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MENSILE DI INFORMAZIONE SU SALUTE E BENESSERE » N.1 - GENNAIO 2012
RAVENNA
IN QUESTO NUMERO
Osteopatia Come ci può aiutare
Il sangue Donare fa bene e ci fa bene
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SOMMARIO » Nr. 1 - Gennaio 2012
RIABILIAZIONE
2 OSTEOPATIA - Origini ed applicazioni odierne. Dott. Michele Ciani MEDICINA
5 IL SANGUE - Come e perchè donare. di Tiziano Zaccaria RICERCA SCIENTIFICA
8 CELLULE STAMINALI - Scoperta e applicazione pratica. Dott. Giuseppe Visani AMBIENTE
10 ARIA DI CASA MIA - La qualità dell’aria in provincia. Dott. Stefano Costa SANITÀ
13 I NUOVI TICKET di Tiziano Zaccaria ALIMENTAZIONE
14 LA COLAZIONE - I vantaggi di iniziare bene la giornata. Dott.ssa Monica Negosanti BENESSERE
16 PILATES - Uno stile di vita salutare. Flaminia Buttazzi TEMPO LIBERO
18 I FUNGHI - Le specie e le regole per raccoglierli. di Tiziano Zaccaria MEDICO DI FAMIGLIA
21 INFLUENZA - Con l’arrivo dell’inverno non va sottovalutata. Dott. Roberto Salgemini SALUTE
24 LA DEPRESSIONE - I segnali da non sottovalutare. Dott.ssa Cinzia Cesari I NOSTRI AMICI ANIMALI
28 I CUCCIOLI - Le regole da seguire per l’adozione. Dott. Maurizio Santarini - Claudia Serena Monghini CARDIOLOGIA
30 SOFFIO AL CUORE - Se lo conosci non ti spaventa. Dott. Flaviano Jacopi BELLEZZA
32 LIPOSUZIONE - Eliminare il grasso in eccesso. Dott. Lauro Di Meo SALUTE 10+ Supplemento a CASA Notizie n.1.2012 - Aut. Trib. Ravenna n. 875 del 27/06/1988. Proprietà, redazione e realizzazione Multiservice sas: via A. Gnani, 4 - 48100 Ravenna - Tel. 0544.501950 - multiredazione@linknet.it
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RIABILITAZIONE
OSTEOPATIA Osteopatia dal greco OSTEON (osso) più PATHOS (sofferenza) è una disciplina nata negli Stati Uniti verso la fine del XIX secolo per opera del dottor Andrew Taylor Still (1828-1917).
Dott. Michele Ciani Osteopata - Fisioterapista Dottore in psicologia presso la clinica Domus Nova di Ravenna e il poliambulatorio Osteolab E-mail: ciani.michele08@gmail.com
Il dr. Still dette vita a questa nuova disciplina creando una fusione tra studio approfondito dell'anatomia e la concezione filosofica olistica dell'uomo. Still affermava che "l'osteopatia è anatomia, ancora anatomia, sempre anatomia". Perciò, secondo la medicina osteopatica, ogni osteopata deve conoscere perfettamente l'anatomia per poter proiettare all'interno del corpo la propria azione. La conoscenza approfondita che l'osteopatia possiede del corpo umano e della sua biomeccanica, ed i suoi avanzati metodi diagnostici e terapeutici esclusivamente manuali, ne fanno una delle più valide discipline dell'arte di guarire. L'osteopatia è una disciplina che tratta disfunzioni fisiologiche attraverso la manipolazione. Lo scopo dell'osteopatia è quello di riportare una situazione non fisiologica entro dei limiti di normalità fisiologici. 2
L’osteopatia, inoltre non prevede in alcun caso la prescrizione di rimedi farmacologici, che restano di competenza strettamente medica. L’unico strumento di lavoro utilizzato in osteopatia sono le mani. Solo attraverso le manipolazioni, secondo gli osteopati, è possibile guarire le disfunzioni e conseguentemente il soggetto che ne è affetto.
Disfunzioni Si, in osteopatia non si parla di lesione bensì di disfunzioni. Quindi le disfunzioni non sono per esempio uno strappo muscolare, ma squilibri a volte impercettibili che soltanto l’attenta analisi di un osteopata è in grado di individuare. L’osteopatia comprende una serie di tecniche manipolative molto precise, usate per trattare i processi biomeccanici del corpo, in quelle disfunzione che impediscono alle varie parti del nostro corpo di compiere le loro funzioni naturali. Secondo la filosofia osteopatica, la mobilità di una struttura governa la qualità della sua funzione. Quindi, lo scopo della pratica professionale osteopatica è quello di ristabilire la mobilità dei differenti sistemi (p.es. sistema linfatico, nervoso circolatorio etc.) del corpo, tale da migliorare la loro interazione e regolazione, e di ripristinare l’integrità strutturale e la continuità dei fluidi.
Andrew Taylor Still nasce il 6 agosto del 1828, nello stato della Virginia (USA). Il padre era un pastore metodista ed esercitava anche come medico. Still rivela fin da giovane un grande spirito di ricerca e creatività; frequenta una scuola di medicina a Kansas City, ma impara la professione da suo padre. Durante la guerra di secessione svolge l’attività di medico militare; al ritorno dalla guerra perde tre dei suoi figli a causa di un’epidemia di meningite e un’altra figlia per una polmonite. Tutte queste esperienze lo mettono di fronte all’impotenza della medicina dell’epoca e lo inducono a cercare un modo diverso di curare le persone. I suoi studi ripartono quindi dall’anatomia; pratica numerose dissezioni che lo portano ad avere una profonda conoscenza del corpo umano e delle relazioni fra le sue varie componenti. Giunge alla conclusione che molte malattie possono essere curate senza l’utilizzo di farmaci, intuisce che la chiave sta nel trovare e correggere le malposizioni anatomiche che intereferiscono con la circolazione sanguigna e l’attività nervosa. Come tutti gli innovatori incontra molte resistenze fra i colleghi e nella società, ma la sua convinzione in ciò che sta facendo gli permette di proseguire per la sua strada. Decide di chiamare “Osteopatia” questo suo metodo terapeutico. Nel 1892 fonda la prima scuola di osteopatia a Kirksville (Missouri). Nel 1895 venivano visitate più di 400 persone al giorno presso gli studi osteopatici di Kirksville. Il Vecchio Dottore, come lo chiamano affettuosamente i suoi allievi, muore il 12 dicembre 1917, all’età di 89 anni.
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RIABILITAZIONE
Quando si va dall’osteopata? Premesso che l’osteopatia può essere divisa in tre categorie 1) cranio sacrale; 2) strutturale; 2) viscerale e prendendo in analisi la categoria cranio sacrale l’osteopata mette in atto particolari tecniche di manipolazione quando insorgono nel nostro corpo problematiche del tipo: emicrania, cefalea, nevralgia del trigemino, tic dolorosi, problemi all’articolazione temporo-mandibolare, problemi di coordinazione etc. Parliamo invece di osteopatia strutturale quando insorgono problematiche alla struttura osteo-articolare e muscolare quali: cervicalgie, ernie discali, sciatalgie, lombalgie, dolori al ginocchio, dolori alla spalla, dorsalgie, discopatie, problemi posturali, scoliosi, artrosi, etc. Si parla invece di osteopatia viscerale all’insorgere di problematiche che coinvolgono disfunzioni viscerali organiche quali ptosi viscerali (abbassamento delle viscere), disturbi funzionali dei vasi, nervi o viscere adiacenti, aderenze post-operatorie che causano una ristretta mobilità delle viscere del peritoneo che possono far sorgere tensioni e dolori muscolo-scheletrici, spasmi viscerali di origine somatica, squilibri del sistema nervoso autonomo (SNA), ernia iatale, etc.
Attualmente in Italia esistono 2 percorsi formativi per diventare osteopati: uno di 6 anni di formazione a tempo part-time solo se in possesso di una laurea di primo livello in discipline mediche ma anche in fisioterapia oppure in odontoiatria, l’altro invece di 5 anni a tempo pieno se in possesso di una licenza media superiore.
Quando rivolgersi ad un fisioterapista e quando invece ad un osteopata? Le due figure non si escludono a vicenda, anzi, sono complementari. Lo si capisce dal fatto che un fisioterapista può diventare osteotapa dopo aver studiato altri 6 anni. In linea di massima il lavoro dell’osteopata è quello di valutare l‘origine del problema ed
agire sulle sue cause. Un esempio può essere quello di una restrizione (per osteopata si parla di “squilibrio”) della mobilità/motilità dello stomaco che oltre a provocare un rallentamento digestivo può causare un dolore interscapolare alla spalla sx e dolori cervicali, viste le relazioni anatomiche che lo stomaco ed i distretti sopra descritti possiedono. E’ proprio qui
che l’osteopata deve riuscire ad individuare la causa del blocco o squilibrio che provoca la patologia del paziente. Per l’osteopata “il movimento è vita” e una piccola riduzione della mobilità dello stomaco, del fegato, o di un piccolo osso del piede viene considerata e trattata alla stessa stregua di una restrizione del movimento dell’anca o del braccio. Le manovre e le manipolazioni utilizzate a livello viscerale e cranio sacrale fa dell’osteopata una figura diversa e più completa. L’osteopata integra quindi all’aspetto strutturale anche quello viscerale e cranio sacrale, le tre grandi famiglie dell’osteopatia. L’osteopatia è una arte nuova in Italia e può essere fraintesa e generare molta confusione tra le persone.
L’osteopatia innanzitutto non è una panacea ma è una medicina olistica (globale) che vede l’organismo come un tutt’uno, e delle volte può sortire effetti curativi sorprendenti. E’ una branca della medicina globale che non deve essere sopravalutata né tanto meno sottovalutata. FINE
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MEDICINA
IL SANGUE Donarlo fa bene agli altri e a sé stessi La donazione è un grande gesto di generosità e ha ripercussioni positive anche sulla propria salute. L’AVIS è la più diffusa associazione di raccolta sangue in Italia. di Tiziano Zaccaria L’Avis (Associazione Volontari Italiani del Sangue) è un’associazione nazionale nata negli anni Venti del secolo scorso dall’idea del dottor Vittorio Formentano, che con un primo gruppo di volontari diede inizio a quella che è poi diventata la più numerosa organizzazione di donatori del sangue nel mondo. Attualmente i donatori sono 875mila. All’Avis può aderire sia chi dona volontariamente il proprio sangue, sia chi, pur essendo inidoneo a donare, collabora però gratuitamente alle attività di promozione, proselitismo e organizzazione. L’associazione è presente su tutto il territorio nazionale con una struttura ben articolata, suddivisa in 2.796 sedi Comunali, 91 sedi Provinciali, 21 sedi Regionali e la sede Nazionale. L’Avis esclude qualsiasi fine di lucro e partecipa, in regime di convenzione con il Servizio Sanitario Nazionale, alla raccolta del sangue con proprie strutture e personale.
Il sangue Di colore rosso scarlatto nelle arterie e rosso scuro nelle vene, il sangue è il tessuto liquido specializzato del sistema circolatorio. La quantità di sangue circolante in una persona dipende da
peso, età e sesso, tuttavia è circa l’8 per cento del peso corporeo complessivo. Ne consegue che in un adulto il volume di sangue varia tra 5 e 6 litri. Costituito da una parte liquida (il plasma) e una corpuscolata (globuli rossi, globuli bianchi e piastrine), il sangue ha la funzione di trasportare nelle varie parti dell’organismo l’ossigeno e l’anidride carbonica, gli elementi nutritivi assorbiti a livello intestinale o prodotti nell’organismo, gli ormoni, gli anticorpi, gli enzimi ecc. Contribuisce, inoltre, alla regolazione della temperatura, dell’equilibrio acido-base e di quello idrico dell’organismo. Il plasma è la parte liquida del sangue, in cui sono sospesi gli elementi corpuscolati.
