L’ERA DEI DENTI A SCIABOLA
APRILE 2016 € 3,90 IN ITALIA
SCOPRIRE E CAPIRE IL MONDO
282
Spazio: ultima sfida dei razzi. Ora sanno atterrare
Biologia LA PUZZA È VITA VIAGGI AEREI
Aiuto! C’è un vuoto d’aria
Genetica QUESTA PIANTA È UN COMPUTER
LA SCIENZA DELLA FELICITÀ
Il segreto della gioia dell’uomo in uno studio che ha seguito 700 persone per quasi 80 anni
Mensile: Austria, Belgio, Francia, Lussemburgo, Portogallo (cont.), Spagna € 7,00 / Canada CAD 12,00 / Germania € 9,50 / UK GBP 6,00 / Svizzera Chf 8,90 – C.T. Chf 8,40 / USA $ 12,00. Poste Italiane / Spedizione in A.P. D.L. 353-03 art. 1, Comma 1 / Verona CMP
La buona notizia
Fotogramma
Saldare un debito migliorando la città
Milano è la prima metropoli italiana ad avviare il baratto amministrativo, che permette di pagare ciò che si deve al Comune svolgendo lavori utili. Ridipingere i muri di un ufficio comunale, curare i fiori in un giardino, verniciare una staccionata, ripulire le strade e persino accogliere i bambini a scuola prima dell’inizio delle lezioni, per dar modo ai genitori di arrivare in ufficio in orario. Da quando un decreto del 2014 permette di pagare così tasse locali, multe e altri debiti contratti con il Comune, si è scatenata la fantasia di amministratori e cittadini. È il “baratto amministrativo”, al quale può accedere chi si trova in difficoltà economiche. PICCOLI E GRANDI. Lo scorso anno a fare da battistrada sono stati piccoli Comuni come Massarosa, in provincia di Lucca, Leggiuno (Va), Invorio (No), Marcellinara (Cz), Palma di Montechiaro (Ag) e così via. E, nelle scorse settimane, Milano è stata la prima grande città ad avviare il progetto. Qui, ciascuna ora passata a tinteggiare, sgomberare cantine e rimettere a nuovo locali pubblici permette di scalare 10 euro dal debito contratto; l’elenco dei progetti approvati ha un valore totale di oltre 104mila euro. La domanda per partecipare va consegnata entro il 30 aprile. Margherita Fronte
10
euro
Il valore attribuito a ciascuna ora lavorata, che viene scalato dalla somma che si deve pagare al Comune.
Fotogramma
AL LAVORO. Curare il verde e tinteggiare sono i lavori più richiesti.
Palermo pri mavera es ta te 2016
APRILE 2016 NUMERO 282
Scoprire e capire il mondo
20
DOSSIER 85
LA SCIENZA DELLA GIOIA
86
LAUREATI IN FELICITÀ Uno studio ne indaga le radici. Con una conclusione rivoluzionaria.
92
IL MISTERO DELL’UOMO CONTENTO Anche il sorriso si eredita?
96
QUESTIONE DI CHIMICA Siamo felici anche grazie a un gioco di molecole. Ecco quali.
Una foresta di dati
Scienza
C’È UN COMPUTER IN QUEL FAGGIO ......................................................20 Un’idea nuova e brillante per immagazzinare un’infinità di canzoni e dati di ogni tipo. In una foglia.
Comportamento
QUESTIONE DI GUSTI ....................................................................................26 Le nostre preferenze cambiano: con l’età e con l’esperienza. E, se serve, si possono anche “pilotare”.
Scienza
RAZZI!.................................................................................................................32 Senza di loro non avremmo la Stazione spaziale, il Gps, i satelliti meteo… Ma come sono fatti i “lanciatori”?
Salute
L’uomo venuto dal passato: per un incidente, ha dimenticato 12 anni di vita pag. 19
42 Riflessi nel futuro
MORTI DI CALDO ............................................................................................38 Allergie, infezioni, malattie tropicali… Ecco come l’aumento della temperatura farà salire la febbre anche a noi.
Tecnologia
SPECCHIO DELLE MIE BRAME ..................................................................42 Ora diventa intelligente: ci mostra come staremo con un vestito (o un naso) nuovo. E controlla la nostra salute.
Iniziative
A SPASSO CON FOCUS NELLO SPAZIO (E LUNGO L’ITALIA) .............48 Energia ecosostenibile, clima, spazio, realtà virtuale. Sono tra i temi degli incontri del ciclo “Panorama d’Italia”, organizzati in 10 città con ricercatori e astronauti.
Mistero
STONEHENGE, COSA C’È SOTTO ..............................................................52 Il celeberrimo cerchio di pietre è attorniato da una rete di monumenti sepolti. Che nuovi studi cercano di portare in superficie.
In copertina: foto grande Shutterstock, elaborazione grafica di Chiara Scandurra; in alto a destra: Alamy/Ipa; a sinistra, dall’alto: Shutterstock, Shutterstock, Alamy/Ipa
Aprile 2016 Focus | 7
69
Biologia
QUI C’È QUALCOSA CHE PUZZA �����������������������������58 Animali, piante, batteri� Tutti producono effluvi disgustosi�
Corpo umano
Prisma
UN NERVO DA PAURA �������������������������������������������������64
Guida ai colori e ai temi dei numeri
Ci fa svenire o impallidire, ma anche rilassare e socializzare� Ecco come funziona il “vago”�
Ambiente Animali Biologia Natura
Animali
ARMATE FINO AI DENTI����������������������������������������������78 Le tigri dai denti a sciabola, estinte forse per colpa nostra�
Natura
SCUSI, È QUI L’INFERNO? ��������������������������������������� 106 Un lago di lava nel cuore di un vulcano africano�
SEZIONI
Sport
69
LO SPORT FA MALE ���������������������������������������������������112 Fra lividi, fratture e occhi neri, anche i campioni hanno i loro acciacchi (forse più di noi)�
Prisma
126 Domande & Risposte 151 MyFocus
Trasporti
158 Giochi
Il clima che cambia influisce anche sui voli� In che modo?
161 Mondo Focus
AIUTO! C’È UN VUOTO D’ARIA ������������������������������� 120
Digitale Invenzioni Tecnologia Trasporti
Corpo umano Salute Scienza Spazio
Tecnologia
COSÌ ABBIAMO FATTO IL BUCO���������������������������� 132 Se la Variante di valico è finalmente arrivata, il merito è di una macchina speciale� Ma non solo���
Mondo
LA TRAPPOLA DEL PROTOCOLLO ����������������������� 138 Gesti, pranzi e��� gaffe� Una visita di Stato è un percorso a ostacoli� E se non si conosce il cerimoniale sono guai�
Alimentazione Attualità Comportamento Mondo
Spazio
AGENZIA VIAGGI... SPAZIALI ���������������������������������� 144 La Nasa si è divertita a preparare locandine per destinazioni cosmiche� Per i nostri pronipoti?
120 Volare col clima che cambia
Un invito dal re? Ecco cosa fare
pag. 138
L’INVITO ALLA LETTURA DEL DIRETTORE
Una delle novità che lo hanno stupito di più è stata la scomparsa dei semafori, sostituiti dalle rotonde. E, naturalmente, la vista dei figli, che ricordava bambini. La storia del medico che, per un incidente, ha cancellato dalla memoria 12 anni di vita fa riflettere sulle meraviglie della mente umana. A pagina 19. Jacopo Loredan 8 | Focus Aprile 2016
RUBRICHE 5
La buona notizia
10
Flash
17
In numeri
19
L’intervista
Arte Cultura Mistero Sport
104
Visioni dal futuro
Ci trovi anche su:
103 Il confronto 104 Visioni dal futuro
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Flash Animali atletici
10 | Focus Aprile 2016
Solent News/REX/Olycom
ATTIMI FUGGENTI Ogni mattina, in Africa, uno sciacallo si sveglia: sa che dovrà essere più veloce delle sue prede. Infatti lo scatto di questo sciacallo dalla gualdrappa è stato fulmineo: ha cercato di addentare una grandule, uno degli uccelli che al mattino si avvicinano a questa pozza in Sudafrica, nel Parco transfrontaliero Kgalagadi. Ma il volatile sapeva di dover essere... ancora più veloce ed è riuscito a scappare. E il fotografo John Mullineux ha colto l’attimo.
Aprile 2016 Focus | 11
Flash
Matt Cardy/Getty Images
Animali spettinati
12 | Focus Aprile 2016
UN PO’ VENTOSO Sembra che nemmeno la furia di Imogen turbi l’aplomb inglese di Bruno. Al massimo lo spettina, nella sua passeggiata lungo la costa della Cornovaglia. Bruno è un incrocio di bearded collie. Imogen invece è la bufera che si è scatenata a inizio febbraio sul Sud della Gran Bretagna, con venti a 130 km/h e piogge battenti. Oltre ad arruffare Bruno, ha fermato treni e traghetti, lasciato al buio migliaia di case e fatto “rimbalzare” aerei sulla pista.
Aprile 2016 Focus | 13
Flash
Epa/Ansa
Animali assonnati
14 | Focus Aprile 2016
ATTIVI DI SERA ChissĂ se sono... assonnate come sembrano, queste giovani civette fotografate nel loro nido, ricavato nella cavitĂ di un albero a Patan, una delle principali cittĂ del Nepal. Qui le ha individuate il fotografo Narendra Shrestha. Questi rapaci cacciano soprattutto al crepuscolo e nella notte, quando volano in cerca di piccoli animali, dagli insetti ai roditori, ai serpenti; possono stabilirsi anche vicino alle abitazioni e ai campi coltivati.
Aprile 2016 Focus | 15
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7
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In numeri
le lingue “straniere” parlate in Italia (albanese, catalano, croato, francese, greco, sloveno e tedesco)
La babele delle lingue
1.000
7.100
le lingue parlate in tutto il pianeta
6
i linguaggi artificiali inventati nella storia
le lingue che si sono estinte ogni anno dal 1950 a oggi
370
le lingue in cui è stata tradotta la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani
4
a
1
850
la parola universale, con suono simile nelle lingue del mondo: “Eh?”
lingue locali diverse, oltre alle 4 ufficiali, in Papua Nuova Guinea, paradiso della diversità Ambrogio linguistica Calepio pubblica lingua il Dictionarium latinum. più studiata Il “calepino” al mondo diventerà il dizionario è l’italiano (dopo inglese, per antonomasia francese le persone che parlano cinese e spagnolo) mandarino: la lingua più diffusa al mondo
1502
1,1
miliardi
A cura di Marco Paternostro Aprile 2016 Focus | 17
THE NEW
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L’intervista di
Pierdante Piccioni Un buco nero nei ricordi
L’uomo venuto dal passato Un colpo alla testa in un incidente d’auto gli toglie 12 anni di memoria. Si sveglia in un mondo ignoto, con figli ormai grandi e un lavoro da medico da ricostruire. Un libro racconta la sua storia.
Maurizio Bosio/Reporters
Il 31 maggio 2013 lei ha avuto un grave incidente in tangenziale a Pavia. Si è risvegliato in ospedale, pensando che fosse il 25 ottobre 2001. Come si è sentito quando ha capito di aver dimenticato 12 anni della sua vita?
Biografia Nato a Cremona nel 1959, si laurea con lode in Medicina e chirurgia a Pavia, nel 1986. Si sposa alla fine del 1987 e ha due figli. Nel 1990 si specializza e inizia una brillante carriera come medico di pronto soccorso. Ricopre vari incarichi e dal 2007 è direttore dell’Unità di Pronto soccorso dell’Ospedale di Lodi. Consulente del Ministero, nell’aprile del 2013 entra nel direttivo dell’Academy of Emergency Medicine and Care; un mese dopo un grave incidente d’auto gli ruba la memoria. Nel 2015 torna primario, all’ospedale di Codogno. Nel 2016 pubblica Meno dodici (Mondadori), scritto con il giornalista Pierangelo Sapegno, in cui racconta la sua storia.
Ho provato una forte sensazione di estraneità. Mi sentivo un marziano in un mondo non mio, un indio catapultato a Time Square. Cercavo di carpire qualcosa di familiare negli occhi delle persone conosciute, e per me improvvisamente invecchiate. Lo specchio mi ha fatto poi vedere, chiaramente, i 12 anni trascorsi. Lo spaesamento è diventato ancora più forte quando sono uscito dall’ambiente protetto dell’ospedale: il mondo fuori era completamente diverso da quello a cui ero abituato. Che cosa l’ha colpita di più?
La mia città mi è parsa trasandata, e mi irritavano le tante rotonde, comparse al posto dei semafori. Cambiamenti che per altri sono stati graduali e impercettibili per me sono tagli netti. Dei fatti di cronaca, mi ha colpito la figura del papa emerito, che ancora non concepisco, e la Juventus in serie B; adesso ci scherzo ma al momento sono andato su Internet a controllare! Sono invece rimasto affascinato dalla tecnologia e dalla straordinaria facilità nell’accedere alle informazioni, che è stata anche la chiave per il mio recupero professionale. Penso che il presente sia migliore del passato proprio per la possibilità di raggiungere un livello di comunicazione nettamente superiore. Quali sono stati i cambiamenti più difficili da accettare?
I miei figli. Avevo due bambini di 8 e 11 anni e ho trovato due adulti irriconoscibili. Li ho rifiutati a lungo, e per questo entrambi hanno rifiutato me. È stato difficilissimo. Ho iniziato a ricostruire il rapporto con loro solo quando ho accettato di non ricordare 12 anni della nostra vita, e di ricominciare dal 2013.
Ha rinunciato a ricordare?
A volte ho ancora nostalgia per gli anni persi. Ma i miei esami parlano chiaro: i test cognitivi sono perfetti, ma il cervello ha subìto lesioni importanti della corteccia, nelle zone che immagazzinano la memoria a lungo termine. Tutto sommato, le è anche andata bene...
Adesso posso dire di sì. Qualsiasi neurologo che veda le mie analisi pensa che l’esito di quei danni sia una demenza grave. Non lo è perché probabilmente, già prima, avevo elaborato dei circuiti nervosi paralleli, attraverso cui passano i miei ragionamenti, e uso quelli. Lei descrive anche una grande facilità nell’acquisire le nozioni che ha dovuto recuperare per tornare al lavoro. A che cosa è dovuta?
Mi hanno spiegato che probabilmente è stata danneggiata la memoria degli eventi (dichiarativa), ma non del tutto quella implicita, delle procedure e dell’esperienza. Inoltre, il buco di memoria è stato riempito con i ricordi molto precisi, antecedenti al 2001. La natura non accetta spazi vuoti; è un meccanismo psicologico, che però potrebbe avere anche una base anatomica e fisiologica. Lascerà il suo cervello alla scienza?
Certamente sì. Spero il più tardi possibile. È cambiato il suo modo di fare il medico?
Sì, moltissimo. Ero un bravo medico, ma un po’ supponente e portato alla performance, più che ai pazienti. Ora, invece, è a loro che penso tutte le volte che devo prendere una decisione. Sono anche molto più attento alla comunicazione e ho capito che il dialogo può fornire già molte risposte. I giovani medici trascurano questo aspetto e si affidano agli strumenti, rischiando così di curare il referto, e non il malato. Prima però anche io ero diverso. Margherita Fronte
Aprile 2016 Focus | 19
ullstein bild via Getty Images
Scienza
LA MEMORIA NEL BOSCO. Una foresta come questa (in Germania) potrebbe immagazzinare una quantitĂ enorme di dati.
Un’idea nuova e brillante per immagazzinare un’infinità di canzoni e dati di ogni tipo. In una foglia.
C’è un computer in quel faggio
I
BIT BIOLOGICI. A lato e in basso, le piantine di Nicotiana benthamiana usate negli esperimenti.
l sogno di Karin Ljubič è entrare in una foresta e ascoltare le canzoni dei Rolling Stones. Oppure leggere le informazioni di Wikipedia che riguardano gli alberi... e scaricarle direttamente da loro, dalle piante. Per realizzare il suo desiderio, Karin, esperta di genetica e informatica all’Università di Maribor, in Slovenia, ha dovuto inventarsi un metodo avanzato e applicarlo al codice genetico di vegetali. da un’osservazione che fanno in molti: le informazioni si accumulano sui computer, riempiono i dischi fissi, strabordano sui cloud e sui cellulari. Ogni giorno produciamo 2.500 miliardi di gigabyte e il trend sembra in salita. È vero che la maggior parte di questi dati sono ridondanti, inutili o addirittura dannosi, ma per molti liberarsene è un problema. E ci sono anche i dati scientifici indispensabili: il solo Cern di Ginevra, nel 2013, ha immagazzinato circa 90 petabyte di dati (un petabyte è 1015, cioè un 1 seguito da 15 zeri, e corrisponde a circa 1.000 hard disk da un terabyte). Anche Karin Ljubič e il marito, Iztok Fister, nel loro lavoro producono moltissimi dati, perché si occupano di intelligenza computazionale e algoritmi applicati alla gestione degli allenamenti sportivi (oltre a essere ricercatori, Karin e Iztok si dedicano al triathlon). «È un problema reale», commenta Maurizio Casiraghi, professore associato di zoologia all’Università di Milano Bicocca, biotecnologo ed esperto di Dna barcoding (v. riquadro
La prima frase scritta nel Dna di una pianta (e poi riletta) è stata questa: “Hello world” 22 | Focus Aprile 2016
Getty Images/SPL
VALANGHE DI NUMERI. Tutto è partito
nella pagina accanto). «Anche soltanto l’estrazione del Dna che studio produce molti gigabyte, che devono essere messi da qualche parte per essere usati». FUORI DAGLI SCHEMI. Guardando fuori
dalla finestra verso un bosco, in un giorno piovoso, Karin e Iztok pensarono che in natura esistesse già un metodo per accumulare informazioni: i genomi delle specie viventi, in particolare dei vegetali. In pochi grammi di Dna c’è spazio per miliardi di gigabyte. «Il Dna è perfetto per accumulare informazioni; la struttura a doppio filamento affiancato consente di scrivere un messaggio su entrambi. Anche quando si dividono (nel corso della riproduzione sessuale, ndr), i due filamenti contengono le stesse informazioni», spiega Ljubič. Tutto il processo non è però così facile: «Vorremmo proporre nuove idee per immagazzinare i dati, basate su tecnologie esistenti o in via di sviluppo. E un po’ di pensieri out of the box, cioè fuori dai soliti schemi», conclude. Lo spunto arrivò da alcuni esperimenti che avevano già provato la possibilità di creare Dna artificiale con una sequenza particolare di basi (le unità di informazione), in modo da “scrivere” sulla
molecola. Per esempio nel 2012 George Church, chimico e genetista statunitense, aveva convertito un documento di oltre 53.000 parole, 121 immagini e un programma in una sequenza di Dna. Dopo la scrittura era però necessario riuscire a leggere il testo; lo si poteva fare con uno strumento per la decodifica. Purtroppo la molecola era molto lunga e, al tempo, leggerla portava a numerosi errori. Altri esperimenti l’anno successivo, condotti da Nick Goldman dell’European Bioinformatics Institute, dimostrarono che era possibile scrivere messaggi e rileggerli fedelmente. Bastava creare testi più brevi, lunghi al massimo 117 caratteri, che risultavano più leggibili dalla macchina decodificatrice. In questo modo riuscirono a memorizzare 5 milioni di bit; per esempio tutti i 154 sonetti di Shakespeare e 26 secondi del celebre discorso I have a dream di Martin Luther King. Il sistema di codifica inventato da Goldman si basava su un concetto semplice: le parole di base del linguaggio dei computer (i cosiddetti byte, ognuno dei quali è formato da 8 bit di 0 e 1) erano trasformate in parole di cinque lettere, una combinazione formata a partire dalle quattro basi del Dna (v. schema nella
Getty Images
per molte volte può andare bene durante un esperimento, ma non è una procedura che si possa utilizzare tutti i giorni. Ecco, quindi, l’idea di Karin e Iztok. Visto che il Dna è il materiale genetico di (quasi) tutti gli esseri viventi sul pianeta, perché non usare le stesse specie, vegetali in questo caso, per immagazzinare i dati?
Alamy/Ipa
prossima pagina). In linea di principio tutto funzionava, ma nella pratica c’erano ancora alcuni problemi da risolvere. Il primo era: dove mettere questo Dna ricco di informazioni? Fino ad allora veniva immagazzinato in luoghi freddi e secchi, come accade per il genoma dei mammut morti in Siberia, il cui Dna rimane leggibile anche dopo 60.000 anni. Un altro ostacolo all’uso della tecnologia era costituito dal fatto che scrivere nel Dna è un processo costoso, e ripeterlo
CON I BATTERI. Dopo aver creato la se-
quenza di Dna attraverso un sistema di codifica simile a quello di Goldman, il
IL CODICE A BARRE DELLA VITA CHE SPECIE È? Una tecnica per leggere il Dna dei viventi esiste. E viene usata per determinare la specie studiata, partendo da un frammento minuscolo del patrimonio genetico. Come dice Maurizio Casiraghi, professore all’Università di Milano Bicocca, il cosiddetto Dna barcoding è l’analisi di un frammento di Dna mitocondriale (appartenente cioè al mitocondrio, un organello definito la “centrale energetica” della cellula). Basandosi sulle minuscole differenze che esistono tra le specie proprio in questo pezzetto di gene, la tecnica serve a scoprire da dove proviene un campione. Il frammento, lungo circa 600 “basi” (l’unità elementare), è confrontato con un database globale che racchiude il Dna di riferimento di molte specie. Il metodo serve, tra l’altro, a scoprire se il palombo o la salsa di pomodoro sono veramente quello che dichiarano i venditori. La sua semplicità ha indotto la Fda (l’ente che si occupa di cibo e medicine negli Stati Uniti) a richiedere il barcoding per molti prodotti importati in America.
SIMBOLO VEGETALE. Raffigurazione metaforica di una pianta a forma di Dna.
Karin Ljubič e Iztok Fister
E I DATI SBOCCIANO. A destra, i due ricercatori con le loro piantine. Sotto, un germoglio in cui sono stati inseriti i dati.
Getty Images/EyeEm
SCRIVERE NEL DNA
passo seguente è stato inserire questo Dna in un vegetale. Per farlo si usa di soli to il batterio Agrobacterium tumefaciens, che a sua volta infetta la pianta inserendo del materiale genetico nelle sue cellule. COME UNA LIBRERIA. Karin Ljubič e
Iztok Fister sono riusciti a usare con successo questa tecnica con un parente del tabacco chiamato Nicotiana benthamiana. I frammenti di Dna sono stati introdotti in una specie di “gnocco” di tessuto spugnoso indifferenziato, che si trasforma pian piano in una pianta come le altre, da cui spuntano cioè nuove foglie e ramoscelli. Questa nuova pianticina conteneva quindi, oltre al suo patrimo nio genetico, anche del Dna estraneo, ma innocuo; una specie di libreria microsco pica ma ricchissima. I due ricercatori sloveni promettono che il passo successivo sarà codificare l’inte ra Wikipedia inglese, che contiene 4,4 milioni di articoli per un totale di 42 gi gabyte; che però è un’inezia, per esempio, rispetto ai 90 petabyte che, come abbia mo detto, il Cern produce in un anno. Per contenere questi ultimi ci vorrebbero 41 grammi di Dna. Sembra poco, ma non è così. «A dire la verità», chiosa Casiraghi, «non è proprio una quantità minuscola. Sarebbero necessarie parecchie cellule». Il sistema, comunque, risolve automa 24 | Focus Aprile 2016
CODIFICA. Per convertire la sequenza di un file, costituita da 0 e 1, in Dna, i ricercatori hanno trasformato il codice binario così:
00
10
01
11
A
C
G
T
A, C, T, G sono le “basi” (adenina, citosina, timina e guanina) che, in sequenza, costituiscono il Dna.
ticamente un problema importante, quello della conservazione e della ripro duzione dei dati: ci pensano i vegetali a replicare, a ogni divisione cellulare, l’en ciclopedia o quello che è stato introdotto nel materiale genetico. Oltre alla moltiplicazione dei filamenti, la pianta si incarica anche di proteggerli dagli eventuali disturbi ambientali, me glio di quanto possa fare il freddo della tundra per le mummie di mammut. Una volta immagazzinate nelle foglie, però, per essere utili, le informazioni devono essere anche leggibili. I metodi per estrarle dalla sequenza del Dna sono
tantissimi, ma prima o poi, secondo i ri cercatori sloveni, avremo strumenti non dissimili da quelli dei film di fantascien za che ci permetteranno di farlo; realiz zando così il sogno di Karin, di leggere il Dna vegetale anche mentre siamo sere namente immersi nella natura. ATTENTI AI RISCHI. I coniugi Fister am
mettono che il processo non è facile, e i particolari tecnici non sono ancora del tutto definiti. I due cominciano però a porsi domande più complesse, che ri guardano il potenziale impatto di questa tecnologia. «Ci sono molti vantaggi, ma anche aspetti negativi, che riguardano per esempio la diffusione globale del processo», dice Ljubič. Il pericolo è che possa essere usato per scopi non proprio scientifici o ricreativi. Per esempio, per immagazzinare informazioni sensibili e a questo punto impossibili o quasi da ri trovare (immaginate di cercare, senza sapere dov’è, la cartella clinica di un de terminato paziente in mezzo a una fore sta). Oppure per diffondere informazio ni segrete su obiettivi militari o altro ancora. Insomma, conclude Karin Lju bič, una tecnologia potentissima come questa avrebbe bisogno anche di una so cietà equilibrata che la gestisca in modo responsabile. Marco Ferrari
Se funzionasse, tutti gli archivi del mondo potrebbero essere contenuti in una scatola di semi
Comportamento
26 | Focus Aprile 2016
Getty Images
LO BEVO E MI CI FACCIO IL BAGNO. In uno stabilimento termale in Giappone, un sommelier versa Beaujolais nouveau nei bicchieri... e non solo.
A
pochi bambini al mondo piace il peperoncino. Eppure, a un certo punto, i ragazzi messicani lo aggiungono con disinvoltura ai loro piatti: hanno cambiato gusto? Sì: i loro palati si sono adattati alle tradizioni alimentari del Paese in cui vivono. Ora, immaginiamo di doverci trasferire in un Paese lontano, diverso dall’Italia per cultura, educazione, cibo. Ci comporteremmo anche noi come i ragazzi messicani? E se invece volessimo solo sperimentare nuovi stimoli e quindi cambiare gusti – dalla cucina alla musica – come dovremmo comportarci? INSETTI O MASTERCHEF? Prima di ri-
Questione di gusti Le nostre preferenze cambiano: con l’età e con le esperienze. E, se serve, si possono anche “pilotare”.
spondere dobbiamo capire come nascono i gusti, che dipendono da una molteplicità di fattori. Dalla genetica, dai nostri sistemi sensoriali, dall’educazione, dalla cultura, dalle esperienze. «Tutti hanno una radice biologica: ci piace il dolce perché è un sapore legato a sostanze nutrienti importanti per la sopravvivenza. Ci piacciono i paesaggi naturali con verde e corsi d’acqua perché indicavano ambienti favorevoli per i nostri antenati. Queste sono preferenze biologiche e si radicano nelle origini della nostra specie», spiega Emanuele Arielli, dell’Università Iuav di Venezia, che sul tema ha appena pubblicato Farsi piacere. La costruzione del gusto (Raffaello Cortina Editore). «Al gusto biologico si sovrappone poi la componente culturale e sociale responsabile di tutte le preferenze più complesse». Risultato? Se è vero che tutti amano mangiare (preferenza biologica), alcuni preferiscono la cotoletta alla milanese, altri le tortillas messicane o il sushi giapponese (preferenza complessa). «Quelle nel sesso e nel cibo sono le preferenze che danno meglio l’idea di Aprile 2016 Focus | 27
PROPRIO NON VI PIACE? PROVATE COSÌ EFFETTO PONTE: costruire collegamenti tra ciò che ci è familiare e ciò che non lo è. Volete apprezzare nuove sonorità? Non abbandonate quelle vecchie: alternatele finché l’orecchio non si abitua. È una delle strategie, come le altre qui sotto, segnalate da Emanuele Arielli in Farsi piacere.
PENSO POSITIVO: guardare il “bicchiere mezzo pieno”, reinterpretando un fastidio in qualcosa di positivo. Il medico vi ha prescritto di mangiare senza sale? Gli studi mostrano che dopo solo 2-3 mesi si cambia gusto: si preferiscono i cibi se meno salati. EFFETTO ALONE: accostare oggetti, perché quello di maggior valore conferisca valore anche al secondo. Un bel maglione ci fa rivalutare il vecchio pantalone abbinato. Si usa nel marketing: il successo di un prodotto ci fa apprezzare tutti gli altri del marchio.
EFFETTO COMPETENZA: avere competenze è piacevole e fa apprezzare le cose. L’arte contemporanea vi annoia? Provate ad avvicinarvi a più opere di uno stesso autore e a conoscerle.
COMPRENSIONE: capire cosa c’è dietro una costruzione narrativa. Un film ci risulta complicato e noioso? Prima di darsi per vinti, bisognerebbe impegnarsi a capire che cosa voleva dire il regista.
IMMAGINAZIONE AL POTERE: nello studio, sfruttare l’immaginazione. Per esempio fingendo di dover fare la sceneggiatura di un romanzo noioso che si è costretti a leggere.
questo processo», aggiunge Paolo Legrenzi, docente di psicologia cognitiva a Venezia. «Accomunano tutti e in tutti hanno lasciato spazio a modulazioni culturali enormi, complesse e stratificate. Al punto che ci siamo dimenticati le funzioni originarie di certi piaceri. Oggi non si mangia più solo per nutrirsi né ci si accoppia solo per riprodursi». Non c’è da stupirsi quindi nel constatare che mentre i nostri antenati sopravvivevano anche con carne di carogne, insetti e bacche, noi passiamo il tempo a vedere MasterChef discettando di ricette.
Getty Images (2)
PICCANTE, GRAZIE. «La buona notizia»,
È BELLO CIÒ CHE... È DI MODA Sopra, la preparazione di una bambola gonfiabile alla fiera Sexpo di Sydney. In alto, la sfilata di Roberto Cavalli a Milano.
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continua Legrenzi, «è che, qualora fosse necessario, è possibile modificare queste preferenze». Un mangiatore seriale di hamburger e patatine fritte che deve tenere sotto controllo la linea, per esempio, ha buone speranze di modificare i suoi gusti e convertirsi a un’alimentazione equilibrata. «Biologicamente abbiamo una predisposizione a cibi zuccherati
QUELLI CHE CAMBIANO CON L’ETÀ SUONI. Col passare degli anni i nostri gusti cambiano. Accade con la musica. Jason Rentfrow (Università di Cambridge) ha raccolto le preferenze musicali di oltre 250mila persone nell’arco di dieci anni. E ha mostrato che gli adolescenti usano la musica per auto-definirsi e affermare la propria indipendenza (da qui la preferenza per suoni aggressivi); poi la musica si usa come veicolo per incontrare gli altri e dopo ancora, con la mezza età, per rilassarsi e per esprimere status. Le cose con l’età cambiano anche in fatto di cibo. Un anziano perde parte della capacità olfattiva e la sensibilità ai sapori diminuisce. E diventa più conservatore; si torna a essere, come i bambini, “neofobici”, ovvero diffidenti verso i cibi nuovi. Ciò, dal punto di vista evolutivo, serve a tenerci lontani da sostanze sconosciute potenzialmente pericolose. Vari studi mostrano che la neofobia inizia e raggiunge il massimo dai 2 ai 6 anni, quando i bimbi si muovono e hanno accesso a varie sostanze. Dopo cala e arriva al minimo in età adulta, per poi aumentare di nuovo, in teoria “proteggendo” l’organismo anziano da un potenziale avvelenamento.
