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RAVENNA
MENSILE DI INFORMAZIONE SU SALUTE E BENESSERE - N. 2 - FEBBRAIO 2014
PAGINA 13
CESARE
FORLINI È DI RAVENNA IL CHIRURGO OCULARE
DELL’ANNO
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Nr. 2 - FEBBRAIO 2014
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LOGOPEDIA
2 LO SVILUPPO DEL LINGUAGGIO Dott.ssa Antonietta Pace FENOMENI SOCIALI
6 I NUOVI STUPEFACENTI Dott. Andrea Drei RICERCA
9 L’ADROTERAPIA PER LA LOTTA AL CANCRO Tiziano Zaccaria NEFROLOGIA
12 NUOVA TECNICA CONTRO IL TUMORE AL RENE L’INTERVISTA
13 CESARE FORLINI di Tiziano Zaccaria MEDICINA INTERNA
16 LA MALATTIA DI CROHN Dott. Salzetta Antonio OCULISTICA
20 I TRAUMI DEL BULBO OCULARE Dott. Ugo Cimberle PSICOLOGIA
22 LA DEPRESSIONE POST-PARTO Dott.ssa Isabella Cantagalli PSICOLOGIA
24 LE EMOZIONI CI CONDIZIONANO? Dott. José Aguayo Ph.D. RICERCA
26 LA TERAPIA GENICA CONTRO I TUMORI Fabio Lironzi ALIMENTAZIONE
27 LO ZUCCHERO Dott.ssa Monica Negosanti SALUTE
28 VITAMINA C I NOSTRI AMICI ANIMALI
29 UN NUOVO AMICO A QUATTRO ZAMPE Barbara Maioli SALUTE 10+ - Anno 4 - N. 2.2014 - Aut. Trib. Ravenna n. 1381 del 23/11/2011 - www.salute10piu.it Proprietà, redazione e realizzazione - Multiservice sas: via A. Gnani, 4 - 48100 Ravenna Tel. 0544.501950 - multiredazione@linknet.it - Direttore responsabile: Spada Gabriele Stampa: Tipografica Derthona - Tortona (Al) - www.tipograficaderthona.it
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LOGOPEDIA
LO SVILUPPO
DEL LINGUAGGIO Cosa sapere sul percorso di apprendimento del vostro bambino A 8 mesi…
Dott.ssa
Antonietta Pace
Logopedista
Una delle domande di rito del mio lavoro, rivolta ai genitori dei miei piccoli pazienti, è: “Quando ha detto le prime parole il/la bambino/a?”. Le risposte sono sempre diverse ed in effetti, non avendo gli strumenti adatti, non sempre per un genitore è facile capire quando sono state prodotte realmente le prime parole. Il bambino impara ad utilizzare il linguaggio, verbale e non verbale, tramite l’adulto. Esistono delle tappe di sviluppo abbastanza precise, ma ogni bambino è diverso dall’altro ed è unico nel suo percorso d’acquisizione del linguaggio. Il genitore può però incoraggiare, facilitare e promuovere lo sviluppo del linguaggio, essendo il principale interlocutore nei primi due anni di vita del bambino. Occorre avere però le corrette conoscenze e le risorse adatte. Una delle frasi principali che mi trovo ad utilizzare con i genitori, per far capire l’importanza della comunicazione efficace, è che bisogna parlare “col” bambino, non “al” bambino; differenza sottile, ma fondamentale. E’ importante poi considerare la comunicazione a tutto tondo, puntare cioè sia su quella verbale, che sui gesti, le espressioni facciali, il contatto col proprio figlio. 2
Il bambino comincia ad esprimere i suoi bisogni in modo sempre più finalizzato, ad esempio richiede all’adulto i giochi attraverso dei vocalizzi. Inizia producendo suoni semplici, che pian piano diventeranno sempre più complessi. Comincia a rispondere al proprio nome e guarda in faccia chi gli parla. Il bambino inizia a comprendere alcune parole che sente: i suoni degli animali, i nomi delle persone e delle cose. Inizia la fase di lallazione canonica, nella quale il bambino produce sillabe semplici formate da consonante e vocale (ad esempio: papapa). Nei mesi successivi la lallazione diventerà sempre più complessa “lallazione variata” (es. pataga).
…cosa fare? Vale sempre la regola del parlare “col” bambino. Ascoltatelo, preservando il suo ruolo nello scambio comunicativo, rispondendogli con parole semplici. Dimostrategli di comprendere i suoi messaggi attribuendogli un significato.
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LOGOPEDIA Ad esempio parlate al vostro bambino mentre lo lavate, lo cambiate, ditegli il nome delle parti del corpo; cantategli delle canzoncine e filastrocche. Commentate le immagini di libri semplici e accattivanti.
Imita i suoni dell'adulto mentre gioca con lui. Usa alcune parole che contengono suoni prodotti durante la lallazione variata.
A 12 mesi…
Interpretate i gesti e le vocalizzazioni del bambino come segnali comunicativi per fargli capire che è stato compreso. CONDIVIDETE I SUOI INTERESSI. Parlategli con un ritmo lento per facilitargli l'ascolto e l'attenzione a ciò che gli dite, usate un linguaggio adeguato al suo livello di comprensione. Attirate l'attenzione, l'interesse e l'imitazione di vostro figlio giocando in modo animato "con effetti speciali", usate diverse
Il bambino impara a comunicare in modo efficace attraverso l’uso dei gesti; il gesto di indicare diviene molto frequente. Il suo modo di comunicare, anche se ancora diverso dal linguaggio adulto, comincia ad assumere un suo significato in situazioni specifiche. Mostra e dà all'adulto ciò che ha in mano. Imita o usa gesti come il "ciao-ciao", il "non c'è più". Combina vocalizzi e azioni per far conoscere all'altro ciò che vuole. Il bambino risponde in modo appropriato a proposte verbali del tipo: "apri la bocca", "batti le mani", "fai ciao", "fai cuccù". Comprende semplici frasi del tipo "non toccare", "vuoi bere". Capisce il "no", sa riconoscere il proprio nome.
…cosa fare?
espressioni facciali. Denominate le immagini dei libri che lo interessano segnandole col dito.
A 18 mesi… La forma comunicativa prevalente è ancora il gesto di indicare, tuttavia al gesto cominciano ad associarsi anche vocalizzazioni o espressioni linguistiche. Il bambino è in grado di comprendere il significato di un gran numero di parole, mentre l'espressione di queste è ancora ridotta; l'incremento per alcuni bambini può essere lento, per altri più veloce. Esprime disapprovazione (percuote, respinge). Porta o dà un giocattolo meccanico all'adulto affinché lo metta in azione. Fa "ciao" con la mano quando se ne va. Il bambino produce almeno dieci parole con un significato preciso e tenta di esprimere ciò che desidera usando suoni o parole. Sa produrre i suoni degli animali, i nomi di alcuni oggetti, di persone e di espressioni particolari come ad es. "bum" quando cade un oggetto o "basta". »SEGUE
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Il bambino riesce a comprendere discorsi su avvenimenti già accaduti o che dovranno ancora accadere, oltre che situazioni riguardanti il presente. Comprende richieste che includono due azioni. Se ancora non ha abbandonato il ciuccio, è ora di farlo!
…cosa fare? Fate in modo che il bambino si esprima secondo i suoi tempi e le sue possibilità. Create un'alternanza nel dialogo, fate delle pause e non fate frasi troppo lunghe, aspettate una risposta dal bambino e incoraggiatelo a continuare il dialogo. Fate domande che suggeriscono una scelta tra ciò che il bambino conosce. Leggete/commentate semplici storie e discutete l'argomento insieme a vostro figlio. Giocate al gioco di “far finta” con gli oggetti e giocattoli. Le parole sono bisillabi composte prevalentemente dalle consonanti m, n, p, t. Per quanto riguarda la comprensione, il bambino comprende in egual misura i significati di nomi, azioni e aggettivi. Comprende domande introdotte dal “dove” e dal “chi”. Comprende semplici istruzioni, es. "portami la palla”. Indica alcune parti del corpo se gli viene richiesto di farlo.
…cosa fare? Denominate/commentate sempre ciò che indica il bambino. Giocate con vostro figlio offrendogli esempi di gioco del “far finta” (es. dar da mangiare ad un peluche e a sé stesso) e di gioco simbolico (es. una pentola diventa un cappello). Descrivete semplici sequenze di storie raffigurate in un libro adatto per la sua età, lasciandogli il tempo di intervenire secondo il suo modo di esprimersi.
A 24 mesi… Se il vostro bambino a 24 mesi: - produce poche parole (meno di 50) - impara poche parole nuove al mese, - non combina due parole in un'unica frase tipo "auto papà" , - le parole sono composte da una scarsa varietà di consonanti. 4
potete chiedere il parere ad un esperto presso un centro specializzato per disturbi di linguaggio. A 24 mesi, infatti, il bambino riesce a dialogare più frequentemente attraverso il linguaggio verbale. Si esprime con molte parole ed ogni giorno ne impara delle nuove. Le frasi sono composte da 2 o 3 parole in successione, comincia ad apprendere la grammatica della propria lingua. Riesce a fare richieste e domande. Si esprime con un numero sempre più elevato di parole, anche fino a 100! Pronuncia i suoni consonantici delle parole in modo abbastanza chiaro.
A 36 mesi… Se il vostro bambino a 36 mesi: - non comprende il significato dei discorsi; - ha un vocabolario limitato; - non fa semplici frasi; - pronuncia le parole in un modo che è difficile capire cosa dice. potete chiedere il parere ad un esperto presso un centro specializzato per disturbi di linguaggio. A 36 mesi, infatti, il bambino comprende i discorsi dell'adulto che sono al suo livello.
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LOGOPEDIA Si esprime con un'ampia ricchezza lessicale, usa le prime forme grammaticali che caratterizzano la sua lingua. Riesce a produrre quasi tutti i suoni consonantici della sua lingua e la pronuncia delle parole risulta facilmente comprensibile anche agli estranei. Il bambino sa dire il suo nome e l'età , quando gli viene richiesto. Usa il linguaggio per esprimere sentimenti, per fare proposte e rispondere a ciò che gli viene chiesto aggiungendo anche altre informazioni. Produce frasi complesse, comincia ad usare dopo, allora, invece, perchÊ. Sa usare il singolare/plurale e il femminile/maschile dei nomi, alcuni articoli, i pronomi personali es. io, tu. Il bambino è in grado di rispondere alle domande chi, cosa, quando, dove. Comprende dentro, sopra, e sotto e la differenza tra il singolare e il plurale. Comprende il significato di semplici storie narrate con il supporto di figure.
