti da tutta la Sicilia


Inquadramento - Capitolo 3

Fig. 4 Dettaglio Planimetria Sebastiano Ittar (1832)

secondo il gusto barocco del tempo. Catania proprio grazie a queste bellissime architetture, che ancora oggi arricchiscono il suo patrimonio artistico e culturale, è stata eletta dall’UNESCO Patrimonio dell’Umanità. La ricostruzione camastriana e la sua espansione, dal settecento ai primi dell’Ottocento, venne documentata nella celebre planimetria dell’architetto Sebastiano Ittar (fig 4), elaborata in ben 25 anni dal 1806 al 1832. Dopo l’annessione al regno d’Italia, avvenuta nel 1860, l’eccessiva crescita della popolazione portò nel 1887 alla redazione, da parte dell’Ingegnere comunale Bernardo

Gentile Cusa, di un piano di risanamento e di ampliamento della città. Questo, era costituito da una corposa relazione e da una planimetria schematica, che riprendendo ed aggiornando il rilievo di Ittar, progettava una città moderna, secondo i canoni delle città europee ottocentesche, in cui la nuova ampiezza delle strade rappresentava la soluzione alle critiche condizioni igienico sanitarie del tempo. Tale piano non venne mai approvato, ma secondo il parere unanime degli studiosi condizionò lo sviluppo della città almeno fino al primo dopoguerra5. In questo contesto, la città mostrò un grande dinamismo che condusse alla realizzazione di importanti opere pubbliche come le tratte ferroviarie di collegamento a Messina e Palermo, l’illuminazione a gas ed il nuovo porto. Inoltre, il progresso economico, dovuto allo sviluppo delle industrie di raffineria dello zolfo ed al commercio di agrumi e prodotti delle viti, portarono la città ad essere conosciuta come la “Milano del sud”. Ma con la grande guerra, l’economia cittadina subì una grave battuta d’arresto culminata con la progressiva chiusura delle raffinerie di zolfo ed i conseguenti squilibri di tutte le attività economiche ad esse legate. 61


La crisi si intensificò durante il secondo conflitto mondiale. I ripetuti bombardamenti aerei anglo-americani provocarono, infatti, delle profonde ferite che interessarono soprattutto i quartieri centro meridionali della città. Nell’immediato dopoguerra e precisamente tra gli anni ‘50 e ‘60, grazie ai piani di ricostruzione ed alla voglia di riscatto dei catanesi, la città riuscì a rinascere ancora una volta dalle proprie ceneri, facendo rivivere il mito della “Milano del sud”.

Fig. 5 Catania durante il secondo conflitto mondiale

Fig. 6 Piazza Università durante gli anni ‘60

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L’esponenziale crescita immobiliare, nonostante l’adozione nel 1964 del piano regolatore di Luigi Piccinato, non si arrestò nemmeno negli anni successivi, ma anzi diventò sempre più incontrollata. Infatti, i fenomeni di speculazione edilizia inglobarono anche campagne ed aree destinate ad orti e giardini, generando nuovi quartieri spesso sprovvisti di strutture necessarie alla collettività. In quegli anni la città risultava totalmente congestionata anche a causa dell’assenza di limitazioni al traffico e della ridotta disponibilità di stalli di sosta. Le auto avevano invaso ogni spazio disponibile: strade, piazze e persino aree prospicienti ai monumenti simbolo della città (fig 6).


Inquadramento - Capitolo 3 La crescita si arrestò tra gli anni ’70 ed ’80. Da quel momento, Catania iniziò a confrontarsi con tutti i problemi che lo sviluppo incontrollato aveva causato: degrado ambientale e sociale di quartieri e periferie, carenza di infrastrutture e trasporti, inquinamento, cementificazione selvaggia. La città sta pagando ancora oggi questa dura eredità, ma le iniziative e gli interventi che l’amministrazione ha lanciato negli ultimi anni lasciano ben sperare per il suo futuro. Note Secondo i dati dell’Istituto nazionale di statistica (ISTAT) aggiornati al 28 febbraio 2017 2 Frasca Massimo, “Catania. Scavo all’interno del muro di cinta del Monastero dei Benedettini”, in Cronache di Archeologia n. 18, 1979, pp. 129 - 141 3 D’Emilio Gaetano, D’Emilio Fabrizio, Etnea. Catania dalle origini ai quartieri storici, Algra editore, Viagrande (CT), 2017, p.37 4 Granata Francesco, Catania vecchia e nuova. Uomini e cose, Niccolò Giannotta editore, Catania, 1973, p. 233 5 http://www2.ilmercatinosicilia.it/articoli/cronaca/1437_breve-storia-del-piano-dal-gentilecusa-al. html (2018) 1

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Inquadramento A scala di quartiere Dal punto di vista amministrativo, la città di Catania diede avvio al proprio decentramento nel 1971, risultando divisa in 26 quartieri che facevano capo ad altrettante parrocchie. Nel 26 giugno del 1978 i quartieri furono ridotti a 17 e vennero ribattezzati Circoscrizioni. Nel 1995 queste subirono un’ulteriore diminuzione diventando 10 e prendendo il nome di Municipalità di quartiere. Con delibera del Consiglio Comunale n. 13 del 2 febbraio 2013, le Municipalità, riprendendo il nome di Circoscrizioni, furono ulteriormente rimodulate fino a raggiungere le 6 attuali: - 1a Circoscrizione: corrispondente alla ex 1a Municipalità (Centro); - 2a Circoscrizione: corrispondente alle ex 2a e 4a Municipalità (Ognina – Picanello e Barriera – Canalicchio); - 3a Circoscrizione: corrispondente alla ex 3a Municipalità (Borgo – Sanzio); - 4a Circoscrizione: corrispondente alle ex 5a e 6a Municipalità (S. Giovanni Galermo e Trappeto – Cibali); - 5a Circoscrizione: corrispondente alle ex 7a e 8a Municipalità (Monte Po – Nesima e San Leone – Rapisardi); - 6a Circoscrizione: corrispondente alle ex 9a e 10a Municipalità (S. Giorgio – Librino e S. Giuseppe La Rena – Zia Lisa); 64

Fig. 7 Perimetrazione delle 6 attuali Circoscrizioni

L’area di progetto ricade nella 1a Circoscrizione. Essa rappresenta il cuore pulsante della città di Catania, rinata sulle macerie del terribile terremoto del 1693, e il luogo in cui si sono svolte le vicende più importanti dal Settecento al secondo dopoguerra. Tale zona accomuna tutte le contraddizioni che ancora oggi segnano il volto della città ed, in particolar modo del suo centro


Inquadramento - Capitolo 3

storico. In essa, infatti, le grandi residenze nobiliari e le monumentali opere religiose convivono con agglomerati edilizi di scarsissima qualità nati dalla speculazione edilizia della fine dell’Ottocento e dalla rapida urbanizzazione dei primi del Novecento, con inoltre la presenza di alcune cicatrici, mai totalmente rimarginate, come quelle del corso Sicilia e del quartiere popolare di San Berillo. Nello specifico, come è possibile osservare

dall’ortofoto sovrastante, il sito di progetto, a pochi passi dal porto e dagli Archi della Marina, si colloca nel punto di convergenza di tre dei quartieri più importanti nella storia della Catania presente e passata: la Civita, San Berillo e il Centro Storico.

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Analisi


AREA DI PROGETTO L’area di progetto corrisponde all’attuale piazza Pietro Lupo e comprende al suo interno, collocato in posizione centrale rispetto ad essa, l’edificio dell’ex palestra di scherma. Lo slargo oggetto di studio più che come una vera e propria piazza, si configura come un elemento di passaggio, un grande spartitraffico dedicato al transito ed alla sosta veicolare. Questo è dovuto alla posizione urbana in cui esso si inserisce. Infatti, confinando ad ovest con via Monsignor Ventimiglia e nelle altre direzioni con via Spadaccini, si trova a pochi passi dalle primarie arterie di collegamento del centro storico (via Teatro Massimo, via Vittorio Emanuele II e via Antonio di Sangiuliano) e dalla strada statale 114, che segue il profilo costiero andando ad affiancare la ferrovia. La zona, palinsesto delle principali vicende storiche che hanno segnato la città di Catania soprattutto dopo il terremoto del 1693, è costituita da edifici di grande pregio storico ed architettonico. Questi convivono a stretto contatto con fabbricati residenziali frutto dell’incremento demografico e dalla conseguente speculazione edilizia che colpì i quartieri della zona durante la seconda metà del Novecento. Tale contraddizione, 68

Fig. 1 Vista aerea dell’area di progetto (2009)

in particolar modo, risulta evidente negli edifici che insistono su piazza Lupo. Infatti, all’ex Carcere Borbonico (attualmente sede della caserma della polizia di stato), situato nel fianco nord della piazza e costruito nei primi anni dell’Ottocento, ed ai palazzi di tre o quattro piani di altezza, risalenti alla seconda metà del XIX secolo, si affianca sul lato est della piazza un edificio di nove piani, realizzato intorno agli anni’50 del Novecento e totalmente estraneo al contesto. Nella pagina seguente sono riportate alcune immagini relative al rilievo fotografico effettuato durante la fase di analisi del sito.


Analisi - Capitolo 5

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Analisi - Capitolo 5 Dai rilievi fotografici e geometrici effettuati in sito è stato possibile tracciare la plenimetria (a sinistra) e le sezioni, rispettivamente

trasversale e longitudinale, riportate in basso. Entrambi gli elaborati, evidenziano le problematiche discusse precedentemente.

Sezione A - A

Sezione B - B 71


Storia Piazza Lupo nasce, contemporaneamente all’attuale piazza Maiorana, come slargo di sicurezza per isolare il prospetto sud del Carcere Borbonico1. Tale struttura venne costruita in seguito ai moti rivoluzionari del 1820-21 in quanto le fabbriche del Castello Ursino risultavano, con solo 60 posti, insufficienti a contenere l’elevato numero di condannati. Il progetto del carcere, dimensionato per accogliere un numero massimo di 300 detenuti, venne affidato all’ingegnere provinciale Mario Musumeci e la costruzione iniziò nel 1825. Intorno agli anni Venti del Novecento lo slargo venne intitolato al tenente di fanteria Pietro Lupo (1898 – 1936), medaglia d’oro al valore militare, per aver partecipato ed essersi distinto nella campagna in Etiopia2. Catania, durante il secondo conflitto mondiale, fu ripetutamente bombardata, risultando, ancor prima dello sbarco degli alleati, tra le città più danneggiate d’Italia (fig. 2). Infatti, tra il 16 aprile del 1941 e il 27 luglio del 1944, la città etnea subì ben 67 bombardamenti3 che, essendo rivolti a colpire obiettivi sensibili della città, provocarono un migliaio di morti e ingenti danni a diversi quartieri popolari. Tra questi rientrarono anche San Berillo e la Civita, in cui oltre alle 72

Fig. 2 Foto aerea del bombardamento su Catania

abitazioni civili furono danneggiati anche importanti edifici pubblici e di culto. In attesa delle decisioni governative che avrebbero consentito l’avvio di un nuovo ciclo edilizio e il reperimento delle somme di denaro da destinare ai finanziamenti pubblici per la ricostruzione italiana, si inizio subito con lo sgombero delle macerie dalle vie ed il puntellamento dei palazzi pericolanti. Pur tardando rispetto alle altre città d’Italia, la ricostruzione iniziò nel 1946 e venne affidata agli architetti Giuseppe e Rosario Marletta, Gino Nicotra e all’ingegnere Biagio Miccichè i quali erano stati, seppur in modo diverso, protagonisti del dibattito


Analisi - Capitolo 5

Fig. 3 Piano di Ricostruzione per il quartiere Civita, Giuseppe Marletta (1946)

