Il fantasma di Lemich
Titolo: Il fantasma di Lemich Autrice: Anna Maria Benone Collana: Introspezioni
Questo romanzo è un’opera di fantasia: nomi, personaggi, luoghi e avvenimenti sono il prodotto dell’immaginazione dell’autore o sono usati in modo fittizio. Qualsiasi riferimento a fatti, luoghi o persone è puramente casuale. Tutti i diritti di traduzione, riproduzione e adattamento, totali o parziali, con qualsiasi mezzo, anche copie fotostatiche e microfilm, sono riservati.
© 2013 Runa Editrice www.runaeditrice.it - info@runaeditrice.it
ISBN 978-88-97674-22-1
PROPRIETÀ LETTERARIA RISERVATA Copyright 2013 Runa Editrice Stampato per conto di Runa Editrice nel mese di dicembre 2013 da Projectimage (Padova), su carta ecologica certificata FSC
Anna Maria Benone
Il fantasma di Lemich
RUNA EDITRICE
Prefazione a cura della prof.ssa Letizia Mazzella
In ogni situazione narrativa, gli unici elementi veri sono: il narratore reale e il lettore reale. Il narratore reale è quello il cui nome figura sulla copertina del libro e del quale conosciamo tutti i dati anagrafici. Stessa cosa per il lettore reale che è colui che prende realmente in mano il “libro”, lo sfoglia e lo legge. In questo caso, il narratore reale – Anna Maria Benone – si è laureata in Lettere Moderne a Lecce con una tesi su Pirandello e, guarda caso, il lettore reale è Letizia Mazzella, docente universitaria di Anna Maria e sua relatrice di laurea. Ogni storia, prima di essere narrata, vive all’interno del narratore reale coprendone l’intero sistema della sensorialità. Per giorni egli vive, dorme, agisce con questo “alieno” al suo interno. E piano piano la storia prende forma, i personaggi hanno un nome e uno status di vita: bi5
sogna “scrivere”. Altre sono le vie che inducono il lettore reale a “leggere” un libro: una recensione che ha incuriosito, qualcuno che glielo ha fatto conoscere o, come in questo caso, un invito garbato a leggere questa storia per darne un giudizio – l’allieva legata da affetto e da stima alla sua vecchia docente universitaria ora in pensione. Quando il lettore reale “apre” il libro, entrano in campo altri elementi e altri meccanismi, tutta la “macchina narrativa” attiva i suoi strumenti, annullando anche il suo autore reale. Appena il lettore reale apre il testo deve avvenire una magia: “scrivere” e “leggere” debbono entrare in sintonia. Se la scrittura “dice” cose interessanti, la lettura diventa vogliosa di sapere, ma se il testo balbetta, e stenta, la lettura si sente come un amante tradito e “chiude” il libro. Quest’opera di Anna Maria Benone non balbetta, ma da subito “intriga” il lettore e lo fa fino all’ultimo rigo di questo romanzo che non ha una parola fine, invitando il proprio lettore a continuare questa storia facendola parte del proprio vissuto. Tre donne, tutte di nome Lilia, intrecciano i 6
loro destini: sono Lilia-figlia, Lilia-madre, Lilianonna. Lo sviluppo della storia si serve di tutti gli strumenti narrativi: diario, ricordi, vite vissute in una oscillazione temporale che va dall’hic et nunc al recupero memoriale a ritroso nel tempo e nello spazio. I legami tra presente e passato avvengono spesso – direi quasi sempre – attraverso il monologo interiore che sfocia nel flusso di coscienza. Il destino di Lilia-figlia somiglia molto a quello di Lilia-madre e tutte e due hanno ereditato una particolare sensibilità divinatrice – il “dono” – da Lilia-nonna. Tutte e tre hanno conosciuto il fantasma di Lemich. Il personaggio, in questo romanzo, non è mai descritto, ma lentamente, con una tecnica propria del teatro, emerge per via indiretta, attraverso i pensieri e le parole di un monologo interiore o di un flusso di coscienza. I personaggi maschili sono lasciati intravedere attraverso il ricordo, anche i due personaggi fondamentali Michi e Sirio, non hanno uno status anagrafico, “appaiono”, come la donna, a cui 7
sono legati, li vede. Sembra quasi che i personaggi maschili siano degli sfondi spaziali, perché, qui, anche lo spazio è sempre descritto dal cuore, raramente dagli occhi. Solo il sud è visto attraverso tutta la sensorialità della protagonista: odori, profumi, luce, vento, acqua, sapori… È la terra dei “trulli” dove Lilia ritorna alla ricerca delle proprie radici dalle quali trarre una nuova forza per continuare a vivere. Un ritorno alla terra è anche il cimitero, qui la chiarezza espositiva si tinge di nuovo dell’oscurità dell’equivoco. Chi, in realtà, non ha mai dimenticato?