I suoi componenti solidi sono le proteine (albumina, globuline, fibrinogeno), le sostanze inorganiche (sodio, cloro, calcio, potassio, iodio, bicarbonato ecc.) e le sostanze organiche (materiali nutritivi e residui del metabolismo cellulare). Oltre alle plasma proteine, troviamo nel sangue ormoni, anticorpi ed enzimi. I globuli rossi sono elementi morfologici privi di nucleo, a forma di dischi biconcavi, che conferiscono al sangue il colore rosso perché contengono la emoglobina, un composto contenente ferro capace di trasportare grandi quantità di ossigeno alle cellule e ai tessuti. In condizioni normali hanno forma rotondeggiante, una durata di vita di circa 120 giorni ed il loro numero varia da 4,2 a 6,5 milioni per millimetro cubo di sangue. In condizioni patologiche i globuli rossi possono presentare variazioni di volume, di numero (se scendono sotto i 4 milioni l’ossigeno trasportato risulta ridotto e si parla di anemia, se invece superano i 6,5 milioni si parla di policitemia) e del contenuto di emoglobina. I globuli bianchi sono cellule rotondeggianti nucleate molto più grandi dei globuli rossi. In condizioni normali il loro numero varia tra 4.000 e 10.000 per millimetro cubo. » SEGUE 5
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MEDICINA » Essi
sono soltanto una parte del complesso sistema di difesa del nostro organismo, che coinvolge diverse strutture attivate da complicati meccanismi. Una parte dei globuli bianchi contiene strutture granulari, mentre l'altra parte ne è priva: si distinguono così i leucociti granulociti e non granulari. I globuli bianchi sono importanti per la difesa dell'organismo contro le infezioni, perché assaltano e ingeriscono batteri e corpi estranei. Se ne abbiamo carenza, ossia meno di 4000 per millimetro cubo di sangue, si parla di leucopenia; se in eccesso di leucocitosi. Infine le piastrine sono piccoli elementi morfologici anucleati, a forma variabile, fondamentali per il normale processo di coagulazione del sangue. Si formano nel midollo osseo e il loro numero varia da 150.000 a 450.000 per millimetro cubo. Si parla di piastrinopenia quando il numero delle piastrine risulta particolarmente ridotto e di piastrinosi quando invece è superiore alla norma.
I gruppi sanguigni I diversi tipi di sangue sono distinti in base alla presenza o meno, sul globulo rosso, di determinate sostanze dette antigeni, e di determinate agglutinine plasmatiche. Le agglutinine sono anticorpi capaci di distruggere i globuli rossi contenenti antigeni di gruppo diverso tramite una reazione di aggregazione detta agglutinazione. I gruppi sanguigni principali sono quelli del noto sistema AB0 (A, B, Zero). Precisamente ciascun globulo rosso può contenere l'antigene A (gruppo A), oppure quello B (gruppo B), oppure entrambi (gruppo AB), oppure nessuno (gruppo Zero). Inoltre il plasma sanguigno degli individui di gruppo A contiene l'agglutinina beta (antiB), capace di distruggere i globuli rossi del sangue dei gruppi B e AB; il plasma di quelli di gruppo B contiene l'agglutinina alfa (anti-A), capace di distruggere i globuli rossi dei gruppi A e AB; nel sangue degli individui del gruppo 0 sono presenti entrambe le agglutinine; in quello del gruppo AB nessuna. Ciò ha enorme importanza nella pratica della 6
DONARE E RICEVERE SANGUE Il gruppo 0+
può ricevere da 0-
può donare a A+ 0+ B+ AB+
0+
0-
0-
TUTTI
A+
A+ A- 0+ 0-
A+ AB+
B+
B+ B- 0+ 0-
B+ AB+
AB+
TUTTI
AB+
A-
A- 0-
A+ A- AB+ AB-
B-
B- 0-
B+ B- AB+ AB-
AB-
A- 0- B- AB-
AB+ AB-
trasfusione: il ricevente non deve avere anticorpi rivolti contro i globuli rossi del donatore, poichè la salute, e in alcuni casi la vita stessa del ricevente, sarebbe in pericolo.
Perchè donare Il sangue umano è un “prodotto” naturale, non riproducibile artificialmente, indispensabile alla vita. E' anche una fonte di energia rinnovabile ed è quindi possibile privarsi di una parte di esso senza avere danni, perché l'organismo lo reintegra prontamente. Donare sangue volontariamente e con consapevolezza rappresenta un gesto importante: vuol dire infatti rendere concreta la propria disponibilità verso gli altri ed anche verso sé stessi, poiché così facendo si alimenta un “patrimonio” collettivo di cui ciascuno può usufruire al momento del bisogno. Fare un prelievo periodico garantisce inoltre al donatore un controllo costante del proprio stato di salute, attraverso le visite sanitarie e gli accurati esami di laboratorio. Il donatore ha così la possibilità di vivere con maggiore tranquillità, sapendo che una buona diagnosi precoce gli eviterà l'aggravarsi di disturbi latenti. Per l'Avis, la tutela della salute del donatore è fondamentale.
Chi può donare Il primo requisito richiesto al donatore è l’età, che deve essere compresa tra i 18 ed i 60 anni per la prima donazione.
Chi è già donatore può superare il limite dei 65 anni, in relazione ovviamente al suo stato di salute e alla valutazione cardiologica. Il donatore deve avere un peso non inferiore a 50 kg, indipendentemente dalla statura o dalla costituzione, pulsazioni comprese tra 50-100 battiti al minuto, una pressione arteriosa tra 110 e 180 mm di massima e tra 60 e 100 di minima. Inoltre, non deve soffrire di malattie croniche (diabete, malattie autoimmuni, tumori maligni…), non deve avere mai avuto Epatite C, sifilide, comportamenti a rischio di malattie trasmissibili sessualmente e non deve fare uso di sostanze stupefacenti. Non deve aver avuto malattie nelle ultime due settimane anche se di lieve entità (influenza, bronchite, polmonite, herpes labiali), non deve aver assunto alcun farmaco nell’ultima settimana (antidolorifici e aspirine), e antibiotici o antibatterici nelle ultime due settimane; non deve essere stato sottoposto ad importanti interventi chirurgici negli ultimi tre mesi. Infine non deve aver effettuato viaggi in zone tropicali negli ultimi tre mesi, non deve avere il ciclo mestruale in corso, non deve aver partorito negli ultimi 12 mesi, non deve aver effettuato sport intenso nelle 24 ore precedenti il prelievo. Non è indispensabile essere a digiuno, è possibile assumere caffè o the moderatamente zuccherati ed eventualmente mangiare qualche biscotto secco o fetta biscottata; l’importante è non aver fatto colazione con cibi grassi, dolciumi, latte o latticini.
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Donare fa bene Fino ad oggi non è stata posta adeguatamente in evidenza la correlazione clinica tra la donazione periodica di sangue e la riduzione del rischio di malattie croniche gravi, quali quelle cardiovascolari. Esistono infatti prove cliniche che dimostrano l'effettiva riduzione del rischio a contrarre una malattia cardiovascolare in soggetti che eseguono almeno una donazione annua. La protezione nei confronti di tali affezioni deriverebbe dai ridotti livelli di ferro, conseguenti alla donazione periodica. I bassi livelli tissutali di ferro proteggerebbero contro la patologia aterosclerotica per effetto di una ridotta ossidazione delle lipoproteine a bassa densità associate al colesterolo. A sostegno di questa tesi, studi sperimentali, clinici ed epidemiologici mostrano che alti livelli di ferro incrementano il rischio di eventi coronarici e la progressione aterosclerotica. Esperimenti sugli animali hanno confermato una correlazione tra accumulo di ferro proveniente dalla dieta e l’incidenza di patologie ischemiche cardiache e cerebrali. Uno studio ha valutato, in modo specifico, la relazione tra la frequenza delle donazioni e l’incidenza d'infarto del miocardio su 2682 soggetti. Nel periodo di osservazione, di circa sei anni, è stato osservato che il rischio di infarto acuto del miocardio nei donatori abituali era dell'86 per cento più basso di quello dei donatori episodici. FINE
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RICERCA SCIENTIFICA
CELLULE STAMINALI, conosciamole meglio Come sono state scoperte e quali applicazioni pratiche hanno oggi. In futuro potrebbero evitare molti trapianti di organi.
Dott.
Giuseppe Visani
Direttore Ematologia e Centro Trapianti Ospedale di Pesaro E-mail: pesarohematology@yahoo.it
“Apriti, Sesamo...” disse Alì Babà. E la grande roccia si aprì, lasciando intravedere una grotta piena di ricchezze luccicanti. Le favole hanno sempre un fondo di verità e questa sembra somigliare a un’altra fiaba moderna: quella delle cellule staminali. C’è il giovane inesperto che scopre un tesoro, ci sono i quaranta ladroni che vogliono usare il tesoro a modo loro... Gli ingredienti ci sono tutti per creare una favola di successo. Infatti, dell’argomento si parla parecchio e c’è una gran voglia di capire meglio.
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Ricercatore biomedico
Cosa sono le staminali Cosa sono, allora, queste cellule staminali? E perché ne parla qui un esperto di malattie del sangue? Perché la loro scoperta pratica è una parte della storia dell’Ematologia, la branca della medicina che si occupa di malattie del sangue. Cominciamo da una grande tragedia: la bomba atomica di Hiroshima. Fra chi non morì subito, ci fu una spaventosa incidenza di aplasia, cioè di distruzione del midollo osseo. Quando il midollo è distrutto, non si producono più globuli rossi, globuli bianchi e piastrine; le persone non recuperavano e morivano di infezioni ed emor-
ragie. La situazione era molto simile a quella che si ha in una leucemia acuta, malattia tumorale del sangue. Cosa fare allora per chi si trovava con il midollo “rotto”? Si scoprì che c’erano delle “cellule madri del sangue” capaci appunto di aggiustare i pezzi rotti nel midollo. Di qui nacque il trapianto di midollo osseo, che si basa sull’uso delle staminali, cellule di riserva, pronte a fare il loro dovere. Era già una bella cosa così, perché ci ha permesso di salvare tante persone con il midollo malato, grazie anche alla scoperta che si può donare il midollo a un’altra persona, se risultiamo identici a seguito di alcuni esami specifici.
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alcuni in cui prima non si pensava potesse succedere.
Ma una ventina di anni fa è stata fatta un’ulteriore scoperta: queste “cellule madri del sangue” non se ne stavano ferme nel midollo osseo, ma si facevano delle “passeggiate” nel sangue, in giro per il corpo.
Le applicazioni pratiche
Pezzi di ricambio Subito si è pensato ad una applicazione pratica: raccogliere le “madri del sangue” che erano “andate a passeggio” e usarle per l’autotrapianto, cioè il trapianto da sé stessi, in pazienti che non avevano un donatore e con il midollo guasto. La cosa ha funzionato e l’autotrapianto da staminali periferiche ha preso piede con successo in malattie dove non si poteva usare il midollo. Anche stavolta ci si poteva accontentare... e invece, un po’ per caso, un po’ per spirito di osservazione, qualcuno si è accorto che le “madri del sangue” non si fermavano appunto nel sangue, ma andavano a fare colonie in altri organi: il fegato e il cuore per esempio. In seguito altri ricercatori hanno scoperto che alcune di esse, tenute a mangiare in laboratorio, buttavano fuori, a seconda di cosa si nutrivano, un'antenna tipica di una cellula nervosa, oppure una pallina caratteristica di una cellula del cuore, o ancora un quadratino uguale a quello fatto da una cellula del fegato...
Banca di cellule staminali
Chiedo scusa per il linguaggio poco scientifico, ma uso termini semplici perché vorrei essere capito. In una parola, nel nostro corpo abbiamo dei “sistemi di sicurezza” che, quando i sistemi principali cominciano a fare cilecca, mandano in giro dei "pezzi di ricambio" a riparare il possibile. Mentre una volta pensavamo che si riparassero solo parti come la pelle (per esempio, dopo che ci siamo presi una bella scottatura al mare), adesso sappiamo che una forma di riparazione “minore” avviene tutti i giorni nel nostro corpo in tanti organi, anche in
Le “madri del sangue” prese dal midollo adesso vengono sfruttate soprattutto per rigenerare e riparare il cuore dopo alcuni casi di infarto. Passi da gigante si sono fatti anche nel recupero dei danni alla cornea dell’occhio, in medicina estetica e perfino per i capelli. La stessa cosa sarà forse possibile per il fegato: pensate alle prospettive in futuro per chi ha il fegato quasi non più funzionante e potrebbe essere curato senza il trapianto! La fantascienza è adesso, o fra pochi anni, a portata di mano? Forse sì: per esempio in America si stanno facendo crescere delle cellule staminali su un modello artificiale di rene, sperando di poterlo usare in futuro per ridurre la dipendenza dalla dialisi. Non tutto, però, è oro ciò che luccica: bisogna stare attenti a non prendere per vere le proposte di certe cliniche estere (in Italia, opportunamente, questi aspetti sono regolamentati con cura dalle leggi) che propongono di trattare a pagamento gravi danni, tipo quelli neurologici. Un conto è lavorare intensamente per dare nuove possibilità nel rispetto delle regole studiate per proteggere la salute, un altro è alimentare false speranze, talora con rischi di ulteFINE riori danni permanenti.