DOLCE SALUTE
‌cosa fare? Fornite al bambino ripetuti esempi di frasi corrette, in particolare quelle che sbaglia, senza chiedergli di ripeterle, per aiutarlo a sviluppare la grammatica e la pronuncia. Interpretate e parlate dei suoi sentimenti, dei suoi stati d'animo, della sua esperienza passata e futura tenendo conto del suo punto di vista e del suo interesse. Giocate insieme a vostro figlio facendo giochi di drammatizzazione che riproducono le vostre esperienze di vita. Discutete insieme le storie che piÚ gli piacciono, comprate insieme i libri degli argomenti che preferisce.
Conclusioni Non sempre è facile sapere come rapportarsi col proprio figlio, ma con queste poche e semplici regole potreste trasformarvi in un ottimo compagno di giochi; senza dimenticare che, a volte, ricevere il semplice parere di un esperto può far aprire gli occhi su determinati atteggiamenti che attuiamo e che possiamo modificare positiFINE vamente.
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PIACERE MIO
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FENOMENI SOCIALI
I NUOVI STUPEFACENTI
E’ allarme sul mondo giovanile per la diffusione di numerosi tipi di nuove droghe, economiche e facilmente reperibili. Inquieta anche il modello di consumo ormai dominante: l’assunzione assieme ad alcool e farmaci.
Dott.
Andrea Drei
Pronto Soccorso Medicina d’Urgenza Ospedale di Faenza - E-mail: andrea.drei@alice.it
Negli ultimi anni si sono rivoluzionate le tendenze all’uso delle droghe, specie da parte dei giovani. Il consumo delle sostanze stupefacenti tradizionali, quali cannabis, cocaina, eroina, anfetamine ecc., sembra essere in
calo, mentre si è diffuso un numero crescente di nuove sostanze psicoattive di origine sintetica. Di queste ultime si conosce ancora poco in merito alle loro caratteristiche, circa i rischi per la salute di che ne fa uso. LE NUOVE TENDENZE PORTANO A CERCARE NELLE SOSTANZE CONSUMATE SOPRATTUTTO GLI EFFETTI ECCITANTI ED ALLUCINOGENI, NONCHÉ IL MIGLIORAMENTO DELLE PRESTAZIONI. I prodotti sintetici che venivano introdotti nel mercato illegale fin dagli anni
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'90 spesso non venivano percepiti come droghe in senso stretto. Le modalità di assunzione diversa dalla via iniettiva, i contesti "ricreativi" di consumo, la facilità di reperimento, il minor costo, la scarsa riprovazione sociale, avevano contribuito all'arruolamento di sempre nuovi consumatori, a volte appartenenti a fasce di età anche molto basse e spesso inconsapevoli delle possibili conseguenze a medio e L’ECSTASY HA COMINCIATO lungo termi- A DIFFONDERSI DAI PRIMI ANNI NOVANTA ne.
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Dal web o direttamente in negozi “specializzati” A molte di queste nuove sostanze viene dato il nome di Smart drugs (droghe furbe), in quanto spesso contrabbandate per altri usi e pertanto non tabellate come illegali. Generalmente vengono vendute via internet o nei cosiddetti Smart Shops, negozi di prodotti erboristici in cui tali prodotti vengono commercializzati come profumanti per ambienti o per armadi, incensi, sali da bagno, fertilizzanti, concimi ecc. A volte vengono mistificati come “prodotti chimici di ricerca”.
Tipi e diffusione Fra le sostanze più frequentemente utilizzate si ritrovano i cannabinoidi di sintesi. Nella CANNABIS SINTETICA è compresa la cosiddetta “spice”, fra i cui effetti si sono osservate panico, ansia, paranoia, difficoltà respiratorie, sudorazione, dolore toracico. Casi di gravi effetti cardiovascolari (sindrome coronarica acuta, bradicardia
grave e prolungata) e neurocomportamentali (psicosi acute) sono ormai già riportati nella letteratura scientifica e riscontrati anche nella casistica SPICE italiana. DRUG Un altro gruppo di sostanze di largo uso è quello dei cosiddetti CATINONI, che riproducono le caratteristiche della Khat, una pianta diffusa nella penisola Arabica e nel Corno d'Africa, che causa eccitazione, perdita di appetito ed euforia. Essi possono essere ingeriti, sniffati o CATINONE assunti per via iniettiva o rettale. Fra gli effetti lamentati in seguito al loro uso si rinvengono ansia, ridotta capacità di concentrazione e della memoria, irritazione delle mucose, cefalea, ipertensione, tachicardia, agitazione, convulsioni.
Fra i catinoni è da segnalare il MEFEDRONE, al quale sono stati correlati gravi intossicazioni e alcuni decessi.
Mix pericolosissimi Un modello di consumo di droga divenuto ormai dominante in Europa è l’assunzione delle nuove droghe in associazione con alcool e farmaci. I consumatori occasionali o abituali tendono a mescolare i loro consumi al fine di ottimizzare e amplificare gli effetti ricercati. Ciò espone l’organismo a sollecitazioni diverse e difficilmente prevedibili e rende particolarmente arduo il corretto inquadramento diagnostico-terapeutico degli intossicati. Rilevante poi è la possibile tossicità delle sostanze da taglio.
Il confine tra legale e illegale Negli smartshops vengono venduti… »SEGUE
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Il fine non è il solo sballo personale Un discorso a parte riguarda le cosiddette RAPE DRUGS, o droghe da stupro. Sono le sostanze ad azione incapacitante, che inibiscono la volontà e azzerano la coscienza rendendo senza memoria per l'accaduto. Sono pertanto utilizzate allo scopo di perpetrare violenze sessuali, nonché rapine o raggiri.
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ESSERE VIGILI, SOPRATTUTTO SE SI È IN COMPAGNIA DI SEMISCONOSCIUTI
Fra queste la più usata è il G.H.B. (acido-gamma-idrossi-butirrico). Si tratta di una sostanza somministrabile per via orale in forma liquida, di basso costo, insapore, incolore e quasi inodore. Viene assorbita rapidamente e l'azione sedativa compare precocemente. E' stata usata in medicina per le sue azioni ipnotiche e anestetiche e tuttora ha un'indicazione per il mantenimento dell'astensione dall'alcool. Come sostanza d'abuso viene utilizzata in particolare nelle discoteche e nei rave party per “intensificare le relazioni sociali”.
Cosa fanno le istituzioni Il mondo dei nuovi stupefacenti è estremamente vasto, variegato, nebuloso e in continua evoluzione. Allo scopo di individuare precocemente i fenomeni pericolosi, correlati alla comparsa di nuove droghe, nonché di nuove modalità e abitudini assuntive, è stato attivato anche in Italia il Sistema Nazionale di Allerta Precoce e risposta rapida per le droghe (National Early Warning System). Nell’ambito di questo obiettivo il Dipartimento Politiche Antidroga ha promosso uno studio che ha coinvolto un centinaio di servizi di Pronto Soccorso in Italia, fra i quali quello di Faenza. L’indagine è finalizzata al miglioramento delle conoscenze sulle problematiche connesse con l'accesso al sistema dell'urgenza di soggetti che hanno fatto uso o abuso di sostanze stupefacenti poco note, per poterne definire meglio le necessità diagnostiche-terapeutiche. In particolare, l'obiettivo è di mettere in relazione i livelli di intossicazione rilevati in Pronto Soccorso, con l'assunzione di “smart drugs”, al fine di attivare la procedura per classificarle come illecite. FINE
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RICERCA
ADROTERAPIA LA NUOVA FRONTIERA NELLA LOTTA AL CANCRO
Conclusa la sperimentazione, dal 1° gennaio è avviato il Centro Nazionale di Adroterapia Oncologica di Pavia. L’innovativa terapia, basata sull'accelerazione di particelle di protoni e ioni carbonio, viene utilizzata per i tumori che non rispondono bene alla radioterapia tradizionale. di Tiziano Zaccaria E-mail: zaccariatiziano@alice.it
Dopo dodici anni di lavori lunghi e travagliati, dal primo gennaio 2014 è attivo il Centro Nazionale di Adroterapia Oncologica (Cnao) di Pavia, costato complessivamente 137 milioni di euro. A caratterizzare il Centro è il Sincrotrone, una “ciambella” lunga 80 metri nella quale vengono accelerate le particelle protoni e ioni carbonio - poi utilizzate nel trattamento dei tumori più interni, di quelli che non rispondono alla radioterapia tradizionale o con bassa sopravvivenza. Si tratta di una macchina come quella del Cern di Ginevra, con la quale si è studiato il bosone di Higgs, ma realizzata “in casa” insieme a varie aziende, molte delle quali italiane; ciò ha consentito di abbassare i costi del 50 per cento.
Cos’è l’Adroterapia Il rapido progresso tecnologico degli ultimi anni ha portato ad un’evoluzione rilevante della radioterapia oncologica, che oggi ha una nuova frontiera appunto nell’adroterapia, che utilizza protoni e nuclei atomici (chiamati ioni) soggetti alla forza detta “nucleare forte” e perciò chiamati adroni (dal greco adrós, forte). I suoi tre principali vantaggi rispetto alla radioterapia tradizionale sono i seguenti. IL RILASCIO DI ENERGIA è selettivo ed efficace: colpisce e distrug»SEGUE ge solo le cellule tumorali.
SALA TRATTAMENTO DI ADROTERAPIA
Il 13 dicembre scorso è stata completata la sperimentazione a 200 pazienti imposta dal Ministero della Salute per poter ottenere la marcatura CE, poi il 20 dicembre la Regione Lombardia ha fissato le tariffe da rimborsare al Centro. Così, dal primo giorno di quest'anno, il Cnao ha finalmente iniziato a curare i primi pazienti lombardi. Le altre regioni devono ancora approntare le loro tariffe: i pazienti devono perciò chiedere alla propria Asl di appartenenza l’autorizzazione ad avere il rimborso dei soldi da loro anticipati per pagare le terapie. Fra l’altro, questa terapia all’estero ha prezzi molto più elevati. «Da noi un trattamento completo costa 24mila euro l’anno, mentre all’estero si può arrivare a 250mila dollari – spiega Erminio Borloni, presidente della Fondazione Cnao – Le nostre tariffe sono più basse, perché siamo una fondazione no profit. Ci basta “guadagnare” per sopravvivere e fare ricerca». 9
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Ci occupiamo di allevamento suino, dal 2000 abbiamo intrapreso un percorso di diversificazione della nostra produzione, proponendoci anche come Fattoria Didattica, inserita nel circuito della provincia di Ravenna.
Nel 2008, con la creazione di un laboratorio e del relativo punto vendita diretta delle nostre carni, abbiamo ridotto il numero di animali presenti in stalla, prediligendo per loro una alimentazione costituita da cereali e farine locali. Così facendo possiamo garantire la genuinità della carne che vendiamo e "...quel gusto di una volta..." ormai svanito dai nostri palati.
