Nell’architettura contemporanea stiamo assistendo alla crescita nell’utilizzo degli strumenti computazionali come ausilio nella fase esplorativa della progettazione per trovare nuove forme architettoniche e ampliare gli orizzonti della progettazione stessa. Grazie a queste modalità operative e all’uso di questi nuovi strumenti, l’architetto non produce più un unico design finito, ma piuttosto definisce una serie di regole e parametri che influenzano una matrice di possibili soluzioni. Nell’esplorazione e nella ricerca degli strumenti computazionali si aprono molteplici scenari in funzione dei parametri impostati nella fase iniziale di generazione della geometria. In tale ambito, l’ottimizzazione topologica (abbreviata in OT) fa parte di un processo computazionale la cui logica di intervento e dei processi di definizione della forma trae ispirazione dai modelli della natura che per primi, grazie all’evoluzione, hanno prodotto strutture efficienti senza sprecare materiale. Analogamente l’ottimizzazione topologica, per la sua capacità di generare forme con elevata efficienza meccanica e dalle geometrie complesse, trova un impiego sempre maggiore nel campo architettonico fin dalle prime fasi del progetto, come strumento di form finding digitale in cui la complessità nelle forme non è il fine ma strumento di generazione. Nonostante l’ottimizzazione topologica non nasca come strumento per la progettazione, si osserva come ad oggi rimanga un settore in crescita in cui sempre più studi di architettura e ingegneria investono nell’ambito della ricerca e delle sperimentazioni.
L’obiettivo della riflessione è quello di analizzare lo sviluppo dell’applicabilità dell’ottimizzazione topologica in architettura, proponendo i casi studi più significativi e analizzando i processi generativi alla base di tali forme complesse.
English version
Recently, we can observe how architecture is facing an increasing use of computational tools as an aid in the exploration phase of design to find new architectural forms and expand the horizons of design. Through the use of these new tools, the architect no longer produces a single finished project, but rather defines a set of rules and parameters that influence a matrix of possible solutions. In the exploration and research of computational tools, multiple scenarios open up depending on the parameters set in the initial phase of geometry generation. In this context, topological optimization is part of a computational process whose logic of intervention and definition of forms is inspired by the models of nature, which first, through evolution, produced efficient structures without wasting materials. Similarly, topological optimization, due to its ability to generate highly mechanically efficient forms and complex geometries, is increasingly used in the field of architecture from the earliest stages of design, as a digital form-finding tool in which the complexity of form is not the end but the means of generation. Although topological optimization did not originate as a design tool, it can be observed that to date it remains a growing field in which more and more architectural and engineering firms are investing in research and experimentation. The objective of this reflection is to analyze the development of the applicability of topological optimization in architecture, proposing the most significant case studies and analyzing the generative processes underlying such complex shapes.
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Abstract
Indice
-PREAMBOLO
-LA NATURA ALLA BASE DEI PROCESSI DI OTTIMIZZAZIONE
-FORM FINDING FRA ANALOGICO E DIGITALE
Form finding analogico
Form finding digitale
-LA RICERCA DELL’EFFICIENZA IN ARCHITETTURA
L’ottimizzazione topologica digitale
Processi generativi
Metodi ESO e BESO
Gli strumenti di generazione e visualizzazione
4. -CASI STUDIO
AM Node, Arup
Stay-in place e Smart slab, ETH
Padiglione Volu, Zaha Hadid
Edificio Akutagawa, Lijima studio
Qatar National convention Center, Arata Isozaki
One thousand museum, Zaha Hadid
Fibrus Tower, Kokkugia studio
Manurugly Tower, Dora studio
-ALGORITMO, FORMA, STAMPA
-CONCLUSIONI
-BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA
-PHOTO CREDITS
2.1 3.1 2.2 3.2 3.3 3.4 52 75 54 56 58 60 64 66 68
1. 5. 2. 3.
4.1 4.5 4.2 4.6 4.3 4.7 4.4 4.8 50 26 14 8 82 89 93 70 6 31 29 22 16 37 46 Prove di generazione 5.1 L’OTTIMIZZAZIONE TOPOLOGICA NEI PROCESSI DI FORM FINDING DIGITALI
Preambolo
L’elaborato è frutto degli interessi maturati nell’ambito del computational design durante gli studi di architettura al Politecnico di Milano. In particolare, nella ricerca di una metodologia capace di generare forme in base alle caratteristiche del materiale e alle forze che agiscono sulla struttura, sia attraverso l’utilizzo di strumenti digitali per ottimizzare una struttura sia attraverso l’utilizzo dell’ottimizzazione topologica (abbreviata in OT).
Le radici dell’ottimizzazione sono profondamente radicate nei processi alla base di alcuni fenomeni fisici e biologici; ad iniziare dagli organismi che, per primi, hanno dovuto ottimizzare le proprie forme durante i processi evolutivi della specie. L’ottimizzazione digitale ha la pretesa di emulare i processi naturali utilizzando una serie di strumenti multidisciplinari e discipline, fra cui l’informatica e la matematica, stabilendo un processo che ha impiegato decenni per arrivare all’attuale fase e che tutt’oggi continua ad essere oggetto di studi e ricerche.La scelta di approfondire l’OT, dunque un metodo computazionale, è da ricercarsi nel modo in cui agisce, cioè direttamente sulla forma e sulla materia della struttura, modificandola ed eliminando il materiale superfluo, non utile. Non esiste una definizione univoca di ottimizzazione, trattandosi di un termine declinabile in base alle esigenze del progettista, che rende questo metodo incredibilmente versatile. Viene così definito un modo di generare la forma che, nonostante abbia una declinazione prettamente strutturale, sviluppa un’estetica propria, complessa e organica; riuscendo nell’intento di essere accostata al mondo della natura, sia come processo di generazione che di immaginario visivo.
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Oggi, nel mondo, gli architetti stanno resettando gli strumenti del progetto per creare un linguaggio che consideri variazione e complessità.
Lars Spuybroek (2009:7)
Capitolo 01
La natura alla base dei processi di ottimizzazione
Nel corso della storia, architetti e designer hanno guardato al mondo naturale come fonte di ispirazione per diversi tipi di forme, tecniche e funzioni: “Fin dall’epoca della Grecia Classica gli architetti hanno attinto dalla natura le forme da imitare e replicare, soffermandosi principalmente sull’aspetto formale e decorativo” (Schumacher, 2018). Un approccio di replica e mimesi puramente formale non permette però di indagare e analizzare i processi biologici che si celano dietro alle opere della natura, andando ad apprezzarne solo la forma e la composizione senza capire i processi biologici e le motivazioni che determinano quelle particolari forme organiche che si possono osservare. Il miglioramento degli studi nel campo della biologia, avvenuti nel XX secolo, ha portato ad una maggiore comprensione di come gli organismi viventi si evolvono e sviluppano i loro caratteri per meglio adattarsi all’ambiente esterno. Dagli anni ‘80 del ‘900 biologi dal calibro di Steven Vogel e Janine Benyus 1 iniziarono ad interessarsi a un fine pratico della biologia, sostenendo come una migliore comprensione delle dinamiche e dei processi naturali possa essere utilizzata in discipline esterne al campo di ricerca. La scienziata statunitense Janine Benyus utilizzò per prima il termine biomimetica nel 1997 per indicare la branca della biologia che “studia e imita i modelli della natura per risolvere i problemi delle attività umane e studiare il modo per applicarli alle opere e ai manufatti tecnici” (Onal, and Karakoç, 2019). Andando così a definire un nuovo tipo di
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1. Janine Benyus, scrittrice e scienziata ha fondato nel ‘98 la Biomimicry Guild, con la dott. ssa Dayna Baumeister, con lo scopo di diffondere l’emulazione dei modelli naturali e le possibili applicazioni.
approccio il cui richiamo alle forme della natura che non cerca solo di imitare le forme della natura, ma bensì va oltre l’apparenza formale, utilizzando un approccio per caprine le relazioni e i processi biologici che si celano dietro all’aspetto formale cercando un livello di comprensione più profondo di una semplice imitazione.
Il rapido avanzamento nei progressi della biologia e il conseguente diffondersi delle teorie della biomimetica ha coinvolto numerose discipline influenzando inevitabilmente anche l’architettura e l’ingegneria. Gli architetti hanno ricercato la soluzione alle loro domande di tipo strutturale, ispirandosi alle forme della natura, iniziando a farsi ispirare dalle relazioni e processi biologici per creare strutture migliori e più efficienti per i più diversi scopi architettonici. Nel cercare le risposte i progettisti hanno potuto attingere a un vasto repertorio naturale che, attraverso processi evolutivi di milioni di anni, ha realizzato per primo strutture efficienti, ottimizzato le proprie forme e ridotto il consumo di materiale. Un chiaro esempio è visibile nelle specie vegetali, che utilizzano una particolare disposizione di crescita per assorbire meglio la luce solare o nella struttura degli alberi, dove la dimensione dei rami e del tronco è direttamente proporzionale al peso che devono supportare, andando a distribuire il materiale in base ad una logica strutturale e a concentrarlo nei punti in cui vi è maggior necessità. Un esempio è la spugna di vetro, che grazie alla sua struttura elicoidale composta da microfilamenti è stata definita da Burrows, L. (2020) “una configurazione biologica per la progettazione di strutture più leggere e più resistenti per un’ampia gamma di applicazioni, dai ponti ai grattacieli” (Fig 1,2). Ancora più interessante risulta indagare alla microscala, in cui in alcune specie di uccelli il processo evolutivo ha portato allo sviluppo di una struttura ossea spugnosa estremamente leggera (Fig. 3), come nel caso del metacarpo dell’avvoltoio la cui struttura interna è paragonabile ad una trave reticolare utilizzata nell’edilizia (Fig 4).
In questo modo gli architetti hanno potuto integrare, nella progettazione in architettura, concetti derivanti dal mondo della biologia come l’evoluzione, lo sviluppo, l’adattamento, la mutazione e la morfogenesi. Infatti, nel panorama contemporaneo, l’analogia architettura-natura opera su più livelli andando oltre il piano formale cercando di capire i principi cardine che regolano le dinamiche e i processi stessi della natura. Dalla metà degli anni ’50, gli architetti
iniziarono a costruire modelli fisici cercando di ricrearli in laboratorio e di ottenere forme ottimizzate figlie dei processi biologici attinte dai modelli della natura.
A questo proposito è importante citare la figura dell’architetto tedesco Frei Otto che, nella seconda metà del ‘900, ha aperto la strada a un modello di ricerca basato su processi inorganici di morfogenesi analizzando i processi di auto-organizzazione del materiale. Un esempio ne è lo studio delle superfici minime attraverso gli esperimenti condotti sulle bolle di sapone che avevano lo scopo di comprendere come il materiale fosse in grado di auto-organizzarsi distribuendosi sulla minima superficie strutturalmente efficiente tra due o più telai.
In seguito a questi suoi studi e grazie ad una simulazione con i modelli fisici esaminati, i processi inorganici e spontanei di auto-organizzazione del materiale sono i criteri alla base delle forme organiche dell’architettura che Frei Otto denomina “ricerca della forma” o form finding proprio per identificare un modo di procedere che non derivava dalla pura invenzione della forma. Il risultato di un processo di form finding produce forme coerenti sia con le capacità dei materiali utilizzati sia con l’insieme di forze che agiscono nel processo stesso proprio perché derivano direttamente da processi appresi dalla natura.
In seguito a queste ricerche si può affermare che i principi
11 10
LA NATURA ALLA BASE DEI PROCESSI DI OTTIMIZZAZIONE CAPITOLO 1.
Figura 1.
Figura 2.
Figura 1. Spugna di vetro (Euplectella aspergillum), tipo di spugna che vive nel fondale marino, la cui struttura risulta ottimale nel resistere ai carichi delle correnti marine.
Figura 2. Ingrandimento al microscopio dei filamenti esterni che compongono la spugna di vetro.
generativi di un’architettura ispirata ai modelli della natura non possono essere individuati nella scelta di un particolare modello formale piuttosto, per rintracciare un linguaggio comune, dobbiamo ampliare la prospettiva di analisi rivolgendoci ai sistemi di regole formali, alla vita e alla complessità della sua evoluzione. Ciò che ne deriva, analizzando le caratteristiche generali dei modelli architettonici tratti dalla natura, sono tre elementi (Schumacher, 2018):
-La flessibilità e la sottile variazione parametrica delle forme rispetto alle condizioni contestuali, in contrasto con approcci più rigidi e di ripetizione degli elementi;
-I gradienti e le transizioni morbide tra zone in contrasto con i bordi netti;
-L’ottimizzazione della forma, in cui ogni aspetto è necessario, senza sprechi di materiale.
