N. 466-468 ottobre-dicembre 2019
euro 15,00
TEMPO PRESENTE
Laura Canali, Porosità di confine
LA SVIZZERA E L’UNIONE EUROPEA * L’ESILIO DI IGNAZIO SILONE * MADAME DE CHARRIÈRE * HEGEL NELLE ALPI BERNESI * PAESAGGIO TRA SVIZZERA E MEDITERRANEO * GRAND TOUR * ITINERARI SUBLIMI * IL PAESAGGIO E L’ANIMA * RICAMI SVIZZERI APPENZELL
r. adam d. galateria d. giugliano f. iannotta c. benocci e. capuzzo a. olivetti a. g. sabatini
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TEMPO PRESENTE
Rivista mensile di cultura N. 466-468 ottobre-dicembre 2019 Atti del Seminario
DA UTOPIA AL XXI SECOLO:
LA SVIZZERA TRA LIBERTÀ E PAESAGGIO (Roma - Biblioteca Angelica - 8 luglio 2019)
RitA AdAm, La Svizzera e l’Unione Europea, p. 3
ANgelo g. SABAtiNi, Ignazio Silone in Svizzera, un intellettuale esule in una terra di accoglienza, p. 6
dARiA gAlAteRiA, Madame de Charrière, lettere di libertà dalla Svizzera, p. 8 dARio giugliANo, Il viaggio hegeliano sulle Alpi bernesi, p. 13
FABio iANNottA, La costruzione del paesaggio tra Svizzera, Italia, Europa e Mediterraneo: segni d’arte e confini di identità, p. 18 CARlA BeNoCCi, Il nuovo Grand Tour alla fine dell’Ottocento: il mito italiano, l’incanto della montagna svizzera alla moda, p. 22 eSteR CApuzzo, Itinerari sublimi, p. 27
AlBeRto olivetti, Henri-Frédéric Amiel: il paesaggio come stato dell’anima, p. 37
CARlA BeNoCCi, I miti turistici europei sui ricami dei fazzoletti svizzeri Appenzell, 1870-1900, p. 41
moStRA CollettivA, La natura madre e matrigna, p. 45 Opere di Laura Canali, Carlo Cecchi, Alberto Olivetti, Vittorio Pavoncello
Questo fascicolo di «Tempo Presente» pubblica, in veste pressoché integrale, gli Atti del seminario sul tema “Da Utopia al XXI secolo. La Svizzera tra libertà e paesaggio” tenutosi presso il Salone Vanvitelliano della Biblioteca Angelica in Roma. L’evento è stato organizzato lo scorso 8 luglio dal Cenacolo di Tommaso Moro in collaborazione, oltre che con la nostra rivista, con l’Ambasciata di Svizzera in Italia, Malta e San Marino e con la Biblioteca Angelica. In occasione del seminario sono state realizzate un’esposizione bibliografica, a cura di Fiammetta Terlizzi, di libri antichi e carte geografiche sulla Svizzera e una mostra collettiva di pittura, presentata da Carla Benocci, sul tema la natura madre e matrigna, nel cui ambito sono state esposte opere di Laura Canali, Carlo Cecchi, Alberto Olivetti e Vittorio Pavoncello. Il Convegno ha approfondito il tema della Svizzera come luogo sicuro e rifugio di esuli politici e religiosi di ogni orientamento, dal Cinquecento ai giorni nostri; come esperienza di democrazia diretta e di interazione tra culture e lingue diverse, fuse nella comune appartenenza confederale; e come prefigurazione di un’Europa condivisa e compartecipata, multietnica e multireligiosa, liberale e anti-autoritaria. Una specifica sezione è stata dedicata alla dimensione artistica del paesaggio, attuata attraverso le opere in esso contenute: land art, giardini, parchi, ma anche paesaggi agricoli, singole architetture, paesaggi urbani, sia intenzionalmente progettati che spontaneamente costruiti. Ogni segno compiuto dall’uomo nel paesaggio diviene parte di esso e contribuisce, in varia misura, a modificare l’identità di un luogo e dunque quella della comunità, locale o globale, che lo abita in modo permanente o lo attraversa in maniera temporanea. Il paesaggio come opera d’arte, pertanto, definisce e al tempo stesso travalica i confini, diviene ‘dimensione di vita’ delle popolazioni, sintesi di valori propri sia della dimensione estetica che di quella etica. Infine, sono stati affrontati i temi del significato e dell’importanza del tradizionale Grand Tour della borghesia e dell’aristocrazia colta europea, dimostrazione della passione per i luoghi celebri della classicità, in particolare l’Italia e la Grecia. Tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento si intensifica l’interesse per le Alpi, che avevano già esercitato un fascino indiscusso su artisti vissuti in epoche precedenti, soprattutto per il paesaggio grandioso e dominante. La visione nuova di questi luoghi, non esclusiva degli artisti ma estesa al “bel mondo”, mostra una predilezione per il pittoresco e il selvaggio. L’avvio di questo cambiamento di gusto si osserva già dal XVIII secolo nei giardini cosiddetti paesistici, divenendo poi una moda che ricerca viaggi e scoperte della “montagna incantata”, con un crescente successo turistico.
Rita Adam*
la Svizzera e l’unione europea È un grande onore che l’Associazione il Cenacolo di tommaso moro abbia voluto riflettere sulla Svizzera come crocevia di idee europee. Non è noto se tommaso moro abbia mai visitato la Svizzera, ma scelse di stampare a Basilea i suoi scritti umanistici, soprattutto la terza e la quarta edizione di Utopia. moro era amico del pittore Hans Holbein il giovane, cittadino di Basilea, che fece un ritratto della famiglia di tommaso moro a londra quando entrambi erano presso la Corte di enrico viii. Queste opere mostrano che la storia svizzera è anche storia europea, e che storicamente le idee e le persone circolavano in modo libero nel continente europeo. Ricorda inoltre che anche la fondazione dello Stato moderno svizzero si inserisce in un contesto europeo. la Svizzera di oggi ha il suo fondamento nella Costituzione federale del 1848, e non è un caso che coincida con l’anno delle rivoluzioni delle forze liberali e democratiche in tutta europa. per la sua posizione geografica centrale, i suoi valori, la sua cultura e le sue lingue la Svizzera è fondamentalmente europea. Non è membro dell’unione europea, ma non è neanche un paese terzo come altri. È partecipe del mercato unico europeo grazie ad un insieme di accordi bilaterali settoriali. la Svizzera è membro del Consiglio di europa, dell’Associazione europea di libero scambio e, dagli anni 1990, ha sviluppato progressivamente la
collaborazione con Bruxelles. per ogni decisione politica di rilievo, in Svizzera si cerca il consenso. Questo vale anche per la politica estera ed in particolar modo per la politica europea. Negli ultimi 170 anni, il nostro sistema politico si è sviluppato sulla base del consenso e del compromesso tra le varie forze politiche. dal 1874 non è stata solo ampliata la democrazia diretta con nuovi strumenti, ma sono stati anche integrati progressivamente nuovi partiti politici nel governo federale, per arrivare ad una coalizione molto ampia comprendente le forze politiche importanti del parlamento, da sinistra a destra. dal 1959 ad oggi, questa formula ha subito solo scarsi cambiamenti. la nostra cultura del consenso permette di prendere in considerazione le minoranze e le opinioni minoritarie. la Svizzera si definisce tramite il rispetto della propria diversità, culturale, linguistica, religiosa e cantonale. Anche i 26 Cantoni sono diversi fra di loro: alcuni sono prevalentemente urbani, altri più rurali. in una votazione popolare nel dicembre 1992, il popolo svizzero respinse l’idea di aderire allo Spazio economico europeo – un passo che avrebbe permesso alla Svizzera di seguire il cammino di Norvegia, islanda e del liechtenstein. Questa decisione spinse il governo svizzero a cercare un approccio bilaterale della relazione con l’unione europea. Fu una scelta che
* Ambasciatore di Svizzera in italia, malta e San marino.
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Rita Adam
permise al nostro paese di sviluppare la cooperazione con l’ue, una strategia che nel corso degli anni fu approvata a più riprese dal popolo svizzero. in questo contesto, furono conclusi accordi bilaterali molto importanti in vari settori, come quello economico, politico, gli ambiti della migrazione, della sicurezza e della ricerca. la Svizzera e l’unione europea beneficiano entrambe di questi accordi bilaterali. la fitta rete di accordi bilaterali e lo sviluppo continuo del diritto europeo hanno portato negli ultimi anni alla necessità di trovare un’intesa sui meccanismi volti a garantire un’applicazione più efficace ed omogenea degli accordi di accesso reciproco al mercato esistenti e futuri. Questa necessità si cristallizzò con dei negoziati fra la Svizzera e l’unione europea su un accordo chiamato “Accordo istituzionale”. un accordo imperniato su quattro assi: lo sviluppo del diritto, la sua interpretazione uniforme, la sorveglianza dell’ applicazione degli accordi e la composizione delle controversie. Nel dicembre 2018 il governo svizzero prese atto del risultato dei negoziati condotti negli ultimi quattro anni e fece svolgere delle consultazioni con i principali attori politici, economici e scientifici in Svizzera. pochi mesi fa, nel giugno 2019, il Consiglio federale ha analizzato il risultato delle consultazioni ed ha ribadito la propria valutazione globalmente positiva sulla bozza dell’Accordo istituzionale. Ha deciso inoltre di approfondire tre aspetti legati alla protezione dei salari e dei lavoratori, agli aiuti di Stato e alla direttiva sulla cittadinanza dell’unione e di coinvolgere i partner sociali ed i Cantoni in questo processo. il Consiglio federale persegue sempre l’obiettivo di concludere un accordo con la Commissione europea, se
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le questioni ancora aperte saranno risolte. Allargando un po’ il contesto, ricorderò che lo scorso mese di maggio i cittadini svizzeri hanno approvato in votazione popolare due importanti questioni legate alla politica europea: uno sviluppo giuridico dell’accordo Schengen in materia di detenzione di armi da fuoco e una riforma della fiscalità delle imprese per rendere il sistema conforme ai canoni europei. una prima versione della riforma era stata respinta nel 2017. volevo quindi concludere questo mio breve excursus su questa nota positiva. prima di passare la parola alle relatrici e ai relatori desidero esprimere il mio apprezzamento al Cenacolo tommaso moro, e in particolare alla dott.ssa Carla Benocci e al dott. Antonio Casu, per aver messo la Svizzera al centro delle vostre riflessioni sulle idee e sui paesaggi europei. Come alcuni di voi già sanno, le iniziative che la nostra Ambasciata ha realizzato con il dott. Casu, nella sua veste di direttore della Biblioteca della Camera dei deputati, sono numerose e di lunga data. Ricordo qui brevemente il convegno di studi internazionale del 2008 “madame de Staël e il gruppo di Coppet” e la mostra “madame de Staël, l’italia e l’europa”, in occasione del secondo centenario dell’edizione italiana dell’opera “Corinne ou l’italie”, nonché la nostra collaborazione nell’ambito delle festività per i 150 anni dell’unità d’italia, per citarne solo alcune. l’altissima qualità del lavoro del direttore Casu e dei suoi collaboratori e delle sue collaboratrici ha sempre garantito un grande successo alle nostre iniziative comuni, permettendo al pubblico di conoscere aspetti inediti della Svizzera Auguro a tutti i presenti una serata stimolante e sono certa che imparerò io stessa delle novità sul mio paese.
Angelo G. Sabatini
ignazio Silone in Svizzera, un intellettuale esule in una terra di accoglienza
il legame tra un intellettuale e la sua terra è sempre profondo, complesso e, in qualche misura, condizionante. ma ciò può verificarsi anche nel rapporto con la “terra d’elezione”, con la seconda patria che il destino gli ha assegnato. Ciò è particolarmente vero per Secondo tranquilli, universalmente noto come ignazio Silone, e i suoi rapporti con la Svizzera, che meritano di essere raccontati. Nel travagliato percorso esistenziale di ignazio Silone la Svizzera rappresenta, infatti, una tappa fondamentale, un approdo fisico ed esperienziale decisivo, che segna un mutamento radicale: a safe harbour, si direbbe oggi, dove l’irrequieto intellettuale abruzzese porta a maturazione una nuova dimensione esistenziale, politica, letteraria. la sua esperienza di scrittore, in particolare, è legata alla nuova patria elvetica dove, alla fine degli anni venti del secolo scorso, è costretto a rifugiarsi a causa della sua militanza comunista, approdando a zurigo, affollato crocevia di finanzieri e di intellettuali, di viaggiatori e di “turisti per caso”, tra i quali non pochi esuli. in questa veste, Silone incontra le prime difficoltà, tuttavia superate grazie alla sostanziale tolleranza ed allo spirito di accoglienza degli svizzeri, che non dimenticherà mai. Nel dicembre del 1930 viene fermato dalla polizia. «dopo lunghe difficoltà, la polizia degli stranieri svizzera mi riconobbe il diritto d’asilo a
condizione che mi astenessi rigorosamente da ogni attività politica e anche da ogni collaborazione giornalistica avente carattere politico», ricorderà nel 1948. i primi anni a zurigo sono tuttavia difficili. «per sbarcare il lunario mi arrabattavo con piccole traduzioni commerciali dal francese o dal tedesco in italiano... Ricordo ancora con disgusto la fatica estenuante spesa attorno ad un catalogo di utensili ad uso di parrucchieri per signora» si legge in altri suoi scritti. e tuttavia nell’ambiente internazionale di una città pulsante di vita come zurigo l’abruzzese riservato – e un poco scontroso – che viene dalla terra dei “cafoni” vive un’esperienza culturale assai ricca di incontri stimolanti e formativi. in quella che descriverà in seguito come una città aperta e cosmopolita, incontra infatti molti autorevoli esuli e intellettuali europei.
