Enzo Viteritti
Il castello di Corigliano Calabro
Questa versione digitale della guida riporta solo alcuni estratti degli argomenti trattati sulla sua versione cartacea. - Salvatore Algieri -
La descrizione
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I sotterranei
I sempre detti dal popolo “i sotl piano terra del castello, da
terranei” introduce alla storia medioevale del castello, con i suoi cuniculi, le uscite segrete verso l’esterno, gli ambienti fortificati, l’ingresso alle antiche vasche adibite alle acque piovane. I sotterranei percorrono tutto dosi all’esterno attarverso massiccie feroitoie che ben fanno intravedere l’uso difensivo a cui erano adibiti i locali. Al centro, essi racchiudono, ed ancora oggi è ben visibile, la “santabarbara”, il locale più protetto del castello, quello dove venivano
custodite le munizioni. Di grande fascino le cucine di fattura ottocentesca, collegate ai piani superiori da comodi “saliscendi” che fanno immaginare il frenetico lavoro di decine di “serventi” per dar da mangiare prima alle truppe e poi, in epoca moderna, ai signori e ai loro amici. I recenti lavori di restauro hanno anche messo in luce numerose scale in muratura che portavano verso i piani più alti. Da una porticina dal sinistro aspetto, e percorrendo una lunga scalinata in discesa, si arriva alle prigioni del castello. Qui siamo in pieno medioevo. Le nude, scure, umide pietre che delimitano il soffocante locale, raccontano gli stenti e le privazioni cui venivano sottoposti i malcapitati
“giudicati” dal signore del tempo. La presenza di alcuni attrezzi di tortura rende ancora più opprimente l’ambiente, mentre effetti sonori e visivi contribuiscono a creare un’atmosfera di grande suggestione, resa ancora più palpabile dalla sagoma di un frate del Cinquecento imprigionato
Le cucine e il ponte levatoio. A sinistra, le prigioni.
sotto l’accusa di violenza carnale ad una giovane donna. bra comunicare ai visitatori l’angoscia del tormento e della pena, resa ancora più viva dal fatto che l’avvenimento ha trovato riscontro storico nelle carte d’archivio.
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Il mastio l “Mastio” è la torre che si erge, I possente ed isolata, all’ingresso del castello, vicino al ponte levatoio.
Quasi certamente la sua parte inferiore, collegata al Rivellino, costituisce il primo nucleo del castello stesso. Per molti secoli il ”mastio” fu unito al resto della fortezza da un altro ponte levatoio, collocato all’altezza del Piazzale delle Armi, che fu abbattuto e sostituito con un passaggio stabile solo dopo il 1720. Le pareti interne sono tutte affrescate, creando uno di quegli “effetti sorprendenti” che rendono così affascinante il castello di Corigliano. Nessuno infatti si aspetta di trovare decorazioni dai vivaci e piacevoli colori in una torre che per sua natura sembra destinata solo alla guerra di difesa. Gli affreschi sulle pareti interne, ancora ben conservati, furono eseguiti
al primo piano sono ispirate ad episodi delle crociate, tratti dalla Gerusalemme Liberata di Torquato Tasso. Al secondo piano, invece, le pitture murali rappresentano episodi della cristianità e di storia romana, come il tondo dedicato a Muzio Scevola, che brucia la sua mano destra per punirla di aver sbagliato nel colpire il re Porsenna. Agli episodi si alternano quattro allegorie che rappresentano
le virtù cardinali: fortezza, giustizia, prudenza e temperanza. A questa stessa epoca risale la bella scala a chiocciola in ferro, che ne sostituì una realizzata in materiale tufaceo. degli affreschi risponde ad una precisa esigenza politica di casa Compagna impegnata, come tutta la nobiltà delle altre regioni italiane, in un processo di costruzione dell’identità del monumentali venivano privilegiati temi capaci di valorizzare le origini e la storia della giovane nazione (erano passati solo dieci anni dalla conclusione del processo che aveva condotto all’Unità d’Italia), come le battaglie “grandi” della letteratura nazionale: Dante, Ariosto e Tasso. Per il castello di Corigliano Luigi Compagna ed il Varni puntarono sul Tasso per l’interno del “Mastio” e su Dante per la volta della cappella di Sant’Agostino.
