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Kant, le impossibili prove su Dio

Impossibili prove e controprove dell'esistenza di Dio: Kant

Quello che viene sviluppato nel razionalismo continentale di uno Spinoza, di un Bayle e di un Leibniz come nell'empirismo inglese di uno Hobbes, di un Locke e di uno Lume, trova la sua prima grande sintesi empirico-razionale in Immanuel Kant: «Kant esprime il mondo moderno in un edificio concettuale» (J. Habermas). Non a caso perciò Kant ha anche parlato di una «svolta copernicana» nella filosofia. Infatti, punto di partenza del conoscere non è più l'oggetto dato nella sua compiutezza, il quale si rappresenta nell'intelletto umano, che lo riceve più o meno passivamente. Punto di partenza è l'intelletto umano, che (insieme alla sensibilità) imprime attivamente le proprie forme pure (categorie) al dato sensibile e così soltanto costituisce in generale l'oggetto del conoscere. Quindi autoconoscenza della ragione umana, della facoltà conoscitiva umana in tutte le sue dimensioni! Più esattamente, autoconoscenza dell'intelletto puro e della ragione pura, nel senso che essi, con i loro concetti e idee «puri», costituiscono e regolano di per sé (a priori) le nostre esperienze e i loro oggetti. Questa è l’impostazione «trascendentale» kantiana del problema del modo di conoscere gli oggetti, delle condizioni di possibilità della conoscenza umana in generale. In questo modo l'intera realtà viene costruita a partire dal soggetto umano. Ma per questo era Kant un negatore di Dio? Continuamente si è accusato il filosofo di Konigsberg, che oltre a scritti scientifico-naturali ne ha redatto altri, importanti, di carattere politico e storico-filosofico, di criticismo nelle sue tre Critiche (della ragion pura del 1781, della ragion pratica del 1788 e del giudizio del 1790) e, quindi, di agnosticismo e di velato ateismo. A torto. Infatti proprio Kant — collocato tra ortodossia e libero pensiero, tra il razionalismo franco-tedesco e l'empirismo e lo scetticismo inglese di un David Hume — ha voluto, in un tempo di trionfante ateismo, prendere le difese della fede in Dio contro una «ragione abbaiante», ha anzi voluto legare la ragione alle proprie catene. Dietro la critica di Kant non sta, come spesso si è supposto, la rassegnazione in materia di ragione, bensì la convinzione, fondata in ultima analisi in maniera etico-religiosa, che alla ragione devono certamente venire posti dei limiti e che i limiti della ragione non sono identici a quelli della realtà. Quello che la ragione non conosce, può benissimo esistere. Kant stesso, nella prefazione alla seconda edizione della Critica della ragion pura scrive: «Dovetti quindi eliminare il sapere per fare posto alla fede». Infatti anche per il Kant «critico» — come per il filosofo francese della cultura, da lui molto stimato, Jean-Jacques Rousseau (l'unica immagine nello studio di Kant!) — la fede è una verità, del cuore, o meglio: della coscienza prima e al di là di ogni riflessione e dimostrazione filosofica: «La fede in un Dio e in un altro mondo è talmente intrecciata col mio sentimento morale, che io, come non corro il rischio di perder questo, così non temo che possa mai essermi strappata quella», così attesta lo stesso Kant alla fine della sua Critica della ragion pura. Nessuna meraviglia, quindi, che Kant, l'illuminista, nelle sue tre critiche abbia insieme superato l'illuminismo. Infatti egli ha posto precisi limiti all'ingenua onnipotenza della ragione proprio per quanto riguarda la conoscenza del Dio totalmente altro, come pure alla fede ingenua. E’ chiaro che non sono possibili dimostrazioni scientifiche dell'esistenza di Dio. Sull'esistenza di Dio, che non rientra nello spazio e nel tempo e, quindi, non è oggetto di intuizione, non si possono acquisire conoscenze scientifiche ed emettere giudizi che comunque rinviino all'intuizione. Le dimostrazioni dell'esistenza di Dio, secondo Kant, non sono soltanto di fatto fallite, no, esse non sono nemmeno possibili dal punto di vista teoretico. Perché no? «Tutti i nostri ragionamenti, i quali vogliono condurci al di là del campo dell'esperienza», sono «fallaci e senza fondamento»." La ragione distende invano le sue ali per elevarsi, con la potenza del pensiero, oltre il mondo dei fenomeni fino alle «cose in sé» (e ciò per una necessità del pensiero, che non coglie nulla!) o addirittura incontrare

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il Dio reale. L'uomo non può costruire torri che arrivino fino al cielo, ma soltanto abitazioni, certamente spaziose e largamente sufficienti per i nostri compiti sul piano dell'esperienza. Ma con questo è anche chiaro l'inverso: anche tutte le dimostrazioni contro l'esistenza di Dio sono fallite. Che cosa fare allora? Nelle questioni relative alla conoscenza di Dio Kant non si appella perciò alla ragione «teoretica», bensì alla ragione «pratica», che si manifesta nell'agire dell'uomo: non si tratta di un puro conoscere scientifico e di un escogitare critico, ma dell'agire morale dell'uomo e della condizione di questa possibilità. Kant argomenta alla luce dell'autocomprensione dell'uomo in quanto essere morale, responsabile; non si tratta soltanto dell'essere, ma del dovere, non soltanto di scienza, ma di morale. Proprio nella Critica della ragion pratica Kant rivolge perciò lo sguardo, non più «al di là» o verso un aldilà (un «trascendente»), ma a se stesso, per così dire verso l'interno, alla preesistente condizione di possibilità (il «trascendentale»): Dio, quindi, condizione di possibilità di moralità e felicità. Mentre Cartesio concepiva Dio soprattutto come Essere perfetto e Sostanza infinita, Spinoza come l'unica Sostanza o il Dio-Natura e Leibniz come la Monade infinita, Kant aveva preso le mosse, non dalle cose naturali, ma dall'uomo in quanto essere morale e di qui aveva perciò postulato — per necessità, non teoretica, ma pratica — Dio in quanto essere morale supremo e creatore del mondo. Sia la rivoluzione scientifica (Galileo - Newton) che quella filosofica (Cartesio Kant) dovettero esercitare una grande influenza sulla società europea, nella quale per così tanti secoli ogni forma di pensiero era stata dominata dalle autorità ecclesiastiche. Esse hanno portato a una rivoluzione culturale che, alla fine, ha avuto come conseguenza anche una rivoluzione politica.

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