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Angelo G. Sabatini
Silone viene così a contatto con una società più aperta ed evoluta, ricca di fermenti intellettuali, anche per la presenza di fuoriusciti di varie nazioni. A zurigo, importante centro della cultura europea e mondiale, fa parte di ambienti letterari di formazione europea; nella patria di C.g. Jung, frequenta circoli della nascente psicoanalisi; si unisce a gruppi di intellettuali esuli antifascisti e antinazisti con i quali progetta e realizza varie iniziative culturali a livello internazionale per continuare la sua azione antifascista e antitotalitaria nell’attività giornalistica e letteraria. Conosce personaggi famosi come Bertolt Brecht, thomas mann e Robert musil, e frequenta assiduamente Bernard von Brentano, Rudolf Jakob Humm e Jean paul Samson. in questo stimolante clima intellettuale rivede non solo le proprie posizioni politiche, ma anche quelle religiose e ritorna alla concezione di un socialismo libertario basato su radici cristiane. Silone, che giovanissimo aveva criticato la Chiesa e se ne era allontanato per l’ostilità del clero verso le tematiche ed i problemi della classe operaia e contadina, per poi abbandonarla definitivamente al momento di abbracciare il marxismo, conosce in Svizzera il socialismo cristiano propugnato da leonhard Ragaz, «il primo pensatore socialista religioso […] considerato quasi alla stregua di un anarchico». in Svizzera, nel socialismo predicato da Ragaz, Silone ha visto che due concezioni apparentemente contrastanti, cristianesimo e socialismo, si possono conciliare. Cultura e spiritualità, dunque, ma non solo. A zurigo l’intellettuale esule incontra anche l’amore: dal 1931 e sino all’inizio del 1933 ha una relazione con
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Aline valangin, pianista, psicoanalista e poi scrittrice, moglie dell’avvocato Wladimir Rosenbaum. la loro casa di zurigo e quella di Comologno divennero presto punti d’incontro di molti intellettuali emigrati. Fu Aline ad adoperarsi per far pubblicare Fontamara. e fu Aline la sua prima lettrice, anche se la loro relazione non era destinata a durare. Nella città elvetica, già allora centro bancario e finanziario internazionale dell’ estremo Nord della Confederazione, la cui storia pre-medievale si riflette nelle pittoresche viuzze dell’Altstadt, il centro storico, e si sviluppa su entrambe le rive del limmat, Silone inizia, dopo brevi soggiorni in ticino e nei grigioni, la sua carriera letteraria: nel 1933 pubblica in versione tedesca il suo romanzo più famoso, Fontamara, che verrà tradotto in diverse lingue e darà notorietà internazionale allo scrittore. il celebre romanzo viene pubblicato dalla casa editrice zurighese oprecht und Helbling. l’edizione in italiano uscirà solo alcuni mesi più tardi. Qui matura una scelta politica e ideale che lo allontana definitivamente, dopo un duro scontro con togliatti, dal partito Comunista d’italia: una svolta ideologica che lo porta a sposare, definitivamente, la causa del socialismo riformista e democratico. una scelta di campo che, tuttavia, non comporta affatto un allentamento della forte pulsione libertaria ed antifascista: la sua opposizione al regime continua ad alimentare la sua produzione letteraria: nel 1934 pubblica Der Fascismus. Seine Entstehung und seine Entwicklung (Il fascismo. Origini e sviluppo) e nel 1938 Die Schule der Diktatoren (La scuola dei dittatori). È del 1937, invece, il suo secondo romanzo, Pane e vino, che
Ignazio Silone in Svizzera, un intellettuale esule in una terra di accoglienza
racconta le vicende dell’antifascista borghese pietro Spina. tornando agli inizi degli anni trenta, la scrittrice Franca magnani, allora bambina, ricorda di averlo conosciuto bene. «Silone veniva spesso a trovarci insieme alla sua compagna gabriella Seidenfeld» ricorda nel suo libro Una famiglia italiana: «fu l’inizio di un’amicizia che durò una vita». l’anno successivo alla pubblicazione di Fontamara, Silone si trasferisce alla germaniastrasse, al civico 53. «Silone abitava da marcel Fleischmann, il suo mecenate, in una villa che sembrava un museo, con quadri di modigliani e picasso. Fleischmann era un ebreo ungherese. ospitò Silone per ben 10 anni, dal 1934 in poi», ricorda darina Silone, la moglie dello scrittore, in un’intervista rilasciata molti anni dopo. i due si conoscono nel 1941 in una biblioteca di zurigo. lei è irlandese ed è venuta in Svizzera dopo essere stata espulsa dall’ italia. Si sposeranno tre anni più tardi. Siamo ormai alla vigilia del secondo conflitto mondiale. Con lo scoppio della guerra, Silone accetta l’invito di assumere la guida del Centro estero del partito socialista italiano, trasferito dalla Francia a zurigo. Con questa scelta Silone torna alla vita politica attiva, attirando su di sé le attenzioni delle autorità elvetiche, che, come noto, vietavano ai rifugiati attività di carattere politico. A causa della sua militanza, Silone conosce il carcere nel 1942, anno della pubblicazione del suo terzo romanzo, Il seme sotto la neve, edito in italiano da una piccola casa editrice che aveva contribuito lui stesso a fondare, le Nuove edizioni di Capolago. per la precisione, è il 14 dicembre del 1942 quando viene arrestato insieme ad
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altri (tra di loro vi era anche pietro pellegrini). l’accusa è di svolgere attività comuniste e anarchiche ai danni dello stato elvetico. il governo svizzero lo condanna all’espulsione. la pena sarà poi commutata in internamento, prima a davos e in seguito a Baden. pur in una situazione di non completa libertà, Silone continua la sua battaglia contro il fascismo dalle pagine de «l’Avvenire dei lavoratori», il foglio socialista di lingua italiana con sede a zurigo, per anni punto di riferimento per l’emigrazione italiana in Svizzera e all’estero. È solo sul finire della guerra che Silone torna in italia e continua con successo la sua carriera letteraria insieme alla sua missione di intellettuale militante e di socialista democratico dando vita, negli anni successivi, alla rivista «tempo presente», fondata nel 1956 con l’amico Nicola Chiaromonte. in tutta la sua esperienza esistenziale in Svizzera si sviluppa, con qualche breve interruzione, per circa quindici anni, dal 1929 al 1944. della Svizzera avrebbe conservato un buon ricordo. lo ha testimoniato lui stesso, in scritti, memorie, conversazioni con amici. già poco prima del suo ritorno in italia, nel 1944, ricordando gli anni trascorsi in Svizzera, Silone ammette che zurigo era diventata per lui una seconda patria: «Qui conto molti buoni amici e là dove sono gli amici, è la vera patria». e, quasi a suggello di un sentimento profondo e di un amore ricambiato con la terra svizzera, dopo la liberazione scriverà: «dovrò vivere a Roma ma, ne sono certo, vi vivrò come un triste profugo zurighese. Quello che più mi piace degli svizzeri, a dire la verità, sono i loro difetti. Che il buon dio glieli conservi!».
Daria Galateria
madame de Charrière, lettere di libertà dalla Svizzera
Con la Rivoluzione francese, Belle de Charrière non scrisse più i suoi squisiti romanzi impalpabili di ambiente svizzero: scrisse pamphlets. le sue idee erano considerate “tiepide”. eppure, il libraio che vendeva quegli scritti per causa loro fu arrestato. “Hanno scoperto il mio stampatore”, scriveva Belle già il 10 gennaio 1788. Nel 1793, l’amico Benjamin Constant le comperò due copie di queste sue observations et conjectures politiques (“vos petites feuilles politiques”, le definisce, scrivendole il 25 settembre) in vendita a losanna sotto il nome di mirabeau – di cui era considerata “sediziosa”, all’epoca, perfino la bruttezza. Nelle Observations, Belle divagava tra lettres de cachet e consigli a luigi Xvi (il raccontino filosofico Bien-né), ma poi, nelle Lettres d’un évêque français à la nation, osservava che dopo l’emancipazione del terzo stato, sarebbero risorte le diseguaglianze, e sarebbe stata la volta del quarto stato, il popolo: e si esprimeva per la libertà religiosa, il diritto alla miscredenza, e contro la pena di morte. È facile oggi ricostruire i retroscena dell’arresto del libraio che diffondeva il libro di madame de Charrière, (il corrispondente in Francia dello stampatore di verrières, alla frontiera svizzera) Fauche figlio & Wittel – e anche l’attribuzione a mirabeau. i libri proibiti in Francia (circa tremila editti solo nel Settecento) in epoca
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prerivoluzionaria venivano pubblicati lungo le frontiere del regno, da Amsterdam a Bruxelles alla Renania ad Avignone, terra papale. ma era la Svizzera ad assicurare la fiorente industria sommersa della letteratura clandestina, poi contrabbandata in Francia. Fu la Svizzera ad assicurare la circolazione dei capolavori del lumi, invisibili alle prime ricerche degli studiosi delle origini intellettuali della Rivoluzione francese: recensendo ventimila libri di biblioteche private vendute all’asta, daniel mornet nel 1910 vi aveva trovato una copia (una sola!) del Contratto sociale. Sembrava che il legame tra illuminismo e Rivoluzione francese andasse completamente ripensato. in realtà, i cataloghi per le aste venivano preventivamente sottoposti alla censura. Come spiega louis-Sébastien mercier nel suo realistico Quadro di Parigi, gli inventari delle biblioteche stesi dai notai per le successioni “non menzionano i titoli che eredi zelanti hanno sottratto preventivamente per non macchiare la memoria del defunto”; libri licenziosi e stampe oscene, e i capolavori proibiti dei lumi non si vendono pubblicamente; costano il doppio dei libri con privilegio reale, e “gli eredi se li dividono e vendono senza scrupolo”. per ricostruire cosa si leggeva davvero negli anni prerivoluzionari (la cosiddetta letteratura vissuta) bisognava cercare dunque tra i libri proibiti, idéologues e
Madame de Charrière, lettere di libertà dalla Svizzera
pornografi mescolati: come ha dimostrato Robert darnton, che da cinquant’anni studia i sontuosi archivi della Société typographique di Neuchâtel (StN), gruppo editoriale attivo nella Svizzera francofona tra il 1769 e il 1789. ora nel suo ultimo saggio, A literary tour de France (2017), darnton, quasi sopraffatto dalla ricchezza della documentazione, rinvia a un sito in libero accesso, www.robertdarnton.org, dove è possibile seguire le vicende dei testi perseguitati in Francia negli anni prerivoluzionari. e se i primi saggi politici di isabelle de Charrière sono stati attribuiti a mirabeau, è perché Fauche figlio e Witel, società fondata a Neuchatel e legata alla StN, aveva pubblicato già nel 1775 l’Essai sur le despotisme di mirabeau, che aveva profittato, per scriverlo, della detenzione nell’ inaccessibile e uggioso castello di Joux; e nell’ 82, quando la fama di mirabeau era cresciuta con la fuga dal castello con la moglie di un magistrato, avevano stampato le sua vibrata denuncia delle Lettres de cachet, e il testo pornografico Le libertin de qualité. i monti del Jura, innevati d’inverno, rendevano particolarmente difficoltoso il passaggio dei libri sediziosi, e si dovevano incoraggiare i trasportatori con dosi supplementari di alcool, e arrotondamenti nelle paghe; i doganieri sorvegliavano, la polizia della librairie i librai corrispondenti delle città francesi finivano a remare nelle galee, e insomma il commercio aveva i suoi aspetti estremi. ma questa attività eroica e rischiosa che la Svizzera dispiegava a favore della diffusione dei lumi e della liberazione dei costumi – per cui si rimanda ai saggi di darnton, e al suo sito – non colpisce l’attenzione di madame de Charrière, che ritiene piuttosto il lato
borghese e commerciale del paese, cui è arrivata a 30 anni, per matrimonio. la sensibilità di Belle agli aspetti più dimessi e borghesi del paese viene dalle sue origini. Agneta elisabeth van tuyll van Serooskerken van zuylen è nata e vissuta nel castello di zuylen, presso utrecht; dove passano guglielmo d’orange, il re di danimarca Cristiano vii, il principe enrico di prussia, fratello del grande Federico, e tutto il bel mondo d’olanda. Belle ha vent’anni, e ha letto tutti i libri. gli Antichi, montaigne, pascal, Fénelon; a diciotto anni, ha scritto un commento all’Esprit des lois di montesquieu. parla correntemente inglese e tedesco, e un po’ l’italiano; tra loro, i suoi parlano in francese; l’olandese, in famiglia, si usa solo con i domestici. i suoi – la madre, grande borghesia di Amsterdam, arricchitasi nel commercio con le indie, il padre, la più vecchia nobiltà di utrecht, e cinque fratelli – sono tutti “piuttosto tristi”, come l’austero palazzo di utrecht dove passano l’inverno. il pittore la tour, che la ritrae in un
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Daria Galateria
pastello nel 1766, si lamenta dei suoi occhi troppo mobili; ma ne ha fissato per sempre la curiosità intenta, e l’aria di assorta ironia; il viso è roseo e pastoso, gli occhi troppo azzurri; Belle è bellissima. “Con un tempo così piovoso, per distrarsi bisognerebbe sposarsi un po’” scrive Belle a una zia. di fatto, il matrimonio è la libertà; è il gran problema di isabelle. Ci sono dei pretendenti, baroni e conti olandesi, il compositore italiano Sarti, un conte di Wittgenstein, squattrinato, il debosciato lord Wemyss. Alla fine, come nei romanzi inglesi, Belle sposerà il precettore di casa. Charles emmanuel de Charrière è onesto. Ha una buona cultura; balbetta un po’; è molto più grande di lei. È un uomo eccellente, si dispera un amico troppo intimo di Belle, d’Hermenches. Quale piacere potrà mai trarne Belle? Che poteva venire, se non tristezza, da tutte le loro reciproche perfezioni? le rarissime lettere rimaste del precettore parlano di conversazioni notturne: “perché ricordarmi memorie che mi avete proibito di conservare? oh, mademoiselle! staremo ancora svegli insieme nella notte?”. Nel 1771, il matrimonio, senza cerimonie; Belle ha dalla mattina un terribile mal di denti, e per tutti i primi mesi violenti e vari dolori, che calma con l’oppio. “Ho sistemato un angolo di giardino, e lavato la biancheria alla fontana”, scrive a d’Hermenches, sconcertato, che si rarefà, e poi scompare. per 35 anni, Belle vivrà con il vecchio suocero e due sorelle zitelle, in campagna, a Colombier, presso Neuchâtel. A ventidue anni, nel 1762, aveva scritto un racconto satirico sulla vana pretenziosità aristocratica, Le Noble.