Si può imparare ad apprezzare davvero di tutto. Persino le sostanze amare o irritanti e grassi, il che spiega la facilità con cui le persone cadono in abitudini alimentari poco salutari mangiando dolci e junk food, il cibo spazzatura. L’educazione ha la funzione di rendere la persona autonoma rispetto a tali inclinazioni. La aiuta a sviluppare abitudini alimentari (e quindi gusti) più sane ed equilibrate», precisa poi Arielli. Tutto si può apprezzare. Non dimentichiamoci, come sottolineava in uno studio Paul Rozin della University of Pennsylvania (Usa), che «la maggior parte degli adulti assume ogni giorno sostanze che istintivamente sarebbero rigettate perché amare o irritanti: caffè, alcol, peperoncino...». Come mai? Hanno imparato ad apprezzarle. Tornando al peperoncino, Roslin verificò che l’esposizione a “piccantezza crescente” è la base per lo sviluppo di tale preferenza: anzi, una cosa che provoca irritazione diventa un piacere. Come mai? Rozin sottolineava che il cambio avviene per esempio attraverso l’associazione con eventi positivi (si assaggia un
piatto a cui è stato aggiunto peperoncino e lo si trova più saporito). «A quel punto nel cervello avverrà un cambiamento che registrerà le preferenze: il processo avviene a livello neuronale», dice Arielli. «Perché siamo condizionati a ripetere un’esperienza che ha generato piacere. Uno stimolo piacevole scatena infatti l’attivazione di risposte di ricompensa a livello neuronale, uno spiacevole genera invece avversione». MANGIO CON GLI OCCHI. Il primo modo
per cambiare gusti, dunque, è attraverso la prova e l’esperienza. Ma ci sono altre strategie parallele. Per convincersi ad assaggiare qualcosa di poco stuzzicante, per esempio, si può ricorrere all’“effetto competenza”: «Ci si motiva ad assaggiare una cosa per il piacere di saperne di più», continua Arielli. Immaginiamo di invidiare i nostri amici esperti di vini, mentre noi a fatica distinguiamo un vino annacquato da un Barolo. Un metodo efficace è provare gradualmente alcolici
di qualità superiore: alla fine con ogni probabilità avremo “affinato” il gusto imparando ad apprezzare i sentori intensi di un liquore. Si può poi far leva sul piacere... in tutti i sensi. Per esempio, per insegnare a un bambino che odia i broccoli a mangiarli possiamo sfruttare la sua immaginazione: fargli credere cioè che quei broccoli lo renderanno un supereroe, un po’ come fanno gli spinaci con Braccio di Ferro. Oppure glieli si può presentare nel piatto come se fossero le orecchie buffe di un coniglio. Il metodo del “piacere visivo” ha affascinato anche Charles Spence e il suo team all’Università di Oxford. I ricercatori hanno provato a vedere che effetto faceva servire a tre gruppi tre diverse insalate composte con gli stessi ingredienti: la prima riproduceva un quadro di Vassily Kandinsky (Pittura No. 201), nella seconda broccoli e funghi erano allineati in file meticolosamente ordinate, nella terza le verdure erano ammucchiate al centro del piatto. Risultato? L’insalata artistica è risultata più gradita. «Troviamo il cibo più complesso e ci piace di più se gli ingredienti sono sistemati per riprodurre un quadro astratto», hanno concluso gli studiosi...
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ANNI
Spesso a quest’età i bambini cominciano a essere meno disposti ad assaggiare cibi nuovi.
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TRAFITTO ANTICO O... Il martirio di san Sebastiano di Piero del Pollaiolo, del 1475.
passione per l’arte Donald Thompson. Nel suo saggio Lo squalo da 12 milioni di dollari (Mondadori) ha analizzato questo aspetto, notando che nel catalogo della casa d’aste Sotheby’s si era scelto di accostare un’opera di Andy Warhol a un dipinto rinascimentale, Il martirio di San Sebastiano di Piero del Pollaiolo (a lungo attribuito al fratello, Antonio; v.foto a sinistra). Nel dipinto pop art, si trattava di un torso umano stilizzato sul quale alcune linee indicavano i punti del corpo in cui si poteva verificare un’ernia (da cui il titolo Where is your rupture?). La fratellanza fra le due opere però era forte. E non casuale. Secondo Thompson era dovuta a ragioni commerciali: lavorare sul gusto dei potenziali acquirenti e convincerli a conferire pregio (e ovviamente soldi) all’opera di Andy Warhol. REGOLE DEL CERVELLO. «Le regole di
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Capire l’arte moderna? Basta vedere quanto... assomiglia ai classici
Arte astratta a parte, a conclusioni analoghe è arrivato Brian Wansink, della Cornell University di New York. Analizzando 112 studi sui comportamenti alimentari, ha concluso che le scelte dipendono anche da quanto un cibo è ben presentato: è quindi importante che i cibi sani come frutta e verdura siano facili da raggiungere (convenienti), seducenti (attraenti) e disposti in modo da apparire una scelta ovvia (normale). SUONI E VISIONI. Non è solo la vista però
... CONTEMPORANEO. Where is your rupture, del 1960, un’opera di Andy Warhol.
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a venire in soccorso ai nostri gusti. Se volessimo far amare a un nostro amico “rockettaro” il jazz, dovremmo lavorare su altri sensi: poco conta infatti come disporremo le casse dello stereo. Sarà utile invece ricorrere a qualche trucchetto psicologico. «Lo si può avvicinare ai nuovi ritmi attraverso passaggi intermedi, che contengano elementi dell’uno e dell’altro mondo», precisa Arielli. Accostare un elemento familiare all’oggetto che si vuole rendere desiderabile è un metodo molto efficace per modificare il gusto, dalla musica all’arte. Se ne è accorto anche l’economista inglese con la
comportamento del cervello sono molte. Oltre all’efficacia dell’accostamento, ce n’è poi un’altra fondamentale: piace di più ciò che è visto più spesso. L’esposizione continuativa rafforza l’apprezzamento di una vasta gamma di fenomeni, dal cibo ai prodotti commerciali: la ripetizione genera un senso di familiarità e ciò che ci è familiare ci piace», precisa ancora Legrenzi. «Certo, dopo un po’ può sopraggiungere l’effetto “saturazione”, ma in quel caso un oggetto non smette di piacerci, semplicemente sentiamo bisogno di una novità». Non dobbiamo stupirci quindi se quel modello di pantalone affusolato, che qualche anno prima ci faceva sorridere, oggi è entrato nel nostro armadio. Abbiamo cambiato gusto e non ce ne siamo accorti? Sì. Il “bombardamento” visivo e pubblicitario ha modificato la nostra percezione del bello. Che può inoltre cambiare anche con il semplice passare degli anni (v. riquadro alle pag. precedenti). Insomma, la matematica non è un’opinione, ma i gusti sì. E questo alla fine è consolante: possiamo imparare a “raffinarli” e cambiarli. E adattarci bene alla società del futuro, che accoglierà i gusti di sempre più culture. Giuliana Rotondi
PER SAPERNE DI PIÙ Farsi piacere. La costruzione del gusto (Raffaello Cortina Editore), di Emanuele Arielli.
NON GLI SCRIVEREI PIU'L’SMS DELLA BUONANOTTE MENTRE GUIDO. Carolina 1996 - 2016 TORNARE INDIETRO È IMPOSSIBILE. RESTA SULLA BUONA STRADA. Evitare distrazioni alla guida può salvarti la vita.
Scienza
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RAZZI! Senza di loro non avremmo la Stazione spaziale, il Gps, i satelliti meteo... Ma come sono fatti i “lanciatori”?
SLS 1B CREW (USA) IN SVILUPPO
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SHUTTLE (USA) RITIRATO SOYUZ FG (RUSSIA) 50
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ATLAS V (USA)
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re, due, uno... contatto. No, non è il countdown di un lancio, ma di un atterraggio. Siamo abituati ai razzi come a oggetti usae-getta: parte un colosso da centinaia di tonnellate tra un tripudio di fiamme e boati, mette in orbita un satellite o porta qualche astronauta sulla Stazione spaziale e il resto... si disintegra nell’atmosfera. Uno spreco tollerabile ai tempi della corsa alla Luna, quando l’importante era arrivare primi senza badare a spese. Ma oggi è diverso. Quello dei razzi, o meglio dei “lanciatori” (come li chiamano i tecnici), è ormai un mercato come altri, dove accanto alle
tradizionali agenzie spaziali nazionali o internazionali (come la Nasa americana e l’Esa europea) si sono inserite molte realtà private. Per esempio SpaceX, che ha realizzato (con la Nasa) il primo lanciatore privato in attività, Falcon 9, il cui sviluppo è costato un miliardo di dollari. A MARCIA INDIETRO. Il Falcon aveva però
un punto debole: ben 9 motori a propellente liquido che andavano persi, pure loro con tutto il resto, disintegrandosi durante il “solito” rientro in atmosfera. Da qui l’idea, rivoluzionaria: perché non recuperare o riciclare quel materiale? Da questo punto di vista, il 21 dicembre 2015 è una data storica per l’esplorazio-
PICCOLI, GRANDI, ENORMI. Lanciatori confrontati con le dimensioni dello Shuttle. Tutti in attività, tranne il Saturno V (ritirato) e l’Sls (in fase di realizzazione).
LUNGA MARCIA (CINA)
ARIANE 5 (EUROPA)
GSLV (INDIA)
DELTA IV HEAVY (USA)
Stefano Carrara
SATURNO V (USA) RITIRATO
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Stefano Dal Pozzolo/Contrasto
DENTRO... UN SILURO. All’Avio di Colleferro (Roma) si controlla l’interno di uno dei booster del razzo europeo Ariane 5.
ne spaziale: quel giorno il primo stadio di un Falcon 9 ha messo... la retromarcia e, 10 minuti dopo il lancio, grazie a un preciso sistema di guida e a motori che hanno rallentato la discesa, è atterrato morbidamente a 10 km da Cape Canaveral. «Se si considera che SpaceX sta progettando una versione più potente, con ben 27 motori», spiega Marcello Onofri, direttore del Centro ricerca aerospaziale della Sapienza Università di Roma, «sarà ancora più facile intuire perché scommettano sul “riutilizzabile”». I due tentativi successivi, a dire il vero, sono andati meno bene: in gennaio il razzo si è posato su una piattaforma ancorata in mare, ma una delle zampe di sostegno non si è aperta in modo ottimale. Il Falcon si è accasciato, incendiandosi. E anche il 4 marzo un tentativo analogo, sempre su una piattaforma al largo, non ha avuto successo. Si tratta di mettere a punto un sistema molto complesso di sistemi e di manovre, ma di certo a breve diventerà affidabile. La SpaceX ha già ottenuto una serie di record: ha sviluppato il primo razzo privato a propellente liquido che abbia raggiunto l’orbita terrestre bassa (Falcon 1, alimen-
50 La quantità di combustibile necessaria per mettere in orbita un carico da 1 kg.
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tato con ossigeno liquido e un tipo speciale di cherosene), ha realizzato la prima navicella privata che si è agganciata alla Stazione spaziale internazionale per una missione di rifornimento (la Dragon, nel 2012) e ora è stata la prima che ha riportato a terra lo stadio di un razzo. UNA SERRA SU MARTE. Alle spalle di que-
sta azienda c’è un visionario come Elon Musk, magnate americano che è stato tra i fondatori di PayPal, il celebre sistema di pagamento online, e di Tesla Motors, che produce autovetture elettriche di lusso. Appassionato di spazio, nel 2002 si mise in testa di riaccendere l’interesse su Marte, inviando sul pianeta una serra con semi e nutrienti per portarci la vita. Si accorse, così, che il problema principale non era far atterrare la serra, ma farla partire dalla Terra. E che “comprare” un razzo costruito da altri era costoso anche per lui. Così decise di farselo in casa, spendendo un terzo del denaro (e del tempo) che sarebbe stato necessario per un “dinosauro” come la Nasa. Oggi, in questo settore, Musk ha un obiettivo: ridurre in modo drastico i costi dei lanci, che per un Falcon 9 si attestano a poco più di 60 milioni di dollari. Significa che per ogni kg da inviare in orbita si spendono circa 5.000 euro. Che è, sì, una cifra inferiore rispetto agli altri lanciatori americani (e perfino al razzo low-cost cinese Lunga Marcia), ma che Musk ritiene si possa ridurre ancora molto (a meno della metà, se non a un decimo) con un razzo in buona parte riusabile. Solo così lo spazio sarà davvero accessibile. Per capire la portata di questa innovazione, bisogna però capire come funziona un razzo. Nonostante le dimensioni, si tratta di una macchina semplice, for-
The New York Times/Contrasto
Quello che ci portò sulla Luna era alto 90 metri: oggi violerebbe le norme di sicurezza
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ANDATA E RITORNO. Una foto a lunga esposizione del Falcon 9, lanciato e rientrato nel giro di dieci minuti a Cape Canaveral (Usa), lo scorso dicembre.
Il Falcon 9 di SpaceX è un vero successo: ha già 50 lanci prenotati
«Per le orbite basse, tra 160 e 2.000 km, quelle dove si collocano i satelliti per l’os servazione della Terra o la Stazione spa ziale, non serve una spinta straordina ria, basta un lanciatore piccolo», spiega Onofri. «Un esempio è Vega, realizzato col contributo dell’Agenzia spaziale ita liana, in grado di “piazzare” un satellite con un errore di 10 metri». Una precisio ne ottenuta grazie all’ultimo dei quattro stadi, che entra in funzione a circa 200 km di quota e controlla l’assetto del razzo al momento dell’inserzione in orbita. «Se invece bisogna collocare un satellite di diverse tonnellate in orbita geostazio naria, a 36.000 km dalla Terra, è neces sario avere un lanciatore di grande po tenza, come quelli impiegati per andare sulla Luna». Il Saturno V che “spingeva” gli Apollo, infatti, era un colosso alto più di 90 metri, come un palazzo di 35 piani. Se però oggi lo avessimo sulla rampa non potremmo lanciarlo, perché non rispet terebbe le norme di sicurezza: negli Anni ’60 si prendevano rischi che oggi non si accetterebbero...
Contrasto
VERSO LA LUNA E MARTE. Gps, meteo
mata da tre parti principali: la struttura (guscio, impianti ecc.), il carburante e il payload, cioè il carico “pagante” che è in grado di trasportare: satelliti, astronauti, esperimenti scientifici ecc. AZIONE E REAZIONE. Sorprenderà molti
sapere che quasi tutto il peso di un razzo è del carburante necessario per vincere la gravità terrestre. In un Ariane 5, per dire, ben il 97,5% della massa di parten za è rappresentato da propellente e an che per gli altri lanciatori i numeri sono simili: per ogni kg da portare in orbita, servono 50 kg di combustibile. È come se, per portare due passeggeri, un’auto 36 | Focus Aprile 2016
dovesse trascinarsi dietro 7 o 8 tonnella te di benzina! L’altra cosa sorprendente è che, mentre nel campo dei computer in 50 anni siamo passati da bestioni grandi come appartamenti a gioielli che stanno in una mano, per i razzi l’evoluzione non è stata così evidente. Quelli moderni non sono così diversi dai primi, il principio fi sico su cui si basano è sempre il classico di azione e reazione: si deve “sparare” un gas ad alta velocità attraverso un foro (l’ugello) in modo da procurarsi una spinta nella direzione opposta. Nonostante la fisica “semplice”, la ricet ta del razzo perfetto non esiste, ma varia a seconda della missione da svolgere.
rologia, osservazioni: se lanciare satelliti oggi è fondamentale per la nostra vita quotidiana, il sogno vero resta quello di riportare l’uomo al di là dell’orbita terre stre. Oltre ai progetti di SpaceX (come una versione della capsula Dragon che possa ospitare un equipaggio umano, spinta da un Falcon potenziato) c’è lo Space Launch System (Sls) della Nasa. Sarà il lanciatore più potente mai costrui to. Un progetto ambizioso, che procede a passi successivi: la prima versione, Sls Block 1, dovrebbe volare entro il 2018, senza equipaggio, ma con la capacità di collocare in orbita lunare una serie di sa telliti. Una seconda versione (1B) porte rà invece un equipaggio umano in orbita attorno al nostro satellite nel 2023. Poi sarà la volta della visita a un asteroide, catturato e portato sempre in orbita lu nare. Infine, tra una ventina d’anni, la Nasa ipotizza una missione umana verso Marte, con astronavi assemblate in orbi ta e spinte da propulsori nucleari. Meglio della fantascienza. Gianluca Ranzini
Salute
Morti di caldo Allergie, infezioni, malattie tropicali… Ecco come l’aumento della temperatura farà salire la febbre anche a noi.
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TORRIDE ESTATI. Tredici dei 14 anni più caldi
finora registrati si sono succeduti nel XXI secolo, rileva il quinto rapporto dell’Ipcc (il Gruppo
AFP/Getty Images
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a febbre del pianeta continua a salire. E di conseguenza anche la nostra, di febbre, rischia di far saltare il termometro. Le proiezioni più ottimistiche prevedono infatti che nel corso del XXI secolo le temperature medie dell’aria aumenteranno tra 1,8 e 4 °C, e questo cambiamento climatico, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, porterà con sé alcuni tra i più rilevanti problemi sanitari dei prossimi decenni. Ondate di calore, malattie tropicali, allergie e perfino cali di natalità. Le prime avvisaglie? Eccole.
intergovernativo sul cambiamento climatico). In Europa l’estate 2013 è stata la più torrida della storia contemporanea (almeno dal 1540), e, secondo le stime, ha causato fra 25mila e 70mila morti. Milano è la città più colpita: il database EuroHeat ha registrato nel 2013 un aumento medio del 33,6% della mortalità fra gli anziani per malattie respiratorie, infarti e ictus. Sempre secondo l’Ipcc, in futuro la frequenza e l’intensità di queste ondate di calore aumenteranno. ZANZARE TROPICALI. Questa storia è cominciata nel
AFA SULL’EUROPA. Giugno 2015: un uomo si abbronza davanti alla Cancelleria tedesca a Berlino. Le temperature stanno aumentando in tutta Europa: la media oggi è di 1,4 °C superiore a un secolo fa.
1990, quando, nelle acque contenute in pneumatici usati provenienti dagli Stati Uniti e dal Giappone, approdò in Italia l’Aedes albopictus o zanzara tigre. L’insetto può trasportare vari virus tra i quali Dengue, Zika (v. Focus n° 281), encefalite giapponese, Aprile 2016 Focus | 39
KILLER ALATO. Un esemplare di Aedes albopictus, la famigerata zanzara tigre, portatrice di malattie come Dengue e Zika. Sotto, il terreno spaccato dalla calura a Montpellier, in Francia.
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DOV’È L’ACQUA? Vista aerea del lago Starnberg, in Germania, ricoperto di polline nella primavera del 2015.
Potosi, Cache Valley, Chikungunya, febbre gialla. A fine luglio 2007 un romagnolo, di ritorno dal Kerala (in India), si presentò al medico con febbre alta, dolori a muscoli e articolazioni, eritema e disturbi gastrointestinali. Due giorni dopo due suoi parenti, mai usciti dalla Riviera, manifestavano gli stessi sintomi, e a fine settembre gli epidemiologi contavano 217 casi di infezione da Chikungunya, un virus trasmesso dalla zanzara tigre e fino a quel momento sconosciuto in Italia; dal 2007 apparentemente la malattia è stata debellata e nel nostro Paese non sono stati riportati casi autoctoni di Chikungunya. ZANZARE LOCALI. Anche le zanzare no-
Brutte notizie per gli allergici: le concentrazioni dei pollini questo secolo triplicheranno 40 | Focus Aprile 2016
strane come la Culex possono trasformarsi in vettori virali di infezioni dei climi caldi. Nel 2008, lungo il delta del Po tra Ferrara e Rovigo, otto persone furono ricoverate con meningiti o encefaliti, gravi malattie neurologiche che gli esami attribuirono al virus del Nilo Occidentale. L’anno successivo i ricoveri salirono a 18 e il virus risalì il Po fino alla provincia lombarda di Mantova. Da allora la malattia ha continuato a espandersi: nel 2015 si sono registrati ben 60 casi che hanno toccato il Piemonte, con infezioni sporadiche anche in Basilicata, Puglia, Sardegna e Friuli. Piccoli nume-
una muffa che produce aflatossine, cioè tossine che resistono alla cottura e che, secondo l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (Iarc), sono cancerogene per fegato, reni, tratto digestivo e polmone. Le tossine contaminano il mais e se quest’ultimo è usato per nutrire gli animali passano nel loro latte. Quell’anno il 45,3% del mais conservato in Veneto, Lombardia, Piemonte, Emilia-Romagna, Friuli-Venezia Giulia da 107 imprese con attività di essiccazione e stoccaggio era inquinato da aspergillo con tassi di oltre 20 ppb (2 grammi per mille quintali), il massimo consentito in zootecnia e dieci volte il limite ammesso per l’alimentazione umana. Il 2014 è stato invece l’anno delle fusariotossine, sempre prodotte da funghi e classificate dallo Iarc come possibili cancerogeni. MENO CULLE. Il National Bureau of Eco-
ri? Di fatto, è diagnosticato soltanto l’1% dei casi, quelli più gravi. L’80% delle infezioni è senza sintomi e nel resto dei casi si manifestano soltanto disturbi simili a quelli dell’influenza. Sessanta casi censiti rappresentano circa 6.000 infezioni. STARNUTI PRIMAVERILI. Nel libro Clima
e salute (Il Pensiero Scientifico Editore), Paola Michelozzi, epidemiologa della Regione Lazio, predice che aumenteranno i casi di asma e riniti allergiche dovuti ai cambiamenti in distribuzione, stagionalità e produzione di pollini. E avverte che si stanno già manifestando «alterazioni della produzione stagionale dei pollini, in particolare in estate e nelle specie a fioritura tardiva». Oggi è allergico il 20% della popolazione, ma il tasso prevedibilmente aumenterà. Il riscaldamento del clima, infatti, non soltanto allunga la bella stagione, anticipando le fioriture e facendole durare più a lungo, ma accresce anche la quantità di polline prodotta dalle piante, che è influenzata dalle concentrazioni di anidride carbonica in atmosfera. Due anni fa, ricercatori di Harvard e dell’University of Massachusetts, entrambe negli Stati Uniti, hanno coltivato in laboratorio una graminacea, il fleo (Phleum pratense), e l’hanno fatto sia in ambienti con concentrazioni di anidride carbonica simili
a quelle attuali sia nelle condizioni che si prevedono per il futuro. I ricercatori hanno dimostrato che più aumenta la quantità di anidride carbonica, più crescono e si riproducono le piante: ogni fiore produce il 53% di polline in più. «Stimiamo che le concentrazioni di polline nell’aria aumenteranno del 200%», scrivevano gli scienziati sulla rivista scientifica Plos, riferendosi al 2100. ATTENTI AL CIBO. Negli ultimi 60 anni la
temperatura media in Italia è salita di 0,4 °C al Nord e di 0,7 °C al Sud. La temperatura ideale a cui si moltiplicano molte colonie batteriche dannose per l’uomo sta fra i 36 e i 37 °C. E così, a partire dal 2008, le infezioni alimentari, che fino ad allora erano diminuite, si sono prese la rivincita. Secondo l’ultimo rapporto europeo relativo ai dati del 2014, l’Italia è al secondo posto in Europa per aumento di focolai da Campylobacter, Listeria e Salmonella. Si stima che nel nostro Paese ci siano circa 200mila infezioni all’anno da Campylobacter e 2.000 da Salmonella. Non solo. Il 13 agosto 2012, il Gruppo di lavoro micotossine ha avvertito: «Alcune analisi micologiche condotte in quest’ultimo periodo su spighe di mais hanno permesso di osservare Aspergillus in quantità molto più alte di quelle normalmente rilevate». L’Aspergillus è
nomic Research ha analizzato il tasso di nascite negli Usa fra il 1931 e il 2010 e ha scoperto che i circa 31 giorni l’anno in cui la temperatura superava i 26,6 °C erano seguiti, 8-10 mesi dopo, da una riduzione della natalità dello 0,4%. E in Italia? Nel 2015 il calo della natalità è stato del 3% rispetto all’anno precedente, con 15mila nati in meno. Le cause sono principalmente socio-economiche, ma a queste si aggiungono le modifiche dei liquidi seminali: i dati sui donatori di seme alle banche francesi Cecos degli ultimi 34 anni dimostrano che la conta spermatica è passata da 443 a 300 milioni di spermatozoi. E l’équipe di andrologia e medicina della riproduzione del policlinico di Padova conferma. C’è stata una progressiva riduzione del 15% di spermatozoi anche nelle donazioni italiane degli ultimi 15 anni, forse correlata al cambiamento climatico: in altre parole, quando la temperatura media sale oltre i 27 °C la fertilità, sostengono alcune ricerche, si riduce.
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Amelia Beltramini
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Il calo della natalità in Italia nel 2015 rispetto all’anno precedente. Il caldo potrebbe esserne una concausa.
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Getty Images, elaborazione Chiara Sacndurra
Tecnologia
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FACCIA FUTURA. Lo specchio che mostra come saremo da anziani: per ora è solo un concept, ma i software di invecchiamento esistono già.
Specchio delle mie brame
Ora diventa intelligente: ci mostra come staremo con un vestito (o naso) nuovo. E controlla la nostra salute.
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pecchio, specchio delle mie brame, rischio un infarto nelle prossime settimane? Si è aggiornato, lo specchio magico della matrigna di Biancaneve. Ma la versione 2.0 non prevede incantesimi: grazie a un cuore tecnologico – sensori di movimento, videocamere, chip, altoparlanti – sta nascendo una nuova generazione di specchi in grado di dare informazioni di ogni genere: gli impegni del giorno, il traffico, le previsioni meteo. Grazie ad algoritmi capaci di interpretare la nostra immagine riflessa, possono mostrarci come staremo con un nuovo vestito, una pettinatura diversa, un naso rifatto. E presto riusciranno anche a monitorare la nostra salute e a svelare che faccia avremo fra dieci o vent’anni.
Gli specchi di vetro tradizionali sono nati nel 1500 a Venezia, dove si scoprì come sovrapporre una lastra di cristallo a fogli di stagno e mercurio. Nel 1835 il chimico Justus von Liebig creò lo specchio moderno, ricoprendo d’argento metallico una superficie di vetro. Da allora, lo specchio non ha subìto grandi rivoluzioni. CRAVATTA. Ma da pochi anni si è aperta
una nuova era, nata dal connubio fra i vetri riflettenti e l’elettronica. Questa nuova tecnologia – gli “smart mirror”, specchi intelligenti – ha esordito nel 2012, quando Microsoft presentò a Las Vegas, al Consumer Electronics Show, il primo specchio elettronico. Un tecnico si specchiava davanti al monitor, uno schermo a cristalli liquidi da 50 pollici dotato di
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DONNA BAFFUTA. Una donna vede come starebbe con i baffi sul “Future mirror” della Panasonic, che simula in tempo reale trucchi e acconciature. Qui sotto, una schermata di “Wize mirror”, lo specchio che monitora il rischio di infarto e obesità.
Getty Images/Flickr RF, elaborazione Chiara Scandurra
videocamera che lo riprendeva, riprodu cendo così la sua immagine. Muovendo le braccia sceglieva una giacca e una cravat ta, visualizzate ai bordi dello schermo: le spostava davanti a sé e, “magicamente”, gli calzavano addosso. Bastava un altro gesto del braccio per cambiare modello o colore. Il monitor non era solo un maxi tablet: un rilevatore di movimento Ki nect recepiva i comandi gestuali e i chip sovrapponevano l’immagine digitale dei vestiti a quella ripresa dalla videocame ra. Insomma, era uno specchio a “realtà aumentata”. La strada era tracciata: da allora i prin cipali produttori (Lg, Toshiba, Samsung, Sharp) hanno realizzato specchi con pre stazioni simili. E con “Future mirror”, Panasonic ha aggiunto una funzionalità estetica: il suo monitor, dotato di video camere ad alta risoluzione, evidenzia le imperfezioni della pelle (pori, rughe,
COSA C’È DIETRO LO SPECCHIO Non solo chip per elaborare dati: gli specchi intelligenti possono celare anche molti altri strumenti per studiarci e recepire i nostri comandi. Ecco quali sono: il “Wize mirror” li ha tutti.
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Videocamere multispettro: rilevano le lunghezze d’onda invisibili a occhio nudo (infrarosso, ultravioletto).
Led: emettono luce bianca o ultravioletta. Videocamera ad alta risoluzione: inquadra chi vi sta davanti, proiettandone l’immagine.
Il retrovisore? È già intelligente
Bloomberg via Getty Images
SOVRIMPRESSIONE. Non tutti gli specchi intelligenti sono in fase di studio: la loro versione ridotta, i retrovisori per auto, sono già sul mercato. I più diffusi (prezzi: dai 120 ai 700 dollari) sono gli specchietti dotati di sistema operativo Android. Sono una via di mezzo fra uno smartphone e uno specchio: piccoli schermi tattili (da 5 pollici in 16:9) dotati di wi-fi, bluetooth, gps. Fanno vedere quanto accade alle spalle del guidatore, visualizzando “in sovrimpressione” il navigatore stradale di Google Maps o altre app. Se si collegano a una videocamera posteriore, aiutano a far manovra e mostrano il traffico in arrivo quando la visuale è ostruita. Se collegati a una videocamera anteriore, invece, possono videoregistrare (su scheda di memoria) quanto accade, fornendo una documentazione preziosa in caso di incidenti stradali.
brufoli) e consiglia il trattamento più indicato, mostrando il risultato virtuale di un cambio di trucco o di acconciatura. Ma tutti questi dispositivi sono rimasti prototipi. Finché l’anno scorso MemoMi Labs, una startup di Palo Alto, California, ha messo in commercio il “Memory mirror”: uno specchio di 55-70 pollici con display Oled (diodi organici che emettono luce) capace di offrire una simulazione realistica di una prova d’abito. COME STO? Basta avvicinarsi al moni-
tor con un capo di abbigliamento, dotato di etichetta elettronica, e subito appare l’immagine digitale sullo schermo, su cui campeggia il cliente (ripreso da una videocamera esterna): basta un gesto per “indossare” virtualmente il vestito, vedendo come sta in diversi colori e modelli. Lo specchio memorizza le foto delle prove, e mostra come appare il ve-
Microfono: recepisce i comandi vocali. Altoparlanti: emettono suoni e voci artificiali.
stito da ogni punto di vista possibile, a 360°. Registrandosi col cellulare, i clienti possono ricevere e condividere le foto in posa con l’abito. L’idea è venuta a uno dei fondatori della società, Salvador Vilcovsky, quando studiava design della moda alla Domus Academy di Milano. «Pochi entrano nei camerini a provare un vestito; a volte sono sporchi, disordinati e bui. E fanno perdere tempo», ha raccontato. LUSSO. Lo specchio, del quale i creatori
non svelano il prezzo, è stato installato nelle catene di abbigliamento di lusso Neiman Marcus e Rebecca Minkoff negli Usa. E i risultati sono promettenti: «I tempi di prova dei vestiti sono dimezzati, e le vendite sono aumentate del 30%», dicono. Quest’anno gli specchi intelligenti saranno installati in una gioielleria, in un’industria cosmetica e in una fabbrica di occhiali. Ma gli sviluppi possibili sono più ampi: «Vogliamo trasformare questo sistema in un’applicazione per la tv. Così tutti potranno scegliere un abito stando a casa», svela Vilcovsky. Il cuore della tecnologia, infatti, non è lo schermo bensì il software, capace di elaborare l’immagine 3D del cliente, correggendo le distorsioni prospettiche, e di cambiare lo sfondo. Il sistema potrebbe rivoluzionare la vendita di vestiti online: anche eBay sta sviluppando un assistente interattivo agli acquisti. «La prossima frontiera? Migliorarne la resa grafica, la luminosità, la velocità nell’elaborare le informazioni», dice Emanuele Ruffaldi, ricercatore di roSensore di movimento e profondità: rileva comandi gestuali e fa scansioni 3D del corpo.
botica percettiva alla Scuola Sant’Anna di Pisa. L’altra sfida è abbassare i prezzi: oggi, un monitor touchscreen da 42’ costa sui 3mila euro e non ha superficie riflettente né rilevatori di movimento. BATTITI. Gli specchi intelligenti, comun-
que, non rivoluzioneranno solo gli acquisti: potrebbero aiutarci a controllare la salute e a mantenerci in forma. Un ricercatore di 33 anni del Mit, Ming-Zher Poh, ha creato un algoritmo capace di dedurre il battito cardiaco analizzando la luminosità del viso. Infatti, quanto più sangue è pompato nelle vene, tanto meno il viso riflette la luce: per misurare il battito cardiaco, quindi, basta analizzare le variazioni di luminosità del volto con una videocamera. Così Poh ha lanciato il progetto “Medical mirror”: uno schermo Lcd con videocamera integrata. Basta starci davanti per 15 secondi e appare la misura del battito cardiaco. Il sistema, ancora in fase di test, è promettente: il margine di errore è di soli 3 bat-
La prova virtuale degli abiti farà crescere le vendite online Sensore di gas: fa un’analisi chimica dei gas emessi con il respiro.