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Nel nostro punto vendita potete trovare la carne fresca e i gran classici stagionati come il salame, la salsiccia passita, la coppa ecc., realizzati evitando il più possibile i conservanti e nel rispetto di ricette e metodi dalla tradizione contadina locale, gli arrosti e la famosa Porchetta che realizziamo su prenotazione oppure in piccole porzioni sotto vuoto da gustare all'occorrenza. ASPETTIAMO DI POTERVI INCONTRARE DI PERSONA
IL DANNO apportato all’organismo è relativamente modesto all’inizio della penetrazione nel corpo e solo in prossimità dell’arresto della particella, dove si trova il tumore, si ha un notevole rilascio di energia. IL FASCIO DI PARTICELLE adroniche resta collimato man mano che penetra nel materiale biologico. L’elevata precisione dei fasci di adroni permette un’ulteriore minimizzazione del danno ai tessuti sani.
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NELLE CELLULE TUMORALI il rilascio dell’energia causa una grande quantità di rotture nei legami chimici presenti nelle macromolecole biologiche, in particolare nel DNA, che ha la proprietà di autoripararsi, ma se il numero di legami rotti è eccessivo la cellula si inattiva e muore. Nella radioterapia tradizionale il danno al DNA è modesto, mentre nell’adroterapia il gran numero di rotture permette di distruggere anche tumori radioresistenti. L’insieme di questi tre vantaggi comporta un’efficacia distruttiva notevole sui tessuti biologici, per cui il bersaglio
deve essere posizionato con una precisione millimetrica, assai più elevata rispetto alla radioterapia tradizionale.
I tumori trattabili Da sola o associata a chirurgia e/o a chemioterapia, l’adroterapia migliora il controllo di diverse patologie tumorali. Oggi, circa il 50% dei pazienti affetti da tumore è sottoposto ad un trattamento di radioterapia. L’adroterapia si pone come indicazione ideale per quei tumori in cui la radioterapia convenzionale non dà vantaggi I tumori “radioresistenti” significativi: in sono quelli che per il particolare per i loro comportamento biologico sono curabili “tumori radiore- con minori probabilità sistenti” e per dalla radioterapia convenzionale. quelli localizzati vicino ad organi a rischio. I tumori situati in prossimità di organi detti “critici”, spesso non possono essere irradiati a dosi sufficientemente elevate da essere efficaci per curare la malattia, a causa delle dosi troppo elevate che sarebbe necessario somministrare, con grave rischio di danneggiare i tessuti sani. La curabilità dipende anche da fattori legati al trattamento radioterapico, come la dose totale erogata e la precisione della tecnica impiegata nell’irradiare la sede di malattia. In questi casi, grazie alla diversa natura fisica degli “adroni” rispetto ai raggi X usati nella radioterapia convenzionale,
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RICERCA questi due limiti possono essere superati. E’ bene specificare che, essendo l’adroterapia una terapia relativamente giovane, le indicazioni consolidate sono ancora limitate a tumori solidi, non infiltranti e fissi e a tumori rari scarsamente responsivi alle tecniche di radioterapia convenzionale. Tra questi: i melanomi dell’uvea (parte interna dell’occhio), i tumori della base del cranio e della colonna e alcuni tumori solidi pediatrici.
LE RALE MORA TUMO BE LIO TU AGLIO RSAG BERS
DIOTERAPIA… COME AGISCE LA RA
Il trattamento L’iter di un trattamento con adroni non differisce sostanzialmente da quello della radioterapia tradizionale. Una volta stabilita l’indicazione al trattamento, al paziente viene “confezionato” un dispositivo personalizzato di immobilizzazione che ne garantisca il posizionamento ottimale e, soprattutto, la riproducibilità di tale posizionamento ad ogni seduta di terapia, considerata la notevole necessità di precisione per irradiare con particelle pesanti. Prima dell’inizio del trattamento, il paziente viene sottoposto ad una TC “di centratura” o di “simulazione”, priva di finalità diagnostiche, ma volta ad ottenere le immagini della regione sede della lesione da irradiare. Viene così stabilita la migliore modalità di posizione ed immobilizzazione del paziente che, nelle stesse condizioni, effettuerà ciascuna seduta di trattamento.
IA AGISCE L’ADROTERAP … E COME INVECE
In seguito, in considerazione del tipo di malattia e degli organi sani coinvolti, il radioterapista prescrive la dose totale di trattamento, il suo frazionamento giornaliero e le dosi di tolleranza degli organi a rischio. Sulla base di tale prescrizione, il Fisico medico calcola le dosi e stabilisce la migliore geometria del fascio da utilizzare per quel determinato distretto. A questo punto il paziente torna al Centro di Pavia per iniziare le sedute giornaliere di terapia, durante le quali il tecnico di radioterapia e l’ingegnere biomedico assicurano la corretta riproducibilità di immobilizzazione stabilita precedentemente. Alla fine del ciclo di terapia, il radioterapista esegue Info:
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la visita conclusiva ed imposta il piano terapeutico per la gestione a domicilio degli eventuali effetti collaterali, stabilendo il programma di visite ambulatoriali successive con eventuali esami necessari. Il numero delle sedute di Adroterapia dipende da molti fattori, tra cui la tipologia, le dimensioni e la sede del tumore. In generale si effettua un’applicazione al giorno per cinque giorni alla settimana, per una durata da una a sei settimane. Ciascuna seduta ha una durata di circa 30 minuti. A parte il tempo dedicato all’immobilizzazione personalizzata e alla verifica del posizionamento, l’irraggiamento dura pochi minuti. Le applicazioni non sono dolorose: le radiazioni non vengono assolutamente percepite dal paziente. Sebbene gli effetti collaterali siano nella maggior parte dei casi minori rispetto ai raggi X, la adroterapia non è completamente priva di tossicità. Tali effetti collaterali dipendono sempre dalla dose e, soprattutto, dalla sede irradiata. FINE
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NEFROLOGIA
UNA NUOVA TECNICA MININVASIVA PER RIMUOVERE
IL TUMORE AL RENE L’intervento permette una perdita di sangue inferiore del 90 per cento rispetto alle tecniche tradizionali e dimissioni in 24 ore. Il dottor Maurizio Buscarini, responsabile di Urologia del Policlinico Universitario Campus Bio-Medico di Roma, è fra i promotori in Italia di una nuova tecnica mininvasiva per la rimozione di alcune tipologie di tumore ai reni. L’operazione in questione prevede la chiusura controllata per pochi minuti dell’arteria renale, per la rimozione del tumore e la suturazione della parte sana, operando attraverso quattro incisioni di meno di un centimetro nella parte lombare della schiena. Il risultato è una perdita di sangue inferiore del 90 per cento rispetto alla media, col paziente dimesso dopo 24 ore, praticamente i tempi di un dayhospital. www.privatassistenza.it
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«E’ una tecnica è utilizzata negli Stati Uniti fin dal 2005, ma in Italia è ancora poco in uso – spiega Buscarini – Per rimuovere alcuni tumori in laparoscopia c’è bisogno di uno spazio adeguato entro il quale poter muovere gli strumenti operatori. Questo spazio di solito viene garantito naturalmente dalla cavità peritonea, ma può essere anche creato artificialmente, intervenendo con un’incisione di poco più di un centimetro in zona lombare, in corrispondenza del rene, ed inserendo un palloncino dilatatore che permette di “staccare” dalla parete lombare tutta la zona circostante il rene, creando la “camera di lavoro” nella quale muovere gli strumenti laparoscopici, che vengono fatti passare attraverso tre ulteriori piccolissime incisioni di mezzo centimetro ciascuna».
La perdita di sangue risulta di circa 20 millilitri, contro una media superiore ai 200 millilitri per le altre tecniche operatorie, perché la rimozione del tumore viene completata in 6-7 minuti, tempi ben inferiori alla soglia-limite dei 20 minuti riportata in letteratura. Secondo i dati 2013 dell’Associazione Italiana di Oncologia Medica, l’Italia è uno dei Paesi con la più alta incidenza di casi di tumore del rene: nel totale delle neoplasie esso rappresenta circa il 4,2% negli uomini e il 2,6% nelle donne, dato in crescita tra gli uomini e stabile tra le donne. Quello ai reni è un tumore tra i più imprevedibili, poiché per lungo tempo può non dare segnali, per poi irrompere in modo rapido e devastante. Nonostante la crescita dei casi negli ultimi anni, comunque, è in aumento anche FINE la speranza di vita.
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L’INTERVISTA
CESARE FORLINI Chirurgo oculare dell’anno Intervista di Tiziano Zaccaria E-mail: zaccariatiziano@alice.it E’ nato a Spinetoli, piccolo centro marchigiano in provincia di Ascoli Piceno, ma può essere considerato un romagnolo d’adozione. Il dottor Cesare Forlini, 65 anni il prossimo 15 maggio, svolge da parecchi anni la propria attività presso il reparto e la sala operatoria di oculistica dell'Ospedale Civile "Santa Maria delle Croci" di Ravenna. Dal 2011 è il Direttore dell’Unità Operativa di Chirurgia Oculare Complessa e Traumatologia dell’Ausl di Ravenna. Laureato in Medicina e Chirurgia all’Università di Bologna, è stato anche il primario di Oculistica all’Ospedale Civile di Fabriano (dal 1997 al 1999) e dell'Azienda Ospedaliera San Salvatore di Pesaro (dal 1999 al 2002). Nella chirurgia oculare è considerato un luminare a livello internazionale. Nella sua carriera ha eseguito oltre 15.000 interventi, di cui gran parte di alta e altissima chirurgia. Nell’autunno scorso, nell'ambito del congresso annuale di oftalmologia svoltosi a New Orleans, ha ricevuto il premio come “miglior chirurgo dell'anno” nel campo della traumatologia oculare. Il premio gli è stato consegnato dall'Helen Keller Foundation for Research & Education, fondazione impegnata nella lotta alla cecità, in particolare quella conseguente a traumi.
Dottor Forlini, come è nata questa sua specializzazione? «Mi sono formato all’Ospedale Civile di Ravenna nell’equipe diretta dal professor Egidio Dal Fiume, uno dei pionieri della chirurgia oculare in Italia. Grazie ai suoi insegnamenti, sono progredito nell’attività diagnostica e chirurgica a tutto campo sulle patologie oculari, dagli interventi di strabismo
CESARE FORLINI (CON LA CORNICE TRA LE MANI) AL PREMIO HELEN KELLER CON I COLLEGHI DELLA SOCIETÀ OFTALMOLOGICA ITALIANA
alla cataratta, dal glaucoma al trapianto di cornea, e soprattutto alla chirurgia delle malattie vitreoretiniche. Stimolato dal mio maestro, ho intrapreso le varie chirurgie e la combinazione di esse, sviluppando esperienze particolari nelle chirurgie complesse e ricostruttive, spaziando dalla cornea al cristallino, soprattutto nei casi di traumi oculari».