Negli ultimi decenni le tecnologie computazionali hanno acquisito nuovi strumenti per affrontare questi aspetti. In questo modo è stato possibile utilizzare i modelli osservati in natura e la loro evoluzione nell’ambito della progettazione architettonica.” (Sherif, and Aziz, 2016). Lo sviluppo della progettazione assistita da computer, avvenuta tra il XX e il XXI secolo, ha introdotto un apparato di strumenti che hanno migliorato i metodi di calcolo, consentendo di sviluppare algoritmi che si rifanno ai modelli naturali.
Da un primo approccio con i modelli fisici, a partire dagli anni ’70, è stato possibile sviluppare queste metodologie grazie all’ausilio dei computer, senza i quali questi metodi di generazione non sarebbero stati possibili. Di conseguenza il supporto digitale si è dimostrato essere uno strumento eccezionale per imitare le tecniche evolutive ed aiutare architetti e ingegneri nel processo di ottimizzazione per la ricerca di un design con forme e caratteristiche sempre più efficienti, già nelle fasi iniziali di un progetto.
13 12 LA NATURA ALLA BASE DEI PROCESSI DI OTTIMIZZAZIONE CAPITOLO 1.
Figura 3. Tessuto osseo di un pettirosso. Caratterizzato da una disposizione a nido d’ape che fornisce leggerezza e resistenza.
Figura 4. Metacarpo di un avvoltoio la cui ossatura richiama la struttura di una trave reticolare.
Capitolo 02
Form finding fra analogico e digitale
Analizzando l’architettura contemporanea è possibile individuare un nuovo processo di comprensione del materiale in cui emerge la stretta relazione tra i mondi digitale e fisico, dove il primo, inoltre, si presenta come un’interfaccia chiave per l’esplorazione dei materiali con tecniche computazionali e viceversa. Si tratta di un approccio in cui la materialità è arricchita con caratteristiche digitali che influiscono sul modo di concepire e generare l’architettura; infatti, è sempre più possibile una fusione fra il mondo fisico e quello digitale congiungendo due mondi apparentemente distinti: dati e materiali, programmazione e costruzione si intrecciano apportando un grande cambiamento nel modo di concepire l’architettura. Si profila infatti un’architettura che prende come modello il processo integrato di formazione e materializzazione dei sistemi naturali. Al centro di questa ricerca si trova la sperimentazione con i materiali che interagiscono con un ambiente specifico e rispondono a determinati criteri strutturali, funzionali e performativi. In questo nuovo approccio all’architettura, è proprio la materialità che si trasforma in un elemento attivo di design. Di conseguenza questo approccio andrà considerato come “un dialogo tra proprietà intensive dei materiali (elasticità, temperatura, pressione, ecc.) e proprietà estensive (volume, dimensioni, ecc.)” (Arringhi, 2017). Il form finding è una tecnica progettuale di morfogenesi che si focalizza sulle proprietà dei materiali che sono in grado di autoorganizzarsi sotto l’influenza di forze estrinseche. Esiste tuttavia una differenza tra il form finding fisico, che
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è la simulazione di una precisa circostanza di elementi e di forze, e il form finding digitale, che è l’esplorazione iterativa di circostanze variabili. Quello che diventa vincolante in quest’ultimo, è l’utilizzo di strumenti computazionali.
2.1 Form finding analogico
Grandi architetti quali Antoni Gaudí, Frei Paul Otto, Buckminster Fuller, Pier Luigi Nervi e Félix Candela si sono ispirati nei loro progetti, a dinamiche e strutture appartenenti al mondo naturale. Le loro ricerche sono state condotte con modelli fisici in maniera empirica per trarre dalle osservazioni effettuate sui fenomeni naturali, i possibili utilizzi in architettura.
Il modello della catenaria di Gaudí, per esempio, può essere considerato come un modello di “computazione del materiale” essenzialmente auto-calcolato. Una fune fissata a dei supporti alle sue estremità si andrà a disporre formando una curva in base al peso del materiale. Essa risolve le forze multidimensionali che agiscono nella maglia come un calcolo di molteplici fattori, andando a disporsi nella tipica forma ad arco utilizzata dall’architetto nelle proprie opere.
L’esperienza di Frei Otto fu determinante nella seconda metà del ‘900 proponendo attività in ricerche e sperimentazioni strutturali indirizzate alla risoluzione di complesse tensostrutture, costruite con cavi, reti e membrane, tutte finalizzate alla massimizzazione dei risultati funzionali mediante un ridotto sforzo nella realizzazione, approfondendo, appunto, la sperimentazione del metodo progettuale che esplora la tendenza del materiale ad autoorganizzarsi in relazione all’azione di particolari influenze esterne e alle caratteristiche intrinseche della materia stessa. Nella progettazione architettonica questo approccio viene usato per sviluppare forme strutturali efficienti derivate dall’applicazione di forze gravitazionali e viene impiegato principalmente per due motivi: generare la forma che deve essere costruita e studiarne, attraverso modelli fisici, il comportamento strutturale per realizzare l’edificio nella forma desiderata. Come è stato già affermato in precedenza, Frei Otto va ricordato perché ha contribuito a introdurre il concetto di form finding nella progettazione con l’obiettivo di rivoluzionare il processo di creazione e ottimizzazione delle forme strutturali.
Otto si serviva di modelli fisici in scala ridotta in cui ricreava, con l’utilizzo di vari materiali, le sue simulazioni. Dal momento che la loro forma segue leggi fisiche, lo strumento
17 16 CAPITOLO 2.
FORM FINDING FRA ANALOGICO E DIGITALE
Figure 5-6-7-8. Prime prove della ricerca della forma minima attravero le bolle di sapone, ottenuto tramite il sollevamento del punto centrale del telaio.
Figura 11.
Figura 9.
Figura 6.
Figura 10.
Frei Otto, soap bubble model of the “Tanzbrunnen” (dance pavilion), Entwicklungsstätte für den Leichtbau EL (Development Center for Lightweight Construction), Berlin, 1957
Frei Otto, soap bubble model of the “Tanzbrunnen” (dance pavilion), Entwicklungsstätte für den Leichtbau EL (Development Center for Lightweight Construction), Berlin, 1957
Figure 9-10. Frei Otto, modelli finali per il padiglione dell’expo di Montreal, eseguiti con due tipologie di tessuti differenti.
Figura 11. Immagine del padiglione per l’expo di Montreal nel 1967.
con cui vengono effettuate le simulazioni determina inevitabilmente una relazione con il modello fisico. Lo strumento per acquisire le conoscenze e il risultato finale rappresentano una realtà indissolubile. Utilizzando proprio l’analisi delle superfici minime attraverso gli esperimenti condotti sulle bolle di sapone (Figg. 4,5,6), Frei Otto progettò il padiglione della danza (Tanzbrunnen) a Berlino nel 1957. Celebre, inoltre, la tensostruttura del Padiglione Tedesco di Montréal (Figg. 8,10), per l’Expo del 1967, realizzato con una membrana di tessuto in tensione, posta al di sopra di elementi puntali per modificarne la forma. Il modello fisico a scala ridotta per molti progettisti ha rappresentato un mezzo necessario per cercare la definizione della forma strutturale adatta alla funzione che la struttura era chiamata a soddisfare. Dal momento che i risultati osservati nei suoi esperimenti cambiavano costantemente i risultati di processi temporanei, Frei Otto utilizzava la fotografia e il video come strumenti per memorizzare e documentare i risultati da lui raggiunti, immagini di studi sulla natura, ragnatele, strutture di sabbia o bolle di sapone. Per tutta la sua vita, Frei Otto ha raccolto e organizzato immagini di strutture naturali. Gli servivano sia come ispirazione e, sia come oggetto di ricerca.
Altra figura di riferimento per il form finding analogico è Heinz Isler, che dedicò i suoi studi principalmente alla ricerca di strumenti per la generazione di forme a guscio. Nel 1959 l’architetto pubblicò i risultati ottenuti nella pubblicazione ‘ New Shapes for Shells ’ in cui suddivise in tre categorie principali i metodi per ottenere una forma a guscio: “gusci di forma libera”, “membrana sotto pressione” e “telo appeso rovesciato” (Giulia Boller, 2020). Le categorie differiscono per materiali utilizzati e strumenti e principi come suggeriscono i nomi. I fattori che influenzano direttamente la forma sono i medesimi in tutte le categorie: le leggi naturali e in particolar modo la forza di gravità. L’approccio alla ricerca di Isler della forma si riferiva a osservazioni provenienti dalla vita quotidiana: Isler utilizzava tessuti leggeri, appesi al contrario, la cui forma era dettata delle leggi fisiche che agivano sul modello con un procedimento simile alle catenarie di Gaudí. Queste sperimentazioni vengono tradotte in architettura come approccio innovativo per la realizzazione di coperture come nel caso del Sicli SA a Ginevra e nel Wyss Garden Center fino ad arrivare a geometrie più complesse come nel caso della Bruehl Sport Center la cui struttura risulta composta da una compenetrazione di più gusci.
19 18
Figura 15. (Nelle pagine succesive) Frei Otto, foto notturana del padiglione “Tanzbrunnen”.
Figura 12. Studio sulle forme a guscio utilizzando un telo di stoffa legato alle estremità di due pali di legno.
Figura 13. Modello fisico con panni e gesso per il Sicli SA a Ginevra.
CAPITOLO 2. FORM FINDING FRA ANALOGICO E DIGITALE
Figura 14. Sicli SA, foto dell’ingresso principale.
E DIGITALE CAPITOLO 2.
FORM FINDING FRA ANALOGICO
2.2 Form finding digitale
Utilizzare strumenti digitali comporta in primo luogo aprire la progettazione a tecniche e strategie la cui principale forza si misura nella capacità di promuovere nuovi e diversi modi di pensare. Così in aggiunta ad un form finding puramente analogico con modelli fisici, il digitale influenza e accompagna sempre più i processi architettonici, in cui il supporto digitale e computazionale può permettersi di spingere al massimo le potenzialità del materiale e dove il materiale stesso lascia la sua concezione statica spaziale per assumere nuove dinamiche formali e temporali. La sintesi di due mondi apparentemente distinti, il digitale e il materiale, genera nuove possibilità e sperimentazioni.
Con il lavoro di ricerca proposto da Sean Ahlquist 2 è stato possibile aggiungere una dimensione digital al form finding, sviluppando un ambiente digitale per lo sviluppo di tensostrutture complesse basandosi sulla relazione fra i materiali e le loro prestazioni funzionali, poggiando lo sviluppo geometrico su vincoli topologici ambientali e materiali. Ahlquist, per definire le proprie strutture, utilizza una maglia di tessuto con una logica meccanica utilizzando un telaio Jacquard a controllo numerico: questo particolare telaio permette di ottenere sia cambiamenti di densità che la possibilità di combinare filamenti con differenti elasticità in modo da ottenere internamente una struttura tessile. La relazione fra le deformazioni elastiche e le densità del tessuto è controllata tramite modelli fisici, valutati dallo sviluppo di simulazioni virtuali che permettono una modifica simultanea della struttura elastica in accordo con la modellazione geometrica tridimensionale. Così facendo vi è sempre un feedback fra ciò che accade nel mondo fisico e nella simulazione virtuale.
Questo procedimento è molto importante in quanto permette la realizzazione di strutture di grandi dimensioni attraverso l’utilizzo di due soli componenti tessili agendo sui parametri materiali che controllano la maglia del tessuto. Per arrivare a ciò si deve concentrare il materiale e la rigidità strutturale esclusivamente dove si verificano le condizioni di maggiore sforzo andando ad individuare i punti più cedevoli che necessitano di una rigidezza maggiore.
Un approccio simile di ricerca è stato portato avanti da Jenny Sabin che ha pensato ad una struttura a maglia intrecciata lunga 16 metri, la prima che integra le caratteristiche delle
2 Sean Ahlquist , direttore del M.Sc. in Digital Material Technologies (DMT) all’università del Michigan. Nei suoi studi affronta la ricerca su specifici campi dell’architettura fra i quali le possibili applicazioni delle tecniche di progettazione computazionali e i metodi innovativi di costruzioni.
strutture tessili intrecciate alla scala architettonica di un padiglione. Nel padiglione Lumen esposto al Moma Ps1nel 2017 (Fig. 15) il tessuto vene utilizzato come elemento essenziale per la generazione della geometria finale, costituito da elementi di varie dimensioni dalla forma esagonale, ottenuti tessendo filati fotoluminescenti che nel corso della giornata cambia colore, in base alle condizioni di luminosità e calore, e alla sera il tessuto fotosensibile diventa luminoso.