Fig. 4 Dettaglio del PRG di Luigi Piccinato (1964)

architettonico e urbanistico che Catania aveva vissuto nel periodo precedente4. In particolar modo, il Piano di Ricostruzione del quartiere Civita fu assegnato all’architetto Giuseppe Marletta che, formatosi presso la “Scuola romana” ed influenzato da questo ambiente professionale, rappresentò insieme a Francesco Fichera una delle maggiori figure di spicco del primo Novecento catanese. Proprio all’architetto Marletta, o ad uno dei professionisti della “Scuola Romana” che gli fu affiancato dalla Società Generale Immobiliare di Roma durante il periodo di ricostruzione, si può imputare la paternità dell’edificio situato in piazza Pietro Lupo. Pur non essendo chiara la data di costruzione, sicuramente l’edificio venne eretto tra il 1946 ed il 1964; infatti, è presente sia nella planimetria generale del Piano di Ricostruzione per il quartiere Civita (figura 3) che nel PRG di Luigi Piccinato del 1964 (figura 4). Tale struttura, data la vicinanza alla provinciale, venne progettata per essere un Terminal Bus, ma la sua destinazione d’uso fu cambiata in corso d’opera per ospitare una palestra di scherma. Dalla data di costruzione fino agli anni ’80, la palestra visse grandi momenti di gloria legati allo sviluppo della scherma a livello nazionale ed ai successi che la compagi73


ne Catanese aveva riscosso in quegli anni. Ma, con il ritiro di Pasquale Timmonieri e delle altre personalità di spicco che avevano diffuso la scherma tra i giovani catanesi, la palestra venne chiusa e la struttura, ormai abbandonata, fu occupata da senzatetto e immigrati. Gli anni successivi, contraddistinti dall’alternarsi di sgomberi operati dalla polizia e rioccupazioni da parte degli abusivi, vedono una svolta quando, in seguito all’assegnazione di un appalto alla Virlinzi S.P.A. per la costruzione in project financing di un parcheggio interrato da 438 posti auto5, la struttura venne transennata per essere successivamente demolita. Ma, nonostante il transennamento e l’inserimento del progetto all’interno del “Piano Parcheggi” della Città di Catania, dopo pochi mesi la situazione ritornò esattamente come prima. Nel 2011 il comune procedette, quindi, con l’ennesimo sgombero dell’edificio e, per debellare l’occupazione dell’immobile ne murò tutti gli accessi. Questa mossa fu però del tutto deleteria e, dopo pochi giorni, venne aperta una breccia in uno degli ingressi e l’edificio venne nuovamente occupato. Il 2012 segnò l’anno della svolta. L’associazione GAR (Gruppo di Azione e Risveglio), movimento spontaneo di giovani cittadini, decise, infatti, di occupare informalmente 74

Fig. 5 Pulizia dell’interno della palestra

l’edificio con l’obiettivo di restituirlo alla cittadinanza. Mostrandosi ben disposti ad un dialogo con l’amministrazione, i membri del GAR ricevettero dall’assessore Girlando le chiavi della palestra. Successivamente, l’associazione con la collaborazione della Multiservizi S.P.A. ripulì la struttura con l’intenzione di renderla fruibile ai cittadini (fig. 5). Nella primavera del 2014 le associazioni Mangiacarte e Lomax, a seguito della chiusura delle rispettive sedi per mancanza di fondi, decisero di mettersi in contatto con il GAR al fine di unirsi al progetto di restituzione dell’edificio alla città. I lavori, svolti in chiave ecosostenibile e supportati da varie donazioni da parte della cittadinanza, portarono all’inaugura-


Analisi - Capitolo 5 Note Dato Giuseppe, La città di Catania. Forma e struttura. 1693-1833, Officina edizioni, Roma, 1983, p. 128 2 Boemi Angelo, Glorie e personaggi illustri di Catania, Boemi editore, Catania, 2014 3 Padrenostro Salvatore, Catania costruita nel rinnovamento del moderno: le architetture e le trasformazioni urbane dal dopoguerra al PRG del 1964 per fare una “Grande Citta” in continuita con il passato, Edilstampa, Roma, 2013, p. 287 4 Ivi, p.310 5 Finora, dei nove parcheggi previsti nel “Piano Parcheggi” del comune di Catania ne è stato realizzato soltanto uno, quello di Piazza Europa. Ad oggi, nonostante l’interruzione dei lavori che stavano per essere avviati nel 2007 sull’ex palestra, la realizzazione del progetto è ufficialmente in corso, ma non si conoscono i tempi di realizzazione. 1

Fig. 6 Lavori sull’esterno dell’edificio

zione nel 13 dicembre del 2014 ed all’apertura al pubblico della Palestra LUPo, acronimo di Laboratorio Urbano Popolare. Venne così data nuova vita ad uno spazio abbandonato trasformandolo in un laboratorio urbano in cui ancora oggi si svolgono attività sociali e culturali non a scopo di lucro. Una piccola parentesi è data dal concorso di “AAA Architetti cercasi” che nel 2015 ha scelto proprio l’edificio di piazza Lupo come sito di progetto. Il concorso ha visto la partecipazione di 37 gruppi con il risultato finale di 5 progetti vincitori e due menzioni speciali.

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timeline

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Analisi - Capitolo 5

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relazioni “Prima di costruire, bisogna capire lo spirito e le caratteristiche di un ambiente. L’architettura deve definire un luogo a partire da ciò che quello stesso luogo era prima dell’intervento artistico. […] L’architetto deve considerare il contesto. Il contesto deve influenzare il suo lavoro: un’opera non è isolabile dal luogo”1. Con queste parole l’architetto Paolo Portoghesi, in un’intervista rilasciata nel 2010, spiega in maniera esaustiva l’importanza che rivestono le relazioni nel progetto d’architettura. Il contesto fisico, sociale e culturale rappresenta, infatti, un elemento imprescindibile per capire la complessità delle dinamiche spaziali. L’analisi del contesto contemporaneo è necessaria quindi, non solo per la comprensione della storia e del modo in cui la città si è generata in seguito alle varie stratificazioni, ma soprattutto per preservare i valori fisici e culturali nel processo di costruzione del nuovo. La storia ci ha infatti lasciato in eredità segni che dobbiamo saper leggere, decodificare e reinterpretare in chiave contemporanea per la costruzione del nostro futuro, avendo sempre il massimo rispetto per il passato2. Fare architettura equivale a trovare un equilibrio rispetto all’equilibrio 78

esistente. Risulta quindi fondamentale un dialogo con i luoghi in cui si interviene, in modo che anche la comunità che li abita e li vive possa riconoscersi negli spazi del nuovo progetto. A tal proposito, Giancarlo De Carlo evidenzia l’importanza del contatto che l’opera ha con la collettività sostenendo che “gli spazi della città e delle vere architetture raggiungono il loro obiettivo quando sono abitati […] non esistono se non quando sono esperiti ed entrati nella collezione dell’immaginario, della memoria, del parlato della gente”. Le relazioni che intercorrono tra il sito del progetto e il sistema esterno, non devono quindi essere percepite come vincoli. Esse infatti costituiscono un’opportunità per il progetto e forniscono delle importanti linee guida in grado di condurre il progettista a delle decisioni finali. Alla luce di ciò, le planimetrie che seguono hanno l’obiettivo di sottolineare da un lato l’importanza della posizione che il sito riveste all’interno della città, dall’altro le criticità e, parallelamente, le opportunità che da esso scaturiscono. In particolare, ci si è concentrati sugli edifici e le strade di interes-


Analisi - Capitolo 5 se storico per l’attrattività del sito; sui servizi e le attività culturali per la scelta delle funzioni da insediare nell’edificio; sulle piazze e le zone a verde per gli interventi previsti sugli spazi antistanti la struttura; e, infine, sull’accessibilità per i collegamenti al resto della città. Queste analisi costituiscono, quindi, la base di partenza per le scelte che verranno operate in fase di progetto. Note Portoghesi Paolo, “Gli architetti dello star system, non guardano e non rispettano l’ambiente”, intervista di Greta La Rocca, 10 Gennaio 2010 consultabile in https://terraceleste.wordpress.com/tag/ paolo-portoghesi/ (2018) 2 Luigi M. Mirizzi, “Il progetto contemporaneo nel contesto storico” consultabile in http://www.unife. it/centri/diaprem/archivio-progetti/progetti-di-comunicazione/focus-r/bari/il-progetto-contemporaneo-nel-contesto-storico (2018) 1

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Interesse storico L’analisi condotta rispetto ai luoghi di interesse storico ha permesso di identificare l’area come un luogo privilegiato per la sua posizione all’interno del tessuto settecentesco. In particolare, nell’ortofoto si è scelto di indicare le principali opere monumentali (pubbliche e di culto) e le arterie storiche, estratte dalla planimetria del 1832 di Sebastiano Ittar (Fig. 4 pag. 53). Legenda

1. Carcere Borbonico 2. Convitto Cutelli 3. Palazzo Pedagaggi 4. Vecchia Dogana 5. Porto Vecchio 6. Palazzo Biscari 7. Palazzo Platamone 8. Teatro Massimo V. Bellini 9. Cattedrale di S. Agata 10. Badia di S. Agata 11. Palazzo S. Giuliano 12. Palazzo dell’Università 13. Palazzo degli Elefanti 14. Palazzo dei Chierici a. Via A. di Sangiuliano b. Via Etnea c. Via Vittorio Emanuele II d. Via Teatro Massimo 80


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Servizi ed attività culturali L’analisi condotta rispetto ai servizi ed alle attività culturali rileva la presenza nella zona di un buon numero di edifici legati alla cultura ed all’istruzione. In particolar modo, nelle immediate vicinanze, la presenza della facoltà di Scienze Politiche, del Liceo Classico del Convitto Nazionale “M. Cutelli” e del Teatro Massimo V. Bellini rendono la zona densamente frequentata da giovani.

Legenda

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Piazze e zone a verde L’analisi condotta rispetto alle piazze e alle zone a verde ha evidenziato diversi aspetti. In primo luogo, l’area d’intervento è inglobata in un sistema di piazze, collegate solo visivamente, che risulta costituito dalle Piazze Lupo, Bellini, Majorana e Cutelli. Secondariamente, gli spazi destinati a verde pubblico sono pochi e generalmente sottodimensionati. Infine, dalla planimetria appare chiaro che le piazze più grandi ed importanti della zona sono quasi esclusivamente pavimentate o possiedono solo del verde di arredo.

Legenda

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Accessibilità L’analisi condotta rispetto all’accessibilità ha evidenziato come la zona si delinei come un importante nodo di collegamento all’interno della città. Infatti, grazie alla presenza di alcuni dei principali percorsi pedonali e carrabili, l’area risulta servita da diverse fermate dell’autobus e si trova a breve distanza dal porto, da due fermate della metropolitana e dalla stazione centrale.

Legenda

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Descrizione dell’edificio L’edificio dell’ex palestra lupo sorge al centro dell’omonima piazza ed è collocato su un podio di forma rettangolare (20,5m x 48m), recintato da un muretto in calcestruzzo con ringhiera metallica. Il lotto in questione si sviluppa in lunghezza secondo l’asse ovest - est e presenta, in tale senso, una pendenza di 0,8 m. La struttura, anch’essa di forma rettangolare (12,45 m x 45,4 m), è realizzata su un unico piano di altezza pari a circa 5 m. La copertura, non calpestabile, è costituita da un’ampia tettoia latero cementizia ad “ali di gabbiano” che si estroflette, per una lunghezza di circa 6 m, dai pilastri in calcestruzzo armato che scandiscono lo scheletro strutturale. I pilastri ai lati opposti della struttura sono collegati da travi di calcestruzzo armato che hanno una luce di 11,45 m; questo sistema scandisce l’edificio con 8 campate rettangolari da 4,60 m di lunghezza. Le tamponature esterne sono composte da uno spessore di 30 cm in mattoni pieni lasciati a vista (di dimensione 12 cm x 25 cm x 5,5 cm) e da un nastro di finestre superiore che si estende su tutti i lati dell’edificio. Il rivestimento esterno è coperto da graffiti realizzati da artisti locali. 88


Analisi - Capitolo 5 Coerentemente con la prassi costruttiva dell’epoca di realizzazione, l’edificio è orientato secondo l’asse eliotermico, ossia disposto con gli ambienti allungati verso l’asse nord–sud (con un angolo d’inclinazione di circa 19°) e con le facciate principali rivolte ad est e ovest. Come mostrano i due schemi solari posti di fianco, tale disposizione garantisce durante il periodo invernale, quando il sole è basso, una consistente captazione della radiazione solare. In estate, invece, quando il sole è più alto, offre un migliore ombreggiamento interno. Questo orientamento consente, quindi, un maggiore guadagno termico annuale, minimizzando il fabbisogno di riscaldamento invernale e di raffrescamento estivo. Inoltre, grazie anche al posizionamento della struttura rispetto agli edifici limitrofi, l’orientamento solare permette una buona illuminazione degli ambienti interni, estendendo il risparmio energetico anche all’ambito dei sistemi di illuminazione.

Solstizio d’estate (21 giugno)

Solstizio d’inverno (21 Dicembre)

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Prospetti stato di fatto

Prospetto sud

Prospetto est

Prospetto ovest

Prospetto nord

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Esploso assonometrico

Analisi - Capitolo 5

Copertura Latero cementizia

Struttura portante Calcestruzzo armato

Tamponature Mattoni pieni

Tramezzi Mattoni pieni

Recinzione Muretto in calcestruzzo con ringhiera metallica

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Dettaglio costruttivo

Sebbene sia risultata impossibile la consultazione di documenti riguardanti il progetto dell’edificio, mediante lo studio dei metodi costruttivi dell’areale e attraverso il supporto di una serie di rilievi in loco è stato possibile realizzare il dettaglio costruttivo nella pagina seguente.