Termometro a infrarossi: rileva la temperatura corporea.
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Uno specchio del Cnr di Pisa predice i rischi d’infarto e di obesità titi al minuto. Nel frattempo Poh ne ha lanciata una versione per smartphone, “Cardiio” (è un’app per iPhone). In Italia, però, ne sta nascendo una versione più evoluta: il “Wize mirror”. Uno specchio capace di tenere sotto controllo il rischio di malattie cardio-metaboliche: infarto e obesità. Il progetto coinvolge 7 Paesi europei (Italia, Francia, Spagna, Grecia, Norvegia, Svezia, Regno Unito) guidati dagli istituti di Fisiologia clinica e di Scienza e tecnologie dell’informazione del Cnr di Pisa; costa 5,3 milioni di euro, di cui 3,8 finanziati dall’Ue. VOLTI RIVELATORI. I ricercatori, guidati
da Sara Colantonio, sono partiti nel 2012 da una constatazione: oggi esistono molti apparecchi indossabili per monitorare la salute (contapassi, braccialetti, orologi, occhiali), ma gli utenti smettono di usarli dopo 6 mesi. «Occorre uno strumento meno invasivo», dice Giuseppe Coppini, coordinatore scientifico del progetto. «E cosa è meglio di uno specchio? Un sondaggio Aol/Today negli Usa ha svelato che le donne passano davanti allo specchio 55 minuti al giorno (gli uomini 39): è un’abitudine radicata». Pur nella sua carica innovativa, «il “Wize mirror”
Rex/Olycom
SU IL MORALE. “Hai un aspetto favoloso oggi”: messaggio di uno specchio all’Ikea di Wembley (Uk).
è un ritorno alla medicina tradizionale, per la quale il volto è una miniera di informazioni sulla salute d’una persona», aggiunge Maria Aurora Morales, coordinatrice clinica. Grazie a vari sensori, studiando il volto di chi vi si pone di fronte, lo specchio può fare, in un paio di minuti, un check-up che rivela il battito cardiaco, l’eccesso di colesterolo o di zuccheri, lo stress (v. schema qui sotto). INDICE. Lo specchio, poi, fa anche altri
due esami un po’ più lunghi (5 minuti): grazie a un phon incorporato, riscalda la pelle con un getto di aria calda; e con una videocamera misura le variazioni del flusso di sangue, che mostra l’efficienza del tessuto endoteliale dei vasi. Se l’endotelio è alterato, si rischiano trombosi e infarto. L’altro esame è quello del respiro: soffiando in un tubicino estraibile, alcuni sensori rilevano le sostanze legate al consumo di tabacco e alcol. Il risultato di questi esami è un “indice di benessere”: un punteggio da 1 a 100 sugli indicatori fisici, emozionali e di stili di vita. Se l’indice è inferiore a 50, lo specchio darà consigli mirati: “dormi di più”, “fai più moto”, “mangia meno grassi o zuccheri”. Il progetto è a buon punto: a maggio sa-
COSA VEDE LO SCHERMO DELLA SALUTE LUMINOSITÀ DEL VOLTO. Le variazioni rivelano la frequenza del battito cardiaco: se è alta può indicare stress, o essere sintomo di anemia o disfunzioni della tiroide. COLORE DELLA PELLE. Può indicare l’accumulo di colesterolo, gli eccessi di zuccheri, anemia, itterizia, pletora (aumento della massa di sangue).
OCCHIO. Un arco intorno alla cornea o depositi di grasso intorno agli occhi segnalano eccessi di colesterolo. FORMA. Il cambio di forma del volto dice se una persona sta ingrassando. ESPRESSIONI. Mimica facciale e colorito rivelano se si è stressati, ansiosi, affaticati.
ranno pronti 3 prototipi da 46’’. Saranno testati per 3 mesi su 60 volontari per validare l’efficacia delle misure. Il “Wize mirror” sarà pronto a fine anno: «poi cercheremo partner industriali per produrlo», dice Colantonio. «I primi costeranno sui 5mila euro e avranno un mercato limitato a centri benessere e farmacie. E comunque stiamo pensando a una versione più piccola, da tenere in borsetta». Questo specchio aiuterà davvero a tenerci in salute? «È una sfida interessante ma vedo molti ostacoli da superare», risponde Eugenio Santoro, responsabile del laboratorio di informatica medica all’istituto Mario Negri di Milano. «I parametri registrati dallo specchio dovrebbero avere la stessa accuratezza di quelli ottenuti con gli strumenti di laboratorio: e non è scontato, dato che le misure sono fatte in casa e non in condizioni controllate. Il campione su cui si testa lo strumento è piccolo, ed è tutto da verificare che questo specchio riesca a modificare gli stili di vita di chi lo userà. I problemi da risolvere sono tanti: mi auguro che ci riescano». CONCEPT. Intanto all’Institute of Inte-
raction Design di Copenaghen (Danimarca) si sono spinti oltre, almeno con l’immaginazione. Alcuni studenti hanno ideato il “Future self mirror”, uno specchio capace di raccogliere dati biometrici da orologi, cellulari, braccialetti, e di elaborarli con un algoritmo, ricostruendo quale faccia avrà, fra 10 o 20 anni, chi vi si specchia. Per ora è solo un concept, anche se la tecnologia (i software di invecchiamento) esiste già: la sfida è renderla alla portata di tutti. Ma chi comprerebbe uno specchio che invecchia? La matrigna di Biancaneve sicuramente no. Vito Tartamella
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Altri tre, oltre ai tre milioni di pazienti, che hanno usato il trattamento lnvisalign.
lnvisalign ha trasformato i sorrisi di molte persone nel mondo. Questa significa che tante persone hanno scelto un trattamento trasparente, confortevole e rimuovibile. Un modo quasi invisibile di allineare i denti e il sorriso con fiducia. Sei pronto ad unirti a loro? Trova un Invisalign Provider vicino a te su invisalign.it Autorizzazione del 14 settembre 2015. E’ un dispositivo medico CE. Leggere attentamente le avvertenze o le istruzioni per l’uso.
Iniziative Prisma
IN ORBITA. La Stazione spaziale Iss. L’astronauta Umberto Guidoni (sotto) descriverà le sue esperienze nello spazio. Agli incontri dedicati al clima ci saranno invece i ricercatori del Cnr e i meteorologi dell’Aeronautica Militare.
A SPASSO CON nello spazio (e lungo l’Italia) Esplorazione del cosmo, cambiamenti climatici, ambiente... Tra aprile e novembre faremo tappa in 10 città italiane con i migliori ricercatori e specialisti per scoprire e capire i temi più “caldi” del 2016. Venite con noi.
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U
mberto Guidoni, primo astronauta europeo sulla Stazione spaziale internazionale, ci farà visitare la Iss, ricostruita in realtà virtuale. I meteorologi dell’Aeronautica Militare ci spiegheranno perché il tempo sulle nostre regioni è così variabile e capriccioso. I glaciologi, i fisici dell’atmosfera e i geologi del Cnr illustreranno gli effetti dell’attività umana su clima e ambiente. Gli specialisti dell’Agenzia Spaziale Italiana parleranno dei nuovi mestieri legati all’esplorazione del cosmo. I responsabili della European Space Agency racconteranno in presa diretta l’avventura di ExoMars, la nuova spedizione su Marte... Focus parte per uno straordinario giro d’Italia “dal vivo”: dieci tappe (e 20 appuntamenti) tra aprile e novembre in altrettante città della Penisola. DUE EVENTI. Il tour si svolge nell’ambito di Panorama d’Italia, l’iniziativa “on the road” che il newsmagazine Mondadori da tre anni porta, con grande successo, lungo la Penisola. Due saranno gli eventi organizzati da Focus ad ogni tappa, il primo dedicato ai viaggi nello spazio e l’altro all’interazione tra uomo, clima e ambiente: temi che, secondo noi, sono tra i più affascinanti e “caldi” di questo 2016. IN IMMERSIONE. Agli appuntamenti di Focus, che sono gratuiti, siete tutti invitati a partecipare, cari lettori. Per essere sicuri di trovare posto dovrete semplicemente iscrivervi via web su www.focus.it/ partecipa. Riceverete anche le istruzioni per scaricare la app Focus VR: insieme con il visore “cardboard” che regaleremo ai partecipanti, vi permetterà di vivere anche in realtà virtuale le esperienze illustrate dai nostri relatori durante gli incontri.
Arrivederci a tutti l’1 aprile a Genova. Jacopo Loredan
Il calendario del tour In 10 tappe da marzo a novembre, Panorama attraverserà l’Italia da Nord a Sud, coinvolgendo eccellenze locali e ospiti prestigiosi moderati dalle firme del giornale. Per quattro giorni ogni città accoglierà un calendario ricco di appuntamenti. 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10
GENOVA: 30 marzo-2 aprile (Focus 1 e 2 aprile) MACERATA: 20-23 aprile (Focus 22 e 23 aprile) PERUGIA: 11-14 maggio (Focus 13 e 14 maggio) PADOVA: 8-11 giugno (Focus 10 e 11 giugno) RAVENNA: 29 giugno-2 luglio (Focus 1 e 2 luglio) COSTIERA AMALFITANA: 7-10 settembre (Focus 9 e 10 sett.) CAGLIARI: 28 settembre-1 ottobre (Focus 30 sett. e 1 ottobre) MILANO: 16-22 ottobre MANTOVA: 9-12 novembre (Focus 11 e 12 novembre) TRAPANI: 23-26 novembre (Focus 25 e 26 novembre)
E IN PIÙ... VOLUMI E PREMI Panorama d’Italia è fatta di conferenze, interviste, eventi e concerti nelle città del tour: trovate il programma completo su www.panoramaditalia.it. In cartellone anche iniziative per i giovani e le scuole. 100 LIBRI PER LA MATURITÀ. Panorama donerà mille volumi a 10 scuole italiane, grazie al supporto della Mondadori, che metterà a disposizione grandi classici adatti ai maturandi di qualunque istituto. Per vincere basterà rispondere nella maniera più originale alla domanda: “Qual è il tuo libro preferito e perchè vorresti lasciarlo in eredità alla tua scuola?”. Il regolamento per partecipare è su www.panorama.it/ panoramaditalia2015/chi-siamo2015/100-libri-per-una-scuola/ SOSTENIAMO LE START UP. “90 secondi per spiccare il volo” è il concorso che premierà, in ogni città, la migliore start up con una speciale “cassetta degli attrezzi” con strumenti e risorse digitali per sviluppare l’attività. Basterà candidarsi con un video di massimo 90 secondi che Panorama pubblicherà sul suo sito.
Direttore
Loskutnikov/Shutterstock
UN GIRO IN REALTÀ VIRTUALE Il “cardboard” e la app Focus VR, progettata con l’industria digitale ETT Solutions. I partecipanti potranno scaricare sullo smartphone il software (Android e iOS) e inserendo il cellulare nel visore, che regaleremo all’evento, viaggiare nello spazio e vivere gli eventi climatici in realtà virtuale.
PER PARTECIPARE La partecipazione agli incontri di Focus, e a tutte le iniziative di Panorama d’Italia, è gratuita. Per trovare posto iscrivetevi su
www.focus.it/partecipa Dopo l’iscrizione riceverete una mail con la conferma e tutte le istruzioni necessarie.
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Mistero
Stonehenge, cosa c’è sotto
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Andrew Testa/The New York Times/Contrasto
Il celeberrimo cerchio di pietre è attorniato da una rete di monumenti sepolti. Che nuovi studi cercano di portare in superficie.
TRA I GIGANTI DI PIETRA. Il sito di Stonehenge, in Inghilterra. È al centro di un’area ricca di ritrovamenti archeologici.
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GIGANTI SEPOLTI. Superhenge si na-
sconde, un metro sotto terra, con una serie di megaliti disposti a ferro di cavallo intorno a una depressione naturale chiamata Durrington Walls (v. cartina a destra). Dovrebbero essere 90, ognuno grande come un fuoristrada (5 m d’altezza, 1,5 di larghezza e 1 di spessore): una trentina sarebbero ancora intatti, degli altri sarebbero rimasti solo frammenti o le enormi fosse di fondazione. Il condizionale è d’obbligo, perché quello che si vede recandosi sul posto non è un recinto di guardiani di pietra ma soltanto una gigantesca arena circolare di 500 metri di diametro, leggermente infossata. I megaliti si trovano infatti ancora sottoterra, dal momento che gli scienziati del Progetto Stonehenge Hidden Landscapes non hanno usato pala e piccone per svelarne l’esistenza,
ma sofisticate tecnologie: il georadar, uno strumento che “vede” fino a 3 m di profondità; e il magnetometro Gps-guidato, i cui sensori possono individuare le variazioni del campo magnetico, segnalando la presenza di strutture sotterranee. «Siamo di fronte al più grande monumento in pietra superstite, uno dei principali in Europa. Ed è stato sotto il nostro naso per 4mila anni», ha dichiarato eccitato Vincent Gaffney, archeologo e docente dell’Università di Bradford, che guida la ricerca. «Pensiamo che non ci sia niente di simile al mondo. Si tratta forse di un’arena rituale di dimensioni straordinarie». A differenza dei megaliti di Stonehenge, però, quelli di Superhenge si troverebbero in posizione orizzontale: gli archeologi credono che le genti che si insediarono lì, per ignoti motivi, li abbiano fatti cadere e coperti di terra. ANTICHI RITUALI. Il monumento, azzar-
dano gli scopritori, poteva contare fino a 200 megaliti, disposti “in piedi” a delineare il grande spiazzo di fronte al fiume Avon. E chi può dire che le 110 pietre che ora mancano all’appello non possano essere state riutilizzate per costruire Stonehenge? «La comprensione di questa zona, nel suo insieme, è stata rivoluzionata dalla nostra indagine: ormai, grazie anche alle altre evidenze archeologiche, siamo sempre più convinti che si trattasse di un grande complesso liturgico, che includeva Stonehenge», dice Gaffney. I megaliti sepolti di Durrington Walls non sono infatti i soli a essere finiti nella mappa 3D del sottosuolo (v. riquadro), compilata dai ricercatori dopo 4 anni di studio. Tra pozzi, canali, luoghi di sepoltura, fossati, cumuli artificiali e segni di antiche costruzioni, esisterebbero prove di 17 monumenti neolitici precedentemente sconosciuti e ancora sepolti, risalenti all’epoca in cui Stonehenge aveva raggiunto la sua forma attuale. Eppure queste scoperte hanno generato, oltre che meraviglia, anche scetticismo. Soprattutto da parte degli archeologi più tradizionalisti, gli Indiana Jones “pala & piccone”. «In fin dei conti, le pietre attualmente non sono ancora pietre», ha affermato pragmatico al New York
Rilevati gli indizi di un cerchio ancora più imponente 1 metro sotto terra: “Superhenge” 54 | Focus Aprile 2016
UNA METROPOLI NASCOSTA La mappa digitale dell’area creata dal progetto Stonehenge Hidden Landscapes. Mette in evidenza i rilievi e le strutture sotterranee. I principali siti noti, descritti nel riquadro. Strutture sepolte identificate con radar e magnetometri.
CURSUS. È un fossato lungo circa 3 km e largo 100-150 metri, che corre da est a ovest. Fu scavato tra il 3630 e il 3375 a.C. Quando fu scoperto, nel XVIII secolo, venne scambiato per una strada romana e ricevette il nome latino di “cursus”. Tuttora se ne ignora la precisa funzione. STONEHENGE. È il più famoso monumento della preistoria britannica. Venne costruito in fasi successive, dal 3100-2900 a.C. (quando furono realizzati il fossato circolare e il terrapieno) al 2400 a.C. Poi venne abbandonato intorno al 1600 a.C. Molti megaliti sono stati spostati e rimaneggiati in epoca vittoriana e nella prima metà del ’900.
LBI for Archaeological Prospection & Virtual Archaeology Ludwig Boltzmann Gesellschaft GmbH
S
otto un cielo nuvoloso, in mezzo a campi punteggiati di ranuncoli, margherite e pecore, sbucano all’improvviso nella piana di Salisbury le enormi pietre di Stonehenge. Siamo nella contea del Wiltshire, nell’Inghilterra Sud-occidentale, una zona tranquilla e anonima a cui gli enigmatici megaliti hanno regalato notorietà imperitura. Stonehenge, con i suoi massi disposti ad anello più di 4.500 anni fa, è infatti il sito neolitico più celebre del mondo, la cui fama si accresce ogni volta che nuovi studi rimettono in discussione tutte le ipotesi precedenti su origini e scopi dell’area. Era un cimitero o un osservatorio astronomico? Un santuario della preistoria o un gigantesco calendario di pietra? Qualsiasi cosa sia stata Stonehenge, di sicuro quello che vediamo oggi è solo la punta dell’iceberg. I megaliti sono infatti al centro di un complesso molto più ampio: a meno di 3 km da qui, pochi mesi fa è stata individuata una sorta di Stonehenge 2 – Superhenge – cinque volte più imponente della versione numero 1. Mentre all’inizio di febbraio sono venute alla luce le sepolture di uomini e donne cremati. Che risposte ci stanno dando questi ritrovamenti?
Andrew Testa/The New York Times/Contrasto
LA PORTA D’INGRESSO. Il nuovo visitor center di Stonehenge, inaugurato nel 2013. Si vedono alcune capanne ricostruite che riproducono un antico villaggio neolitico.
DURRINGTON WALLS. È il sito di un villaggio abitato tra il 2600 e il 2400 a.C. In base agli scavi archeologici, gli esperti credono che possa trattarsi del più grande insediamento neolitico del Nord Europa. WOODHENGE. Questo monumento circolare in legno venne identificato durante una ricognizione aerea nel 1925, nei pressi di Durrington Walls. Costruito intorno al 2600-2400 a.C., era costituito da una sepoltura centrale, circondata da anelli concentrici di pali di legno, da un fossato e da un terrapieno largo circa 85 metri. SUPERHENGE. Le immagini del georadar e del magnetometro mostrano le tracce sepolte di quello che potrebbe essere un enorme monumento a forma di ferro di cavallo, costituito da almeno 200 megaliti (ne rimarrebbero però solo 90). AVENUE. È l’antica strada che percorreva la piana di Salisbury e unisce, per 3 km, il fiume Avon e il sito di Stonehenge. Venne costruita tra il 2600 e il 1700 a.C. in modo tale che per una parte del suo percorso risultasse allineata al sorgere del Sole il giorno del solstizio d’estate. BLICK MEAD. Accampamento preistorico frequentato dai primi Britanni fin dal IX-VIII millennio a.C. È ritenuto la culla di Stonehenge e pare che sia stato abitato almeno fino alla fine del quarto millennio a.C.
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Stonehenge potrebbe essere una “città dei morti”, costruita nei pressi di quella “dei vivi”
Adam Stanford/Aerial Cam
RICERCHE METICOLOSE. Una campagna di scavi nei pressi di Stonehenge. Qui gli archeologi stanno portando alla luce una casa del Neolitico.
DOVE ERANO LE ANTICHE CAVE? IN GALLES RICICLATE. Stonehenge potrebbe essere un monumento “di seconda mano”. L’ipotesi è di un team di archeologi diretti da Michael Parker Pearson, che nel dicembre scorso ha individuato in Galles due cave di bluestones, le pietre azzurrognole che costituiscono il cerchio interno di Stonehenge. «Sapevamo quali fossero le aree di origine delle rocce, ma è stato entusiasmante scoprire le cave vere e proprie sulle colline di Preseli, a 290 km dalla piana di Salisbury», dice Parker Pearson. I segni rinvenuti sulla parete di pietra corrisponderebbero alla forma e alla struttura dei megaliti del sito inglese. Ma c’è un dato che non torna: risalgono al 3400-3200 a.C., mentre a Stonehenge non furono piazzati prima del 2900 a.C. «È improbabile che siano serviti 5 secoli per trascinarli fin lì: è più credibile che le bluestones siano state prima utilizzate per un monumento nella zona, poi “smontate” e trascinate nel Wiltshire», afferma l’archeologo.
Times Michael Parker Pearson, docente all’University College di Londra. Convinto che ricercatori e georadar siano stati ingannati da grandi buche piene di gesso, l’archeologo inglese conta solo sulle prove materiali. Come i resti del villaggio neolitico che lui stesso ha scavato 10 anni fa a Durrington Walls: 13 abitazioni risalenti al 2600-2400 a.C. dove potrebbero aver vissuto i costruttori di Stonehenge. E dove potrebbero essersi riunite, in particolari occasioni, genti provenienti da lontano per celebrare riti intorno a quei cerchi di pietre. UN LUOGO MAGICO. Tutte le ipotesi
portano sempre nella direzione del sito come luogo rituale. Ma perché proprio lì? Cos’aveva di magico quel punto del56 | Focus Aprile 2016
la piana di Salisbury? Gli esperti cercano invano la risposta da anni. Si sa solo che lì, anche millenni prima della costruzione dei monumenti circolari, i primi Britanni svolgevano i loro rituali. Sembrano suggerirlo tre “nuove” buche scoperte a Stonehenge: chi frequentava quella zona, dicono gli esperti, vi piantò dei totem, enormi travi di legno datate all’8820-6590 a.C. E alla stessa epoca appartengono le tracce di pasti a base di carne di cinghiale, cervo e uro (un bovino della preistoria) e i numerosi strumenti in selce che David Jacques, ricercatore della University of Buckingham, ha rinvenuto nell’accampamento preistorico di Blick Mead, a circa 1,5 km da Stonehenge. Le datazioni eseguite con il metodo del radiocarbonio
e la più recente scoperta di un rifugio con pareti di fango e il tetto di pelli (una delle primissime “case” inglesi) suggeriscono che il sito sia stato occupato per diversi millenni, tra il 7550 e il 4300 a.C. «La zona era un punto di snodo per persone che venivano da molto lontano. Erano i primi britannici: abbiamo trovato la culla di Stonehenge», ha dichiarato Jacques. Tutto chiaro dunque? Niente affatto: la vera natura di Stonehenge resta ancora un mistero. Infittito dall’imbarazzante, anche se benintenzionato, rimaneggiamento moderno del sito. Molte pietre sono state raddrizzate o spostate e la loro disposizione originale doveva essere molto diversa da quella attuale: impossibile verificarne l’allineamento astronomico per supportare l’ipotesi che il sito fosse un osservatorio. LOURDES D’EPOCA. Secondo un’altra
teoria, Stonehenge era una sorta di santuario. Dice una leggenda che le cosiddette bluestones, le pietre di origine vulcanica che formano il semicerchio interno di Stonehenge, avrebbero avuto magici poteri curativi. Seguendo queste suggestioni Timothy Darvill, archeologo e docente alla Bournemouth University, ha ipotizzato che il monumento fosse una specie di santuario di Lourdes della preistoria al quale gli uomini dell’epoca si rivolgevano per cercare un balsamo alle proprie sofferenze. Parker Pearson resta invece convinto che, tra le immense pietre, i preistorici onoravano i propri antenati e seppellivano i membri più importanti del gruppo, come dimostrerebbe la presenza, intorno al monumento circolare, di numerose sepolture. Insomma: Stonehenge sarebbe stato un “luogo dei morti”, contrapposto al villaggio di Durrington Walls, “luogo dei vivi”. Mentre gli scienziati si affannano a cercare risposte definitive, i monoliti continuano, avvolti nella bruma inglese o baciati dal Sole all’alba del solstizio d’estate, a emanare il loro fascino immortale. Maria Leonarda Leone
Biologia
A QUALCUNO PIACE. Controllo di qualitĂ di uno stoccafisso (merluzzo essiccato), in Norvegia.
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Animali, piante, batteri. Tutti producono effluvi che troviamo “disgustosi”. Ma che servono a darci un segnale importante.
Laif/Contrasto
Qui c’è qualcosa che puzza…
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L
e streghe? Emanano cattivi odori. Uno dei metodi per scoprire le fattucchiere nell’Europa del ’500 era quello di annusarle. Essendo serve del demonio, non potevano che puzzare. E questa è una caratteristica anche delle donne di Lemno, protagoniste di uno dei più curiosi miti greci: per una punizione di Afrodite mandano un odore ripugnante che allontana i loro mariti. Perché questa campagna contro i cattivi odori? Cos’hanno fatto le ascelle puzzolenti o le feci perché le evitiamo così accuratamente? Con uno sforzo quasi inutile, comunque, perché tutti i corpi – compreso il nostro – non fanno altro che emettere molecole dalla composizione complessa. Queste vanno a colpire i sensori presenti nel naso e, quando il segnale arriva al cervello, sono percepite come odori sgradevoli. Ma, diciamo la verità, non è tutta colpa nostra se questi 60 | Focus Aprile 2016
Science Photo Library/Agf
TRE “PUZZONI”. Da sinistra: un poro sudoriparo, un hoatzin e un fungo dall’odore di carne marcia.
A concentrazioni molto basse, composti che ci fanno senso sono deliziosi. E si possono trovare nei formaggi e nei vini effluvi corporei sono spiacevoli. La maggior parte di essi, per esempio quello del sudore prodotto dalle ascelle, non ci colpirebbe affatto, se non fosse per i batteri. Microorganismi come lo Staphylococcus hominis spezzano infatti le molecole prodotte dal nostro corpo e le trasformano in tioalcoli, componenti importanti del nostro odore corporeo. In condizioni naturali sono fondamentali perché funzionano quasi come carta d’identità biologica, che permette inconsapevolmente all’altro sesso di riconoscerci come interessanti. Il sudore quindi è, come si
dice, “naturale” e del tutto sopportabile. Una recente ricerca di Stephen Reicher, dell’Università di St. Andrews (Gb), ha mostrato che ci fa meno schifo l’odore di magliette sudate dei nostri amici o compagni rispetto a quello di estranei. La capacità di superare il disgusto servirebbe a fare gruppo. DALL’ALTRO LATO. Un altro discorso vale
invece per i prodotti dell’apparato digerente: questi sì che sono assolutamente da evitare. Ancora una volta i colpevoli non siamo noi (o almeno non del tutto),
ma i batteri presenti nel nostro intestino. Che durante la digestione trasformano quello che per loro è cibo, e a noi non serve più, in una rivoltante miscela di composti, come il cosiddetto indolo, responsabile del caratteristico odore delle feci. Numerose ricerche hanno stabilito (che sorpresa!) che proprio le feci sono tra le cose più disgustose per la maggior parte delle culture umane. E, se il disgusto è presente ovunque, gli studiosi pensano che sia una caratteristica ancestrale, che ci respinge quando siamo di fronte a un mucchio di feci. Il motivo? Legittima difesa. Secondo Valerie Curtis, della London school of Hygiene and tropical medicine, «le feci sono la fonte di oltre venti infezioni gastrointestinali, come il colera, la febbre tifoide, o quelle date da altri virus e batteri intestinali, responsabili della morte di oltre 750.000 bambini al mondo all’anno». Ma contengono anche nematodi e altri vermi parassiti, a volte ancora più terribili dei batteri. Evitare le feci è quindi un carattere che
HOATZIN. Un uccello del Sud America che produce una puzza fortissima per difesa. VIEUX BOULOGNE. Classificato come il formaggio più puzzolente del mondo. BULBOPHYLLUM PHALAENOPSIS. Un’orchidea che puzza di carne putrescente. UOVA CENTENARIE. Cinesi, coperte di cenere, calcio e sale e conservate settimane. MOFFETTA. Mammifero americano, si difende con un’emissione di mercaptani. PESCE MARCIO. Produce trimetilamina, una sostanza contenente azoto. DURIAN. Frutto del Sud-est asiatico, emette esteri, chetoni e composti dello zolfo. FATBERG. Depositi di grasso, escrementi e rifiuti che si formano nelle fogne di Londra.
Getty Images (2)
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ELENCO DEI PEGGIORI ODORI
si è sviluppato nella nostra evoluzione. Per lo stesso motivo, mostriamo segni di disgusto anche per i gas intestinali provenienti dai nostri vicini umani: anche in questo caso la colpa è dei batteri, che quando digeriscono i polisaccaridi producono particolari gas (metano, scatolo, indolo e composti dello zolfo: sono questi ultimi a conferire il particolare “aroma” alle flatulenze) che devono essere espulsi. Con conseguenze facilmente immaginabili per chi si trova vicino alla fonte. Il disgusto è quindi una reazione che proviene dalle profondità del cervel-
lo, che ci spinge ad allontanarci anche da altre fonti di odori sgradevoli, le quali hanno tutte una caratteristica in comune: possono farci star male. ALLA LARGA. L’elenco è quasi infinito: da
pesce e carne andati a male alle verdure marce, dai gas di palude alle fogne o a un animale morto. Ognuna di queste cose o luoghi è un pericolo da cui stare lontani: la puzza significa presenza di sostanze velenose o parassiti. Il disgusto, secondo Curtis, è un “sistema immunitario comportamentale” che ci ha aiutato Aprile 2016 Focus | 61
ODORE DI LONDRA. Uno dei “fatberg”, cumuli di grasso e rifiuti nelle fogne della città.
e ci aiuta nella sopravvivenza di tutti i giorni. Con le inevitabili distorsioni della cultura. Facciamo talmente di tutto per evitare i cattivi odori che nel mondo si spendono 17 miliardi di dollari l’anno per acquistare deodoranti e antitraspiranti. Col risultato di riempire del loro aroma ogni ascensore su cui saliamo. Anche la maggior parte degli altri animali evita le puzze, perché sa che nascondono parassiti e patogeni. Una ricerca del 2009 di David Rollo, un biologo della McMaster University di Hamilton in Canada, ha scoperto che tutti gli animali quando muoiono emettono lo stesso cocktail di acidi grassi piuttosto semplici, come l’acido oleico o linoleico. Chi lo sente, anche se appartiene a specie diverse, fugge appena possibile. È una specie di “odore della morte” diffuso in tutto il mondo animale. Alcune componenti dell’odore di cadavere sono invece proprie solo degli esseri umani, come ha accertato una ricerca belga del 2015: cinque sole molecole distinguono l’uomo (morto, almeno) dagli altri animali. Anche dai maiali, che – ci dicono questo e altri studi sulla decomposizione – in questo processo sono simili ai corpi umani per via di alcune caratteristiche comuni con l’uomo (come i batteri intestinali, o la percentuale di grasso). Nonostante la somiglianza, l’odore dei maiali risulta insopportabile per molti umani: il responsabile è l’androstenone, un ormone emesso dai maschi, che si trova anche nel sudore umano. Eppure, alcune popolazioni asiatiche ed europee lo tollerano egregiamente. Un gruppo di genetisti ha scoperto che hanno una mutazione di un gene legato all’olfatto che consente loro di non sentire più la “puzza di porco”. Grazie a questa mutazione alcuni nostri antenati hanno potuto addomesticare i maiali, e godersi costine e prosciutti, senza turarsi il naso. Alcuni, poi, usano odori pungenti per i loro scopi. Perché, se molti animali evitano anch’essi feci e carne marcia (ad ecce62 | Focus Aprile 2016
MOLECOLE RESPONSABILI DELLA PUZZA SUDORE
Acido butirrico, tioalcoli ALITO Acido solfidrico, metantiolo PIEDI Metantiolo, acido propionico FECI Indolo, scatolo, triolo FLATULENZA Metano, scatolo, indolo, composti dello zolfo VOMITO Acido butirrico
zione degli avvoltoi, che la considerano una prelibatezza), molti sono produttori di odori fortissimi. Anzi, ne fanno un’arma di seduzione o di difesa. STRATEGIE. Molti fiori o funghi per
esempio puzzano proprio per affascinare. Per esempio l’aro gigante (Amorphophallus titanum): fiorisce una volta ogni 7-10 anni, ha un fiore alto quasi tre metri, dalla forma strana – il nome latino potrebbe suggerire qualcosa – e ha una puzza immonda di carne andata a male. L’odore attira i coleotteri impollinatori,
della famiglia dei Silfidi, che si nutrono appunto di carne morta. Anche molti funghi puzzano di carne putrescente: lo fanno sempre per indurre alcune mosche ad atterrare su di loro e spargere su di esse le loro spore. La splendida orchidea Cirrhopetalum fascinator ha un’immonda puzza di cadavere, unita a quella di acido butirrico, un composto molto simile a quello che dà ai piedi di tennisti o calciatori il delizioso aroma. Gli animali che usano la puzza, invece, lo fanno di solito per difendersi. Le più famose sono (e il nome spiega qualcosa) le
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puzzole. Questi mustelidi europei sono però superati dalle moffette americane, campioni di guerra olfattiva. Sotto la coda questi animali appariscenti (hanno una livrea nera a strisce bianche) hanno due ghiandole che producono “terribili” sostanze di difesa: sono composti dello zolfo chiamati mercaptani, in grado di far fuggire, se spruzzati, anche orsi o lupi. DELIZIE IN TRACCE. Le puzze sono asso-
lutamente da evitare, quindi? No, se prendiamo alcune molecole e le diluiamo talmente tanto da farle quasi scom-
parire. Quel che rimane potrebbe essere un odore quasi irresistibile. Molti formaggi, per esempio il Vieux Boulogne o il gorgonzola, contengono infatti le stesse sostanze che a concentrazioni più elevate ci fanno senso. Ma che, a diluizioni molto maggiori, sono segno di prelibatezza. Del resto il durian (Durio zibethinus) è uno dei frutti più gustosi, affermano coloro che l’hanno assaggiato. Peccato che per arrivare a mangiarlo sia necessario sopportare un tremendo afrore di feci, trementina e calzini sporchi.