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AMBIENTE
ARIA DI CASA MIA La sua qualità, legata all’insorgenza di patologie dell’apparato respiratorio, risulta fondamentale per la salute dei cittadini. In provincia di Ravenna si registra un lento miglioramento generale. L’attività di Arpa
Dott. Stefano Costa Eco Istituto Ecologia Scienza e società Via Castellani, 7 - Faenza E-mail: costaest@hotmail.com
L’aria è elemento essenziale per tutti gli esseri viventi e la sua qualità risulta importantissima, perché legata all’insorgenza di patologie dell’apparato respiratorio come irritazioni e allergie, o fenomeni più gravi come infezioni polmonari o tumori. Le cause principali del suo deterioramento sono gli inquinanti causati dall’attività dell’uomo, principalmente tutti i processi di combustione (combustibili fossili, legna, rifiuti, motori a scoppio etc.), ma la qualità dell’aria può essere compromessa gravemente anche da cause naturali, come le eruzioni vulcaniche. 10
In provincia di Ravenna la qualità dell’aria viene monitorata dalla rete di controllo di Arpa, con stazioni fisse suddivise in base all’ubicazione in agglomerati o aree esterne ad essi. Gli agglomerati della provincia sono Ravenna e Faenza - Castel Bolognese, ove sono ubicate dieci centraline di controllo, mentre due centraline poste nei comuni di Alfonsine e Cervia controllano la qualità dell’aria al di fuori degli agglomerati dove è più intensa l’attività umana. Il territorio provinciale è diviso in tre categorie: Zone A, Zone B e Agglomerati. Nelle Zone A, dove c’è il rischio di superamento del valore limite e/o delle soglie di allarme, occorre predisporre piani e programmi a lungo termine (comuni di Alfonsine, Bagnacavallo, Bagnara, Castel Bolognese, Cervia, Conselice, Faenza, Fusignano, Lugo, Massa Lombarda, Ravenna, Russi, Sant’Agata, Solarolo). Nelle Zone B, dove i valori della qualità dell’aria sono inferiori al
valore limite, è necessario adottare piani di mantenimento (comuni di Brisighella, Riolo Terme e Casola Valsenio). Negli agglomerati (Ravenna e Faenza - Castel Bolognese) è particolarmente elevato il rischio di superamento del valore limite e/o delle soglie di allarme, quindi occorre predisporre piani di azione a breve termine. Oltre alle centraline fisse, Arpa conduce campagne di monitoraggio della qualità dell’aria con mezzi mobili posti in luoghi strategici, sia nei comuni ove non ci sono centraline fisse, che nei comuni ove sono presenti, al fine di integrare i dati registrati dalle postazioni fisse o verificare situazioni puntuali.
Il clima nel ravennate La qualità dell’aria è influenzata in maniera molto significativa anche dalle condizioni atmosferiche, difatti condizioni di calme di vento e nebbia diminuiscono il ricambio e riducono la rimozione degli inquinanti.
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AMBIENTE L’area della provincia di Ravenna può essere inquadrata, nelle classificazioni climatiche su base termica, come un’area a clima temperato freddo, con estati calde, inverni piuttosto rigidi ed elevata escursione termica estiva. Questa connotazione viene in parte alterata dalla presenza del mare, che tende a mitigare i rigori dell’inverno, determinando un aumento della temperatura media rispetto alle zone della alta e media padana. Da queste considerazioni generali si può definire un quadro dell’aspetto meteo-climatico stagionale così schematizzato: la caratteristica piovosità della stagione invernale è correlabile con la frequente presenza di aree depressionarie che si ricostituiscono sul versante Adriatico, provenendo dal Golfo Ligure; la piovosità in primavera di poco superiore a quella invernale, è dovuta oltre che alle cause sopra citate anche alla formazione di depressioni sottovento che innescano correnti di bora e condizioni quindi favorevoli ad attività temporalesca; la stagione estiva risulta caratterizzata da deboli gradienti barici, temperature elevate, correnti a regime di brezza e scarsa piovosità, legata essenzialmente ad attività temporalesca; la piovosità del periodo autunnale è da attribuire alle numerose depressioni che si succedono in questa zona. Questa stagione risulta caratterizzata da precipitazioni, la cui intensità viene mitigata dall’azione protettrice degli Appennini. I territori della provincia interessano la zona interna della pianura, caratterizzata da un graduale passaggio da condizioni climatiche di tipo costiero a condizioni di tipo padano. In tale area, dove le influenze marine e collinari non sono più avvertibili in modo apprezzabile, se non nei territori comunali prossimi alla costa, il clima si contraddistingue per una maggiore escursione termica giornaliera, un aumento del numero di giorni con gelo nei mesi invernali e della frequenza delle formazioni nebbiose che si manifestano più intense e persistenti, un’attenuazione della ventosità con aumento delle calme anemologi-
che ed un incremento dell’amplitudine giornaliera dell’umidità dell’aria.
Aria in miglioramento La qualità dell’aria in provincia di Ravenna è in lento miglioramento, soprattutto perché stanno diminuendo le tre principali cause di inquinamento, che in ordine di importanza sono il traffico veicolare, le attività industriali e il riscaldamento delle abitazioni. Il rinnovamento del parco veicolare porta a sostituire vecchie auto inquinanti con altre molto meno inquinanti: basti pensare che un veicolo Euro 5 emette il 90 per cento in meno di un veicolo della stessa cilin-
drata. Le attività industriali, con l’applicazione di normative europee molto restrittive e la chiusura di alcuni stabilimenti, nel corso degli ultimi cinque anni hanno ridotto notevolmente le emissioni. Infine il riscaldamento domestico ha ridotto le sue emissioni non in virtù di qualche intervento diretto dell’uomo, ma grazie all’aumento delle temperature medie, dovuto ai cambiamenti climatici in corso.
Attenzione alle PM10 Le condizioni dell’aria sono fotografate annualmente in un report realizzato dall’Arpa per conto dell’amministrazione provinciale di Ravenna. Secondo l’ultimo report, riferito al 2010, gli unici inquinanti che continuano ad essere critici sul territorio, in particolare negli agglomerati, sono le polveri in frazione respirabile (PM10), gli ossidi di azoto (NOx) e l’ozono, che se rappresenta una salvezza per gli esseri viventi in strato-
sfera (circa 25 km dal suolo) diventa irritante a livello troposferico. Da una decina d’anni il monossido di carbonio (CO) e gli ossidi di zolfo (SOx) non sono più inquinanti significativi per la qualità dell’aria: il primo grazie ai catalizzatori di cui sono dotati i veicoli a motore, il secondo grazie alla riduzione del suo contenuto nei gasoli per autotrazione e all’eliminazione del gasolio stesso come combustibile per riscaldamento. Anche il benzene, pur essendo un composto organico molto pericoloso per la salute, non risulta determinante nella qualità dell’aria, data la sua riduzione come componente antidetonante nelle benzine.
Altri elementi che possono essere molto pericolosi per la qualità dell’aria sono i metalli pesanti (principalmente piombo, mercurio e cadmio) e i microinquinanti organici (idrocarburi policiclici aromatici IPA e diossine). Vediamo ora l’andamento degli inquinanti critici rispetto ai limiti di qualità indicati dalle norme nazionali e comunitarie. Gli ossidi di azoto (NOx), pur rispettando i limiti giornalieri ed annuali negli ultimi due – tre anni in tutte le stazioni di monitoraggio, sia fisse che mobili, restano un inquinante critico in particolare negli agglomerati. Le polveri fini (PM10) rimangono l’inquinante più critico in provincia di Ravenna: il suo limite giornaliero, pari a 50 microgrammi per metro cubo, in base alla normativa vigente, non può essere superato per più di 35 giornate all’anno, ma nel 2010 le centraline fisse in provincia hanno rilevato superamenti maggiori. » SEGUE 11
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AMBIENTE » Le
azioni da fare
Il Piano di Risanamento e Tutela della Qualità dell’Aria della Provincia di Ravenna, approvato nel 2006, prevede diverse azioni per il miglioramento della qualità dell’aria, come la riduzione delle emissioni industriali, la riduzione delle emissioni da traffico, la realizzazione di piste ciclabili, il potenziamento del trasporto pubblico, l’informazione al pubblico per sensibilizzarlo sull’argomento, ma molte di queste azioni non hanno ancora trovato neanche l’inizio. Mentre per le sorgenti industriali sia la crisi che l’applicazione di normative comunitarie hanno ridotto le emissioni, per il traffico non è stato fatto nessuna azione diretta ed i miglioramenti sono stati ottenuti semplicemente dal rinnovamento del parco circolante. Per ciò che concerne le emissioni civili, alcuni miglioramenti sono stati ottenuti grazie agli interventi detassati al 55 per cento, come la sostituzione di infissi, l’installazione di caldaie a condensazione e di pannelli solari termici. Rimane ancora molto da realizzare, in particolare tutte le azioni volte ad una reale e consapevole sensibilizzazione della popolazione in merito ai danni che una cattiva qualità dell’aria può provocare sulla salute e alle semplici azioni quotidiane che possiamo mettere in atto senza costi, al pari delle azioni che le amministrazioni locali, prime depositarie della difesa della salute pubblica, dovrebbero intraprendere. Un esempio semplice per le amministrazioni locali, in particolare per gli agglomerati, sarebbe quello di aumentare le zone a traffico limitato, inserendo canoni elevati per gli ingressi e potenziando il trasporto pubblico da e per le stesse zone a traffico limitato, incentivando quindi l’utilizzo dei mezzi pubblici con un rientro dei costi sostenuti per aumentarlo. FINE
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SANITÀ
I nuovi ticket per farmaci, visite ed esami specialistici Ecco chi deve pagarli, in base al reddito, all’età, alla patologia e ad altre condizioni. Breve guida di quanto disposto dalla Regione Emilia Romagna. di Tiziano Zaccaria In Emilia Romagna dal 29 agosto scorso vigono i nuovi ticket sanitari su farmaci, visite ed esami specialistici, imposti dal Governo con la Legge 111 del 15 luglio. La Regione ha scelto di applicare un sistema diverso rispetto a quanto previsto dal Governo, che indicava un ticket di 10 euro per ogni prescrizione e per tutti i cittadini, senza distinzioni di reddito. In Emilia Romagna sono state confermate tutte le precedenti esenzioni, mentre per le persone non esenti, i nuovi ticket su farmaci, visite ed esami specialistici sono stati modulati in base al reddito, all’età, alla patologia e ad altre condizioni. Ogni cittadino è tenuto a compilare un modulo di autocertificazione del reddito familiare lordo fiscale. La presentazione dell’autocertificazione dei figli minori di coppie separate e coppie di fatto spetta al genitore che ha il figlio integralmente a carico, oppure al genitore individuato di comune accordo. Al momento della prenotazione, o al momento di ritirare farmaci, è obbligatorio presentare la propria autocertificazione sul reddito lordo del nucleo familiare fiscale di appartenenza. A chi non ne è in possesso, viene assegnato il ticket massimo, come per i redditi familiari sopra i 100mila euro.
propria autocertificazione; basta averla al momento della prenotazione di una visita, di un esame specialistico, del ritiro di farmaci con ricetta del Servizio Sanitario. Non devono fare alcuna autocertificazione le persone che già prima del 29 agosto erano esenti totali. Le persone esenti per patologia devono invece farla, perchè tutte le prestazioni non comprese nella loro esenzione sono soggette a ticket. Questi i soggetti esenti dal ticket: bambini fino a 6 anni e anziani dai 65 anni, persone con reddito familiare lordo inferiore a 36.152 euro, persone con invalidità o malattie croniche, donne in gravidanza, disoccupati, lavoratori in cassa integrazione e loro familiari. La compilazione del modulo può essere effettuata presso tutti gli sportelli delle Aziende sanitarie e presso patronati, Caaf e associazioni di categoria che hanno stipulato un accordo con la Regione e con le Aziende Usl, o in alternativa autonomamente. In questo secondo caso, la copia del modulo di autocertificazione può essere trasmessa, insieme alla copia di un documento d’identità, per posta raccomandata (con avviso di ricevimento), fax o email all’Azienda Usl di residenza.