E si è sempre tenuto molto aggiornato… «Sì, nella mia attività ho sviluppato tutte le più moderne tecniche chirurgiche che man mano sono evolute rapidamente negli ultimi decenni. Ho partecipato a numerosi congressi scientifici nazionali ed internazionali in qualità di speaker, moderatore e come chirurgo per sedute di live surgery (chirurgie dal vivo teletrasmesse), che mi hanno portato nel mondo ad illustrare tecniche ed esperienze eseguite a Ravenna».
Negli ultimi anni si sta dedicando anche all'insegnamento… «Voglio che la mia Unità Operativa sia un punto di riferimento per molti giovani oculisti specializzati o specializzandi, provenienti anche da paesi stranieri. Infatti l’ho inserita nell’organizzazione S.O.E. (Società Europea di Oftalmologia) e dell’I.C.O. (International Council of Ophthalmology), capaci di offrire borse di studio a giovani oculisti meritevoli da spendere per stage di formazione sul campo. Fare chirurgia oculare non è un’attività molto redditizia e non è facile trovare dei giovani interessati ad intraprendere questa difficile specializzazione, che necessita fra l’altro di grande esperienza. Perciò mi sto battendo per diffondere la preparazione dei giovani in questo settore, nonchè per l'organizzazione assistenziale effi»SEGUE ciente sul territorio». 13
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L’INTERVISTA
Torniamo ai progressi registrati da questo settore negli ultimi anni. «Fino a vent’anni fa, per operazioni chirurgiche standard come il glaucoma, la cataratta ed i trapianti di cornea, i pazienti venivano ricoverati per diversi giorni. Oggi, soprattutto per la cataratta, si opera a livello ambulatoriale, senza ricovero, e la qualità della chirurgia è di gran lunga superiore, soprattutto perché si utilizzano strumenti miniaturizzati molto sofisticati e sempre meno invasivi. Negli ultimi anni, nelle strutture oculistiche ospedaliere c’è stato un cambiamento organizzativo radicale: oggi i ricoveri sono limitati alle chirurgie complesse, come quelle della traumatologia oculare».
La chirurgia per lei è “creativa”… «Siccome il trauma non rispetta le normali regole accademiche, bisogna essere pronti a trattarlo in modo completamente diverso caso per caso, cercando
di ottenere i migliori risultati nel minor tempo possibile. Più si aspetta, più il quadro diagnostico si complica. Ecco perché è importante utilizzare in maniera creativa tutta la propria esperienza».
In Italia a che punto siamo nella chirurgia oculare rispetto al resto del mondo? «La situazione nel nostro paese è su ottimi livelli: nella chirurgia d’avanguardia siamo in grado di competere con le migliori strutture internazionali».
Il futuro cosa riserverà a questa specializzazione? «Aumentando la vita media della popolazione, aumenteranno le malattie legate all’età, quali la degenerazione maculare, che porta vicino alla cecità, riducendo sensibilmente la qualità della vita. Oggi grazie all’individuazione dei fattori predisponenti - che sono genetici, ma anche legati agli stili di vita – sono stati creati dei farmaci sempre più appropriati, che vanno a curare, o quantomeno a contrastare, queste patologie neurovascolari, con ottimi risultati, anche se non per tutti».
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L’INTERVISTA
Si lavora anche sulla prevenzione? «Si sta promuovendo la corretta alimentazione, l’eliminazione del fumo e la protezione degli occhi dai raggi solari. Per quanto riguarda l’alimentazione, i cibi consigliati sono tutti quelli ricchi di sostanze antiossidanti, come gli ortaggi freschi, ma anche il pesce, ricco di omega 3, elementi che frenano la degenerazione cellulare».
Nella popolazione molto anziana, a volte sono gli occhi il primo organo a cedere. «Oggi il paziente ultraottantenne spesso è ancora molto attivo. Vuole potersi muovere in autonomia con la propria auto, quindi è importante che abbia una buona vista per potersi garantire ancora una vita piena. Vivere di più, ma senza qualità, a cosa serve?».
La ricerca scientifica sta facendo grossi passi in avanti: si è arrivati alla sostituzione di parti dell’occhio con “pezzi” artificiali. L’occhio bionico resta un sogno? «Gli impianti artificiali di iride e cristallino sono realtà già affermate. E il trapianto di cornea fa ormai parte della routine.
Si stanno poi mettendo sempre più a punto gli impianti di retina artificiale, tesi a combattere la retinite pigmentosa, grave patologia che porta alla cecità anche persone molto giovani: questi impianti in qualche modo danno una visione artificiale, rispetto al buio. Ma l’“occhio bionico”, per ora, resta un sogno, anche perché chi vede non è l’occhio, ma il cervello. Il nervo ottico è una struttura molto complessa, con una rete di nove strati cellulari che trasformano le immagini in impulsi elettrici. Non è come un arto, che si può ricostruire artificialmente. Comunque, non
poniamo limiti alla ricerca, che continua ad avanzare con risultati importanti. Giorno dopo giorno, registriamo piccoli miglioramenti, ma che negli anni, uno dopo l’altro, ci hanno fatto fare passi da gigante». Il dottor Cesare Forlini è insegnante alla European VitreoRetinal Training School di Brema, alla European School for Advanced Studies in Ophthalmology di Lugano ed alla Thessaloniki Summer School di Tessalonica, dedicate a giovani oculisti provenienti da tutto il mondo. Inoltre è uno dei fondatori della High School Ocular Trauma, alla quale partecipano molti chirurghi internazionali, e di Mediterretina, un club di specialisti della retina provenienti dai Paesi affacciati sul Mediterraneo. FINE
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MEDICINA INTERNA
LA MALATTIA
DI CROHN È un'infiammazione cronica che può manifestarsi in qualsiasi settore dell’apparato gastroenterico, ma colpisce soprattutto l'intestino tenue, causando infiammazioni ed ulcere. Si “tiene a bada” con farmaci sempre più mirati; raramente si sceglie la strada chirurgica.
Dott.
Antonio Salzetta
La Malattia di Crohn, assieme alla Rettocolite Ulcerosa, fa parte delle Malattie Infiammatorie Croniche Intestinali, entrambe caratterizzate da insorgenza prevalente in età giovanile e dall’andamento cronico (cioè persistono per tutta la vita). Essa può interessare qualsiasi settore dell’apparato gastroenterico, dalla bocca all’ano, anche se le localizzazioni più tipiche di malattia sono la porzione terminale dell’intestino tenue ed il colon, cioè il grosso intestino. La Malattia di Crohn è diffusa in tutto il mondo, anche se la massima prevalenza si registra nel Nord Europa e Nord America. La prevalenza è di circa 50 casi ogni 100.000 abitanti; si è tuttavia concordi sul fatto che questo numero sia sottostimato. Anche in Italia la malattia è frequente, con tassi di prevalenza lievemente inferiori, ma analogamente agli altri paesi anche da noi si registra un aumento della malattia negli ultimi decenni. 16
ERITEMA NODOSO SULLA SCHIENA DI UNA PERSONA AFFETTA DA MALATTIA DI CROHN.
Immagine da Wikipedia
Gastroenterologia ed Endoscopia Digestiva Presidio Ospedaliero di Faenza - Ausl Ravenna
L’età maggiormente interessata è quella giovanile, con un picco fra i 20 e i 30 anni di età; non vi è una particolare differenza tra i due sessi ed anche i casi tra stessi familiari sono poco frequenti. La Malattia di Crohn è considerata una patologia da alterata regolazione immunitaria, nella quale il sistema immunitario aggredisce il tratto gastrointestinale determinando infiammazione, anche se la vera causa è ancora sconosciuta: le ipotesi più accreditate vedono una combinazione tra fattori ambientali e predisposizione genetica. I fattori ambientali possono avere un
ruolo scatenante, considerando la maggiore prevalenza della patologia in luoghi ad elevata industrializzazione; anche il fumo può determinare un aumento del rischio di svilupparla. La malattia ha un caratteristico andamento ricorrente: alterna cioè fasi di attività (riaccensione) a fasi di remissione (malattia clinicamente silente e senza sintomi): lo scopo della terapia è ovviamente quello di mantenerla in remissione il più possibile nel tempo, evitandone le riaccensioni.
Quali sintomi I sintomi della malattia possono essere specifici gastrointestinali, sistemici ed extraintestinali: in molti pazienti iniziano prima che venga formulata la diagnosi e variano a seconda del tratto gastroenterico interessato.
DOLORI ADDOMINALI E DIARREA SONO POSSIBILI SINTOMI
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Il dolore addominale è un sintomo spesso frequentemente associato alla diarrea, con emissione di feci raramente contenenti sangue macroscopico. Anche sintomi perianali possono essere associati alla malattia, soprattutto prurito o dolore perianale e sottendono spesso la presenza di ascessi o fistole perianali. Riguardo i sintomi sistemici i più frequenti sono la mancata crescita nei bambini, la febbre e la perdita di peso, in quanto è spesso coinvolto l’organo specifico dell’assorbimento intestinale dei nutrienti, cioè l’intestino tenue: ne conseguono anche anemia, ipoproteinemia, demineralizzazione ossea, ipopotassiemia e disidratazione.
La Malattia di Crohn può interessare altri organi extraintestinali
volta la porzione inferiore della colonna o tutta la colonna (Spondilite Anchilosante): i sintomi tipici sono… »SEGUE
L’OCCHIO, con infiammazione che colpisce la porzione interna (Uveite, che si manifesta soprattutto con dolore quando l’occhio è esposto alla luce o riduzione della vista) o la porzione esterna (Episclerite). Inoltre spesso questa patologia si associa a MALATTIE REUMATOLOGICHE quali la spondiloartrite sieronegativa che può coinvolgere le grandi articolazioni (ginocchio, spalla) o le piccole articolazioni delle mani o dei piedi. L’artrite può interessare anche la COLONNA VERTEBRALE, determinando la Sacroileite se è coin-
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MEDICINA INTERNA …il dolore articolare, gonfiore, rigidità delle articolazioni e/o perdita della mobilità articolare. La Malattia di Crohn si può associare anche a specifiche malattie della pelle: l’ERITEMA NODOSO che si presenta come noduli rossi soprattutto gli arti inferiori o il più grave Pioderma Gangrenoso che si manifesta come un nodulo doloroso ulcerato. La Malattia di Crohn coinvolge tipicamente nel 90 per cento dei casi il tenue terminale (ultima ansa ileale), il colon o entrambi, con un’infiammazione che interessa tutti gli strati della parete intestinale (dai più superficiali ai più profondi), a differenza della Rettocolite Ulcerosa che interessa solo gli strati più superficiali (mucosa) e questa ne spiega la maggiore gravità. Col tempo, l’infiammazione di tutti gli strati della parete dell’organo può provocare stenosi, fistole o ascessi.