Un altro esempio, che coniuga caratteristiche materiali e design computazionale, è il padiglione eretto a Stoccarda nel 2010 dagli istituti ICD e ITKE (Fig. 16). La struttura è costruita con strisce in compensato di betulla ed è basata interamente sulla capacità del materiale di piegarsi in modo elastico. La base geometrica della struttura è una coppia di archi ribassati. Questi sono collegati tra loro e sfalsati nella lunghezza degli elementi in modo tale da ottenere un’alternanza di zone che lavorano in tensione con il compito di mantenere la geometria e zone a compressione elastica in grado di aumentare la capacità strutturale del sistema.
Il risultato è una struttura formata da pannelli di compensato estremamente sottili, che dimostra come il processo generativo della forma possa essere guidato e organizzato dalle proprietà fisiche e dalle caratteristiche del materiale. L’università di Stoccarda ha continuato a
23 22 FORM FINDING FRA ANALOGICO E DIGITALE CAPITOLO 2.
Figura 16. Jenny Sabin, Immagine del padiglione Lumen, esposto al Moma PS1.
maturare una ricerca che unisse la computazione del materiale alla biomimetica, presentando tre anni dopo il Reseach pavillon del 2013 (Figg. 17,18) figlio di una cooperazione fra architetti e ingegneri dell’università di Tübingen. Durante le fasi di ricerca, l’elitra, il guscio protettivo per le ali e l’addome degli scarafaggi (Fig. 20), si è rivelato il modello naturale adatto da replicare per la logica costruttiva del padiglione. La resistenza e la leggerezza di queste strutture leggere sono date dalla morfologia geometrica di un sistema a doppio strato e sulle proprietà meccaniche delle molteplici fibre naturali. Sulla base della morfologia delle elitre e della disposizione delle singole fibre, è stato definito un algoritmo capace di riprodurre la logica generativa delle strutture. Per assemblare i trentasei elementi esagonali che compongono il padiglione, si è ricorso all’ausilio di robot industriali ABB, senza i quali non sarebbe stato possibile replicare la complessa trama di fibre che compone i gusci.
25 24 FORM FINDING FRA ANALOGICO E DIGITALE CAPITOLO 2.
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Figura 17. ICD/ITKE Research pavillon del 2010 dell’univerista di Stoccarda
89. Diagram showing the complex, plywood-like assembly of a lobster exoskeleton
90. Beetle shells studied by Professor Achim Menges’ team during the design of the ICD/ITKE Research Pavilion
91 90
91. The ICD/ITKE Research Pavilion at the University of Stuttgart, made from robotically woven fibres based on a detailed understanding of the morphology of beetle
Figura 18. ICD/ITKE Research pavillon del 2010.
Figura 20. Vista interna degli elementi a doppio guscio.
Figura 19. Ingrandimento delle elitre degli scarafaggi. Studio approfondito dal professore Achin Menges, durante le prime fasi di ricerca del padiglione dell’Univeristà di Stoccarda del 2010.
Figura 18.
Figura 19.
Figura 20.
Capitolo 03 La ricerca dell’efficienza in architettura
Nel campo delle costruzioni la ricerca di forme ottimizzate incide su molteplici fattori quali il peso della struttura, la quantità di materiale utilizzato o la miglior conformità per una data quantità di materiale o ancora secondo le singole esigenze del progettista.
“In architettura, per arrivare a queste forme, è possibile distinguere tre differenti approcci di ottimizzazione delle strutture” (Bendsoe, 2003).
01. 02. 03. 01.
Ottimizzazione dimensionale
Ottimizzazione della forma
Ottimizzazione della tipologia
L’ottimizzazione dimensionale è la più semplice classe di ottimizzazione in cui la forma della struttura da ottimizzare è nota in partenza. In una generica ottimizzazione del dimensionamento degli elementi architettonici le variabili sono generalmente parametri geometrici come la lunghezza e la larghezza. Un esempio ne è il dimensionamento di una trave o un pilastro in base al carico da sopportare (Fig. 21).
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Figura 21. L’ottimizzazione dimensionale della trave in figura si ottiene tramite la variazione dell’altezza.
Nell’ottimizzazione di forma, invece, l’obiettivo è quello di determinare la migliore forma o superficie, la quale dunque assume la valenza di variabile di progetto. Anche in questo caso non è però consentita la formazione di nuove parti o la generazione di fori. Nell’ottimizzazione di forma, le variabili di progetto possono ad esempio essere la distribuzione di spessore in corrispondenza di un elemento della struttura, il diametro di un foro preesistente, il raggio di curvatura o qualunque altra azione che non alteri la tipologia. Gli esperimenti delle bolle di sapone di Frei Otto, di cui abbiamo già parlato, appartengono a questa categoria, dato che il risultato dei processi di form finding mostrava che il raggiungimento della forma minima avveniva tramite un cambio di curvatura (Fig. 22).
3.1 Ottimizzazione
. topologica digitale
L’ottimizzazione topologica digitale è uno strumento di ottimizzazione della forma per la generazione della miglior topologia di una struttura, in base a determinati parametri, ad un insieme di forze e condizioni di supporto o vincoli e al materiale utilizzato.
Infine, l’ottimizzazione topologica, è la tipologia di ottimizzazione strutturale più specifica. Questa consiste nel determinare il numero, il posizionamento e l’interconnessione dei vuoti e dei pieni all’interno di una struttura senza creare strappi, mantenendo tutte le superfici connesse. Proprio grazie alla capacità di togliere e aggiungere il materiale cambiandone la forma, l’ottimizzazione della topologia si dimostra essere la più efficace nella ricerca della struttura più performante (Fig. 23)
La ricerca nell’ambito dell’ottimizzazione topologica digitale è iniziata nel corso dei primi anni ’80 del XX secolo con applicazioni rivolte però esclusivamente al campo dell’ingegneria aeronautica per soddisfare la necessità di creare strutture più leggere per gli aeromobili. Successivamente, il miglioramento della velocità di calcolo e dei software utilizzati per l’ottimizzazione del progetto, ha permesso l’utilizzo di questo strumento anche nel mondo delle costruzioni per la progettazione di strutture di maggiori dimensioni e maggiore complessità. “Di conseguenza si sono aperte nuove possibilità per gli architetti permettendo loro di sperimentare e iniziare a beneficiare delle tecniche della OT” (Januszkiewicz, and Banachowicz, 2017).
In una OT digitale l’ottimizzazione di una struttura avviene tramite algoritmi, definiti come su una serie di istruzioni univocamente interpretabili che spiegano come arrivare ad un obiettivo. L’utilizzo di algoritmi promuove una ricerca basata sul concetto di codice-procedura: se la risoluzione di un problema può essere espressa in un numero finito di passaggi, allo stesso modo l’identità della forma è la diretta conseguenza dell’insieme di regole che la definiscono. La forma non è definita a priori, ma derivante da un processo di affinamento di varie istanze, strutturali, geometriche e concettuali che porta al risultato che meglio si avvicina alle aspettative formulate in partenza.
Dopo un’analisi della struttura alle sollecitazioni esterne, è affidato all’algoritmo il compito di rimuove il materiale non strettamente (Fig. 24) necessario della zona analizzata per generare una nuova forma, ottimizzata. Il concetto di forma ottimale, dipende strettamente dalle necessità del progettista, ed in ragione dell’obiettivo da
29 28
IN
CAPITOLO 3.
LA RICERCA DELL’EFFICIENZA
ARCHITETTURA
Figura 22. Ottimizzazione della forma di una trave, ottenuta senza generare nuovi fuori alterandone solo la forma degli stessi già presenti.
Figura 23. L’ottimizzazione della topologia della trave riguarda la rimozione di materiale ritenuto non necessario ai fini statici, creando buchi e definendo una nuova geometria.
02. 03.
raggiungere, alcuni esempi sono: il minor utilizzo di materiale, la struttura con il minor peso o massimizzare la resistenza. La modalità di esecuzione ricalca i modelli della natura cercando di massimizzare l’utilizzo del materiale rimanente, rimuovendo quello superfluo, in cui le proprietà del materiale utilizzato influenzano la generazione della forma. La struttura risultante assume una fisicità essenziale, quasi “scheletrica”, poiché il materiale è assegnato solo ai luoghi in cui è necessario a livello statico. L’aspetto innovativo dell’approccio computazionale non consiste tanto nella possibilità di rappresentare e controllare morfologie articolate, ma di poter produrre forme complesse ottenibili anche con un’adeguata conoscenza di software tradizionali pur se questo richiede tempi più lunghi e difficoltà maggiori ai fini progettuali. La vera novità di questo approccio è la generazione della forma come risultato dell’interazione fra le diverse determinanti che caratterizzano un progetto, siano essi di ordine tecnologico, economico o culturale. Tutte le strutture presentano un visibile grado di complessità formale, che non è il fine, ma il risultato di un processo logico di relazioni che consente di ottenere le soluzioni più corrette ed efficienti rispetto a tutti i parametri considerati. Tecnica, materia e forma si integrano in processi che vengono definiti di morfogenesi computazionale proprio
Figura 24. Ottimizzazione della topologia di una trave in tre dimensioni. Le differenti configurazioni sono i frame estraporati durante le iterazioni in cui viene rimosso gradualmente il materiale per arrivare alla configurazione finale.
perché, come nella morfogenesi naturale (nei processi di sviluppo e crescita degli organismi viventi), organizzazioni complesse e forme nascono dall’interazione di capacità materiali intrinseche ai sistemi, alle influenze e alle forze ambientali esterne. Il progettista pertanto non definisce il risultato finale, ma il sistema di relazione fra gli elementi che portano al risultato. Proprio la scelta di individuare determinati parametri è significativa nel risultato di una OT. Come precedentemente specificato i parametri variano a seconda dell’obiettivo prefissato dal progettista: basati su aspetti legati al luogo in altri casi sull’aspetto estetico, strutturale o economico. L’ottimizzazione della topologia può essere usata dai progettisti per aumentare il loro potere creativo, mediando tra criteri strutturali e architettonici in una struttura distinguibile e dalle forme organiche. E possiamo quindi comprendere quanto possa essere interessante per l’architettura l’utilizzo dell’OT già nelle prime fasi di design.
3.2 Processi generativi
La definizione di algoritmi, nella generazione della forma, ha avvicinato i progettisti alla programmazione. Il punto fondamentale non è tanto acquisire la conoscenza di linguaggi di programmazione poiché un processo algoritmico può prescindere dall’uso del calcolatore, ma sviluppare una forma mentis capace di dedurre e analizzare i passi che conducono al risultato. Dunque, è necessario un nuovo modo di pensare il rapporto fra geometria, strumenti informatici e design. La gestione di migliaia di dati relativi a un problema e la capacità di ottimizzarli secondo un criterio è un lavoro che il computer esegue efficacemente. L’elaboratore però non è in grado di stabilire le regole di generazione che devono essere formulate dal progettista: occorre quindi conoscere la geometria per poterla adeguatamente preparare alla ottimizzazione.
La struttura finale ottimizzata è figlia di un processo computazionale e della formulazione di un generico algoritmo di OT che varia, a seconda della metodologia e del software utilizzato, poiché a differenti software corrispondono differenti metodologie e modi di operare.
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Per comprendere appieno il meccanismo della struttura finale ottimizzata è importante considerare che sono principalmente due le parti costitutive in un processo di una generica OT:
Analisi degli elementi finiti;
Ottimizzazione della topologia.
3 . L’Analisi degli elementi finiti (FEA) è una tecnica di simulazione a computer usata nelle analisi ingegneristiche. Utilizza il Metodo degli elementi finiti (FEM), il cui obiettivo è essenzialmente la risoluzione in forma discreta ed approssimata di sistemi di equazioni alle derivate parziali (PDE) e permette di simulare il comportamento delle costruzioni meccaniche sollecitate.