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Legenda 1. Trave in calcestruzzo armato 2. Copertura latero cementizia (30 cm) 3. Inferriate 4. Infissi in alluminio a vetro singolo 5. Cordolo in cls. armato (20 cm) 6. Mattoni pieni (25 cm x 12 cm x 5,5 cm) 7. Coibente rigido (5 cm) 8. Intonaco interno 9. Pavimento in cls. lisciato (1,5 cm) 10. Massetto per impianti (8 cm) 11. Guaina impermeabilizzante 12. Massetto in cls. con rete elettrosaldata (d = 0.8 cm) 13. Vespaio in pietrame 14. Magrone (10 cm) 15. Fondazione a trave rovescia in cls. armato 16. Pavimentazione in masselli di calcestruzzo (6 cm) 17. Malta di allettamento (6 cm) 18. Sabbia compatta (4 cm) 19. Massicciata 20. Ringhiera metallica 21. Manto stradale 22. Misto granulare stabilizzato 23. Sottofondo in pietrame 24. Pilastro in cls. armato 25. Intonaco esterno

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Descrizione distributivo funzionale L’edificio è costituito da quattro ingressi: uno ad ovest, due a sud e uno a nord. L’ingresso ad ovest, dopo lo sgombero eseguito dalla polizia nel 2011, risulta attualmente murato. I due ingressi a sud sono quelli principali e conducono a due aree distinte dell’edificio. Infine, l’ingresso a nord è riservato alla cabina dell’enel, separata dai restanti ambienti. L’interno dell’edificio ha una superficie netta di circa 512 m2 e può essere suddiviso in 3 aree. La prima di queste a partire da ovest è lunga tre campate (15 m) ed è composta da ambienti di uguale profondità (4,2 m), separati da un corridoio centrale di 2,85 m. All’interno di questi spazi, un tempo occupati dagli spogliatoi e dagli uffici della palestra, oggi si trovano locali adibiti prevalentemente a magazzini. La seconda area è costituita da un unico ambiente lungo quattro campate (19,70 m). Tale vano, in cui anticamente sorgeva la palestra, oggi accoglie una sala polifunzionale. Infine, la terza area, lunga due campate (10 m), accoglie, negli spazi un tempo dedicati al custode, la cucina con relativa sala da pranzo, la sartoria e la libreria. 94

Legenda (Palestra Lupo)

Legenda (Centro Sociale LUPo)


Analisi - Capitolo 5

Pianta Palestra Lupo (1960 - 80)

Pianta Centro Sociale LUPo (Oggi) 95


Stato di conservazione Ogni edificio, come un organismo vivente, ha un ciclo vitale: nasce, in coincidenza della sua realizzazione, vive un determinato numero di anni ed alla fine, a causa del progredire di degradi e dissesti che lo colpiscono, arriva alla morte, che si concretizza con il suo abbandono o la sua demolizione. Il progettista, come un medico, ha il compito di valutare i sintomi, individuare le patologie e le cause che le hanno prodotte ed, infine, trovare una terapia affinché l’edificio possa prolungare la sua vita utile. Continuando con la similitudine tra edificio ed organismo vivente, si può dire che la struttura dell’ex palestra Lupo, come un uomo che a causa della solitudine tende a trascurarsi incorrendo in malattie e invecchiamento precoce, si è ritrovata in uno stato di prematuro deterioramento dovuto alla mancanza di fruitori e, di conseguenza, all’assenza di manutenzione. La riappropriazione della struttura, avvenuta nel 2012, ha portato alla realizzazione di alcuni interventi manutentivi che hanno migliorato le prestazioni dell’edificio. Nonostante ciò, è ancora possibile notare la presenza di alcune manifestazioni visibili di degrado. 96

Esternamente, sia la struttura portante in calcestruzzo che le tamponature in mattoni presentano un buono stato di conservazione; le manifestazioni di degrado si riscontrano prevalentemente nella copertura, negli infissi e nella recinzione che circonda l’edificio. In particolare, abbiamo: - Fenomeni di dilavamento, di vegetazione infestante e di distacco d’intonaco (fig. 1), dovuti al cattivo smaltimento delle acque meteoriche, in corrispondenza della copertura. - Obsolescenza degli infissi che, seppur in buone condizioni, incidono negativamente sulle prestazioni termiche dell’edificio. - Presenza di alcuni vetri danneggiati (fig. 2). - Ossidazione delle ringhiere esterne alla struttura (fig. 3). Internamente, la maggior parte degli ambienti è stata rimbiancata e il soffitto è stato coperto con alcuni teli per prevenire la caduta di calcinacci (fig. 4). Nonostante ciò, nell’area che comprende le prime tre campate ad ovest, sono ancora presenti alterazioni cromatiche e distacchi d’intonaco (fig. 5) dovuti all’umidità da infiltrazione ed al degrado antropico relativo alla fase di abbandono dell’edificio. Inoltre, sebbene siano state ripulite le grondaie e le tubature


Analisi - Capitolo 5 occluse, la copertura necessita di un nuovo sistema di scarico e raccolta delle acque piovane. In generale, sia i degradi interni che esterni dell’edificio interessano solo lo strato superficiale. Non si rilevano, quindi, danni nella componente strutturale. Fig. 3 Ossidazione ringhiera e cancellata esterna

Fig. 1 Fenomeni di dilavamento, vegetazione infestante e distacco d’intonaco

Fig. 4 Teli per coprire il soffitto

Fig. 2 Vetri danneggiati

Fig. 5 Area dove ancora non si è intervenuto

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Considerazioni Le caratteristiche relative alla struttura ed all’area di progetto, il rapporto di questa con gli edifici e le aree confinanti, la sua localizzazione rispetto al centro urbano e agli edifici di particolare interesse storico e culturale, la lettura dettagliata di alcune funzioni primarie insediate nel territorio e delle caratteristiche tecniche, architettoniche e spaziali dell’edificio sono elementi che risultano imprescindibili per la comprensione dell’oggetto su cui si sta intervenendo. L’analisi effettuata sull’edificio e sull’area di progetto ha condotto ad una presa di coscienza del luogo, evidenziando le sue complessità e criticità, ma contemporaneamente portando alla luce anche i suoi punti di forza. Il settore urbano in cui va ad inserirsi l’area d’intervento, come emerso dalle diverse analisi storiche, è stato da sempre contraddistinto da trasformazioni ed evoluzioni che, nel tempo, ne hanno cambiato il volto. La carenza di adeguate strategie d’intervento da parte dell’amministrazione ha portato, dopo la fase di abbandono della struttura, ad un ampio degrado che non si è limitato al singolo edificio, ma si è esteso all’intera area. Questa, come ricavato dai vari rilievi, attualmente risulta congestionata e banaliz98

zata dalla presenza di auto che hanno invaso qualsiasi spazio disponibile. Nonostante ciò, l’area di progetto presenta grandi potenzialità. Proprio queste rappresentano la base da cui partire per la realizzazione di un progetto che riesca ad integrare armoniosamente lo spazio esterno con gli interni dell’edificio. I risultati del rilievo critico e sistemico effettuato sull’edificio e sul contesto in cui esso va ad inserirsi, rappresentano quindi un elemento fondamentale per le scelte che verranno maturate nella successiva fase progettuale. Nella pagina successiva è inserito uno schema dove sono evidenziati i punti di forza e di debolezza dell’area oggetto di studio. In particolare, nella vista assonometrica si è voluta evidenziare la complessa situazione in cui si trova attualmente la piazza, sottolineando la presenza dei posteggiatori (figure in rosso), la predominanza delle auto e la quasi completa assenza di verde pubblico.


Analisi - Capitolo 4

Pro 1. Posizione rilevante al centro della città. 2. Grande potenziale nello spazio interno dell’edificio. 3. Vicinanza di servizi ed attività culturali. 4. Buono stato di conservazione dell’edificio.

Contro 1. 2. 3. 4.

Spazio totalmente invaso dalle auto. Presenza di posteggiatori abusivi. Assenza di verde pubblico. Assenza di qualità architettonica.

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“L’architettura è troppo importante per essere lasciata agli architetti” (Giancarlo De Carlo)

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Progetto


Proposta progettuale La proposta progettuale si inserisce nel contesto del recupero e della valorizzazione del patrimonio architettonico minore. Il filo conduttore che lega l’intero intervento fonda le sue radici nell’idea che questo non debba limitarsi a trasformare la singola area di progetto, ma che inoltre debba instaurare dei legami con il territorio nel quale esso è inserito. L’obiettivo alla base del progetto è quello di dare una risposta concreta a tutte le criticità emerse durante la fase di analisi. Esso scaturisce, quindi, da una profonda riflessione sul ruolo, attualmente del tutto inespresso, che quest’area di grande valore strategico svolge sulla scena urbana di Catania. Il riconoscimento del potenziale nascosto dell’edificio e, in generale, dell’intera area d’intervento, ha condotto alla realizzazione di un progetto unitario in cui piazza ed edificio, trovandosi in un rapporto diretto di scambio, vengono a coincidere. Entrando nel dettaglio, il programma di recupero e riuso dell’edificio parte dall’identificazione delle nuove funzioni da insediare al suo interno. La scelta è ricaduta su una serie di attività eterogenee capaci di conferire una nuova identità al luogo e di consentire un uso continuativo della struttura, rendendola fruibile nelle differenti fasce ora102

rie della giornata. La creazione di un nuovo programma funzionale diventa così lo strumento per la modellazione degli spazi e delle connessioni tra gli ambienti interni. Questi, attraverso la demolizione e riconfigurazione dei tramezzi, vengono totalmente ridisegnati con l’obiettivo di donare allo spazio una nuova flessibilità che riesca a rispecchiare il carattere delle funzioni ospitate al suo interno. La fase immediatamente successiva ha previsto il ribaltamento del carattere chiuso ed introverso dell’edificio. Per fare ciò, il progetto ha determinato la sostituzione dell’involucro esterno, che rendeva la facciata massiccia e statica, con un nuovo sistema più leggero e versatile. In questo modo, mettendo in luce la struttura portante dell’edificio, si riesce a valorizzare, attraverso l’utilizzo di un linguaggio contemporaneo, la preesistenza e a tutelare, quindi, la memoria del luogo. Alla conservazione dei tratti distintivi del vecchio complesso, si affianca anche la ricerca di un maggior comfort termico, acustico e la riduzione, al contempo, dell’impatto che l’edificio ha sull’ambiente. Tutto ciò è reso possibile grazie alla scelta di materiali e di tecniche costruttive sostenibili che, abbinate a sistemi energetici capaci di soddisfare il fabbisogno della struttura, ridu-


Progetto - Capitolo 6 cono al minimo la sua impronta ecologica. La proposta progettuale, come già anticipato, non si è limitata ad un intervento solo sull’edificio, ma ha esteso il suo raggio d’azione anche all’area antistante, curando in particolar modo il rapporto che questa intrattiene con il sistema di piazze di cui fa parte. Si è scelto, quindi, di ridare vita a quello che per anni era stato un semplice vuoto urbano adibito a parcheggio. Per fare ciò, è stato adottato un linguaggio riconoscibile, contraddistinto da un numero limitato di elementi architettonici e, al contempo, privo di eccessiva enfasi formalistica. Il progetto verte, inoltre, su un totale ripensamento della viabilità pedonale e carrabile, con la conseguente eliminazione delle barriere architettoniche che ne ostacolavano la fruizione. La nuova area, restituita alla collettività ed aperta all’ambiente circostante, può acquisire così, per la prima volta, la dignità di piazza e diventare, quindi, fautrice di nuove dinamiche di aggregazione.

disagio sociale che ne hanno contraddistinto la storia negli anni passati.