Il dettaglio dei nuovi ticket Attenti all’autocertificazione Non ci sono scadenze per presentare la
Farmaci: il ticket non riguarda chi ha un reddito inferiore ai 36.152 euro e
chi già usufruisce di un’esenzione per età, patologia cronica o altre condizioni. Questi i ticket e le relative fasce di reddito: 1 euro a confezione (con tetto di 2 euro per ricetta) per un reddito compreso tra 36.153 e 70.000 euro; 2 euro a confezione (con tetto di 4 euro per ricetta) per un reddito tra 70.001 e 100.000 euro; 3 euro a confezione (con tetto di 6 euro per ricetta) per redditi superiori ai 100.000 euro. Visite specialistiche, prestazioni di chirurgia ambulatoriale: per la prima visita il ticket è di 23 euro, per quelle di controllo di 18 euro. E’ stato introdotto anche un ticket di 46,15 euro per le prestazioni di chirurgia ambulatoriale della cataratta e della sindrome del tunnel carpale. Risonanza magnetica e Tac: 36,15 euro per redditi fino a 36.152 euro; 50 euro per redditi tra 36.153 e 100.000 euro; 70 euro oltre i 100.000 euro. Esami specialistici: zero euro per i redditi fino a 36.152 euro; 5 euro tra 36.153 e 70.000 euro; 10 euro tra 70.001 a 100.000 euro; 15 euro oltre i 100.000 euro. Per ulteriori informazioni è possibile telefonare al numero verde del Servizio Sanitario Regionale 800.033.033, chiamata gratuita sia da telefono fisso che da cellulare, dal lunedì al venerdì dalle 8.30 alle 17.30 e il sabato dalle 8.30 alle 13.30.
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ALIMENTAZIONE
LA COLAZIONE Il carburante per una buona partenza I vantaggi di iniziare la giornata con un’alimentazione adeguata.
Dott.ssa
Monica Negosanti
Dietista Maria Cecilia Hospital Cotignola E-mail: mnegosanti@gvm-vmc.it
La funzione principale del cibo è quella di fornire all’organismo tutti i nutrienti e gli elementi necessari alla crescita, allo sviluppo e allo sopravvivenza delle funzionalità vitali. Da tanto tempo i più svariati comitati scientifici ed esperti di alimentazione si battono affinché nella popolazione generale si diffonda il concetto che una sana, abbondante e ricca colazione sia necessaria per affrontare al meglio la giornata, con più vigore e vitalità. La prima colazione, infatti, non solo aiuta a mantenere costante il peso, ma fornisce anche energia all’organismo, miglior concentrazione e capacità di risolvere problemi durante tutta la giornata.
Quasi la metà della popolazione consuma una colazione sbrigativa Purtroppo, sia tra la popolazione più giovane che quella adulta, è sempre più diffusa l’abitudine di saltare di netto la colazione, favorendo nell’organismo di 14
bambini, adolescenti e adulti la comparsa di sovrappeso o obesità. I più recenti studi clinici suggeriscono infatti una rilevante correlazione tra sovrappeso e una colazione povera o assente. In Italia, per esempio, è stata fatta una ricerca su un campione di mille persone, sia uomini che donne; nonostante che la maggior parte di essi (83%) abbia dichiarato di fare colazione ogni mattina e di questi oltre la metà (52%) sia concorde nell’attribuirle grande importanza, una fetta molto consistente del campione della ricerca (17 %), pari in proiezione a oltre 8 milioni di italiani, la salta del tutto.
Stupisce inoltre la velocità con cui la si consuma: quasi la metà di coloro che fanno colazione (46%) vi dedicano dieci minuti, tra questi sono soprattutto i giovani (54 %) tra i 15 e i 24 anni i più sbrigativi. Tutto questo a discapito di una buona digestione.
Iniziare la giornata facendo benzina Ma perché la prima colazione è così importante e aiuta a difendere l’organismo da un aumento ponderale? Durante la notte, il cervello si nutre degli zuccheri immagazzinati nell’organismo, mentre i muscoli, gli organi e le restanti funzioni vitali consumano grassi. Se quando ci svegliamo la mattina non ripristiniamo immediatamente queste riserve, ma prolunghiamo il digiuno (ricordandoci che l’ultimo pasto è stato consumato la sera precedente con la cena) fino a metà mattina o, peggio ancora, fino a pranzo, l’organismo entra in uno “stato di allerta” per cui il pasto che andremo a consumare successivamente verrà immagazzinato tutto come grasso di riserva, per eventuali altri digiuni prolungati. Sarà inoltre più facile introdurre inconsapevolmente più calorie, in quanto dalla cena al pranzo del giorno successivo passano 16-17 ore… un’infinità di tempo per il nostro organismo assetato di energia. Infine, la carenza prolungata di zuccheri può renderci più irascibili e più affaticati durante tutto l’arco della giornata.
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Cosa mangiare a colazione Quali sono quindi gli alimenti da consumare a colazione? La colazione dovrebbe apportare almeno il 20-25% delle calorie totali giornaliere e deve essere bilanciata nei suoi nutrienti: 6065% di carboidrati, 10-15% di proteine, 20-25% di grassi. Possiamo quindi permetterci di scegliere tra una vasta quantità di alimenti e bevande per la prima colazione. Ma in pratica cosa possiamo mangiare? Uno yogurt magro, del latte parzialmente scremato o di soya, per quanto riguarda la quota proteica; una fettina di crostata, qualche biscotto, dei cereali, delle fette con marmellata, un succo di frutta o un frutto di stagione per quanto riguarda la quota di carboidrati e lipidi. Per esempio una dieta fisiologica per una donna adulta normopeso potrebbe prevedere: uno yogurt magro alla frutta; due biscotti secchi; un bicchiere di succo di frutta. Mentre un uomo adulto normopeso potrebbe consumare: una tazza di latte parzialmente scremato (eventualmente macchiato con caffè);
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una porzione di crostata; un cucchiaino di zucchero. Ricapitolando, come ci dobbiamo comportare per iniziare bene la giornata? Far sempre la colazione: bere solamente un caffè, anche se zuccherato, equivale a non fare colazione! A questo punto è meglio una colazione “sbagliata” rispetto al digiuno; cercare di variare il più possibile il proprio menù mattutino; eccetto nei casi di intolleranze, la famiglia dei latticini non deve mai mancare, perché forniscono al nostro organismo una buona fonte di calcio. Quindi via libera a yogurt e latte; sforzarsi di adattare le proprie esigenze personali e organizzative ad una sana abitudine come la colazione; tenere ben presente che fare colazione ci assicura un senso temporaneo di sazietà, che quindi ci induce a consumare meno nei pasti successivi: alla mattina il nostro organismo assimila e costruisce, alla sera accumula energia.
“Avrei tanto voluto che la giornata fosse tutta come la colazione, quando le persone sono sintonizzate sui loro sogni e non è previsto che debbano affrontare il mondo esterno. Mi sono reso conto che io sono sempre così, per me non arriva mai il momento in cui dopo una tazza di caffè o una doccia, mi sento improvvisamente pieno di vita, sveglio e in sintonia con il mondo. Se si fosse sempre a colazione, io sarei a posto”. Da “Un giorno questo dolore ti sarà utile”, di Peter FINE Cameron.
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BENESSERE
PILATES
Il metodo inventato un secolo fa da un insegnante tedesco, oggi praticato da milioni di persone, è flessibilità, armonia, eleganza, fluidità nei movimenti, postura corretta. In definitiva: uno stile di vita salutare. da antiche discipline orientali quali lo Yoga. Pilates chiamò il suo metodo Contrology, con riferimento al modo in cui incoraggia l’uso della mente per controllare i muscoli.
Flaminia Buttazzi Istruttrice Cosmos Fitness Club Faenza Titolare brevetti FIF e FBI per insegnare pilates
Il metodo Pilates è un sistema d’allenamento esploso in un boom di praticanti soltanto negli ultimi anni, sviluppato all’inizio del secolo scorso dal tedesco Joseph Pilates. Figlio di un buon ginnasta di origini greche e di una naturopata tedesca, Pilates da giovane soffriva di asma, rachitismo e febbre reumatica. Convinto che il suo stile di vita, la pessima postura e la respirazione inefficace fossero le cause della sua precaria salute, Joseph studiò culturismo, tuffo, sci e altre tecniche di ginnastica. Emigrò a New York, dove fondò uno studio con sua moglie Clara, insegnando esercizi a danzatori e atleti, traendo ispirazione anche
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Cos’è, come si pratica Il Pilates è un programma di esercizi eseguiti sul tappetino, tesi a tonificare e rafforzare tutti i muscoli (addome, glutei, adduttori e zona lombare) che aiutano a tenere il corpo bilanciato. In particolare, fa acquisire consapevolezza del respiro e
dell’allineamento della colonna vertebrale, rinforzando i muscoli del piano profondo del tronco, molto importanti per alleviare e prevenire mal di schiena. Gli esercizi devono essere fluidi, perfettamente eseguiti ed abbinati ad una corretta respirazione. Il metodo non ha marchio di registrazione, per cui ogni insegnante lo può avvicinare al suo stile e alla sua personalità, rifacendosi tuttavia ai sei principi basilari: la respirazione, sempre ben controllata e guidata dall’insegnante (si inspira con il naso nel cominciare l’esercizio e si espira con naso e bocca nel momento dello sforzo maggiore); il baricentro, visto come centro di forza e controllo del corpo; la precisione in ogni movimento; la massima concentrazione in ogni esercizio; il controllo su ogni parte del corpo; la fluidità, quale sintesi di tutti gli altri concetti.
Il Pilates nel fitness… Il metodo aumenta la forza muscolare senza gonfiare eccessivamente il muscolo, creando un
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corpo più longilineo e tonificato, con gambe snelle e addominali piatti. Con gli esercizi di Pilates si prende coscienza del proprio corpo, aumentando l’abilita nei movimenti e nel gesto atletico. Il metodo infatti aumenta la flessibilità, allunga la muscolatura e rinforza l’articolazione. Un fisico potente, ma contemporaneamente agile, è meno soggetto a traumi. Mentre in un allenamento tradizionale si tende a lavorare solo sulle fasce muscolari più grandi, trascurando le più piccole, dando vita a squilibri corporei, nel Pilates tutti i gruppi muscolari si sviluppano in maniera uniforme. Inoltre negli sport fortemente unilaterali come il tennis o il golf, il Pilates presenta interessanti applicazioni per compensare le disarmonie provocate da quell’attività sportiva, tanto che è utilizzato sempre più spesso come integrazione alla tradizionale preparazione atletica.
…e nella riabilitazione Il Pilates è efficace anche nel campo della riabilitazione posturale e nelle sintomatologie dolorose della schiena
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e delle articolazioni in genere. Il controllo di ogni movimento, il riequilibrio dell’azione di tutti i muscoli del corpo e il lavoro sinergico dell'area addominale con quella lombare contribuiscono a ridurre il rischio di infortuni e di dolori dorsali in genere. La colonna vertebrale, spesso sovraccaricata da posizioni scorrette, con il Pilates assume una posizione più distesa. Questo metodo è utilizzato anche come ginnastica pre o post gravidanza. Il Pilates pre gravidanza, che può essere effettuato dopo il terzo mese fino al parto, rimuove le tensioni muscolari dovute alla gestazione e prepara la muscolatura al parto. Il Pilates post gravidanza aiuta a riacquistare la forma fisica lavorando in modo particolare sulla muscolatura addominale e del pavimento pelvico.
Cinquecento esercizi Il metodo si avvale di oltre cinquecento esercizi, in parte a corpo libero, in parte praticati con l’ausilio di attrezzi. I protocolli originali prevedono quat-
tro livelli di apprendimento: livello base, intermedio, avanzato, superavanzato. Ogni livello comprende uno specifico programma per ogni attrezzo. L’esecuzione degli esercizi non necessita di una routine obbligatoria: dopo che l’insegnante ha scelto un programma personalizzato, il lavoro viene svolto liberamente, seguendo la necessità del momento. L’originalità e la varietà degli esercizi è tale da non annoiare: molti esercizi, una volta appresi correttamente, non superano FINE le tre ripetizioni.