Analisi degli elementi finiti (abbreviata in FEA 3)
L’analisi degli elementi finiti, in sintesi, è una tecnica di simulazione che permette di riprodurre il comportamento delle costruzioni, sollecitate da carichi e forze, evidenziando con un gradiente la sollecitazione in ogni punto della struttura, con il relativo grado di intenstà . Nel caso di una struttura bidimensionale, ad esempio, viene introdotta una griglia, suddividendo la struttura stessa in piccole celle assegnando un colore ad ogni cella, colore che varia a seconda della sollecitazione alla quale la struttura è sottoposta (Fig. 25). Nel caso di strutture tridimensionali la procedura è analoga, solo che si parla di una griglia in tre dimensioni, con un processo denominato di voxellizzazione in cui la geometria di partenza viene suddivisa in piccoli cubi di egual dimensione. La riduzione delle strutture ad un
Figura 25. Analisi degli elementi finiti utilizzata per lo studio delle forze nel progetto Stay-in-place. In rosso la zona più soggetta alle sollecitazioni. L’ottimizzazione della topologia si sviluppa in base ai risultati degli elementi finiti, rimuovendo meno materiale nelle zone rosse e gialle.
sistema a celle è necessaria per semplificare il procedimento di simulazione in cui, maggiore è il numero delle celle, maggiore sarà l’accuratezza raggiungibile.
02. Ottimizzazione della topologia
E’ un procedimento che consiste nel minimizzare la conformazione di una struttura, in altre parole, di modificarne la topologia in base a determinati parametri inseriti dal progettista. L’ottimizzazione della topologia opera sempre a partire da una superficie o da un volume che definiscono i limiti geometrici entro cui avviene il processo di OT. L’obiettivo è quello di non creare strappi o interruzioni nella geometria definendo un continuum dell’intera struttura, aggiungendo materiale nei punti più sollecitati e rimuovendolo nei punti in cui non vi è necessità in base all’analisi FEM. I metodi per effettuare tale ottimizzazione sono vari e cambiano in base al tipo di metodologia utilizzata (Figg. 26-27).
Martin P. Bendsøe ha aperto la strada al campo dell’ottimizzazione topologica nel suo libro “Ottimizzazione della topologia: Teoria, Metodi e Applicazione” ha introdotto una definizione di OT e dei suoi principi in modo dettagliato in cui, per la prima volta, vengono utilizzati i risultati dell’analisi degli elementi finiti come processo per determinare il percorso dei carichi e per utilizzare una linea guida con cui condurre l’ottimizzazione. Questo metodo è denominato “SIMP” (Solid Isotropic Material with Penalization) e per primo spianò la strada indicando la procedura matematica di rimozione del materiale, un approccio simili negli gli altri metodi di ottimizzazione utilizzati tutt’oggi. Il metodo venne denominato così perché applicabile solo a materiali isotropi e in cui l’obiettivo dell’ottimizzazione strutturale è regolato da un unico parametro: massimizzare la rigidezza per la minor quantità di area. Per il criterio della rimozione delle celle e di conseguenza del materiale, viene utilizzato il metodo della densità del materiale: “Per fare ciò l’area da analizzare viene suddivisa in celle associando un valore da 0 a 1, con il corrispettivo gradiente dal bianco (0) al nero (1)” (Kandermir, 2018), dove il bianco indica la densità minima di materiale e le zone nere quella massima. Ad ogni cella corrisponde un valore di densità calcolato in base all’analisi degli elementi
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01. 01.
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finiti; di conseguenza, nelle aree che presentano maggiori sollecitazioni, vi è una maggiore densità di materiale. Per terminare, la rimozione delle celle avviene con un metodo di approssimazione eliminando le celle con una bassa densità e quindi con un valore più chiaro, ritenute non necessarie per massimizzare la resistenza. Questo metodo, come specifica il nome, è rivolto solo all’uso di particolari parametri la cui densità dovrà essere impostata all’inizio della generazione della OT. A livello pratico, la procedura SIMP presenta delle grosse limitazioni a causa della sua struttura dati, di conseguenza, se ne privilegia l’uso in applicazioni meno complesse.
Altre metodologie sviluppate successivamente, come l’ottimizzazione strutturale evolutiva (ESO) e l’ottimizzazione strutturale evolutiva bidirezionale (BESO), presentano un’efficienza e una rapidità di calcolo maggiori. Nel 1993, Steven, e Xie, pubblicarono il libro “Evolutionary Structural Optimization” nel quale introdussero un approccio chiamato ottimizzazione strutturale evolutiva (ESO). Il metodo ESO si basa sulla semplice idea che “la struttura ottimale può essere prodotta rimuovendo gradualmente il materiale inefficace dalla struttura in esame” (Steven, and Xie, 1993), lo sviluppo della metodologia SIMP è stato di cruciale importanza,” tanto che la struttura di codice del metodo ESO ricalca il metodo SIMP” (Huang, and Xie, 2009).
L’ESO ha ricevendo fin da subito interesse sia per la velocità di calcolo e sia perché può essere facilmente implementato nei software di modellazione e utilizzare il pacchetto di risultati prodotti dall’analisi degli elementi finiti. Xie, Steven e Querin continuarono a sviluppare ESO e, a distanza di pochi anni, introdussero il metodo BESO, che ha la capacità di aggiungere materiale anche una volta che questo è stato rimosso per far evolvere la struttura in un modo ancora più ottimale. Attualmente BESO è il metodo più utilizzato nella maggior parte dei software commerciali per simulazioni 3D complesse, fra cui alcuni plugin di Grasshopper che saranno trattati in seguito. Lo stesso vale per il mondo dell’architettura in cui il metodo BESO si presenta come il più utilizzato, talvolta affiancato da una sua variante chiamata XESO (l’Extended ESO), con risultati e possibilità di applicazione molto simili.
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Figura 26. Ottimizzazione topologica tramite l’algoritmo “narrow band” di Yuanming-Hu, la cui soluzione proposta presenta un considerevole numero di ramificazioni.
Figura 27. Modello 3D dello studio Isozaki per il concorso della stazione ad alta velocità a Firenze nel 2007. In questo caso la ramificazione è minore, tenendo maggiormente conto della fattibilità di costruzione.
Figura 28. (Nella pagina precedente) Diagrama di flusso dell’algoritmo di un processo ESO E BESO.
Schematicamente è possibile suddividere i processi ESO e BESO in cinque passaggi fondamentali. Questa suddivisione, ricalca quella di Yi-Min Xie (uno degli sviluppatori di entrambi i metodi) e mostra come lui abbia suddiviso le operazioni da eseguire per ottenere una OT, nei propri programmi di simulazione: ESO2D e BESO2D. Tenendo in considerazione che ogni software e algoritmo può contenere delle differenze fra i vari passaggi, il metodo proposto da Xie risulta essere il più completo e lineare, motivo per cui è stato scelto ad esempio.
Definizione degli input della struttura da analizzare . . come supporti, carichi e materiali
Analisi degli elementi finiti FEA
Ottimizzazione della topologia e impostazione dei . parametri di ottimizzazione
Output della geometria ottimizzata
La prima fase si configura come una preparazione atta a definire tutti gli aspetti che serviranno per ottenere il risultato finale. La forma della struttura da analizzare è sicuramente il primo passo da compiere. I carichi e le proprietà del materiale verranno impostati in modo che la deformazione, in ogni parte della struttura, possa essere calcolata dall’analisi degli elementi finiti. Successivamente è necessario suddividere la struttura da analizzare in piccoli elementi rettangolari, come affermato nella sezione 3.2 ; dalla grandezza delle celle dipenderà strettamente il risultato finale. Nel caso proposto è stato utilizzata una trave rettangolare di lunghezza 40 cm con due vincoli nella parte sinistra e una forza di 100N nello spigolo in basso a destra (Fig 29).
01. 01. 02. 03. 04. 40cm 100 N 40cm 40cm
37 36 3.0
INPUT
Impostare la geometria, le forze e i carichi.
Definire la grandezza della griglia o delle celle
Analisi degli elementi finiti FEA
Impostare parametri per l’ottimizzazione
Calcolo della geometria Nuovo design NO SI
Iterazioni SI
NO OUTPUT GEOMETRIA
Le condizioni sono soddisfatte ? Il design soddisfa il progettista ?
Figura 28.
Diagramma di flusso
3.3 I metodi ESO e BESO
Figura 29. Schema statico della trave rettangolare con la suddivione in celle.
La seconda fase riguarda la simulazione FEA, analizzando singolarmente ogni cella è possibile predire il comportamento della struttura sotto sforzo e l’ipotesi della deformata. Il risultato viene visualizzato utilizzando le mappe di stress, in cui le aree con maggiori sollecitazioni vengono rappresentate dal colore rosso mentre, all’opposto, le aree blu indicano le zone meno sollecitate. Queste zone sono presenti maggiormente nelle fasi iniziali della simulazione per poi diminuire progressivamente nella struttura ottimizzata; infatti, lo scopo del processo di ottimizzazione è proprio quello di ridurre le aree di colore blu (Fig. 30).
Una volta completato il calcolo e determinate le aree più sollecitate è possibile iniziare con la vera e propria fase di ottimizzazione. Per eseguire la OT è necessario impostare i parametri di ottimizzazione, come la grandezza minima dei bracci, il numero minimo di iterazioni 4 e la percentuale di rimozione del materiale. Quest’ ultima viene chiamata “RC” (criterio di rimozione) dove viene utilizzato il parametro “RR” che è un valore utilizzato dall’algoritmo per identificare la percentuale di celle rispetto alla totalità dell’area entro cui il materiale deve essere rifiutato, quando la condizione è soddisfatta è possibile interrompere le iterazioni. Se la RR è impostata al 50%, verranno rimossi tutti gli elementi finiti in cui la RC raggiunge valori inferiori al 50% del valore massimo ammissibile.
La corretta calibrazione del valore RR è essenziale per l’accuratezza dell’ottimizzazione. Esaminando i risultati, “i valori di RR elevati (>=90%) portano a una sottrazione di
materiale estremamente limitata, mentre i valori di RR medi (cioè tra 60 % e 50%) mostrano risultati compatibili con le aspettative fornite dall’esperienza. Infine, i valori di RR bassi (<=30 %) comportano un eccessivo rifiuto del materiale producendo una soluzione non valida” (Tedeschi, 2014). Impostati i parametri è possibile iniziare le iterazioni (Fig 31) in cui ad ogni piccola cella, seguendo il codice binario, sarà assegnato un valore che potrà essere esclusivamente 0 e 1: 0 nel caso in cui il materiale venga rimosso, e quindi la cella rimarrà vuota, e 1 nel caso di presenza del materiale.
È proprio in questa fase che si ha la differenziazione fra il metodo ESO e quello BESO. Il procedimento ESO, ricordiamo, non è in grado di recuperare il materiale una volta che questo sia stato eliminato prematuramente o erroneamente dalla struttura. Quindi, mentre il metodo ESO è in grado di produrre una soluzione migliore rispetto ad una ipotesi di progetto iniziale, nella maggior parte dei casi, il risultato potrebbe non essere necessariamente il migliore in assoluto a causa delle problematiche sopra elencate. Nel processo BESO invece, le celle di materiale possono essere aggiunte nuovamente anche dopo essere state scartate.
Una volta conclusa la fase di rimozione del materiale è compito del progettista analizzare la struttura e verificare se il risultato è avvenuto correttamente. Nel caso in cui l’esito della OT non produca i risultati auspicati è possibile variare i parametri e ripetere la OT. Quando il progettista è soddisfatto del prodotto, il processo può dichiararsi concluso (Fig. 32).
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40cm 40cm 100 N 100 N 02. 03.
4. Nell’informatica viene definita l’iterazione, una sequenza di istruzioni da eseguire ripetutamente, fino alla soddisfazione di una condizione prestabilita.
Figura 30. Deformata della trave a seguito dell’analisi FEA, in blu gli elementi con minor deformazione.
04.
Figura 31. Processi di iterazione iniziali di una OT.
Oltre alle ottimizzazioni ESO e BESO è bene introdurre un terzo processo, lo XESO (Extended ESO) suggerito da Sasaki si basa su un processo di tipo evolutivo, come avviene in natura, in cui gli organismi hanno subito adattamenti ambientali scartando il superfluo e rafforzando il necessario. Seguendo tale direzione l’analisi della forma si basa su un processo iterativo durante il quale vergono elaborate più proposte possibili, le cui ottimizzazioni sono ottenute dal miglioramento delle proposte precedenti, come nel metodo BESO, in cui le celle di materiale possono essere aggiunte nuovamente anche dopo essere state scartate. Si tratta di un cambiamento molto importante nel processo di ottimizzazione che ha permesso di semplificarne il procedimento, i tempi di generazione, la possibilità di ragionare in tre dimensioni su una scala più grande e di utilizzare con più facilità l’ottimizzazione topologica in architettura.