ora, nella sua scelta romantica e provocatoria di declassarsi, solo la storia stava per darle ragione; non certo la buona società cosmopolita. per un anno, dopo la pubblicazione delle Lettres neuchâteloises, madame de Charrière non si fece vedere nella piccola città in cui viveva. Nel romanzo, un giovane mercante di Amburgo, arrivando in Neuchâtel, ha una piccola storia con una sartina; ma poi si innamora di una deliziosa fanciulla: la sartina è incinta; che fare? madame de Charrière scrive in modo impalpabile, squisito; i sentimenti sono leggiadri, vaporosi. meyer provvederà al bambino; la signorina per bene se ne occuperà; meyer riparte, sa di amare e di essere amato: ma si dichiarerà? i romanzi di madame de Charrière non finiscono; è la sua grazia preromantica. più esplicita, la scrittrice, sui luoghi. il romanzo di apre con la vendemmia; per le vie, sporche e attive, non si parla d’altro; gli abitanti hanno l’aria preoccupata, occupata e si vestono come capita, zoccoli e calze di lana, un fazzoletto rosso al collo. passata la vendemmia, si parla solo del prezzo del vino; però tutti si vestono meglio, e si chiamano con la carica: “m. le Conseiller, m. le maire, m. le ministre” (uso che aveva già colpito Rousseau). le donne recitano commedie, e hanno grazia e leggerezza. Alla cena di Capodanno, si mangia e si beve come meyer (l’autrice?) non aveva mai visto; nessuna conversazione. “mi sembra che non si rida, qui; e sospetto che se si piange, è sempre per educazione”. Si capisce che gli abitanti di Neuchâtel si irritassero; e che Belle si annoiasse un po’. C’è un buco nella vita di madame de Charrière; il 10 luglio 1785 fugge da casa senza destinazione. il 16, riappare a
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Madame de Charrière, lettere di libertà dalla Svizzera
payerne, dove evidentemente è in cura dal dottor gérard, notissimo all’epoca. Sono, dice, una povera malata, a metà imbecille. il marito le manda una carrozza che ha comperato per lei a Berna; Belle torna a Colombier. “È infelice, per romanticheria. È infelice per il bisogno di essere amata appassionatamente”, diagnostica un intimo della casa, il pastore Chaillet. Nel 1785, madame de Charrière ha quarantacinque anni, è sposata da quattordici, e senza figli. ma da un anno, è venuta in soccorso la letteratura. tra il 1784 e il 1787, Belle scrive dunque le Lettere da Neuchâtel, poi le Lettere di Mistriss Henley, le Lettere da Losanna. Sentimenti indistinguibili, donne tenere, che, piene di saggezza e decoro, si confrontano a uomini incerti, o indiscreti, o freddi. la delicatezza di tocco è ineguagliabile, attraverso incidenti impercettibili, “insignificanti”, arriva a scrivere Sainte-Beuve, e raccontati con “rapide negligenze”, le idee di madame de Charrière “fanno un soprassalto del cuore sulla carta”. Bisogna ascoltare brusii lievi, raccomanda, e osserva, Jean Starobinski. in questo paese “stretto”, in questa borghesia agiata, un destino femminile “si gioca su segni allusivi, attraverso una successione visite, di balli, di conversazioni: dichiarazioni capitali devono essere decifrate su indici impalpabili. un sospetto, un dito ferito da un temperino, un bacio rubato, una frase imprudente, giocano il ruolo di principali peripezie, e potrebbero decidere di un’intera vita”. tutto è sfumato, evanescente: si tratta di un racconto pedagogico, come l’Emile? o è un romanzo sentimentale? e in tal caso, si dichiarerà il giovane milord
all’incantevole Cécile? Come al solito, madame de Charrière lascia il lettore senza risposta. “Si gira l’ultima pagina, e si resta a fantasticare”, conclude soddisfatto Sainte-Beuve, che vede tutta la conclusiva, definitiva qualità stilistica di tanta vaporosa indeterminazione. madame de Staël non la pensava così, “ma anche questo è a metà?”, si lamentava. un quarto di secolo in meno, germaine de Staël, che da Coppet, non lontano, creerà il Romanticismo, dichiara per ora di ammirare quei romanzi sensibili; Belle è già piena di sospetto per quella persona chiassosa. intanto, anche la piccola società svizzera continua a rivoltarsi, riconoscendosi in alcuni ritratti satirici dello sfondo: sono, per madame de Charrière, lettere anonime e libelli. lo scandalo mette le Lettere da Losanna alla moda. Sono, ancora, esclusive, le “petites choses”, intime ma aperte all’”intelligenza della vita quotidiana”. più compiacente dei suoi romanzi, la vita offrì a madame de Charrière una seconda volta. un giorno di marzo del 1787, in un salotto pieno di futuri protagonisti della Rivoluzione, Belle conosce un ventenne irriverente, geniale e sregolato, Benjamin Constant, nipote del Constant d’Hermenches che aveva conosciuto ventisette anni prima, e di ventisette anni più giovane.Constant passa le notti a perder soldi al gioco, poi da madame de Charrière, che si coricava alle sei del mattino. per anni, Belle sarà il mentore di Constant, che parte per l’inghilterra con tre cani e una scimmia, e torna a riposare a Colombier – mentre intanto la Rivoluzione avanza, e madame de Charrière accoglie gli émigrés, e Benjamin inclina verso la montagna.
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Daria Galateria
A separarli, dopo otto anni, è la vicina di Coppet, madame de Staël, a cui il giovane si sottomette in una tempestosa, lunga relazione. la possente rivale sta per riprendere, in tono maggiore, alcuni temi che la Charrière aveva tracciato con impercettibile sottigliezza, e la sostituisce nel ruolo di “madrina del Cherubino emancipato” che è, per Sainte-Beuve, Constant. Belle si sente come una mosca a cui un bambino strappa le ali e le zampe per gioco, senza cattiveria; ma pensa che se lui le fa davanti l’elogio di madame de Staël è come un esperimento, per assistere agli effetti di quella vivisezione. Quando il romanticismo si afferma, Belle si stupiva della decadenza del gusto: il romanzo di madame de Staël, Delphine, lo definisce “straordinario” – ma intende bizzarro, pieno di eccessi, sonoro. Anche i suoi contemporanei, prévost, laclos, Rousseau, Rétif, amavano gli epiloghi spettacolari. lei si difendeva con la solita leggerezza; ma l’ironia è apparente, e l’argomento atroce. “Forse è vero che non ho talento per i finali: ma le persone felici sono piatte”. Così si difendono le ragioni dei tormenti della passione, gli unici degni di racconto, contro l’opacità dell’appagamento. da Colombier, che non avrebbe più lasciato, Belle seguì con il fervore dell’epoca la Rivoluzione. Anche lei scrisse libelli, commedie e libretti d’opera contro il re e gli emigrati – che però accoglieva e aiutava; e un nuovo, incantevole romanzo epistolare, Lettres trouvées dans des portefeuilles d’émigrés, intreccia intrighi amorosi tra emigrati, giacobini, sanculotti, vandeani e repubbliche utopiche. dal 10 agosto, mentre la Rivoluzione diventava sanguinaria, Belle aveva cominciato a
non sentirsi più “troppo democratica”. Si astrasse, scrisse, nel 1796, Trois femmes, intrigo di donne, storie e filosofia kantiana. la quiete borghese di Colombier le concesse di restare libera, anticonvenzionale e ferma nella squisita grazia prerivoluzionaria dell’ “età della dolcezza del vivere”.
NotA
Cito il saggio di Robert darnton nell’edizione francese, tradotta da J.-F. Sené, Un tour de France littéraire, Le monde du luvre à la veille de la Révlolution, gallimard, 2018, pp. 11, 57, 264. l’autoritratto è nel t. X, p. 37 delle Oeuvres complètes, a cura di J.d. Candaux, C.p. Courteney, p.H. e S. dubois, p. thompson, J. vercruysse e d. Wood, Amsterdam, van oorschot, 1979-84. “Sposarsi un po’ “ è citato da Ch. A. de Sainte-Beuve, “Revue des deux-mondes”, 15 marzo 1859, in Oeuvres, t. ii, a cura di m. leroy, gallimard, “pléiade”, 1951, p.1355. la lettera di Charrière è del 7 luglio 1766, p. 350 e 351 della corrispondenza con d’Hermenches, Une liaison dangereuse, a cura di i. e J.-l. vissière, ed. de la différence, 1991. Belle giardiniera e lavandaia ivi, p. 558, 11 marzo 1722. il pastore Chaillet è citato da Ch. guyot, La Vie intellectuelle et religieuse en Suisse française à la fin du XVIII siècle: Henri David de Chaillet, Neuchâtel, la Baconnière, 1946, p. 106 ; lo riprendo dal saggio di Raymond trousson in Romans de femmes du XVIII siècle, laffont, 1996, p. 277: ma questo ritratto di madame de Charrière è costantemente debitore della biografia dello studioso, Isabelle de Charrière. Un destin de femme au XVIII siècle, paris, Hachette, 1994 ; oltre naturalmente a ph. godet, Madame de Charrière et ses amis, lausanne, Spes, 1927 (ginevra, Jullien, 1906) che racconta la fuga a payerne alla p. 174. la protesta stilistica di madame de Staël è in godet, cit., p. 162; quella di Belle sulla Staël a p. 460. le “petites choses” sono nel saggio di g. Riccioli, L’esprit di Madame de Charrière, Bari, 1967, p. 127. la bellissima lettera della mosca alle pp. 364-65 di godet (la parola “vivisezione” è sua).
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Dario Giugliano
il viaggio hegeliano sulle Alpi bernesi la sezione all’interno della quale si sistema il mio intervento è dedicata al tema della costruzione del paesaggio tra Svizzera, italia, europa e mediterraneo. Si tratta di un tema immenso che, dato il poco tempo a disposizione, non oso nemmeno pensare di poter anche solo circoscrivere. per questa ragione, ho pensato che fosse più conveniente concentrarmi sul complemento di titolo e in particolare su due termini presenti all’interno di esso: arte e identità. Comincerei con delle precisazioni di carattere terminologico, cercando, per quanto possibile, di chiarire concettualmente le questioni in gioco, per pervenire a una loro sintesi, prescindendo, quindi, dalla loro eterogeneità. un primo nucleo concettuale, ricavato dal titolo, da tenere a mente come riferimento, riguarda il paesaggio come costruzione, come prodotto storico, realtà di pensiero, quindi non come mero dato naturale. A dispetto di quello che si può pensare, a partire dal senso comune, un paesaggio non è mai qualcosa di naturale, pur non ricadendo, evidentemente, nella mera categoria dell’artificio. Altrettanto si può dire degli altri due termini in gioco nel sottotitolo: arte e identità. Comunemente, infatti, si pensa che l’arte, come ricorda per assonanza il suo stesso nome, sia un’attività che ricade completamente nel versante dell’artificio; diversamente, invece, per l’identità, che non a caso può avere come sinonimo il
termine natura. posso dire, infatti, di qualsiasi cosa che ha una determinata identità, che è la medesima cosa della sua stessa natura. l’identità, dunque, sarebbe, sempre stando al senso comune, qualcosa di naturale. Come si può vedere, ne abbiamo già abbastanza per complicarci le idee e la vita, anche solo stando a un’analisi dei termini in gioco tra titolo e sottotitolo di questa sezione del convegno. del resto, la filosofia non ha mai fatto veramente nulla di diverso, fin dall’origine, e cioè problematizzare, mediante una continua interrogazione, quanto si riteneva fosse acquisito e pacificato all’interno del cosiddetto senso comune. Questa è pure la ragione per cui i filosofi non sono propriamente persone ben accette all’interno dei consessi sociali, valga per tutti l’esempio di Socrate, di cui un’intera città decise di liberarsi – evidentemente esasperata – obbligandolo, settantenne, a suicidarsi. e al buon thomas more, a cui l’associazione che promuove questo convegno è consacrata e alla cui opera principale sempre questo stesso convegno si rivolge come per una dedica ideale, non toccò sorte diversa. A ben vedere, potremmo dire che quello del filosofo, parafrasando un bel libriccino di luciano Canfora, è un mestiere pericoloso. infatti, è lunghissimo l’elenco di coloro che, filosofando, vengono ammazzati, perseguitati. ma ritorniamo sui nostri passi.
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Dario Giugliano
dicevo prima che, dato il poco tempo a disposizione, era opportuno concentrarsi su alcuni termini chiave del titolo della sezione in cui sono ospitato. per fare questo, ho ritenuto che un modo idoneo potesse essere quello di pensare questi problemi facendo riferimento alle riflessioni di un grande filosofo del passato, come si conviene sempre a un qualunque nano, quale io sono, che per guardare più lontano, approfitta del sostegno delle spalle di un gigante per salirci sopra. del resto, per ammirare un paesaggio non si fa qualcosa di analogo? per ammirare un panorama della Città eterna non si sale su una delle sue alture? il gigante a cui farò riferimento è il filosofo svevo georg Wilhelm Friedrich Hegel, il quale nel luglio del 1796, a 26 anni, tenne un diario di un viaggio sulle Alpi bernesi. Cosa ci faceva uno svevo sulle Alpi bernesi? va ricordato che, nella tradi-zione sveva, per questioni di contiguità geografica, la Svizzera era una tappa quasi obbligata. Hegel vi si reca per motivi di lavoro. È un giovane uomo che da poco ha terminato gli studi e non ha avuto la fortuna del suo amico e condiscepolo Schelling, che a soli 23 anni ottiene una cattedra universitaria all’università di dresda. pertanto, va a Berna per impiegarsi come precettore in casa del capitano Karl Friedrich Steiger von tschugg. e in estate è proprio a tschugg che si sposta con la famiglia del capitano Steiger. Nell’estate del 1796, invece, a ridosso del suo trasferimento a Francoforte, inizia, con altri suoi colleghi precettori, un viaggio nelle zone più “selvagge”, per così dire, delle Alpi bernesi, tenendo un diario, in cui annota tutto ciò che accade, per esempio quello che mangia e beve lungo questo suo peregrinare, ma, soprattutto, da questo
resoconto emerge il rapporto che il giovane Hegel instaura con la cosiddetta natura, che descrive, annotando tutti i dettagli del paesaggio all’interno del quale si trova a viaggiare. Sono gli anni hegeliani delle letture intense di Spinoza, del filosofo della indifferenza della natura come continuo processo di creazione/distruzione rispetto alla soggettività umana, in quanto libertà, che è ciò che, invece, interessa a Hegel. i suoi giudizi, infatti, sulle bellezze naturali sembrano di primo acchito disarmanti, ma altrettanto immediatamente ci si accorge subito di essere al cospetto di una forza speculativa singolare, mai banale. leggiamo direttamente un paio di passi1 dal primo giorno di viaggio, il 25 luglio del 1796:
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le valli molto strette qui sono ricche di prati fertili, disseminati di numerosissimi alberi da frutta, in particolare di noci e ciliegi, che offrono sempre una veduta agreste, graziosa e ristoratrice. ma
Il viaggio hegeliano sulle Alpi bernesi
l’angustia delle valli, là dove i monti privano lo [a chi è abituato a vivere in un luogo pianeggiante] di ogni veduta in lontananza, suscita in lui l’effetto di una compressione inquietante. egli desidera costantemente che lo spazio si allarghi, si estenda, ma il suo sguardo continua a urtare contro le rocce. (p. 40)
ammettere che una vista del genere non ha nulla né di grandioso, né di piacevole. più in alto il ghiaccio appare in piramidi di un azzurro più puro che, comparate con lo sporco del ghiaccio sottostante, possono, se si vuole, dirsi più belle. (pp. 48-49)
oggi abbiamo visto questi ghiacciai da una distanza di non più di mezz’ora di cammino, ma la loro veduta non offre nulla di particolarmente interessante. Si può solo dire che è un nuovo tipo di veduta, che non offre assolutamente nessun’altra occupazione allo spirito se non la constatazione di trovarsi nel pieno della calura estiva a così breve distanza da masse di ghiaccio che un caldo simile non riesce a fondere se non in misura trascurabile, mentre alla stessa altitudine riesce a maturare ciliegie, noci e grano. in basso il ghiaccio è molto sporco e in parte interamente ricoperto di fango e chi abbia visto un’ampia strada fangosa che scende da un monte, su cui la neve abbia cominciato a fondere, può farsi un concetto preciso della veduta della parte inferiore del ghiacciaio per come si mostra da lontano e, al contempo, può
andava corrisposto. Questa usanza, in cui ci siamo ripetutamente imbattuti, non ha il suo fondamento in un particolare senso di ospitalità e di generosità, come ritengono molti viaggiatori di buon cuore che di questa vita pastorale di sono fatti un quadro tutto innocenza e benevolenza, anzi, piuttosto questi margari, affidando in tal modo la determinazione del conto alla discrezione dei viaggiatori, sperano di ottenere più di quanto valga la loro merce. È facilissimo accertarsene. Se uno dà loro solo ciò che valgono le loro cose, non ringraziano affatto e non ricambiano neppure il saluto d’addio, ma ammutoliscono mostrando una faccia risentita. e se li si paga meno di ciò ch’essi stimano di aver dato, si può ben essere certi che abbandonano immediatamente la loro presunta ignoranza circa il valore della loro merce ed esigono con determinazione il suo prezzo. (p. 45-46)
Quando dalle notazioni di geografia Riguardo un torrente e il fragore delle fisica, diciamo così, si passa a quelle di sue acque impetuose, Hegel si pronuncia geografia politica o più specificamente così: antropologiche, l’atteggiamento del filosofo svevo non muta, continuando dopo circa un’ora di cammino si hanno 2 sulla linea di un sostanziale affrancaal fianco i due torrenti litschene , le cui mento dalla vulgata “mitologica”. per torbide acque bianco-grigie corrono precipitose su uno scabro letto di pietra e esempio, riguardo l’affabile accoglienza e si ha un eterno mormorio, che spesso, ingenua bontà degli abitanti di quelle dove il letto si restringe e i torrenti si valli, Hegel è particolarmente caustico. aprono il loro cammino spumeggiando va ricordato che, complice una letteracon lotta più aspra, diventa il rombo di tura moralistica, in quel tempo si era un tuono che finisce però per risultare noioso a chi non vi è abituato e deve creato il mito dell’elvetico come ultimo passargli accanto per più ore. (ibidem) “buon selvaggio” nel centro stesso dell’europa. Riguardo ai ghiacciai (siamo al secondo […] lungo il cammino un margaro ci giorno di viaggio, il 26 luglio), lo sguardo aveva offerto di bere della panna che impietosamente analitico di Hegel lo fa stava portando a casa, lasciando alla pronunciare come segue: nostra discrezione il compenso che gli
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Dario Giugliano
potremmo continuare a citare passi, ma anche solo così c’è materiale a sufficienza per poter tentare un bilancio, per quanto provvisorio possa essere, delle questioni in gioco. Hegel è certamente un cittadino, un borghese, come potremmo dire investendo sul senso letterale di un termine, che alla sua origine designa proprio l’abitante del borgo, in opposizione a chi invece abita nel contado, nei campi, fuori le mura. ed è anche un borghese particolare, uno che ha vissuto l’esperienza per tanti aspetti inimmaginabile, per la sensibilità comune della sua epoca, della Rivoluzione francese, la rivoluzione borghese per eccellenza, quella rivoluzione che mette al centro di tutto un nuovo tipo di individuo, quello che si è formato nella modernità e che ha come primo precetto, come suo credo esistenziale, il principio del lavoro come trasformazione del mondo. Sotto questo aspetto, volendoci concentrare sul solo pensiero tedesco, si potrebbe affermare che in un filosofo come Kant vive ancora un residuo pre-moderno, data il suo scarsissimo interesse per il concetto di lavoro, che, invece, come ben ricorderà Remo Bodei in un preziosissimo saggio sull’ economia politica hegeliana3, in Hegel è appunto centrale, perché per il filosofo svevo centrale è la condizione umana nel mondo. e il mondo stesso si giustifica e ha un senso, acquista un senso solo a partire da questa stessa condizione. il paesaggio, ovviamente, non fa eccezione. Questa è la ragione per la quale Hegel si mostra indifferente alla bucolica serenità delle distese erbose delle valli Svizzere, dall’imponenza supposta sublime, che egli sbrigativamente qualifica come “noiosa”, dei massi rocciosi delle montagne: «la vista di questi massi
eternamente morti a me non ha offerto altro che la monotona rappresentazione, alla lunga noiosa del: è così» (p. 65). e “noioso” è un aggettivo che ricorre spesso, all’interno di questo diario. invece, Hegel è tutto preso da sincero interesse nel constatare l’operosità umana, intenta a modificare ovvero, in ultima istanza, a creare in senso vero e proprio il paesaggio. È il caso di una famiglia, che viene incontrata lungo il viaggio, in una località isolata nei pressi di guttanen. Questo gruppo di individui ha messo su una piccola distilleria, nel totale isolamento, piegando gli elementi della natura circostante alle loro proprie finalità: «blocchi turriformi di granito, che la natura ha gettato senza scopo l’uno sull’altro, ma la cui posizione casuale gli uomini hanno saputo sfruttare» (p. 62). Si potrebbe addirittura azzardare che, per questa ragione, Hegel si mostra ai nostri occhi come il più meridionale, il più mediterraneo dei filosofi tedeschi, tutto intento a investigare quella natura delle cose che si determina a partire dalla condizione e dalla posizione dell’uomo nel cosmo, che sono essenzialmente posizione e condizione storico-politica. la natura che Hegel intende analizzare, come già per vico, è la natura delle Nazioni e nel momento in cui il suo sguardo si concentra sulla Natura in sé, lo farà sempre a partire da una sensibilità umana, che è contemporaneamente storica e politica. per chiudere, tentando di lanciare un ulteriore indizio ermeneutico, mi verrebbe da creare un parallelo tra questa riflessione hegeliana e quanto uno dei miei maestri, piero Camporesi, le cui lezioni ebbi modo di seguire negli anni dei miei studi universitari, andava
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Il viaggio hegeliano sulle Alpi bernesi
meditando, sul finire della sua attività di storico e della sua stessa vita, allorquando si soffermò ad analizzare la questione della nascita del paesaggio, in quel bellissimo libro che è Le belle contrade. Anche Camporesi, interessato alla cosiddetta cultura materiale,
rintracciava l’origine della rappresentazione paesaggistica nell’azione degli artieri, degli artigiani, in quel mondo del lavoro e delle professioni che aveva fatto e che farà sempre più, nei secoli a venire, grande questo nostro paese e il Continente tutto al quale apparteniamo.