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La cappella di Sant’Agostino
SArmi, sotto un austero busto in
ul lato destro del Piazzale delle
marmo di Sant’Agostino, un portoncino introduce nell’omonima settecentesca cappella, ricavata dai Saluzzo nella torre di ponente. Di struttura ottagonale sembra voler riprodurre in forma ridotta il santuario di Schiavonea, sempre rivendicato dagli stessi Saluzzo come appartenenza della famiglia. All’interno è conservato il bene artistico più famoso del castello, un “trittico” di Domenico Morelli risalente al 1872, incastonato in una splendida cornice dorata disegnata da Emilio Franceschi. Il dipinto centrale, su tavola, rappresenta una “Madonna
Antonio Abate” e un “S. Agostino”. Si tratta di un’opera poco nota del grande pittore napoletano, ma la “Madonna”, a giudizio unanime degli esperti, è da considerare sicuramente uno dei suoi capolavori. Per oltre un secolo l’attenzione dei visitatori della cappella fu attratta esclusivamente da questa splendida creazione del Morelli. In alto, infatti, la volta era ricoperta da un uniforme manto di pittura rosata, apposto probabilmente agli inzi del Novecento. Oggi non è più così. La cupola non si presenta più anonima, anzi
offre uno spettacolo straordinario di santi e beati disposti su due ordini in uno splendore di vividi colori. Il restauro del castello, nel 2001, ha restituito alla visione anche le pitture murali eseguite da Girolamo Varni, consentendo anche il ritrovamento data in cui le pitture furono eseguite, 1867 o 1869 (l’incertezza è dovuta alla non completa leggibilità dell’ultimo numero). Giorgio Leone, lo storico d’arte che da anni studia il patrimonio d’arte
di Corigliano, ha potuto osservare l’opera del Varni da distanza ravvicinata. “Si tratta di un buonissimo affresco, – ha poi scritto – con molti ha permesso la forte tenuta del colore al tonachino e fortunatamente garantito la buona conservazione sotto lo scialbo… La stesura pittorica è nitida e brillante, come quella dei bei medaglioni istoriati del torrione; le sovrapposizioni delle tinte e i rapidi tocchi rendono le ombre e sfumano i personaggi nel digradare prospettico verso il fondo.” L’affresco raffigura un nutrito
gruppo di patriarchi, padri e dottori della chiesa greca e latina, santi e sante, apostoli disposti in due ordini sovrapposti che vanno a convergere verso un grande Cristo in gloria, raffigurato seduto, con le braccia allargate a mostrare le mani ferite. Più in alto è il Dio Padre, che sembra in volo sulla calotta sferica, assieme alla simbolica colomba evocativa dello Spirito Santo. La Madonna e San Giovanni Battista sono collocati ai lati del disco in cui è inserito il Cristo, ma leggermente allontanati verso il fondo, tra le nuvole, “dove si dissolvono nel controluce diafano e
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Girolamo Varni Molto poco si sa della vita di questo pittore, che fu di una famiglia di pittori e decoratori sicuramente attivi a Genova verso la metà dell’Ottocento (noto per la pittura di paesaggio è Antonio Varni). Dopo gli studi presso la locale Accademia, passò a Firenze dove, sotto la guida di F. A. von Sturler si avvicinò al Purismo. Suoi affreschi si trovano a Napoli e a Cosenza. A cominciare dal 1853 partecipò con una certa regolarità alla Protomotrice genovese, presentando ritratti e opere a tema sacro o soggetto romantico. Del 1856 è Dante che incontra Piccarda nel cielo della Luna.