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IN
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Figura 32. Risultato di un processo di OT, in nero la forma della trave.
Figura 33. Ottimizzazione topologica di una trave con differenti parametri di RR, (dall’alto) 20%, 30%, 50%, 70%.
Esempio 01
I seguenti esempi dimostrano come la disposizione dei vincoli e delle forze influenzino i risultati di una OT. I seguenti esempi sono realizzati con il programma BESO 2d del professore XIE. Nel primo caso ad una trave rettangolare di 40 cm sono stati applicati due vincoli alla base della struttura e una forza da 100N nella mezzaria. La griglia per l’analisi FEA è stata impostata a 0,10 cm corrisponde ad un quadrato ogni 0,10cm. La numerazione delle quattro immagini ricalca le fasi descritte nella parte precedente. Il risultato è una OT in cui il materiale si distribuisce principalmente alla base della trave, lasciandone libere le estremità e in prossimità della forza è possibile notare un accumulo di materiale maggiore.
In questo esempio è stata considerata una trave di 60 cm, in cui sono state inserite due forze orizzontali entrambe da 100N. Il resto dei parametri è rimasto invariato dall’esempio 01. E’ interessante notare come nel risultato finale la forza in alto sia tenuta in consideraizone nell’analisi FEA è per il calcolo della deformata, ma a iterazioni completate nella parte superiore dove è posizionata la forza non è presente alcun materiale. Questo perché sarebbe stato necessario inserire delle geometrie di mantenimento prima di eseguire la OT per assicurarsi che nella parte superiore rimanesse del materiale.
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40cm 100 N 40cm 40cm 100 N 100 N 40cm 40cm 100 N 100 N 01 02 03 04
Esempio 02
40cm 100 N 100 N 40cm 100 N 100 N 40cm 100 N 100 N 01 02 03 04
Figura 34. (Nelle pagine successive ) Iterazioni di una OT in una trave rettangolare, in blu con il gradiente delle sollecitazioni.
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3.4 Gli strumenti di generazione e visualizzazione
Elencati i vari metodi con cui è possibile eseguire una OT e le differenze che intercorrono nell’utilizzo dei differenti approcci, risulta necessario approfondire gli strumenti necessari l’analisi degli strumenti, ai software necessari per generare la topologia, alla stampa additiva per la realizzazione dei primi modelli fisici. Trattandosi di forme organiche visibilmente complesse, la realizzazione di un modello con la stampante 3D si configura come il primo indice di verifica per la fattibilità di realizzazione. Come più volte citato all’interno dell’elaborato, l’utilizzo della OT digitale attinge i suoi strumenti da discipline esterne al mondo dell’architettura come l’informatica, la matematica e l’ingegneria. E per il grado di complessità della simulazione e i parametri da considerare nel processo, il supporto digitale si configura come l’unico strumento con cui è possibile generare la forma ottimizzata.
Il Software si configura dunque come lo strumento che permette di sviluppare le metodologie, permettendo così di raggiungere un obiettivo stabilito a monte. Lo strumento utilizzato influenza la generazione della forma dato che a differenti metodologie, corrispondono differenti risultati in termini di ottimizzazione della topologia, in maniera del tutto analoga a quanto affermato nel capitolo precedente. I software con cui è possibile eseguire una OT sono molteplici, differenziati a seconda dell’ambito dell’ingegneria o del design e ove il comune denominatore è quello di controllare la geometria tramite la stesura di algoritmi. Considerando i software più propri al mondo dell’architettura, è possibile eseguire delle semplici OT con Grasshopper (sviluppato da Rutter e McNeel) presente all’interno del programma Rhinoceros. Grasshopper è un software di visual coding, in cui il codice viene costruito attraverso il collegamento fra “componenti” permettendo una serie di operazioni che, messe in successione e attraverso la loro connessione, riescono a definire algoritmi generativi senza conoscere le regole sintattiche dello scripting e della programmazione, ma più semplicemente sfruttando le reti di relazioni fra i vari componenti. Allo stesso modo l’identità della forma è l’insieme di regole discrete che la definiscono.
Proprio nel visual coding si rintraccia la possibilità sia di procedere nella creazione di algoritmi, in un modo più facilmente comprensibile ai non esperti del settore, sia di contribuire all’avvicinamento dei progettisti ad un mondo maggiormente improntato alla programmazione. In questo modo il progettista sviluppa le capacità di costruire il proprio algoritmo e di modificarlo personalmente, conoscendo la relazione fra le varie parti e i processi che interagiscono tra loro. Grasshopper non supporta in maniera nativa la OT, per questo motivo è necessario ricorre a plugin5 esterni che supportano l’analisi FEM e l’ottimizzazione della topologia, fra cui Millipede, Ameba e Topus, ognuno con un modo di operare differente, similarmente a BESO o XESO. Quando si tratta di utilizzare una OT in un edifico, è necessario ricorre a delle alternative che tengano in considerazione una maggior valenza strutturale. Per calcoli più complessi emerge fra tutti il software proprietario dell’azienda Altair, sviluppato appositamente per il mondo delle costruzioni.
Il modello digitale per la fase di generazione della forma risulta l’unica possibilità di visualizzare il risultato del processo di ottimizzazione. A differenza del form finding analogico in cui vi è un riscontro immediato e diretto fra lo strumento utilizzato e la generazione della forma, in un ambiente digitale risulta dunque necessario ricorrere a delle tecniche che permettano di superare il limite del modello virtuale. Un’operazione che è non possibile attuare con gli strumenti canonici della
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DELL’EFFICIENZA
5. Plugin: Componente aggiuntiva di un software, che aggiunge funzionalità al programma esistente
Figura 35. Smart slab, ETH, Stampa in 3D in PLA a scala ridotta per visualizzare i vari elementi che compongono il solaio ottenuti dalle prime fasi di ottimizzazione.
Figura 36. Smart slab, ETH, pulitura del cassero stampato in 3D a sabbia.
Figura 35.
Figura 36.
rappresentazione, ma con la stampa 3D del design scelto. Ad oggi la stampa additiva (Additive Manufacturing) risulta il metodo migliore per la visualizzazione delle forme risultati da una OT. Il beneficio lo si trova proprio nel modo di procedere in cui, partendo dal modello digitale, viene realizzata una copia stampata in 3D dove il materiale viene depositato strato per strato senza l’utilizzo di stampi o ulteriori procedure. Il deposito di materiale strato per strato, si è rivelato come il più efficiente, specialmente nel gestire le forme sinuose e complesse di una OT, in particolar modo negli ultimi 10 anni con il netto miglioramento della stampa additiva. Realizzare un modello fisico già dalle prime fasi di progettazione permette inoltre di considerare la possibilità di realizzazione sia le caratteristiche del materiale che non deve essere pensato come un elemento secondario nella generazione della forma, ma come parte integrante del processo OT. È questo il caso di Smart Slab (Fig 35.) in cui nelle prime fasi di studio per visualizzare la geometria è stata utilizzata una semplice stampante 3Dper produrre gli elementi a scala ridotta. Superata la fase di verifica e approvata la forma è stata utilizzata una stampante a sabbia per produrre i casseri a scala corretta (Fig.36) . Attraverso la stampa additiva, il prototipo fisico si sviluppa contemporaneamente allo sviluppo del progetto. ln questo modo, il processo di produzione è realmente basato su un feedback costante tra il modello fisico e il modello digitale, delineando un approccio conforme al digital twin 6 instaurando una forte connessione fra le due realtà.
L’ambiente digitale si presenta come uno specchio dell’ambiente reale con le relative proprietà dei materiali e caratteristiche formali. Il digital Twin, infatti, è connesso al prodotto fisico attraverso una serie di sensori. Questi sensori producono dati su diversi aspetti delle prestazioni dell’oggetto fisico. L’analisi di questi dati, combinata con altre fonti di informazione, permette di capire non solo il comportamento del prodotto, ma anche di predire come il prodotto si comporterà in futuro. Questo flusso continuo di informazioni permette al gemello digitale di eseguire simulazioni, rilevare e analizzare eventuali problemi di resistenza del prodotto e studiarne i possibili miglioramenti. In contemporanea con lo sviluppo delle tecniche di fabbricazione, nel mondo dell’architettura della ottimizzazione topologica, un altro campo di ricerca
6. Digital twin: Termine introdotto per la prima volta da Michael Grieves, ricercatore e professore presso l’Università del Michigan nel 2002. Il digital twin o gemello digitale è un modello virtuale progettato per riflettere accuratamente un oggetto fisico. L’oggetto studiato viene equipaggiato con diversi sensori correlati alle aree da analizzare. I sensori producono dati sui diversi aspetti delle prestazioni dell’oggetto fisico, i quali vengono quindi inoltrati ad un sistema di elaborazione e applicati alla copia digitale.
particolarmente attivo riguarda il miglioramento degli algoritmi di generazione della forma da cui dipende strettamente il risultato geometrico di qualsiasi OT.
7. Nei software di modellazione ingegneristica come Solidworks o Fusion360 è già possibile inserire delle limitazioni relative alla tecnica di produzione come la stampa 3D o la fresatura, esempio sono: l’angolo massimo di inclinazione della struttura o la dimensione minima stampabile.
Il laboratorio MIT Digital Structures è, ad oggi, il gruppo di ricerca più attivo nel campo di studio di questa applicazione. Secondo Caitlin Mueller, il leader del gruppo Digital Structures, “utilizzando strutture leggermente meno ottimizzate, quindi con forme semplificate e meno complesse, nell’intento di gestire meglio l’aspetto costruttivo, la varietà architettonica di soluzioni possibili aumenterebbe notevolmente” (Mueller, 2016). Difatti la forma più ottimizzata spesso risulta impossibile da realizzare, le problematiche possono essere molteplici, in primis legate alla generazione della geometria, a volte troppo complessa, e alle limitazioni delle tecniche di produzione. Parallelamente, il miglioramento degli algoritmi e degli strumenti di progettazione generativa, con l’aggiunta di parametri che limitino la complessità della geometria prodotta7 , aiuterebbe ad ampliare l’uso di applicazioni. L’aggiunta di vincoli alla formulazione dell’algoritmo per diminuire la difficoltà produttiva è un campo di ricerca tutt’oggi attivo così come quello atto ad evitare di suddividere in troppe piccole ramificazioni la struttura o a produrre delle geometrie troppo sottili.
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Capitolo 04 Casi studio
L’utilizzo da parte degli architetti di queste tecniche progettuali, che coinvolgono logiche informatiche e, come nel caso della OT, anche ingegneristiche, all’interno del form finding, implica un’apertura a discipline talvolta distanti dal mondo delle costruzioni; afferma infatti Patrick Schumacher (2017) “Gli architetti sono designer e il loro uso di strumenti di ricerca dei moduli basati sull’ingegneria è solo il loro modo per iniziare con il piede giusto la collaborazione con gli ingegneri. L’idea di ottimizzazione della topologia nelle fasi iniziali della progettazione architettonica, come strumento computazionale nel processo di form finding, è ormai un fatto consolidato nel campo delle costruzioni. I risultati a livello architettonico dell’uso di metodologie della OT sono riconoscibili e inconfondibili per la complessità organica dettata dai principi generativi delle forme.
La parte successiva del capitolo raccoglie alcuni tra gli esempi più significativi in cui è stata applicata l’OT. La raccolta è organizzata secondo una scalarità, in base alla dimensione e alla scala, con l’intento di dimostrare come l’OT (nata per la miglioria di elementi meccanici) trovi un utilizzo nel campo dell’architettura con un ampio spettro di scala, partendo da quella più piccola, che interessa sostanzialmente l’ambito del component design, fino alle costruzioni a scala urbano-architettonica.
Ciò in ragione del concetto stesso di ottimizzazione topologica che, nel ridurre al minimo la topologia, parte sempre da una simulazione delle forze in gioco, definendo forme strutturalmente coerenti e performanti. Risulta dunque idealmente possibile applicare una OT su qualsiasi superficie o volume, ottenendo di conseguenza un risultato che, dipenderà tanto dal volere e dall’intento del progettista quanto della specificità dell’intervento, dai metodi, dagli strumenti e dalle tecniche costruttive.
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complex because of our lack of experience with the selected production technique.
The design method with topology optimization and the production freedom of the AM technique allow for many new possibilities. However this also raised high level demands on computational skills together with the implementation of complex computational design tools. The topology optimization program that has been evaluated and used during our design process has shown robust performance with affordable design and computational time. On the other side, the post-optimization activities are still a time-consuming process. Better software support could well improve the efficiency of this process.