ABStRACt
Note
the purpose of this article is to analyze the essential lines of Hegel’s approach to the landscape of the Bernese Alps. From a diary that the Swabian philosopher wrote during his journey in the “wild” territories of the Swiss Alps, we can draw useful reflections on a particular approach to nature, which tends to enhance the element of human action, rather than limiting itself to an ecstatic admiration of the sublimity of natural beauty.
/ KeyWoRdS Hegel, Alpi bernesi, Natura, Sublime, lavoro. Hegel, Bernese Alps, Nature, Sublime, labour. pARole CHiAve
1 la totalità delle citazioni sono ricavate dall’edizione italiana di g. W. F. Hegel, Diario di viaggio sulle Alpi bernesi, trad. di t. Cavallo, prefazione di R. Bodei, ibis, Como-pavia 2000. dal bel saggio introduttivo di Remo Bodei, che apre il libro in veste di prefazione, sono ricavati i principali spunti che hanno indirizzato la stesura di questo scritto. d’ora in poi, ognuno dei passi riportati recherà il numero di pagina dell’edizione succitata tra parentesi. 2 la grafia dei nomi dei luoghi che Hegel riporta non corrisponde a quella attuale. per elementari ragioni filologiche l’abbiamo comunque sempre rispettata. 3 Cfr. R. Bodei, «Hegel e l’economia politica», in S. veca (a cura di), Hegel e la economia politica, mazzotta, milano 1975.
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Fabio Iannotta
la costruzione del paesaggio tra Svizzera, italia, europa e mediterraneo: segni d’arte e confini di identità
oggi, come è noto, i valori condivisi nella Convenzione Europea del Paesaggio (CEP) – sottoscritta a Firenze il 20 ottobre 2000 – fondata su una visione globale del paesaggio, costituiscono la base per la ricerca di un equilibrio dinamico dei territori definito tra conservazione e sviluppo, materiale e immateriale, natura e artificio, appartenenza ed accoglienza, bellezza e utilità, straordinario e quotidiano. A partire da tale data, per la prima volta, il paesaggio diviene oggetto di uno strumento di diritto internazionale, uno strumento giuridico vincolante e rispettoso della pluralità degli ordinamenti nazionali che, in quanto tale, si confronta con il tema dei diritti e delle libertà. la Convenzione ha avuto origine nel 1994 con i primi lavori dell’allora Conferenza permanente dei poteri locali e regionali d’Europa ed è stata costruita attraverso l’impegno e la collaborazione di molti paesi europei, sulla base di testi giuridici nazionali ed internazionali già esistenti (convenzioni, direttive, norme, carte ecc.). in quell’occasione la Conferenza adottò la Risoluzione 256/1994 della iii Conferenza delle regioni mediterranee. Nel testo, invitò il Congresso dei poteri locali e regionali d’Europa, l’organo che l’ha sostituita, “ad elaborare, in base alla Carta del paesaggio mediterraneo – adottata a Siviglia (1992) dalle Regioni Andalusia (Spagna), languedoc-Roussillon
(Francia) e toscana (italia) – una convenzione-quadro sulla gestione e la tutela del paesaggio naturale e culturale di tutta l’europa”. il concetto di paesaggio mediterraneo esplicitato nella relativa Carta è stato dunque, anche da un punto di vista formale, premessa e fondamento della Convenzione europea. del resto, l’ampia visione del contesto europeo era già propria della Carta del 1992, nella quale tra le altre cose si precisa che “il paesaggio è divenuto attraverso la storia uno dei valori fondamentali della cultura dei popoli d’Europa e uno degli elementi dell’identità culturale europea”. la Svizzera ha svolto un ruolo importante nella costruzione del documento europeo, sia operando sulle procedure formali per la sua definizione, sia sviluppando aspetti sostanziali, propri dei suoi contenuti. i suoi maggiori contributi sono da individuarsi, in particolare: 1. nell’attività politico-amministrativa, svolta successivamente al conseguimento della presidenza del Congresso dei poteri locali e regionali d’europa (Claude Haegi), dal 2 luglio 1996 al 25 maggio 1998, un arco temporale particolarmente significativo per la costruzione della Convenzione. in questo periodo di tempo, tra le altre attività, il Congresso presieduto dalla Svizzera ha adottato il progetto preliminare di Convenzione europea del
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La costruzione del paesaggio tra Svizzera, Italia, Europa e Mediterraneo
paesaggio, espresso in termini non giuridici (elaborato da un gruppo di lavoro instituito dallo stesso Congresso nel settembre del 1994) e contenuto nella sua Risoluzione 53 (1997). in tale Risoluzione, il Congresso ha incaricato il gruppo di lavoro di organizzare una conferenza di consultazione intergovernativa svoltasi poi su invito del ministero italiano per i beni culturali ed ambientali a Firenze, dal 2 al 4 aprile 1998. gli importanti risultati della Conferenza di Firenze hanno portato alla redazione del progetto finale di Convenzione europea del paesaggio in vista della sua adozione da parte del Congresso, nel quadro del progetto di raccomandazione presentato in occasione della sua 5a Sessione plenaria (Strasburgo, 26-28 maggio 1998). 2. nell’apporto alla costruzione dei valori fondamentali della Convenzione europea del paesaggio attraverso l’approccio innovativo della Concezione «Paesaggio svizzero» (CPS), non un concetto astratto, ma un documento concreto, adottato nel 1997 dal Consiglio federale, ed oggi in fase di aggiornamento, che ha fornito importanti riferimenti per l’elaborazione della Convenzione. Fondata sull’articolo 13 della legge sulla pianificazione del territorio (lpt) ed approvata dal Consiglio federale nel dicembre del 1997, la Concezione «paesaggio svizzero» (CpS), riferimento internazionale, anticipa di qualche anno la firma della Convenzione europea del paesaggio e fissa come principio guida lo “sviluppo sostenibile del paesaggio”, che sarà tale anche per il documento europeo. i valori espressi dalla CpS affondano le loro radici, a loro volta, in una
precedente legge federale, sulla protezione della natura e del paesaggio, quella del 1966, modificata nel corso dei decenni e ancora oggi in vigore e i cui principi hanno trovato riconoscimento ufficiale nella stessa Costituzione federale della Confederazione Svizzera del 18 aprile 1999 (articolo 78). Anche l’italia ha contribuito in maniera determinante alla definizione della Convenzione europea del paesaggio (Cep), sia con azioni di primo piano indicate in precedenza, sia con l’apporto dei propri valori dovuti lunga tradizione giuridica sugli aspetti inerenti al paesaggio di cui peraltro c’è ampia trattazione in letteratura. tra tutte le leggi che hanno contribuito a recepire e costruire nel corso degli anni la sensibilità italiana sul paesaggio, parte integrante e fondamentale di quella europea definita nella Convenzione, in questa sede appare significativo riferirsi a quella più emblematica: la prima legge nazionale italiana sul paesaggio, proposta da Benedetto Croce nel suo disegno di legge sulla Tutela delle bellezze naturali (poi entrato in vigore con piccole modifiche come legge n.778 dell’11 giugno 1922, pubblicata nella gazzetta ufficiale del 24 giugno 1922, n.148), la cui presentazione fu da lui stesso scritta e letta come proponente e ministro della Cultura nel governo Nitti nella seduta del Senato del 25 settembre 1920. la presentazione fu fatta a fronte di un contesto politico dell’epoca certamente non favorevole dal momento che molti dei Senatori erano ricchi proprietari di tenute o palazzi d’arte, che temevano possibili minacce per le loro proprietà private e limitazioni delle libertà dovute ad eventuali permessi, controlli o divieti, sia pure per il bene o la bellezza del
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Fabio Iannotta
paese. Nella sua presentazione Croce si rivolge direttamente ad essi: “Onorevoli colleghi. Nulla di eccessivo è nel disegno di legge che si sottopone al vostro esame – nulla che offenda o ferisca il diritto di proprietà o, come da taluni si teme, quello dell’attività industriale della nazione. Anzi quel che in fondo ad ogni disposizione risiede è la preoccupazione di costituire un sistema di accordi fra i privati e l’amministrazione delle Belle arti, e fra questa e le altre amministrazioni pubbliche affinché senza gravi sacrifici di ciò che è in cima a’ pensieri di tutti, economia nazionale e conservazione del privilegio di bellezza che vanta l’Italia, siano composti con spirito di conciliazione i vari interessi contrastati”. in queste parole può cogliersi facilmente la volontà di una contemperazione tra le ragioni pratiche dello sviluppo economico e quelle poetiche e culturali della tutela del paesaggio, anticipando di fatto ciò che in epoca contemporanea è definito come ‘sviluppo sostenibile’. Al tempo stesso Croce, in linea con le legislazioni europee più avanzate dell’epoca, propone sanzioni riservate ai casi di ingiustificate e inutili manomissioni del paesaggio: “Il dissidio fra questi nuovi bisogni del senso estetico più raffinato e del godimento materiale eccitatore di una produzione più intensa, fra le ragioni del bello e l’interesse pratico, fra il rispetto alle antiche tradizioni e il bisogno di far luogo alle cose nuove, non poteva non determinarsi; e, dovunque coltura e gentilezza non sono un nome vano, sorsero associazioni potenti per mettere in valore le bellezze naturali, e imporre, premendo sull’opinione pubblica, la necessità di sanzioni positive contro le ingiustificate e spesso inutili manomissioni del paesaggio nazionale: così in Inghilterra, così in Germania, così in Francia, in Austria, in Isvizzera, nel Belgio, ed anche in Italia”.