colorato”. Accanto al disco crocigero sono anche i quattro Evangelisti. In primo piano, più visibili, sono Giovanni e Marco con i simboli che li caratterizzano, l’aquila e il leone. Matteo e Luca invece sono posti in secondo piano, leggermente sfumati in modo da conferire all’insieme un bell’effetto prospettico, in uno spa-
zio ben precisato rispetto all’intera composizione. cano Mosè con le tavole della legge, Aronne vestito da gran sacerdote, Davide con l’arpa e Giosuè, che condusse gli ebrei verso la terra promessa, bardato di armatura all’antica. Nel giro inferiore, invece, sono tra gli altri distinguibili S. Antonio Abate, molto venerato a Corigliano, e S. Francesco d’Assisi. Sull’ingresso della cappella si trova una piccola donne di casa Saluzzo e Compagna di assistere alle sacre funzioni, incorni-
sparenti e tersi” indica con la mano destra il disco con il Cristo ad un personaggio maschile. Il volto dell’uomo è andato perduto a causa dell’umidità, ma nella composizione è chiaramente riconoscibile Beatrice che accompagna Dante alla soglia del Paradiso. L’intero ciclo pittorico allora, secondo Giorgio Leone, andrebbe ricondotto a precisi riferimenti contenuti negli ultimi tre canti del Paradiso ricollega a quella studiata per la Torre Mastio, con i temi scelti in base alla necessità di esaltare le “glorie” della letteratura italiana. Nella Torre, Torquato Tasso. Nella cappella, Dante Alighieri.
Le visite reali
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La visita di Vittorio Emanuele nel 1891
L presenta plasticamente l’ima visita di un re al castello rap
magine del potere temporale che rende omaggio ad uno dei suoi più superbi simboli materiali. Sono avvenimenti destinati ad essere ricordati dalla comunità per anni, trasformati in racconti che assumo-
la fantasia popolare. Ma spesso queste visite fanno anche parte di
un’accorta strategia di pubbliche relazioni, poichè il signore del castello è sempre pronto a sfruttare l’evento a proprio vantaggio per un rilancio della sua immagine pubblica, per la speranza di affari sostanziosi, per la concreta possibilità di allacciare I baroni Compagna, nel loro castello di Corigliano, ebbero l’onore di ben due visite di principi reali. La prima, nel 1891, fu quella del Principe di Napoli, destinato a diventare re d’Italia col nome di Vittorio Emanuele III. Il Principe arrivò in treno allo Scalo di Corigliano alle 18,04 dell’11 dicembre 1891, accompa-
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gnato dal barone Francesco Compagna. In una sala della stazione, addobbata per l’occasione, ricevette il benvenuto delle autorità locali. Poi si formò un corteo di carrozze che si diresse verso il paese. “La via dalla stazione alla città – raccontò il cronista del periodico locale Il Popolano – era tutta illuminata da fuochi di bengala gh’essa erano dei bellissimi archi di aranci e mirto illuminati. Bello era quello dinanzi lo Stabilimento Oleario Spezzano, più bello quello dello Stabilimento del Conte D’Alife illuminato con luce elettrica e lampadine a diversi colori… Dalla Villa Margherita a Piazza Castello è tutta una galleria con cento e più archi adorni di lampadine alla Veneziana a vari colori e di un effetto mirabile”. Le carrozze proseguivano a fatica, in mezzo ad una grande folla di curiosi che applaudivano e sventolavano bandierine colorate, precedute dalla
In queste due pagine, particolari di un dipinto eseguito da R. Ferrari dopo la visita del Principe. Nella pagina successiva, un ritratto di Vittorio Emanuele e due cartoline d’epoca.
banda musicale cittadina che si mise alla testa del regale corteo. All’ingresso del castello il Principe fu accolto dalle marce trionfali della Banda Musicale di Bari. Salutato con affetto dalla baronessa Maria Compagna e dal senatore Pietro Compagna, venne condotto nel Salone degli Specchi, da dove si affacciò per un ultimo saluto alla folla plaudente ancora radunata nella piazza. L’ospitalità fu naturalmente adeguata al rango dell’ospite, cui venne riservata una camera da letto tappezzata di damasco rosso con materassi di seta e coperta di tessuto londinese imbottita di penne
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