Am Node
Arup studio (2015)
The latest optimized node is 75% lighter than the original and half the height. Taking weight reductions from the reduced struts and the now integrated connections into account, the structure as a whole could be more than 40% lighter because of these optimizations.
I primi risultati della OT si ebbero con l’ottimizzazione dei componenti meccanici nell’ingegneria aerospaziale, un utilizzo simile è auspicabile anche nel mondo delle costruzioni per il component design. Arup, in collaborazione con Autodesk, ha prodotto nel 2015 AM Node, un giunto strutturale stampabile in 3D generato da un processo di ottimizzazione. L’idea ha origine quando, nel 2008, Arup lavorava per la realizzazione di un’installazione dello studio ELV Architecte per la città dell’Aia (progetto che non verrà portato a termine) nel quale, a causa della forma volutamente irregolare dei tiranti, i nodi strutturali, che collegavano i cavi ai puntoni all’interno dei pali in acciaio, avevano tutti forme leggermente diverse, fino a mille variazioni di configurazione. Proprio per ridurre i tempi di produzione rispetto ad una moltitudine di elementi tutti differenti fra di loro. AM node è stato progettato in maniera
da rendere tutte le parti completamente parametriche permettendo di cambiare la configurazione in base alla disposizione dei tiranti e alla loro grandezza. “Il processo di OT si adatta in base alla disposizione degli agganci dei tiranti, un sistema parametrico permette infatti di non dover ripetere tutti i passaggi dalla prima fase di posizionamento dei tiranti al calcolo delle forze e alla ottimizzazione della forma” (Galjaard, et. Al, 2015), in quanto al cambiare dei supporti si verifica un cambiamento nella tipologia dell’elemento. Il team di Arup si è concentrato sulla realizzazione di un singolo nodo, ma i requisiti di progettazione sono stati impostati in modo tale da poter essere utilizzati per tutti gli altri. E’ interessante osservare come la topologia finale sia il risultato di un processo di OT basato sul metodo SIMP, questo per avere un miglior controllo sulla densità del materiale utilizzato per la produzione”.
Incorporating production requirements required a lot of effort in order to deal with design conflicts between the optimal production shape with the functionalities and the structural efficiency. Printing and removing the support structure was a relatively expensive part of the production process. Depending on the requirements of the project, it would be beneficial to find a better balance between functional optimization and production.
Structural comparison showed that all three designs were able to take the design loads. The Von Mises stresses are lower than the yield stress with the exception of local peak values which would be acceptable given the plastic behaviour of the steel.
Per il prodotto finale è stato considerato il risultato più soddisfacente in termini di estetica, comportamento strutturale e costi di produzione. Sulla base del design selezionato, il processo di progettazione
Structural comparison showed that all three designs were able to take the design loads. The Von Mises stresses are lower than the yield stress with the exception of local peak values which would be acceptable given the plastic behaviour of the steel.
Structural comparison showed that all three designs were able to take the design loads. The Von Mises stresses are lower than the yield stress with the exception of local peak values which would be acceptable given the plastic behaviour of the steel.
The cost of the AM node are at present still higher than the traditional version. In the new design we included the functionality of the pin & fork and spanner, eliminating the need for these separate and relatively costly elements as illustrated in the render in figure 9 on the next page. These kind of advantages can be very decisive in selecting AM when successfully incorporated in the design. Other potential benefits include automatic generation of production files, reduction of (waste) material and labour, reduction of transportation cost and storage and lower maintenance and failure cost. The material tests demonstrated that it is possible to achieve satisfactory mechanical and physical properties using powder bed laser melting technology. We must however recognise that different materials and alloys will behave in different ways, therefore it is important that each project and application is considered on a case by case basis. Stainless steel is widely understood in the context of fusion technology and responds well in welding and fabrication. Many of the characteristics of powder bed AM are comparable to welding technologies.
The cost of the AM node are at present still higher than the traditional version. In the new design we included the functionality of the pin & fork and spanner, eliminating the need for these separate and relatively costly elements as illustrated in the render in figure 9 on the next page. These kind of advantages can be very decisive in selecting AM when successfully incorporated in the design. Other potential benefits include automatic generation of production files, reduction of (waste) material and labour, reduction of transportation cost and storage and lower maintenance and failure cost.
è stato perfezionato concentrandosi sulla resistenza del prodotto a tutte le forze in gioco, rispetto al materiale di produzione.
The material tests demonstrated that it is possible to achieve satisfactory mechanical and physical properties using powder bed laser melting technology. We must however recognise that different materials and alloys will behave in different ways, therefore it is important that each project and application is considered on a case by case basis. Stainless steel is widely understood in the context of fusion technology and responds well in welding and fabrication. Many of the characteristics of powder bed AM are comparable to welding technologies.
The cost of the AM node are at present still higher than the traditional version. In the new design we included the functionality of the pin & fork and spanner, eliminating the need for these separate and relatively costly elements as illustrated in the render in figure 9 on the next page. These kind of advantages can be very decisive in selecting AM when successfully incorporated in the design. Other potential benefits include automatic generation of production files, reduction of (waste) material and labour, reduction of transportation cost and storage and lower maintenance and failure cost. The material tests demonstrated that it is possible to achieve satisfactory mechanical and physical properties using powder bed laser melting technology. We must however recognise that different materials and alloys will behave in different ways, therefore it is important that each project and application is considered on a case by case basis. Stainless steel is widely understood in the context of fusion technology and responds well in welding and fabrication. Many of the characteristics of powder bed AM are comparable to welding technologies.
It is difficult to find examples of additive manufacturing applied to common engineering materials such as mild and carbon steels, aluminium alloys and copper alloys, simply because the technology is only beginning to find its way in applications in our industry. Future work in the context of the built environment should further address these materials and applications whilst contin other related benefits of the technology.
It is difficult to find examples of additive manufacturing applied to common engineering materials such as mild and carbon steels, aluminium alloys and copper alloys, simply because the technology is only beginning to find its way in applications in our industry. Future work in the context of the built environment should further address these materials and applications whilst contin other related benefits of the technology.
It is difficult to find examples of additive manufacturing applied to common engineering materials such as mild and carbon steels, aluminium alloys and copper alloys, simply because the technology is only beginning to find its way in applications in our industry. Future work in the context of the built environment should further address these materials and applications whilst contin other related benefits of the technology.
53 52 CASI STUDIO CAPITOLO 4.
Figure 7: Models of the traditional node (left) and the two new nodes, in the middle the first node produced by AM in steel in 2014, at the right the latest optimization also produced by AM.
Figura 37.
Proceedings of the International Association for Shell and Spatial Structures (IASS) Symposium 2015, Amsterdam
Figure 8: Plot of Von Mises Stresses in [MPa], the original design (left), the AM node 1.0 (middle), and the new design AM node 2.0 (right). Highest stresses can be observed in red, lowest in blue.
Proceedings of the International Association for Shell and Spatial Structures (IASS) Symposium 2015, Amsterdam Future Visions
Figure 8: Plot of Von Mises Stresses in [MPa], the original design (left), the AM node 1.0 (middle), and the new design AM node 2.0 (right). Highest stresses can be observed in red, lowest in blue.
Proceedings of the International Association for Shell and Spatial Structures (IASS) Symposium 2015, Amsterdam Future Visions
Figure 8: Plot of Von Mises Stresses in [MPa], the original design (left), the AM node 1.0 (middle), and the new design AM node 2.0 (right). Highest stresses can be observed in red, lowest in blue.
Figura 39. Dettaglio superiore del nodo, stampato con metodi additivi utilizzando il metallo.
Figura 37. AM node, a sinistra il modello non ottimizzato, seguito da due prototipi dopo l’OT.
Figura 38. Analisi FEA dei vari nodi, in rosso le parti soggette ad una sollecitazione maggiore.
Figura 38.
Figura 39.
Stay-in-place e Smart Slab
Eth University, Zurigo, Svizzera (2017)
All’università ETH di Zurigo, Andrei Jipa direttore del dipartimento di tecnologia per l’edilizia digitale, insieme al suo team , hanno proposto un metodo per l’implementazione di OT con Casseforme Stay-in-Place stampate in 3D con metodi additivi per lastre di calcestruzzo ottimizzate topologicamente. Gli autori presentano un esperimento che mostra un’applicazione pratica di strutture ottimizzate per la topologia nelle solette del tetto, affermando che “l’ottimizzazione della topologia può essere utilizzata come metodo di progettazione per ridurre il materiale senza influire sulla funzionalità di un oggetto; tuttavia, la costruibilità di tali modelli computazionali ne rende difficile l’utilizzo nella pratica” (Jipa, et al, 2017). Un altro esempio dall’ETH di Zurigo, sviluppato da Benjamin Dillenburger, indaga sulla fattibilità dell’utilizzo della produzione additiva per produrre componenti edili
su larga scala con una distribuzione dei materiali ottimizzata. Un primo approccio con la tecnologia additiva e stampa 3D a larga scala la si ha con “Smart Slab”, sviluppato nello stesso dipartimento. Smart Slab è una soletta in calcestruzzo leggero che utilizza casseforme stampate in 3D per la colata di calcestruzzo in forme geometricamente complesse. Stampare in 3D direttamente il cassero, suddividendolo in porzioni, ha permesso di ridurre drasticamente la complessità e la gestione del risultato finale, dando la possibilità di lavorare utilizzando lastre dalla grandezza minore e più facilmente riproducibili. Queste lastre sono poi assemblate con il resto dei componenti dell’edificio. Start Slab è la prima lastra di calcestruzzo fabbricata con una cassaforma stampata in 3D generata da un algoritmo OT.
55 54 CASI STUDIO CAPITOLO 4.
Figura 40.
Figura 41.
Figura 40. Stay-in-place, soletta in calcestruzzo.
Figura 42. Smart Slab, in blu le linee per la suddivisione del solaio per realizzare i casseri.
Figura 44. Smart Slab, dettaglio del solaio.
Figura 41. Stay-in-place, dettaglio della parte inferiore.
Figura 43. Smart Slab, modello 3D.
Figura 45. Smart Slab, vista interna del solaio.
Figura 43.
Figura 42.
Figura 44.
Figura 45
Padiglione Volu
Zaha Hadid Studio, Miami, USA (2015)
Lo Studio Zaha Hadid è lo studio che meglio ha interpretato la sperimentazione nella topologia iniziando vari test con diversi approcci e differenti scale di grandezza. Le prime applicazioni e realizzazioni di padiglioni dello studio iniziarono ad utilizzare l’OT come uno strumento di analisi su strutture già definite. E’ il caso del padiglione Volu a Miami, del 2015, in cui il gruppo “CODE”, dipartimento dello Studio Zaha Hadid, ha collaborato con l’azienda di informatica Altair. In questo caso la struttura a guscio del padiglione è stata selezionata e scelta manualmente, e non completamente generata da un processo di OT, prima di procedere alla simulazione. Questo ha permesso un controllo maggiore delle forme e il risultato si configura come un’ottimizzazione della geometria di partenza. Il padiglione Volu risulta composto da due elementi ellittici a doppia curvatura
uniti da una serie di fasce strutturali che si raccolgono in verticale come la struttura di un gambo che si attacca ad una foglia, la cui dimensione è determinata dalle condizioni di carico che devono supportare. Attraverso l’analisi della geometria sotto carico, “la struttura e il rivestimento del padiglione sono state ottimizzate digitalmente per rimuovere il materiale non necessario, ottenendo la soluzione progettuale più leggera possibile seguendo una logica strutturale organica che si trova in natura” (Altair, 2022).
57 56 CASI STUDIO CAPITOLO 4.
Figura 46.
Figura 47
Figura 46. Padiglione Volu, vista frontale.
Figura 48-49. Padiglione Volu, foto durante l’installazione a Miami nel 2015.
Figura50 . Analisi FEA delle varie superifici del padiglione.
Figura 47. Padiglione Volu, vista laterale.
Figura 48
Figura 49.
Figura 50.