La proposta progettuale, di conseguenza, cogliendo l’occasione di rafforzare l’identità di questo brano di città e di affermare il suo ruolo di cerniera tra i vari quartieri su cui insiste, si pone come un’occasione di riscatto di questo dai numerosi fenomeni di 103


Funzioni Il progetto di recupero e rifunzionalizzazione della struttura dell’ex palestra Lupo pone le proprie basi sul corretto riconoscimento della nuova destinazione d’uso. Dalle preliminari operazioni di analisi, illustrate nel capitolo precedente, è risultato chiaro come le nuove funzioni da insediare non possano ignorare da un lato le esigenze della popolazione e dall’altro la carenza di servizi offerti nella zona d’intervento. Questa, contraddistinta dalla presenza di numerosi edifici a carattere educativo e culturale, afferma con vigore la propria predisposizione a costituirsi come grande centro di attività artistiche e culturali. Sulla base di ciò, in continuità con quanto fatto dalle associazioni che hanno occupato l’ex palestra, si è deciso di mettere a disposizione degli abitanti del quartiere nuovi spazi per la cultura ed il tempo libero. Tuttavia, a differenza di quanto accaduto per il centro sociale LUPo, la scelta stavolta è ricaduta sulla trasformazione della struttura preesistente in un centro culturale polifunzionale, vivo e aperto alla città. Il principio cardine su cui ruota l’intera idea di progetto è la flessibilità riferita non solo ai diversi spazi che compongono la struttura, ma anche alle funzioni ad essi associate. 104

Come evidenzia lo schema nella pagina successiva, si è deciso di far coesistere all’interno dell’edificio sei macro categorie di attività, tutte connesse tra loro: sala polifunzionale, biblioteca/mediateca, copertura/ spazio pubblico, sala prove, info point, caffetteria/panineria. Queste, accompagnate dai vari servizi secondari, contengono al loro interno una complessa serie di funzioni intrecciate e collegate fra loro. La presenza di un numero così alto di funzioni permette la coesistenza di attività volte allo studio, alla promozione della cultura ed allo svago, e determina, inoltre, la possibilità di adattare i diversi spazi all’evolversi delle necessità dei fruitori. In questo modo, la struttura si trasforma in un organismo che, attento all’ascolto del territorio, coinvolge e stimola la partecipazione di tutta la comunità. Il progetto, non si limita quindi alla diversificazione delle funzioni, ma attraverso questa, aspira ad attrarre flussi di utenti e di cittadini di diverse età che favoriscono un uso continuativo della struttura nelle diverse fasce orarie. In questo modo, oltre a rendere l’area viva ed accettata dalla comunità, è possibile scongiurare i fenomeni di micro criminalità e vandalismo avvenuti in precedenza.


Progetto - Capitolo 6

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La scelta della destinazione d’uso risulta supportata anche dagli studi riguardanti la prossemica. Con questo termine, coniato dall’antropologo Edward T. Hall nel 1963, si intende quella “branca della semiotica che si occupa dell’uso che le varie culture fanno dello spazio e delle distanze spaziali connesse all’interazione comunicativa interpersonale”1. Tale scienza indaga, quindi, il significato che assume la distanza posta tra gli uomini nei comportamenti sociali. Ogni individuo, intorno al proprio corpo, costruisce uno spazio mentale e relazionale che lo avvolge e lo “ripara” dal resto del mondo. Tale spazio, che prende il nome di “bolla prossemica”, non è neutro, bensì muta in base alle relazioni che si desidera instaurare con le persone che ci circondano. È semplice constatare la sua esistenza nella vita di tutti i giorni; infatti, quando una persona si avvicina eccessivamente a noi, iniziamo a percepire determinati stati psico-fisici, come ad esempio fastidio o imbarazzo, che ci inducono ad allontanarci, ripristinando quelle che reputiamo le “giuste” distanze. Allo stesso modo, tendiamo ad avvicinarci quando sentiamo la persona con cui stiamo interloquendo troppo di106

stante da noi. Durante le iterazioni sociali, quindi, inconsapevolmente siamo portati a modificare continuamente le distanze che intercorrono tra noi e gli altri. Articolando le proprie riflessioni in un confronto costante con i risultati delle indagini etologiche, E.T. Hall, nel saggio “La dimensione nascosta” (1966), ha realizzato una classificazione, condensando le distanze relazionali in quattro gruppi: - distanza intima (da 0 - 45 cm); - distanza personale (45 -120 cm); - distanza sociale (120 - 350 cm); - distanza pubblica (oltre i 350 cm). Queste distanze non hanno, comunque, una validità generale, ma possono subire delle variazioni dovute a fattori come cultura, sesso ed età. Nelle popolazioni mediterranee, ad esempio, gli individui tendono ad interagire con maggiore intimità tra di loro a differenza dei popoli del Nord Europa o degli Stati Uniti. Allo stesso modo è possibile notare anche differenze di genere; le donne, infatti, mantengono tra di loro una distanza più ridotta rispetto agli uomini. Infine, mentre i bambini e gli anziani hanno distanze di interazione generalmente inferiori, queste aumentano nella fascia d’età


Progetto - Capitolo 6 intermedia. Oggi la prossemica si sta affermando sempre di più come una disciplina tanto rilevante da aiutare designer e architetti nella progettazione degli spazi. L’architettura, nella scelta delle funzioni e dell’organizzazione degli ambienti non può, quindi, prescindere da questo tipo di studi. In tale ottica, la scelta operata per la nuova destinazione d’uso dell’ex palestra Lupo viene a maggior ragione confermata. Infatti, il centro culturale rappresenta il luogo d’incontro per eccellenza, uno spazio che riesce a convogliare e mescolare le varie generazioni ed etnie. Questo, in un contesto particolare come quello in cui è collocato l’edificio oggetto d’intervento, riuscendo a ridurre le distanze fisiche e culturali e favorendo quindi l’inclusione tra i vari gruppi, può rappresentare un fattore chiave per la riuscita dell’intero progetto. Note http://www.treccani.it/enciclopedia/prossemica_%28Enciclopedia-Italiana%29/ (2018) 1

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Piante

Schema isometrico dello stato di fatto L’estrema duttilità funzionale che, come appena visto, rappresenta il fulcro del nuovo centro culturale, richiede però un’uguale flessibilità architettonica degli spazi. Questa è resa possibile grazie al completo ridisegno degli ambienti e, conseguentemente, alla nuova disposizione delle partizioni interne. Come mostra lo schema isometrico in alto, lo stato di fatto si presenta come un insieme di vani privi di qualsiasi qualificazione funzionale. Infatti, a causa della scansione 108

rigida dei vecchi ambienti e dell’incuria che ha segnato negli anni l’edificio, la fruizione è limitata solo a poche aree. La volontà progettuale è quella di operare una totale riorganizzazione degli spazi interni, trasformando ciò che prima era chiuso ed inutilizzato in un luogo completamente fruibile. Questo è reso possibile grazie alla riduzione al minimo indispensabile delle zone riservate esclusivamente agli operatori. In questo modo, come è possibile vedere


Progetto - Capitolo 6

Schema isometrico di progetto nello schema isometrico di progetto, la struttura diventa una grande aula, in cui i vari ambienti sono tutti in comunicazione visiva e funzionale tra loro e con il contesto circostante. I diversi spazi, a differenza della struttura precedente, sono quindi liberi di interagire tra loro senza confini distinti e questo rappresenta un ottimo espediente per facilitare gli scambi culturali e sociali. Inoltre, attraverso il taglio realizzato nella struttura (indicato nello schema con una

doppia freccia) l’edificio diventa permeabile e, accogliendo i flussi di attraversamento pedonale, viene quindi aperto alla vita della città. In questo modo, Il concetto di piazza viene esteso fino all’interno dell’edificio. Si può concretizzare, così, l’ambizione del progetto di diventare un nuovo luogo d’incontro per la comunità.

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Demolizioni

Quanto detto nel paragrafo precedente, viene raggiunto attraverso la demolizione del muretto esterno all’edificio, della totalità dei tramezzi interni e di una parte cospicua delle tamponature esterne. Quest’ultime, vengono smantellate fino all’altezza del secondo cordolo in cls. armato in maniera tale da lasciare una parte in cui poter ancorare, in una fase successiva, il controsoffitto ed i nuovi infissi. 110

Con questi inteventi di demolizione, l’interno viene completamente svuotato, permettendo così una nuova configurazione, e lo scheletro strutturale, elemento architettonico distintivo dell’intero fabbricato, viene liberato dalle tamponature che ne celavano la bellezza. L’intervento di demolizione si articola in quattro fasi che vengono schematizzate nelle pagine seguenti.


Progetto - Capitolo 6

Fase 1: Rimozione muretto e ringhiera esterna

Fase 2: Rimozione totale tramezzi interni 111


Fase 3: Rimozione delle tamponature esterne e degli infissi

Fase 4: Riuso e riciclo del materiale demolito 112


Progetto - Capitolo 6 Nelle demolizioni tradizionali la maggior parte dei materiali viene trasformata in scarti da destinare alla discarica. Seguendo questa strategia, solo pochi elementi, dopo aver subito adeguate lavorazioni, vengono reimmessi all’interno del processo edilizio. Tutto ciò comporta, quindi, un grande spreco di materie prime. Per far fronte a questo problema, si è deciso di realizzare una “demolizione selettiva”. Con questo termine si intende un processo che, attraverso un’attenta progettazione delle varie fasi di demolizione, riesce a recuperare buona parte dei materiali solitamente scartati. Sebbene, rispetto alla demolizione tradizionale, si abbiano dei costi totali più elevati (circa del 10% - 20% in più) ed un allungamento dei tempi di realizzazione, tutto viene bilanciato da una serie di benefici di carattere economico e, soprattutto, ambientale. La possibilità di riutilizzare buona parte dei materiali di scarto si traduce nella riduzione del quantitativo di rifiuti trasportati in discarica. Questo consente un considerevole risparmio delle materie prime, impiegate nel processo di riqualificazione, e conseguentemente porta ad un’importante ricaduta ambientale, riducendo l’energia in-

corporata per l’estrazione e la lavorazione dei materiali da costruzione utilizzati. La scelta di operare nel progetto una demolizione selettiva è stata motivata dalle indagini realizzate durante la fase di analisi. Da queste è emerso che tutte le tamponature ed i tramezzi da demolire sono costituiti da mattoni pieni in buono stato di conservazione. È noto che la produzione di un singolo mattone richiede molte risorse naturali ed energetiche (vengono immessi in atmosfera circa 0,5 kg di CO2). Proprio per questo, il progetto prevede che tutti i laterizi in buono stato di conservazione, dopo la demolizione, vengano ripuliti da malte ed intonaci, accatastati e catalogati per essere riutilizzati nello stesso edificio. Per i mattoni maggiormente danneggiati è, invece, prevista la frantumazione ed il successivo utilizzo come materiale inerte.

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Pianta piano terra La versatilità delle funzioni ipotizzate per la struttura viene concretizzata attraverso la distribuzione degli spazi interni. L’edificio risulta articolato longitudinalmente in due blocchi i quali vengono separati da un percorso pedonale. Questo, attraversando tutta la struttura per la lunghezza di una campata, oltre a mettere in comunicazione i versanti nord e sud della piazza ha lo scopo di collegare, mediante una scalinata, gli spazi interni alla copertura sovrastante. Partendo da est, oltrepassato l’ingresso che si affaccia su via Monsignor Ventimiglia, ci si trova davanti ad un’area che, estendendosi sulla dimensione di una campata, è stata pensata non solo come zona di ristoro ma, data la posizione strategica che riveste all’interno del flusso urbano, anche come spazio collettivo per la sosta e gli incontri. Su questa si affacciano la caffetteria/ panineria, dotata di una cucina retrostante per la preparazione delle vivande, e l’info point, entrambi contraddistinti da un lungo bancone. Due corridoi, uno a nord e l’altro a sud, delimitati centralmente dai servizi igienici e da un magazzino, collegano visivamente l’ingresso est alla grande sala polifunzionale, cuore pulsante della struttura. Questa, estendendosi per tre campate e 114

mezza, rappresenta l’ambiente di maggiori dimensioni ed è pensata come uno spazio fluido, capace di accogliere molteplici attività ed eventi. La flessibilità di questa sala è garantita da un sistema di pareti scorrevoli, contenute in due blocchi a tutta altezza. Esse, libere di scorrere lungo guide presenti sul pavimento e nel controsoffitto, possono conferire allo spazio, in base alle esigenze dei fruitori, diverse configurazioni: da quella standard, in cui le pareti vengono spostate arbitrariamente dagli studenti che occupano l’aula studio, si passa a quella tutta aperta, adatta per ospitare convegni, concerti, presentazioni, ed, infine, a quella chiusa che, suddividendo lo spazio in tre aree, permette la realizzazione contemporanea di tre attività distinte. Superata la sala polifunzionale e attraversato il percorso esterno, si raggiunge il secondo blocco. Questo è costituito da tre ambienti distinti, dotati ognuno di un proprio accesso: una piccola biblioteca/mediateca, un locale tecnico e una sala di registrazione. Grazie all’eliminazione dei dislivelli presenti nello stato di fatto, l’accessibilità degli ambienti da parte di un’utenza disabile è estesa a tutto l’edificio, ad eccezione della copertura.


Progetto - Capitolo 6

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Configurazione aperta Spostando tutte le pareti mobili nei blocchi atti a contenerle, si ottiene la completa apertura della sala polifunzionale. In questa configurazione è possibile inserire 150 posti a sedere per lo svolgimento di attività che prevedono un numero cospicuo di persone.