L’effluvio del sudore è diventato sgradevole solo nelle società più “avanzate”, che cercano di evitarlo a tutti i costi
Marco Ferrari
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Corpo umano
Un nervo da paura
Nicolle R. Fuller/Sayo Studio
Ci fa svenire o impallidire, ma anche rilassare e socializzare. Ecco come funziona il “vago�.
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M
aria è in ospedale e sta per sottoporsi a un prelievo; ma alla vista dell’ago che si conficca nel braccio impallidisce e sviene. Giovanni ha sei mesi e si trova in braccio alla mamma che gli canta una ninnananna: la guarda, sorride, gorgheggia, si placa e si addormenta. Due situazioni diversissime tra loro, ma con una radice comune: a causarle è un nervo “sconosciuto”, di cui non si sente parlare spesso ma che è determinante per regolare il funzionamento di molti organi, dal cuore all’intestino. È il nervo vago (v. foto a sinistra), quello che ci fa impallidire quando abbiamo paura. Secondo una recente teoria, è responsabile anche di molti altri nostri comportamenti inconsci. ERRABONDO. Il nostro sistema nervoso
è un apparato complesso. Ma a grandi linee possiamo dire che è formato da un “quartier generale” (il cervello) e da una rosa di “autostrade” (i nervi) che portano le informazioni dalla periferia verso il centro e viceversa. I nervi possono diramarsi dal cervello o dal midollo spinale. Tra i primi, che sono 12, ci sono quello olfattivo, quello ottico e così via. Il decimo è il nervo vago. Un tempo era detto “pneumogastrico”, poiché innerva anche i polmoni e lo stomaco; ma poi cambiò nome e prese quello attuale, perché più in generale “vaga” nei più reconditi anfratti del nostro corpo, ramificandosi ovunque. Eppure a questo protagonista del nostro comportamento involontario nessuno aveva badato più di tanto, fino a quando il neurofisiologo statunitense Stephen W. Porges, a partire dagli Anni ’90 del
1 Calma
SERENI. Il volto è disteso e i muscoli sono rilassati.
2 Paura
ELETTRIZZATI. È la classica “scarica di adrenalina”.
3 Spavento
IMMOBILIZZATI. Si impallidisce e non si riesce a reagire.
80% Le fibre vagali che vanno al cervello (il 20% va agli organi): è il corpo che comanda la testa.
’900, ha deciso di dedicargli le sue ricerche. «L’attenzione delle neuroscienze si è sempre rivolta alla corteccia, ritenuta la parte più “nobile” del cervello, sede del pensiero e della consapevolezza», spiega a Focus lo scienziato, che recentemente ha pubblicato un libro sull’argomento (La teoria polivagale, Giovanni Fioriti editore). «Io invece ho preferito partire dalla periferia. C’è infatti la tendenza a pensare che il cervello muova i fili del resto del corpo, invece la comunicazione è “bidirezionale”, cioè anche il corpo manovra il cervello con gli stessi fili». Il vago gioca un ruolo cardine nel cosiddetto “sistema nervoso autonomo”, la parte del sistema nervoso (un tempo ritenuta erroneamente scollegata, e quindi autonoma, dal resto del cervello) che serve a regolare lo stato fisiologico dell’organismo per garantirne la sopravvivenza. PARADOSSALE. Secondo i libri di me-
dicina, il sistema nervoso autonomo è diviso in due parti tra loro antagoniste: quello simpatico, che permette di reagire alle situazioni di stress e che è collegato alle ghiandole surrenali, e il sistema parasimpatico, che regola l’organismo in condizioni di riposo e che è gestito dal nervo vago. Questa descrizione, secondo Porges, non è corretta. Nei suoi studi, infatti, lo scienziato si è reso conto di un paradosso: un vago ben funzionante IN SEQUENZA. I tre livelli con cui, secondo la nuova teoria, reagiamo alle situazioni. Da uno stato iniziale di sicurezza (1) si passa a uno di paura (2) o, peggio, di terrore (3).
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UNA FITTA RETE DI GANGLI E NEURONI ATTACCO E FUGA. A differenza del sistema parasimpatico, quello simpatico non è costituito da un nervo ma da “gangli” (strutture nervose tondeggianti, tra loro collegate, parallele al midollo spinale) e dalla ghiandola surrenale (v. schema sotto). In situazioni di emergenza questo sistema è utile, perché prepara l’organismo a reagire. Ma quando è attivato in modo cronico, come in caso di stress prolungati, può causare vari malanni: insonnia, gonfiore intestinale, pressione alta. E una lenta ma costante diminuzione della massa muscolare. SISTEMA PARASIMPATICO (SITUAZIONE DI RELAX)
SISTEMA SIMPATICO (SITUAZIONE DI PERICOLO)
Fa restringere le pupille
Fa dilatare le pupille
Favorisce la salivazione
Inibisce la salivazione Fa accelerare il cuore
Rallenta il cuore
Dilata bronchi e polmoni
Restringe bronchi e polmoni
Blocca la digestione
NERVO VAGO
Inibisce la produzione di bile
Favorisce la secrezione di bile
Induce il surrene a secernere adrenalina
Fa contrarre la vescica
Fa dilatare la vescica CATENA DI GANGLI
A scuola e nei luoghi di lavoro è meglio eliminare i suoni a bassa frequenza: ci fanno stare male consente al cuore di essere molto flessibile nell’accelerare o nel rallentare i suoi battiti; ma può causare la morte se fa rallentare troppo il cuore, come avviene talvolta ai neonati prematuri. Come può, allora, questo stesso fattore essere al contempo protettivo e potenzialmente letale? Nel cercare la risposta, Porges ha scoperto che ci sono due tipi di fibre vagali: uno più “primitivo” e uno più “intelligente”. Il primo non ha la guaina che normalmente avvolge i nervi (la mielina), il se66 | Focus Aprile 2016
condo invece ce l’ha. Da qui è nata quella che lo scienziato ha chiamato “teoria polivagale”, che sta causando una piccola rivoluzione in medicina. SU TRE LIVELLI. In pratica, dice Porges,
non ci sarebbero due sistemi antagonisti (il simpatico e il parasimpatico), ma tre livelli di funzionamento, due dei quali “gestiti” dal nervo vago e l’altro dal sistema simpatico. Questi livelli sono comparsi nei mammiferi in diversi momenti evolutivi. Ecco come funzionano. 1) Nel caso di un pericolo estremo, terrorizzante, entra in azione il primo livello, il più primitivo, che hanno tutti i vertebrati: l’immobilizzazione. Se non c’è possibilità di fuga, infatti, simulare la morte può spingere un eventuale predatore ad allontanarsi. L’organismo si blocca: il cuore quasi si ferma, la respirazione rallenta moltissimo, si diventa insensibili al dolore, gli sfinteri si rilasciano (può capitare di “farsela addosso”), si sviene. Questo processo non è cosciente ed è regolato dal nervo vago più primitivo. 2) Se il pericolo è moderato, invece, si attiva il secondo livello, gestito dal sistema simpatico: grazie all’azione coordinata di una parte del cervello (l’ipotalamo) e di
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Agevola la digestione
due ghiandole (ipofisi e surrene), il corpo si prepara ad attaccare o fuggire, accelerando il battito cardiaco, aumentando la frequenza dei respiri, convogliando il sangue nei muscoli e bloccando le attività digestive per permettere all’energia di essere utilizzata altrove. 3) Se il pericolo non c’è, infine, entra in gioco il terzo livello, presente solo nei mammiferi e soprattutto nell’uomo: è di nuovo mediato dal vago, ma quello più evoluto, che controlla anche i muscoli del viso e della testa promuovendo l’“ingaggio sociale”. In altre parole, in condizioni di relativa sicurezza, senza che ce ne rendiamo conto, i muscoli del nostro corpo si predispongono a socializzare: le espressioni del viso si distendono, lo sguardo si rivolge all’interlocutore, le corde vocali promuovono un tono di voce pacato e rassicurante, l’orecchio estrae la voce umana dai rumori di fondo. Vengono inibite le reazioni difensive del simpatico, favorendo uno stato viscerale di calma (cuore e polmoni rallentati) con grande risparmio energetico. Questo circuito viene utilizzato per primo; se fallisce entrano in gioco quelli più antichi. L’uomo, lo diceva già Aristotele, è prima di tutto un animale sociale.
C’È CHI SE LE CERCA... Un toro salta fuori dall’arena a Tafalla, in Spagna. Per gli spettatori, un bello spavento.
NON CE NE ACCORGIAMO, MA...
«In pratica, durante l’evoluzione, gli animali hanno imparato ad autoregolarsi con sistemi sempre più sofisticati: sono partiti dall’inibizione, hanno poi aggiunto l’attacco e la fuga e, infine, i mammiferi superiori (tra cui l’uomo) hanno messo a punto un complesso sistema di ingaggio sociale, mediato dalle espressioni facciali e dalle vocalizzazioni», dice Porges. STAR BENE DENTRO. Lo scienziato chia-
ma “neurocezione” la capacità di scandagliare il grado di minaccia presente nell’ambiente, che si attiva per esempio ogni volta che ci imbattiamo in una persona estranea. «In caso di paura estrema impallidiamo, il nostro volto diventa inespressivo, il tono di voce piatto, e ci sentiamo svenire», chiarisce Porges. «Se l’incontro, invece, ci allarma, cominciamo a tremare, ad arrossire e a sudare: il corpo si attiva per attaccare o scappare. Se invece non abbiamo alcuna ragione di temere il nostro interlocutore, lo guardiamo negli occhi, sorridiamo, assumiamo un tono di voce caldo e amichevole, adottiamo una postura rilassata e accogliente. Tutto questo avviene al di fuori della nostra consapevolezza». Le implicazioni di questa teoria sono tante. Per
L’IMPORTANZA DELL’INFANZIA. Le recenti teorie sul nervo vago gettano nuova luce sul ruolo dell’infanzia nella nostra personalità da adulti. Infatti la parte più evoluta del sistema nervoso autonomo viene forgiata nei primi anni di vita, quando il neonato entra in relazione con chi si prende cura di lui. In caso di traumi o maltrattamenti, può verificarsi un’iperstimolazione del sistema vagale antico (quello che reagisce al pericolo) e una scarsa maturazione di quello più recente (che ci fa socializzare). Risultato? Le vittime, da adulte, avranno la tendenza a sovrastimare i pericoli, reagendo in modo eccessivo anche a stimoli di lieve entità. E avranno più difficoltà a mantenere lo sguardo, a parlare con un ritmo adeguato, a usare espressioni facciali appropriate. Inoltre soffriranno con più facilità di problemi cardiaci, respiratori, intestinali e di disturbi del sistema immunitario. TERRORISMO MALSANO. Conseguenze analoghe sono generate dagli episodi di terrorismo. «Il senso di allarme generalizzato sposta il nostro sistema autonomo verso uno stato di difesa», dice Stephen Porges. «La conseguenza sarà una riduzione della capacità di “connettersi” con gli altri. E si tradurrà, alla lunga, in un peggioramento della nostra salute».
esempio, per essere in buona salute è importante avere buone relazioni sociali, poiché queste contribuiscono al benessere dell’organismo. E poiché il sistema è bidirezionale, lo stato di salute dei nostri organi condiziona la nostra vita sociale. «La teoria polivagale indica che la medicina, più che trattare le malattie con farmaci e chirurgia, indirizzandosi ai singoli organi, dovrebbe prendersi cura dello stato fisiologico generale», dice Porges. Hanno effetti benefici, per esempio, gli esercizi di respirazione o tecniche rilas-
santi quali lo yoga e il tai-chi. «Una nuova tecnica che sembra promettente», suggerisce lo scienziato, «coinvolge l’uso di particolari vocalizzazioni che trasmettono un senso di sicurezza. Allo stesso modo, sarebbe molto importante rimuovere dalle scuole e dagli ambienti di lavoro inutili segnali di pericolo, come i suoni a bassa frequenza – gli stessi usati, non a caso, nei film horror – che il nostro sistema nervoso associa alla presenza di predatori in avvicinamento». Marta Erba
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Reuters/Contrasto
Prisma
Fu un periodo freddo breve, ma con grandi implicazioni sulla storia: la Piccola era glaciale della tarda antichità, dal 536 al 660 d.C., individuata da un team internazionale. Fu causata da tre grandi eruzioni vulcaniche che, schermando la luce del Sole con le polveri, provocarono un calo di temperatura. Si ipotizza che nella fredda Europa favorì carestie ed epidemie di peste; nella penisola araba invece l’aumento delle piogge agevolò la vegetazione e l’espansione islamica. M.L.L.
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milioni di tonnellate: il pesce pescato nel 2010 per uno studio canadese, molto più dei dati ufficiali della Fao per lo stesso anno (77 milioni).
Jacques Honvault
Quel grande freddo che cambiò la storia
LA FISICA DEI PALLONCINI
Quando esplodono, si rompono in modi diversi. Sébastien Moulinet, della Scuola Normale Superiore di Parigi, ha passato giorni a far scoppiare palloncini. Il suo obiettivo era in realtà documentare i “botti”, per capirne i meccanismi nel dettaglio. Si sa che un palloncino può rompersi in due modi diversi: se è bucato quando non è troppo gonfio, dal punto di rottura si forma un’unica frattura; se è molto gonfio, si lacera in più frammenti (sopra). Ma come mai? Più la membrana di gomma è “sotto stress”, più la crepa avanza rapida; oltre un certo limite però la frattura non può andare più veloce, quindi ramificarsi «è il solo modo per rilasciare l’energia elastica acquisita», spiega il fisico. BOOM. Per scoprirlo Moulinet ha gonfiato e fatto scoppiare fogli di lattice spessi 1 mm, per 150 volte, filmandoli con telecamera ad alta velocità e usando sensori di pressione. «Il lavoro aiuterà a comprendere la frammentazione dei materiali, stabilendo se si debbano rompere in pochi frammenti o in mille pezzi». E.I.
Fanatici del selfie, rischiate un futuro da single. Chi posta molte foto di sé online riporta più frequenti litigi di coppia e peggiore qualità nelle relazioni. Lo afferma uno studio della Florida State University, condotto su 420 utilizzatori di Instagram tra i 18 e i 62 anni. La ricerca ha evidenziato che chi è maggiormente soddisfatto della propria immagine corporea – insomma, si trova più bello – posta più selfie. Ma litiga di più, perché gli autoscatti messi sui social possono diventare occasione di scenate. I meccanismi? Può darsi che la sovraesposizione sui social scateni le gelosie nel partner e il suo monitoraggio ossessivo dei “like” altrui. E.I.
Reuters/Contrasto
Scatto, posto e... litigo
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Fatemi dormire ora, confesso tutto!
Prisma Macabri trofei dei cacciatori Usa
CANADA 508.325
SUDAFRICA 383.982
NAMIBIA 76.347 MESSICO 47.026 ZIMBABWE 44.740
IMPORTAZIONI. I cinque Paesi da cui sono stati importati più trofei di caccia negli Usa, per numero di animali uccisi.
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Ha fatto notizia il caso di Walter Palmer, che l’anno scorso uccise il leone Cecil in Zimbabwe. Ma il dentista del Minnesota è in numerosa compagnia, come emerge dal rapporto di Humane Society International e The Humane Society of the United States. I cacciatori Usa, tra il 2005 e il 2014, si sono portati a casa dal mondo più di 1,2 milioni di trofei (corpi, teste, corna) cacciando oche delle nevi (111.366 animali), orsi neri (69.072), leoni (5.605)... Nel grafico, i Paesi da cui ne sono stati importati di più. Uno studente di scienze forensi, in Gran Bretagna.
Secondo uno studio, è facile ottenere ammissioni di colpa (false) da persone sveglie da molto tempo. Non avete chiuso occhio? Attenzione: se qualcuno dovesse interrogarvi, potreste confessare cose che non avete commesso. Per uno studio condotto all’Università del Michigan, è sorprendentemente facile ottenere una falsa confessione da una persona assonnata. I ricercatori hanno assegnato a 88 studenti alcuni compiti al computer. Con una raccomandazione: mai schiacciare il tasto “Esc”, perché avrebbero cancellato i dati. Gli studenti sono stati quindi divisi in due gruppi: metà sono stati forzati a stare svegli tutta la notte, gli altri hanno dormito tranquilli. Il mattino dopo a ognuno è stata consegnata una relazione, con l’accusa di aver premuto il tasto proibito (in realtà, nessuno lo aveva fatto). Gli studenti sono stati invitati a firmare, confermando un errore inesistente. Delle cavie riposate il 18% ha firmato, di quelle assonnate ben la metà. LO AMMETTO. Si sa che la privazione di sonno rende meno vigili: ora lo studio dimostra che favorisce anche le false confessioni. Che non sono così “impensabili”. Gli psicologi spiegano che una persona può ammettere la propria colpevolezza come espediente per sfilarsi da un interrogatorio pesante (non solo della polizia) e perché pensa che alla fine i fatti la assolveranno. «Le false confessioni sono sorprendentemente frequenti in interrogatori e investigazioni: negli Usa si pensa siano alla base del 15-25% delle condanne sbagliate», affermano gli autori dello studio, sottolineando le implicazioni di una tecnica – tenere svegli gli accusati – usata in passato e ancora oggi. M.E.
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Vania Kam
Ha vinto l’italiano Davide Lopresti, scattando nelle acque di Sistiana (Trieste). Il suo cavalluccio marino – la foto più a destra – ha avuto il principale riconoscimento al concorso Underwater Photographer of the Year 2016. Da sin., alcuni degli altri scatti premiati o con encomio: medusa del genere Cephea, di Pier Mane; nudibranco in una spirale di uova, di Vania Kam; gabbiani da sott’acqua, di Alejandro Prieto; occhio di pesce farfalla mascherato, di Spencer Burrows.
Pier Mane
SCATTI SOMMERSI
Reuters/Contrasto
Addio, capelli di una volta Perché con l’età i capelli si diradano? Un team dell’Università di Tokyo ha la risposta: le cellule alla base della “produzione” di capelli nei follicoli piliferi si trasformano in... pelle. I ricercatori hanno scoperto che queste cellule – le staminali presenti nei follicoli – quando sono danneggiate si trasformano in cellule dell’epidermide, da cui prima o poi si staccano naturalmente. Questa trasformazione è un modo finora ignoto attraverso cui cellule “vecchie” si autoeliminano. Col tempo, ciò accade a sempre più staminali e i follicoli si rimpiccioliscono fino a scomparire. Ma una speranza c’è. Si è visto che nel processo diminuisce una proteina, il collagene 17A1: potrebbe diventare il bersaglio di nuovi trattamenti anti-caduta. M.E.
EMILY BERL/The New York Times/Re/contrasto
Mi piego, ma infine mi spezzo Alti e massicci o bassi e più sottili, gli alberi tendono a spezzarsi quando il vento arriva alla velocità di circa 42 m/s. Questo limite critico, osservato al passaggio di tempeste, è stato verificato da un team francese, testando la resistenza di pezzi di legno e tenendo conto delle “leggi” di crescita degli alberi (un tronco più alto ha un diametro maggiore). Si è visto che cambiare le caratteristiche degli alberi (più grandi o di legno più resistente) aumenta di poco la velocità a cui cedono. Forse si sono evoluti per resistere fino a tale soglia: di rado i venti superano i 50 m/s.
Così prenderemo il volo
Davide Lopresti
Spencer Burrows
Alejandro Prieto
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L’ala con 18 eliche – ognuna azionata da un motore elettrico – non solleverà la motrice su cui è montata, ma farà volare gli aerei del futuro, meno inquinanti e con design del tutto nuovi. Il camion è servito solo per testarla: lanciato su una pista all’Armstrong Flight Research Center della Nasa, in California, ha permesso di simulare decolli e atterraggi, misurando portanza, efficienza, performance aerodinamica. «Ora passeremo alle simulazioni di volo», dice Sean Clarke, del progetto LeapTech. DESIGN. È un progetto di “propulsione distribuita”: l’idea è sostituire i pesanti motori attuali con altri più piccoli e in diverse posizioni. «Possiamo farlo, coi motori elettrici. Cambiando il design degli aerei per renderli più efficienti: saranno elettrici o ibridi». G.C.
Prisma
GLI EGIZI A COLORI
Ecco il tempio “ridipinto”.
La percentuale del Pil che la Corea del Sud spende in ricerca e sviluppo, dai dati Ocse; seguono Israele (4,10%) e Giappone (3,58%). L’Italia è all’1,28%.
Vado a metano, pardon Non è colpa loro, ma mucche e pecore emettono un potente gas serra: il metano, prodotto da microorganismi nello stomaco e liberato via “rutti”. Peter Janssen, in Nuova Zelanda, sta studiando questi microbi “metanogeni”, che appartengono al regno degli Archaea, e come contrastarli. Per esempio, ha individuato composti in grado di bloccare enzimi essenziali per la loro vita: alcune sostanze riducono le emissioni del 20-30%. Altra strategia allo studio: vaccinare mucche e pecore, in modo che producano anticorpi contro i “metanogeni”.
Getty Images/Moment RM
4,29%
Brian Harkin/The New York Times//Contrasto
Non guardate l’eleganza sobria emanata oggi dai loro templi color sabbia: gli antichi Egizi quando costruivano qualcosa la coloravano a tinte vivaci. Era così anche il Tempio di Dendur, del 15 a.C. Le esondazioni del Nilo hanno lavato via ogni colore, ma i ricercatori del Metropolitan Museum of Art di New York – dove il tempio, smontato per la costruzione della diga di Assuan, è stato ricostruito – hanno ipotizzato (a destra) come appariva la scena 2mila anni fa. PROIEZIONI. I colori antichi sono stati poi proiettati sulle figure, ognuno nel suo spazio. Ecco allora l’imperatore romano Augusto vestito da faraone con un gonnellino bianco, che offre doni al dio Horus, con pelle di un azzurro sgargiante, e alla dea Hathor, carnagione lattea e abito viola. Si è appena concluso il primo ciclo di proiezioni per i visitatori; i ricercatori ora puntano a “ridipingere” altre scene. M.L.L.
University of Queensland
Dalle piante, profilattici più sottili
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La loro resina era usata dagli aborigeni per incollare le punte delle lance. Ora serviranno a fabbricare profilattici supersottili ma resistenti. Sono piante chiamate Spinifex, native dell’Australia: all’Università del Queensland hanno sviluppato un metodo per ricavare da esse la nanocellulosa, cioè un promettente materiale composto da fibrille di cellulosa larghe pochi nanometri (miliardesimi di m), resistente e leggero; di solito la nanocellulosa è ottenuta dalla pasta di legno, ma la tecnica di estrazione dalle piante australiane è più efficiente. La nanocellulosa può essere aggiunta al lattice per creare membrane sottili ma forti. «Si potrebbero fabbricare condom del 30% più fini», dice Darren Martin, del team. O anche guanti da chirurgo.
DALLO SPAZIO In collaborazione con
IL COSMO CHIAMA I GIOVANI
Hackathon: una “maratona” scientifica, rivolta non solo agli esperti, per proporre idee e applicazioni innovative. Dal 22 al 24 aprile, alla Sapienza Università di Roma, si svolgerà un “hackathon” promosso dalla Nasa insieme ad Asi ed Esa. Di cosa si tratta? Di un evento rivolto a giovani laureati in ambito scientifico per confrontarsi tra loro e ideare nuovi progetti. Da quando nel 1999 a Calgary, in Canada, dieci sviluppatori si riunirono per trovare soluzioni che rendessero più sicuro il sistema operativo della loro azienda, la pratica degli hackathon si è diffusa in tutto il mondo. Queste “maratone” han-
no poi contaminato i diversi campi della ricerca, utilizzando anche lo spazio come ambiente di riferimento. TUTELA DELLE ACQUE. Lo scorso novembre Asi ha già ospitato giovani informatici, ingegneri e fisici (sopra) per una 48 ore di immersione nel mondo dei dati satellitari del programma COSMO SkyMed. La sfida era ideare, utilizzando
i dati della costellazione satellitare italiana, possibili applicazioni su cui, eventualmente, avviare una startup. Il team vincitore (età media 24 anni) presenterà la sua idea sulla tutela delle acque all’International Astronautical Congress di settembre. Le informazioni sul prossimo hackathon sono alla pagina https://2016. spaceappschallenge.org. G.R.
L’Agenzia spaziale italiana (Asi) coordina gli investimenti nel settore aerospaziale e dipende dal ministero dell’Università e della Ricerca. È uno dei più importanti attori mondiali per lo spazio e le tecnologie satellitari. Il suo presidente è il prof. Roberto Battiston.
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PIANETA CIOCCOLATO Iniziamo un viaggio in quattro tappe alla scoperta dei segreti del «cibo degli dei» (questo significa Theobroma Cacao, il nome scientifico della pianta da cui nasce). A partire dalla coltivazione, per la quale dobbiamo ringraziare la golosità delle scimmie dello Yucatan, che mangiando la polpa agrodolce e succosa dei frutti e scartando i semi diedero l’idea alle antiche popolazioni Maya… L’albero del cacao cresce nella fascia compresa entro 20° a nord e a sud dell’Equatore: ha bisogno di clima umido e temperature tra i 20°C e i 30°C. Tre sono le varietà principali: Criollo e Trinitario, tipiche dell’America centrale e dei Caraibi, dalle quali si ricava il cosiddetto «Cacao aromatico», dal sapore più ricco e fragrante, e Forastero, o «commerciale», coltivato soprattutto in Africa e dal gusto più amaro e deciso. Le bacche, dette «cabosse», contengono una trentina di fave, disposte in genere in 5 file e avvolte da una polpa gelatinosa bianca.
CONTA L’EQUILIBRIO
La tavoletta di cioccolato nasce dalla lavorazione del cacao e dall’aggiunta di diversi ingredienti. Il «fondente» è fatto unicamente di pasta di cacao, burro di cacao, zucchero e bacche di vaniglia. Sempre più spesso, viene evidenziata la percentuale di cacao, ovvero la somma dei primi due ingredienti, che nel fondente deve superare il 43%. Poi, più si sale, più aumentano le note amare che in un cioccolato di alta qualità sono rese gradevoli dalla contemporanea esplosione dei profumi e degli aromi del cacao che regalano al cioccolato un gusto pieno, intenso e persistente. Eppure, tavolette con identiche percentuali possono avere sapori, e consistenze, molto differenti. La ragione? Solo in parte dipende dal tipo, dalla quantità e dalla lavorazione del «cacao aromatico» utilizzato. Il resto è frutto del dosaggio tra pasta di cacao e burro di cacao, principalmente responsabili il primo degli aromi e la seconda della morbidezza e della sensazione di scioglimento del cioccolato, dovuta alla formazione di cristalli stabili del burro di cacao. Le fave vengono lasciate fermentare per alcuni giorni su foglie di banano, sfruttando il contenuto zuccherino della polpa. È in questa fase che si sviluppano i precursori degli aromi, ovvero una parte delle circa 400 sostanze chimiche che donano al cioccolato la sua complessità e che emergeranno compiutamente solo dopo la tostatura. Poi vengono stese su grandi stuoie di legno (foto a destra) per essiccare al sole. È solo la selezione e la sapiente miscelazione delle migliori fave di cacao a regalare al cioccolato fondente (e in particolare a Excellence) il suo gusto intenso.
S
eguire l’intero processo di produzione del cioccolato, fin dalla coltivazione, dove si sviluppano i primi aromi che ritroveremo nella degustazione, è il segreto per ottenere il massimo della qualità. Per questo, Lindt ha iniziato già dal 2008 un progetto di formazione degli agricoltori e di tracciabilità delle fave provenienti dagli oltre 45.000 coltivatori di «Cacao commerciale» in Ghana. La tracciabilità permette inoltre di destinare premi, versati oltre il prezzo di borsa del cacao, a progetti sociali a favore delle popolazioni locali, come impianti per portare ovunque l’acqua potabile e reti per proteggere dalle zanzare che portano la malaria. Visto il successo dell’iniziativa, lo stesso sistema sta iniziando ad essere replicato in Ecuador, dove viene acquistato il «Cacao aromatico». Ma il principio della sostenibilità, etica ed ambientale, viene applicato da Lindt ad ogni singola fase del proprio processo produttivo, dalla selezione delle materie prime fino al consumatore finale, passando per la produzione senza sprechi e l’uso oculato delle risorse ambientali. Perché il cioccolato sia buono in tutti i sensi.
Dopo circa una settimana al sole, l’acqua è in gran parte evaporata e le fave appaiono più scure: solo quelle con un’umidità inferiore all’8%, per questioni di aroma e di conservazione, vengono confezionate in sacchi di juta e spedite. In questo momento, hanno ancora un fortissimo odore di aceto e, curiosamente, nessun profumo di cioccolato. Prima dell’utilizzo, passano al «cut test» (sotto), in cui vengono tagliate per verificare la correttezza della fermentazione e l’assenza di muffe.
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Animali
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30 CENTIMETRI DI AFFONDO. Il primo piano di una tigre dai denti a sciabola: lo sviluppo abnorme dei canini è stata una strategia evolutiva vincente.
ARMATE FINO AI DENTI Per l’uomo preistorico l’incontro con una tigre dai denti a sciabola era fatale. Eppure questa fiera forse si è estinta proprio a causa nostra.
P
iccole orecchie triangolari, muso tondo, passo felpato: questo è quello che vide Homo sapiens quando entrò per la prima volta in contatto con un Felis silvestris, il gatto selvatico che sarebbe presto diventato domestico. Un po’ meno idilliaci furono gli incontri di Homo erectus, parecchi millenni prima. Nell’Europa di 300.000 anni fa, infatti, il gatto domestico ancora non c’era, mentre si aggiravano felidi ben più minacciosi. Probabilmente, infatti, nella Germania del Nord, i nostri antenati si imbatterono in Homoterium, un predatore dai denti a sciabola: un metro di altezza per 200 chilogrammi di peso, aspetto da iena e soprattutto due dentoni lunghi trenta centimetri ben poco rassicuranti. Simili tête-à-tête finivano presumibilmente molto male per i nostri antenati: prima di diventare il terrore del mondo, infatti, l’uomo preistorico era poco più che un bambino di fronte ai predatori del Pleistocene, un mostruoso bestiario che comprendeva orsi giganti e iene di 600 chili. E, non per ultimo, un intero gruppo di carnivori imparentati con i gatti che scelse
di adattarsi alle sfide dell’evoluzione puntando sui propri denti: inventando cioè quelle che sono ancora oggi tra le armi più impressionanti mai sviluppate da un mammifero.