Tre tipi di andamenti per un’unica patologia In base al suo andamento la Malattia di Crohn si differenzia in: INFIAMMATORIA (se predomina l’infiammazione negli strati superficiali della parete intestinale), STENOSANTE (quando l’infiammazione determina stenosi, cioè restringimenti del lume intestinale) o PENETRANTE (quando predominano le fistole, cioè comunicazioni tra intestino ed altre sedi quali cute, vescica, ulteriori tratti di intestino, vagina).
Diagnosi A differenza della Rettocolite Ulcerosa, in cui la colonscopia è la principale metodica per la diagnosi, nella Malattia di Crohn per il suo carattere e la molteplicità delle sedi interessate le metodiche di diagnosi sono varie: in primis la colonscopia con ileoscopia. Ulteriori metodiche sono la EnteroRMN, la EnteroTC, la Ecografia con studio delle anse intestinali e la VIDEOCAPSULA ENDOSCOPICA.
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Tra queste la EnteroRMN è la metodica più comunemente usata anche perché, a differenza della TAC, non utilizza radiazioni ionizzanti, anche se è di solito meno
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facilmente disponibile e più costosa. Inoltre assieme alla EnteroTC consente di esplorare soprattutto i settori extraintestinali, considerate le ripercussioni che la Malattia di Crohn può determinare fuori dalla parete intestinale (ascessi, fistole). In rari casi possono essere interessate le prime vie digestive (esofago, stomaco, duodeno): in tale circostanza la metodica diagnostica di scelta è la gastroscopia. Ulteriori ausili diagnostici ed utilizzati sia inizialmente come prima metodica in caso di sospetto di malattia o durante l’evoluzione della malattia sono gli esami di laboratorio: il riscontro di anemia, carenza di ferro, aumento dei globuli bianchi associati soprattutto ad un aumento degli indici di infiammazione possono orientare il medico, in un paziente con sintomi specifici, ad ipotizzare una Malattia Infiammatoria Cronica Intestinale.
Terapia Il trattamento delle Malattie Infiammatorie Croniche Intestinali è radicalmente mutato nell’ultimo decennio. Riguardo la dieta, contrariamente a quanto si credeva fino a poco tempo fa, i pazienti non devono eseguire particolari eliminazioni di alimenti: solo nelle importanti forme stenosanti è raccomandata una riduzione dell’introito delle fibre alimentari (frutta e verdura). Importante è invece la sospensione del fumo, in quanto influenza negativamente il decorso della malattia, predi-
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spone alle ricadute e riduce l’efficacia dei farmaci.
Trattamenti farmacologici e chirurgici I FARMACI vengono utilizzati specificamente in base allo stadio della malattia (cioè se è attiva ed è necessario “spegnerla”, oppure se è in remissione e l’obiettivo è impedirne la riaccensione). Brevemente le principali classi di farmaci disponibili sono i cortisonici (per le forme attive), gli immunomodulari come l’Azatioprina (che è uno dei principali farmaci impiegati per le forme di malattia in remissione) e i recenti “farmaci biologici” come l’Infliximab e l’Adalimumab (impiegati nelle forme severe che non rispondono ad altri trattamenti). Nuovi farmaci sono in continua fase di sperimentazione, ed in futuro assai prossimo è verosimile che verranno impiegati nella comune pratica clinica. L’INTERVENTO CHIRURGICO viene effettuato in alcune circostanze e quasi esclusivamente nelle complicanze della malattia (stenosi, ascessi, fistole): in questi casi infatti è necessario ricorrere alle varie tecniche attualmente disponibili con lo scopo di asportare meno intestino possibile, in quanto dopo l’intervento la recidiva della malattia è quasi costante e soprattutto perchè multiple resezioni possono determinare la “Sindrome dell’Intestino Corto”. Sono state ideate anche tecniche chirurgiche particolari, in
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Conclusioni In conclusione la Malattia di Crohn pur presentandosi con modalità diverse; è frequentemente complessa, impegnativa e potenzialmente invalidante per il paziente che nella grande maggioranza dei casi è in età giovanile. Per gestirla adeguatamente è necessaria una specifica competenza dei medici specialisti coinvolti, che devono collaborare in un team multidisciplinare, dove il Gastroenterologo, che è lo specifico spe-
cialista della malattia, si avvale di altri specialisti orientati alla Malattia di Crohn (Chirurgo dedicato, Radiologo, Reumatologo, Oculista, Dermatologo) A tal proposito in vari Reparti di Gastroenterologia, come nel nostro a Faenza, sono stati istituiti Ambulatori Dedicati per le Malattie Infiammatorie Croniche Intestinali, finalizzati alla presa in carico dei pazienti sia nella fase di attività che nella fase di remissione della malattia. L’obiettivo è quello di curare adeguatamente i pazienti affetti da malattia consentendo loro una qualità di vita il più possibile normale. FINE
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A Capodanno e durante una festività in genere, si stappano bottiglie di spumante. Purtroppo qualcuno può finire all’ospedale per un maledetto tappo di bottiglia che, come un proiettile, colpisce un occhio troppo vicino. Questi traumi costituiscono una causa importante ed ahimè frequente di un vero e proprio scoppio bulbare: il tappo ha le dimensioni e la forma perfetta per penetrare nell’orbita e trasmettere tutta la sua energia cinetica al malaugurato occhio. A causa di questo, e di altri traumi, i danni sono imponenti.
vitalità, per cui il bulbo un pò alla volta si rimpiccioliva e si disfaceva, con il rischio di scatenare reazioni tossiche ed infiammatorie anche nell’altro occhio.
Le tecniche moderne di cura Oggi le moderne tecniche microchirurgiche permettono di aggredire e spesso risolvere anche quadri molto compromessi. Innanzitutto l’intervento deve essere precoce e ciò permette una maggior probabilità di recupero funzionale oltre che anatomico.
La retina ed il nervo ottico sono strutture nervose che non hanno capacità di recupero spontaneo. Un loro danno è definitivo e comporta uno scadimento proporzionale della funzione visiva. Prima si ristabilisce una fisiologica ricostruzione anatomica, e prima si interrompono gli stimoli lesivi dovuti al trauma. Utilizzando il microscopio operatorio che ci permette di visualizzare le piccole strutture dell’occhio e degli strumenti miniaturizzati, la prima cosa da fare è quella di ripulire la ferita e suturarla con dei fili sottili come un capello. Poi si provvede a valutare il danno interno dell’occhio.
Cosa accade Il bulbo “esplode”, si creano una o più rotture della parete, attraverso le quali fuoriesce il materiale interno, cristallino, iride, vitreo, coroide e retina con una emorragia massiva. Un tempo l’unica risorsa terapeutica era il cercare di riparare alla meglio la ferita, sperando in una guarigione spontanea che lasciasse un minimo di capacità visiva all’occhio. Purtroppo il più delle volte, anche a causa di importanti fenomeni cicatriziali, la funzione visiva dell’occhio era completamente persa e spesso anche la sua 20
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verso delle piccolissime incisioni sulla sclera, riusciamo ad arrivare con precisione nei recessi interni del bulbo per asportare tutte le fibrille vitreali, grazie anche ad alcune sostanze iniettate che mettono in evidenza tutto il gel vitreale presente. Una volta ripulito l’interno delIl nostro occhio è riempito da questa l’occhio e liberata la retina da tutte le "gelatina" proteica e trasparente, che aderenze, si può distendere e far riaccollare quando è lesionata provoca nel tempo quest’ultima alla parete interna del bulbo, (a causa di fenomeni cicatriziali ed utilizzando speciali liquidi pesanti (sostituti infiammatori) grosse alterazioni alle vitreali) che successivamente vengono sostituiti da soluzione fisiologica, a altre strutture, specialmente alla retiCRISTALLINO sua volta ricambiata dall’una, per cui è importantissimo more acqueo prodotto dalripulire per bene l’inCORNEA l’occhio stesso. Infine si terno dell’occhio tolgono alcune memda questa sostanCON LA brane che tappezzano za. VITRECTOMIA SI ASPORTA IL la retina e che Proprio in questo GEL VITREALE potrebbero essere campo si sono avuti ACCUMULATOSI ALL’INTERNO DEL causa di un distacco grandi progressi BULBO OCULARE di retina secondario, tecnologici, per cui anche qui utilizzando oggi con degli strudelle sostanze coloranti menti sottilissimi innovative, e si salda il (vitrectomi) che hanno tutto con un laser appoun meccanismo di taglio a sito. ghigliottina e passano attraCon buona probabilità bisognerà asportare il cristallino o i suoi frammenti ed effettuare una vitrectomia per asportare tutto il gel vitreale (detto anche corpo vitreo). Questo è un passaggio fondamentale.
La fase conclusiva I passaggi successivi possono consistere in una ricostruzione dell’iride con dei fili sottilissimi, nell'impianto di un cristallino artificiale ancorato con delle microclip alla faccia posteriore dell'iride ed a un trapianto di cornea se questa è stata lesionata dal trauma in maniera irreparabile. Il più delle volte è necessario lasciare per qualche tempo (1-3 mesi) una sostanza tamponante all'interno del bulbo, per mantenere una certa compressione sulla retina fino a che non ci sia una sicurezza che questa non possa più staccarsi. Grazie alla tecnologia ed alle tecniche chirurgiche attuali, si hanno recuperi anatomici e visivi insperati in occhi che fino a pochi anni fa erano dati per persi. Importante la tempestività di invio ad un reparto di oculistica con chirurghi con elevate competenze specifiche nella chirurgia vitreoretinica e specialmente post-traumatica (e la scuola di Ravenna che fa riferimento al professor Dal Fiume ne è un ottimo FINE esempio).
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PSICOLOGIA
LA DEPRESSIONE
POST PARTO Quando la nascita di un figlio non è un momento meraviglioso.
Dott.ssa
Isabella Cantagalli
Psicologa - Psicoterapeuta c/o Phisiomedica Faenza E-mail: drcantagalli@gmail.com
La nascita di un figlio è un evento carico di profonde aspettative da parte dei genitori nei confronti del nascituro, allo stesso modo un periodo di profondi cambiamenti e riorganizzazioni sia per la coppia che per i singoli individui. Ma a volte questo momento non è un momento “idilliaco”, come la società attuale tende a far credere. Sempre di più si sviluppano forme di depressione post partum, secondo l’Osservatorio Nazionale Salute Donna (O.n.da) in Italia circa 80 mila donne soffrono di questo disturbo, circa il 16% delle donne. Ma è difficile dare una stima precisa, perché spesso questo problema non viene riconosciuto, oppure viene trascurato e sottovalutato.