tra tali migliori azioni per la tutela del paesaggio Croce ricorda che “in Svizzera, per la quale è noto come i suoi magnifici paesaggi siano la fonte precipua della sua prosperità economica, sono varie le leggi federali e cantonali per la protezione delle bellezze naturali e specialmente delle cascate, e nel 1913 fu creato, col concorso del Governo, il grandioso Parco nazionale della Bassa Engadina”. un altro aspetto assolutamente contemporaneo della visione di Croce, su tali temi è il suo paragonare il paesaggio ad un’opera d’arte e come tale riconoscerlo meritevole di tutela: “È nella difesa delle bellezze naturali un altissimo interesse morale e artistico che legittima l’intervento dello Stato, e s’identifica con l’interesse posto a fondamento delle leggi protettrici dei monumenti e della proprietà artistica e letteraria”. “Certo il sentimento, tutto moderno, che si impadronisce di noi allo spettacolo di acque precipitanti nell’abisso, di cime nevose, di foreste secolari, di riviere sonanti, di orizzonti infiniti deriva della stessa sorgente, da cui fluisce la gioia che ci pervade alla contemplazione di un quadro dagli armonici colori, all’audizione di una melodia ispirata, alla lettura di un libro fiorito d’immagini e di pensieri. E se dalla civiltà moderna si sentì il bisogno di difendere, per il bene di tutti, il quadro, la musica, il libro, non si comprende, perché si sia tardato tanto a impedire che siano distrutte o, manomesse le bellezze della natura, che danno all’uomo entusiasmi spirituali così puri e sono in realtà ispiratrici di opere eccelse”. la dimensione artistica del paesaggio, strettamente connessa al concetto di armonia promosso dalla nuova visione europea, si attua attraverso le opere e i segni in esso contenuti, sia intenzionalmente progettati che spontaneamente costruiti. ogni segno compiuto o riconosciuto
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La costruzione del paesaggio tra Svizzera, Italia, Europa e Mediterraneo
dall’uomo nel paesaggio diviene parte di esso e contribuisce, in varia misura, a modificare l’identità di un luogo e dunque quella delle comunità, locali o globali, che lo abitano in modo permanente o lo attraversano in maniera temporanea. il paesaggio come opera d’arte, pertanto, definisce e al tempo stesso travalica i confini, diviene ‘dimensione di vita’ delle popolazioni, sintesi di valori propri sia della dimensione estetica che di quella etica. testimonianza di ciò è la recente azione congiunta compiuta da italia e Svizzera, insieme a Croazia, Cipro, Francia, grecia, Slovenia, Spagna, tesa ad inserire il muretto a secco tra i beni tutelati dall’unesco. Ancora una volta, dunque, italia e Svizzera sono state fianco a fianco nel portare avanti una proposta sulla base di valori condivisi, questa volta con uno sguardo attento ad un aspetto di dettaglio del paesaggio. il 28 novembre 2018 l’unesco ha iscritto, proprio come forma d’arte, la pratica rurale dei muretti a secco nella lista degli elementi immateriali dichiarati patrimonio dell’umanità. Nella motivazione
si legge infatti “L’arte del ‘Dry stone walling’ riguarda tutte le conoscenze collegate alla costruzione di strutture di pietra ammassando le pietre una sull’altra, non usando alcun altro elemento tranne, a volte, terra a secco (…) Le strutture a secco sono sempre fatte in perfetta armonia con l’ambiente e la tecnica esemplifica una relazione armoniosa fra l’uomo e la natura. La pratica viene trasmessa principalmente attraverso l’applicazione pratica adattata alle particolari condizioni di ogni luogo”. il muretto a secco dunque, segno d’arte nel paesaggio, segno di confine che paradossalmente unisce, piccolo delicato eppure potente testimone del tempo, della memoria e dell’identità comune dei popoli, segno d’arte e di fatica che ha plasmato per millenni le montagne, le colline e i litorali più impervi, rappresenta una tradizione che travalica i confini e unisce identità, disegnando segni al tempo stesso di natura europea, mediterranea, e vernacolare Costituisce oggi un esempio di piccola e al tempo stesso grande testimonianza tangibile di un’europa capace di essere fondata su valori condivisi oltre che su interessi convergenti.
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the collaboration between european countries and in particular between Switzerland and italy on the general and specific themes of the landscape has produced results that go beyond the borders between nations and favor the achieving a firm definition of a european based identity on shared values as well as on converging interests
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paesaggio, Convenzione europea del paesaggio, Sviluppo sostenibile, unesco, muratura a secco, landscape, european landscape Convention, Sustainable development, unesco, dry stone walling
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il nuovo grand tour alla fine dell’ottocento: il mito italiano, l’incanto della montagna svizzera alla moda
“un giardino – scrive Bacone di verulamio – è il più puro dei nostri piaceri, e il ristoro maggiore de’ nostri spiriti, e senza esso le fabbriche ed i palagi altro non sono, che rozze opere manuali: di fatto si vede sempre, che ove il secolo perviene al ripulimento ed all’eleganza, gli uomini si danno prima a fabbricare sontuosamente, e poi a disegnar giardini garbatamente, come se quest’arte fosse ciò che havvi di più perfetto”1. Questa è la definizione più completa, efficace e pertinente per l’idea di giardino laico, non solo all’inglese o paesistico, pure se è tratta dalla Dissertatione sui giardini inglesi e sul merito in ciò dell’Italia di ippolito pindemonte del 1792. Questo valore così elevato attribuito al giardino spiega anche l’ampiezza e la vivacità del dibattito apertosi in inghilterra sul tema del giardino regolare, nato in italia ma sviluppatosi ampiamente anche in Francia, fino a raggiungere un formalismo estremo, sancito dal trattato La theorie et la pratique du jardinage (17091747) di Antoine Joseph dézallier d’Argenville, diffuso ampiamente in europa, anche nel grande Nord, presso la corte svedese, dove le “stanze di verzura” e i disegni di parterres fioriti ben difficilmente si adattano al clima gelido. lo stesso pindemonte ribadisce il ruolo dell’italia nel primo manifestarsi di
quest’arte giardiniera e negli sviluppi a lui contemporanei: “l’italia, al risorger delle lettere e delle belle arti, fu la prima a coltivare, come gli altri studj, quello ancora delle amenità villerecce: ma convien confessare, che ora molte nazioni nell’amore ci vincono e nella cura di queste tranquille, ed erudite delizie, e che l’inghilterra è nelle medesime la maestra delle nazioni unite”2. il motivo di esame, anche feroce, degli eccessi del giardino formale, nell’ ambiente inglese giornalistico, politico e culturale (si vedano gli articoli di Addison e Steele sui giornali “Spectator”, 1712, e “guardian”, 1713), non è stato in verità la ricerca di una diversa bellezza, più legata alla complessità e mutevolezza naturale del verde e dei territori, quando piuttosto l’identità ormai conclamata tra il potere aristocratico e regale e l’immagine di perfetto dominio delle forme naturali offerto dai giardini regolari, in dispregio delle nuove forze sociali e intellettuali, che si vanno affermando sul piano economico e non si riconoscono affatto nel formalismo dominatore. in inghilterra si succedono teorici e architetti del giardino e del paesaggio che hanno fatto scuola, come Charles Bridgeman, Wiliam Kent, lancelot Brown, uvedale price, Humphry Repton, prontamente seguiti anche dai professionisti francesi.
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Non manca altresì un’apertura al nuovo gusto esotico, che guarda all’oriente, anche in campo giardiniero, per trovare diverse forme d’ispirazione, riprodotte – con non poca fantasia – nei trattati di William Chambers, george louis le Rouge etc. Ben presto, la rappresentazione di romitori, ruderi, cascate d’acqua vorticose, l’accentuazione delle linee curvilinee del paesaggio, naturali o costruite artificialmente, insieme agli elementi-base di un giardino (acque, terreno, rocce, vegetazione, fabbriche, strade, ecc.) configurano i nuovi giardini, diffusi ampiamente non solo nei paesi europei e adeguatamente teorizzati in molteplici trattati. di conseguenza, a partire dal Xviii secolo il viaggio d’istruzione o Grand Tour che ogni cittadino del vecchio e del Nuovo mondo deve fare per osservare direttamente i luoghi-culla della nostra civiltà, non può più comprendere solo l’italia, “dove fioriscono i limoni” e risplendono le vestigia della classicità romana, del Rinascimento, del Barocco e delle delizie settecentesche, e la grecia, madre della cultura occidentale: il fascino e la grandiosità della “montagna incantata”, vale a dire delle Alpi, risponde in modo esemplare al nuovo clima culturale, mostrando una forza e una varietà di “scene”, secondo il linguaggio dei giardini, davvero insuperabile. Non manca altresì una critica profonda della drammatica vita delle città, che, soprattutto nel corso del XiX secolo, si popolano di individui in estrema povertà, spesso provenienti dalle campagne ormai industrializzate o abbandonate, con squilibri sociali impressionanti, legati alla spregiudicata logica del profitto. il giardino o parco o ambiente naturale sembra essere quindi il rifugio, soprat-
tutto per gli intellettuali, per il ritorno a una purezza primigenia, che arriverà fino al mito del “buon selvaggio”: la vita a contatto con la natura libera e dominante è intesa dai philosophes come unico rimedio, anche elaborata, all’occorrenza, in nuovi giardini, come quelli auspicati da Jean Jacques Rousseau. le conoscenze di un cittadino europeo sensibile e colto, un cittadino “dabbene”, quindi, si devono estendere al mondo alpino, divenuto meta del grand tour, fonte d’ispirazione delle composizioni dei giardini, di produzioni letterarie e straordinarie corrispondenze. Alla fine del XiX e fino ai primi decenni del XX secolo il viaggio in Svizzera, Austria, germania e nella mitteleuropa è inteso come necessario, investendo vari aspetti della vita alto-borghese e aristocratica, moda compresa. Non si dimentica l’ambiente mediterraneo: ma le grandi montagne si popolano di luoghi di villeggiatura eleganti e bene organizzati, immortalati dalla fotografia appena nata, da disegni e vedute, da cartoline, dai racconti di viaggio e dalla musica. la Svizzera in particolare è la meta più ambita, proprio per la grandiosità dei paesaggi e la qualità della vita. Nel saggio di ester Capuzzo, brillante storica e docente universitaria, Itinerari sublimi. Viaggiatori in Svizzera tra XVIII e XIX secolo, si esaminano le prospettive di ricerca che, dal Settecento, portano scienziati e viaggiatori a soggiornare in Svizzera per indagini geografiche, geologiche e antropologiche, ampliando analoghe ricerche avviate in territori australi. l’ottocento vede moltiplicarsi il numero e la tipologia dei visitatori: è ormai anche la borghesia ad apprezzare le vette incantate svizzere coperte di neve e gli insuperabili maestosi panorami.
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proliferano quindi le guide turistiche, manuali destinati a diversi ceti sociali, che offrono non solo descrizioni puntuali dei luoghi ma anche percezioni e sensibilità nuove di un paesaggio non mediterraneo. il saggio del filosofo estetico, pittore e docente universitario Alberto olivetti, Note sul paesaggio nel Journal intime di Amiel, tratteggia la personalità del cittadino svizzero Henri-Frédéric Amiel, nato a ginevra il 27 settembre 1821 e morto nella stessa città l’11 maggio 1881, personaggio dotato di un’accesa sensibilità, pienamente partecipe delle correnti culturali drammatiche che percorrono l’europa in quei decenni. dopo aver visitato con cura la Svizzera, viaggia in italia, Francia, germania, coniugando la formazione latina con la cultura tedesca e rimanendo affascinato dalla vita berlinese. docente di estetica e poi di filosofia all’università di ginevra, partecipa ampiamente alla crisi spirituale e politica che segue le vicende rivoluzionarie europee del 1848. più che alle sue poesie, traduzioni e varia produzione letteraria, la sua brillante e tormentata personalità emerge dai 174 libretti del Journal intime, esteso per 17 mila pagine, pubblicato in parte da Fanny mercier e Bernard Bouvier. il suo pensiero è stato finora indagato soprattutto per le componenti filosofiche e per la ricostruzione degli ambienti sociali descritti: nel saggio di olivetti la chiave interpretativa è invece il paesaggio, soprattuto svizzero, di cui Amiel coglie l’anima. il saggio della scrivente su I miti turistici europei sui ricami dei fazzoletti svizzeri Appenzell, 1870-1900 offre una esemplificazione di una produzione svizzera straordinaria, con 10 fazzoletti
Appenzell grand tour della collezione di luciana molinis di udine. Si tratta di vere e proprie opere d’arte di ricamo, poco note ma di grande diffusione tra i due secoli indicati, che danno prova delle nuove mete di viaggio dell’alta borghesia e dell’aristocrazia europea, comprendenti sia alberghi alla moda, come il Grand Hotel svizzero di interlaken, sia opere moderne o rinnovate di luoghi affascinanti, quali la cattedrale di Nizza, in anticipo sulla moda della Costa Azzurra come meta di villeggiatura, alcuni edifici della cosmopolita parigi, quali la Gare du Nord, la cattedrale di Nôtre Dame e il palazzo con giardini del Luxembourg, i luoghi ben noti e le nuove mete dell’italia, come il duomo di milano, la piazza San marco di venezia, Roma con il Colosseo e soprattutto con la piazza della basilica di San pietro e la città che la circonda: si tratta sempre di luoghi di grande valenza sociale, offerti alla modernità sia per i valori tradizionali che per le innovazioni moderne. un tema così ampio come quello proposto in questa sezione, che attraversa l’europa nei ultimi tre secoli, di grande creatività e profonda drammaticità, non può esimersi dall’essere sviluppato anche nell’epoca attuale, figlia dei secoli trascorsi. il seminario è stato accompagnato da una mostra collettiva degli artisti dell’associazione il Cenacolo, che hanno interpretato il soggetto de La natura madre e matrigna, oggetto di ampio dibattito internazionale. Sembra infatti, ad un primo esame, che gli attuali cambiamenti climatici, i frequenti terremoti, le molteplici estinzioni di animali e piante, siano dovuti a una natura divenuta matrigna, non più sostegno principale dell’uomo ma sua
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antagonista, una nemica, insomma. invece, come hanno affermato consapevoli e oneste autorità politiche, religiose e laiche, la natura e la terra non cessano mai di svolgere il compito di “madre comune”, e i disastri che si osservano derivano da comportamenti umani davvero “nemici” del bene comune, distruttori di equilibri e di armonie plurisecolari, che non avrebbero avuto altrimenti motivo di causare disastri agli insediamenti umani: costruzioni abusive su luoghi non abitabili, scorie tossiche non smaltite, comportamenti che
naturale, richiamato dalla giovanissima greta davanti alle Nazioni unite, ma anche la speranza di una forza nuova che ha l’intensità dell’originale gamma cromatica. Le Sei vedute di montagna (acrilico su cartone, 2013) di Alberto olivetti mostrano l’evolversi della luce sull’infinito di paesaggi incantati, in cui l’uomo è rapito dalla bellezza che percepisce, richia-mando nella mente le parole di giacomo leopardi, ma anche la propria fragilità davanti a spettacoli di tale potenza. La Luna commossa (olio su tela, 2015) di Carlo Cecchi si affaccia a
ignorano le forme più elementari di rispetto dell’ambiente, ricerca di prodotti alimentari che ben poco hanno a che vedere con la salute del corpo e dello spirito e così via, hanno generato la condizione attuale. tuttavia, gli artisti offrono espressioni raffinate che sono denunce e speranze: La Nascita del Monte Rosa e le Porosità di confine di laura Canali (alluminio graffiato e stampa digitale, 2019), manifestano la gioia della nascita di una montagna incantata di straordinario colore e la complessità della materia. L’ultimo sole (olio su tela, 2010) e L’albero di Greta Thunberg (olio su tela, 2019) di vittorio pavoncello rendono tangibile il dramma della fine della vita
compatire e affascinare noi umani, proiettandoci in una dimensione cosmica che riporta nelle giuste dimensioni le nostre ambizioni. pur se il tema proposto per questa sezione ha una forte componente laica, le parole di san Francesco di Assisi sintetizzano in modo perfetto lo stupore umano davanti alla creazione, auspicando per tutti noi che si interrompa questa corsa alla distruzione del mondo: Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra matre Terra, la quale ne sustenta et governa, et produce diversi fructi con coloriti flori et herba (Cantico delle Creature, da Laudato si’. Lettera enciclica sulla cura della casa comune, di papa Francesco, 2015).
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le mete di viaggio europeo tra la fine dell’ottocento e gli inizi del Novecento comprendono non più solo monumenti classici dei paesi mediterranei, prima tra tutti l’italia, ma anche nuove mete, come le montagne svizzere, divenute ambiti luoghi di villeggiatura, sulla base del nuovo gusto affermato nei giardini paesistici. i diari dei viaggiatori, le descrizioni del paesaggio di Amiel e i fazzoletti svizzeri Appenzell testimoniano nuove sensibilità. the european travel destinations between the end of the nineteenth century and the beginning of the twentieth century include not only classical monuments of mediterranean countries, first of all italy, but also new destinations, like the Swiss mountains, which have become coveted resorts, based on the new taste established in landscape gardens. travelers’ journals, Amiel landscape descriptions and Appenzell Swiss handkerchiefs bear witness to new sensibilities.