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Configurazione chiusa Affiancando le pareti mobili in maniera da chiudere lo spazio della sala polifunzionale, si ottengono tre aree distinte, collegate tra loro dal prolungamento del corridoio che si viene a creare. In questa configurazione è possibile lo svolgimento contemporaneo di tre attività .

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Pianta copertura Il progetto di riqualificazione dell’ex palestra Lupo si spinge fino alla copertura, trovando in questo spazio di dimensioni contenute la naturale continuazione della piazza sottostante. Ad esso, come già detto, si accede dalle scale esterne poste al centro dell’attraversamento pedonale della struttura; questo espediente ne consente la completa fruizione a qualsiasi ora del giorno e della notte, trasformando tale spazio in un luogo d’incontro per gli abitanti del quartiere ed, in particolar modo, per i giovani che frequentano la movida notturna catanese. La copertura può essere suddivisa fondamentalmente in tre aree: la parte più ad ovest, dotata di sedute e pedane in legno, è dedicata alla comunità degli skaters ed a chi vuole rilassarsi straiandosi al sole; la parte più ad est, allestita con degli elementi ludici, è pensata, invece, per consentire ai bambini di piccola età di giocare, sotto lo sguardo attento dei genitori, in uno spazio lontano dai pericoli della strada; infine, il perimetro esterno è dedicato ai cittadini ed ai turisti che vogliono godere di uno punto panoramico immerso in pieno centro storico. Queste tre aree non presentano, però, forti divisioni, ma al contrario si fondono per creare un unico spazio di condi118

visione che abbraccia le diverse età. La scelta delle funzioni ed i diversi elementi presenti sulla copertura sono stati pensati ad hoc per non stravolgere la copertura esistente e, soprattutto, per non gravare eccessivamente sulla struttura portante. In special modo, si è posta molta cura alla progettazione delle sedute in legno. Queste, oltre ad evitare un eccessivo sovraffollamento dell’area, presentando diverse inclinazioni, offrono ai fruitori molteplici modalità di seduta a seconda dei loro desideri, del loro umore e delle diverse condizioni di luce e ambientali. Particolare attenzione è stata prestata anche nella sistemazione dei pannelli solari. Contrariamente alla prassi comune di posizionarli sulla copertura in maniera arbitraria e con l’unico vincolo del loro orientamento e della loro inclinazione, si è scelto di integrarli all’interno delle già citate sedute in legno, ottenendo così un duplice obiettivo estetico e funzionale. Infatti, in questo modo i pannelli non risultano come degli elementi estranei ed intoccabili, ma diventano essi stessi elementi di arredo. Inoltre, è stato possibile ottenere un’ottima inclinazione per la captazione dei raggi solari, celando tutti i cavi e gli elementi dell’impianto.


Progetto - Capitolo 6

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Prospetti La volontà di apertura architettonica e funzionale dell’edificio, già espressa attraverso il ridisegno degli spazi interni, si esplicita con maggiore evidenza mediante le scelte progettuali attuate sull’esterno della struttura. A differenza del corpo edilizio esistente, un involucro chiuso e rigido che, a causa delle tamponature in mattoni pieni, negava qualsiasi dialogo con l’esterno, per il nuovo volto dell’edificio tutte le scelte sono state orientate verso la liberazione della struttura e la sua conseguente apertura visiva allo spazio circostante. Tutto ciò è stato reso possibile grazie all’eliminazione della maggior parte delle chiusure verticali ed alla loro sostituzione con delle facciate completamente vetrate. Il sistema di ombreggiamento della struttura rappresenta, però, l’elemento distintivo del nuovo progetto sulle superfici esterne. Per garantire la quantità di luce naturale necessaria ed evitare, soprattutto nel periodo estivo, il surriscaldamento degli ambienti interni si è scelto di realizzare una grande fascia perimetrale in tasselli di policarbonato agganciati su un telaio di alluminio. Tale elemento, dal forte impatto estetico, denuncia vigorosamente la sua presenza ma, grazie alla sua opalescenza, cela e, contemporaneamente, invita a scoprire 120

1. Stato di fatto

2. Apertura

3. fascia perimetrale

4. Parametrizzazione fascia


Progetto - Capitolo 6 la struttura sottostante. Il nuovo disegno dell’edificio quindi, piuttosto che nascondersi dietro operazioni di mimesi, rende chiaramente distinguibile la preesistenza storica dalle aggiunte contemporanee. In questo modo si è cercato di instaurare tra il vecchio ed il nuovo un rapporto di dialogo teso alla valorizzazione di entrambi ed al raggiungimento dei giusti rapporti di armonia.

Muratura preesistente in mattoni

Questo è evidenziato dalla stessa fascia perimetrale che, come mostra lo schema in basso, rappresenta una citazione delle precedenti pareti in mattoni. Il ritmo con cui sono scanditi i diversi tasselli riprende, infatti, in chiave contemporanea la trama delle antiche tamponature enfatizzando però con le sue trasparenze, il nuovo ruolo della struttura.

Rielaborazione progettuale 121


Facciata cinetica La fascia perimetrale, ispirata alla struttura progettata dall’artista statunitense Ned Kahn per il Pittsburgh Children’s Museum, è composta da un reticolo di 12.450 pannelli in policarbonato di piccole dimensioni (15 cm x 30 cm). Questi, essendo incernierati su un unico lato, sono liberi di muoversi seguendo le diverse correnti d’aria e creano, in questo modo, una facciata dinamica e viva che, interagendo con l’ambiente circostante, si increspa sotto l’effetto della brezza. La facciata segue, quindi, il vento plasmandosi in composizioni sempre diverse e generando, grazie anche al sistema di luci ed ombre originate dall’irraggiamento solare, piacevoli effetti visivi capaci di affascinare i passanti ed i visitatori del centro culturale. I diversi moduli in cui è divisa la fascia sono tenuti assieme tramite una struttura leggera in acciaio inossidabile che va ad agganciarsi allo scheletro portante dell’edificio. Tale struttura, sebbene sia progettata per resistere a qualsiasi condizione atmosferica, risulta abbastanza leggera da consentire una facile ed economica installazione. Inoltre, grazie alla presenza di distanziatori tra i diversi pannelli viene scongiurata la presenza di fastidiosi rumori collaterali. Oltre a rivestire un importante ruolo per l’e122

stetica complessiva dell’edificio, la facciata cinetica risulta determinante anche per la sua sostenibilità energetica. Infatti, ciascun pannello, dotato di un magnete, si comporta come una piccola turbina eolica capace di immagazzinare e convertire, grazie a generatori elettrici collegati alla struttura, l’energia cinetica prodotta dai moti ventosi in energia elettrica. Questa, pur non essendo elevata, può essere utile per l’illuminazione notturna della facciata e, in piccola parte, per il sostentamento energetico dell’edificio. La peculiarità di questo sistema, contrariamente a quanto avviene per i pannelli solari, è quella di riuscire ad accumulare energia elettrica anche nelle ore notturne e nelle giornate di maltempo. La fascia è capace di attrarre l’attenzione degli spettatori anche nelle ore notturne. Infatti, grazie ad un sistema di luci al led, inseriti nei traversi superiori ed inferiori della struttura metallica di sostegno, la luce viene diffusa dai pannelli, accompagnando il loro movimento per tutta la lunghezza dell’edificio. Grazie all’adozione in facciata di tali elementi tecnologici, quindi, si ha il duplice risultato di migliorare le prestazione energetiche dell’edificio e di ampliare le capacità espressive dell’architettura, caratterizzandone fortemente l’immagine.


Progetto - Capitolo 6

Movimento del vento > Energia cinetica > Energia elettrica 123


Prospetti (scala 1:200)

Prospetto ovest

Prospetto est 124


Progetto - Capitolo 6

Prospetto sud

Prospetto nord 125


Sezioni (scala 1:200)

Sezione A - A

Sezione B - B 126


Progetto - Capitolo 6

Sezione C - C

Sezione D - D 127


Dettagli costruttivi Nei sistemi costruttivi tradizionali a umido i materiali vengono legati tra loro attraverso malte di vario tipo, riducendo in questo modo la rapidità di esecuzione e rendendo molto difficile la possibilità di un loro recupero nella fase di dismissione dell’edificio. Alla luce di ciò, nel progetto si è deciso di privilegiare, con l’unica eccezione della nuova pavimentazione interna, l’utilizzo di sistemi costruttivi a secco. Tali sistemi, come indica lo stesso nome, hanno la peculiarità di non prevedere nel processo costruttivo l’utilizzo di acqua o l’impiego di leganti che necessitano di consolidarsi dopo la posa in opera. Nella fase di montaggio, di conseguenza, i vari componenti, generalmente prefabbricati, vengono collegati attraverso giunzioni meccaniche o, in alcuni casi, chimico - meccaniche. Questo comporta una serie di molteplici vantaggi che non si limitano solamente alla fase della posa in opera, ma che vengono estesi all’intero ciclo vitale dell’edificio. Nella fase di realizzazione degli interventi di recupero, grazie alla facilità di assemblaggio di tali sistemi, si ottiene una maggior pulizia ed organizzazione dei cantieri ed una radicale riduzione dei tempi di realizzazione che si riflette, conseguentemente, anche sull’abbassamento dei costi di mano128

dopera e costruzione. Inoltre, un vantaggio non indifferente è dato anche dalla reversibilità di questi sistemi. Tale caratteristica permette, nella fase di esercizio, una notevole manutenibilità e consente, quindi, una sostituzione agevole di eventuali elementi deteriorati, con la certezza di non intaccare quelli sani. La reversibilità dei sistemi a secco si riflette anche al termine del ciclo funzionale dell’edificio, nel momento della sua dismissione. In tale fase, infatti, ciascun elemento che compone la struttura potrà essere smontanto e riutilizzato in un altro contesto oppure riciclato. L’alta percentuale di recupero dei singoli componenti rende il sistema costruttivo a secco concretamente sostenibile sia a livello economico che, soprattutto, a livello ambientale. Entrando nel dettaglio delle scelte costruttive operate nell’edificio, è possibile suddividere gli interventi in quattro categorie: a) Chiusure verticali; b) Chiusura orizzontale di base; c) Controsoffitto; d) Pavimentazione esterna.


Progetto - Capitolo 6 a) Sulle chiusure verticali, per migliorarne l’estetica e le prestazioni termo - igrometriche, garantendo contemporaneamente un maggiore risparmio energetico, si è scelto di realizzare, in presenza delle tamponature esterne non demolite, delle pareti ventilate, mentre, nelle campate ormai svuotate, delle ampie vetrate con apertura superiore. La scelta di ricorrere a pareti ventilate è motivata, quindi, dall’esigenza di migliorere le prestazioni termiche della struttura e, allo stesso tempo, di proteggere dall’umidità e dagli agenti atmosferici le tamponature in mattoni pieni. Tale soluzione tecnica è costituita da un rivestimento esterno in tavole di larice con una opportuna intercapedine, formata da listelli in abete, che permette il passaggio dell’aria tra lo strato di finitura ed il sottostante isolante termico “a cappotto”, costituito da pannelli rigidi in fibra di legno che vengono ancorati alle tamponature esistenti dell’edificio. L’intercapedine della facciata ventilata costituisce un elemento fondamentale in quanto, permettendo al suo interno la circolazione dell’aria, riesce a contenere i flussi di calore in entrata o in uscita dall’organismo architettonico ed evita, così, la formazione di condensa e di umidità all’interno degli ambienti. In questo modo, inoltre, l’effetto camino prodotto

dall’aria che entra nell’intercapedine dal basso verso l’alto impedisce il riscaldamento eccessivo della parete nei mesi estivi e le dispersioni di calore nei mesi invernali. La parete ventilata viene realizzata anche in presenza delle due tamponature in Xlam che separano l’ambiente interno dal percorso pedonale che attraversa la struttura. Per quanto riguarda, invece, la realizzazione, nelle altre campate, delle ampie superfici vetrate, essa è resa possibile grazie alla presenza della fascia cinetica superiore che, essendo costituita da pannelli mobili in policarbonato, permette la protezione dalla radiazione solare senza negare però l’illuminazione e l’aerazione degli ambienti interni. Particolare attenzione è stata posta soprattutto nella scelta degli infissi e nel posizionamento delle aperture. Si è deciso, infatti, di sostituire tutti gli infissi precedenti, ormai obsoleti e termicamente inefficienti, con dei nuovi infissi in alluminio con profilo a taglio termico dotati di una vetrocamera composta da due lastre di vetro da 5 mm separate da una intercapedine da 20 mm. Questo tipo di vetro, essendo caratterizzato da un basso valore di trasmittanza, permette di abbassare notevolmente gli scambi termici con l’esterno. Per favorire la ventilazione naturale degli ambienti interni, si è deciso 129