PRIMA I RETTILI. Collettivamente si
chiamano “tigri dai denti a sciabola”, anche se non sono tigri né sono strettamente imparentate tra loro: la “scelta” evolutiva di aumentare esponenzialmente le dimensioni dei propri canini per ottenere un vantaggio sulle prede è infatti emersa indipendentemente almeno sei volte nel corso dell’evoluzione dei carnivori, e molte altre volte in animali non-mammiferi. Il motivo è facile da immaginare: quando un animale ha come principale arma di offesa le fauci, aumentarne le dimensioni a dismisura è una “scelta” evolutiva logica. I primi a metterla in atto furono dei rettili, per la precisione gli antenati rettiliani di tutti i moderni mammiferi, i cosiddetti mammal-like reptile. Tra questi c’erano i gorgonopsidi, i primi a sviluppare due canini superiori di dimensioni sproporzionate rispetto al resto del corpo: un’arma perfetta per Aprile 2016 Focus | 79
Alcune specie avevano i canini molto lunghi e ricurvi, altre seghettati, corti e a “scimitarra”
ABBONDANZA DI RISORSE. Il mondo do
vette aspettare l’estinzione dei dinosau ri, e l’esplosione dei veri e propri mam miferi, per conoscere davvero i denti a sciabola. Trovatisi all’improvviso senza i loro concorrenti principali – i dinosauri – spazzati via (forse, o anche) da un ca tastrofico asteroide, i mammiferi scopri rono di avere di fronte a sé possibilità in finite, grazie a un’abbondanza di risorse mai vista prima di allora. E in entrambi i sensi: gli erbivori ebbero all’improvviso molto più cibo a disposizione, e i carni vori… be’, anche. È in questo mondo quasi idilliaco per i suoi abitanti che, circa 55 milioni di anni fa, ci fu una vera esplosione dei canini modificati: prima in gruppi come creo donti (come il macheroide, v. schema sotto), nimravidi e barbourofelidi; poi, 11 milioni di anni fa, con Thylacosmilus atrox, il primo vero esempio di tigre dai denti a sciabola. Non era ancora un fe lide ma uno sparassodonte, un parente dei moderni marsupiali. Ma i suoi den ti mostravano già le caratteristiche che poi sarebbero diventate comuni nei veri felidi come quelli del genere Smilodon (o smilodonti). Thylacosmilus, infatti, grande come un giaguaro, aveva i canini superiori lunghi in modo sproporziona to, le cui radici continuavano a crescere
A SPASSO NELLA PREISTORIA
per tutta la vita, fino a superare anche l’altezza dell’orbita oculare. Aveva anche i muscoli della mascella curiosamente deboli, il che suggerisce un metodo di predazione assolutamente originale: a imprimere il colpo decisivo erano infatti i muscoli del collo, piuttosto sviluppati. ARRIVA LA “VERA” TIGRE. In altre pa
role, le tigri dai denti a sciabola utiliz zavano il loro cranio come se fosse stato un’ascia, e cercavano di colpire le prede dove la pelle era più soffice, cioè sul ven tre o sul collo, affinché i denti potessero affondare in profondità. Armate in questo modo, le prime tigri dai denti a sciabola diventarono preda
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azzannare anche le prede più grosse. Gorgonops, il più famoso rappresentan te della famiglia, era lungo circa 2 metri, ma in seguito qualcuno dei suoi parenti raggiunse la stazza di un rinoceronte.
tori senza concorrenti, capaci di cacciare erbivori di tutte le dimensioni, dagli an tenati dei bradipi agli ungulati primitivi, e l’adattamento si diffuse, soprattutto in America ed Eurasia, a macchia d’olio. Fino a interessare, circa 10 milioni di anni fa, i Felidi veri e propri, in partico lare la sottofamiglia dei Macairodonti; è qui che troviamo i rappresentanti più famosi (anche nell’immaginario popola re) del gruppo, cioè lo smilodonte e l’o moterio, che simboleggiano anche i due differenti approcci con cui gli antenati dei gatti hanno sviluppato i loro denti. Se Smilodon, la “vera” tigre dai denti a sciabola, aveva infatti canini lunghi e ricurvi, Homotherium li aveva relativa mente più corti, ma con il bordo seghet tato, forse per strappare più facilmente la carne delle prede. E infatti è nota come “tigre dai denti a scimitarra”. Entrambi gli approcci, comunque, si dimostrarono vincenti; i Macairodonti riuscirono a diventare predatori senza rivali e si diffusero in tutto il pianeta.
MACHAEROIDES
THYLACOSMILUS
HOMOTHERIUM
260-250 milioni di anni fa
56-34 mln.
11-2,5 mln.
5-1,5 mln.
Illustrazioni di Davide Bonadonna (5)
GORGONOPS
Africa. Era un discendente dei rettili con alcuni tratti dei futuri mammiferi (mammal-like reptile). Ed era lungo fino a 2 metri.
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Nord America. Assomigliava a un gatto, ma con le dimensioni di un grosso cane e con il cranio più allungato.
Sud America. Era un parente dei marsupiali ma l’aspetto era quello di una tigre dai denti a sciabola. Pesava oltre 100 chili.
America, Eurasia e Africa. Un metro di altezza per 200 chili. Rispetto alle altre tigri dai denti a sciabola aveva canini più corti e seghettati.
www.naturepl.com/Contrasto
ARMI POTENTI E FRAGILI. La copia di un cranio di smilodonte rinvenuto nei pozzi di La Brea, a Los Angeles. Qui sono stati ritrovati resti fossili di tigri dai denti a sciabola.
NON SOLO FELIDI. Kaprosuchus saharicus, un genere estinto affine ai coccodrilli. Anche per lui, denti a sciabola. SMILODON 2,5 mln.
America. Si è estinto 10mila anni fa. Le specie più grosse superavano il metro di altezza e i 400 chili di peso. Le sciabole misuravano fino a 30 cm.
CON QUEI CANINI... DA ERBIVORO CACCIATORI DI FOGLIE. Tra i gruppi che nel corso della storia hanno sviluppato denti giganti ce n’è uno, vissuto 260 milioni di anni fa ed estintosi prima ancora della comparsa dei dinosauri, che non ha eguali né ha lasciato discendenti: è Tiarajudens eccentricus, imparentato con i mammiferi. Grosso come un cinghiale, aveva canini lunghi e ricurvi, che sporgevano al di sotto della linea della mandibola: una caratteristica ancora inspiegata, visto che si combina ad altre tipicamente erbivore, come gli incisivi simili a quelli di un cavallo (per tagliare le piante) e i molari piatti (utili a tritare i vegetali). E, infatti, nel 2011 si è scoperto che la sua preda preferita erano... le piante. I canini erano forse uno strumento di difesa o di sfida: la stessa soluzione adottata da un avo australiano del canguro e presente anche in un erbivoro ancora esistente e simile a un piccolo cervo, il mosco.
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NON SORRIDA PER FAVORE. Vive negli abissi il pesce vipera (Chauliodus sloani). Grazie ai suoi lunghi denti (non chiude mai la bocca!) e la mandibola disarticolabile può divorare anche grosse prede. Misura fra i 30 e i 60 cm.
CE L’HO ANCH’IO. L’adattamento dei canini superiori in forma di sciabole non è esclusivo dei mammiferi (e degli antenati rettiliani dei mammiferi, i mammal-like reptile): pur con tutte le diversità anatomiche del caso, si trovano esempi di denti uncinati anche tra pesci, rane e coccodrilli. Odontobatrachus, un genere di rane africane, ha denti a sciabola sull’arcata superiore della bocca che usa, probabilmente, nelle lotte con gli altri maschi. Ci sono poi specie (come gli evermannellidi, pesci diffusi in tutti gli oceani) che sono sì dotate di denti spaventosi, ma in relazione alla loro dimensione: in questo caso, 20 centimetri di lunghezza o poco meno. Più impressionante, il payara, un pesce i cui denti a sciabola, lunghi dai 10 ai 15 cm, protrudono dalla mandibola invece che dalla mascella: vive nel Rio delle Amazzoni, può raggiungere il metro di lunghezza e i 20 kg di peso ed è un predatore ferocissimo.
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DAL DENTISTA CON RANE, PESCI E COCCODRILLI
Scoperta in Texas una vera dispensa: 400 piccoli mammut di cui gli omoteri si cibavano IL CIBO PARLA. Non a caso, quasi tutto
quello che conosciamo su smilodonti e omoteri lo dobbiamo al cibo: per esempio, sappiamo che non erano predatori solitari ma avevano una rudimentale struttura sociale, o che quantomeno collaboravano alla caccia. A Los Angeles, nei pozzi di catrame di La Brea, sono stati ritrovati resti fossili di Smilodon: i pozzi, che erano una trappola per tutti gli animali erbivori che vi si avventuravano in cerca d’acqua o cibo, attiravano infatti predatori di ogni sorta, purché sociali (un solitario non avrebbe mai rischiato di avvicinarsi a un luogo così affollato). Ancora più impressionante quello che è stato scoperto in Texas, nella caverna di Friesenhahn: i resti di un gruppo di omoteri, e circa 400 scheletri di cuccioli di mammut; una vera e propria dispensa, mantenuta e custodita da un branco altamente coordinato di tigri dai denti a scimitarra. Un altro indizio del loro pro-
babile carattere sociale è la teoria che i canini, oltre a fungere da arma di offesa, fossero anche un segnale sessuale nei confronti delle femmine: più lunghi erano i denti, più il maschio era in salute. Un’idea ancora discussa, ma supportata in parte dalla considerazione un po’ eretica che le “sciabole” potessero essere più fragili di quanto crediamo, proprio a causa della loro dimensione. VERSO IL DECLINO. E in effetti, è pro-
babile che proprio i prodigiosi canini si siano rivelati con il tempo la rovina della nostra “tigre”: l’ultimo esemplare di Smilodon si estinse 10.000 anni fa, più o meno in contemporanea con il passaggio di Homo sapiens da cacciatore ad agricoltore, e le sue armi sono scomparse con lui (almeno nei mammiferi carnivori, v. riquadro nella pag. a fianco). La sovrapposizione temporale non può essere una coincidenza: come per quasi tutte le
specie che si sono estinte verso la fine dell’ultima glaciazione (dal mammut al rinoceronte lanoso), la responsabilità va attribuita con ogni probabilità proprio all’uomo. Più complicato è indicare le cause; nel 2010, per esempio, uno studio pubblicato su BioScience sosteneva che i primi cacciatori umani avessero portato le tigri dai denti a sciabola all’estinzione non uccidendole sistematicamente, ma rovinando l’ecosistema. Gli uomini sottraevano ai macairodontidi le prede e li costringevano ad accontentarsi di animali più piccoli, paradossalmente più difficili da catturare, viste le dimensioni dei loro canini. La teoria è stata in parte smentita da uno studio successivo che ha dimostrato come, ancora 12.000 anni fa, le tigri dai denti a sciabola non avessero alcun problema a procurarsi cibo nutriente e abbondante. Rimangono le ipotesi di un improvviso cambiamento climatico, o magari di qualche malattia letale portata dall’uomo, e la verità è probabilmente una combinazione di tutti questi fattori. Quel che è certo è che non siamo ancora sicuri di nulla, se non che il mondo dove vivevano le tigri dai denti a sciabola ha ancora molto da svelare. Gabriele Ferrari
ERA IL PIÙ FORTE. Uno smilodonte, il genere più famoso delle tigri dai denti a sciabola: si cibava di prede cacciate (poteva sopraffare tutti i grossi animali dell’epoca) e, forse, anche di animali morti.
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Felicità Cosa dipende dalla fortuna e cosa dalle nostre scelte.
La scienza della gioia
I risultati della ricerca più imponente
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Il sorriso si eredita. Un po’ Quella puntina nel cervello
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DOSSIER
LAUREATI IN FELICITÀ Uno studio dell’Università di Harvard da 78 anni indaga le radici della gioia umana, per giungere a una conclusione rivoluzionaria.
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Epa/Ansa
ENTUSIASMO STUDENTESCO. Harvard oggi. Nel 1938 le matricole sono state il campione per una ricerca senza precedenti.
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DOSSIER
L
ove is the answer, l’amore è la risposta. Sì, sembra una scritta sulla carta dei cioccolatini, ma le cose stanno proprio così: il segreto della felicità (e anche di una vita lunga, sana e coronata dal successo economico e professionale) sta nel mantenere rapporti affettivi decenti. Con il partner, ma anche con i parenti, con gli amici e perfino con i colleghi. A poco o nulla, invece, valgono da soli soldi, sesso o fama, poiché alle fortune come alle sventure ci si abitua velocemente, senza che questo cambi nel profondo la nostra percezione della vita come evento miracoloso o... inferno di disperazione. Si rassegnassero i cinici: a sostenere questa idea sono i risultati di una ricerca scientifica. E non una qualsiasi, ma lo “Studio Grant” dell’Università di Harvard, “La madre di tutti gli studi sociali e psicologici”, una ricerca longitudinale iniziata nel 1938 e tuttora in corso. La più lunga, la più costosa e probabilmente la più esauriente della storia sulle radici del benessere fisico e psicologico umano. LA MEGLIO GIOVENTÙ. «La gioia è con-
nessione e si può sperimentare e apprendere solo attraverso le relazioni umane. Questo è il dato più importante emerso dallo studio», conferma lo psichiatra George E. Vaillant, professore emerito di Harvard, che ha diretto (dal 1978 al 2004) e poi continuato a seguire l’indagine fino a oggi. Ma per capire come sia giunto a questa conclusione bisogna fare un passo indietro nel tempo. Nella primavera del 1938, il campione era formato da 268 matricole della prestigiosa Università: tra loro futuri imprenditori, scrittori, politici e perfino un presidente, John Kennedy (ma i dati che lo riguardano sono secretati fino al 2040). Accanto a loro fu studiato anche un secondo gruppo: 456 ragazzi, ugualmente sani e intelligenti, provenienti però da famiglie svantaggiate di Boston. 88 | Focus Aprile 2016
La gioia è connessione, si impara attraverso le relazioni Gli uni e gli altri, il fior fiore della gioventù americana. La stessa che, pochi anni dopo, avrebbe combattuto la Seconda guerra mondiale. Ma la cosa più straordinaria dello studio riguarda il campo d’indagine: in pratica, tutto, ma proprio tutto, quello che interessava questi ragazzi e la loro vita, famiglia compresa. Quindi tratti psicologici, fisici, antropologici, comportamentali, ambientali, che andavano dal quoziente intellettivo alla propensione all’alcol, ai rapporti affettivi e lavorativi, alla pressione del sangue, “alla lunghezza dello scroto in tensione”. Il tutto testato al-
meno una volta all’anno, per 78 anni, aggiornando nel tempo gli strumenti d’indagine. I dati raccolti sono milioni. I soggetti sopravvissuti allo studio invece sono pochissimi, avendo superato i 90 anni, ma continuano a rispondere alle domande degli sperimentatori e a sottoporsi alle analisi mediche. Lo stesso fanno i loro figli e nipoti, anch’essi coinvolti nella ricerca. VITA DI SUCCESSO. Obbiettivo finale di
tutto questo, quello fissato dal primo finanziatore dello studio (il signor Grant, per l’appunto, proprietario di una catena di supermercati) insieme al fondatore e direttore scientifico, Arlie Block, medico dell’Università. I due erano intenzionati a scoprire, spiegava Block, “quali fattori contribuiscano alla ‘fioritura’ di un essere umano. (…) Quali siano le forze
Gerald Haenel/Laif/Contrasto
DOLCE VITA AL NORD. Per il World Happiness Report, la Danimarca è tra i Paesi più felici.
che producono quella combinazione di sentimenti e di fattori fisiologici che comunemente interpretiamo come vita di successo”. E dire “vita di successo”, all’epoca, era la stessa cosa che dire “vita felice”. Quindi: nascere in una famiglia benestante con la giusta dote di intelligenza e salute, avere accesso allo studio e poi a un lavoro ben pagato, sposarsi, avere figli e invecchiare con una buona pensione. In questo quadro, anche la “maggiore larghezza delle spalle rispetto a quella dei fianchi” era considerato un indicatore di futuro benessere. Già a pochi anni dall’inizio dello studio, però, osservando sempre più da vicino le vicende dei partecipanti, diventava evidente che la strada della felicità non sempre coincide con quella del successo. E che, in ogni caso, il percorso è molto più complicato del previsto. A metà degli
Anni ’60, infatti, circa un terzo del campione, ormai intorno alla cinquantina, aveva già dato, almeno in un’occasione, segni di squilibrio mentale. DIFESE CHE FUNZIONANO. Fu allora,
nel 1966, che Vaillant entrò a far parte del team dello studio. E questa fu la prima domanda alla quale cercò di dare una risposta: perché qualcuno regge e altri invece soccombono sotto il peso delle difficoltà che incontrano da adulti o che hanno vissuto durante l’infanzia? «Più lo studio procedeva, più emergeva chiaramente che a fare la differenza sono i meccanismi di difesa, che usiamo per adattarci alle frustrazioni, e che nell’insieme formano quella capacità che oggi chiamiamo “resilienza”», dice Vaillant. «Possiamo suddividerli in due gruppi: quelli basati sull’empatia, che ci permet-
tono cioè di entrare in una relazione positiva con gli altri, e quelli non empatici, che ignorano le esigenze altrui e perciò ci isolano. La differenza tra i due, ci ha insegnato lo studio, è che i primi funzionano, i secondi no». Il primo meccanismo empatico è l’umorismo. Poi, la sublimazione: «Quello che fece Beethoven, depresso e ormai sordo, componendo l’Inno alla gioia anziché uccidersi», chiarisce Vaillant. Infine, la soppressione, o “stoicismo”: affrontare responsabilmente i propri problemi mantenendo gentilezza e rispetto verso chi ci circonda. I meccanismi difensivi che non funzionano sono quattro: l’aggressività («Scagliare oggetti attraverso una stanza è liberatorio, ma spaventa le persone intorno a noi»). La proiezione: cioè dare sempre la colpa a qualcun altro dei propri problemi. La fantasia: «Cioè costruirsi nell’immaginazione persone finte e trattare con loro piuttosto che con le persone vere». Infine, l’abitudine a lamentarsi unita al rifiuto di accettare aiuto quando ci viene offerto, «atteggiamento tipico degli ipocondriaci e dei border line, che rende gli altri insofferenti nei nostri confronti». Ma perché è così importante avere cura delle persone che ci circondano? Siamo sicuri che non si possa essere felici lo stesso, anche da soli? Sembra di no. Nel 2009, utilizzando i dati della ricer-
PIÙ SIAMO MEGLIO È. La felicità è data soprattutto dal senso di comunità e dalle feste celebrate insieme: lo afferma anche lo studio internazionale World Values Survey (1981-2014).
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FINE TRAGICA. John F. Kennedy (nel tondo con la sua squadra di nuoto ad Harvard e sotto) faceva parte del campione. I suoi dati però sono secretati.
L’amore materno è la migliore garanzia per una vita felice e... ricca: vale 87.000 $ all’anno in più ca, Vaillant mise a confronto gli obbiet tivi raggiunti dai partecipanti, ormai an ziani, nel corso della loro vita. Ne risultò una sorta di “Decathlon della felicità” che esaminava le varie sfaccettature del successo. Due delle “categorie” conside rate avevano a che fare con i risultati eco nomici, quattro con la salute mentale e fisica, quattro con il supporto sociale e le relazioni. Di ognuna di queste aree venne quindi considerata la correlazione con i tre “doni” che la fortuna distribuisce alla nascita: costituzione fisica, vantag gio economico e sociale, infanzia piena di affetto. «Scoprimmo che non c’erano relazioni significative tra lo status socio economico della famiglia di provenienza e il successo futuro, in nessuna delle aree considerate. Anche l’alcolismo e la de pressione familiari alla lunga non influi vano sulla realizzazione di una persona, né incidevano sulla sua longevità. Altri 90 | Focus Aprile 2016
parametri considerati vincenti all’ini zio dell’esperimento, come un carattere estroverso, o un alto quoziente intellet tivo, si rivelavano ininfluenti. DONO PREZIOSO. Quello che invece era
in grado di predire il successo in tutte e dieci le categorie del Decathlon era il terzo dono: l’affetto ricevuto nei primi anni di vita (v. anche articolo a pag. 64), che veniva sviluppato in relazioni più calde e profonde durante la vita adulta. «Volendo restare soltanto sui “risultati economici” dell’amore, chi aveva goduto di un maggiore affetto materno guada gnava 87.000 dollari in più rispetto a chi era stato più trascurato. Chi aveva avuto relazioni strette con i fratelli 51.000 $ in più», dice Vaillant. Quindi, se non si ha avuto la fortuna di una madre amorevole, si è condannati all’infelicità tutta la vita? «No. Imparare
ad amare non è semplice ma si può fare», dice Vaillant. «Occorre però prima di tut to aprirci alle emozioni positive come il perdono, la gratitudine, la fiducia. Molti ne hanno paura, perché si tratta di emo zioni orientate al futuro, che è impreve dibile». Anche questo timore, però, può essere superato in presenza di una spinta amorosa. «Solo attraverso le emozioni impariamo le emozioni e quindi a perfe zionare quei “meccanismi di difesa em patici” che ci permettono di rafforzare tutte le relazioni. L’amore insegna l’amo re», conclude Vaillant. E infatti, dice una delle ultime ricerche basate sui dati dello studio, più passano gli anni più diventia mo bravi a gestirlo e più diventiamo feli ci. Insomma, se le cose vi sono andate male fin qui, fidatevi: non è mai troppo tardi. Siete ancora in tempo per invec chiare contenti. Isabella Cioni
DOSSIER
Il mistero dell’uomo contento Mutazioni genetiche e “termostati” interiori. Anche i sorrisi si possono ereditare?
E
ssere l’uomo più felice del mon do non è più solo un modo di dire. Lui si chiama Matthieu Ricard, ha 70 anni, è francese, un passato da genetista molecolare, un presente da monaco buddista. Gli stu diosi del Laboratory for Affective Neu roscience dell’Università del Wisconsin lo hanno messo alla prova con centinaia di test e punteggiato di elettrodi per sco prire che il suo livello di felicità è il più alto mai registrato da un essere umano (l’osservazione è durata 12 anni). GENOMI DANESI. Ma Ricard è diventato
felice con il buddismo o sua mamma l’ha fatto così? La risposta non è così sempli ce: la felicità, infatti, non ha un marcato re infallibile che si misura alla nascita. Eppure questo stato d’animo condi zionerà le nostre scelte, stempererà gli umori negativi, ci farà apprezzare nelle relazioni e nel lavoro, perché felicità e ot timismo vanno a braccetto. Non è quindi un caso che molti scienziati si affannino a cercare non tanto una definizione di fe licità (lavoro per i filosofi) quanto la sua origine fisiologica. 92 | Focus Aprile 2016
Secondo uno studio dell’Università di Warwick (Uk), tra genetica e felicità vi sarebbe un rapporto molto stretto. A dimostrarlo un intero popolo: i danesi. Proprio la Danimarca, infatti, nel World Happiness Report (ne parliamo nel pros simo articolo) si piazza ogni anno come la nazione più felice al mondo. Secondo gli studiosi inglesi, esisterebbe un’asso ciazione diretta tra il benessere mentale e una mutazione del gene che influen za la produzione della serotonina, quel neurotrasmettitore che gioca un ruolo così importante per il nostro buonumo re. Esistono due varianti di questo gene: una “lunga” e una “corta” e proprio que st’ultima (ma le ricerche sono ancora in corso) sembra associarsi a una possibile insorgenza della depressione. Guarda caso i danesi sono il popolo con meno individui dotati della versione “short” del gene: da qui la loro beatitudine. I ricercatori hanno anche fatto la prova del nove, confrontando l’umore dei di scendenti danesi che vivono negli Stati Uniti con quello dei loro concittadini. Il risultato? Anche loro sono spesso di buonumore e anche loro hanno il gene in
versione lunga: la felicità danese sembra resistere nel tempo e a diverse coordina te geografiche. Ad aggiungere un mattone alla costru zione della teoria “felici si nasce” c’è an che uno studio congiunto tra economisti e psicologi (francesi, inglesi e tedeschi) pubblicato su The Economic Journal. SEMPRE IN BOLLA. I ricercatori hanno
tenuto sotto osservazione per più di un ventennio centinaia di “cavie umane” di età compresa tra i 18 e i 60 anni, regi strando periodicamente il livello della loro felicità rispetto a eventi significati vi come matrimonio, nascita di un figlio, divorzio, perdita del partner, disoccupa zione e licenziamento. La conclusione è molto interessante: nella mente umana
SCELTE FORTI. Matthieu Ricard, l’uomo più felice del mondo: oggi è un monaco buddista.
QUALCHE CONSIGLIO PER MIGLIORARSI LA VITA...
R.Demandre/Opale/Luz Photo
1. MUOVITI. L’attività fisica scatena endorfine, lo conferma anche uno studio pubblicato sull’American Journal of Epidemiology. Tra chi aveva smesso di fare sport, dopo due anni il 49% manifestava infelicità e depressione, mentre il 45% riscontrava gli stessi sintomi quattro anni dopo. Al contrario, l’85% di chi era diventato attivo a distanza di due anni aveva migliorato benessere psicofisico e autostima.
esisterebbe una livella della felicità che ritorna sempre in bolla. Anzi, una sorta di termostato, che ognuno di noi ha fisso su una certa posizione. Secondo le fortune o i rovesci della vita la tacca si muove in su (è stato calcolato, per esempio, che la nascita di un figlio innalza di tasso di felicità per circa due anni) o in giù (al contrario, la perdita del lavoro può abbassare il benessere psichico anche per un lustro). Ma dopo questi sbalzi il termostato della felicità ritorna alla posizione prestabilita, che resta sempre la stessa nell’arco di tutta la vita. Insomma, acqua al mulino genetico della felicità. Precisa però il professor Luigi Janiri, direttore della Scuola di Specializzazione di Psichiatria dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma: «Alcuni studi
hanno dimostrato che il temperamento (quella parte della personalità più ancorata alla dimensione biologica) può essere fin dalla nascita più predisposto a ricercare il piacere, a evitare i pericoli o a reagire a incentivi dell’ambiente. Con qualche estrapolazione si potrebbe quindi sostenere che, se non si nasce felici, si nasce almeno con un orientamento predominante verso situazioni che portano al benessere psichico». METÀ E METÀ. Sembrano scommettere
sull’ereditarietà del buonumore anche i tanti studi (più di 30!) sui gemelli: tutti portano nella stessa direzione. La ricerca condotta dall’Università di Edimburgo e dall’Istituto di Ricerca Medica del Queensland (Australia), per esempio,
2. ESPRIMITI. Comportarsi da estroversi aumenta la felicità. A sostenerlo è uno studio pubblicato sul Journal of Research in Personality: ai partecipanti è stato chiesto di parlare e agire in maniera aperta per 10 minuti e di descrivere quindi le emozioni che questo aveva scatenato in loro. Le persone, anche quelle normalmente più discrete, riportavano un livello molto elevato di soddisfazione di sé e di felicità proprio nelle situazioni in cui erano state costrette a comportarsi in modo più disinvolto. 3. FAI IL LAVORO GIUSTO. Anche la professione influisce sulla felicità. Secondo Martin Seligman, fondatore della psicologia positiva, chi per lavoro è abituato a pensare negativo fa più fatica a essere felice. Gli avvocati, per esempio, secondo Seligman, hanno il 3,6% di probabilità in più di soffrire di depressione o di divorziare rispetto alla norma. Sul versante opposto, danno più contentezza i lavori di insegnamento e cura (quello del preside sembra essere il lavoro che rende più soddisfatti) e quelli creativi come lo chef.
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DOSSIER GEMELLI. Molti degli studi sulla felicità si sono svolti su coppie omozigote.
4. FALLO SPESSO (MA NON TROPPO). Avere rapporti sessuali frequenti ma senza esagerare. È questa la ricetta per la felicità (di entrambi) secondo una ricerca dell’Università di Toronto. Per gli studiosi, la giusta misura starebbe nel non farlo più di una volta la settimana, superata questa soglia la felicità della coppia comincia a diminuire. 5. OCCHIO AI CONFRONTI. Per molti studi, il segreto della felicità sta nello scegliere con chi paragonarsi: mai con chi ha ottenuto più successo di noi, sempre con chi, invece, ha avuto risultati minori o simili. L’erba del vicino non è sempre più verde. 6. AIUTA GLI ALTRI. Le persone che si dedicano agli altri sono più felici. Una ricerca dell’Università di Exeter (Uk) ha esaminato 40 studi sul legame tra volontariato e salute, e ha notato che chi opera per il prossimo è meno depresso, gode di maggiore benessere e vede ridotto del 22% il rischio di morte precoce.
Agf/Mondadori Porfolio
... ED ESSERE PIÙ FELICI
Il Dna influenza la felicità. Che, a sua volta, può modificare l’attività dei geni ha preso in considerazione 900 coppie di gemelli, omozigoti (stesso patrimonio genetico) ed eterozigoti (con Dna dalle differenze sostanziali, come tra normali fratelli), tutti scelti in base ad alcune caratteristiche personali positive, come la socievolezza e la scarsa propensione alle ubbie. La conclusione alla quale sono giunti i ricercatori è che metà della nostra felicità è legata al corredo cromosomico, il restante 50% dipende invece dallo stile di vita, dalla carriera intrapresa e dalle relazioni sociali. UNO SU CINQUE. Insomma, se la mat-
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tina ci svegliamo con stampato in faccia un sorriso invece che una smorfia (o viceversa) lo dobbiamo per metà a mamma e papà. Per il resto, a farci sentire su o giù sono i fattori ambientali che sono sì importanti, ma che a poco valgono se non si possiede il Dna necessario per assaporarli. «La fortuna genetica, in termini di percentuali di soggetti che nascono felici e di soggetti che lo diventano, non è prevedibile», spiega Janiri, «anche perché non siamo in grado di sapere quali, delle varie dimensioni del temperamento, prevarranno. Un ricercatore americano ha dimostrato che esistono, per quanto riguarda l’umore, cinque temperamenti di base, presenti alla nascita, di cui solo uno, quello ipertimico (tipico delle persone sempre sorridenti, spesso euforiche, ottimiste e gradevoli), corrisponde-
rebbe allo standard comune di felicità. Potremmo quindi ipotizzare, ammesso che ognuno dei cinque temperamenti abbia la stessa prevalenza, che una persona su cinque nasca felice, ma è solo una approssimazione alla realtà». Ma se la felicità deve qualcosa al nostro codice genetico, è anche vero il contrario: essere felici pare modifichi il Dna. Uno studio statunitense del 2013 ha preso in esame l’espressione genica delle cellule che difendono l’organismo dalle patologie infettive e ha rilevato che le persone che sperimentano elevati livelli di felicità hanno una quantità di anticorpi e geni antivirali superiore alla media. Quindi, sorridi e camperai cent’anni. In conclusione, non è facile individuare l’origine fisiologica della felicità. Anche perché, conclude Janiri, «questo stato d’animo non è una risposta binaria del nostro organismo a una certa situazione, ma il risultato complesso della stimolazione dei circuiti connessi alla gratificazione e dell’inibizione di altri circuiti, associati alla frustrazione o al dolore». Una complicata elaborazione di dati che a Matthieu Ricard, l’uomo più felice del mondo, riesce con facilità. Messo a confronto con un gruppo di volontari che si muovevano in un range di valori tra +0,3 (disperazione) e –0,3 (beatitudine), Ricard ha registrato il suo primato con uno sbalorditivo –0,45. Camilla Ghirardato
DOSSIER
SFORZO PREMIATO. L’attività fisica ha un’azione positiva sui circuiti del piacere.
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Siamo felici anche grazie a un gioco di molecole. Ecco quali.