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grand tour, Amiel, fazzoletti Appenzell
grand tour, Amiel, Appenzell handkerchiefs
Note
1 C. Benocci, “Free gardeners, pindemonte ed i giardini d’ispirazione massonica”, in Manuali e saggi sul giardino e sul paesaggio in Italia dalla fine del Settecento all’Unità, “Storia dell’urbanistica”, 3/2011, a cura di C. Benocci, g. Corsani, l. zangheri, p. 73: si rinvia a questo volume per l’esame dei principali trattati relativi al giardino all’inglese o paesistico, con la documentazione di pertinenza. 2 Ibidem.
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«Camminare ha un qualcosa che anima e ravviva le mie idee. Quando sto fermo riesco a malapena a pensare; bisogna che il mio corpo sia in movimento perché entri in movimento anche il mio spirito». (Jean Jacques Rousseau)
All’inizio del Xviii secolo Johann Jakob Scheuchze, richiamava l’interesse per la Svizzera, a lungo rimasta uno spazio geografico poco noto, con il suo Ouresiphoítes Helveticus, sive Itinera Alpina tria, pubblicata a londra nel 1708 e poi ampliata nel 1723 con l’edizione di leida. il medico e naturalista svizzero compiva dal 1702 al 1711 ben nove viaggi attraverso l’intera Svizzera, spesso in compagnia di allievi, acquisendo un’esperienza diretta sul terreno che gli forniva materiali per disegnare la più importante carta geografica del territorio svizzero, pubblicata nel 1712 in 4 fogli che sarebbe stata a lungo un ineludibile punto di riferimento per i viaggiatori. Nei secoli del grand tour la Svizzera costituiva in molti casi una tappa obbligata sulla strada per l’italia, spesso temuta per la traversata delle Alpi e soltanto a partire dalla fine del Xviii secolo diveniva essa stessa una meta di viaggio negli itinerari battuti dai forestieri. i motivi di questo mutamento sono complessi e presentano aspetti estetici e
scientifici. Nella seconda metà del Xviii secolo ai canoni della bellezza classica fondata su una natura fertile e ben ordinata subentravano il gusto per il pittoresco e più tardi l’estetica del sublime che le Alpi con la loro maestosità consentivano di vivere con grande emozione come nel caso di Albrecht von Haller1, scienziato e letterato tedesco, e di Caspar Wolf, l’artista svizzero influenzato dalle idealità dello Sturm und Drang che a metà degli anni Settanta del Settecento viaggiava per ritrarre per conto dell’editore Abraham Wagner drammatici paesaggi alpini nel Berner oberland e nel Wallis. Alla fine del Xviii secoli gli scienziati quali Horace Bénédict de Saussure, Jean-André deluc e déodat de dolomieu2 partivano alla scoperta delle Alpi, diffondendo una migliore conoscenza dello spazio alpino che incuteva meno timore. era sul fondamento di questa nuova concezione che si sviluppava il viaggio romantico conseguente a quello scientifico che aveva caratterizzato il secolo d’oro del grand tour. era, però, proprio con i viaggi scientifici compiuti dal medico, naturalista e letterato tedesco, Albert von Haller effettuati nei primi decenni del Settecento nei paesi alpini (1728) che la montagna svizzera e i suoi abitanti iniziavano a essere esaltati e contrapposti ai corrotti costumi delle città mentre nella natura veniva individuata
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una presenza divina. Haller rappresentava in versi il paesaggio alpino cogliendo la bellezza e la poesia dei suoi elementi naturali ma al tempo stesso osservando con attenzione e studiando le peculiarità orografiche e climatiche, le varietà botaniche e geologiche, le caratteristiche antropologiche e culturali dei diversi luoghi che esplorava. le Alpi divenivano in una sorta di immaginario bucolico un luogo di delizia e di felicità contrapposto ai vizi ed alle lusinghe fallaci della città. la semplicità e la povertà del pastore che si accontentava di ciò che il Cielo e la natura gli concedeva divenivano emblemi di un’etica intrinseca all’ambiente alpino nel quale emergeva lo spirito di una comunità che si riconosceva in un sobrio modello di vita e che sapeva distinguersi per una propria specifica identità. l’idea stessa del viaggio nelle Alpi compiuto da Haller, quale strumento essenziale di conoscenza e di sperimentazione diretta, era di per sé originale e anticipatrice di quelli svolti negli ultimi decenni del secolo da Horace-Bénedict de Saussure3. proprio grazie all’opera les Alpes (1732) di Haller, infatti, si diffondeva in europa la curiosità di conoscere gli scenari alpini abitati da uomini ritenuti moralmente superiori, secondo un’assimilazione etico-antropologica che trovava un parallelo su un altro versante europeo, quello balcanico, con i coevi viaggi in dalmazia dell’abate veneziano Alberto Fortis con la scoperta dei morlacchi che vivevano ai bordi della civilizzata europa occidentale in un omerico stato di natura4. Se la descrizione del viaggio di Haller offriva al pubblico europeo una localizzazione in senso geografico del mito roussoviano incarnato dalle popolazioni alpine,
con l’opera di Fortis i morlacchi, di cui venezia si era avvalsa per le sue milizie nelle guerre contro i turchi, entravano nell’immaginario occidentale e nell’attenzione costante della Serenissima nei loro confronti. Al mito del buon selvaggio concepito dalla cultura illuministica di defoe, diderot e Rousseau si contrapponeva la condanna della corruzione della civiltà urbana e con esso si affermava il desiderio di fuga in una natura incontaminata in cui l’uomo ritrovava la sua primigenia integrità spingendosi alla ricerca di terre non solo incognite ma integre nei loro valori originari come le vallate alpine della Svizzera e l’europa balcanica che spalancava le porte all’oriente. dalla seconda metà del Xviii secolo la percezione della montagna iniziava a cambiare, i “monti orrendi” si trasformano in “cime sublimi”. le Alpi erano nella mappa narrativa del viaggio in Svizzera, secondo una percezione che attraversava tutto il secolo d’oro del grand tour e i primi decenni del ottocento, un ostacolo ruinoso, fatto di spaventosi dirupi abitati da animali selvatici, che rendeva faticosa e perigliosa la salita e la discesa dall’uno e dell’altro versante. le Alpi assurgevano nelle narrazioni dei viaggiatori a simbolo di una grandiosità sublime, dal candore abbagliante delle nevi, dalle immani vette e dalle turbinose bufere. Alla fine dell’età moderna nell’immaginario occidentale si imponevano transiti e passaggi nel paese transalpino avvolti quasi nelle brume della leggenda segno della nuova sensibilità che toccava il viaggiatore romantico di cui dava conto il britannico William turner nelle sue diverse versioni del San gottardo e
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nell’opera Il ponte del Diavolo5 realizzate durante il suo viaggio in Svizzera compito tra il 1803 e il 18046. il valico delle Alpi7, come ha scritto Attilio Brilli8, diveniva per i viaggiatori una vera e propria prova iniziatica superata la quale ai loro occhi si apriva una terra che, pur non avendo la magia dell’italia, attraeva uomini e donne non per i suoi mirabilia ma per quei valori di libertà e di democrazia che la Svizzera, asserragliata dalle mura titaniche delle sue gigantesche montagne coronate di nevi eterne, incarnava, come la descriveva ancora nella seconda metà degli anni Settanta dell’ottocento voldemaro Kaden in un’opera corredata da 460 illustrazioni che ebbe un enorme successo, tradotta in italiano e pubblicata dagli editori treves9, particolarmente versati nel settore dell’odeporica tanto da creare una collana intitolata “Biblioteca di viaggi” e la rivista “il giro del mondo. giornale di geografia, viaggi e Costumi”. la natura di soglia rituale associata ai valichi alpini, in Svizzera come in italia e negli altri paesi frontalieri, sarebbe rimasta tale sino all’epoca dei trafori10, tanto che ancora nel 1869 l’ingresso di Henry James in italia dal versante svizzero del passo del Sempione effettuato a piedi presentava un marcato carattere rituale. in questo quadro un’eccezione a livello europeo era costituita dal passo del Brennero, passaggio d’obbligo per i viaggiatori provenienti dai paesi tedeschi e dal mondo asburgico, largamente praticabile già dal Seicento. tuttavia, dobbiamo poi ricordare che se le Alpi erano una creazione dell’età del Romanticismo, già nella seconda metà del Settecento si erano venute elaborando in inghilterra,
in Francia e nei paesi tedeschi teorie estetiche e pratiche poetiche sostenitrici dello stretto rapporto tra paesaggio e moti dell’animo che contribuivano a dissolvere e a ricreare la natura in nuove immagini colte, appunto, dai viaggiatori secondo quell’impatto etico ed estetico del sublime teorizzato da eduard Burke che stabiliva un inedito tra rapporto tra uomo e natura11. un rapporto destinato a essere sempre più stretto nella considerazione che la Svizzera, terra di libertà e di rifugio, era percepita nella seconda metà dell’ottocento “come la mecca di quanti amano la bella natura (…)”12. Nel passaggio dal Settecento all’ottocento anche gli interessi dei viaggiatori subivano un’evoluzione: mentre nell’età del Grand Tour erano imperniati sulla descrizione dei costumi e delle diverse forme di governo, in seguito si allontanavano progressivamente dallo studio degli aspetti sociali, antropologici e folklorici per focalizzarsi sull’emozione estetica personale. Segno di questo mutamento era nel 1793 la pubblicazione a zurigo della celebre guida in due volumi di Johann gottfried ebel13 che tradotta prima in francese14 e poi in inglese gli avrebbe permesso di conquistare il pubblico britannico15 e che a lungo avrebbe mantenuto un posto significativo nel mercato della guidistica europea16. indicazioni minute erano date nella guida sul modo di affrontare i pericoli della montagna consigliando di «saziare gli occhi vostri della vista de’ precipizi, fino a tanto che sia esausta l’impressione che essi possono produrre sulla vostra fantasia, e voi siate fatti capaci di guardarli a sangue freddo»17. Nel 1847 l’editore luigi zucoli, socio ordinario della Società d’incoraggiamento
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allo studio del disegno in vallesesia, pubblicava a milano la seconda edizione della Nuovissima Guida dei viaggiatori in Italia e nelle principali parti d’Europa … colla descrizione delle loro città capitali ed altre notevoli indicazioni, dove dal numero 393 al numero 437 venivano segnalati una serie di itinerari di viaggio nei diversi cantoni svizzeri con la distanza in leghe, le strade calvalcabili, i sentieri, le stazioni di posta, gli alberghi, i monumenti, le chiese, i castelli, le bellezze naturali, le località termali. Si trattava di una moderna guida del viaggiatore che non lasciava nulla all’esplorazione ma che, al contrario, come le più note Baedeker, lo prendevano per mano e con le loro informazioni e notizie si intermediavano tra il viaggiatore e il viaggio togliendo inesorabilmente ogni alea di avventura rispetto al passato. ormai sappiamo più ci si addentra nell’ottocento e più i viaggi sono all’insegna del leisure e del diporto sempre meno dello studio e della formazione della persona. l’opera pionieristica di Johann gottfried ebel a partire dagli anni 184050 veniva sostituita dalle guide generaliste edite da John murray, Adolphe Joanne, Karl Baedeker e caratterizzate da un approccio sempre più oggettivo ed
esaustivo. le guide diventavano l’accessorio preferito dei viaggiatori, che proprio grazie a essi potevano definirsi turisti, alla ricerca delle stesse emozioni, degli stessi stereotipi e con gli stessi desideri. le guide assicuravano la notorietà di località, alberghi e servizi e plasmavano i gusti turistici. imponevano i loro parametri sui territori descritti beneficiando in larga misura del contributo degli alpinisti che proprio a partire dagli anni 1830-40, con l’emergere delle attività sportive, cominciavano a rendere sempre più popolare lo spazio alpino. Si inseriva in quest’ambito l’opera di leslie Stephen The Playground of Europe (1871) che riscuoteva un enorme successo di pubblico. Nel corso del XiX secolo la Svizzera fu uno dei paesi più visitati dell’europa romantica, in particolare da george Byron, Rodolphe töpffer, george Sand, Alexandre dumas, victor Hugo, John Ruskin, Adam gurowski, théophile gautier e Fëdor michajlovič dostoevskij. Nel XX sec. Rainer maria Rilke, Katherine mansfield, t. S. eliot, ernest Hemingway e Jean paulhan furono tra i grandi nomi della letteratura a compiere l’esperienza del viaggio in Svizzera.
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Note
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1 l. zanzi, Alberto von Haller. Un’illuminista “eclettico” tra laboratori della scienza e sentieri delle Alpi. 2 dolomieu nel 1781 viaggiava nella penisola italiana per studiare l’etna e per constatare gli effetti del terremoto calabro-siculo del 1783 i cui esiti rifluivano nell’opera Voyage aux iles de Lipari fait en 1781, ou Notices sur les iles Eoliennes, pour servir a l’Histoire des Volcans, paris, Rue et Hôtel de Serpente, 1783. 3 H.-B. de Sausurre, Les Voyages dans les Alpes, geneve, Slatkine, 2002. 4 e. Capuzzo, Viaggiatori in Dalmazia tra Settecento e Novecento, in Per Rita Tolomeo, scritti di amici sulla Dalmazia e l’Europa centro-orientale, a cura di e. Capuzzo, B. Crevato-Selvaggi, F. guida, venezia, la musa talia, 2014, p. 242. 5 S. Borghesi, g. Rocchi, Turner, in I Classici dell’Arte, vol. 25, Rizzoli, 2004, p. 37. più in generale v. Itinerari sublimi. Viaggi d’artisti tra il 1750 e il 1850, a cura di m. Khan Rossi, Skira, milano [1998]. 6 d. Hill, Turner in the Alps: the journey through France & Swizterland, george philiph, london 1992. 7 Itinerari sublimi. Viaggi d’artisti tra il 1750 e il 1850, a cura di m. Khan Rossi, cit., p. 80. 8 A. Brilli, Il grande racconto del viaggio in Italia. Itinerari di ieri per viaggiatori di oggi, il mulino, Bologna 2014, pp. 169-170.
9 v. Kaden, con illustrazioni di A. Calame, A. Calame e altri celebri artisti, Fratelli treves editori, milano 1878, pp. 1-2. Sull’opera di Kaden e sulla sua fortuna v. g. ghiringhelli, Il Ticino nelle vecchie stampe, pref. di B. Weber, Bellinzona, edizioni Casagrande, 2004², pp. 180181. 10 C. Reichler, Les Alpes et leurs imagiers. Voyage et histoire du regard, presses polythecniques et universitaires romandes, lausanne 2013, pp. 4972. 11 e. Burke, Inchiesta sul bello e il sublime, a cura di g. Sertoli, g. miglietta, Aesthetica, 2002. 12 La Svizzera descritta da v. Kaden, cit., p. 6. 13 J. g. ebel, Anleitung auf die nützlichste und genussvollste Art in der Schweitz zu reisen (1793) 14 J. g. ebel, Instructions pour le voyageur qui se propose de partorir la Suisse de la manière la plus utile et la plus propre à lui procurer les jouissances dont cetre contrée abonde Manuel du voyageur en Suisse, Ouvrage ou l’on trouve les directions nécessaires pour recueillir tout le fruit et toutes les jouissances que peut se promettre un etranger qui parcourt ce pays, H. langlois, paris 1818. 15 Ebel’s Traveller’s Guide through Switzerland, Samuel Leigh, 1818 e J. G. Ebel, Guide through Switzerland Chiefly Compiled from Ebel and Coxe, Calignani, 1825. 16 Dictionnaire encyclopédique des Alpes, vol. 1, grenoble, génat, 2006, p. 245. 17 g. Rey, Il Monte Cervino, illustrazioni di e. Rubino, prefaz. di e. de Amicis, nota geologica di v. Novarese, milano, Hoepli, 1904, p. 15.