di contrapporre in pianta le aperture e di collocarle, in prospetto, nella fascia più alta della campata. Questo espediente, insieme all’apertura a vasistas dei serramenti, serve a produrre il differenziale di pressione necessario ad innescare il movimento dell’aria ed evita, allo stesso tempo, che tale flusso investa in maniera diretta i fruitori del centro culturale. b) Per favorire un maggior isolamento termo - igrometrico delle fondazioni, è stato sostituito il precedente vespaio in pietrame con un moderno vespaio ventilato costituito da igloo. L’intervento sulla chiusura orizzontale di base, inoltre, ha previsto la realizzazine di un sistema di riscaldamento radiante. Questo, sfruttando il pavimento come ampia superficie riscaldante, è alimentato da acqua a ridotte temperature (mediamente sui 30° - 40° C) e consente, quindi, un notevole risparmio in termini energetici ed economici. La diffusione del calore in modo uniforme su tutto l’ambiente evita, inoltre, il formarsi di correnti convettive e, di conseguenza, consente il raggiungimento del comfort termico ad una temperatura di 19° C, la riduzione al minimo delle dispersioni di calore e un miglioramento delle condizioni igienico - ambientali. 130

c) L’elevata altezza interna dell’edificio ha permesso la realizzazione di un controssoffitto con struttura di sostegno metallica ed estradosso in assi di legno. La presenza del controsoffitto non si limita a rispondere ad un’esigenza estetica, ma permette anche la creazione di un vano tecnico nel quale poter distribuire il passaggio degli impianti e, in particolar modo, consente di isolare termicamente ed acusticamente lo spazio interno. Per annullare i rumori provenienti dalla copertura si è scelto di migliorare il comportamento acustico del controsoffitto coibentandolo con materassini fonoassorbenti in lana di roccia. d) L’intervento di recupero, come già anticipato, ha interessato anche la piazza su cui si affaccia l’edificio. Qui si è deciso di intervenire attraverso la scarificazione dell’esistente strato di asfalto e la realizzazione di una nuova pavimentazione costituita da blocchi drenanti in calcestruzzo poroso posati a secco. In questo modo, viene permesso il naturale assorbimento delle acque meteoriche, ripristinando il ciclo idrogeologico ed evitando i notevoli disagi provocati dalle cosiddette “bombe d’acqua” che colpiscono spesso la città.


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Dettaglio A - A 132


Legenda 1. Struttura metallica di sostegno (3 cm x 5 cm) con isolamento in lana di roccia 2. Tessuto tecnico 3. Assi di legno (7 cm x 3 cm) 4. Pendino silenziato con molla elastomerica 5. Pavimento in cls. lisciato (1,5 cm) 6. Massetto con serpentina impianto radiante (6,5 cm) 7. Massetto per impianti (8 cm) 8. Coibente termico rigido (5 cm) 9. Guaina impermeabilizzante 10. Massetto in cls. con rete elettrosaldata (d = 0.8 cm) 11. Vespaio areato con igloo (50 cm) 12. Manto erboso 13. Terreno vegetale 14. Massicciata di sottofondo 15. Pietrisco stabilizzato di cava 16. Geotessuto 17. Terreno compatto di allettamento 18. Panchia in calcestruzzo con luci al led incorporate 19. Pavimentazione drenante (8 cm) 20. Isolante in fibra di legno (5 cm) 21. Membrana permeabile al vapore 22. Parete ventilata con listelli in abete (3 cm x 3 cm) 23. Rivestimento esterno in tavole di larice (2 cm) 24. Tirante in acciaio 25. Struttura in acciaio inossidabile 26. Pannelli in policarbonato 27. Profilato a “C� in acciaio 28. Infisso con telaio mobile in alluminio con apertura a vasistas e vetrocamera da 5/20/5 mm 29. Infisso con telaio fisso in alluminio e vetrocamera da 5/20/5 mm

Dettaglio B - B 133


Sostenibilità I temi della sostenibilità ambientale e del contenimento dei consumi energetici rappresentano una delle sfide più importanti della nostra società. L’uso intensivo delle risorse non rinnovabili, impiegate prevalentemente nel secolo scorso per il raggiungimento ed il mantenimento delle condizioni di comfort all’interno degli edifici, oltre a rendere sempre più vicino il loro progressivo esaurimento, ha portato a pesanti ripercussioni sull’ambiente naturale. La situazione risulta preoccupante anche dal punto di vista economico. Infatti, sebbene si stia assistendo ad un continuo aumento su scala mondiale del consumo energetico, i giochi speculativi operati dalle multinazionali hanno portato ad una minore possibilità di accedere a buon mercato alle diverse fonti energetiche. Tutto ciò, unito al crescente inquinamento con cui quotidianamente ci si confronta ed ai cambiamenti climatici da esso causati, ha condotto la popolazione all’acquisizione di una nuova “coscienza ecologica” ed alla conseguente rivisitazione dei comportamenti sociali, produttivi e insediativi. Per i progettisti “risulta quindi necessario un cambiamento nel modo di concepire l’attività edilizia nel suo complesso; già in fase 134

di progettazione è indispensabile che venga valutata la sostenibilità ambientale di ciascun intervento edilizio allo scopo di riuscire a conciliare il soddisfacimento delle esigenze di comfort abitativo con il contenimento dei consumi energetici, la difesa dell’ambiente e la salvaguardia della salute umana”1. Per questo motivo nel progetto, oltre alle scelte tecniche appena trattate, si è deciso di porre particolare attenzione a due questioni che oggi risultano di fondamentale importanza: l’utilizzo di fonti energetiche rinnovabili ed il sovrasfruttamento delle risorse idriche. La prima delle due questioni è stata affrontata attraverso la realizzazione di un impianto fotovoltaico ibrido, ossia un impianto “grid connected” con accumulatori. Questo, sfruttando contemporaneamente l’energia prodotta dai pannelli solari e dal sistema eolico di facciata, riesce a ridurre al minimo la richiesta di energia proveniente dalla rete pubblica, rappresentando, così, una soluzione sostenibile per il soddisfacimento del fabbisogno energetico giornaliero. Per quanto riguarda la seconda questione, si è previsto, invece, di ridurre gli sprechi idrici attraverso la realizzazione di un sistema di recupero e riutilizzo delle acque piovane.


Impianto fotovoltaico ibrido Per distaccare il più possibile l’edificio dalla rete elettrica locale si è deciso di realizzare, come già accennato, un impianto fotovoltaico ibrido che accoppia un classico impianto “grid - connected” ad una serie di accumulatori elettrici. La sua peculiarità è quella di poter immagazzinare il surplus di energia prodotta, in presenza di radiazione solare diretta, per poterla poi utilizzare nei momenti di necessità. Nei classici impianti grid - connected l’immissione in rete di un surplus della produzione fotovoltaica comporta una perdita importante in termini economici dovuta al fatto che gli operatori energetici pagano l’energia immessa un ad un prezzo inferiore al costo di fornitura in bolletta. Contrariamente a quanto avviene per questo tipo di impianti, in quello ibrido le batterie consentono di sfruttare non solo l’autoconsumo istantaneo, ma anche quello “differito”, ossia ottenuto in un momento diverso rispetto a quello in cui avviene la produzione. In questo modo, aumentando la quota di autoconsumo, si ottiene il massimo dell’energia e del guadagno sia in termini ambientali che economici. Nel caso specifico, inoltre, l’impianto fotovoltaico è stato integrato con il sistema eolico di facciata. In questo modo, in presenza

Progetto - Capitolo 6 di moti ventosi, si ricava una quota aggiuntiva di energia che può essere immagazzinata anche nelle ore notturne o nelle giornate di cielo coperto. Quando le batterie si scaricano completamente l’impianto, che comunque rimane collegato alla rete elettrica locale, come i classici sistemi, attingerà direttamente da questa per soddisfare il fabbisogno di energia elettrica dell’edificio. Viceversa, quando le batterie sono completamente cariche, l’energia prodotta verrà immessa in rete e valorizzata col meccanismo della scambio sul posto o del ritiro dedicato. In sintesi, tale sistema ibrido, riducendo al minimo le immissioni in rete e dando precedenza all’alimentazione delle utenze, favorisce e dà priorità all’autoconsumo dell’energia prodotta dalle fonti rinnovabili installate. In questo modo, il prelievo di energia dalla rete diminuisce al punto da venire, nei momenti di massima efficienza, quasi azzerato, limitando di molto i costi di fornitura. Nelle pagine successive, per una più chiara comprensione del sistema, è riportato lo schema di funzionamento dell’impianto di progetto ed il modo in cui questo varia durante i diversi momenti della giornata. 135


Mattina Dopo il sorgere del sole l’impianto fotovoltaico inizia la produzione di energia che viene utilizzata dall’utenza per il consumo proprio. L’energia prodotta in eccesso può essere utilizzata per caricare le batterie fotovoltaiche. In caso di vento anche la facciata eolica può contribuire alla produzione di energia o alla carica delle batterie.

Pomeriggio Continua la produzione energetica dell’impianto fotovoltaico e, in caso di vento, della facciata eolica. Qualora le batterie dovessero essere cariche si verificherà l’autoconsumo dell’energia prodotta, e l’immissione in rete dell’energia prodotta in eccesso.

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Progetto - Capitolo 6

Sera Tramontato il sole, l’impianto fotovoltaico cessa la propria produzione, mentre, in caso di vento, la facciata eolica continua ad erogare energia. A questo punto, entrano in gioco le batterie che cedono all’edificio l’energia immagazzinata durante il giorno.

Notte Durante la notte, in caso di vento, qualora l’energia della facciata eolica ed il sistema di accumulo non fossero più sufficienti ad alimentare i consumi notturni, l’energia verrà prelevata dalla rete elettrica pubblica, in modo da coprire il fabbisogno dell’edificio.

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Recupero acque piovane L’acqua ricopre circa 3/4 della superficie terrestre. Nonostante ciò, è stato stimato che di questa solo una quota pari a circa lo 0,3% è disponibile per il consumo umano. Infatti, quasi il 97% dell’acqua presente sull’idrosfera è salata e la restante parte di acqua dolce è prevalentemente concentrata ai poli e si trova allo stato solido. Negli ultimi anni, i cambiamenti climatici hanno prodotto precipitazioni piovose irregolari, sempre meno frequenti e spesso pericolosamente troppo abbondanti, che limitano l’adeguato rifornimento da parte degli acquedotti. Questo è stato ulteriormente aggravato dallo scarico nelle acque di sostanze inquinanti. Di conseguenza, la percentuale di acqua

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per consumi umani continua drasticamente a ridursi. L’acqua rappresenta quindi, oggi più che mai, una risorsa preziosa. Per questo motivo il suo utilizzo deve essere sempre più razionalizzato, prevedendo interventi finalizzati al risparmio idrico, alla corretta gestione e al recupero delle acque meteoriche. Nel progetto, come anticipato, è stata prevista la realizzazione di un sistema per il recupero e lo stoccaggio delle acque piovane. Quest’ultime potranno essere efficacemente ed economicamente riutilizzate soprattutto per l’irrigazione delle circostanti aree a verde, per il risciacquo dei WC e per il raffrescamento evaporativo dell’aria.