Ma cos’è la depressione post parto? E’ un disturbo depressivo caratteristico del puerperio. I sintomi, che devono avere una durata minima di una settimana e compromettere le normali attività, sono: umore depresso e tristezza, 22
disinteresse in varie attività, affaticamento e mancanza di energia, agitazione o rallentamento psicomotorio, pianto persistente e immotivato, autosvalorizzazione, bassa autostima, sensi di colpa, auto rimproveri, pensieri di morte, ansia. Molti studi indicano che un alto livello di tensione emotiva o un disturbo d’ansia in gravidanza siano fattori di rischio per la depressione post parto.
di depressione post partum vi è un paradosso: la donna ritiene di non avere il diritto di sentirsi triste, infelice e/o depressa in un momento che dovrebbe essere caratterizzato, secondo il senso comune, da grande felicità e senso di realizzazione; se riconosce la propria depressione la donna tende a riconoscersi in termini morali “cattiva madre”.
Tra i più importanti fattori di protezione nella depressione post partum risulta essere il sostegno sociale: maggiormente la donna si sente supportata e aiutata dal partner e dalla famiglia e meno svilupperà il disturbo. Molto spesso nelle donne che soffrono
MAGGIORE È IL SOSTEGNO, MINORE È IL RISCHIO DI DEPRESSIONE PER LA DONNA
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PSICOLOGIA
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La negazione dei vissuti depressivi è spesso accompagnata da quella della famiglia e del contesto socio culturale piÚ ampio, per i quali l’arrivo di un bambino non può che essere un evento meraviglioso, risulta cosÏ difficile condividere la sofferenza.
• Le Tips
Da non confondere con il “Maternity blues�
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La depressione post partum non va confusa con il maternity blues, un disturbo dell’umore di lieve entità molto diffuso, circa il 30-85% delle donne ne soffre, caratteristico dei giorni successivi al parto e caratterizzato da sintomi quali: pianto facile, ansia, paura e preoccupazione eccessive, irritabilità , nervosismo, tristezza, labilità dell’umore, difficoltà di concentrazione. Sul piano fisico si manifesta con: stanchezza, disturbi del sonno e dell’appetito, sopravvalutazione delle difficoltà quali l’inizio dell’allattamento e il rientro a casa, soprattutto in madri primipare. Il maternity blues ha una remissione spontanea entro le prime due settimane dal parto, senza conseguenze psicologiche a lungo termine.
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La prevenzione Un aspetto importante nella depressione post partum è la prevenzione, vi sono degli elementi importanti da considerare per fornire supporto emotivo durante il parto e non solo. A Fornire continuità nella cura empatica durante il travaglio e parto; B Mettere in primo piano i genitori; C Essere empatici e consapevoli dello stato emotivo della donna, tenerla informata e coinvolgerla in tutte le decisioni; VIENI A TROVARCI
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Da ricordare che le donne nel parto hanno un’alta soglia percettiva e possono ricordare commenti casuali fatti da chi la circonda; D Se la donna sembra perdere il controllo aiutarla a ritrovare fiducia in sÊ; E Aiutare la donna a gestire il dolore riconoscendolo e condividendolo; F Non essere intrusivi al momento della nascita, lasciare i genitori il tempo di stare l’uno con l’altro e con il proprio bambino. Un sito dove trovare altre informazioni è www.depressionepostpartum.it FINE
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PSICOLOGIA
LE EMOZIONI CI CONDIZIONANO? Dott.
José Aguayo Ph.D.
Psicologo - Psicoterapeuta Email: j.aguayo1345a@ordpsicologier.it
Perché alcune persone, rispetto ad altre, hanno più sviluppata l’abilità che le permette di rapportarsi bene con altri, anche se non sono quelli più intelligenti? Come mai alcuni sono più capaci di altri di fronteggiare o superare ostacoli e vedere le difficoltà in maniera diversa? La spiegazione sta in quell’abilità che ci permette di conoscere e gestire le nostre emozioni e sentimenti, interpretare o fare fronte alle emozioni altrui, farci sentire soddisfatti ed essere efficaci nella vita, l’intelligenza emotiva. Essa si esprime anche nella motivazione sufficiente e persistente per costruire dei progetti, nella resistenza alle frustrazioni, il controllo degli impulsi, nella capacità di rimandare le gratificazioni, regolare l’umore, mostrare empatia e coltivare la speranza.
Il valore delle emozioni Ancora oggi, nella nostra società contemporanea la maggior parte degli sforzi educativi si incentrano sullo sviluppo intellettivo. Tuttavia, se vogliamo contribuire allo sviluppo integrale della persona, se vogliamo educare per la vita, non è possibile trascurare la educazione emozionale. Basterebbe avere presente che lo sviluppo emozionale arricchisce affettivamente l’individuo su diversi piani, per capire quanto sia importante cominciare a dargli maggiore rilievo. 24
SUL PIANO PERSONALE perché permette la conoscenza e lo sviluppo ulteriore delle proprie emozioni, incentiva la capacità per controllarle, promuove atteggiamenti positivi, contribuisce a migliorare il profitto accademico. SUL PIANO SOCIALE favorisce le relazioni interpersonali, contribuisce a consolidare le capacità per fare amicizie, incoraggia capacità empatica. Ma non solo, ha anche un effetto preventivo contro lo stress, la depressione, il consumo di droghe, la violenza, i disturbi alimentari. Le emozioni quindi, regolano il funzionamento mentale complessivo organizzando sia il pensiero che l’agire. Esse ci aiutano a stabilire quelli che non sono gli obiettivi prioritari e ci organizzano per portare a termine certe azioni concrete.
Attraverso la dimensione emozionale vengono stabiliti quelli che sono i problemi da fare risolvere dalla dimensione cognitiva. Quindi le emozioni hanno a che fare direttamente con la motivazione e con l’azione, le cognizioni invece sono legate alla conoscenza e comportano l’analisi della situazione e la presa di decisione per l’azione. Abbiamo bisogno delle emozioni per farci dire ciò che ci affetta e per stabilire degli obiettivi in modo da potere raggiungerli, e abbiamo bisogno della cognizione per dare un senso alla nostra esperienza, come anche della ragione per aiutarci ad immaginare il miglior modo riguardo come possiamo raggiungere l’obiettivo, o possiamo soddisfare il nostro interesse nel nostro contesto culturale concreto.
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Senza emozioni non si può nè vivere, nè decidere Le emozioni ci aiutano ad adattarci. Esse possono stimolare l’interesse e la curiosità, due aspetti fondamentali nello sviluppo umano, da organismo orientato verso la crescita. Esse favoriscono la proattività, cioè quella capacità attraverso la quale l’individuo prende iniziative nello sviluppo di azioni creative e audaci per generarne migliori, facendo prevalere la libertà di elezione sulle circostanze del contesto. Le emozioni esercitano una potente influenza sulla ragione e possono migliorare o peggiorare la capacità di ragionare o la presa di decisioni. Attraverso di esse captiamo visceralmente quelle cose che ci servono da guida. Individuando eventualmente delle possibilità negative, ci danno risposte immediate che ci permettono allontanarci da esse. L’analisi razionale viene di seguito, ma solo dopo che la valutazione affettiva ha ridotto le opzioni, il che incrementa la precisione e l’efficacia nella presa di decisioni. Sono le risposte emozionali che ci aiutano a prepararci attraverso i loro componenti fisiologici, per poter rapportarci con gli eventi che elicitano (stimolano) tali emozioni. In più, le emozioni ricercano le loro proprie ricompense, motivano comportamenti che aumentano la probabilità di occorrenza di altre che producano certi stati emozionali. LA PAURA MOTIVA VERSO LA FUGA… …o lo scostamento simultaneamente al fatto che provvede di risposte motorie e fisiologiche che ci servono per sostenere la fuga. L’ALLEGRIA ci da delle risposte fisiologiche e motorie che ci permettono di aprirci e avvicinarci. Questo tipo di consapevolezza ci aiuta a prestare attenzione alle nostre sensazioni sentite riguardo ciò che è buono per noi. Vale a dire che ci aiutano a fare delle cose ma tenendo conto delle conseguenze.
Le persone che cercano di risolvere intelletivamente un conflitto nella presa di decisioni, senza dare attenzione alle sue preferenze sentite, girano intorno tra i pro e i contro, incapaci di decidere. Le emozioni ci danno informazioni sulle nostre reazioni davanti alle situazioni. Esse ci dicono come stiamo reagendo bis a bis le situazioni. Se una persona che si sente arrabbiata manifesta “sono arrabbiato perché questo è ingiusto”, comincia a chiarire il fatto che si sente ingiustamente trattato e che desidera uno scambio giusto. Quindi esse danno informazioni anche sulla nostra disponibilità a interagire, per cui grazie ad esse le interazioni sono regolabili.
Educare le emozioni vuol dire insegnare a sapere vivere A questo punto si capisce benissimo l’importanza che hanno la conoscenza e l’educazione delle emozioni nell’individuo sin da tenera età, come chiave di svolta nell’impostazione delle azioni e delle decisioni lungo l’arco delle nostre vite. E pure, viviamo in una società in cui il culto dello stare bene a prescindere con le conseguenze nefaste che esso ne comporta-, è ancora la norma preponderante (in questi ultime settimane la cronaca sui media ci riportava cruda-
mente le agghiaccianti testimonianze di esperienze di vita di quelle ragazzine che nonostante vivessero nel comfort e la sicurezza materiali pur di avere qualcosa in più, sono disposte a prostituirsi). Attraverso l’educazione delle emozioni si costruisce un processo di apprendimento che ci permette costruire una visione del mondo, di noi stessi e su come ci muoviamo. Come dicevamo precedentemente, siccome in ogni esperienza vi è una sfumatura emozionale (gradevole/sgradevole) lo sviluppo equilibrato delle emozioni ci aiuta: A RIPRENDERCI in tempi più brevi dalle esperienze negative; A TROVARE quel giusto ottimismo che ci stimola ad agire; A SAPERE ESPRIMERE i nostri sentimenti; AD AVERE una autostima realistica; A SVILUPPARE capacità di cooperare; AD ESSERE in grado di risolvere conflitti. Ecco che così facendo contribuiamo a sviluppare l’intelligenza emozionale, essa ci aiuta a pensare, a ragionare sulle emozioni, ed esso implica prima di tutto essere in grado di identificare le emozioni, sia le proprie che quelle altrui. FINE 25
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RICERCA
LA TERAPIA GENICA SPERIMENTALE
CONTRO I TUMORI
Secondo uno studio del San Raffaele di Milano, la modificazione genetica di alcune cellule del sangue può servire per combattere le neoplasie. di Fabio Lironzi Una terapia genica impiegata finora soltanto per trattare alcune malattie genetiche rare, può essere efficace anche nella cura dei tumori. Lo evidenzia uno studio dell’Ospedale San Raffaele di Milano, coordinato dal professore Luigi Naldini e dalla ricercatrice Roberta Mazzieri. Protagonisti di questa ricerca sono i macrofagi, cellule del sangue, che possono essere convertiti in veicoli di geni anti-tumorali: «Nel caso delle malattie genetiche, in queste cellule viene solitamente introdotto un gene in grado di ripristinare una funzione difettosa - precisa Naldini - Nel nuovo lavoro, invece, vi abbiamo inserito un gene che svolge un’attività anti-tumorale nella loro progenia (cioè nella loro discendenza, ndr)».