La chimica della gioia L
a felicità è anche, da molti anni, sotto la lente dei neuroscienziati. Che, abituati a collegare le emozioni e gli stati d’animo a circuiti nervosi e neurotrasmettitori, hanno sondato la mente di chi si diceva felice, per carpire la sua formula segreta e, magari, poterla riprodurre. Purtroppo, nessuno ci è ancora riuscito. Ma queste ricerche stanno almeno chiarendo quali sono le molecole in gioco e le aree cerebrali coinvolte. SULLA PUNTA DI UNA BIRO. La fotografia
Reuters/Contrasto
più recente del cervello felice è comparsa lo scorso novembre sulla rivista Scientific Reports. Su una cinquantina di volontari, i ricercatori dell’Università di Kyoto hanno usato una tecnica molto sofisticata per cercare le differenze anatomiche fra chi è soddisfatto della sua vita e chi non lo è. Hanno così scoperto che la felicità si annida in un’area della corteccia cerebrale destra grande quanto la punta di una penna, chiamata precuneo, un po’ più sviluppata fra chi si dichiara felice. In passato erano state identificate altre zone legate all’allegria, al piacere o a sensazioni che consideriamo positive. Ma è la prima volta che una macchina scatta l’istantanea della felicità vera, quella cioè che non dipende dal mangiare un pezzo di cioccolato o dal ridere per una
scenetta comica, ma dalla percezione di vivere un’esistenza piena e appagante. Pur distinguendo fra la felicità “esistenziale” e le emozioni passeggere, l’analisi non dice affatto che queste ultime non contino nulla. Conferma, anzi, che l’ansia rende infelici, mentre la gioia e le gratificazioni contribuiscono a colorare la vita di rosa. E questa è un’ottima notizia, perché è possibile rendere più numerosi e intensi i nostri momenti “sì” e arginare quelli “no”, con strategie e abitudini che – si è visto – influenzano direttamente la chimica del cervello. Per esempio, è modulabile l’attività della molecola del piacere per eccellenza, la dopamina, regina del sistema limbico che controlla le nostre reazioni istintive. La sua produzione, infatti, aumenta se ci si concede ogni tanto qualche cibo godurioso, se ci si pongono obiettivi raggiungibili (ogni volta che li centriamo parte una scarica) e, soprattutto, con il sesso. Quest’ulti-
NEL CIBO. Pesce, latte e banane contengono tirosina, amminoacido che sintetizza la dopamina.
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DOSSIER BACI BOLLENTI. Il sesso scatena la produzione di dopamina.
Dopamina, ossitocina, serotonina: un cocktail di benessere mo, peraltro, è un vero toccasana per l’umore nero, perché scatena anche la sintesi di endorfine – che danno benessere e funzionano da antidolorifici – e quella di ossitocina, un ormone secreto da una piccola ghiandola situata al centro del cervello, chiamata ipofisi. L’ossitocina è la molecola della tranquillità e dell’attaccamento (infatti è prodotta dopo l’orgasmo), ed è inoltre la responsabile della specialissima relazione che si crea fra la madre e il bambino appena nato. Uno studio pubblicato recentemente su Science suggerisce che persino adottare un cane possa rafforzarne gli effetti: lo sguardo dell’animale fa infatti triplicare la concentrazione di questo ormone nel sangue dei padroni. 98 | Focus Aprile 2016
Reuters/Contrasto
COME SI MISURA LA FELICITÀ DEL MONDO
Fare attività fisica è un altro modo per influenzare positivamente i circuiti del piacere. Diversi studi hanno infatti dimostrato che gli sforzi intensi potenziano gli endocannabinoidi, che ci permettono di reagire allo stress, mentre lo yoga favorisce la sintesi del Gaba (neurotrasmettitore che toglie l’ansia) e gli sport estremi o molto dinamici quella di adrenalina, che dà energia. Gli esercizi aerobici, infine, agiscono sul sistema della serotonina, molecola carente in chi soffre di depressione, i cui livelli possono essere alzati anche esponendosi ai raggi Uv in una bella giornata di sole. PILLOLE CHE INGANNANO. I farmaci per
l’ansia e la depressione agiscono su molte delle sostanze elencate fin qui. Sarebbe però un errore cercare la felicità con le pillole, che, avverte Silvio Garattini, direttore dell’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri di Milano, «hanno effetti collaterali importanti e purtroppo sottovalutati». In particolare, prosegue l’esperto, «gli adulti rischiano di non poterne più fare a meno, i bambini e gli adolescenti possono diventare aggressivi o avere tendenze suicide». A dispetto dei
DEPRESSI? Per il World Happiness Report, i danesi risultano tra i popoli più felici. Sono anche, però, grandi consumatori di antidepressivi. «Non è una contraddizione», spiega Meik Wiking, direttore dell’Happiness Research Institute di Copenaghen, «indica solo che la Danimarca cerca di ridurre l’infelicità dei propri cittadini: quando hanno malattie mentali, li cura. Inoltre, nelle misurazioni consideriamo la media delle persone. Non è escluso che, per esempio, una parte di italiani possa essere molto più felice dei danesi più felici». Ma come si misura la felicità del World Happiness Report? «Cerchiamo di cogliere tre dei suoi molti componenti: il livello di soddisfazione complessivo riguardo alla propria vita; la dimensione affettiva, che cattura l’umore del momento; “il grado di senso” che la persona attribuisce alla propria vita. La difficoltà maggiore, poi, sta nel capire qual è la causa e quale l’effetto. Per esempio: le persone sposate sono più felici, ma non si riesce a capire se sono felici perché sono sposate o se è più facile sposarsi quando si è felici». Marco Consoli
rischi però «si fa un uso eccessivo di antidepressivi e ansiolitici, e spesso sono gli stessi medici che li prescrivono a sproposito, magari per aiutare i pazienti ad affrontare eventi drammatici, come un lutto o la perdita del lavoro. In questi casi è utile un supporto psicologico, ma i farmaci sono dannosi, perché tolgono le energie che permetterebbero a chi sta male di reagire e superare la difficoltà. Gli antidepressivi servono se usati per periodi limitati e solo nelle forme gravi di depressione, che non sono legate a eventi contingenti, per quanto drammatici. Bisogna fare molta attenzione: il cervello è l’organo più importante che abbiamo e va trattato con cautela». Margherita Fronte
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Il confronto Il braccio di ferro tra investigatori e azienda
L’Fbi chiede ad Apple di “aprire” l’iPhone di un terrorista. Prevale la lotta al crimine o la privacy di tutti i cittadini?
SÌ NO PERCHÉ
PERCHÉ
È INDISPENSABILE. L’Fbi sostiene che
I TELEFONI SAREBBERO MENO SICURI.
per le indagini deve accedere all’iPhone 5C di Syed Rizwan Farook. L’uomo, con la moglie Tashfeen Malik, a dicembre, freddò 14 persone in un centro di servizi sociali (i due furono poi uccisi dalla polizia).
La polizia federale Usa vuole sbloccare lo smartphone dell’autore della strage di San Bernardino. Il gigante informatico ha risposto con un rifiuto. Per non rischiare di indebolire la sicurezza dei telefoni di tutti.
A cura di Giovanna Camardo
SOLO LORO POSSONO. L’Fbi, attraverso
l’ordine di un giudice, ha chiesto ad Apple di collaborare per sbloccare il telefono: per farlo, bisogna inserire il codice di accesso numerico scelto da Farook. Si dovrebbero provare automaticamente le combinazioni possibili fino a trovare quella giusta. Per poter fare questo, Apple dovrebbe creare una versione del sistema operativo per: 1) evitare che i dati si cancellino dopo 10 tentativi di inserire il codice; 2) non dover aspettare tra un tentativo e l’altro; 3) trasmettere i codici da un apparecchio esterno, invece di digitarli manualmente. UNA VOLTA SOLA. Non c’è rischio per
i cittadini, dice l’Fbi: il software sarebbe creato nella sede Apple, usato solo per il telefono del killer e poi cancellato. OBBLIGO DI INDAGINI. L’Fbi, dice il
direttore James Comey, deve sapere cosa c’è nell’iPhone, che «forse contiene indicazioni per trovare altri terroristi». Per il cofondatore di Microsoft Bill Gates questo singolo intervento non metterebbe a rischio la sicurezza di tutti. Il caso Apple/Fbi potrebbe arrivare alla Corte Suprema, ma molti (da entrambe le parti) chiedono di regolare un tema così delicato discutendone e arrivando a una legge.
Apple ha contestato la richiesta dell’Fbi (e del giudice). Per non introdurre una debolezza nei propri prodotti, aggirando i suoi stessi sistemi di sicurezza. Sarebbe obbligata, ha scritto l’amministratore delegato Tim Cook, «a esporre i suoi clienti a un maggior rischio di attacco». È COMPLICATO FARLO. Apple non ha
mai fatto sblocchi di questo tipo; in passato ha estratto dati dai telefoni per la polizia, ma non può usare i vecchi metodi sugli “inaccessibili” sistemi operativi più recenti: le informazioni sono criptate e se il device è bloccato serve il codice di accesso. «Ci hanno chiesto di creare un accesso secondario all’iPhone», dice Cook. Ma non è possibile garantire che solo la polizia userebbe tale “porta”. Il software sarebbe l’equivalente di un passepartout: l’unico modo per essere certi che non cada in mani sbagliate – di cybercriminali interessati ai dati conservati sui nostri telefoni – è non crearlo. SI CREA UN PRECEDENTE. E non
solo in casi in cui le forze dell’ordine chiedano uno sblocco. Cook mette sul tavolo la privacy dei cittadini: il governo potrebbe chiedere software di sorveglianza per intercettare i messaggi, accedere ai dati su salute e finanze, avere accesso al microfono dello smartphone. TROPPO POTERE AI GOVERNI. Sostegno
da Google, da Facebook, dall’organizzazione Electronic Frontier Foundation, dall’Onu… Creata la chiave, dicono, i governi la chiederanno ancora. Con il rischio di abusi.
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Visioni dal futuro Il “tempio” sommerso Una barriera con turbine
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Il frangiflutti diventa hi-tech. Obiettivo: proteggere i porti e produrre elettricità. A cura di Elisabetta Intini
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PARTENONE SUBACQUEO. Sembra un antico tempio greco sommerso dalle acque (1). Invece si tratta di un frangiflutti hi-tech, non a caso battezzato “The Parthenon”: è studiato per proteggere barche e strutture portuali dalla potenza delle onde e per raccogliere, allo stesso tempo, energia pulita. Ideato da Koen Olthuis, designer olandese di Waterstudio, è stato immaginato per sorgere, per esempio, all’ingresso di porti posti alla foce di un grande fiume (2). Come il New York Harbour, allo sbocco dell’Hudson.
6
Waterstudio (4)
DOPPIA FUNZIONE. La barriera “permeabile” non si limita a contrastare l’impatto delle acque, ma sfrutta correnti e onde, capaci di far muovere le turbine in modo lento ma costante. Il porto e le imbarcazioni restano quindi protetti, mentre la parte emersa della struttura può alloggiare spazi verdi (6), passeggiate o strutture per il tempo libero. Sott’acqua, invece, i sub possono avere per un attimo l’illusione di vedere le rovine sommerse della mitica Atlantide.
ANCORATA. La barriera è costituita da una piattaforma galleggiante, su colonne, ancorata al letto del fiume. Ogni colonna può essere parzialmente riempita d’acqua (3) per permettere alla struttura di galleggiare alla profondità voluta. E su ognuna delle colonne sono installate tre turbine idrauliche: tre cilindri capaci di ruotare in entrambi i sensi (4), “frenando” l’acqua in ingresso nel porto. La rotazione viene poi convertita in elettricità dall’impianto che si trova all’interno della piattaforma (5).
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METRO
Il diametro dei cilindri-turbine, montati all’esterno delle colonne; su ognuna se ne installano tre.
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Natura
Scusi, è qui l’inferno? Un lago di lava, nel cuore di un vulcano africano. A cui bisogna avvicinarsi con molta, molta cura… Foto di Olivier Grunewald
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Rep. Dem. del Congo
VIETATO BAGNARSI. Una spedizione scientifica scende nel cratere del vulcano Nyiragongo, per avvicinarsi al lago di lava.
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Quando si è “spaccato” il cratere, il bacino si è svuotato in un’ora BRILLA NEL BUIO. Le tende “vista lago” dei ricercatori che hanno studiato il vulcano, pericoloso per chi vive qui. Il lago di lava si è svuotato e riformato più volte; il suo livello è cambiato.
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OCCHIO AL CALORE. La lava fuoriesce dal bordo del lago finendo sul fondo del cratere. A causa del calore, gli studiosi si possono avvicinare solo quando il vento soffia da dietro le loro spalle.
In superficie si crea una crosta grigia sottile e “mobile�, che rifonde e si riforma di continuo Aprile 2016 Focus | 111
Sport
LO SPORT FA MALE
Fra lividi, fratture e occhi neri, anche i campioni hanno i loro acciacchi (forse pi첫 di noi).
112 | Focus Aprile 2016
Reuters/Contrasto
CHE BOTTA! Ha preso male la curva ed è finito sulle protezioni. Nulla di grave, a parte la figuraccia.
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SCINTILLE IN PISTA. Felipe Massa al Gran premio di Germania del 2014. Uscì dall’auto illeso.
Nel tennis c’è il rischio-pallina. Nella pesca sportiva quello di prendersi un occhio all’amo
S
colpiscono i muscoli per spingerli al massimo, chiedono prestazioni da record a cuore e polmoni, imparano a sopportare ferite, contusioni e formidabili sforzi, obbligando poi il fisico a recuperare in fretta, per tornare in gara prima possibile. Sono gli atleti professionisti, che usano il corpo per lavoro, fino al limite delle sue capacità. L’obiettivo è la medaglia. Che però persino sul gradino più alto del podio può avere un suo rovescio: a quei livelli, infatti, scricchiolerebbe anche Superman. E infatti scricchiola. Al punto che, per alcune discipline, l’Inail ha stilato un vero e proprio elenco di “malattie professionali e incidenti sul lavoro”, e ha esteso, già dal 2000, la tutela assicurativa agli sportivi professionisti che le praticano.
DRITTO... SUL CUSCINO. Alla pattinatrice cinese Fan Kexin è andata bene. L’incidente è del 2014.
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Reuters/Contrasto (2)
INCIDENTI OSÉ
CHE MALE! Muscoli, ossa e tendini sono
più vulnerabili di altre parti del corpo. Fra distorsioni, strappi, contusioni e fratture, ci sono sport che davvero lasciano il segno – anche fra i non professionisti – specie se non si rispettano le regole del gioco o non si è abbastanza allenati. Uno studio dell’Università della Navarra di Pamplona (Spagna), pubblicato su International Journal of Epidemiology, ha stilato la classifica delle discipline in cui è più probabile farsi male. Nella graduatoria, svetta in prima posizione il calcio, seguito dallo sci, dall’atletica, dalla corsa e da altri sport di squadra come il basket o la pallamano. L’analisi non considerava però la gravità degli incidenti, che invece, osserva Gianfranco Beltrami, consigliere della Federazione medico sportiva italiana, «è massima nel pugilato, nel football americano, nel rugby e, ovviamente, nell’automobilismo e nel motociclismo». Ma anche in assenza di collisioni e capitomboli, piccole lesioni di muscoli, tendini e articolazioni possono comparire un po’ in tutti gli atleti, in punti diversi, a seconda dei movimenti che si eseguo-
no più spesso. Per esempio, è tipica dei calciatori la pubalgia, che ha tenuto fermo Mario Balotelli per alcuni mesi l’anno scorso. «È un’infiammazione dei muscoli della coscia e degli addominali che muovono la gamba quando si calcia il pallone», spiega Paolo Zeppilli, direttore del Centro di medicina dello sport del Policlinico Gemelli di Roma. La citatissima (dai quotidiani sportivi) pubalgia colpisce anche i ballerini, gli schermidori, i giocatori di hockey e guarisce con il riposo e i farmaci antinfiammatori, anche se a volte è necessario ricorrere a un intervento chirurgico per riparare i tessuti. Analogamente, il gomito del tennista o del golfista tormenta chi pratica quelle discipline, la tendinite della spalla costringe allo stop nuotatori, vogatori e chi lancia pesi, dischi e giavellotti, mentre il mal di schiena (e a volte l’ernia del disco) fa soffrire ciclisti e motociclisti. «La corporatura di ciascuno influenza la comparsa di questi disturbi, ma il rischio si riduce molto se il gesto atletico è impostato nel modo corretto», dice Zeppilli. «E non dimentichiamoci
OPS! Nell’antica Grecia gli atleti gareggiavano nudi. Oggi non è più così, ma nella foga della competizione può capitare che l’abbigliamento ceda, lasciando intravedere molto più che la semplice biancheria intima. A rischiare di più sono gli atleti che indossano solo il costume. Come la nuotatrice italiana Flavia Zoccari o lo statunitense Ricky Berens, ai quali, in mondovisione, si scucì l’indumento proprio sul didietro. Più spesso però gli incidenti dipendono da bottoni o gancetti allacciati male. È il caso del fantino inglese Blake Shinn, che perse i pantaloni in una gara di galoppo e percorse mezza pista con il sedere al sole. Arrivò secondo e disse poi di non essersi accorto di nulla fino al traguardo. Ma anche la gioia può giocare brutti scherzi: alle Olimpiadi invernali del 2014, la pattinatrice di velocità Olga Graf si slacciò la zip della tuta dopo aver concluso la gara al terzo posto, dimenticando che sotto non aveva nulla.
un buon riscaldamento e il defaticamento dopo lo sforzo», aggiunge Beltrami. «Anche la stanchezza può essere pericolosa, ed è altrettanto importante che ci sia sempre abbastanza tempo per recuperare fra un allenamento e l’altro». PALLE E LENZE. Certi incidenti, poi, sono
legati a particolarità dei singoli sport e agli attrezzi utilizzati. Com’è da aspettarsi, gli occhi corrono dei rischi nelle discipline che usano palle, palline e dischi, ma anche nei combattimenti e nella pesca con la lenza (!). Ogni anno in Italia su 40.000 lesioni alla retina, al bulbo o ad altre zone dell’occhio, circa 10.000 sono legate alla pratica sportiva. Nove volte su 10 sarebbero prevenibili con maschere oppure occhiali con lenti in policarbonato, resistenti agli urti. Eppure – fateci caso – gli atleti che proteggono gli occhi sono una rarità. E pochissimi – appena il 13% – sono anche gli uomini che, in gara o in allenamento, indossano le opportune protezioni per le “parti basse”, a dispetto del fatto che quasi 1 su 5 incappi prima o poi in un doloroso trauma testicolare. Aprile 2016 Focus | 115
Ricevere un pugno al volto è come essere colpiti da un martello di legno di 6 kg
OSTACOLO NON SUPERATO. Il britannico James Ward va davvero... troppo a rete. A destra, il cubano Yordani Garcia inciampa e cade ai campionati del mondo di atletica leggera 2015, a Pechino.
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Reuters/Contrasto (3)
MI SONO DATO ALL’IPPICA... Un salto non proprio riuscito per il pentatleta ceco Michal Michalík e per il suo cavallo YangYang.
Lo ha fatto notare uno studio americano pubblicato sulla rivista Urology, secondo cui per i “gioielli di famiglia” le attività più pericolose sono il wrestling, il baseball e il football americano. LA MALATTIA DEI PUGILI. Negli sport di
squadra, gli infortuni più seri derivano invece quasi sempre da scontri con altri giocatori: la conseguenza più temuta è il trauma cranico, che può però capitare un po’ in tutte le discipline, individuali e non, in seguito a cadute o collisioni. Diversi studi hanno legato questi incidenti a problemi neurologici di vario tipo, dai disturbi del sonno a difficoltà della memoria, tanto più seri e probabili quanto più i traumi sono stati ripetuti e importanti (con perdita di coscienza). Alcuni sport preoccupano tuttavia più di altri. Fra questi, il pugilato, dove il trauma cranico con perdita di coscienza – che può seguire al “ko” – non è un evento raro. «Ricevere un diretto al volto è come essere colpiti da un martello di legno del peso di 6 chili circa che viaggia alla velocità di 32 km/h», chiarisce la guida dell’Inail sugli infortuni nello sport. Per questo, fra le malattie professionali dei pugili, compare anche l’encefalopatia cronica posttraumatica (o “demenza pugilistica”), che può manifestarsi anche molti anni dopo aver appeso i guantoni al chiodo, e che ricorda nei sintomi il morbo di Par-
kinson e quello di Alzheimer. Il problema non è limitato al ring: la malattia può colpire, per esempio, i giocatori di football americano, a causa dei traumi alla testa. Il primo ad avanzare l’ipotesi fu il medico Bennet Omalu, la cui vicenda è raccontata nel film Zona d’ombra, ora nei cinema. E c’è il sospetto che anche i colpi di testa nel calcio possano alla lunga avere conseguenze sul cervello, specie nei giocatori che praticano di più il gioco aereo, anche se i rischi sarebbero molto bassi. Per proteggere i più giovani, la Federcalcio statunitense ha di recente comunque proibito i colpi di testa ai calciatori con meno di 10 anni, e li ha fortemente limitati fino a 13 anni. «Non c’è una dimostrazione scientifica che questo modo di giocare danneggi il cervello», dice Beltrami. «La decisione però mi trova d’accordo, perché in certe situazioni, per esempio se il pallone è bagnato e pesante, un colpo di testa potrebbe effettivamente provocare un piccolo trauma, soprattutto nei bambini, che hanno ossa del cranio più sottili». CUORI DA RECORD. Il cuore non sembra
patire il superlavoro. Lo ha dimostrato uno studio del Coni, che ha preso in esame 114 campioni olimpionici di discipline molto impegnative, come sci di fondo, triathlon, nuoto sulle lunghe distanze. L’analisi degli elettrocardiogrammi e degli ecocardiogrammi degli atleti mostra
13% Gli atleti maschi che usano le protezioni per i testicoli. Pochi, anche se i traumi “lì” sono frequenti.
che nel tempo il loro cuore si modifica e diventa più efficiente, e il rischio di infarti o altre malattie cardiache non aumenta. Questo però è vero solo se il cuore è sano, perché alcune anomalie possono mettere in pericolo la vita, anche fra i dilettanti: nello sport, la morte improvvisa per arresto cardiaco, in persone che mai avevano avuto disturbi, in Italia arriva un centinaio di volte all’anno. Per ridurre i rischi anche chi fa attività non agonistica deve sottoporsi all’elettrocardiogramma. Inoltre sarebbe auspicabile che gli impianti sportivi si dotassero di defribillatori, preziosi per soccorrere in tempo le vittime di un arresto cardiaco. Ma l’entrata in vigore della legge che li rende obbligatori è stata da poco prorogata. Margherita Fronte
UN FISICO BESTIALE CHE FORZA! Il corpo degli atleti subisce tante e tali sollecitazioni che persino i più robusti accusano i danni. Per esempio, è stato calcolato che l’energia che si sviluppa in uno scontro fra due giocatori di football americano potrebbe sollevare un blocco di cemento da 23 tonnellate. Ma il fisico degli atleti deve sopportare dure prove anche in condizioni meno estreme. Come nelle gare di velocità: è stato calcolato che il piede di Usain Bolt, detentore di numerosi record di velocità, esercita sul terreno una forza di oltre 4.000 Newton (una pedata potrebbe spostare un pulmino), che si ripercuote su tendini e articolazioni di caviglia e ginocchio. Nel calcio, invece, i portieri respingono a pugni chiusi palloni che viaggiano anche a 70 km/h. Nel baseball, infine, le dita che lanciano la palla hanno una velocità che supera i 150 km/h: una scossa per l’intero braccio.
Aprile 2016 Focus | 117
per Focus
L’evoluzione del risparmio energetico Il nuovo micro-impianto fotovoltaico con le ”ricariche energetiche”.
U
n micro-impianto fotovoltaico intelligente e la fornitura diretta di luce e gas: si chiama EnergyGate ed è l’operazione che garantisce un risparmio energetico evoluto, efficace, e una drastica riduzione delle spese delle famiglie italiane. La proposta innovativa nasce in Invent, la dinamica azienda italiana con sede a Noventa di Piave specializzata nella produzione di pannelli fotovoltaici – suo anche il coppo fotovoltaico. Il grande know how sviluppato in questi anni porta alla progettazione di Ècomodo, un micro-impianto fotovoltaico equipaggiato con l’innovativa tecnologia Alterna in grado di generare direttamente elettricità in corrente alternata. Occupa solo 1,6 mq, non ha bisogno di quadri
Il micro-impianto “griffato” - ogni pezzo è unico
elettrici e/o inverter esterni ma si collega direttamente a una presa elettrica dedicata di casa e si può portare con sé in caso di cambio di abitazione. Oltre a fornire innovazione tecnologica Invent decide di gestire anche la fornitura di luce e gas in tutta Italia, ed è a questo punto che nasce l’idea di EnergyGate, una vera porta di accesso al risparmio energetico che consente l’azzeramento per un periodo della bolletta elettrica, il risparmio netto per due anni sul gas e per vent’anni sulla luce (componenti materia prima). Tutto ciò con una minima spesa iniziale che viene recuperata in soli due anni. “Abbiamo abbinato ai prodotti la proposta di servizi.” – spiega Sante Bortoletto, fondatore e presidente di Invent – “Da gennaio 2015
siamo diventati operatori per luce e gas. La stessa strategia di EnergyGate è stata applicata, quindi, a tutti i nostri prodotti. Ad esempio, i nostri clienti che acquistano una caldaia a condensazione e attivano le nostre forniture, godono di uno sconto di 4.500 Smc di gas. Stimando un consumo medio di 1.000 Smc per anno, significa non pagare il gas (materia prima) per 4 anni e mezzo. In altre parole, è come dire che tutti coloro che acquistano le nostre automobili, se fanno rifornimento alle nostre pompe di benzina, non pagano il carburante. Una rivoluzione rispetto al tradizionale modo di operare in questo mercato. Invent sta avviando, in questo momento, anche un nuovo progetto a livello mondiale di costruzione di centrali fotovoltaiche, che si
Una formula innovativa non solo in termini di consumi, ma anche per il grande contributo alla sostenibilità.
ENERGIA ALTERNATIVA E RISPARMIO: IL FUTURO È DI INVENT
1,6 mq
il nuovo micro-impianto fotovoltaico
chiameranno volutamente EnergyGate. Possiamo dunque immaginare che le ricariche rappresentino un “piccolo accumulo di energia virtuale pulita”. Vediamo come funziona. Una volta installato il micro-impianto Ècomodo, collegandolo alla presa elettrica dedicata, si attiva la nuova fornitura di energia che serve alla casa con la relativa ricarica. Questa darà all’utente corrente elettrica per 52.000 Kwh (materia prima), ovvero circa 20 anni di consumo suddivisi in 2.600 Kwh/anno. Con EnergyGate, oltre alla “Ricarica Luce”, si ottiene anche una “Ricarica Gas” di 2mila metri cubi (materia prima) che corrispondono a quasi 2 anni di consumi, calcolando un consumo medio annuale di 1.000 smc. Completa infine l’offerta la “Zero Card” che equivale ad un ulteriore sconto di mille euro sulle bollette di energia elettrica consentendo così all’utente di azzerare la bolletta per qualche anno. Una formula innovativa, inoltre, non solo
www.energygate.info
in termini di consumi ma anche per il grande contributo che potenzialmente potrebbe dare alla sostenibilità, come fa notare Bortoletto: “Immaginiamo una città in cui tutte le case grazie a Ècomodo generano ognuna autonomamente il 10% di energia pulita, allora avremo davvero dato un contributo per lasciare un mondo migliore ai nostri figli”. Davvero una suggestione non trascurabile se pensiamo ai nostri consumi energetici “domestici” e a quanto questi ultimi siano decisamente aumentati negli ultimi anni. Non solo quelli necessari, ad esempio, alla pulizia della casa, all’igiene, ma soprattutto quelli che si sono venuti a creare con tutti i nuovi device per il nostro “home entertainment”.
La “Ricarica Luce”
Invent srl è una dinamica realtà italiana specializzata nella produzione di sistemi energetici alternativi e apparecchiature per il risparmio energetico. Operante nel settore del fotovoltaico dal 2006, Invent srl ha sempre agito sulla convinzione che attraverso la tecnologia e l’ingegno umano è possibile costruire un futuro migliore. Un futuro dove sia auspicabile raggiungere una condizione di serenità nella quale uomo e ambiente siano in perfetta sintonia.
Erik Simonsen/Getty Images
Trasporti
120 | Focus Aprile 2016
TEMPESTA IN ARRIVO. Negli ultimi anni, correnti in quota e turbolenze si stanno intensificando.
Aiuto! C’è un vuoto d’aria Il clima che cambia ha un effetto anche sui voli. Perché? E con quali conseguenze per noi, per il nostro portafogli e per la nostra sicurezza?
Aprile 2016 Focus | 121
Le turbolenze “invisibili”, negli ultimi 60 anni, in Europa sono aumentate già del 90%. E la tendenza continua
DENTRO LA CABINA. Gli aerei moderni sono attrezzati per resistere anche a meteo estremi.
122 | Focus Aprile 2016
È
la notte tra il 24 e il 25 gennaio e i passeggeri del volo American Airlines 206 Miami-Milano sono immersi in quella calma sonnacchiosa tipica dei voli notturni a lungo raggio. C’è chi tenta di dormire tra gli stretti sedili della classe economy, chi legge, chi guarda un film nel monitor di fronte a sé. C’è anche chi si è alzato per prendere qualcosa dalla cappelliera o per andare alla toilette. Le assistenti di volo percorrono silenziose i corridoi con
un vassoio in mano e offrono discretamente l’ennesimo bicchiere d’acqua. Ma qualcosa va storto. IN MEZZO ALLE CORRENTI. «All’improv-
viso ho avuto come l’impressione che il sedile mi mancasse da sotto e abbiamo iniziato a precipitare. Le hostess piangevano e ho visto molte scene di panico», ha raccontato in tv uno dei passeggeri, Alvise Casellati, direttore d’orchestra padovano. Quattro ore dopo il decollo, l’aereo,
un Boeing 767-300, ha incontrato una fortissima turbolenza, si è sbilanciato da un lato, ha perso quota e ha cominciato a sobbalzare violentemente. Le persone in piedi sono state proiettate contro i sedili, le paratie divisorie, il pavimento. Alcuni passeggeri hanno cominciato a urlare, mentre una hostess in lacrime ha chiesto se ci fosse un medico a bordo. Il comandante, appurata la presenza di sette feriti (quattro passeggeri e tre membri dell’equipaggio) ha disposto un atterrag-
gio di emergenza a St. John’s, nell’isola di Terranova, al largo del Canada. Episodi di questo tipo sono rari, ma sono in aumento. La causa? Il riscaldamento globale: lo dice uno studio dell’Università inglese di Reading. La ricerca, pubblicata nel 2013 e ampliata nel febbraio di quest’anno, è stata condotta da Paul Williams, un fisico del dipartimento di meteorologia, che ha combinato i software usati dalle compagnie aeree per calcolare quotidianamente le rotte migliori con i modelli di previsioni climatiche più accurati. L’incremento delle turbolenze, secondo Williams e il suo team, deriva dall’impatto del global warming sulle correnti a getto, cioè i flussi d’aria che si formano nell’atmosfera a circa 11mila metri di quota, che è poi la stessa alla quale volano gli aerei (v. schema sotto). Queste correnti, che si propagano per migliaia di chilometri in varie direzioni, sono generate dalla differenza di temperatura tra i Poli e i Tropici. «Quando masse d’aria che si muovono in direzioni diverse si incontrano ad altissime velocità, si causa una turbolenza detta “in aria chiara”», dice Danilo Recine, pilota di lungo raggio e membro del coordinamento nazionale piloti dell’Associazione nazionale professionale dell’aviazione civile (Anpac). «E se le turbolenze hanno direzione diversa dal moto dell’aereo possono provocare disagi».
SCOSSONI IN AUMENTO. Ci sono pro-
ve che le turbolenze “in aria chiara” in Europa siano già aumentate del 90% dal 1958 a oggi, ma secondo le previsioni di Williams, pubblicate sulla rivista scientifica Nature Climate Change, sono destinate a raddoppiare come frequenza entro il 2050, mentre l’intensità aumenterà fino al 40%. Rispetto agli altri tipi di turbolenze, come quelle causate dai venti che si incanalano tra le catene montuose e da qui verso l’alto, quelle “in aria chiara” sono le più difficili da prevedere, perché invisibili persino ai satelliti. «Questo non vuol dire che ci si debba preoccupare troppo», spiega Recine, che in carriera ha accumulato più di 15mila ore di volo. «L’aereo è testato per resistere a sollecitazioni strutturali ben maggiori. Inoltre i piloti si scambiano informazioni in tempo reale e se il tipo di turbolenza lo richiede si cerca di evitarla. Quelle inaspettate sono rarissime ma nel caso ci sono alcune manovre da effettuare: ridurre la velocità, chiedere informazioni alla torre di controllo di zona e se necessario cambiare il livello di volo». Incidenti gravi con danni strutturali al velivolo non si sono, in pratica, mai verificati. Però l’aumento delle turbolenze a causa del cambiamento climatico porta con sé una serie di conseguenze che vanno al di là del mancato comfort. Causa danni a persone e cose in cabina e in
Nemico invisibile Cos’è una turbolenza “in aria chiara” e cosa accade quando un aereo la incontra.