Edificio Akutagawa
Nel 2004 l’edificio Akutagawa nella città di Takatsuki, in Giappone, è stato il primo progetto ad essere realizzato con l’implementazione dell’OT. In questo caso, i progettisti decisero di intervenire per trovare un modo per liberare le piante da qualsiasi elemento strutturale e, trattandosi di un edificio contenuto nelle dimensioni, si decise di optare per dei muri perimetrali che sostenessero l’edificio su tutti e quattro i lati spostando in facciata tutta la parte di struttura. Solamente in due delle quattro pareti venne implementata l’OT, nelle facciate sud e ovest. Come input della simulazione si decise di partire proprio dalla condizione più sfavorevole, quella della parete piena senza buchi e forature, mettendo le due facciate soggette alla simulazione al pari delle restanti e lasciando all’algoritmo il compito di eliminare gradualmente il materiale in eccesso. La scelta di lavorare solo in facciata,
inoltre, è dettata dal fatto di poter operare in un ambiente bidimensionale, lavorando per superfici piane e non per volumi tramite procedura XESO. Il risultato finale tiene in considerazione sia del peso della struttura stessa, come è possibile notare dai solai presenti nelle mappe di stress, sia dei parametri esterni come la resistenza a eventi sismici.
59 58 CASI STUDIO CAPITOLO 4.
F-thai Architects e Iijima Structural Design studio, Takatsuki, Giappone (2004)
Figura 51.
Figura 52.
Figura 53.
Figura 51. Foto della facciata sud
Figura 52. Dettaglio attacco a terra fra la facciata sud e ovest.
Figura 54. Iterazioni dell’ottimizzazione della topologia con la corrispondente analisi FEA.
Figura 54.
Figura 55.
Figura 53. Modello 3D della struttura
Figura 55. Foto esterna dell’edificio, visibili sia la facciata sud (a sinistra) che la ovest (a destra)
Qatar National Convention Center
Lo studio Isozaki in collaborazione con il gruppo Mutsuro Sasaki notarono fin da subito le opportunità proposte dalla OT tanto da presentare un progetto al concorso nel 2003 un progetto in cui l’ottimizzazione digitale faceva da protagonista. Nella proposta della stazione TAV a Firenze, lo studio di architettura decise di utilizzare il processo di OT negli elementi strutturali in facciata (come avviene spesso nei progetti di OT). Il cui risultato è paragonabile ad un susseguirsi di pilastri ad albero che sostengono la copertura di più di 400m di lunghezza. L’OT è stata generata in assenza di una geometria di riferimento, inserendo nell’algoritmo di generazione esclusivamente i carichi che i pilastri avrebbero dovuto supportare, utilizzando un processo XESO. Si tratta di un calcolo sicuramente complesso, quello impiegato nella realizzazione della struttura in facciata, la cui composizione finale ricorda una sequenza di archi. Il team
di Isozaki capì che il vantaggio nell’utilizzare un’OT è prettamente di tipo strutturale, riuscendo a coprire delle luci importanti le cui grandi dimensioni tendono a spettacolarizzare la forma organica dei pilastri. Durante la fase di sviluppo lo studio di Sasaki è stato supportato da Buro Happold, uno studio di ingegneria internazionale con sede a Londra, per definire il dimensionamento e la correttezza strutturale.
Nonostante il progetto non sia stato selezionato come vincitore della stazione TAV a Firenze, nel 2008 Isozaki, Sasaki e Buro Happold videro una nuova opportunità per adottare lo stesso metodo generativo per la progettazione del Qatar National Convention Center a Doha che, a tutt’oggi, presenta la più grande applicazione di OT mai realizzata. In questo progetto, simile all’esperienza della stazione Tav a Firenze, l’OT è stata utilizzata per progettare due strutture ramificate (una
esterna e una interna) che sostengono la copertura. Nel Qatar National Convention Center si sono riscontrati i primi problemi nella fabbricazione degli elementi in facciata, rispetto all’edificio Akutagawa, in cui la struttura è stata realizzata con delle gettate di cemento. I designer dello studio di Isosaki affermano “che la realizzazione dei pilastri, specialmente a livello geometrico, è stata una vera impresa” (Isozaki, 2004). In primo luogo, lo studio di Isozaki ha inviato a Buro Happold la complessa geometria di forme organiche modellate utilizzando 3D Extending ESO. Buro Happold ha quindi utilizzato il software Rhinoceros per suddividere gli elementi della forma ottimizzata in superfici più semplici così da poterli realizzare più facilmente. Nonostante le premesse si dovette ricorrere ad un’azienda specializzata in Malesia data la complessità della geometria. Il
rivestimento esterno venne realizzato con pannelli in acciaio, per la struttura portante al suo interno è costituita da un nucleo ottagonale anche questo in acciaio.
61 60 CASI STUDIO CAPITOLO 4.
Isozaki studio, Doha, Qatar (2011)
Figura 56.
Figura 56. Qatar National Convention Center, Foto della facciata principale
Figura 60. (Nelle pagine successive)Foto della facciata principale in notturna.
Figura 57.
Figura 58.
Figura 59.
Figura 59. Dettaglio dell’attacco dei pilastri ad albero alla copertura superiore
Figura 57-58. Qatar National Convention Center, foto della struttura interna.
63 62 CASI STUDIO CAPITOLO 4.
QATAR NATIONAL CONVENTION CENTER
Figura 60.
One Thousand Museum
Zaha Hadid Studio, Miami, USA (2019)
Il One Thousand Museum del 2019, a Miami, è l’edificio più recente in cui è stato utilizzato un processo di OT. L’edificio di 62 piani presenta una struttura a esoscheletro visibile esternamente. Osservando l’edificio è subito percepibile come la struttura il calcestruzzo si disponga secondo il sistema dei carichi, rafforzando la stabilità dell’edificio nella parte inferiore e diradandosi nella parte superiore. Nonostante il processo di OT sia alla base della generazione della forma dell’esoscheletro, questo non riesce a sostenere completamente il peso dell’edificio se non ricorrendo a dei pilastri nelle parti più delicate strutturalmente; infatti l’esoscheletro è stato inserito come controventatura ulteriore in un luogo degli Stati Uniti soggetto a uragani e forti venti. Come afferma Chris Lepine, direttore dei lavori, una struttura ad esoscheletro esterna che “esprime allo stesso tempo fluidità
strutturale e architettonica […] portando una continuità tra architettura e ingegneria” (Zaha Hadid, 2019).
65 64 CASI STUDIO CAPITOLO 4.
Figura 63. One Thousand Museum , Dettaglio in prospetto dell’attacco a terra.
Figura 61. Al centro, One Thousand Museum, vista dal basso.
Figura 62. One Thousand Museum,prospetti della facciata Nord e Sud.
Figura 64. One Thousand Museum ,Foto di contesto dell’edificio
Figura 61.
Figura 62.
Figura 63.
Figura 64.
Fibrus Tower
Kokkugia è un gruppo di ricerca architettonica sperimentale fondato nel 2004 da Roland Snooks e Robert Stuart-Smith che opera nell’ambito di ricerca e sviluppo architettonico. Kokkugia si concentra sull’esplorazione delle metodologie di progettazione generativa sviluppate dal comportamento di autoorganizzazione dei sistemi biologici, sociali e materiali.
Fibrous Tower è uno dei progetti più esemplificativi dello studio che esplora le strutture portanti in facciata, generate con metodi algoritmici esplorando l’aspetto decorativo, strutturale e spaziale. Come accade per l’edifico Akutagawa di Lijima studio la parte strutturale dell’edificio è portata in facciata con lo scopo di ottenere una pianta libera e un sistema strutturale che non utilizza i classici elementi come colonne o muri portanti. Ciò che caratterizza la torre è il complesso guscio esterno che si estende per tutta l’altezza della torre la
cui topologia è generata algoritmicamente attraverso una procedura di ottimizzazione della superficie in risposta alle forze prodotte dall’edificio. Il guscio funziona come un pilastro ad albero in cui il carico attraversa una rete di percorsi, facendo affidamento ad un sistema collettivo piuttosto che su una gerarchia di elementi singoli, accorpando più materiali nei punti più sollecitati della struttura. I fori che si creano servono nella topologia del guscio e vengono usati come elementi per far entrare la luce all’interno dell’edifico. Il guscio esterno è progettato per essere realizzato in cemento fibro-rinforzato per ottimizzare al meglio il materiale. “Sebbene la torre appaia visivamente complessa, è stata progettata in modo che la costruzione utilizzi le tecniche di casseforme in cemento convenzionali” (Stuart-Smith, 2015).
67 66 CASI STUDIO CAPITOLO 4.
Kokkugia Studio (2015)
Figura 65.
Figura 65. Fibrus tower, vista renderizzata con contesto.
Figura 66. Fibrus tower, vista renderizzata con contesto.
Figura 66.
Figura 67.
Figura 68.
Figura 67. Fibrus tower, sezione prospettica. Figura 68. Render della struttura esterna.
Manurugly Tower
Peter Macapia ha sempre avuto un particolare interesse per gli aspetti di natura geometrica e topologica nei progetti, tanto da fondare lo studio Dora nel 2002 (Design Office for Research and Architecture) per esplorare lo studio della geometria, del design e della computazione in architettura. Lo stesso Peter Macapia afferma che: “ In realtà gli algoritmi di ottimizzazione e generativi sono profondamente all’interno di tutti i miei progetti, ma non sono sempre esplicitamente utilizzati.[…] L’utilizzo dell’analisi l’FEM per esaminare alcune questioni strutturali è già presente in alcuni dei progetti, ma rappresenta un ’ottimizzazione mirata in un unico aspetto del progetto.” (Macapia, 2009). Questo per testimoniare come alcuni processi di ottimizzazione della topologia e della forma siano presenti nelle prime fasi di lavoro di Macapia e rappresentino una modalità con cui esplorare il design di un edificio, andando a tastare ed esplorarne i limiti.
Il team di Macapia si è spinto nella sperimentazione andando ad utilizzare più metodi generativi contemporaneamente per determinare il design di un edificio, come nel caso della Manurugly Tower, del 2009, in cui le prime ipotesi di forma sono state generate con un metodo di ottimizzazione della topologia e con l’analisi degli elementi finiti FEM, a cui poi è stato aggiunto un algoritmo generativo di crescita tetraedrico. Questa ricerca è iniziata come un modo per combinare schemi di crescita tetraedrici utilizzando lo scripting e l’analisi degli elementi finiti per sviluppare la morfologia globale. Il risultato è una torre con un esoscheletro che funge da sistema strutturale primario, in cui il supporto secondario e terziario cambiano in base alle mutevoli esigenze programmatiche.
L’interesse per gli algoritmi di generazione della forma ha portato Macapia in prima linea nell’esplorazione di questi strumenti, tanto da
dichiarare che avrebbe voluto programmare un software proprietario che lo aiutasse nelle sue fasi di progettazione. L’idea, nonostante non abbia trovato un compimento, lo ha portato a sperimentare il software di Altair SolidThinking Inspire con cui ha sviluppato il progetto Audi Urban Future vision of the future of Manhattan. Qui ha potuto sperimentare la OT come strumento di supporto di grossi carichi alla base di edifici a torre. A detta di Macapia la OT suggerisce ai progettisti una maggiore attenzione all’uso dei materiali dato che, ad un diverso tipo di materiale, corrispondono differenti configurazioni della topologia proposte dal software.
69 68 CASI STUDIO CAPITOLO 4.
69.
Dora studio (2009) Figura
Figura 70. Manurugly Tower, analisi FEA della struttura.
Figura 69. Manurugly Tower, vista esterna.
Figura 71.
Figura 70.
Figura 71. Manurugly Tower, vista esterna.
Capitolo 05 Algoritmo, forma e stampa
Il capitolo in questione vuole occuparsi in particolar modo dell’aspetto pratico in un processo di OT attraverso l’utilizzo del software Grasshopper, dalla definizione dell’algoritmo di generazione della forma alla stampa 3D della geometria scelta.
Per eseguire l’ottimizzazione è stato scelto il plugin tOpos, sviluppato da Archiseb, e disponibile sul sito Food4Rhino. La scelta è stata influenzata dal considerevole sforzo a livello computazionale richiesto da una qualsiasi un’ ottimizzazione della topologia e tOpos, rispetto ad altri plugin testati, si è dimostrato il più adatto considerando il rapporto tempo/risultato. Grazie all’utilizzo della GPU per eseguire le simulazioni con l’architettura CUDA di Nvidia.
Il procedimento e i passaggi per eseguire una OT con tOpos sono illustrati nella Fig.72.
71
Figura 72. Immagine dei componendi di tOpos suddivisi in base alle quattro fasi dell’algoritmo: dati utente, creazione modello, ottimizzazione, e visualizzazione.