Progetto - Capitolo 6 Il dimensionamento dei serbatoi di accumulo dipende solitamente da due parametri: l’apporto di acqua piovana, ossia la quantità teoricamente cumulabile determinata dalla piovosità e dalle caratteristiche delle superfici di raccolta disponibili; il fabbisogno idrico annuo, ossia la quantità di acqua necessaria a seconda delle diverse attività svolte all’interno dell’area di progetto. Nel caso specifico, essendo quest’ultimo parametro molto variabile, si è deciso di realizzare un calcolo sommario del volume della cisterna basato solo sull’apporto di acqua piovana. Per il calcolo del volume della cisterna, espresso in litri, è necessario ricavare, in prima istanza, l’apporto netto di acqua piovana captata dalla superficie ricevente: dove: Vcap Cd ef S Ip

Vcap= Cd · ef · S · Ip Volume, in litri, di acqua captabile annualmente dall’impianto Coefficiente di deflusso del tetto (in base alla tipologia di copertura, si può assumere pari a 0,8) Efficacia del filtro (dipende dalle indicazioni riportate dai produttori, ma si può assumere pari a 0,96) Superficie captante del tetto (nel caso di progetto è pari a 1.224 m2) Precipitazione media annua (che per Catania è pari a 567 mm/anno)3

Sostituendo i valori si ha: Vcap= Cd · ef · S · Ip = 0,8 · 0,96 ·1.224 m2 · 0,567 m/anno = 533 m3/anno Successivamente, bisogna calcolare il “Tempo Secco Medio” ossia la quantità di giorni durante i quali si può verificare “assenza” di precipitazioni meteoriche. La formula da applicare è la seguente: Tsm= (365 - F) /12

dove: Tsm Tempo secco medio F

Numero di giorni pio­vosi in un anno (che per Catania è pari a 50)

Sostituendo i valori si ha: Tsm= (365 - F) /12 = (365 - 50)/12 = 26,25 139


Infine, per il calcolo del volume della cisterna, si dovrà utilizzare la formula: Vc = Tsm · (Vcap/365) = 26,25 · (533 m3 /365) = 38,33 m3 ≈ 38.000 l Dal dimensionamento emerge, quindi, che la cisterna di progetto deve avere un volume, espresso in litri, pari a 38.000. Si è scelto di ripartire il volume di accumulo in due cisterne in polietilene da 20.000 l che, da catalogo, presentano le seguenti dimensioni: larghezza 225 cm; altezza 235 cm; profondità 584 cm. Le cisterne appena dimensionate, per essere facilmente ispezionabili, verranno collocate al di sotto del locale tecnico. L’acqua piovana che cade sulla copertura dell’edificio sarà canalizzata attraverso un sistema di pluviali e filtrata da un dispositivo autopulente prima di essere convogliata nella cisterna. All’interno del locale tecnico sarà, quindi, prevista anche la presenza del filtro per il trattamento delle acque piovane e di una pompa, utile al tiraggio dell’acqua dalla cisterna. È, inoltre, predisposto un sistema di “troppo pieno” in canale per impedire all’acqua di superare un livello limite. Note Sciuto Gaetano, Modelli progettuali per la sostenibilità edilizia, Anabiblo Edizioni srl, Roma, 2010, p. 24 2 https://it.climate-data.org/loc tion/1141/ (2018) 1

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Progetto - Capitolo 6

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La nuova piazza lupo Piazza Lupo, come già ampliamente discusso nella fase di analisi, si presenta allo stato attuale come un grande slargo privo di una propria identità e caratterizzato da una circolazione veicolare consistente e da una sosta, spesso disordinata, che rende insicuro l’attraversamento pedonale. La piazza, circondata per tutta la sua estensione dalla viabilità urbana, ha assunto nel tempo la funzione di un grande spartitraffico utilizzato prevalentemente come area di transito e di parcheggio. La preponderante presenza delle automobili, abbinata ad un arredo urbano assolutamente anonimo, ha contribuito, inoltre, a conferire a tale spazio un carattere residuale all’interno del tessuto urbano, impedendo in quest’area lo sviluppo di qualsiasi forma di relazione sociale. Tutto ciò rappresenta il principale motivo del mancato riconoscimento della piazza da parte dei cittadini. Un parcheggio, infatti, non potrà mai essere avvertito come una piazza ed, allo stesso modo, quest’ultima non può diventare tale fino a quando è occupata dai veicoli. La proposta progettuale, preso atto delle diverse criticità riscontrate, parte dalla volontà di creare un nuovo spazio pubblico in grado di ricucire e riconnettere, non 142

solo visivamente, l’area d’intervento con il contesto storico - urbano dell’intorno ed, in particolare, con le limitrofe piazze Bellini, Maiorana e Cutelli. Per raggiungere questo obiettivo il progetto, coinvolgendo al suo interno anche via Spadaccini, prevede la realizzazione di un unico piano pavimentale che si estende fino ad inglobare alla piazza sia i marciapiedi che la strada. In questo modo, si ottiene la creazione di un’unica area a pedonalità privilegiata in cui, grazie alla razionalizzazione della viabilità veicolare ed al restringimento della sede stradale, alle auto è consentito l’attraversamento di una parte ridotta della piazza ed è totalmente esclusa la sosta. Il nuovo spazio pubblico è pensato, quindi, per non compromette le accessibilità fondamentali, ma per farle passare in secondo piano rispetto alla figura del pedone. Le auto, in questo modo, abbandonano il ruolo di protagoniste e l’uomo ritorna ad essere al centro del progetto. La piazza, svilita da distese di lucenti lamiere metallizzate che per anni ne hanno impedito la fruizione, diventa quindi libera di riacquistare o meglio di conquistare per la prima volta le sue proporzioni ed il suo vero ruolo di centralità urbana.


Concept

Progetto - Capitolo 6

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Planimetria Il progetto della piazza, partendo da quanto espresso nel paragrafo precedente, si è prefissato l’obiettivo di trasformare quello che per troppi anni è stato visto come un triste vuoto urbano in uno luogo di aggregazione sociale, fruibile ed attraversabile in tutte le direzioni. Le scelte progettuali operate nascono dalla volontà di definire uno spazio permeabile alla vita cittadina e capace di soddisfare le molteplici esigenze di una comunità dinamica come quella catanese.

di raggiungere un’elevata qualità spaziale. In primo luogo, si è intervenuti sulla riorganizzazione e il ridisegno della pavimentazione. Per favorire una migliore accessibilità e fruibilità della piazza, mitigando o, dove possibile, eliminando le barriere ed i salti di quota presenti, si è scelto di scarificare l’asfalto esistente e di realizzare una pavimentazione omogenea, capace di ricostruire la continuità fisica tra l’edificio e la piazza.

Per fare ciò si è cercato di mantenere un rapporto di continuità con il centro culturale, instaurarando un dialogo visivo e funzionale tra il contenitore ed il contenuto in modo da uniformare lo spazio interno e quello esterno e da trasformare, quindi, l’area in un polo attrattivo ed in un nuovo punto di riferimento per la zona in cui essa è inserita. Tutto questo viene tradotto in architettura grazie al semplice accostamento di pochi ed essenziali elementi progettuali: una nuova pavimentazione, arredi urbani modulari, verde puntuale e luce artificiale. Il progetto, lontano da eccessi formalistici, prevede di conseguenza, attraverso un numero contenuto di interventi e con l’utilizzo di geometrie semplici, la realizzazione di uno spazio puro, ma, allo stesso tempo, significativo, capace

L’idea di progetto è quella di sovrapporre su tutta la piazza una pavimentazione uniforme che ricopre ed asseconda in maniere epidermica l’andamento del suolo, disegnando così una nuova topografia capace di mediare il dislivello presente nel sito. In particolare, l’intervento consiste nel sopraelevare il piano di calpestio rispetto alla quota della strada, fino a raggiungere il livello degli attuali marciapiedi. In questo modo, si riesce ad ottenere una continuità spaziale tra gli interni del centro culturale e lo spazio esterno della piazza e si amplia, quindi, lo spazio pubblico d’incontro. I percorsi diventano così agevolmente accessibili anche ai diversamente abili. In particolare, la parte centrale della piazza, in cui nello stato di fatto è presente un

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Progetto - Capitolo 6 dislivello da ovest ad est di circa 80 cm, viene totalmente spianata, consentendo all’edificio di non presentare più alcun gradino al suo interno. Questa differenza di quota viene traslata nella parte posteriore dell’edificio e viene valorizzata attraverso l’inserimento di giochi d’acqua. Tale scelta è motivata non solo da un punto di vista compositivo, ma in particolar modo da ragioni funzionali. Infatti, grazie al sistema di raccolta integrato alle piccole pompe ed ai filtri che costituiscono l’impianto, durante le giornate di pioggia, l’acqua in eccesso viene raccolta, evitando problemi di infiltrazione nell’edificio, e, dopo essere stata depurata, viene riutilizzata. Questa emerge da bocchette presenti nella pavimentazione. Può essere emessa sommessamente, creando un un velo superficiale di qualche centimetro sul quale vengono catturati i riflessi del paesaggio urbano circostante, oppure con getti più alti che, assecondando la dimensione dinamica dell’uso dello spazio, trasformano quest’ultimo in un dispositivo ludico capace, allo stesso tempo, di regolare il microclima della porzione di piazza su cui insiste. La nuova pavimentazione, oltre ad aumentare l’accessibilità della piazza, assume un

ruolo molto importante anche nella riconfigurazione morfologica degli spazi. Infatti, sebbene quest’area sia contraddistinta per tutta la sua estensione da una geometria chiara e da un’apparente omogeneità cromatica, grazie a delle tracce puntuali che ne interrompono la trama, riesce ad evidenziare la tripartizione funzionale degli spazi. Il trattamento della pavimentazione è comunque realizzato in maniera appena percepibile proprio per enfatizzare la totale pedonalizzazione della piazza ed il ruolo secondario che riveste l’attraversamento carrabile. Il nuovo assetto viabilistico, infatti, pur tenendo conto della necessità dell’attraversamento veicolare, riequilibra i rapporti tra pedonalità e viabilità, relegando quest’ultima in una corsia a senso unico posta ai lati della piazza. Fulcro dell’intera composizione rimane l’area centrale che, scandita dal passo dei pilastri che costituiscono l’ossatura portante dell’edificio, rappresenta una zona in cui, grazie alla presenza di sedute monolitiche in calcestruzzo, è possibile sostare per riposarsi o leggere un libro, godendosi una pausa dalla frenesia della città. Le sedute in calcestruzzo sono sia fisse che mobili. Questo contribuisce a conferire alla 145


piazza un assetto mutevole nel tempo e una grande dinamicità. È, infatti, lo stesso fruitore che, in base al modo in cui la piazza è colpita dalla radiazione solare, può spostare la seduta nel luogo che preferisce. Al fine di definire un elemento di contenimento per il terreno, altre panche fisse vengono, invece, disposte in posizione attigua alle zone verdi. Anche i dissuasori cubici, posizionati tra lo spazio centrale e la zona pedonale/carrabile in modo da proteggere la parte centrale della piazza, sono utilizzabili come singole sedute. Nel progetto della nuova piazza Lupo il sistema del verde è pensato come un elemento determinante per il miglioramento della qualità ambientale complessiva e, soprattutto, per il benessere psicofisico ed emozionale dei fruitori. La scelta di conservare le poche alberature esistenti (appartenenti alla famiglia del ligustrum japonicum variegatum) e di integrarle con nuovi alberi di agrumi, oltre a depurare l’aria dalle sostanze tossiche per l’organismo, consente di creare un nuovo scenario arricchito con i colori ed i profumi tipici della macchia mediterranea. La vegetazione viene inserita come una lacuna di diverse forme e dimensioni nella pavimentazione. La complessità materica e 146

vegetale è amplificata dall’innesto di essenze aromatiche ed officinali che invogliano i passanti a fermarsi ed a godere di profumi e colori inusuali per uno spazio che per troppi anni era stato occupato da un triste parcheggio. Per rendere la piazza piena di vita e di movimento sono state scelte, inoltre, piante capaci di attirare farfalle, uccelli e piccoli animali. La piazza risponde in questo modo alla necessità, emersa in fase di analisi, di creare nuovi spazi verdi all’interno del tessuto urbano in cui è collocata l’area d’intervento. Grazie alla presenza dei giochi d’acqua e dei diversi tipi di vegetazione, gli spazi, caratterizzari da una fusione di colori, profumi e suoni, assumono anche una funzione educativa che collega perfettamente, anche a livello concettuale, la piazza con le funzioni culturali svolte all’interno dell’edificio a cui essa è legata. La nuova piazza Lupo, grazie a questi interventi, si trasforma così in un luogo dinamico ed interattivo in cui passeggiare diventa un’esperienza capace di stimolare ognuno dei cinque i sensi.