1. CORRENTE A GETTO. Questi “fiumi” d’aria si estendono per migliaia di km e si formano a causa della differenza di temperatura tra i Poli terrestri e i Tropici.
2. CORRENTE PIÙ LENTA. Altri flussi possono entrare in conflitto e rallentare, in alcuni punti, la corrente a getto. Quando questo accade, nel mezzo si forma una turbolenza.
Corrente a getto polare Turbolenza “in aria chiara”
3. LA CAUSA. La turbolenza “in aria chiara” è la meno prevedibile, perché non può essere vista dai piloti né rilevata dal radar di bordo. È causata dalle correnti a getto, i flussi d’aria che si generano nell’atmosfera terrestre a circa 11mila metri di quota.
Aprile 2016 Focus | 123
Illustrazioni Stefano Carrara
Flickr RF/Getty Images
Corrente a getto subtropicale
SULL’HIMALAYA. Le turbolenze rendono Lukla, in Nepal, uno degli aeroporti più pericolosi.
LA PAURA (INFONDATA) DEL “VUOTO D’ARIA” IMPRESSIONI ERRATE. Spesso i passeggeri hanno paura dei cosiddetti “vuoti d’aria”. Quando si verifica una turbolenza forte, in effetti, il disagio percepito può essere molto forte. Ma l’effettivo pericolo e il rischio di danni al velivolo sono praticamente inesistenti. Secondo Steve Allright, un pilota esperto che cura i corsi “Flying with confidence” per British Airways, in questi casi rarissimi (gli eventi dai lui registrati ammontano a 5-6 minuti ogni 10mila ore di volo) l’aereo può essere sballottato in tutte le direzioni e perdere o guadagnare quota, ma solo di 20-30 metri, anche se ai passeggeri sembrerà di precipitare per centinaia.
stiva, ritardi, cambi di rotta con aumento del carburante impiegato: il tutto costa, secondo l’Università di Reading, circa 120 milioni di euro l’anno. Williams sostiene, inoltre, che il cambiamento climatico influisce sulle correnti a getto anche in un altro modo. In generale, i venti ad alta quota che soffiano da ovest verso est sopra l’oceano Atlantico accelerano i voli diretti dall’America all’Europa e ritardano quelli sulla rotta opposta. Il riscaldamento globale amplifica questo fenomeno. Per l’esattezza, negli ultimi 40 anni, la durata media di un volo Londra-New York è aumentata di 5 minuti e 18 secondi, mentre quella sul percorso inverso è diminuita di 4 minuti. La differenza dipende dal fatto che i velivoli che vanno contro la corrente a getto trascorrono più tempo a combatterla, mentre quelli accelerati da essa spendono meno tempo per ottenere la spinta. Il tempo di volo complessivo di andata e ritorno, quindi, è aumentato di 1 minuto e 18 secondi, e continuerà a crescere, causando 2mila ore extra di volo l’anno, cioè 27 milioni di litri di carburante in più e 70 milioni di chilogrammi di CO2 emessa.
Alamy/Ipa
MENO BAGAGLI. Un altro recente studio
L’8 gennaio un aereo ha fatto il record New York-Londra (Concorde a parte): 5h e 16’
sull’impatto del global warming sull’aviazione civile, a cura della Columbia University, evidenzia che da qui al 2050 saranno molto più frequenti i giorni in cui, a causa delle elevate temperature (e perciò della minore densità dell’aria), gli aerei saranno costretti a decollare con limitazioni di peso, e quindi di bagaglio a bordo. Insomma, prendere un aereo potrebbe diventare più disagevole. Ma c’è un settore che migliora: la sicurezza. Sottolinea Recine: «Gli aerei moderni hanno tecnologie che permettono loro di affrontare qualsiasi condizione meteo. Ma se proprio ci fosse una forte turbolenza, il consiglio è sempre quello: la cintura di sicurezza va tenuta allacciata per tutto il volo. Lo facciamo anche noi piloti». Mario Prisco
124 | Focus Aprile 2016
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Domande & Risposte Le bibite in lattina, così come il cibo in scatola, esistono anche grazie a Napoleone Bonaparte. Fu infatti il suo governo a indire un concorso per trovare il modo di conservare gli alimenti destinati ai soldati durante le lunghe campagne militari: 12 mila franchi per chi ci fosse riuscito. A questo problema si stava applicando da tempo Nicolas François Appert (1749-1841), ispirato dalle intuizioni di Lazzaro Spallanzani (1729-1799). Le idee fondamentali erano due: chiudere ermeticamente il contenitore avendo tolto l’aria, poi bollire il cibo a bagnomaria. Dopo anni di esperimenti sul cibo conservato in bottiglia (un metodo denominato “appertizzazione”), nel 1809 il governo francese assegnò il riconoscimento ad Appert, che descrisse il suo metodo nel trattato L’arte di conservare per anni tutte le sostanze animali e vegetali. Nel 1810, infine, l’inglese Peter Durand pensò di sostituire il vetro con recipienti di latta in banda stagnata. Era nata la lattina.
Perché i lottatori hanno con sé un fazzoletto?
I combattimenti sono sempre duri, e in caso di ferite...
Sia nella lotta libera sia in quella
greco-romana (in entrambi i casi parliamo di discipline olimpiche) i lottatori portano con sé nel corso del combattimento un fazzoletto di stoffa, da utilizzare in caso di ferita per tamponare l’emorragia o per pulire le eventuali gocce di sangue cadute sul tappeto. Il cosiddetto bloodrag (“straccio per il sangue”) era espressamente menzionato nell’articolo 7 del regolamento sportivo della vecchia federazione internazionale, la Fila (Fédération internationale des luttes associées), che ne imponeva l’utilizzo e rendeva obbligatorio che i lottatori lo mostrassero all’arbitro prima di ogni incontro. Con la creazione della Uww (United world wrestling), nel 2014, i regolamenti sono stati aggiornati e il bloodrag non è più menzionato, ma l’abitudine di portarlo nella canotta è rimasta viva per la maggior parte degli atleti. 126 | Focus Aprile 2016
Shutterstock
Chi ha inventato la lattina?
Cosa significa il punto negli sms e nei messaggi online?
Inviata da LUCA ’82
Cosa succede se una cometa colpisce un pianeta? Si libera un’enorme quantità di energia, pari all’esplosione di diverse decine di bombe atomiche. Molto maggiore rispetto a un asteroide, perché le comete viaggiano fino a tre volte più veloci. Sul nostro pianeta, un frammento del nucleo di una cometa esplose ad alcuni km di altitudine nel 1908 a Tunguska, in Siberia, provocando un bagliore visibile a centinaia di km di distanza e abbattendo decine di milioni di alberi. Le notti successive furono illuminate dal bagliore dovuto alla presenza nell’alta atmosfera di una grande quantità di polveri e vapore. Proprio da una cometa, tuttavia, potrebbero essere arrivate sulla Terra alcune delle molecole ricche di carbonio dalle quali è nata la vita.
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Il punto messo alla fine di un messaggio sta assumendo sempre di più un significato negativo, viene infatti inteso come sintomo di fastidio e scarsa sincerità. Lo sostiene una ricerca della Binghamton University di New York. Nello studio, 126 studenti hanno letto e interpretato una serie di messaggi, alcuni digitali, altri scritti a mano su carta. In entrambi i casi, un interlocutore poneva l’invito “Ho dei biglietti in più per il concerto, vuoi venire?”, cui seguiva la risposta affermativa da parte del destinatario: “Sì”, “Certo”, “Bello”. L’unica variabile nelle risposte era rappresentata dalla presenza o assenza del punto finale. Quando questo era utilizzato nei messaggi digitali, la maggior parte degli studenti percepiva la risposta come meno sincera, come se il punto rappresentasse uno stato d’animo negativo. Se il messaggio con il punto era invece su carta, la risposta emotiva del campione era neutra.
Reuters/Contrasto
Che cos’è l’Antropocene? abbiamo disseminato nel pianeta (plastica, alluminio e cemento) resteranno presenti; 5) con i fertilizzanti, abbiamo avuto il più grande impatto sul ciclo dell’azoto degli ultimi 2,5 miliardi di anni; 6) agricoltura, deforestazione, dighe e miniere stanno avendo effetto sui processi geologici. Reuters/Contrasto
La parola deriva dal greco anthropos, uomo, e indica la nostra epoca geologica. All’uomo e alle sue attività, infatti, si devono modifiche importanti del territorio e del clima della Terra. Il termine fu coniato 30 anni fa dal biologo Eugene Stoermer. E oggi uno studio ha evidenziato i segni dell’impatto umano che resteranno nell’ambiente e saranno identificati anche in futuro. Eccone alcuni: 1) siamo sull’orlo di un’estinzione di massa: il 75% delle specie potrebbero essere spazzate via nei prossimi secoli; 2) la concentrazione di CO2 nell’atmosfera è passata, in 250 anni, da 120 parti per milione (ppm) a 400 ppm: l’aumento sarà registrato, per esempio, nei ghiacci; 3) i test delle armi nucleari hanno lasciato tracce di isotopi come plutonio-239; 4) tre materiali che
Aprile 2016 Focus | 127
Si può “craccare” una blatta?
Cosa c’è dentro a una barba? Negli ultimi anni è tornata di moda anche tra i ragazzi. Con qualche rischio per la salute. Un mondo di germi. Tendenza
maschile degli ultimi anni, la barba, se non curata, ospita molti più batteri rispetto a un viso rasato. Secondo uno studio dell’Aston University (Uk), pubblicato su Anaesthesia, soprattutto quando è lunga e incolta, può contenerne più di 20 mila. Normalmente, sulla pelle vive una flora batterica innocua per la nostra salute. Anzi, questa crea con l’organismo un rapporto simbiotico che permette a lei
Sì: RoboRoach è un kit che permette di comandare i movimenti di uno scarafaggio con una app. L’idea è della startup Usa Backyard Brains, che ha finanziato il progetto con una raccolta di fondi su Kickstarter. Il kit costa 99 dollari, comprende un chip bluetooth e un piccolo set da chirurgia, necessario per impiantare il radiocomando sul carapace della blatta (ovviamente non inclusa). Se l’operazione viene eseguita correttamente sarà possibile, inviando impulsi elettrici al chip collegato con il suo sistema neuronale, comandare per un breve periodo, attraverso l’app, i movimenti dello scarafaggio. Backyard Brains assicura un impatto minimo sulla vita dell’insetto e raccomanda di anestetizzarlo prima dell’intervento, mettendolo in acqua ghiacciata. Come è facile immaginare, però, molti esprimono forti perplessità etiche su questa “operazione”.
di sopravvivere e al nostro corpo di non ammalarsi, ostacolando la colonizzazione di batteri pericolosi. La presenza della barba può però alterare questo equilibrio: virus, microbi, funghi e acari, rimanendo intrappolati lungo i peli, possono causare o trasmettere malattie, ad esempio attraverso i baci o toccando qualcuno dopo aver passato le mani tra la barba. Una corretta igiene personale può però limitare la proliferazione batterica pericolosa per la salute.
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Lasciare la scuola è dannoso come fumare? Sì. I danni causati dall’interruzione degli studi sono simili a quelli provocati dal fumo. Lo sostiene uno studio dell’Università del Colorado, sui dati relativi alla popolazione americana a partire dal 1925, mirato a stabilire l’impatto dell’istruzione sulla salute. I risultati indicano che la mancanza di scolarizzazione, spesso legata a condizioni economiche e sociali sfavorevoli, provoca minori capacità di affrontare la vita e, soprattutto, problemi di salute. Chi abbandona gli studi senza raggiungere una qualifica di base è infatti più esposto a peggiori condizioni lavorative e abitative, che finiscono per influire negativamente anche sul sistema immunitario e sulla psiche. Secondo gli scienziati l’aspettativa di vita di chi lascia la scuola si ridurrebbe di circa dieci anni, in modo simile a quanto avviene per i fumatori. Portare a termine gli studi fino al diploma di scuola superiore, come smettere di fumare, potrebbe salvare la vita, ogni anno, a circa 145 mila persone.
RoboRoach
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Reuters/Contrasto
Ci sono elefanti in Vaticano?
Il freddo fa dimagrire?
Il modo in cui l’organismo reagisce alle basse temperature dipende anche dalla flora batterica. In generale sì, perché quando le
temperature si abbassano il corpo brucia più grassi. Uno studio dell’Università di Ginevra ha dimostrato recentemente che questo fenomeno dipende, in parte, anche dai microrganismi che abitano nel nostro intestino: la composizione della flora batterica intestinale (il microbiota) cambia infatti a seconda della temperatura esterna. I ricercatori hanno studiato un gruppo
di topi facendoli vivere per dieci giorni a 6 gradi centigradi. Quindi hanno analizzato la composizione della loro flora batterica e hanno visto non solo che il freddo l’aveva molto alterata, ma anche che i topi avevano perso grasso corporeo. Trapiantando questa flora in un altro gruppo di topi, si è visto che ciò migliorava il loro metabolismo del glucosio e la tolleranza alle basse temperature, provocando inoltre una perdita di peso.
Oggi certamente no, ma diversi secoli fa un pachiderma si aggirò per breve tempo nei Giardini del Belvedere. Era un elefante albino originario dell’isola di Ceylon che fu chiamato Annone, come il generale di Annibale. Annone era giunto via mare da Lisbona nel marzo del 1514, come dono del re del Portogallo Manuele d’Aviz al neoeletto pontefice Leone X. Quando arrivò a Roma, insieme a un carico di altri doni e animali esotici, l’elefante fu accolto da grandi celebrazioni fra lo stupore della folla. Leone X, affezionatosi all’animale, gli fece costruire una stalla nei Giardini del Belvedere. Nel giugno del 1516 però, all’età di circa 6 anni, Annone morì stroncato da un infarto. Le sue ossa furono rinvenute secoli dopo, nel 1962, durante dei lavori di scavo. In seguito lo storico Usa Silvio Bedini ricostruì la sua storia nel saggio The Pope’s Elephant. L’animale che fece da modello per l’Elefantino della Minerva (nella foto) del Bernini è invece probabilmente un altro, giunto un secolo dopo in dono all’Urbe da Cristina di Svezia.
Il principio è lo stesso dei popcorn, al metodo vanno però applicate alcune modifiche a causa della diversa natura dei chicchi. Il mais infatti, una volta scaldato, grazie all’acqua presente al suo interno e alla resistenza del guscio si trasforma in una piccola pentola a pressione. Il riso invece, a differenza del mais, non contiene sufficiente umidità e non presenta un guscio duro e resistente alla pressione, qualità indispensabili per innescare l’esplosione e ottenere la tipica nuvoletta bianca: ha perciò bisogno di essere pretrattato cuocendolo in acqua bollente, a fuoco basso, fino al completo assorbimento del liquido. Nell’industria, dopo la fase d’inumidimento si procede alla soffiatura, applicando alta pressione. Il trattamento domestico è invece più lungo: occorre lasciare asciugare i chicchi, distesi su un foglio di carta assorbente, per almeno una giornata, e soltanto in seguito buttarli nell’olio bollente per vederli infine “gonfiare”.
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Come si fa il riso soffiato?
Aprile 2016 Focus | 129
Chi appare in tutti e sette i film della saga? Lucas Film LTD&TM/Album/Mondadori Portfolio
D&R
Quali sono i punti della storia di Star Wars criticati anche dai fan più accaniti? Jar Jar è accusato di essere eccessivamente ridicolo e Yoda saltella troppo “da ranocchio”. bini, ma gli appassionati lo trovarono eccessivamente ridicolo. Criticatissima è anche l’invenzione dei midi-chlorian (menzionati nell’Episodio 1 e nel 3), organismi microscopici presenti nel sangue di ogni essere vivente attraverso i quali si può comunicare con la Forza, l’energia che tiene unito l’universo. Se ne hai abbastanza sei un jedi: ma la trovata fa acqua. Oggetto di scherno è stata infine la battaglia tra Yoda e il conte Dooku (Episodio 2), nella quale il saggio jedi con le orecchie a punta saltella un po’ troppo finendo per “somigliare a una rana”.
LucasFilm /TNP/WaltDisneyStudios/Album/Mondadori Portfolio
Se è vero che personaggi come i due simpatici robottini e scene indimenticabili come il duello in Guerre stellari (1977) tra Obi-Wan Kenobi e Darth Vader (nella versione italiana, Dart Fener o Lord Fener) sono rimasti indelebilmente impressi nella memoria di milioni di spettatori, è anche vero che perfino i fan puri e duri della saga non sopportano alcuni dettagli della storia. Il più odiato è sicuramente Jar Jar Binks, che appare in La minaccia fantasma (l’Episodio 1, cioè il primo dei prequel, del 1999): Lucas lo creò per divertire i bam-
Da La minaccia fantasma (Ep. 1) a Il risveglio della Forza (Ep. 7) nella finzione trascorrono solo 66 anni, abbastanza per vedere un umano protagonista in tutti i film. Ma gli unici personaggi ad apparire in ogni pellicola sono due droidi, il robottino “a cupoletta” R2-D2 e il compare antropomorfo C-3PO (ribattezzati nell’edizione italiana C-1P8 e D-3BO): il primo nell’Episodio 1 appartiene alla regina Amidala, ma finisce nelle mani del futuro marito di lei, Anakin Skywalker, e poi del figlio Luke. Il secondo è stato costruito da Anakin e finisce insieme a C-1P8 sull’astronave della principessa Leila, sorella di Luke.
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Aprile 2016 Focus | 131
Tecnologia
Così abbiamo fatto il buco Se la Variante di valico è finalmente arrivata, il merito è di una macchina speciale. Ma non solo... Bologna
Sasso Marconi
La Quercia
GALLERIA SPARVO
Aglio
Variante di valico
Barberino di Mugello
Vecchia autostrada Firenze
132 | Focus Aprile 2016
Toto Costruzioni Generali
TALPA GIGANTE? Una fase di preparazione della fresa Martina, impiegata per scavare la galleria Sparvo della Variante di valico.
MEGA-BUCO. Costruzione della Galleria Val di Sambro: con 3,8 km, è la seconda più lunga (dopo la Galleria di Base, 8,7 km) tra le 41 della Variante.
LA FRESA CHE SCAVA E POSA ERETTORE. È un sistema che afferra i conci (archi di calcestruzzo, in grigio scuro), portati da carrelli, e li posa per formare il rivestimento del tunnel.
CILINDRI DI SPINTA. Sono 59 e fanno avanzare la macchina esercitando pressione sull’ultimo anello del rivestimento installato.
Herrenknecht AG
RUOTA FRESANTE. Ospita gli utensili: 76 dischi, 460 scalpelli e 24 raschiatori. Ha un diametro di 15,6 metri e fa 2 giri al minuto.
NASTRO TRASPORTATORE. Invia il materiale all’imbocco della galleria. È “intubato” e isolato dal resto della macchina per evitare fughe di gas esplosivo.
134 | Focus Aprile 2016
COCLEA. È una grande vite che, ruotando, “aspira” la terra scavata e ne manda parte al nastro trasportatore, parte alla camera di scavo.
CAMERA DI SCAVO. Il materiale, sbriciolato e impastato con acqua e schiume, dà la pressione per “spingere” il fronte di scavo.
Q
uando nel dicembre scorso è stata inaugurata la Variante di valico – il nuovo tratto di autostrada compreso tra Bologna e Firenze che si affianca a quello già esistente– due cose risultavano subito chiare, ascoltando i discorsi delle autorità e i commenti dei tecnici. La prima: per attraversare l’Italia, d’ora in poi, avremmo fatto (un po’) più in fretta e consumato meno benzina. La seconda: tra pensarla (il primo progetto risale addirittura ai primi anni Ottanta) e costruirla, quella esse di asfalto da 65,8 chilometri, c’erano voluti più di 30 anni. UNA QUESTIONE DI SUPERFICI. La colpa?
Della... solita burocrazia, che ha tenuto i lavori fermi praticamente fino ai primi anni Duemila (vedi riquadro nell’ultima pagina), ma anche di un’altra ragione particolare. Buona parte del nuovo tracciato, infatti, è costituito da gallerie di dimensioni eccezionali, con una sezione grande quanto un ampio appartamento: 180 m2 (contro i 54 del tunnel della Manica o i 140 dell’Alta velocità). «Già questo
Paesi Bassi Belgio Germania
Francia
Ansa
VIA MARE. Martina (così si chiama la fresa) è partita dalla fabbrica a Schwanau (Germania). A bordo di una chiatta sul fiume Reno ha raggiunto il porto di Rotterdam (Paesi Bassi) e da lì, su una nave, Ravenna. Con tir speciali è stata portata sul punto dello scavo (foto sotto). Un viaggio durato 4 mesi.
Svizzera Italia
Ravenna
Punto dello scavo Spagna
Portogallo
è un problema», spiega Alberto Selleri, l’ingegnere che ha guidato i lavori dal progetto alla realizzazione, «perché il tempo di scavo di una galleria dipende molto, oltre che dalla lunghezza, proprio dalla grandezza della sua sezione». Più nel dettaglio, i tecnici usano dire che per scavare un tunnel che abbia una sezione con superficie doppia rispetto a un altro, il tempo necessario per realizzarlo sarà quattro volte maggiore. A complicare il tutto, nel caso della povera Variante, hanno pensato pure gli Appennini: in quel tratto a cavallo tra Emilia-Romagna e Toscana, presentano un terreno molto instabile, soggetto a frane, che per essere perforato in sicurezza richiede accorgimenti particolari. Tradotto in cifre? «Quando abbiamo trovato roccia “buona”», racconta Selleri, «per scavare un tratto lungo 4 metri e mezzo abbiamo impiegato circa 30 ore. Nei casi meno favorevoli, invece, prima di perforare il terreno abbiamo dovuto iniettarci dentro del materiale per consolidarlo. E ogni volta che era necessaria questa operazione, solo per essa serviva-
Toto Costruzioni Generali
Con terreni instabili lo scavo avanzava di 35 centimetri al giorno
no più di 300 ore di lavoro». Il risultato è stato che, per alcuni tratti, gli scavi sono andati avanti inevitabilmente a passo di lumaca (appena 35 centimetri al giorno!). «In più», rivela Selleri, «spesso dovevamo fare i conti anche con un ostacolo parecchio insidioso: il grisù (il gas inodore molto diffuso nelle rocce della zona) che, mescolandosi con l’aria, se innescato può incendiarsi ed esplodere». ARRIVA IL MOSTRO! Proprio per limitare
questo rischio è stato necessario allestire mezzi e attrezzature in assetto “antide-
flagrante”: ai camion e alle scavatrici, per esempio, è stato isolato il motore affinché l’ambiente circostante non si surriscaldasse, gli impianti elettrici sono stati protetti per prevenire l’innesco di scintille, l’uso dei cellulari è stato praticamente vietato… Nonostante gli ostacoli dovuti al terreno instabile e al pericolo di esplosioni, nel 2010 per Selleri e il suo team arriva il momento più critico, quello dell’ultima galleria (chiamata Sparvo), che gli esperti ritengono la più complessa di tutto il progetto. Affinché la Variante Aprile 2016 Focus | 135
IL VESTITO. I componenti (conci) di calcestruzzo impiegati per realizzare il rivestimento della galleria più “difficile” della variante, la Sparvo.
Toto Costruzioni Generali
PERCORSO A TAPPE
possa essere completata nei tempi prestabiliti, calano un asso nascosto nella manica. Dalla Germania fanno arrivare, attraverso un percorso a dir poco tortuoso (v. mappa nella pag. precedente), una macchina rivoluzionaria che promette di mettere il turbo ai lavori. Si tratta di una fresa gigantesca (la più grande che sia mai stata usata, pesante oltre 4mila tonnellate!), che “addenta” il suolo con un disco rotante alto come un palazzo di quattro piani, sul quale sono montati, di volta in volta, gli utensili più adatti al terreno che le si presenta davanti. Mentre il “mostro” avanza (v. disegno pag. precedenti), il materiale estratto è impastato con schiume biodegradabili e usato per spingere la testa della macchina contro il fronte da scavare; la parte inutilizzata, invece, defluisce attraverso un nastro
L’operazione più difficile? Fare invertire la marcia alla fresa… 136 | Focus Aprile 2016
trasportatore e finisce all’esterno della galleria. Tutto questo mentre un braccio robotico provvede a posizionare una serie di archi di cemento armato che, incastrandosi a formare una sequenza di anelli, costituiscono il rivestimento del tunnel. Così facendo, quando la fresa ha completato lo scavo per tutta la lunghezza della galleria, resta solo da stendere il manto stradale e da installare gli impianti (elettrico, di ventilazione ecc.). «Con questo sistema», spiega Selleri, «abbiamo cambiato marcia, avanzando 10 metri al giorno, con punte di 22: un record con quel tipo di terreno». Per i due anni successivi questo serpentone – al completo la fresa è lunga 120 metri – ha marciato spedito, con una pausa per invertire la marcia, dopo aver completato il tunnel della prima carreggiata e prima di iniziare quello della seconda. «Per girare la fresa», dice l’ingegnere, «abbiamo impiegato un metodo mai usato prima. Dopo aver scollegato i carri e la testa del serpentone, li abbiamo sollevati con un sistema di cuscinetti ad aria compressa, perché tra i mezzi tradizionali non ne esisteva uno in grado di reggere quel peso». L’operazione ha richiesto uno stop di due settimane, dopodiché i lavori sono ripartiti ancora più spediti: terminata la galleria Sparvo, sono stati completati i viadotti, realizzate le ultime opere e il 23 dicembre 2015 la prima auto ha finalmente percorso la nuova Variante.
STORIA. Ecco le tappe principali per la realizzazione della Variante. 1982: è presentato il progetto di una nuova autostrada, tra Firenze e Bologna: la Variante di valico. 1996: dopo anni di studi ambientali e urbanistici, che ritardano l’inizio dei lavori, il governo ritiene la Variante un’opera indispensabile e dà il via all’iter di autorizzazioni. 2002: via ai lavori sulla tratta Sasso Marconi-La Quercia: si amplia la A1, sul vecchio tracciato. 2004: via ai lavori per il “raddoppio” vero tra La Quercia e Barberino. 2015: il 23 dicembre la Variante è aperta al traffico.
I VANTAGGI DEL NUOVO. A questo punto,
però, qualcuno si starà ponendo la domanda: a che scopo, tutta questa fatica? Grazie al nuovo tracciato, più pianeggiante, il traffico sarà innanzitutto più fluido: tra Bologna e Firenze i tempi di percorrenza si riducono di circa un quarto d’ora e, soprattutto, risparmieremo circa 100 milioni di carburante l’anno (stime di Autostrade per l’Italia), a tutto vantaggio anche dell’ambiente. Senza contare che, proprio perché corre più in basso (l’altitudine massima della Variante è di 490 metri contro i 726 della vecchia Autosole), il nuovo percorso sarà meno soggetto al rischio di neve. Che ne sarà del vecchio? Continuerà a funzionare, a beneficio soprattutto di chi vorrà ammirare il panorama: quello che si gode dalla mitica Autosole resta decisamente più suggestivo... Roberto Graziosi
Reuters/Contrasto
TUTTO OK? Londra: ultimi controlli della guardia d’onore in attesa del primo ministro indiano Narendra Modi.
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Mondo
La trappola del protocollo Gesti, pranzi, regali e... gaffe. Una visita di Stato è un percorso a ostacoli. E se non si conosce il cerimoniale sono guai.
Aprile 2016 Focus | 139
B
arack Obama, il primo presidente afroamericano della storia. Il giapponese Akihito, ultimo imperatore sul pianeta. L’incontro tra i due uomini-simbolo del potere d’oggi e di ieri si tenne a Tokyo nel 2009 ed è ritenuto un caso di scuola sulle insidie del cerimoniale. Ovvero quell’insieme di regole, scritte e non, che governano posti a tavola, appellativi, scambi di
doni e quant’altro è necessario all’ambasciatore, all’uomo di governo, ma anche al top manager di una grande azienda, per consolidare relazioni e condurre in porto trattative internazionali. SCATENATI. Per Obama, ancora fresco di nomina, la situazione era delicata: il Tennō (“Imperatore Celeste”) andava omaggiato con un inchino PRESIDENTI
L’ospite d’alto rango va accolto sull’uscio. Altrimenti, soprattutto se è cinese, se ne va 140 | Focus Aprile 2016
dal rituale preciso. L’uomo più potente del mondo lo eseguì con diligenza, ma a sorpresa ecco lo strappo alla regola: non suo ma di Akihito, che al saluto tradizionale volle rispondere tendendo la mano in uno “scandaloso” gesto di familiarità con l’illustre ospite. Confuso, Obama gliela strinse restando a novanta gradi, col suo metro e ottantacinque spezzato in due di fronte al piccolo sovrano del Sol Levante (vedi foto nell’ultima pagina). Il risultato grottesco, immortalato dai fotografi, fece il giro del mondo. Eppure, anni prima, nel ’92, George Bush senior fece ben di peggio, vomitando a tavola sul premier giapponese Miyazawa. Incidenti che, già imbarazzanti nella vita normale, risultano disastrosi al cospetto di capi di Stato e teste coronate. Anche perché non serve arrivare a simili estremi per trovarsi in difficoltà. Il protocollo infatti è pie-
AFP/Getty Images
ANSA
ECCESSO DI ZELO. A lato, il principe Filippo, che in Australia chiese a un capo aborigeno: vi tirate ancora le lance? A sinistra, le statue “censurate” dei Musei Capitolini durante la recente visita del presidente iraniano Rohani.
COME DISTRICARSI FRA EMINENZE ED ECCELLENZE PAPA & C. Autorità religiose? Un campo minato, a cominciare dalle qualifiche. “Santità” non è titolo esclusivo del papa ma dei vertici religiosi in genere, come il Dalai Lama o il Patriarca di Costantinopoli (gli altri patriarchi ortodossi, inclusi quelli cattolici di rito orientale, hanno il titolo di “Beatitudine”). Nel mondo cattolico un altro distinguo importante è quello tra cardinali e vescovi: i primi sono “Eminenze”, i secondi “Eccellenze”. Il Gran Maestro dell’Ordine di Malta, caso unico di un sovrano che è anche un religioso professo, è equiparato al rango di cardinale. Di qui l’unicità del suo appellativo: “Sua Altezza Eminentissima”. A un abate o alla madre superiora di una comunità religiosa ci si rivolge con “Vostra Paternità” e “Vostra Maternità”. Tornando al pontefice, le cerimonie in cui è presente come ospite hanno due regole-chiave. La prima: evitare la presenza vistosa di alte gerarchie schierate nelle prime file. La seconda: no all’uso di drappelli armati e reparti militari per omaggiarlo.
no di insidie perché deve rispettare molte sensibilità diverse oltre all’amor proprio del “vip” di turno. «Tutti guardano dov’è sistemata la loro sedia rispetto agli altri», commenta ironico Massimo Sgrelli, per decenni capo del cerimoniale di Palazzo Chigi e oggi una delle maggiori autorità italiane in materia. «Ricordo negli anni Ottanta una sfuriata dell’allora capo del governo, Giovanni Spadolini: era stato messo a sedere dietro un cardinale. Dovetti ricordargli che per le norme dei Patti Lateranensi i porporati erano a tutti gli effetti principi della Chiesa, al pari di quelli di casate reali, e dunque da collocarsi subito dopo i capi di Stato». Il “sistema” del cerimoniale di fatto nacque con il Congresso di Vienna del 1815: un’intesa tra i vincitori delle guerre napoleoniche ne fissò i paletti principali, aggiornata poi sempre a Vienna nel 1961
con la Convenzione sulle relazioni diplomatiche, tuttora vigente. «In sostanza», spiega Sgrelli, «si stabilì la pari dignità di tutti i capi di Stato e dei loro ambasciatori, per non causare attriti. Ancora oggi il cerimoniale non valuta il peso specifico di uno Stato per assegnare un posto più o meno prestigioso al suo rappresentante: conta l’anzianità di accreditamento (cioè l’anzianità “di servizio”). Ed è così anche per altre cariche di pari livello ma di tipo diverso dagli ambasciatori (per esempio i generali di divisione), favorendo però l’ospite straniero». Ovviamente anche lo zelo nell’assecondare quest’ultimo può scatenare polemiche: le tende beduine montate da Gheddafi a Roma e, più di recente, i nudi classici coperti nei Musei Capitolini per la visita del presidente iraniano Rohani (v. foto in alto a sinistra) ne sono un esempio eloquente.