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TEMPO LIBERO
RACCOLTA FUNGHI Per cercarli occorre essere in possesso di un apposito tesserino. Breve elenco delle più comuni specie micologiche commestibili e velenose PER ULTERIORI INFORMAZIONI Numero Verde gratupresenti in Emilia Romagna. di Tiziano Zaccaria Fra le attività del tempo libero, l’andar per funghi ha assunto una notevole importanza, in quanto è alla portata dei cittadini di ogni età e condizioni sociale. Ciò ha amplificato il maggior rischio che comporta questo gradevole passatempo: il consumo accidentale di funghi tossici, con spiacevoli conseguenze per la salute. Si osserva infatti che, malgrado la disponibilità di libri di micologia e di informazioni in merito alle intossicazioni da funghi che i mass media riportano puntualmente, i casi di avvelenamento restano numerosi. Ogni anno nella sola provincia di Ravenna si registrano dai dieci ai venti casi di intossicazione, più o meno acuta. Ecco perché, a tutela dei consumatori di funghi, il Dipartimento di Prevenzione dell’Ausl di Ravenna ha messo a disposizione dei cittadini un Ispettorato Micologico. Funzioni e compiti dell’Ispettorato, in breve, sono le seguenti: controllo dei funghi freschi spontanei destinati al consumo diretto; certificazione di commestibilità dei funghi freschi e spontanei destinati alla vendita al dettaglio e alla somministrazione; vigilanza su raccolta, commercializzazione e condizionamento dei funghi spontanei; consulenza ai Comuni per la regolamentazione in campo micologico; supporto agli ospedali e alle medicine di base in caso di avvelenamento da funghi; promozione di corsi didattici, convegni, iniziative culturali e scientifiche, docenze a corsi organizzati da altri enti.
Ispettorato Micologico in provincia di RAVENNA AMBITO TERRITORIALE DI RAVENNA Ravenna: via Fiume Abbandonato, 134 - Orario d’accesso: dal lunedì al venerdì, dalle 8.30 alle 9.30 e per appuntamento su richiesta. Tel. 0544.286854 - Fax 0544.286800. AMBITO TERRITORIALE DI LUGO Bagnacavallo: via Vittorio Veneto, 8 - Orario d’accesso: il lunedì, dalle 8 alle 10 e per appuntamento su richiesta. Lugo: viale Masi, 20 - Tel. 0545.283069 - Fax 0545283075 - Orario d’accesso: il lunedì dalle 11 alle 12.30 e per appuntamento su richiesta. AMBITO TERRITORIALE DI FAENZA Faenza: via Zaccagnini, 22 - Orario d’accesso: il lunedì, dalle 8 alle 9 e per appuntamento su richiesta. Tel. 0546.602513 - Fax 0546.602510. 18
ito del Servizio Sanitario Regionale 800.033033, tutti i giorni feriali dalle 8.30 alle 17.30 e il sabato dalle 8.30 alle 13.30.
Le regole per la raccolta Prima di tutto occorre sapere che i funghi costituiscono la parte riproduttiva (carpoforo) di un organismo più complesso non visibile (micelio), che vive nel terreno, in rapporto intimo con le radici delle piante o con detriti vegetali. Una raccolta non corretta o indiscriminata può recare gravi danni alla vita e alla riproduzione di questi organismi e, di conseguenza, all’equilibrio degli ecosistemi dei quali sono parte vitale. In Emilia Romagna per raccogliere funghi occorre essere in possesso di un tesserino di validità giornaliera, settimanale, mensile o semestrale, utilizzabile solo nel territorio in esso indicato. I tesserini si acquistano (a costi variabili, a seconda dei Comuni) presso i Municipi e in diversi esercizi pubblici (alcuni bar espongono sulla loro vetrina un logo con un fungo). Il tesserino, accompagnato da un documento di identità, deve essere esibito su richiesta del personale di vigilanza. In Emilia Romagna la raccolta è consentita nei giorni di martedì, giovedì, sabato e domenica nelle ore diurne, da un’ora prima della levata del sole a un’ora dopo il tramonto. L’attività può essere esercitata esclusivamente nei boschi e nei terreni non coltivati, purché Striature dell’orlo apposite tabelle non ne segna- Squame Verruche lino il divieto. Ogni persona può raccogliere fino Zonature Areole a 3 kg di funghi al giorno, di cui non più di 1 kg di Ovuli Buoni e 1 kg di Prugnoli. La raccolta va Lamelle effettuata manualmente Anello Aculei Tuboli o mediante l’uso di un con pori coltello, evitando di strappare i funghi e, Gambo Venature a reticolo con essi, parte Striature del micelio sotterraneo. È vietato utilizzare Squame rastrelli o altri strumenti Volva Base bulbosa che possano danCARATTERI neggiare lo strato MORFOLOGICI DI UN FUNGO umifero del terreno.
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TEMPO LIBERO I funghi raccolti vanno puliti sommariamente sul posto e conservati in appositi contenitori aerati (si consigliano i cestini in vimini), in modo da evitare fenomeni di compressione e fermentazione, consentendo allo stesso modo la disseminazione ulteriore delle spore. Va quindi assolutamente evitato l’utilizzo di sportine di plastica, carta e simili. È vietato il danneggiamento intenzionale dei funghi di qualsiasi specie: anche i non commestibili svolgono importanti funzioni negli equilibri della natura. A carico dei trasgressori sono previste sanzioni pecuniarie e il ritiro del tesserino.
Qui di seguito, proponiamo un breve elenco dei più comuni funghi commestibili, tossici e velenosi presenti in Emilia Romagna. Funghi commestibili MAZZA DI TAMBURO » Cappello dai 10 ai 25 cm di diametro, marrone chiaro o grigiastro, con squame larghe ed irregolari marrone scuro. Gambo dai 20 ai 40 cm, alto, slanciato, biancastro con zebrature brune. Anello ampio, bianco superiormente e bruno inferiormente. Carne tenera nel cappello, fibrosa nel gambo; odore di farina fresca e sapore di nocciola. Cresce dalla primavera all’autunno nei boschi, nei prati e nei terreni nudi, specialmente dopo abbondanti piogge. Ottimo commestibile: si consuma solo il cappello, perchè il gambo è fibroso. PRATAIOLO MAGGIORE » Cappello dai 5 ai 15 cm di diametro, biancastro con tonalità nocciola al centro, carnoso. Gambo dai 3 ai 7 cm, tozzo, bianco o talora rosato; anello sottile, con orlo sfrangiato. Carne bianca, soda, di odore e sapore gradevoli. Cresce da maggio ad ottobre nei boschi, prati, giardini e luoghi concimati. Ottimo commestibile, anche crudo.
CHIODINO » Cappello dai 3 ai 6 cm di diametro, di colore variabile a seconda del luogo in cui cresce: giallo-cannella sui pioppi, giallo-miele sui gelsi, giallo-bruno sulle querce, bruno-rossastro sulle conifere; olivastro su altre piante. Gambo lungo, bulboso alla base. Anello molto evidente e persistente, bianco. Carne soda, biancastra, fibrosa quella del gambo, dal sapore amarognolo. Cresce in autunno su ceppaie o ai piedi di piante viventi di latifoglie e conifere, a cespi di molti individui. Commestibile: scartare il gambo perchè troppo fibroso. Cotto, assume una colorazione nerastra. PRUGNOLO » Cappello dai 5 ai 15 cm di diametro, carnoso, di colore variabile dal bianco-crema al camoscio pallido o grigio-fulvo. Gambo dritto, pieno, compatto, bianco o biancastro. Carne bianca, sapore buono, odore di farina fresca. Compare in primavera nei prati, ai margini dei boschi, nelle radure e anche tra i cespugli di piante spinose. Commestibile: ottimo. La legge ne vieta la raccolta per gli esemplari con un diametro del cappello inferiore a 2 cm. La raccolta giornaliera è limitata a 1 kg per persona. PORCINO » Cappello dai 5 ai 25 cm di diametro, color bruno, bruno chiaro, bruno-rossastro, brunoocraceo. Gambo tozzo, robusto, ingrossato alla base, biancastro o nocciola chiaro, pieno, carnoso, con la parte superiore percorsa da un sottile reticolo a piccole macchie chiare sul fondo scuro. La carne è compatta, soda, bianca, immutabile al taglio. Odore e sapore gradevoli. Ottimo commestibile, si presta ad essere consumato anche crudo. Cresce da luglio all'autunno in boschi di conifere e latifoglie. La legge vieta la raccolta di esemplari aventi il diametro del cappello inferiore a 3 cm.
FINFERLI O GALLETTI » Cappello dai 3 ai 10 cm di diametro, di colore variabile, da giallo vivo a giallo arancio. Carne soda e compatta, color crema, odore e sapore gradevoli. Commestibile: ottimo, cresce a gruppi numerosi da giugno a novembre in boschi di conifere e latifoglie, in luoghi umidi e terreni silicei. Esistono molte varietà che differiscono tra loro per diverse tonalità di colore del cappello, tutte comunque commestibili. La legge vieta la raccolta di esemplari col diametro del cappello inferiore a 2 cm.
Funghi velenosi PORCINO MALEFICO » Cappello dai 6 ai 30 cm di diametro, carnoso, biancastro, grigiastro, liscio con chiazze brunerossastre sparse. Carne biancastra, all'aria assume tonalità azzurre per tornare biancastra dopo un po’ di tempo. Gambo tozzo, pieno, ingrossato alla base, ricoperto da un fine reticolo giallo in alto e rosso nella parte sottostante. Cresce dalla tarda primavera fino alla tarda estate in boschi di latifoglie. È tossico. OVULO MALEFICO » Cappello dagli 8 ai 20 cm di diametro, carnoso, rosso vermiglio o aranciato, coperto da numerose verruche bianche. Gambo da 12 a 25 cm, leggermente ingrossato alla base; anello ampio, bianco o leggermente giallino. Carne soda, fragile, bianca, priva di odore e sapore particolari. Velenoso: causa intossicazioni precoci. TIGNOSA BRUNA » Cappello dai 6 ai 12 cm di diametro, di colore bruno o bruno-olivastro, più scuro al centro. E’ ricoperto da piccole verruche bianche, che possono lasciare il cappello quasi nudo. Gambo dai 6 ai 15 cm, bianco, liscio, bulboso alla base, con anello membranoso. Carne bianca, poco consistente, priva di odore e con sapore leggermente dolciastro. Velenoso: provoca un’inFINE tossicazione di tipo neurotropico. 19
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MEDICO DI FAMIGLIA
INFLUENZA
Come difenderci dal virus che la causa Con l’arrivo dell’inverno non va sottovalutata questa malattia, soprattutto se contagia gli anziani, le persone portatrici di patologie importanti, quelle con difese immunitarie compromesse e i bambini molto piccoli. Come si manifesta
Roberto Salgemini
Dott.
Medico-Chirurgo convenzionato SSN. E-mail: robertosalgemini@alice.it
Cos’è il virus influenzale L’influenza è una malattia causata da tre tipi di virus influenzali: A, B e C. I virus A e C infettano specie diverse (uomo, specie aviarie, suini etc.), mentre il virus B quasi esclusivamente l’uomo. Questa precisazione diviene importante in quanto il rimescolamento antigenico che può avvenire nel passaggio tra le varie specie, come nel caso dei virus A e C, determina la virulenza del virus stesso e quindi può provocare un’epidemia (quando sono colpite più persone di un’area limitata) o una pandemia (quando sono colpite più persone di Nucleoproteina (RNA)
Sacca dei lipidi
Capside
Anatomia del virus influenzale
Quasi sempre febbre, generalmente superiore a 38° C di durata dai tre ai cinque giorni, cefalea medio-severa, dolori osteo-muscolari tendenzialmente intensi localizzati al rachide dorsolombo-sacrale ed al torace, brividi, nausea soprattutto quando cresce la febbre, a volte vomito, debolezza, facile affaticabilità, tosse secca con scarso espettorato, starnuti, mal di gola, poco appetito e sostanzialmente intenso malessere generale. L’intensità della sintomatologia può variare molto da soggetto a soggetto sia legata alle condizioni generali del paziente come anche alla percezione del sintomo da parte del paziente. La diagnosi di certezza si può fare solo con l’isolamento del virus da colture cellulari di tamponi naso-faringei, o da titolazione di anticorpi specifici oppure con tecniche di biologia molecolare in grado di distinguere il patrimonio genetico dei vari virus.
Il paziente che presenta una combinazione dei sintomi sopradescritti, durante un periodo influenzale, non necessita di indagini diagnostiche particolari, essendo sufficiente il criterio clinico per stabilire se ha contratto la malattia.