8
Questo romanzo è frutto di mia fantasia e sensibilità…
Alla mia cara amica Margherita che dall’etereo mi protegge e sostiene: “angelo in terra stella in cielo…”
il respiro nel vento‌
14
Il ricordo
1. Il ricordo
Il vento accarezzò il volto di Lilia, erano anni che gli occhi della donna non vedevano quello splendido paesaggio. Nulla era cambiato, tutto si era fermato. Lo scorrere del tempo aveva scalfito piÚ volte gli attimi della sua vita e se alcune cose erano passate, altre erano ferme e ben fisse nel suo presente. Di uomini ne aveva avuti diversi, il suo fascino non passava indisturbato, nemmeno la statura da vichinga che a volte la rendeva goffa e buffa nella camminata altalenante tipica di una donna molto alta. La carnagione chiara, su quell’altezza, rimembrava la tipica bellezza nordica, pur essendo nata in Terronia. Era ritornata alle origini, dove la terra e i profumi aiutavano a riscoprire la linfa della vita di cui aveva decisamente bisogno. Aveva bisogno di guardarsi dentro e capire cosa le era accaduto. Era come spenta ormai da troppo tempo, il sole 15
Il fantasma di Lemich
sembrava non illuminare più le sue membra apparentemente perse in qualcosa che lei non desiderava ricordare. Sapeva di essere stata fortunata, di aver avuto gli uomini che voleva e di poter avere anche quelli che non l’attraevano. Era qualcosa che si portava da bambina, la sua bellezza sembrava uscita dalle mani di un pittore eccessivamente esteta, ossessionato dalla piacevolezza. Spesso il fascino del suo involucro diventava un’ossessione. L’invidia e gli occhi gelosi di chi la conosceva, in alcuni momenti, erano troppo pesanti per il suo animo sensibile. Sentiva in cuor suo che tale avvenenza non le apparteneva, pur essendo utile in alcuni momenti di vita. Non era mai appagata e serena, il conto da saldare per tale apparenza sembrava essere l’inquietudine con cui conviveva ormai da anni. La considerava una parte di sé, un altro arto, come se fosse necessaria. L’aveva giustificata con la sua, talvolta, eccessiva sensibilità. Quel giorno, il sole si fece sentire, aprendo le porte alla stagione calda. Dalla scogliera si intravedevano le spiagge ricche di ombrelloni e sdra16
Il ricordo
io, pronte a rilassare i corpi e le menti dei primi vacanzieri. Dall’entroterra, le campane della vecchia torre scandivano con chiarezza il tempo marino, dando il benvenuto all’estate appena iniziata. Lilia sapeva che non era lì per una vacanza, ma attendeva il momento giusto per affrontare, capire, liberare, parlare, urlare e decidere qualcosa. Milano, dove ormai viveva da anni, l’aveva stressata abbastanza e le polveri sottili le avevano portato via anche gli ultimi respiri. Il piccolo trullo era ancora impregnato dal chiuso della solitudine, ma era in ordine ed emanava dalle pareti fresche, il buono di una terra mai dimenticata. “Ricordo ogni gioia, ogni frastuono di noi, sono passati molti anni, ma per me il nulla”, pensò Lilia girovagando nei ricordi della cucina dove con la famiglia aveva trascorso festosi pasti estivi. Si sarebbe fermata lì per i prossimi tre mesi. Era tutto come una volta, in un attimo fisso: il tavolo di legno di ulivo, il copritavolo di uncinetto cucito dalla nonna, ancora bianco e fragrante come allora, persino la polvere non aveva attecchito; il portafiori di terracotta al centro; le 17
Il fantasma di Lemich
sedie di legno per un nuovo banchetto. Dalle finestre, la luce entrava fiera di soleggiare la casa, per troppo tempo rimasta nel buio. All’angolo, il letto se ne stava solitario, in attesa. Dal piccolo cucinino, la caffettiera brontolava. Il caffè che Lilia aveva appena preparato era pronto. Lo sorseggiò, era buono, persino la moka non aveva bisogno di essere lavata più volte per togliere il sapore dell’umido raccolto dal tempo. L’aroma si sparse per tutto il trullo, ogni sorso era un sorriso suscitato da un lieto ricordo che le tornava in mente, finché qualcosa la distolse dall’incanto. Sul tavolino di legno d’ulivo, accanto alla dispensa, un taccuino blu aspettava. La luce era giusta, il momento per rivivere era quello.
18