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Henri-Frédéric Amiel: il paesaggio come stato dell’anima
“un paesaggio qualsiasi è uno stato dell’anima, e chi legge nell’uno e nell’altra è meravigliato di trovare la similitudine di ogni particolare”. e ancora: “l’anima del mondo è più aperta e intelligibile dell’ anima individuale; ha più spazio, più tempo e più forza per la sua manifestazione”1. Si istituisce qui una corrispondenza tra anima e natura, tra io e mondo. Così nel suo diario, alla data del 31 ottobre 1852, Henri-Frédéric Amiel, ginevrino, che nasce nel 1821 e a ginevra muore l’11 maggio del 1881. Quando nel 1883, per impulso della amica Fanny mercier, curata da edmond Scherer critico del parigino “temps” viene pubblicata postuma, con il titolo di Fragments d’un Journal Intime, una scelta delle sedicimila pagine stese con diligenza dal riservato professore di estetica e di filosofia dell’Accademia ginevrina giorno per giorno, per trentaquattro anni, l’interesse che suscita è grande e rapidamente si diffonde in europa e in America. in Francia ne scrivono elme Caro, ernest Renan, paul Bourget e Ferdinand Brunetière2. in poco più di tre anni si hanno cinque ristampe e numerose traduzioni. lev tolstoj, nel 1890, nella sua premessa alla traduzione russa del Journal Intime curata da maria lvovna tolstoj dichiara la sua “grande ammirazione” per Amiel.
in particolare Bourget rileva con acutezza come Amiel, «auteur de décadence», abbia «créé une prose composite e à demi barbare destinée à noter des nuances de l’âme d’une extraordinaire complication» “creato una prosa composita e semi barbara destinata a notare alcune sfumature de l’anima d’una straordinaria complicazione”3. le sfumature dell’anima: (le vaghezze, le evanescenze; e l’indefinito; e quanto svanisce e si dissolve) nella loro straordinaria complicazione (un intralcio, un intrico, le scabrosità, i viluppi. e, al contempo, un moto di cambiamento e mutazione: dunque processi di trasformazione e affrancamento) affiorano in Amiel, lo afferrano e lo vincolano. Catturato e insieme attratto, si propone di decantarle, quelle sfumature dell’anima, di raffinarle. Ne indaga le celate alchimie e delle vibrazioni più impercepibili dell’anima, come avrà occasione di definirle, si applica quotidianamente a dare un referto puntuale. tra il 1844 1848 studente di filosofia a Berlino, Amiel, legge lo Urbild der Menschheit [1811] e le Vorlesungen über das System der Philosophie [1828] di Karl Christian Friedrich Krause [1781-1832]. A Berlino, il 4 febbraio del 1846 annota nel Journal: “l’uomo che ora mi sembra abbia meglio realizzato il mio tipo è Krause, perché in lui idea, bellezza, amore sono in armonia, equilibrati,
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coordinati e non assorbiti nell’intelligenza pura” che è quanto avverrebbe, secondo Amiel, in Hegel e Schelling4. e ancora, il successivo 10 aprile: “Quest’uomo ha reso razionale il misticismo. È profondo come un neoplatonico e positivo come un matematico. Afferma e stabilisce ciò che altri hanno intravisto come sogni, come speranze. dimostra l’intuizione, traduce in cifre ciò che altri chiamano indecifrabile: calcola il sogno e formula algebricamente le vibrazioni più impercepibili dell’anima. È geometra ed algebrista, anschaulich [come a dire osservatore aderente, scrutatore] ed astratto, uomo del Sein e del Werden [dell’essere e del divenire]. È tutto idea e tutto Amore, giudica il tempo dal centro dell’eternità, per comprendere l’universo si pone in dio. totalità, armonia, profondità, ecco la sua legge”5. Commentando il convincimento filosofico al quale Amiel si attiene, paolo Arcari ha scritto: “è la scomparsa del Selbstbewusstsein, dello stato di un essere cosciente di sé, nel Bewusstsein impersonale, nel pleroma, nell’assieme di tutti gli esseri. È la reimplicazione: le conseguenze rientrano nel principio, gli effetti nella causa, l’uccello nell’uovo, l’organismo nel germe. tutto si riduce allo stato di esistenza latente”6. Amiel, nota il 2 dicembre 1851: “fa come la pianta, proteggi con l’oscurità tutto ciò che germina in te, pensiero o sentimento, e non produrlo alla luce che quando è già formato. ogni concezione dev’essere avvolta nel triplice velo del pudore, del silenzio e dell’ombra”7. Così Amiel si ausculta e, più di quanto non sarebbe stato forse disposto ad ammettere o credere, redige i margini dell’anima dell’uomo contemporaneo. Ne
misura le gradazioni, le gamme impercettibili che ne determinano i toni e gli sfagli. e ne verifica le transeunti stabilità che si conseguono pur nel perenne mutamento. e gli squilibri che fan vacillare e i vuoti che non si colmano. in una pagina datata 29 agosto 1876 si legge: “il fatto d’essere un maschio, un ginevrino, un europeo, un individuo del XiX secolo, con queste o quelle cognizioni, non è che un accidente di superficie. tutte queste particolarità sono fortuite e mi sembrano un involucro facilmente caduco. Fra me e una forma qualsiasi dell’essere sensibile non sento che distanze sormontabili senza difficoltà. mi potrei svegliare un giorno giapponese, donna, pazzo, fanciullo, cammello, abitante di giove o selenite, e non griderei al miracolo. il tempo e lo spazio non esistono solidamente per me, e per conseguenza tutte le metamorfosi sono facili”8. 4 ottobre 1873: “Ho sognato a lungo al chiaro di luna. lo stato d’animo in cui ci immerge questa luce fantastica è talmente crepuscolare esso stesso, che l’analisi vi brancola e vi balbetta. È l’indefinito, l’inafferrabile, press’a poco come il rumore dei flutti, formato di mille suoni mescolati e fusi. È l’eco di tutti i desideri insoddisfatti dell’anima, di tutte le pene sorde del cuore, che s’uniscono in una sonorità vaga, spirante in vaporoso mormorio. tutti questi lamenti impercettibili, che non arrivano alla coscienza, danno sommandosi un risultato, traducono un sentimento di vuoto e di aspirazione, suonano malinconia. […] Questo raggio lunare è come una sonda luminosa gettata nel pozzo della nostra vita interiore, di cui ci lascia intravvedere le profondità ignorate. […] Nel caso mio
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e attualmente, che cosa m’insegna su me stesso questo raggio notturno? Che non sono nell’ordine, che non ho vera pace, che la mia anima non è che un abisso inquieto, tenebroso e divorante insieme, e che io non sono in regola né con la vita né con la morte”9. Amiel, dunque, rispecchia lo stato dell’animo suo nella natura costituita in paesaggio. Scrive il 6 dicembre del 1870: “Dauer im Wechsel, la ‘persistenza nella mobilità’, questo titolo di una poesia di goethe è la parola d’ordine della natura”. e dice: “io sono per me stesso lo spazio immobile, in cui ruotano il mio sole e le mie stelle”10. Richiamo qui, per il loro carattere esemplare, i seguenti passi del Journal Intime. mattino del 22 maggio 1879: “tempo magnifico e delizioso. leggerezza dell’essere. gaiezza all’esterno e all’ interno. luce carezzevole, blu limpido dell’aria, cinguettio di uccelli; non uno, fino ai suoni più lontani, che non abbia un qualcosa di giovane e di primaverile”. Amiel scrive seduto nel portico della sua casa e, guardandosi d’attorno, nota che “il mantello dell’edera è rinverdito, il castagno è rivestito tutto del suo fogliame, i lillà di persia, accanto alla piccola fontana, rosseggiano e vanno a fiorire”. poi rivolge lo sguardo lontano, “oltre gli alberi di Saint-Antoine”, fino al monte Salève e fino alle creste dei voirons, “oltre la collina di Cologny”. Amiel passa dalla notazione pittoresca, i colori dei fiori e delle piante, alla contemplazione de “la cime du Salève aux flancs azurés”, come la cantava cinquant’anni prima Alphonse de lamartine11.
e la contemplazione del paesaggio dilata i confini temporali. la presenza del contorno alpino che lo tiene nel maggio del 1879 e che descrive, è quella medesima che nella sua esatta configurazione Konrad Witz delinea nell’anno 1444 a far da sfondo nella tavola de La pesca miracolosa accolta nel duomo di ginevra. vi si osservano, scanditi in successione, i profili di quei medesimi monti: sulla sinistra, i voirons, il monte môle al centro e, sulla destra, il primo arco del dorso settentrionale del petit Salève. essi son raffigurati nella pittura a cingere, in lontananza, le acque del lago ove Cristo, secondo il racconto di luca e di giovanni, sta operando il suo miracolo. e se allora lo scenario in cui il miracolo avvenne fu o il lago di genezaret (lc 5, 1); o quello di tiberiade (io 21,1); è sulle rive del lago di ginevra (le “ritrae, ha scritto Kenneth Clark, con la minuzia di un preraffaellita”) che ora Witz ambienta le narrazioni evangeliche12. ora, nel 1444. ora nel 1879. e Amiel: “ho salutato con emozione e trasporto le montagne, donde mi veniva questo sentimento di forza e di purezza, una sfera più eterea dell’anima. mille sensazioni, analogie e pensieri mi hanno assalito. tutti i punti di vista, pittoresco, topografico, etnografico, storico, psicologico, ideale si sovrapponevano per così dire e s’intravvedevano gli uni a traverso agli altri, concentricamente. vivevo oggettivamente e soggettivamente; godevo e imparavo. la vista si trasformava in visione, senza traccia di allucinazione, e il paesaggio era il mio maestro, il mio virgilio”13.
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Note
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1 Henri-Frédéric Amiel, Fragments d’un Journal Intime, introduction de Bernard Bouvier, paris, Stock, 1931, tome i, p. 316. Cito dalla traduzione italiana parziale enrico Federico Amiel, Frammenti di un Giornale Intimo, a cura di C. Baseggio, torino, utet, 1946, pp. 68-69. 2 elme Caro, «Revue des deux mondes», 15 febbraio 1883, e 1 ottobre 1884; ernest Renan, «Journal des dèbats», 30 settembre e 7 ottobre 1884; Ferdinand Brunetière, «Revue des deux mondes», 1 gennaio 1886. 3 il testo, originariamente pubblicato nel 1885, si legge ora in paul Bourget, Essais de Psychologie contemporaine, paris, plon, 1933, pp. 255-297. 4 enrico Federico Amiel, Frammenti di un Giornale Intimo, trad. it. cit.. pp. 24-25. 5 ivi, p. 25. 6 paolo Arcari, Federico Amiel, genova, Formiggini, 1912 Collana profili n°5. Cito dalla seconda edizione Roma, 1928,.p. 25. Arcari nasce
a Fourneaux (Savoia) nel 1879, e muore a Roma nel 1955. professore di letteratura italiana nella università di Freiburg im Üechtland dal 1902, nel 1928 ne diviene Rettore. Rammento, tra i primi contributi italiani su Amiel, lo studio biografico critico di giovanni Battista marchesi, Il pensieroso. Studio su Henri-Frédéric Amiel, milano 1908. di indubbio interesse è, sulla personalità Amiel, la testimonianza dell’amica Berthe vadier, HenriFrédéric Amiel, étude biographique, geneve, Fischbacher, 1885. 7 enrico Federico Amiel, Frammenti di un Giornale Intimo, trad. it. cit.. p. 52. 8 ivi, 236-237. 9 ivi, p. 222-223. 10 ivi, p. 195. 11 traduco da Henri-Frédéric Amiel, Fragments d’un Journal Intime, cit. tome ii, p. 252. 12 Kennet Clark, Il paesaggio nell’arte, trad. it. di marina valle, milano, garzanti, 1985, p. 45. 13 enrico Federico Amiel, Frammenti di un Giornale Intimo, trad. it. cit.. p. 80.
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l’arte del merletto e del ricamo, anche grazie alla proficua e benemerita attività dell’Associazione e Scuola Bolsena Ricama, del Club uNeSCo di udine e di altre associazioni, si avvia a essere riconosciuta dall’uNeSCo “patrimonio dell’umanità”, con particolare riguardo alle opere italiane, estendendo il riconoscimento accordato al merletto “ad ago” della città di Alençon e al merletto “a fuselli” della città di Chantilly. la produzione italiana è ben nota agli studiosi, come creazione di grande valore, soprattutto per la sua nascita, sviluppo e valorizzazione del merletto a “fuselli”, documentato a venezia a partire dal 1493, e di quello “ad ago”, presente a venezia intorno al 1500, espressione di notevole creatività e di attribuzione di valore all’abito e ai tessuti, utilizzabili in molte applicazioni della vita di una comunità1. occupa altresì un posto di primo piano nella secolare produzione svizzera, collocata nel semi-cantone di Appenzell esterno (Land Appenzell der äussern Rhoden)2, collocato a nord tra la città di San gallo e il lago di Costanza e a sud confinante con il massiccio dell’Alpstein e il cantone di Appenzell interno. infatti, alla produzione di tele di lino nel Xvii secolo, segue quella dei tessuti di cotone a partire dal Xviii secolo, soprattutto di mussola, con ricami a mano e stampe di tele indiane, fino alla filatura meccanica su telai inglesi nel 1790 circa. Questa attività prosegue fino al 1830, quando prevale la tessitura a punto piatto e il trattamento del finissaggio, divenuto poi prevalentemente industriale; dal 1840 si osserva altresì la tessitura di garze di seta, utilizzate nell’industria molitoria. l’attività semi-meccanica di ricami a domicilio, prevalentemente femminile, si sviluppa dal 1870 al 1920, che si affianca alla produzione industriale di finissaggio già ricordata, con impianti di candeggio, apprettatura e stamperie. i prodotti di questa attività hanno un’eccezionale diffusione, soprattutto tra le classi alto-borghesi e aristocratiche europee. Ciò nonostante, rare sono le collezioni di questi prodotti e di particolare pregio è la raccolta di luciana molinis a udine3, che dispone di una serie di 10 esemplari di fazzoletti, inquadrabili nella serie Grand Tour, prodotti ad Appenzell tra il 1870 e il 1900. Queste opere introducono un tema nuovo nel pur ricco panorama della documentazione di promozione turistica europea, destinata sia a valorizzare particolari luoghi sia ad aggiornarne l’immagine con nuovi edifici moderni, da poco costruiti o rinnovati. l’attenzione della critica si è rivolta finora soprattutto al settore della nuova arte della fotografia, alle cartoline, a particolari interpretazioni paesaggistiche, alle descrizioni dei diari di viaggio, alla corrispondenza e a molteplici manifestazioni artistiche e letterarie; i fazzoletti Appenzell rappresentano un efficacissimo mezzo di 36
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promozione finora ben poco apprezzato dalla critica moderna; il fazzoletto invece consente un facile e quotidiano trasporto come essenziale accessorio dell’abbigliamento femminile e può essere esibito in ogni momento opportuno dalla proprietaria, mostrando con orgoglio le meraviglie di ricamo e le novità del soggetto raffigurato, con sicuro effetto non solo nel mondo femminile.