Cosa fare Il periodo influenzale va da inizio dicembre a marzo. La prima regola, quando compaiono i sintomi, è rimanere a casa, limitare i contatti con altre persone, anche per evitare di diffondere la malattia. Se i contatti sono obbligati, indossare una mascherina igienica. I pazienti che godono di buona salute al comparire dei sintomi dovrebbero mettersi a riposo, possibilmente in un ambiente caldo ma non secco, assumere liquidi in quantità generosa (soprattutto i bambini, gli anziani e se c’è stato vomito o diarrea) e paracetamolo ogni 4-6 ore se la temperatura supera i 38-38.5 gradi centi» SEGUE gradi.
Neuraminidasi
Emoagglutinina
stati e continenti diversi), a seconda del suo grado. Il virus B ha una scarsa mutazione antigenica e normalmente l’uomo possiede un certo grado di immunità verso questa forma virale. 21
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MEDICO DI FAMIGLIA » Va
chiarito che la febbre è un mezzo di difesa del nostro organismo dal virus: la temperatura che si alza contrasta la replicazione virale e quindi non è necessario abbassarla subito, a meno che non vi siano altri problemi di salute, oppure vi sia ad esempio nei bambini la predispozione con febbre ad episodi convulsivi. Non è consigliata l’assunzione di aspirina da parte dei bambini e degli adolescenti, onde evitare la Sindrome di Reye. Non assumere alcool ed astenersi dal fumo. Si devono assumere sintomatici per quanto riguarda la tosse, il mal di gola ed i dolori osteo-muscolari, alimentarsi con cibi anche solidi se l’appetito è conservato, ma soprattutto avere la pazienza di aspettare che il nostro organismo inizi a “contrastare” e”vincere” l’infezione virale. Qualora i sintomi perdurino per più giorni è bene, il terzo o quarto giorno, consultare il proprio Medico di fiducia per un’attenta valutazione su possibili complicanze. Non dobbiamo dimenticare che l’influenza, patologia ad eziologia virale, può favorire sovra infezioni batteriche che possono dare polmoniti, bronchiti, sinusiti ed otiti. Se il
paziente è un soggetto a rischio (bimbi molto piccoli, pazienti anziani e defedati, con patologie cardiache o polmonari, renali, ematiche, metaboliche, endocrine e/o condizioni morbose che determinino una diminuzione del potere immunitario) oltre ai consigli sopra citati deve continuare le terapie già in essere per le patologie croniche, consultare il Medico di fiducia se la sintomatologia dovuta a queste tende a peggiorare (ad esempio dispnea, sudorazione profusa con astenia profonda, tosse produttiva con espettorato purulento, incapacità ad idratarsi e/o alimentarsi, dolori atipici etc.) e ricordare che le complicanze vanno valutate con attenzione da personale qualificato. Può essere necessaria una terapia antibiotica, una terapia di supporto alle funzioni vitali ed in questo caso si rende necessaria la valutazione medica. Una citazione a parte merita l’uso dei farmaci specifici antivirali: affinchè siano efficaci, bisogna assumerli alla comparsa dei sintomi. La risposta alla terapia è pari alla loro prontezza d’uso. Tendenzialmente alleviano i sintomi e riducono il periodo di inabilità. Il loro uso può essere da limitare, poiché è impossibile prevedere quale grado di resistenza potranno presentare verso ceppi pandemici futuri.
Cosa può succedere Nella maggior parte dei casi dopo una settimana il paziente sta meglio e ricomincia una vita normale. E’ chiaro che è stato colpito da una forma virale quindi ci vorrà qualche giorno di convalescenza per sentirsi di nuovo in forma. I pazienti anziani tenderanno alla facile affaticabilità quindi dovranno evitare l’allettamento prolungato concedendosi solo qualche ora di riposo durante la giornata, dovranno idratarsi sempre adeguatamente, controllare i parametri vitali come ad esempio pressione arteriosa, frequenza cardiaca, saturimetria e potrà essere necessaria un’integrazione con polveri ad alto contenuto energetico di proteine e/o carboidrati nonchè complessi di vitamina B12 e Sali minerali. 22
Come prevenire Si può diminuire il rischio di infezioni con alcune norme igieniche di base e fondamentalmente con la vaccinazione antinfluenzale. Le persone che contraggono l’influenza sono maggiormente contagiose tra il secondo e terzo giorno dopo l’infezione e l’infettività dura circa 7-10 giorni. Il contagio in genere avviene attraverso le goccioline di saliva ed il contatto delle nostre mani con le superfici contaminate, mani che poi portiamo alla bocca e/o alle nostre mucose (occhi, naso). La diffusa credenza che l’influenza sia collegata all’esposizione a temperature rigide è sbagliata, sebbene gli stress di natura fisica possono contribuire ad abbassare le difese immunitarie. Lavarsi sempre con acqua e sapone, in particolare dopo aver tossito, starnutito, essersi soffiati il naso, e prima di andare a pranzo. Strofinarsi le mani per un buon periodo di tempo (insegnare ai bambini di contare fino a venti), sciacquarsi bene ed asciugarsi con cura. Tossire o starnutire in un fazzoletto di carta e se possibile gettarlo in un contenitore subito dopo. Non utilizzare per mangiare piatti, bicchieri o posate usati da altri. Mantenere pulite le superfici come maniglie, interruttori, telefoni, tastiere, tavoli o altre superfici comuni: l’alcool è un agente disinfettante efficace, mentre l’uso di ammoniaca quaternaria può essere combinata con alcool per incrementare la durata dell’azione disinfettante. L’ipoclorito di sodio è usato per la disinfezione delle stanze o degli arredi dove hanno soggiornato pazienti con influenza. L’isolamento a casa è una misura di prevenzione generale dalla diffusione delle malattie infettive. Può essere utile l’uso di mascherine igieniche, sia se si assiste un paziente con sintomi di influenza, sia se si è ammalati e si viene a contato con persone “fragili”.
La vaccinazione Vaccinarsi rimane la maniera migliore per prevenire e combattere l'influenza, sia perché si aumentano notevolmente le probabilità di non contrarre la malat-
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MEDICO DI FAMIGLIA tia, sia perché, in caso di sviluppo di sintomi influenzali, questi sono molto meno gravi e, generalmente, non seguiti da ulteriori complicanze. Il vaccino è raccomandato per tutte le persone a rischio di complicazioni secondarie a causa dell'età o di patologie, come disordini cronici di tipo respiratorio o polmonare, patologie cardiache, malattie metaboliche croniche (diabete mellito, disfunzioni renali, immunodepressione dovuta o meno ai farmaci, patologie emopoietiche, sindrome da malassorbimento intestinale, fibrosi cistica, malattie congenite o acquisite che comportino carente produzione di anticorpi) o quando sono previsti interventi chirurgici di una certa entità. Inoltre, il vaccino è raccomandato per i bambini a partire dai sei mesi d'età ed alle donne in gravidanza che saranno al secondo e terzo trimestre durante l’epidemia influenzale. Infine la vaccinazione è raccomandata per tutti coloro che svolgono funzioni lavorative di primario interesse collettivo o che potrebbero trasmettere l'influenza a persone ad alto rischio di complicanze. Il periodo più indicato per la vaccinazione è quello compreso tra ottobre e la fine di novembre. Per i ritardatari è possibile vaccinarsi anche in dicembre, sapendo che per raggiungere l’immunizzazione occorrono almeno due settimane. Si sconsiglia generalmente di vaccinarsi
con molto anticipo, perché l'immunità data dal vaccino declina nell'arco di 68 mesi e, quindi, si potrebbe rischiare di essere solo parzialmente protetti nel periodo più rischioso (ottobre-febbraio). Le modalità di vaccinazione variano a seconda dell'età: generalmente, per i bambini sotto i 12 anni, si consigliano due dosi di vaccino da praticarsi a distanza di almeno quattro settimane, mentre per i soggetti più grandi è sufficiente una sola dose. La somministrazione è per via intramuscolare e, in tutti coloro con età superiore ai 12 anni, l'iniezione va effettuata nel muscolo deltoide (braccio), mentre, per i più piccoli è consigliato il muscolo antero-laterale della coscia. Il vaccino può essere somministrato per via intradermica (con un ago incredibilmente corto di pochi millimetri) che sfrutta i particolari meccanismi immunitari che si attivano appena al di sotto dello strato di pelle. Se si acquista personalmente il vaccino in farmacia, è importante ricordarsi di conservarlo in frigorifero, a temperature comprese tra i +2° e +8° C. Generalmente, la vaccinazione conferisce una piena immunità nel 75% dei casi, il rimanente 25%, invece, anche se contrae l'influenza sviluppa sintomi lievi. Poiché la protezione dura circa 6-8 mesi ed i ceppi in circolazione vanno incontro a mutazione genica è necessario ripetere la vaccinazione all'inizio di ogni stagione influenzale. L'inoculazione del vaccino influenzale
non provoca generalmente effetti collaterali di rilievo; in alcuni casi si possono manifestare, nella zona di inoculazione, lievi reazioni cutanee locali (arrossamento, gonfiore) di breve durata, per un massimo di 48 ore. Il vaccino contiene solo virus inattivati (uccisi) o sue parti, quindi non può provocare sintomi influenzali. Tuttavia, a volte, soprattutto quando il soggetto non ha avuto precedentemente alcun contatto con il virus influenzale, è possibile che, a distanza di 6-12 ore dalla vaccinazione, compaiano sintomi di tipo influenzale (febbre, dolori muscolari, mal di testa, brividi) in forma molto attenuata e transitoria, per un massimo di 48 ore. Reazioni allergiche immediate (orticaria, angioedema, asma) sono generalmente dovute ad ipersensibilità alle proteine dell'uovo, contenute nel vaccino in quantità minima. Come precauzione, è meglio evitare di sottoporsi alla vaccinazione se sono in corso processi febbrili. Non è controindicata se sono presenti infezioni minori delle vie respiratorie. E' fortemente sconsigliata a chi è allergico alle proteine dell'uovo, anche se presenti nel vaccino in quantità minima. Da anni nella nostra regione la vaccinazione antiinfluenzale è compito dei Medici di Medicina Generale e dei Pediatri di libera scelta. Questi rimangono gli interlocutori più adeguati per una risposta mirata ed esaustiva alla richiesta da parte dei pazienti per effettuarla. FINE
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SALUTE
Le tante facce della
DEPRESSIONE Dalle emozioni di tristezza che è naturale incontrare lungo il proprio percorso esistenziale, ai segnali di una condizione che può diventare patologica e alterare la qualità della vita di una persona.
Dott.ssa
Cinzia Cesari
Psicologa e psicoterapeuta Maria Cecilia Hospital Cotignola
Un bambino piange disperato davanti al suo giocattolo rotto; l’impiegato dell’ufficio postale vicino casa si mostra sempre più aspro e irascibile nei confronti dei clienti; un nostro collega di lavoro ride e scherza scioccamente dopo il terzo caffè corretto bevuto a colazione; una cara amica da un mese è chiusa in casa a piangere dopo che il marito l’ha lasciata… Quale di queste situazioni del quotidiano ci inducono a pensare maggiormente alla depressione? Nessuna? Quelle dove più evidenti appaiono i sentimenti di tristezza e commozione, o forse quelle che ci sembrano dover perdurare nel tempo? La depressione ha tante facce che possono rendere difficile riconoscerla, tanto più quando sono coperte da una maschera di quiescenza e normalità o esprimono sentimenti apparentemente opposti a quelli che ci aspetteremmo. Certamente il termine è di uso molto comune, tanto 24
che utilizziamo identificare con esso momenti della storia personale che tutti noi possiamo ricordare di aver vissuto, come reazione a un evento particolare, ma anche condizioni di vera e propria malattia. E’ importante porre le giuste differenze per non esaltare, da una parte, il significato evolutivo di emozioni di tristezza e infelicità che è naturale incontrare lungo il proprio percorso esistenziale, e nello stesso tempo non sottovalutare i segnali di una condizione che può rischiare di diventare patologica e alterare in modo significativo la qualità della vita di una persona e di tutti coloro, generalmente i familiari, che le sono vicini.