NON TOCCATE SUA MAESTÀ. In linea
generale però la preoccupazione è di non far meno di quanto ci si aspetta. E anche senza essere dei gaffeur reiterati come il principe Filippo d’Edimburgo (vedi foto in alto), l’elenco dei possibili “sfondoni” è sterminato. Di fronte a un ospite musulmano, per esempio, mai accavallare le gambe: mostrare la suola delle scarpe è considerato offensivo. Ma poco appropriato è anche il contegno di una signora che si presenti in udienza dal papa senza la tradizionale veletta o, peggio ancora, vestita di bianco: un privilegio concesso solo alle regine cattoliche, e che la first lady messicana Angélica Rivera ha usurpato tra mille critiche durante la recente visita di papa Francesco nel suo Paese. Ancora a proposito di monarchie: i corpi dei sovrani non vanno mai nemmeno sfiorati. «Lo fece Silvio Berlusconi nel Aprile 2016 Focus | 141
QUA LA MANO! L’inchino “sbagliato” di Barack Obama all’imperatore giapponese Akihito nel 2009.
AFP/Getty Images
A PERTINI SI PERDONAVA TUTTO
Prima le signore? Per gli orientali non è così 2011 con Juan Carlos, toccandogli il gomito alla parata del 2 giugno dove il re di Spagna era ospite nel palco d’onore. Ma lo aveva fatto due anni prima anche Michelle Obama in Inghilterra con la regina Elisabetta». Altra regola aurea: l’ospite d’alto rango si attende, se non all’aeroporto, almeno al portone. «Anni fa l’allora vicepresidente cinese Xi Jinping e i suoi funzionari giunsero in visita ufficiale alla Regione Lombardia; formalissimi come tutti gli orientali, non trovando il governatore Formigoni ad accoglierli sull’uscio, fecero dietrofront e se ne tornarono in albergo». Superato l’uscio, c’è poi lo scoglio dei saluti. Anche la semplice stretta di mano non è mai la stessa: bisogna adeguarsi a quella vigorosa dell’ambasciatore russo, da effettuare guardandosi sempre negli occhi, e a quella debole e un po’ floscia del dignitario marocchino. Con un thailandese è invece di rigore il saluto wai, capo chino e mani giunte sul petto. E se vi sembra facile, sappiate che l’altezza dei palmi sul torace va proporzionata al rango dell’ospite: piazzati troppo in alto o troppo in basso, possono imbarazzarlo o addirittura umiliarlo. 142 | Focus Aprile 2016
Sempre in quest’ambito fanno capolino anche le note distanze culturali sulle differenze di genere: islamici ed ebrei osservanti non danno la mano a una donna in contesti pubblici e, se costretti dalle circostanze, non nascondono il loro imbarazzo. La parità tra i sessi non ha riscontri nemmeno nel galateo orientale, dove salutare cavallerescamente prima le signore è considerata una mancanza di rispetto: è sempre l’uomo più anziano l’ospite da omaggiare per primo. Anche lo scambio dei doni è un campo minato. In molti Paesi extraeuropei è scortesia assoluta porgerli con una mano sola, oppure scartarli al momento in cui li si riceve. E poi bisogna fare attenzione ai colori. «In Oriente il bianco indica lutto. Mai quindi offrire fiori candidi e, men che mai, recarsi a un funerale di Stato vestiti di nero!», ammonisce Sgrelli. «Nei pacchetti regalo anche il blu è da evitare, mentre il rosso, l’oro e il verde sono graditi». IL VINO? È UN’OFFESA. Altri errori cla-
morosi: regalare un oggetto in cuoio a un ospite indiano, fiori gialli a un russo, piante in vaso a un finlandese. La tavola è un’altra via crucis, perché oltre ai noti precetti sulla cucina kosher per gli ospiti ebraici ed halal per gli arabi, c’è il problema dell’alcol: «L’ospite islamico non solo non beve, ma in genere non tollera neanche la vista di una bottiglia di vino. Il problema si pose nel ’99 con la visita in Francia del presidente iraniano Khatami: il suo omologo Chirac s’impuntò, facendone una questione di identità nazionale, e così il pranzo ufficiale fu derubricato dal programma della visita».
REGALI. Quando dietro il gaffeur c’è una figura dalla carica etica e umana come Sandro Pertini, l’indulgenza è assicurata. Ospite nell’82 dell’allora sindaco di Parigi Jacques Chirac, il presidente, forse annoiato dal lungo discorso di benvenuto, si mosse di sua iniziativa verso i doni ufficiali per accelerare il momento dello scambio. “Grazie molte, io adoro le incisioni!”, disse sollevando la stampa settecentesca del Quirinale posta su un vicino tavolo. Peccato che quello fosse il dono della delegazione italiana: il cadeau dei francesi era invece una coppa in cristallo di Baccarat. Chirac non si scompose e, dopo un istante di sorpresa, recitò la stessa pantomima con l’ospite italiano. E si prese la coppa di Baccarat.
Cariche religiose a parte (v. riquadro alle pagine precedenti), non meno importanti per il cerimoniale sono poi i titoli dell’interlocutore. «“Altezza Reale”, per esempio, è l’attributo di chi è in linea diretta per la successione al trono, gli altri sono “Altezze Serenissime”. Idem per i titoli nobiliari. La nostra Costituzione repubblicana non li riconosce, ma altrove sono qualifiche pubbliche che l’ufficialità ci impone di sciorinare fino all’ultimo predicato: per esempio quelli spagnoli o britannici. Oppure quelli del sultanato del Brunei, lunghi a volte fino a 20 parole! In mezzo a tanta diversità c’è però un imperativo a cui ogni cerimoniale obbedisce senza eccezioni: «È la “regola della destra” per cui, tra due cariche, o anche due bandiere, appaiate, alla più importante si assegna il posto di destra secondo il punto di vista dell’osservatore collocato posteriormente. Questo perché siamo tutti in prevalenza destrimani, dunque il destro è considerato il lato più forte e “d’onore”». Per gli addetti ai lavori, un’uniformità che rinfranca. E un punto fermo, l’unico, in un mestiere da equilibristi. Adriano Monti Buzzetti Colella
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Quanto tempo della tua giornata passi seduto? Per leggere, studiare, lavorare, rilassarti.. Lo stile di vita moderno ci richiede di stare seduti per lunghi periodi. E quando siamo seduti, siamo anche fermi. Ma il nostro corpo è fatto per muoversi, è una perfetta macchina per il movimento, costruita con 360 articolazioni e 640 muscoli. La chiave del benessere è il movimento. Anche da seduti. Per questo Varier è sempre con te, con sedie e poltrone che non costringono il tuo corpo in una posizione, ma lo incoraggiano a muoversi. In questo modo anche i momenti della giornata in cui siamo seduti, diventano occasioni di movimento e di esercizio per i muscoli, con grande beneficio per il corpo e per la mente. varierfurniture.com
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UNA SERIE DI PIANETI. Qui accanto si propone di ripercorrere il viaggio del Voyager 2, che tra il 1979 e il 1989 avvicinò Giove, Saturno, Urano e Nettuno. Più a destra, un tour nei siti delle missioni su Marte.
La Nasa si è divertita a preparare locandine per destinazioni cosmiche. Per i nostri pronipoti?
Agenzia viaggi... spaziali 144 | Focus Aprile 2016
Jpl/Nasa (2)
Jpl/Nasa (4)
Le esperienze più esotiche? La gita in pallone su Giove e l’immersione negli oceani di Europa
AURORE, MARI E CRIOVULCANI. Nella pagina accanto, Encelado, una luna di Saturno su cui vi sono vulcani che eruttano vapori gelidi. Qui sopra, le straordinarie aurore che si producono nell’atmosfera di Giove per fortunati turisti in mongolfiera. In alto a sinistra, sempre nel sistema di Giove, i viaggiatori del futuro forse potranno esplorare l’oceano che sembra nascondersi sotto i ghiacci della sua luna, Europa. Qui accanto, a spasso sul pianeta nano Cerere, che ha ghiaccio sotto la sua superficie.
Aprile 2016 Focus | 147
LUNE E PIANETI LONTANISSIMI. A destra, il pianeta Kepler-16b, che orbita attorno a una coppia di stelle: lì le ombre sono doppie. Sotto di esso, un altro pianeta extrasolare, HD 40307g, dove la gravità è molto maggiore che sulla Terra. Qui sotto, torniamo nel Sistema solare con Titano, la luna più grande di Saturno, su cui vi sono fiumi e laghi di metano ed etano liquidi.
Poster con un tocco vintage per viaggi futuribili. Ma che domani potrebbero diventare realtà 148 | Focus Aprile 2016
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Fotografie, segnalazioni, commenti... Il dialogo con i lettori di Focus La scienza dell’anima 153
Energie alternative 153
La ricerca della semplicità 155
Doccia di luce La foto del mese Maverick Fontane di scintille a Capodanno... Un po’ di timore, poi è fantastico.
Aprile 2016 Focus | 151
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“Il mistero dell’anima è indecifrabile”, scrivete nell’articolo dedicato a questo argomento su Focus 280, un bel viaggio tra storia e scienza alla ricerca di una definizione di anima, oltre che della sua collocazione. Mi ha sorpreso apprendere di scienziati “resistenti” ad abbandonare l’idea di anima (da lettore di Focus, mi aspettavo più “scienza” nell’ambiente), ma in fondo perché no – mi sono detto – anche gli scienziati sono uomini e possono sbagliare. Se me lo permettete, vorrei dare un piccolo contributo, innanzi tutto con un “grazie!” per quella citazione (“essere felici di quello che abbiamo oggi”)
di un poeta di ben 3.700 anni fa, nella quale mi sono riconosciuto: perché, anima o no, dovremmo proprio approfittare al massimo di “essere qui” adesso e rendere questa vita più vivibile per noi e per i nostri figli.
L’energia? È tecnologia. E tanti soldi
Francesco C., via mail BASTA CON LE SUPPOSTE!
Focus, potete fare una ricerca e spiegarci il motivo per cui nel XXI secolo dobbiamo infilarci una supposta per guarire il mal di gola? Lo trovo davvero poco elegante. Davide A., via Facebook Risponde Gian Mattia Bazzoli, giornalista di Focus.
Farmaci come gli antinfiammatori, usati anche per il mal di gola, se presi per via orale possono provocare disturbi allo stomaco, e in qualche caso i disturbi possono essere maggiori dei benefici. Per quanto poco eleganti, i farmaci assunti per via rettale sono efficaci, col vantaggio che espongono a minori effetti collaterali.
I NOSTRI ERRORI FOCUS 279, PAG. 29: NELLE MINIERE DEI CIELI In questo articolo abbiamo erroneamente indicato il simbolo chimico del platino con Pl (elle minuscola) anziché Pt (t minuscola) e quello del palladio con Pa anziché Pd. Inoltre, la gravità sulla Luna è circa un sesto di quella sulla Terra (è indicato “un terzo”).
NO SPY C’è una funzione di WhatsApp che pochi conoscono: si attiva chiudendo WhatsApp, mettendo il blocco al cellulare e uscendo di casa. Non permette di scoprire segreti e bugie, ma di sicuro permette di godersi una serata alternativa qualunque senza paranoie. Davide C., via Facebook
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NOI SIAMO QUI. ADESSO
Prima di andare su Marte vorrei vedere “in salute” la Terra (http://on.fb.me/1ottxms)
La centrale solare da 9 miliardi di dollari È in Marocco: grande 30 km quadrati (quasi quanto Monza), serve 1 milione di abitazioni: è davvero un’alternativa? La discussione elettrizzante è su http://on.fb.me/1TnGKZo
FOCUS 279, PAG. 143: LE STANZE SEGRETE DEI FARAONI Quella che abbiamo chiamato “piramide di Bent” (Bent pyramid, in inglese) è più propriamente nota come “piramide romboidale”. FOCUS 280, PAG. 93: QUEL CHE GOOGLE NON VEDE Nello schema sulla rete TOR, i colori del flusso di connessioni sono invertiti: le frecce grigie indicano la connessione criptata, la rossa quella normale.
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MyFocus Le foto dei lettori
Molti bimbi sono considerati plusdotati solo dai loro genitori (http://on.fb.me/1QnZq5L)
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La ricerca della semplicità La doccia di luce di Maverick, che apre la selezione delle fotografie dei lettori di questo mese, è uno scatto d’impulso: una scena che si presenta all’improvviso e si cattura così com’è. L’altra faccia della medaglia sono invece queste foto, dove persino l’arcobaleno su Castel Beseno (Tn) e le nuvole “a Ufo” su L’Aquila sono spettacoli attesi. Si va dai fili d’acqua della cascata Capelli di Venere (che prende il nome da una felce, la capelvenere) a Casaletto Spartano (Sa) al Monte Rosa che, alla luce della Luna, fa da sfondo alla Chiesa Vecchia di Macugnaga (Vb).
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154 | Focus Aprile 2016
MyFocus Il Titanic (ricostruito) tornerà a solcare i mari... in sicurezza? (http://on.fb.me/24bYtYT)
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Un arcobaleno, un paesaggio... Il piacere di “catturare” con un click lo spettacolo della natura che ci si aspettava di vedere
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Antonella Spaltro Cilento: i “Capelli di Venere”
2 6
Mauro Pagliai L’Aquila: nuvole a Ufo...
3
Danilo Leonardi Notturno a Macugnaga (Vb)
4
Paolo Deimichei L’arcobaleno di Castel Beseno (Tn)
5
Davide B. Isole Lofoten, Norvegia: il bianco, il rosso, il blu
Spedisci i tuoi scatti alla redazione di Focus: vedi su www.focus.it/myfocus l’elenco delle caselle tematiche e i nostri consigli, e le foto dei lettori su www.focus.it/letuefoto
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Amorvena Mengarelli Il miracolo della serenità
Aprile 2016 Focus | 155
Iniziative Prisma
Il corso di marketing di Publitalia ’80 dedica uno speciale “Open day” ai lettori di Focus. Per conoscere il mercato di oggi.
LA SCHEDA DEL CORSO Marketing, digital communication e sales management. Corso accreditato dall’ASFOR, Associazione Italiana per la Formazione Manageriale. DURATA: 13 mesi, a tempo pieno, a numero chiuso (1.300 ore d’aula). REQUISITI: laurea di qualunque facoltà e livello. COSTO: 12.000 €. SEDE: viale Europa, 44, Cologno Monzese (Mi). TELEFONO: 02-25146020 EMAIL: master@publitalia.it ASSUNTI. Due ex allievi del master: Alberto Bocicchio (31 anni), assunto al gruppo Lucart; e Matilde Villanova (29) oggi product manager alle Officine Panerai.
Una giornata da Master
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olete conoscere tutti i segreti della comunicazione aziendale? Come promuovere al meglio un prodotto, come venderlo, come migliorare la sua immagine e visibilità, anche nel mondo digitale? E per di più studiando – fra i vari casi di business – quello di Focus? Ecco quello che fa per voi: il Master in Marketing, digital communication e sales management di Publitalia ’80, società del gruppo Mediaset. SAPER FARE. Le iscrizioni al corso, arri-
vato alla 29° edizione, sono aperte. E il prossimo 19 aprile ci sarà uno speciale Open day dedicato ai lettori di Focus. Fra i relatori di quel giorno, infatti, oltre ai responsabili delle strategie digitali di Mediaset, ci sarà un redattore di Focus: racconterà la storia e la filosofia editoriale della nostra testata, sia cartacea sia digitale. E, durante il Master, tre gruppi di allievi studieranno a fondo Focus come business case. Non solo: una delle borse di studio da 5.000 € per coprire parte delle spese del corso sarà messa in palio fra i
nostri lettori che seguiranno gli studi. Il Master forma operatori specializzati nella vendita in tutti i suoi aspetti: dal marketing ai rapporti con la rete di vendita, fino alla promozione multimediale. CURRICULUM. Il tutto con un occhio at-
tento alle esigenze concrete del mercato, grazie a stage, conferenze e visite aziendali: chi esce dal Master è subito pronto per entrare nel mondo del lavoro, perché ha imparato a “saper fare”. Tanto che il 100% degli studenti trova occupazione. Ecco perché il corso di Publitalia ’80 è a numero chiuso: ogni anno solo una trentina di studenti possono partecipare. Per essere ammessi al corso occorrono un brillante curriculum scolastico, un’eccellente conoscenza dell’inglese e il superamento di test e colloqui. PER ISCRIVERSI Chi vuole partecipare all’Open day deve compilare la scheda di partecipazione pubblicata sul sito di Publitalia, allegando il proprio Cv: www.masterpublitalia.it/open-day/
Aprile 2016 Focus | 157
Relax Brain Trainer, ginnastica per la mente CruciFocus ORIZZONTALI: 1 La prima antiparticella osservata - 8 Quello di paglia dura poco - 12 Il sultanato con Mascate - 13 Fondò Troia - 14 Il simbolo del Wwf - 15 In Cam-
bogia fu a capo dei Khmer Rossi - 17 Il tablet della Apple - 19 Prefisso per orecchio - 21 Dozzinale - 23 L’azienda tedesca della prima lampada Oled - 25 Asta a cui è fissata la vela di randa - 26 Pareggio... senza pregio - 28 Ha per capitale Bamako - 29 Iniziali di Redford - 30 Il ciclone che ha colpito il Messico lo scorso ottobre - 34 Telecom Italia Net - 35 Il veicolo dell’alieno - 37 Insigne naturalista svedese - 38 Monti della Beozia - 39 Canta nella Turandot - 40 Discusso sistema di estrazione di greggio - 41 Il centauro Dovizioso (iniz.) - 42 Asimov (iniz.) - 43 È in provincia di Venezia - 44 La Georgia nel Web - 46 Auspicio liturgico - 47 Unione Europea - 48 Il Cupido dell’Olimpo - 50 Deserto di roccia - 52 Laboratorio spaziale - 55 È oggetto di culto - 56 La provincia serba con Novi Sad - 57 Fa felice il cane - 58 Preposizione articolata 59 Scimmia del Borneo - 60 Il leone d’America - 61 Piena di rabbia - 64 Dopo esse... - 65 Dipartimento Scuola ed Educazione - 66 Sigla di Oristano - 67 Il “pibe de oro” del calcio - 72 Metà di otto... - 73 Il Cantone di Altdorf - 74 Nuova e più approfondita indagine - 76 La fotocopiatrice del Dna - 78 Simbolo dell’arsenico - 79 La metà di “two” - 80 L’azoto è il suo componente principale. VERTICALI: 1 L’art di Warhol - 2 In biologia è sinonimo di parallelismo - 3 Capitale dell’Oregon - 4 Ex
ente di previdenza per i dipen158 | Focus Aprile 2016
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denti statali - 5 Funzione solenne - 6 Poco oltre... - 7 Il nero del croupier - 8 Malinconica musica portoghese - 9 L’esploratore Nobile (iniz.) - 10 Il senso del fiuto - 11 La cometa dell’ultimo Natale - 14 L’Angela di Quark (iniz.) - 16 Noi… senza capo - 18 Operazioni promosse dall’Onu - 20 Lucy è il più noto - 22 Complesso megalitico in Bretagna - 24 Sim-
bolo del samario - 25 Turbinio, ridda - 27 Letizia, felicità - 31 Ama Violetta - 32 Capitale europea - 33 Compreso - 36 Le ultime due vocali - 38 Assalire - 43 Emorragia oculare - 45 L’energia prodotta dal vento 46 Un profeta minore - 48 Comunità di organismi che interagiscono tra loro - 49 Guarito - 51 Sigla della “banda larga” - 53 L’attrice Gardner - 54 Ba-
ri per l’Aci - 56 Si... dà alla partenza! - 58 Vi morì Leonardo da Vinci - 62 Il brillante Roncato (iniz.) - 63 Nobel per la medicina nel 2015 - 64 L’effetto causato dalle sostanze stupefacenti - 65 Dopo “sab.” - 68 Dio greco della guerra - 69 Fiume dell’Albania - 70 Di nuovo è il prefisso - 71 Affezione respiratoria - 75 Bagna Berna - 77 Articolo maschile.
Relax Brain Trainer, ginnastica per la mente Catena di parole a tappe
Bunny Bond
Ricostruisci il giusto ordine della catena, di cui ti forniamo solo alcuni anelli. L’elenco delle parole da concatenare è qui sotto in ordine alfabetico.
AGENTE
L’affascinante cugina del più noto James lavora per un’agenzia senza nome come esperta di codici segreti. Ecco due nuovi “casi”. TRE RIGHE
Bunny Bond si sta recando in Spagna per recuperare un antico manoscritto rubato. Un messaggio segreto che ha intercettato le rivela il luogo in cui è nascosto. Riesci a capire qual è il luogo indicato dal messaggio?
LAGO
BALLO BISMARCK BISTECCA
OLIO
Hai risolto correttamente il CruciFocus?
P O P
T R I O T I O
O D O R A T O
O M I N I D E O
CABINA
C A T A L I N A
B A
VA L E N T I N O
B R U L I C H I O
A R
TENNISTA
S A N A T O
STRADALE
E O L I C A
S E G R ET O
F U A N D O S M A A N G G R E D I R E
SEGNALE
E C O S I S T E M A
SCUOLA
O N E L O P I P A C R E A A G R I C I N N E O A C K I C L E A U E S P A V O I V I N A A G D N A O E S A M O M A A R I
SANGUE
A T L I F R R A E N D A O A U M B O I S E
LISCIO
D R I N
RODOLFO
O S I M A N O L P M E D O M A R P F O I U A E A M A M A D O L S S O L P T I A R A R I E P L S O
PULCINELLA
O M U R A
PROFESSORE
VOLANTE
E
Catena di parole
Bunny Bond TRE RIGHE Scrivendo in cima le 21 lettere dell’alfabeto e cancellando quelle che si trovano nella stessa colonna nelle tre righe del messaggio, rimarranno solo le lettere che formano la scritta “Sagrada Familia Barcellona”. Bunny deve dunque recarsi nella famosa chiesa della città spagnola. GEAFALL Nell’immagine ci sono alcune lettere diritte, altre ruotate di mezzo giro, di un giro e altre ancora di un giro e mezzo. Leggendo di seguito ogni insieme di lettere si decifra: “gate effe due alle tre”.
CruciFocus
POLIZIA
LAGO; Rodolfo; Valentino; Rossi; globuli; sangue; bistecca; Bismarck; Otto; volante; DISCO; orario; segnale; stradale; polizia; agente; segreto; Pulcinella; maschera; ballo; LISCIO; olio; gomito; tennista; doppio; gioco; ruolo; professore; scuola; guida; CABINA.
OTTO
RUOLO
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Soluzioni dei giochi
ORARIO
ROSSI
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DISCO
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MASCHERA
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GUIDA
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GOMITO
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GLOBULI
Bunny è in aeroporto in cerca dell’agente al quale consegnare il manoscritto recuperato. Il suo smartphone vibra e riceve una mail con strane lettere: è un virus o è proprio un messaggio cifrato? Riesci a decifrare il messaggio?
EEU FD
GEAFALL
GIOCO
LL
DOPPIO
Autori dei giochi: Lucio Bigi, Silvano Sorrentino, studiogiochi.
Vuoi continuare a giocare? Scopri il Focus Quiz online www.focus.it/quiz
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in edicola con
IL NUOVO FILM DI GABRIELE MUCCINO
PADRI E FIGLIE
Un padre vedovo alle prese con i disturbi causati dal lutto, una figlia che cresce con l’impossibilità d’amare. Una storia coinvolgente con Russel Crowe e Amanda Seyfried.
Dal 17 marzo PANORAMA + DVD e 15,90
L’ATTESISSIMO EPILOGO DELLA GRANDE SAGA
HUNGER GAMES
* Prezzo rivista esclusa
IL CANTO DELLA RIVOLTA PARTE 2 Katniss, ancora una volta impersonata da Jennifer Lawrence, deve portare a termine la rivolta contro il terribile presidente Snow, facendo sì che la pace ritorni a Panem. Dal 24 marzo PANORAMA + DVD e 15,90 BLU-RAY DISC TM e 19,90*
L’EROE PIU’ AMATO IN UN’INEDITA AVVENTURA
PAN
VIAGGIO SULL’ISOLA CHE NON C’E’ Un fascino nuovo per una fiaba classica. L’orfano Peter è venduto al pirata Barbanera e condotto in volo sull’Isola Che Non C’è. Qui cerca di salvarsi con l’aiuto di James Uncino. Dal 31 marzo PANORAMA + DVD e 15,90
SUPERSONICO Arriva il “Concorde” della Nasa.
DIVERSI? 10+1 cose che (forse) non sai sui gemelli.
LA GENETICA DEL MONOCIGLIO E DEI CAPELLI GRIGI Identificati i geni responsabili delle bizzarrie di peli e capelli: da quello che li fa diventare bianchi, al responsabile delle sopracciglia indomabili di Elio e Frida Kahlo.
Tania/A3/contrasto
Direttore Responsabile: Jacopo Loredan Ufficio Centrale: Gian Mattia Bazzoli (caporedattore), Giovanna Camardo (caposervizio), Isabella Cioni (caporedattore), Emanuela Cruciano (caporedattore), Andrea Parlangeli (caporedattore centrale), Francesca Patuzzi (caporedattore), Gianluca Ranzini (vicecaporedattore), Marina Trivellini (caporedattore art director) Redazione Grafica: Giorgio Azzollini (caposervizio), Gloria Galbiati, Elena Lecchi, Luca Maniero (caporedattore art director), Emanuela Ragusa, Luca Tomasi Ufficio Fotografico: Paola Brivio (caposervizio), Alessandra Cristiani (vicecaposervizio), Sara Ricciardelli, Daniela Scibè Redazione: Amelia Beltramini (caporedattore), Sabina Berra, Marco Ferrari (caposervizio), Margherita Fronte, Roberto Graziosi, Raffaella Procenzano (caporedattore), Fabrizia Sacchetti (caposervizio), Vito Tartamella (caporedattore), Stella Tortora (caporedattore), Raymond Zreick (caposervizio) Segretaria di Redazione: Marzia Vertua Hanno collaborato a questo numero: Ugo Bacci, Marco Consoli, Giulia Donati, Marta Erba, Gabriele Ferrari, Camilla Ghirardato, Elisabetta Intini, Maria Leonarda Leone, Roberto Mammì, Valentina Meschia, Adriano Monti Buzzetti Colella, Mario Prisco, Giuliana Rotondi, Simone Valtieri, Daniele Venturoli
Lockheed Martin
Mondadori Scienza S.p.A. - Via Battistotti Sassi, 11/A – 20133 Milano Società con unico azionista, soggetta ad attività di direzione e coordinamento da parte di Arnoldo Mondadori S.p.A.
Fabrizio Bensch/Reuters/Contrasto
Questo mese online
Mondo Focus
Progetto Grafico: Studio Berg Magazine Publishing Coordinator e Business Manager Carolina Cefalù Digital Publishing Coordinator Daniela Grasso Coordinamento Tecnico Valter Martin Amministratore Delegato, Coo e Publisher Roberto De Melgazzi Direttore Controllo di Gestione Paolo Cescatti Abbonamenti: È possibile avere informazioni o sottoscrivere un abbonamento tramite: sito web: www.abbonamenti.it/mondadori; e-mail: abbonamenti@ mondadori.it; telefono: dall’Italia 199.111.999 (per telefoni fissi: euro 0,12 + IVA al minuto senza scatto alla risposta. Per cellulari costi in funzione dell’operatore); dall’estero tel.: +39 041.509.90.49. Il servizio abbonati è in funzione dal lunedì al venerdì dalle 9:00 alle 19:00; fax: 030.77.72.387; posta: scrivere all’indirizzo: Press Di Servizio Abbonamenti – C/O CMP Brescia – 25126 Brescia. L’abbonamento può avere inizio in qualsiasi periodo dell’anno. L’eventuale cambio di indirizzo è gratuito: informare il Servizio Abbonati almeno 20 giorni prima del trasferimento, allegando l’etichetta con la quale arriva la rivista. Servizio collezionisti: Arretrati: I numeri arretrati possono essere richiesti direttamente alla propria edicola, al doppio del prezzo di copertina per la copia semplice e al prezzo di copertina maggiorato di € 4,00 per la copia con allegato (DVD, libro, CD, gadget). La disponibilità è limitata agli ultimi 18 mesi per le copie semplici e agli ultimi 6 mesi per le copie con allegato, salvo esaurimento scorte. Per informazioni: tel. 045.8884400; fax 045.8884378; mail collez@mondadori.it Raccoglitori: € 14,90. Per acquistare o per informazioni telefonare al numero 199 152 152 dal lunedì al venerdì dalle 9.00 alle 18.00 e il sabato dalle 10.00 alle 14.00 (costo da telefono fisso € 0,12 + Iva al minuto senza scatto alla risposta, costo da cellulare in funzione dell’operatore). Fax: 030.7772385; mail: focusclub@mondadori.it; Internet: www.tuttocollezioni.com/raccoglitorefocus Stampa: Elcograf S.p.A., via Mondadori, 15, Verona. Distribuzione: Press-Di Distribuzione Stampa e Multimedia Srl - 20090 Segrate (Mi). Focus: Pubblicazione mensile registrata presso il Tribunale di Milano n. 552 del 16/10/92. Tutti i diritti di proprietà letteraria e artistica sono riservati. Tutto il materiale ricevuto e non richiesto (testi e fotografie), anche se non pubblicato, non sarà restituito.
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MUMMIES ALIVE Quali sono le incredibili storie dietro ad alcune delle mummie più enigmatiche del mondo?
Direzione, redazione, amministrazione: Via Battistotti Sassi, 11/A - 20133 Milano. Telefono 02/76210.1. Fax amministrazione: 02/76013439. Fax redazione: 02/76013379. Garanzia di riservatezza per gli abbonati. L’editore garantisce la massima riservatezza dei dati forniti dagli abbonati e la possibilità di richiederne gratuitamente la rettifica o la cancellazione ai sensi dell’art. 7 D. leg. 196/2003 scrivendo a: PressDi Srl Ufficio Privacy – Via Mondadori, 1 – 20090 Segrate (MI). Mail: privacy.pressdi@pressdi.it Pubblicità: Mediamond S.p.A. - Sede centrale: Palazzo Cellini - Milano Due 20090 Segrate (Mi) - Tel. 02/21025917 - Mail: info.adv@mediamond.it Accertamento Diffusione Stampa Certificato n. 7152 del 14/12/2011
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GREAT MIGRATIONS
CHERNOBYL: 30 ANNI DOPO
Dal 17 aprile, ogni domenica
Prima Tv, lunedì 25 aprile
Aprile 2016 Focus | 161
Mondo Focus Nei prossimi numeri
Numero 283, in edicola dal 22 aprile
UNA, MILLE GOMME
Getty Images
La usiamo ovunque, spesso senza saperlo. E non pensate solo agli pneumatici: esclusi quelli, in un’auto ce ne sono altri 70 kg. Naturale e sintetica, che vita sarebbe oggi senza gomma?
I GRECI D’ITALIA I misteri della Magna Grecia, i tesori che ci hanno lasciato, la vita dei Sibariti, la guerra contro Atene, il tiranno di Siracusa. In più: l’eroina che scalò il Monte Bianco, le sviste che hanno cambiato la Storia...
162 | Focus Aprile 2016
sicracusa 3D reborn
Questo mese in edicola su Focus Storia