Definizione dell’algoritmo
Come citato più volte nell’elaborato, per eseguire una OT è necessario impostare, come primo parametro, la geometria da ottimizzare; in tOpos lo si traduce assegnando una Brep o un mesh al componente Boundary Domain. Tramite degli slider è possibile impostare le caratteristiche del materiale, inserendo i corrispettivi valori per il modulo di Young e il coefficiente di Poisson (le simulazioni sono state eseguite tento conto della stampa 3D in PLA impostando le caratteristiche del materiale di stampa: 3.986 per il modulo di Young e 0.33 come coefficiente di Poisson).
Il procedimento per i supporti è analogo, assegnando una geometria Brep o mesh al componente Boundary Condition. Per definire i carichi, è necessario utilizzare il componente load corrispettivo al tipo di geometria utilizzata. Nel caso proposto, ho utilizzato una superficie piana per emulare un carico uniformemente distribuito collegato al componente Surface load. L’intensità del carico viene impostata tramite uno slider a cui però bisogna specificare la direzione utilizzando Unit Vector z per specificare che il carico è negativo all’asse Z e quindi verso il basso.
Come ultimo parametro, tramite il componente Resolution, si specifica la grandezza dei voxel (paragonabile alle celle in Beso2D, del capitolo 3.3 Metodi Eso e Beso). Maggiore è il numero dello slider, maggiore è il numero dei voxel che compone il Topos Model e, di conseguenza, più accurato sarà il risultato finale. L’aumento del valore Resolution influisce drasticamente sulle tempistiche.
Tutti i componenti citati recentemente devono essere collegati al corrispettivo slot del componente Model creation, il cui output è una Topos Model (Fig. 73).
Definito il modello, la parte successiva del lavoro consiste nello specificare, con il componente Optimus Parameter, tutti i parametri per ottimizzare il modello. Primo fra tutti, optimization iteration, che indica il numero di iterazioni massime eseguibili; maggiori sono le iterazioni, maggiore sarà l’ottimizzazione. Volume fraction indica la quantità di rimozione del materiale dove un valore di 0.2 corrisponde ad un 20% di mantenimento del materiale. Il componente Sentivity filter radius regola la grandezza massima dei bracci; un valore troppo basso porta ad una struttura molto ramificata e quindi difficilmente stampabile. I parametri di Penality e Change sono rimasti invariati, lasciando i valori di default.
Collegando il componente Optimus Parameter al componente Optimus, tramite un toogle è possibile iniziare le simulazioni (Fig. 74).
Terminate le iterazioni impostate in Optimization iteration, si otterà un output: TopoModelOptimized che è possibile esplorare tramite i differenti componenti di visualizzazione, fra cui la mappa di stress Von-Mises, che indica lo stress massimo e minimo, la visualizzazione voxel e la mesh. Il parametro Iso value, nel componente mesh, funge come ulteriore verifica prima di esportare il modello che consente la rimozione delle ramificazioni considerate troppo esigue del mesh (Fig. 75).
73 72
ALGORITMO, FORMA, STAMPA CAPITOLO 5.
Figura 73.
Figura 73. Prima parte dell’algortimo, corrispondente alla fase dei dati utenti.
Figura 74. Componenti per ottimizzare la stuttura .
Figura 75. Componenti di visualizzazione.
L’ultima parte della definizione dell’algoritmo è una operazione aggiunta rispetto al processo di OT, ma ritenuta necessaria per evitare di esportare una mesh invalida. La mesh che comunemente potrebbe contenere errori viene prima decostruita e successivamente ricostruita con i componenti Deconstruct mesh e Construct mesh, infine pulita rimuovendo i vertici doppi o non utilizzati con il componente Combine and Clean. Ottenuta una mesh valida, il passaggio seguente è quello di smussarla, utilizzando Smooth mesh e il componente Catmull Clark Subdivision del plugin WaveBird. Il risultato finale può essere esportato. (Fig. 76).
5.1 Prove di generazione
Nella parte successiva del capitolo vengono proposte le simulazioni e i risultati che hanno guidando la scelta della geometria da stampare in 3D. Nella figura 77 è rappresentato uno schema per la configurazione iniziale della OT in cui con i diversi colori sono stati differenziati gli input come: i brep, i supporti e il tipo di carico. Ogni risultato di OT viene affiancato da uno schema simile, per capirne meglio il posizionamento degli elementi prima della generazione della forma. Supporti
75 74
ALGORITMO, FORMA, STAMPA CAPITOLO 5.
Figura 77. Algoritmo completo
Brep iniziale Carico
Figura 76. Ultima parte dell’algortimo, per pulire ed esportare la
Figura 78.
Figura 79.
Figura 77.
/Multilayer con differenti carichi
/ Multilayer con esclusione
Model resolution: 50
Optimus iteration: 40
Sensitivity: 2
Smooth iteration: 10
ISO value: 0,03
Model resolution: 85
Optimus iteration: 300
Sensitivity: 1
Smooth iteration: 10
ISO value: 0,03
Model resolution: 100
Optimus iteration: 100
Sensitivity: 0,5
Smooth iteration: 10
ISO value: 0,02
Model resolution: 65
Sensitivity: 1
Smooth iteration: 10
ISO value: 0,03
/ Singolo carico su geometria curva
Model resolution: 90
Optimus iteration: 100 Optimus iteration: 100
Sensitivity: 1
Smooth iteration: 10
ISO value: 0,03
77 76
ALGORITMO, FORMA, STAMPA CAPITOLO 5.
Figura 80.
Figura 81.
Figura 82.
Figura 83.
Figura 84,
/Geometria con minimo appoggio
Model resolution: 80
Optimus iteration: 100
Sensitivity: 1
Smooth iteration: 10
ISO value: 0,03
/Multilayer su geometria complessa
Per l’esempio in questione come geometria di base è stato scelto un Brep composto dalla compenetrazione e sottrazione di più elementi rettangolari assimilabile ad un edificio multipiano. In cui il valore dei carichi risulta il doppio del valore precedente, questo per cercare di variare ulteriormente la generazione e avvicinarsi ad un risultato più corretto dal punto di vista statico.
Model resolution: 50
Optimus iteration: 160
Sensitivity: 3
Smooth iteration: 10
ISO value: 0,05
79 78 ALGORITMO, FORMA, STAMPA CAPITOLO 5.
Figura 85.
Figura 86.
Geometria scelta
In tOpos non è presente un parametro per limitare le generazione della forma rispetto al metodo di produzione, così la scelta della geometria è avvenuta manualmente considerando una serie di parametri ritenuti opportuni per la stampa additiva quali: la grandezza minima stampabile, l’inclinazione delle diramazioni interne e la configurazione della forma. La geometria scelta (Fig.87) è una struttura multilayer con tre carichi diversa intensità, la cui grandezza minima delle diramazioni permette la stampa con un discreto livello di dettaglio. Dalle prime verifiche effettuate con lo slicer Kura, la geometria non risulta stampabile come un unico oggetto per l’eccessivo sbalzo presente in alcune aree e per alcuni supporti impossibili da rimuovere; pertanto, risulta necessario suddivide il mesh. Nel primo approccio si è ricorso a tre piani orizzontali posizionandoli al contrario, come in Figura 88. La prima prova non ha prodotto risultati
Stampa in 3D
soddisfacenti, facilitando la stampa solo in prossimità del taglio del mesh, nonostante minor numero di supporti. Si è optato allora per una suddivisione verticale del mesh, nonostante questo metodo sembri il meno intuivo; risulta però il migliore per la stampa, in quanto i supporti si posizionano in punti facilmente rimuovibili senza avere il problema dei piani di appoggio. Con un totale di 46 ore di stampa, la rimozione dei vari supporti e l’assemblaggio dei pezzi, la stampa può dichiararsi conclusa.
81 80
ALGORITMO, FORMA, STAMPA CAPITOLO 5.
Figura 87. Render della geometria scelta.
Figura 89. Foto delle quattro suddivisioni del modello, stampate in 3D. Appena stampato è ancora visibile qualche residuo dei sostegni, successivamente le imperfezioni sono state limate e smussate.
Figura 90. Foto della parte inferiore delle quattro parti componenti il modello
Figura 91. Foto del modello assemblato
Figura 88. (A sinistra) Prima ipotesi della suddivione del modello orizzontalmente per la stampa 3D. (A destra) Suddivione verticale, utilizzata per la stampa.
Conclusioni
I casi più rilevanti ed iconici nei quali è stata utilizzata la OT, raccolti nell’elaborato, fanno emergere come questa metodologia stia diventando un fatto sempre più consolidato in architettura. E’ altresì importante osservare come le potenzialità di tale strumento computazionale, nel processo di generazione della forma, sono solo all’inizio, visto il numero ancora ridotto di casi realizzati rispetto agli studi effettuati.
L’ottimizzazione della topologia, figlia della ricerca del comportamento dei modelli naturali, apre nuovi scenari in un contesto sempre più ibrido in cui convergono discipline differenti come il design, l’ingegneria e l’informatica, definendo un ruolo rilevante per le discipline digitali che abbandonano il mero ruolo di supporto tecnico per diventare strumenti di generazione di nuove forme. Le metodologie principali per ottenere una generica OT (BESO, ESO e SIMP) sono state applicate con successo nella morfogenesi computazionale di varie strutture per la risoluzione di problemi pratici di progettazione. I risultati dimostrano come il prodotto di una OT può fornire al progettista soluzioni strutturalmente e topologicamente efficienti con un ampio margine per declinare le necessità in base ai progetti. Possiamo perciò considerare l’OT come uno strumento di generazione estremamente flessibile con cui è possibile sperimentare ogni aspetto del progetto, sia per la ricerca della forma sulla totalità dell’edificio sia sul singolo componente strutturale.
Tale metodo di ottimizzazione porta all’ottenimento di forme organiche complesse che, se da un lato rappresentano la soluzione ottimale in grado di supportare le condizioni di carico del problema, dall’altro si caratterizzano per essere difficilmente realizzabili. Ad oggi, i risultati e gli ambiti in cui è possibile utilizzare una OT sono ben delineati ma, nonostante le numerose possibilità di applicazione, i progetti che hanno trovato un uso concreto della OT risultano relativamente esigui. Il problema di passare da un modello digitale alla realizzazione pratica è intrinseco nella generazione delle geometrie che, per la loro conformazione, risultano complesse non solo mediante tecniche
83
92.
Figura 92. (Nella pagina precedetnte) ProtoHouse, modello esito della ricerca dei Softkill Design per combinare l’ottimizzazione topologica con elementi fibrosi, riprendendo la logica strutturale dei microrganismi.
Figura
convenzionali di produzione, ma anche attraverso l’utilizzo di tecniche più innovative, come la stampa additiva. Con i metodi tradizionali risulta dunque necessaria, fin dalle prime fasi, la calibrazione dei parametri di generazione della forma per produrre una topologia che possa essere facilmente tradotta in una geometria realizzabile secondo una determinata tecnica produttiva. In conclusione, ritengo la OT uno strumento, con un vasto campo di applicazioni e differenti sfaccettature, come mostrato nei casi studio. Nonostante ad oggi il suo utilizzo abbia delle solide basi nel campo dell’ingegneria, in architettura fatica ad affermarsi, e ciò probabilmente per la maggiore scala di applicazione nel campo delle costruzioni, che rilega le applicazioni a interventi occasionali. Per non rilegare la OT ad un semplice esercizio di stile è però necessario un avanzamento nelle tecniche di produzione più adeguate a realizzare tali strutture. La stampa additiva si sta dimostrando attualmente la miglior soluzione per gestire e realizzare forme così complesse; tuttavia, presenta ancora delle importanti limitazioni nel passaggio ad una scala maggiore, più architettonica. È quindi possibile affermare che, visti i risultati già soddisfacenti degli algoritmi di generazione, contemporaneamente allo sviluppo degli strumenti di realizzazione sarà possibile un utilizzo sempre maggiore degli strumenti di OT in architettura.
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Figura 93. Shanghai Zendai Himalayan Art Center, facciata principale. Le forme non particolarmente complesse della facciata risultato di un processo di OT ne rendono possibile la costruzione utilizzato metododi tradizionali .
Figura 94. Radiolaria, padiglione generato tramite processo di OT, studiato appositamente per testare le potenzialità della stampante D-shape a base di sabbia, acqua di mare e magnesio del professore Enrico Dini. L’altezza finale del modello stampato raggiunge i 10m.
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95 94 step further, focusing uniqueness, weight optimization and product-integration. This resulted utational design tools. The topology optimization reductions from reduced struts and integrated connections account, structure produced AM steel 2014, the right latest optimization produced AM. Incorporating production requirements required effort order design conflicts removing support structure was relatively expensive production process.
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