L’esperienza del dolore Partiamo dalla considerazione che l’esperienza del dolore è un aspetto integrante della nostra esistenza. La gamma di emozioni che ci è dato provare come essere umani è molto
ampia. Insieme alle emozioni a valenza positiva, come quando ci sentiamo felici, sereni, allegri, eccitati, ne possiamo ricordare tante a valenza negativa
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che proviamo ad esempio quando ci sentiamo tristi, impotenti, delusi, spaventati, arrabbiati, pieni di vergogna. Solitamente accettiamo di buon grado le prime, mentre tendiamo a difenderci dalle seconde, considerandole eccessive, inadeguate o troppo dolorose. La reazione nei confronti delle stesse è quella di soffocarle all’interno del nostro animo, di minimizzarle nel significato, di contrastarle con forza, con il risultato di non riconoscerle nella loro essenza e di non dare loro “espressione”. Di fronte all’accadimento in cui il fidanzato di cui sono innamorata mi lascia, per fare un esempio, potrò raffreddare l’emozione e razionalizzare l’evento dicendo: “tanto è un cretino, che non mi meritava...”, oppure diventare ostile e adottare ogni sistema per vendicarmi… o invece piangere sul mio dolore, riconoscendo la ferita provocata da questa separazione e riuscire a comprendere meglio me stessa e cosa è successo. Per quanto può sembrare paradossale, un’esperienza di frustrazione adeguatamente elaborata può migliorarci sul piano personale e diventare motivo di crescita personale, portandoci, per rimanere nell’esempio, ad una scelta più consapevole del proprio compagno di vita.
altri diventa poco interessante e altrettanto insignificante l’immagine che si rimanda all’esterno. Invece di riconoscere il sentimento di vuoto e tristezza, si potrà in alcuni casi diventare irritabili, aggressivi e arroganti, proiettando su chi ci sta vicino tutto il disagio personale di cui non si riesce a farsi carico e magari per alleviare lo stesso disagio si comincerà ad eccedere con l’alcol - che funge da ottimo anestetico psicologico, se non fosse che provoca una deleteria dipendenza e serissimi problemi di salute - o a raddoppiare il numero delle sigarette fumate in una giornata. Anche dietro un aspetto compulsivo che al giorno d’oggi porta tante donne, soprattutto, ad acquistare continuamente qualcosa, riempiendo la casa di trucchi e vestiti che non si avrà mai il tempo di utilizzare, o nell’assunzione ricorrente di dolciumi o di snacks salati, può nascondersi l’esigenza di colmare un vuoto interiore che prende origine da qualcosa che forse si sa individuare ma che non si riesce ad affrontare. La tendenza depressiva si accompagna infatti a sentimenti di scarsa autostima e in generale a un senso d’impotenza rispetto alla possibilità di realizzare degli obiettivi personali o cambiare qualcosa nella propria vita che non ci sta più bene. » SEGUE
La dimensione depressiva Non riuscire ad elaborare e a dare significato alle proprie esperienze di dolore, non riconoscerle come reazioni più che adeguate in determinate situazioni, può pian piano condurre verso una dimensione depressiva, capace di strutturarsi in modo sempre più rigido e inalterabile, fino a determinare una vera e propria condizione patologica. Sulla strada della depressione si perde lo slancio vitale che porta a guardare sempre in avanti - come è naturale che sia - e a non sentire più la vita come incessante possibilità di sviluppo e miglioramento. Si cominciano a vivere le cose con sempre maggiore fatica e pesantezza, e perdendo ogni buon proposito ci si accascia su sé stessi. Tanti aspetti della propria esistenza perdono di significato, il rapporto con gli
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SALUTE » Di
queste dinamiche si può non avere consapevolezza, perché questa già sarebbe una soluzione, fino a perdere di vista i propri desideri irrealizzati e le personali aspirazioni che a un certo punto non si riesce più neanche a definire. Come effetto di ciò può insorgere un crescente malessere, sempre più inesorabile, inequivocabile e a cui non si riesce a dare una giustificazione. Non di rado capita che una persona depressa dica: “No so, in famiglia stanno tutti bene, ho il mio lavoro, la mia casa, non mi manca nulla in fondo, non capisco perché sto così male…”. Il fatto è che sul piano psicologico si riesce a mettere in atto un’abile capacità di mentire a sé stessi, non riconoscendo i nodi problematici della propria esistenza. Assecondando valori comuni in cui però non ci identifichiamo, o perseguendo progetti che altri hanno pensato giusti per noi, siamo capaci di cucirci addosso un vestito che solo apparentemente ci piace e che invece, in fondo, sentiamo veramente scomodo. Quanti mariti sono stato scelti perché: “… era così un bravo ragazzo!” e quante professioni intraprese dal momento che “… era la più giusta per i propri genitori”. Altre volte si conosce bene l’origine del problema, ad esempio un lavoro che non ci sta più bene, ma non si riesce a trovare gli strumenti, e il coraggio forse, per operare un reale cambiamento che pur si desidera, adeguandosi ad una situazione che invece di vivere pienamente e con soddisfazione si sopporta e si subisce con conseguenze inevitabili, a lungo andare, sul piano del benessere psicologico. Se da una parte può essere difficile risalire all’origine del proprio disagio, altre può essere difficile riconoscerne l’effetto. Può succedere, ad esempio, che la depressione si presenti sottoforma di sintomatologia somatica, situazione nella quale l’alterazione dell’umore è nascosta dietro problemi fisici, spesso un disturbo algico, condizione in cui l’incremento del dolore fisico diventa fortemente invalidante.
Scavare in profondità La motivazione evidente alla base del proprio malessere può, in alcuni casi, rappresentare solo la punta di un icerberg che nasconde una problematica ben più importante e profonda. Si può, ad esempio, essere molto contrariate del fatto che il proprio marito non ci aiuta mai in casa o non ci fa mai un gesto carino, non riconoscendo che alla base di questo fastidio c’è una crisi relazionale ben più profonda. Spesso non è sufficiente trovare un’alternativa per risolvere una situazione pur evidente; per un uomo che cada in seria depressione in seguito al pensionamento, per fare un esempio di un evento frequente, può non essere sufficiente sostituire il lavoro con altre attività di svago. Ragionare in termini di soluzione pratica per contrastare una situazione depressiva può essere 26
completamente fallimentare, e dopo tanti sforzi fatti per aiutare una persona può provocare un grosso senso di frustrazione negli stessi familiari. Sicuramente non esistono motivi che giustificano più di altri una caduta depressiva, così potremmo vedere una persona che dopo qualche mese da un grave lutto ritorna alle proprie attività recuperando pienamente il significato e il valore della propria esistenza e potremmo invece sorprenderci alla morte di un ragazzo che si uccide in seguito ad una bocciatura, motivo che ai più potrebbe apparire banale. Questo perché ogni situazione può rivestire un preciso significato e generare una risonanza emotiva molto diversa in ognuno di noi, ma anche perché, al di là dell’evento oggettivo, ci può essere una maggiore predisposizione alla depressione e/o una maggiore fragilità psicologica sul piano dell’equilibrio personale e della capacità di tollerare le frustrazioni.
Prenderci cura di noi stessi Situazioni simili a quelle citate possono risolversi da sole o innescare invece un meccanismo perverso di lenta autodistruzione, quella che porta alla perdita di interesse per la vita, alla pari di un battello che senza più remi o motore e in balia delle correnti è destinato ad andare alla deriva. Impariamo a riconoscere e a giudicare questi aspetti non come disturbi da cancellare, ma come piccole spie del nostro mondo interiore che ci segnalano che qualche volta può essere utile fermarci a riflettere su quanto ci sta succedendo, per prenderci cura di noi stessi anche di fronte alle situazioni più difficili che ci possono capitare. Non possiamo sapere quante tempeste incontreremo nel nostro futuro, quante onde dovremo cavalcare, se il mare sarà agitato o se ci troveremo in una situazione di costante bonaccia, ma in qualsiasi momento della nostra vita, per continuare in questa metafora, possiamo decidere di riprendere in mano il timone, scegliere la direzione verso la quale orientarci e decidere di fare quanto possibile per raggiungerla. Non sottovalutiamo quindi la possibilità di chiedere un aiuto specialistico, facendo attenzione a valutare la possibilità di associare sempre ad un eventuale supporto farmacologico di pertinenza psichiatrica - a volte indispensabile, altre volte no - un percorso di sostegno psicologico di pertinenza dello psicoterapeuta che parallelamente o autonomamente può aiutare la persona a rielaborare il senso del proprio disagio. La vita in fondo non è che un interminabile percorso di conoscenza e di esperienza e quanto c’è di più bello che conoscere sempre meglio sé stessi? Questo potrà a volte farci soffrire, ma non ci lascerà mai delusi, perché ci porterà sempre a scoprire l’immensa ricchezza che si nasconde in ognuno di noi. FINE
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Adottare dopo l’impregnazione
I NOSTRI AMICI ANIMALI
Adottare un cucciolo? Ecco le regole da seguire
Dott.
Maurizio Santarini
Medico Veterinario, Ravenna E-mail: maurizio.santarini@gmail.com
Claudia Serena Monghini Educatore cinofilo, Ravenna E-mail: c.serenamonghini@gmail.com
L’adozione di un cucciolo rappresenta un evento da affrontare con attenzione e ponderatezza. Si tratta di una scelta onerosa, sia in termini di tempo, sia in termini economici, che richiede responsabilità e consapevolezza, poiché implica il rispetto dei diritti del nostro amico a quattro zampe e l’assunzione di precisi doveri da parte nostra nei suoi confronti per un arco di tempo molto lungo. Il cucciolo è un essere vivente e come tale prova emozioni, possiede sentimenti e una propria personalità che può essere influenzata, in positivo o in negativo, da diverse variabili come l’ambiente e la famiglia in cui viene inserito. E’ bene considerare a priori che accudire un cucciolo costa fatica ed impegno, in quanto va seguito quotidianamente, alimentato, curato ed educato nella migliore maniera possibile, esattamente come faremmo con un “cucciolo d’uomo”. Solo dopo aver valutato ed accettato questa responsabilità potremo aprirci ad un’esperienza fantastica, dalla quale avremo in cambio il bene prezioso di un amore e una fedeltà incondizionati. Di solito ci possono essere due modi in cui avviene l’incontro; il primo è la casualità: capita infatti di imbattersi in un trovatello o in un randagino nei confronti del quale scocca il “colpo di fulmine”. Il secondo è quello di una decisione premeditata, che implica tutta una serie di considerazioni sulla scelta della specie, razza e sesso. 28
Indipendentemente dalla modalità con la quale un cucciolo arriva nella vostra famiglia, quello a cui bisogna essere preparati è la strada che percorrerete insieme dal momento in cui il nuovo amico giunge in quella che sarà la sua dimora per lunghi anni. Si ricorda che è un grosso errore adottare un cucciolo prima della ottava o nona settimana di vita, perché non gli si lascia la possibilità di interagire con la madre e i fratelli, impedendo quello che è il primo dei processi di apprendimento detto impregnazione; processo che attraverso il gioco consente di gettare le fondamenta della comunicazione intraspecifica e di adottare un giusto comportamento esplorativo nei confronti del mondo che lo circonda. Nelle prime settimane di vita si verifica la cosiddetta esplorazione a stella, nella quale il punto di riferimento resta sempre la madre, la cui presenza attenta e affettuosa permette di calmare e rassicurare i cuccioli, accompagnandoli alla scoperta del mondo circostante, fino a quando i diversi stimoli presenti nell’ambiente diventino familiari e quindi non suscitino reazioni negative quali ansia o paura.
Questo rappresenta la base imprescindibile per avere successivamente un corretto grado di socializzazione interspecifica, che riguarda l’interazione con ogni altro soggetto di specie diversa, uomo compreso. La carenza parziale o totale di queste interazioni, così come l’eccessiva sovrastimolazione del cucciolo in assenza della mediazione materna, può portare a disturbi del comportamento più o meno gravi, a volte difficilmente risolvibili, come le fobie nei confronti di stimoli verso i quali i cuccioli non siano stati adeguatamente sensibilizzati (estranei, temporali, botti, ecc.) o comportamenti di
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paura, che possono sfociare in atteggiamenti di minaccia o reazioni di aggressività.
I primi approci casalinghi Una volta arrivato a casa, il cucciolo va lasciato libero di esplorare il territorio a sua disposizione, così da prendere confidenza col nuovo ambiente. La nostra presenza, sempre discreta e mai assillante, diventerà per il cucciolo il riferimento sostitutivo di quello materno, gettando le basi per un rapporto costruito sulla fiducia; mettiamogli a disposizione una cuccia o una brandina, la ciotola dell’acqua e qualche gioco, facendo attenzione che non ci siano oggetti che il cucciolo possa ingerire. E’ anche importante adottare un corretto comportamento, considerando che gli animali comunicano essenzialmente col linguaggio del corpo, quindi cerchiamo di evitare rumori forti, urla e movimenti esuberanti, che avrebbero il solo risultato di intimidire o di recare fastidio al cucciolo, approcciamoci a lui con movenze e tono di voce pacati, cerchiamo da subito di premiare ogni comportamento che vogliamo enfatizzare e ignorare i comportamenti a noi sgraditi. E’ corretto che ogni componente della famiglia adotti atteggiamenti simili nei confronti del cucciolo, in modo da non generare in lui confusione. E’ poi indispensabile instaurare regole chiare ed essere coerenti fin da subito nella gestione delle risorse primarie del nostro nuovo amico: cibo, spazi, compagnia e gioco. I cuccioli in buono stato di salute dovrebbero essere allegri, giocherelloni, curiosi, mangiare con appetito, produrre feci ben formate ed avere un pelo folto e lucido.