26
«L’interferone agisce sfavorendo la crescita del tumore con una condizione ostile - spiega Roberta Mazzieri Questo può avvenire grazie a molteplici meccanismi: dall’induzione della morte delle cellule neoplastiche e dei vasi sanguigni del tumore, essenziali per fornire nutrimento, fino alla stimo-
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Per la precisione, il gene terapeutico scelto per bloccare il tumore è L’INTERFERONE ALPHA, una molecola prodotta normalmente dal nostro organismo in risposta ad alcune infezioni, ma finora poco utilizzato per la sua elevata tossicità. Per la terapia antitumorale, questo gene già utilizzato in sperimentazioni cliniche è stato modificato in modo che si attivi solamente in una specifica frazione di cellule differenziate del sangue, appunto i macrofagi, figli delle staminali, una popolazione normalmente poco presente nel sangue, ma che cresce fortemente nelle neoplasie. L’interferone si accumula solo nel tumore, dove può esercitare la sua funzione, evitando gli effetti tossici della somministrazione sistemica sull’organismo.
OSPEDALE SAN RAFFAELE A MILANO
lazione della risposta immunitaria contro il tumore». Lo studio del San Raffaele ha evidenziato che la nuova strategia consente di bloccare la crescita delle neoplasie e delle sue metastasi. Per verificare la sicurezza ed efficacia della terapia, è stato creato un topo “umanizzato”, mediante il trapianto di cellule staminali umane modificate. È stato così possibile dimostrare che la terapia inibisce anche la crescita di un tumore umano. «È ora necessario - concludono i ricercatori effettuare ulteriori studi preclinici, volti a valutare quali tipi di neoplasie possano meglio beneficiare di questa terapia genica, preparando la sperimentazione clinica che inizierà tra qualche anno». FINE
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ALIMENTAZIONE
LO ZUCCHERO UN PERICOLO PER LA SALUTE
Un consumo eccessivo può causare danni al cervello, alla pelle, al fegato, al sistema cardiovascolare e favorire l’insorgenza del diabete. La sua assunzione spinge all’abbuffata.
Dott.ssa
Monica Negosanti
Dietista - AUSL Bologna UOC Igiene Alimenti e Nutrizione
LO ZUCCHERO: colore bianco cristallino, nome chimico saccarosio. È uno degli ingredienti principali degli alimenti che consumiamo quotidianamente.
Fa bene o fa male? Centinaia di ricerche cliniche mettono in mostra gli effetti sfavorevoli sulla salute di un consumo costante e non controllato dello zucchero: causerebbe danni al cervello, alla pelle, al fegato, al sistema cardiovascolare, favorisce l’insorgenza del diabete, promuove molte tipologie di tumori, ecc. Insomma, gli effetti del comune zucchero da tavola sembrano essere davvero disastrosi.
Reazione a catena In uno studio, tuttora in corso, condotto dall’Oregon Research Institute, è stato eseguito un curioso esperimento. Sono stati creati due frappé, a contenuto identico di calorie, ma a diverso apporto di zuccheri e grassi. Ebbene, è emerso che il frappé a maggior contenuto di zuccheri andrebbe
a stimolare i centri del gusto del nostro sistema nervoso, spingendoci a mangiare maggiormente. L’apporto di zucchero determina, infatti, un aumento della glicemia e un miglioramento dell’umore, effetto collaterale dovuto ad alcuni neurotrasmettitori sensibili alla presenza di questo alimento. Immediatamente dopo, però, l’organismo mette in moto un meccanismo di regolazione, basato sull’azione dell’insulina, che riporta la glicemia a livelli normali. L’effetto benefico sull’umore si smorza e al suo posto interviene lo stimolo della fame o il desiderio di consumare altri dolci, col rischio di incorrere poi in vere e proprie abbuffate.
Chi ascoltare? Le società scientifiche più importanti consigliano di non eccedere con il consumo di zucchero e di alimenti o bevande ad alto contenuto di zuccheri. L’INRAN (Istituto Nazionale di Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione), per esempio, suggerisce di non superare una quantità di zuccheri pari al 10-15% dell’apporto calorico giornaliero. Le linee guida dell'INRAN sono molto chiare e si riassumono nei seguenti punti: - NON ECCEDERE nel consumo di zuccheri ed alimenti dolci; - PREFERIRE dolci con meno zuccheri e grassi; - LIMITARE il consumo di prodotti ricchi di saccarosio, colpevoli anche di danneggiare la salute dei denti;
- INFORMARSI sul contenuto di zucchero degli alimenti, verificando anche il tipo di edulcorante sostitutivo utilizzato nei prodotti “senza zucchero”; - UTILIZZARE i prodotti con edulcoranti sostitutivi esclusivamente in presenza di diabete; - CONSIDERARE che lo zucchero è presente in molti altri prodotti di uso quotidiano: alcuni yogurt, in particolare quelli alla frutta; bibite, succhi di frutta e aperitivi; miscele per la prima colazione e tisane liofilizzate; fette biscottate, pani da toast e altri prodotti da forno; cereali e fiocchi per la prima colazione; salse pronte e dadi da brodo; prodotti in scatola; sciroppi e alcuni medicinali da sciogliere in bocca. Con pochi accorgimenti è possibile dunque controllare, nella vita di tutti i giorni, l’eccessivo consumo di zucchero, senza rinunciare al piacere del cibo e a una dieta ricca e variata. Se risulta insopportabile rinunciare al sapore dolce, in commercio esistono numerosi dolcificanti naturali (e quindi non chimicamente trattati come lo zucchero bianco o i più dannosi dolcificanti sintetici, come l’aspartame), con elevato potere dolcificante e con minori “effetti collaterali”: zucchero di canna integrale, sciroppo d’acero, malto d’orzo, sciroppo di riso, sciroppo di mais, melassa, sciroppo di mele, milele, succo d’agave, succo d’uva, amasake, stevia. Ovviamente, essendo anch’essi zuccheri, la loro assunzione deve essere FINE comunque limitata. 27
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SALUTE
VITAMINAC Con la cattiva stagione cresce il bisogno di vitamina C, da sempre considerata un baluardo contro le malattie da raffreddamento. La C è una delle vitamine idrosolubili e appartiene alla categoria delle vitamine essenziali, ossia di quelle che devono essere introdotte con gli alimenti o con gli integratori perché il corpo non è in grado di sintetizzarle. È necessaria alla formazione del collagene (uno dei componenti chiave della matrice extracellulare delle pelle) e aiuta a mantenere integri il tessuto connettivo, il tessuto osseo, i capillari e la dentina dei denti. Viene perciò considerata un elemento fondamentale anche per la cicatrizzazione delle ferite, la guarigione delle ustioni e delle ulcere.
Le funzioni Tra le azioni più note c’è quella di proteggere le membrane cellulari dall’azione nociva dei radicali liberi (funzione antiossidante), che si formano come prodotti di scarto durante i processi metabolici e che danneggiano le cellule. Per questo sembra che contribuisca a prevenire il cancro, per esempio attenuando gli effetti provocati dal fumo di sigaretta e dall’alcol e bloccando la formazione di nitrosamine (sostanze potenzialmente cancerogene che si sviluppano nello stomaco, soprattutto dopo l'ingestione di alcuni alimenti come certi salumi). Coinvolta in molti processi enzimatici, la vitamina C facilita l’assorbimento del ferro, stimola l’attività del sistema immunitario e combatte le infezioni promuovendo la biosintesi dei leucotrieni (importanti mediatori dell’infiammazione) e l’azione difensiva svolta dai leucociti. 28
Nei cibi giusti ce n’è quanto basta La vitamina C si trova naturalmente negli alimenti di origine vegetale, soprattutto agrumi, kiwi, peperoni, fragole, meloni, pomodori, patate dolci, piselli e verdure a foglia verde (spinaci, lattuga, indivia, broccoli e cavoli). I quantitativi di frutta e verdura da consumare per garantirsi un adeguato apporto della vitamina non devono essere particolarmente abbondanti; l’importante è distribuirli nell’arco della giornata. A causa della tendenza della vitamina a ossidarsi con la luce e il calore, è essenziale fare attenzione allo stato di conservazione dei cibi: se non sono freschi ne contengono meno. Tre giorni di conservazione provocano una riduzione del contenuto di vitamina C: si va dal 36 all'80 per cento per gli ortaggi freschi e dal 35 al 45 per cento per i surgelati. Occorre evitare la cottura a temperature alte o per tempi lunghi. Gli integratori dietetici o gli alimenti arricchiti con vitamina C possono rappresentare uno strumento per prevenire l’eventuale insorgenza di carenze nutrizionali laddove esista questo rischio.
SE IL PRODOTTO È FRESCO MAGGIORE È IL CONTENUTO DI VITAMINA C
Il fabbisogno giornaliero di vitamina C è di circa 45 milligrammi al giorno (tanto per avere un’idea delle quantità: un arancio ne contiene 65 mg, un limone 50 mg, due mele renette 60 mg). Per esempio in chi, avendo fabbisogni più elevati in particolari momenti (gravidanza, allattamento, convalescenza, stress) non sempre riesce a soddisfarli con l’alimentazione abituale.