Fig. 1. Hotel Victoria, Interlaken, ricamo su fazzoletto Appenzell, Grand Tour, 1870-1900, collezione Luciana Molinis
il primo fazzoletto in esame è dedicato alla raffigurazione dell’Hotel victoria di interlaken (fig. 1), una raffinata località di villeggiatura nella Svizzera centrale, nella regione montuosa dell’oberland Bernese, tra i laghi di thun e di Brienz. Non si tratta di un luogo legato alle cure a base di siero di latte e di vita a contatto con la natura arcadica dei monti, secondo la moda affermatasi nel Xviii secolo, soprattutto per coloro che rifuggono dalle città in cerca di salute e di una vita più armoniosa: interlaken è luogo alla moda, dove l’élite più raffinata europea si ritrova, come il duca lorenzo Sforza Cesarini, che promuove il restauro della cappella cattolica4. il ricamo è condotto con punti classici ma con un’attenta ricerca di tipologie di fiori, da quelli alpini e quelli più diffusi della flora mediterranea: un contesto floristico europeo incornicia quindi un albergo destinato all’intero continente.
il fazzoletto successivo raffigura la cattedrale di Santa Reparata di Nizza (fig. 2), consacrata nel 1699 ma con la facciata riedificata nel 1825-1830, riprodotta nel fazzoletto, introducendo il gusto neo-gotico di moda anche nell’antica città mediterranea; l’ambiente locale è richiamato peraltro anche dalla flora ricamata, esclusivamente del bacino mediterraneo, anticipando la moda della villeggiatura nella Costa Azzurra. 37
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Fig. 2. La cattedrale di Santa Reparata, con facciata riedificata nel 1825-1830, Nizza, ricamo su fazzoletto Appenzell, Grand Tour, 1870-1900, collezione Luciana Molinis
Celebrativo della nuova Gare du Nord di parigi è il fazzoletto successivo (fig. 3), che dà inizio a una serie parigina, raffigurante edifici monumentali della città, in quei decenni il luogo di moda internazionale per eccellenza. la stazione raffigurata è quella della seconda edificazione, con messa in servizio nel 1864: la modernità del luogo di partenza e arrivo dei viaggi europei e intercontinentali, rappresentata nella raffigurazione del notevole edificio, di moderne forme industriali e riccamente decorato, non è estranea alla tradizione locale, richiamata dalla corona di spighe e fiori, quali rose, dalie, peonie e altre specie di moda nei giardini europei.
Fig. 3. Gare du Nord, seconda edificazione con messa in servizio nel 1864, Parigi, ricamo su fazzoletto Appenzell, Grand Tour, 1870-1900, collezione Luciana Molinis
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Analogo è il valore del successivo fazzoletto, dove è raffigurato il palazzo garnier, inaugurato nel 1875 come opéra (fig. 4), la cui elegante prospettiva non è circondata dal patrimonio vegetale, in questo caso vero e proprio tempio della musica e salotto elegante internazionale.
Fig. 4. Opéra, palazzo Garnier, inaugurato nel 1875, Parigi, ricamo su fazzoletto Appenzell, Grand Tour, 1870-1900, collezione Luciana Molinis
Spighe e fiori mediterranei ritornano nella cattedrale di Nôtre dame (fig. 5), con la guglia ottocentesca recentemente bruciata; la resa dell’immobile è particolarmente suggestiva, inquadrata dall’area absidale vista di scorcio, in una sorta di crescendo prospettico che ne esalta il significato cristiano, cui rimanda anche l’abbondanza di spighe, elemento religioso per eccellenza.
Fig. 5. La cattedrale di Nôtre Dame, Parigi, ricamo su fazzoletto Appenzell, Grand Tour, 1870-1900, collezione Luciana Molinis
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i giardini reali del luxembourg (fig. 6), davanti al palazzo, sono i protagonisti dell’ultimo fazzoletto parigino, dedicato a “Nina”, nome ricamato sull’angolo inferiore. i fasti dell’antico palazzo, visto di sottinsù, sono stemperati dall’armonia dei disegni eleganti dei parterres dei giardini sottostanti, che richiamano la grande tradizione giardiniera francese, sviluppata proprio in questi giardini dalla regina maria de’ medici nel Xvii secolo. la ghirlanda di tralci di vite che circonda la regale composizione allude alla ricchezza, seduzione e spiritualità dell’uva e del vino che se ne produce, auspicando fertilità e gioia.
Fig. 6. Il palazzo e i giardini del Luxembourg, Parigi, ricamo su fazzoletto Appenzell, Grand Tour, 1870-1900, collezione Luciana Molinis
l’attenzione al mondo che vale la pena visitare si sposta sull’italia, meta per eccellenza del Grand Tour: il primo soggetto, però, pure circondato di fiori, non è una fabbrica degna della modernità industriale, pertinente al triangolo italiano, costituito da milano-torino-genova5, ma la raffigurazione dell’antico monumento protagonista della prima città, il duomo di milano (fig. 7), mirabilmente ricamato, con punti classici, nelle sue numerose guglie e negli elaborati trafori: la cattedrale, e questa in particolare, è l’edificio rappresentativo della comunità che l’ha costruito e sviluppato per secoli, costituendo il legame più forte tra le generazioni e l’identità del luogo. Segue il fazzoletto dedicato all’immancabile venezia (fig. 8), con veduta circondata da fiori: ancora una volta, non si raffigura una facciata o un monumento ma un contesto cittadino, la piazza San marco, cuore della comunità, approdo e partenza per viaggi lontani; sullo sfondo, il palazzo ducale e uno scorcio di città, quasi a sottolineare che sia quest’ultima, nella sua gente e nei suoi spazi, a divenire oggetto della visita, e non solo i singoli monumenti, per consentire al visitatore di osservare con rispetto e ammirazione la straordinaria vita secolare di un luogo incantato. 40
I miti turistici europei sui ricami dei fazzoletti svizzeri Appenzell, 1870-1900
Fig. 7. Il duomo di Milano, ricamo su fazzoletto Appenzell, Grand Tour, 1870-1900, collezione Luciana Molinis
Fig. 8. La piazza San Marco, Venezia, ricamo su fazzoletto Appenzell, Grand Tour, 1870-1900, collezione Luciana Molinis
Roma è una meta obbligata, per le meraviglie classiche e per il patrimonio religioso: la Svizzera, in gran parte non cattolica, non si sottrae all’ammirazione per questi aspetti della città e ne riproduce il Colosseo (fig. 9), che emerge da una corona di erbe, fiori e frutti, tra i quali si moltiplicano l’uva e i melograni, entrambi emblemi di vita e di eternità. 41
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Fig. 9. Il Colosseo, Roma, ricamo su fazzoletto Appenzell, Grand Tour, 1870-1900, collezione Luciana Molinis
Conclude la serie l’immagine più seducente ed espressiva di questi fazzoletti, il cui soggetto è interpretato con particolare originalità: si tratta della basilica di San pietro (fig. 10); il “cupolone” si inserisce nella florida e magnifica corona di fiori ma il centro della composizione è la piazza antistante con il colonnato berniniano, che ha alle spalle la città, in particolare la corona di alture che la circondano a nord, visibili da chi entra nella città eterna dalla via Francigena: è un invito a sperimentare un’accoglienza secolare, sorniona e spirituale, per ogni cittadino del mondo.
Fig. 10. La Basilica di San Pietro, con il colonnato berniniano e il paesaggio romano circostante, ricamo su fazzoletto Appenzell, Grand Tour, 1870-1900, collezione Luciana Molinis
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la straordinaria qualità di questi fazzoletti non deve far dimenticare che si tratta di una produzione che nei decenni tra la fine del XiX e gli inizi del XX secolo costituisce una via di riscatto sociale e di affermazione di un ruolo nuovo per il lavoro femminile, via alla quale si dedicano molte donne giunte a Roma dopo la proclamazione della città capitale, nell’ambito di famiglie europee e svizzere in particolare, stabilitesi soprattutto nel nuovo quartiere ludovisi, sorto sull’antica villa della famiglia romana. tra queste signore emerge Carolina Sommaruga maraini (1869-1959), appartenente ad una famiglia di lugano, promotrice del lavoro femminile di alto artigianato, come il ricamo con il punto ombra da lei creato per tessuti di vario tipo, lavoro che assicura l’emancipazione di soggetti femminili particolarmente fragili o in difficoltà, peraltro assistiti anche nella villa maraini sulla via portuense, destinata alle ragazze-madri. Carolina, appartenente a una importante famiglia di imprenditori, attivi anche nel campo musicale, è la moglie di emilio maraini (1853-1916), imprenditore svizzeroitaliano di lugano, che crea una vera e propria industria fiorente a Rieti per la produzione di zucchero derivante dalle barbabietole e partecipa attivamente alle attività pubbliche italiane, appartenente ad una famiglia di professionisti, come otto maraini, ai quali si devono molti immobili del nuovo quartiere6. Ai prodotti delle industrie Femminili italiane (tessuti ricamati, oggetti di arredo, ceramiche, accessori ecc.) è dedicata la sala per esposizioni e vendita fatta costruire a Roma .in prosecuzione della galleria Sciarra tra via marco minghetti e via delle muratte7, su concessione temporanea della Banca d’italia, nel 1903 dalla Società Anonima Cooperativa promossa dalle signore alto-borghesi e aristocratiche, italiane e straniere, del mondo romano, quali la stessa Carolina maraini, lavinia taverna, l. AscoliNathan, Cora di Brazzà e marija pavlovna demidova Abamelek lazarev: non si compie un’opera di beneficenza ma si attiva un processo di indipendenza e rispetto per il mondo lavorativo femminile, che avrà ancora una lunga strada da percorrere.
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ABStRACt
i ricami svizzeri sui fazzoletti grand tour Appenzell del 1870-1900, della collezione luciana molinis di udine, recano le immagini di edifici europei moderni o rinnovati sia religiosi che laici. essi rappresentano un mezzo moderno ed efficace di promozione di viaggi verso mete nuove e tradizionali, di grande valore sociale. Swiss embroidery on the grand tour Appenzell handkerchiefs from 1870-1900, from the luciana molinis collection in udine, bear images of modern or renovated european buildings both religious and secular. they represent a modern and effective means of promoting travel to new and traditional destinations of great social value. pARole CHiAve
/ KeyWoRdS
Ricami svizzeri Appenzell, collezione molinis udine, città europee. Appenzell Swiss embroidery, molinis udine collection, european cities. Note
1 R. levi pisetzky, Il costume e la moda nella società italiana, torino 1978; Carla Benocci, Sfarzo e quotidiano nella Roma del Settecento: gli “abiti d’inverno” e gli “abiti d’estate” del duca Gaetano Sforza Cesarini Savelli, in “Bollettino dei musei comunali di Roma”, nuova serie, Xi, 1997, pp. 53-62; elisabetta gnignera, Leonardo – La bella svelata, Bologna 2016; Barbara Aniello, elisabetta
gnignera, Lorenzo da Viterbo “magister pictor” del Rinascimento italiano, 1469-2019, Roma 2018. 2 peter Witschi, traduzione di valerio Ferloni, Appenzello esterno, in “dizionario Storico della Svizzera”, 2017, sub vocem. 3 Ringrazio la prof.ssa molinis per la cortese disponibilità con cui ha concesso queste immagini della sua preziosa collezione. Cfr. I merletti nel tempo patrimonio da salvare, catalogo della mostra ideata e curata da luciana molinis, maria Cossettini Baldassi, Francesco Chili, gallerie del progetto, palazzo valvason morpurgo, udine 2011, con ampia bibliografia precedente. 4 C. Benocci, Il singolare parco “all’inglese” Sforza Cesarini a Genzano di Pietro Camporese il Giovane e Augusto Lanciani, in “Storia dell’urbanistica”, 12/2020, a cura di C. Barucci, g. Corsani, p. l. palazzuoli, in corso di stampa. 5 Cfr. gli edifici e la loro collocazione urbanistica nelle tre città delle Assicurazioni generali in Le Assicurazioni generali nelle città italiane tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento, “Storia dell’urbanistica”, 8/2016, a cura di C. Benocci. 6 Sulla villa maraini cfr. m. p. Fritz, La villa Maraini a Roma, Un richiamo allo spirito della villeggiatura romana nei primi decenni di Roma capitale, Berna 2009; C. Benocci, Villa Ludovisi, Roma 2010; C. Benocci, Il giardino di Villa Maraini nel 1910: tradizione italiana, fascino esotico, moda europea, in “Strenna dei Romanisti”, 73, 2012, pp. 37-58. 7 C. Benocci, La villa romana dei principi Semen Semenovich e Marija Pavlova Demidova Abamelek Lazarev: il fascino di Roma e dell’arte europea, in La storia della famiglia Demidoff in Russia e in Italia, convegno internazionale, mosca, 4-6 aprile 2019, Fondazione demidoff, atti in corso di stampa.
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Mostra collettica “La natura madre e matrigna”
Laura Canali Nascita del Monte Rosa Alluminio graffiato e stampa digitale cm 100x75 2019
Laura Canali Porosità di confine Alluminio graffiato e stampa digitale cm 100x75 2019
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Le opere esposte
Vittorio Pavoncello L’ultimo Sole olio su tela cm 30x30 2010
Vittorio Pavoncello L'albero di Greta Thunberg olio su tela cm 40x35 2019
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Mostra collettica “La natura madre e matrigna�
Alberto Olivetti da Sei vedute di montagna acrilico su cartone 6 piccoli quadretti di cm 18x12,5 2013
Carlo Cecchi Luna commossa olio su tela cm 50x70 2015
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Alcune pubblicazioni della Fondazione Giacomo Matteotti
Ultimo volume pubblicato dalla Fondazione Giacomo Matteotti dicembre 2019
Collana Testimonianze e ricerche (3) A cura di Angelo G. sabatini e Alberto Aghemo
saggi di Emmanuele Francesco Maria Emanuele, Antonello Folco biagini, Angelo G. sabatini, Giovanna Motta, Patrizia Pampana, Francesca Russo, Elena Dumitru, Alessandro vagnini, Fabio l. Grassi, Cornelia bujin, Giuseppe Motta, Andrea Carteny, Daniel Pommier vincelli, Nadan Petrovic, Francesco Forte, Rossella Pace, Marco Cilento, Abdessamad El jaouzy, beatrice Romiti, Alessandro saggioro, Angela bernardo, leone spita, Roberto Ruggieri, Giuliana vinci, Fabiana Giacomotti, Alberto Aghemo
Il volume riporta gli esiti del progetto di ricerca sul tema “Mediterraneo: tradizione, patrimonio, prospettive. una proposta per l’innovazione e lo sviluppo” condotto in collaborazione con autorevoli enti ed istituzioni, tra i quali la Fondazione Terzo Pilastro − Internazionale, la Fondazione sapienza e la società Geografica Italiana. la ricerca affronta il tema del ruolo che i Paesi dell’area del Mediterraneo sono chiamati a svolgere nel campo della tutela e della valorizzazione del patrimonio culturale, della cooperazione internazionale, delle reti infrastrutturali, delle antiche e nuove imprese, dello sviluppo delle risorse umane in una logica di convivenza, accoglienza e mutuo riconoscimento, assecondando i driver dell’innovazione e delle attività vocate dei diversi territori. stampato in Italia nel mese di dicembre 2019 da F.lli Pittini snc IsbN 978-88-940861-2-6