La visita del veterinario Il passo successivo, dopo qualche giorno di ambientamento, consiste nella prima visita dal veterinario. La figura del medico veterinario rappresenta un trait d’union tra il cucciolo e il proprietario; sarà colui che si occuperà della salute del nostro piccolo amico e che saprà fornire tante informazioni utili ai
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RAVENNA - Via Romea, 121 - Tel. 0544.61068 proprietari. I primi di questi interventi riguardano la visita generale, il controllo dei parassiti intestinali e degli eventuali parassiti esterni come pulci e zecche, la programmazione del ciclo vaccinale e della profilassi filaria nelle zone a rischio, nonché l’inserimento del microchip (obbligatorio per legge) qualora il cucciolo non ne sia già provvisto. Anche l’alimentazione rappresenta un punto cardine; deve essere corretta ed equilibrata, con apporti proteici e vitaminici adeguati all’età e alla taglia, per permettere al cucciolo un corretto accrescimento e un armonico sviluppo fisico. Ma prendersi cura della salute e del benessere del cucciolo, non significa solo curare l’aspetto igienico sanitario. Significa saper comprendere e soddisfare anche le esigenze di interazione sociale, di arricchimento ambientale, di stimolazione mentale e sensoriale e tanto altro! In quest’ottica risulta molto importante l’educazione del cucciolo, intesa sia come apprendimento, da parte di tutti, di modalità comunicative e di relazione che vadano a sviluppare e rinforzare il corretto rapporto uomo-animale. Il momento ideale per iniziare un percorso educativo è quello che precede la scelta del cucciolo: la valutazione delle nostre aspettative e del contesto nel quale si troverà a
vivere si rivela una strategia utilissima per non trovarsi poi in difficoltà nella gestione del nuovo arrivato. Non bisogna quindi sottovalutare l’aiuto prezioso che i professionisti del settore cinofilo (veterinari, educatori, allevatori) possono offrire a chi è in attesa del primo cucciolo.
L’apprendimento divertente Quando il veterinario ha terminato le vaccinazioni, il cucciolo è pronto per andare alla scoperta del mondo in nostra compagnia; già dall’età di tre mesi lo si può portare alle puppy class (classi di cuccioli), percorsi educativi studiati per favorire un corretto sviluppo comportamentale, incentivare la relazione col proprietario, prevenire i più comuni problemi di gestione, facilitare la socializzazione ambientale, nonché quella coi propri simili. Durante questi incontri il cucciolo apprende in maniera divertente a rispondere al richiamo, ad andare al guinzaglio, a stare tranquillo vicino al proprietario anche in presenza di altri cani. La figura dell’educatore cinofilo è sempre più spesso affiancata a quella del medico veterinario ed entrambi mettono in campo le rispettive competenze per il perseguimento dell’obiettivo comune: il benessere del FINE cane. 29
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CARDIOLOGIA
Il soffio al cuore Se lo conosci, non ti spaventa E’ prodotto da vortici di sangue che si creano nel cuore o nei grandi vasi (aorta o polmonare). Ma nel 90 per cento dei casi è innocente. Dott.
Flaviano Jacopi
Specialista in cardiologia e medicina dello sport Direttore sanitario Astrea Medical Center - Faenza E-mail: flaviano.jacopi@fastwebnet.it
Dopo quarant’anni di professione, posso affermare che di tutte le problematiche cardiologiche, quella che ancora oggi incuriosisce e mette maggiormente in apprensione i non addetti ai lavori è il cosidetto “soffio al cuore”. Probabilmente questo termine evoca timori e preoccupazioni che sicuramente risalgono al secolo scorso, in un’epoca in cui il più raffinato mezzo diagnostico era il fonendoscopio o addirittura lo stetoscopio, col quale il soffio viene percepito dal medico. Il rilievo di un soffio, in anni in cui la malattia cardiaca reumatica era molto comune e diffusa, sicuramente era segno e sintomo probabile di patologia in atto. Oggi il soffio è una entità ben studiabile, ben inquadrabile e, generalmente, molto meno drammatica di un tempo.
Cos’è un soffio al cuore Quando si ascolta il cuore col vecchio e sempre indispensabile fonendoscopio, si ascolta il primo tono, tum, e dopo una breve pausa, la sistole, si sente il secondo tono, tam. Tra il tam e il tum successivo c’è una pausa più lunga, che è la diastole. Un soffio è un rumore sbuffante, o meglio… soffiante, che si pone tra il primo e il secondo tono, soffio sistolico, o tra il secondo tono e il primo successivo, soffio 30
diastolico. Un soffio ha caratteristiche particolari che riguardano l’intensità, graduata da 1/6 (soffio debolissimo, difficile da udire) a 6/6 (soffio fortissimo, udibile anche senza appoggiare il fonendoscopi sul torace); la lunghezza e la spaziatura (protosistolico, meso sistolico e telesistolico, a seconda se è all’inizio, a metà e alla fine della sistole, ma può essere anche olosistolico, ovvero occupare tutta la sistole); il timbro (soffio rude, dolce, alitato, pigolante, a grido di gabbiano ecc.); l’irradiazione (un soffio può avere l’epicentro in un punto e irradiarsi sul torace e verso il collo o il dorso).
Come si genera
velocità del sangue). Mentre tutti i soffi organici sono patologici, la maggior parte di quelli funzionali sono innocenti. Le patologie cardiache che si associano al soffio sono le valvulopatie (un tempo reumatiche, oggi generalmente degenerative), le cardiopatie congenite, le miocardiopatie dilatative e ipertrofiche, molto frequentemente le cardiopatie organiche con scompenso. Invece il soffio innocente in genere è protosistolico, di lieve entità, non irradiato, spesso attenuato o abolito mettendo il paziente in piedi, è “capriccioso”, nel senso cha a volte si sente e a volte no. E’ il soffio più comune: oltre il 90 per cento dei rilievi.
Il soffio è prodotto da vortici di sangue Arteria carotide che si creano nel cuore o nei grandi vasi sinistra Arteria (aorta o polmonare). Questi vortici posbrachiocefalica sono essere generati dal passaggio cava del sangue attraverso un orifizio Vena superiore troppo stretto (stenosi valvolari), o più semplicemente da aumen- Arteria polmonare tate velocità del sangue per tachicardia, o sforzo o per Valvola tricuspide aumentata fluidità (anemia). Ma non tutti i soffi sono patologici, anzi, come vedremo, la maggior parte sono innocenti. A seconda del meccanismo che origina il soffio, questo può essere organico (provocato da una lesione valvolare che determina un’ostruzione o un reflusso, o ancora un abnorVena cava me passaggio da una cavità ad inferiore Corde tendinee un’altra) o funzionale (determinaMuscoli papillari to solo da un aumento di flusso o di
Arteria succlavia sinistra
Arteria aorta
Valvola semilunare polmonare Valvola mitrale Setto interventricolare
Ventricolo destro
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Di solito è generato a livello della valvola polmonare. Difficilmente un soffio diastolico è innocente.
Cosa fare quando si scopre di averlo Queste le regole da seguire quando si scopre di avere un soffio. Primo: non spaventarsi, perché come visto la maggioranza dei soffi è innocente. Secondo: se il medico curante non può confermare l’innocenza del reperto, è raccomandabile una visita specialistica cardiologia con elettrocardiogramma. Il cardiologo, sulla base degli elementi raccolti, deciderà se eseguire o meno un ecocardiogramma, che risulterà determinante per la
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diagnosi finale. Raramente servirà un Rx torace. In genere in queste situazioni non c’è nessuna urgenza, a parte le ansie individuali incontrollabili. In linea di massima, se il paziente sta bene, non accusa fatica a respirare, dolore toracico, batticuore o vertigini, i normali tempi di attesa sono sufficienti. Ribadisco che la cosa migliore è la consulenza col cardiologo che, se necessario, accelererà i tempi per gli ulteriori accertamenti.
In conclusione Il soffio al cuore è una entità ben nota, studiabile e valutabile. Nel 90 per cento dei casi è innocente, nei rari casi
patologici, è generalmente legato a patologie ben note e curabili. Spesso poi, anche i soffi organici, sono legati a patologie valvolari di modesta entità. Credo che più del soffio siano altre le problematiche cardiologiche che devono preoccuparci, ma ne parFINE leremo nei prossimi incontri.
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BELLEZZA
LIPOSUZIONE Eliminare il grasso in eccesso in alcune parti del corpo è un problema comune a tanti. Questa tecnica mini-invasiva consente di rimuovere le cellule adipose con un risultato permanente, se il peso viene mantenuto costante nel tempo. Com’è l’intervento
Dott.
Lauro Di Meo
Chirurgia Plastica, ricostruttiva ed estetica Ravenna Medical Center E-mail: laurodimeo@libero.it
La liposuzione è un metodo sicuro ed efficace per rimuovere localmente i depositi di tessuto adiposo indesiderati. Molti individui soffrono della presenza di grasso in eccesso in aree considerate non attraenti sotto il profilo estetico. Le donne tendono ad accumulare gli eccessi adiposi secondo i tipici modelli di distribuzione intorno alle anche, alle cosce ed alla parte inferiore dell’addome. Gli uomini distribuiscono i loro accumuli di tessuto adiposo generalmente sui fianchi e sull’addome. Come è noto, è molto difficile eliminare con la dieta o l’esercizio fisico il grasso accumulato in queste aree, in quanto essi esplicano i loro effetti sull’intero organismo, producendo risultati modesti su tali ostinate adiposità localizzate. La liposuzione permette di rimuovere le cellule adipose, causando una diminuzione del numero di cellule in grado di immagazzinare grasso. Tale effetto può essere permanente se il peso viene mantenuto costante nel tempo. Aumenti di peso successivi all’intervento comportano il deposito di tessuto adiposo soprattutto nelle aree non operate e minimamente in quelle già trattate. 32
In base a queste considerazioni, il candidato ideale per la lipoaspirazione da cui può trarre grandi benefici è il soggetto giovane o di mezza età, con un peso corporeo vicino a quello ideale di base all’altezza, in buona salute e con buona elasticità cutanea. L’intervento si esegue in anestesia generale o loco-regionale con sedazione in regime di day-surgery (chirurgia di giorno). Prima di iniziare ad aspirare il grasso si inietta nelle aree da trattare una soluzione che facilita l’asportazione delle cellule adipose e ne limita il sanguinamento. Attraverso poche e piccolissime incisioni prossime alle aree da correggere viene introdotta una cannula che raggiunge il grasso e che, con movimenti di va e vieni, lo aspira, in quanto collegata ad un apparecchio aspirante. Al termine dell’intervento le piccole incisioni verranno chiuse mediante l’applicazione di cerotti e/o piccoli punti riassorbibili, quindi verrà fatta indossare una guaina elastica. Essa dovrà essere portata giorno e notte per circa un mese, per permettere un’omogenea cicatrizzazione. Nei giorni immediatamente successivi all’intervento saranno presenti un certo grado di dolenza diffusa delle zone trattate, che si acuisce alla pressione, e varie ecchimosi, che si riassorbiranno nel giro di 20 – 30 giorni.
Le eventuali complicanze Le complicanze che si possono verificare, in verità rare e comuni ad altri interventi, sono il sanguinamento eccessivo
e l’infezione. Inoltre si può avere temporaneamente un certo grado di gonfiore delle zone trattare per la compromissione delle vie di drenaggio linfatico, ma tutto ciò torma alla normalità nel giro di alcuni mesi spontaneamente o mediante massaggi. Una normale attività fisica quotidiana potrà essere ripresa a distanza di 5/6 giorni dall’intervento. La guida dell’automobile potrà essere ripresa non prima di una settimana e gli sport dopo circa un mese. Dopo 30 giorni si possono effettuare massaggi delle aree trattate in modo da aiutare l’eliminazione del gonfiore ancora presente e l’omogeneizzazione della cicatrizzazione. FINE
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