Cosa succede se manca? Errate abitudini alimentari, avversione per alcuni alimenti, diete squilibrate o malattie metaboliche possono causare una carenza di vitamina C. In caso di scarso apporto per periodi prolungati, si può sviluppare lo scorbuto, una malattia molto diffusa un tempo tra i marinai che compivano lunghi viaggi e non potevano approvvigionarsi di frutta e verdura fresca. I sintomi dello scorbuto, al giorno d’oggi piuttosto raro se non nei paesi meno sviluppati, sono lesioni della pelle, fragilità capillare, ecchimosi ed emorragie diffuse. FINE
NELLE DONNE IN GRAVIDANZA È ALTO IL FABBISOGNO DI VITAMINA C
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I NOSTRI AMICI ANIMALI
A CIASCUNO IL SUO Accogliere un nuovo amico a quattro zampe
Barbara Maioli Educatore Cinofilo APNEC nr. 043 Reg. Emilia Romagna Disciplinato ai sensi della Legge nr. 4/2013 - E-mail: barbara.maioli@alice.it
Decidere di accogliere nella propria casa un cane, adulto o cucciolo che sia, è un gesto che può riservare grandissime emozioni a patto che venga fatto in piena consapevolezza. Tutti i cani, o meglio tutti quelli che hanno avuto un corretto sviluppo nei primi mesi di vita, sono perfettamente equipaggiati per vivere con i loro con-specifici ed esprimere sé stessi come cani: hanno appreso dalla loro madre il linguaggio di comunicazione canina fatto di vocalizzi, posture, mimica e segnali odorosi. Tuttavia non sono assolutamente “attrezzati” per vivere correttamente nel mondo degli umani e per giunta in un contesto urbano. Non solo, mentre i cani percepiscono ogni nostra più piccola sfumatura emotiva ancor prima delle parole noi cosa capiamo di ciò che loro ci comunicano? Sempre troppo poco. Noi siamo abituati ad utilizzare moltissimo la comunicazione verbale e abbiamo dimenticato la nostra corporeità che viaggia in modo molto spesso indipendente e quasi sempre in maniera del tutto incoerente da quella verbale; questo crea grossa confusione agli animali che al contrario sono assolutamente coerenti nella loro comunicazione: postura, mimica, e vocalizzi esprimono tutte lo stesso identico messaggio. Così dopo anni di vita insieme, noi pensiamo di aver capito perfettamente il loro linguaggio, ma in realtà è il nostro cane ad aver capito perfettamente il nostro e ad aver appreso come comunicare con noi.
Da tenere in considerazione Occorre essere sempre consapevoli che ogni singolo cane ha delle precise peculiarità intrinseche e delle proprie attitudini che gli derivano dalla razza a cui appartiene che deve poter esprimere liberamente. Ebbene, quando una persona decide di accogliere un cane nella propria famiglia nella maggior parte dei casi, si preoccupa esclusivamente di soddisfare i propri bisogni personali che, il più delle volte, sono in netta contrapposizione con i bisogni del cane, di cui non conosce nemmeno l'esistenza. Tuttavia, il soddisfacimento di questi bisogni fondamentali rappresenta un elemento imprescindibile e una premessa indispensabile per creare un’ottima relazione con il nostro cane, consentendo di evitare alla base l'insorgenza delle problematiche più comuni.
Spesso molti problemi comportamentali insorgono nel momento in cui non si risponde o non si risponde adeguatamente a questi bisogni, pensando esclusivamente ai propri.
Da cane a cane Questi bisogni fondamentali non sono uguali in intensità per tutti i cani: ogni razza li possiede con una declinazione diversa, frutto della selezione genetica e della funzione per cui la razza è stata selezionata (guardia, difesa personale, combattimenti, caccia, compagnia, ecc..). Facciamo alcuni semplici esempi: Il JACK RUSSEL, selezionati per cacciare principalmente volpi, lepri e conigli ecc.. oggi sono acquistati essenzialmente come cani da compagnia, date le ridotte dimensioni e l'istintiva simpatia che emanano. » SEGUE 29
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I NOSTRI AMICI ANIMALI Tuttavia sono cani molto energici, coraggiosi, indipendenti e con un forte temperamento: il loro compito infatti era quello di stanare da dentro le tane animali anche piuttosto pericolosi come volpi o tassi. Per questo dovevano essere molto determinati e possedere tanta grinta. A questi cani occorre offrire quindi molto movimento per poter dare libero sfogo alle grandissime energie di cui dispongono. Se tenuti a lungo all’interno di appartamenti o abbandonati a se stessi in giardino tendono a diventare soggetti frustrati e infelici e possono sfogare la loro frustrazione distruggendo mobili, divani, scavando buche in giardino, abbaiando in modo isterico, ecc… L’ideale sarebbe consentire loro di esercitare l’attività per cui sono stati selezionati, ma nel caso in cui questo non sia possibile, occorre compensare questa loro iperattività con molto moto, attività sostitutive come ad esempio l’agility ed esercizi per l’uso del fiuto semplici o complessi.
Stesso discorso può essere fatto il BEAGLE, un'altra razza selezionata per scopi venatori (la caccia in muta alla lepre e alla volpe) e oggi utilizzata principalmente per la compagnia. Questa loro funzione originaria, soprattutto se la linea di sangue è finalizzata al lavoro, può rivelarsi un problema per chi ha acquistato il cane come animale da compagnia. Il più delle volte lasciato libero dal guinzaglio cerca piste olfattive, tende a non rispondere al richiamo e ad allontanarsi dal padrone oppure se tenuto al guinzaglio diventa un "tiratore folle". Anche in questo caso, la mancanza del soddisfacimento della propria pulsione istintiva può rivelarsi molto proplematica: se si vuole esaltare al massimo la loro allegria e sportività occorre canalizzare la loro energia dandogli la possibilità di fare molto moto e di vivere moltissimo all’aria aperta, diversamente è possibile che diventino “sordi ai comandi”.
Le incomprensioni e le difficoltà di gestione non sono legate esclusivamente alla scelta di cani selezionati per svolgere un preciso lavoro, anche i cani da compagnia, nonostante non abbiano esigenze specialistiche, restano pur sempre dei cani e come tali non devono mai essere snaturati e costretti a condurre condizioni di vita improprie. Penso ad esempio ai CHIHUAHUA: è molto frequente vederli all’interno di borsette e protetti da cappottini i più disparati che finiscono per far perdere a questi piccoli animali ogni dignità e rispetto. In realtà questo piccolissimo cagnolino è un soggetto molto svelto, sveglio e vivace. E’ un cane indipendente, con un forte temperamento e molto coraggioso, dovrebbe socializzare con i suoi simili, correre e camminare sia libero che al guinzaglio, imparare ad eseguire esercizi di ogni tipo da quelli di ubbidienza a quelli di attività mentale il tutto per non rovinare il suo carattere e “offendere” la sua intelligenza.
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Vietato generalizzare
Un aiuto dall’esterno
Ovviamente queste descrizioni generali sulle razze non hanno una valenza universale, esistono sempre soggetti che non rispecchiano completamente le caratteristiche di razza: ogni singolo esemplare è sempre e comunque un caso unico con un proprio carattere frutto anche delle esperienze di vita.
E’ proprio in questa fase che si inserisce in modo cruciale il ruolo dell’educatore cinofilo, che partendo dalla conoscenza dei desideri personali e tenendo conto dello stile di vita e del tempo libero può aiutare ad orientare la scelta sul soggetto e sulla razza più adeguata, fornire le prime basi per instaurare una buona comunicazione tra cani e padroni al fine di creare una buona relazione e consentire al cane di avere quel minimo di equipaggiamento per sopravvivere nel mondo umano.
Conclusione Per concludere mi piace ricordare ciò
Tuttavia essere pienamente consapevoli di quanto detto consente a ciascuno di decidere se accogliere un cane nella propria vita oppure no, scegliere le razza più compatibile con il proprio stile di vita e le proprie abitudini personali. Significa cioè essere pienamente consapevoli dell’impegno da affrontare e affrontarlo senza nessun peso e ottenere in cambio un cane felice, sereno ed equilibrato. In pratica significa scegliere il nostro migliore amico senza seguire mode, gusti estetici o sull’onda dell’emotività. Associazione Sportiva Dilettantistica
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che il mio maestro, grande esperto di cinofilia e di problemi comportamentali, dott. Maurizio Dionigi, ripete sempre: "nel momento in cui decidiamo di accogliere un cane nella nostra vita, noi suggelliamo con lui un -patto fondamentale- che ha origini molto lontane e risale alla notte dei tempi, ai primordi della domesticazione. Con questo patto il cane mette a nostra disposizione tutte le sue doti naturali, in cambio noi ci impegniamo ad offrire cibo, protezione e soddisfacimento dei suoi bisogni fondamentali. Lui il patto lo rispetta per definizione, entra in relazione con noi in tutta la sua totalità, è nella sua natura e non può essere diversamente; ma noi, quanto rispettiamo questo patto, cosa facciamo per lui, cosa restituiamo in cambio? Pensiamo a quanto siamo disposti a fare per il nostro amico a quattro zampe prima di decidere di farlo entrare nella nostra vita. Molti padroni vogliono solo dei cani perfetti ma nemmeno loro lo sono!!! FINE
UNA CASA
UNA FAMIGLIA
Il CAVALLO e l’ASINO sono un AIUTO alla PREVENZIONE del DISAGIO TIPICO PRESENTE NELL’ETÀ ADOLESCENZIALE 31
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HANNO COLLABORATO AL NUMERO DI FEBBRAIO DI Dott. José Aguayo Ph.D. Psicologo - Psicoterapeuta Email: j.aguayo1345a@ordpsicologier.it Dott.ssa Isabella Cantagalli Psicologa - Psicoterapeuta c/o Phisiomedica Faenza E-mail: drcantagalli@gmail.com Dott. Ugo Cimberle Studio Oculistico Dal Fiume-Cimberle - Ravenna E-mail: cimberle@cidiemme.it Dott. Andrea Drei Pronto Soccorso Medicina d’Urgenza Ospedale di Faenza E-mail: andrea.drei@alice.it Barbara Maioli Educatore Cinofilo APNEC nr. 043 - Reg. Emilia Romagna Disciplinato ai sensi della Legge nr. 4/2013 E-mail: barbara.maioli@alice.it
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I NOSTRI COLLABORATORI Dott.sa Azzarello Maria Germana Iscritta AGI (Associazione Grafologi Italiani) Iscritta ANGRIS (Ass.ne Naz. Grafologi Rieducator) E-mail: azzarellogermana@gmail.com
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Barbara Sartoni - Insegnante di Scuola Primaria Fondazione Marri Sant’Umiltà - Faenza Francesco Spadoni - Tecnico ortopedico Email: francesco@ortopediaspadoni.it Dott.ssa Susanna Stagni Laureata in odontoiatria e protesi dentaria. Dott. Ignazio Stanganelli Responsabile Centro di Oncologia Dermatologica Skin Cancer Unit IRCCS IRST Istituto Tumori Romagna Progetto Melanoma Istituto Oncologico Romagnolo Dott. Stefano Stea Responsabile U.O di Chirurgia Maxillo-Facciale Maria Cecilia Hospital Cotignola - www.stefanostea.it E-mail: maxillofacciale-mch@gvmnet.it Prof. Carlo Tagariello Villalba - Bologna - E-mail: catag@iol.it
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