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Sezioni

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Sezione A - A (scala 1:200)


Progetto - Capitolo 6

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Sezione B - B (scala 1:200)


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Dettaglio pavimentazione

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Progetto - Capitolo 6 Particolare attenzione è stata posta nel progetto della pavimentazione. Essa, costituita da lastre di calcestruzzo permeabile (in due gradazioni di grigio con inserti bianchi), si distende, come un tappeto, per tutta l’estensione della piazza dando, a chi la osserva con una prima occhiata superficiale, l’idea di essere uniforme per tutta la sua estensione. Prestando maggiore attenzione è possibile notare, però, come il disegno della pavimentazione, con le sue variazioni cromatiche e di pezzatura, tenda ad evidenziare l’accessibilità e la percorribilità della piazza, dividendo fondamentalmente lo spazio in tre aree funzionali. La prima di queste è quella caratterizzata da una sequenza di fasce longitudinali di colore bianco che, partendo dai pilastri in calcestruzzo che scandiscono le diverse campate del centro culturale, disegnano la pavimentazione, enfatizzando i pieni ed i vuoti della struttura e stabilendo con questa un rapporto di dialogo ed una continuità spaziale tra interno ed esterno. Tra una fascia e l’altra, si insinuano anche gli elementi naturali. Essi vengono inseriti all’interno della pavimentazione come una lacuna della tessitura. Attraverso questo espediente, sembra quasi che la vegetazione nasca spontaneamente dalla pavimentazio-

ne e questo contribuisce a creare un grande senso di continuità all’intera composizione. La seconda area, delimitata dalla prima solamente per mezzo di dissuasori in calcestruzzo (che, al contempo, assolvono anche il ruolo di sedute), rappresenta l’unica zona sia pedonale che carrabile. Tale distinzione funzionale è stata enfatizzata attraverso la disposizione della pavimentazione secondo il senso di marcia e mediante l’utilizzo di segni distintivi, tracciati utilizzando blocchi di colore bianco. Questi sono stati posizionati in maniera tale da definire le direttrici principali e creare una pavimentazione che richiami la dinamicità dell’attraversamento carrabile. Infine, l’ultima zona, che delimita la piazza estendendosi fino ad incontrare gli edifici che si affacciano su di essa, riprende la tessitura della prima area funzionale, ma, al contrario di questa, per evidenziare il suo ruolo di collegamento al resto della città, abbandona la suddivisione in fasce longitudinali di colore bianco. La pavimentazione diventa, quindi, motivo di attrazione della vita cittadina. Il razionalismo con cui essa è stata pensata dona alla piazza ritmo e continuità, contribuendo a definire lo spazio come un luogo urbano di aggregazione. 155


Illuminazione Nell’ambito di un progetto urbano, la luce artificiale assume un ruolo molto importante, talvolta fondamentale. Essa rappresenta il migliore strumento funzionale atto a favorire la fruizione notturna degli spazi e risulta essenziale per la sicurezza fisica e psicologica delle persone e per la tutela dei luoghi. Infatti, la buona illuminazione di uno spazio pubblico contribuisce ad agevolare le relazioni sociali ed evita fenomeni di criminalità o atti vandalici. Ma la luce riveste una ruolo determinante anche dal punto di vista compositivo. Essa rappresenta, infatti, un vero e proprio elemento architettonico capace di comunicare ed emozionare, esaltando e modificando gli spazi in cui viene inserita. Attualmente piazza Lupo, al calar del sole, a causa della scarsa illuminazione diventa un luogo buio e desolante in cui i cittadini transitano solo per posteggiare la propria automobile. Il progetto, grazie ad un’attento disegno dei sistemi illuminanti, mira a trasformare questo spazio in un punto di riferimento per i cittadini e per il contesto urbano in cui è inserito. Per la regia dello scenario notturno sono state previste tre principali tipologie di sistemi illuminanti. La prima è costituita da lampioni a doppia lampada. Essi sono collocati ai bordi del percorso pe156

donale/carrabile, e presentano nelle due teste una forma leggermente inclinata per garantire un’adeguata illuminazione e limitare, contemporaneamente, l’inquinamento luminoso. La seconda tipologia è composta da una serie di proiettori che, posizionati sui prospetti del carcere borbonico, illuminano in maniera uniforme i lati della piazza su cui si affacciano. Infine, alla terza tipologia appartengono le luci ad incasso integrate nel disegno della pavimentazione e nelle panchine fisse in calcestruzzo. Tale sistema, utilizzato nella parte centrale della piazza, è stato preferito ai lampioni in quanto permette di diffondere la luce in maniera discreta, enfatizzando gli elementi architettonici più suggestivi ed indirizzando, attraverso lame di luce, la passeggiata dei fruitori verso il centro culturale. Anche quest’ultimo, mediante il suo sistema di facciata, assume il ruolo di un elemento illuminante. Infatti, la luce soffusa, che emerge dai pannelli in policarbonato della fascia superiore, genera piacevoli effetti visivi e trasforma l’edificio in una sorta di lanterna che, con il suo chiarore, attira e focalizza verso di se lo sguardo dei passanti. Inoltre, grazie alle ampie vetrare, la luce che si diffonde dai locali interni, permette di trasmettere anche all’esterno la vitalità dell’edificio.


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Una soluzione per il futuro


Il tema trattato nel presente lavoro di tesi costituisce il coronamento di una carriera universitaria in cui è stata attribuita molta importanza al modo in cui l’architettura contemporanea, innescando un dialogo con le preesistenze, riesce a migliorare il volto delle città. La tesi costituisce un tentativo di sensibilizzazione su alcuni argomenti diventati ormai centrali nel dibattito multidisciplinare contemporaneo. Il rapporto con la città antica, l’importanza che riveste per le nostre città il recupero delle architetture storiche minori e la riduzione dell’uso e del consumo di suolo sono, nello specifico, i temi che, negli ultimi anni, hanno assunto particolare rilievo ed hanno aumentato la sensibilità pubblica verso la tutela dei luoghi dell’abitare. Oggi le città sono costrette a confrontarsi con una crisi ambientale ed economica che disegna un panorama complesso. Di conseguenza, l’intervento sul costruito, limitando al massimo l’uso di risorse e di suolo, si pone quasi come una necessità per migliorare la qualità estetica ed ambientale delle nostre città. Il futuro, infatti, non può essere basato solo sugli interventi di nuova costruzione, ma anzi deve porre le proprie basi sulla valorizzazione delle architetture 162


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che caratterizzano la nostra storia antica e moderna. Il presente lavoro di tesi ha voluto dimostrare che una piazza, emarginata dal contesto della città e, per le vicende che ne hanno segnato la storia, mai accettata dai propri cittadini, può trasformarsi in un’importante luogo di aggregazione capace di innescare una riqualificazione architettonica e culturale dell’intera area su cui essa sorge. La storia ci ha lasciato in eredità dei segni che dobbiamo saper leggere, decodificare e reinterpretare in chiave contemporanea. Proprio per questo il progetto, ponendosi in una posizione di massimo rispetto per il passato, ha avuto l’obiettivo di dimostrare come, attraverso un approccio sostenibile e mediante l’utilizzo di un linguaggio contemporaneo, sia possibile dare nuova vita agli edifici ed ai vuoti urbani, risaltando le loro caratteristiche principali e facendo emergere il loro potenziale inespresso.

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bibliografia e sitografia


Bibliografia AA. VV., “Norman Foster. Progettazione integrata dal design alla pianificazione”, in Lezioni di architettura e design, n. 2, Milano, marzo 2016 AA. VV., “Daniel Libeskind. Intersezioni di memoria”, in Lezioni di architettura e design, n. 22, Milano, luglio 2016 Area, n. 111, “Zero volume”, luglio/agosto 2010 Area, n. 152, “Public nature”, maggio/giugno 2017 Aymonino Aldo, Mosco Valerio Paolo, Spazi pubblici contemporanei. Architettura a volume zero, Skira, Milano, 2006 Boemi Angelo, Glorie e personaggi illustri di Catania, Boemi editore, Catania, 2014 Boemi Angelo, Catania. Storia, luoghi e personaggi, Boemi editore, Catania, 2015 Cassigoli Renzo, Piano Renzo, La responsabilità dell’architetto. Conversazione con Renzo Cassigoli, VIII edizione ampliata, Passigli Editori, Firenze, 2014 Colombo Monica, “I parchi”, in I grandi temi dell’architettura, n. 26, Hachette, Milano, febbraio 2016 Dato Giuseppe, La città di Catania: forma e struttura. 1693-1833, Officina edizioni, Roma, 1983 Dell’Osso Riccardo, Spazi pubblici contemporanei, Maggioli Editore, Segrate (MI), 2014 D’Emilio Gaetano, D’Emilio Fabrizio, Etnea. Catania dalle origini ai quartieri storici, Algra editore, Viagrande (CT), 2017 168


Di Virgilio Angelica, “Le piazze”, in I grandi temi dell’architettura, n. 4, Hachette, Milano, aprile 2015 Di Virgilio Angelica, “Sostenibilità”, in I grandi temi dell’architettura, n. 10, Hachette, Milano, luglio 2015 Di Virgilio Angelica, “Riqualificazioni urbane”, in I grandi temi dell’architettura, n. 14, Hachette, Milano, agosto 2015 Di Virgilio Angelica, “I nuovi spazi pubblici”, in I grandi temi dell’architettura, n. 17, Hachette, Milano, ottobre 2015 D’Urso Sebastiano, Barcellona. Lo spazio pubblico tra infrastrutture e paesaggio, Maggioli Editore, Segrate (MI), 2008 Frasca Massimo, “Catania. Scavo all’interno del muro di cinta del Monastero dei Benedettini”, in Cronache di Archeologia n. 18, 1979 Galateo Simona, “Innesti e ristrutturazioni”, in I grandi temi dell’architettura, n. 12, Hachette, Milano, agosto 2015 Galateo Simona, “Gli orti urbani”, in I grandi temi dell’architettura, n. 46, Hachette, Milano, novembre 2016 Gasparoli Paolo, Talamo Cinzia, Manutenzione e recupero. Criteri, metodi e strategie per l’intervento sul costruito, Alinea, Roma, 2006 Granata Francesco, Catania vecchia e nuova. Uomini e cose, Niccolò Giannotta editore, Catania, 1973 169


Grecchi Manuela, Malighetti Laura Elisabetta, Ripensare il costruito. Il progetto di recupero e rifunzionalizzazione degli edifici, Maggioli Editore, San Marino, 2008 Iachello Enrico, Indelicato Antonino, Conoscere Catania. Guida alla città ed ai suoi quartieri scritta e illustrata dai ragazzi, Assessorato alle Politiche Scolastiche, Catania, 2007 Lopez de Aberasturi Antonio, Ildefonso Cerdà. Teoria generale dell’urbanizzazione, Jaca Book, Milano, 1985 Moschella Angela, Il costruito storico nell’epoca della responsabilità ambientale. Riflessioni sulla riqualificazione energetica, Bonanno editore, Acireale - Roma, 2013 Padrenostro Salvatore, Catania costruita nel rinnovamento del moderno: le architetture e le trasformazioni urbane dal dopoguerra al PRG del 1964 per fare una “Grande Citta” in continuita con il passato, Edilstampa, Roma, 2013 Portoghesi Paolo, “Riuso dell’architettura”, in Materia, n. 49, aprile 2006 Sciuto Gaetano, Modelli progettuali per la sostenibilità edilizia, Anabiblo Edizioni srl, Roma, 2010

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Sitografia http://data.footprintnetwork.org http://www.archdaily.com http://www.archidiap.com http://www.architetticercasi.eu https://www.comune.catania.it http://www.dezeen.com http://www.divisare.com http://www.kearch.com http://www.landezine.com http://www.net4energy.it http://www.overshootday.org http://www.palestralupo.org http://www.repubblica.it http://www.treccani.it http://www.wikipedia.org 171




Ringraziamenti Al termine del mio percorso accademico desidero ringraziare tutti gli amici, i colleghi ed i professori che mi sono stati vicini in questi anni e che hanno contribuito al raggiungimento di questo grande traguardo. I momenti difficili ed i sacrifici fatti sono stati molti, ma tutto è stato ampliamente ricompensato dalla felicità, dalle soddisfazioni e dai sorrisi che la passione per l’ingegneria e per l’architettura mi ha regalato. Questi cinque anni mi hanno permesso di crescere molto sia professionalmente che umanamente, dandomi l’opportunità di vivere i primi successi ed insuccessi che la vita, normalmente, presenta. In particolare, ringrazio il mio relatore, il professore Sebastiano D’Urso per avermi spinto a tirar fuori il meglio di me, per aver assecondato sempre le mie scelte e per essere riuscito a fornirmi gli stimoli necessari per portare a compimento la mia tesi. Ringrazio la mia famiglia, ed in particolare mia mamma e mia zia Maria Enza, le mie “due mamme”, per il loro dolce ed instancabile sostegno e per la comprensione che hanno avuto nel sopportare i miei continui sbalzi d’umore. Ringrazio la mia ragazza Anna per essere riuscita, nonostante i diversi chilometri che ci separano, a starmi vicino e a trasmettermi tantissima forza. Grazie per aver sempre creduto in me e nelle mie capacità e per avermi dato l’amore e la serenità di cui avevo bisogno in un momento così importante della mia vita. Ringrazio Gloria, la mia storica compagna di gruppo, per essere stata sempre presente e per avermi incoraggiato e sostenuto con i suoi preziosi consigli. Grazie per avermi supportato nei momenti di sconforto e per esserti dimostrata una vera amica e non una semplice collega. Ringrazio Paola, amica sempre presente, per aver compreso in ogni momento il mio stato d’animo, trovando le parole giuste per riuscire, anche nei momenti più delicati, a strapparmi un sorriso.






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