Centro Medico San Restituto - Il Libro della Salute

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Istituto Comprensivo Scolastico di Bozzolo

Il Libro della Salute

Il Libro della Salute Raccolta di articoli redatti da Medici Specialisti su problemi di salute di bambini in etĂ compresa tra 5 e 14 anni

46012 Bozzolo (MN) - Via Bini, 4 Tel. +39 0376.920997 - Fax +39 0376.921112 www.centromedici.it - info@centromedici.it

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Il Libro della Salute tratto da

“Il Semestre della Salute� A cura di:

In collaborazione con:

Istituto Comprensivo Scolastico di Bozzolo

Con il patrocinio di

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LA DIREZIONE

Il testo proposto conclude il ciclo denominato “il semestre della salute” dedicato alla prevenzione sanitaria e dà inizio al processo di comunicazione rivolto alle famiglie finalizzato alla divulgazione di concetti educativi sanitari. Il libro nasce dalla volontà di proporre un umile strumento didattico per noi genitori affinchè, tramite la conoscenza della materia, possiamo affinare il grado di capacità naturale di responsabilizzare i nostri figli sul valore della salute nel processo della vita. L’iniziativa è stata promossa dai Medici della Struttura Sanitaria San Restituto e dalla Direzione dell’Istituzione Scolastica a cui è rivolta la mia sincera gratitudine per l’impegno dimostrato. Centro Medico S. Restituto Christian Manfredi

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I MEDICI

Il progetto di Medicina Generale è ambizioso e innovativo. Il “Libro della Salute” è una risposta che ci permettiamo di dare agli interrogativi che, attraverso l’attività sanitaria erogata dai colleghi del Centro Medico San Restituto, abbiamo recepito dai genitori. Saper riconoscere segni e sintomi anomali dello stato di salute dei propri figli è importante: la risposta è il pediatra di libera scelta attorno al quale ruotano diverse figure specialistiche. Voglio pensare che questo progetto venga visto nella sua completezza; questa pubblicazione rappresenta un primo approccio alla cultura Socio-Sanitaria relativamente a tematiche che il gruppo Medici di Base e Specialisti di questo Centro Medico ha ritenuto potessero essere di interesse comune. Desidero ringraziare tutti i Medici che collaborano con il Centro Medico San Restituto. Non tutti hanno potuto redigere un articolo da inserire nel libro: infatti alcune specialità mediche non interessano problematiche sanitarie riscontrabili nella fascia d’età compresa fra i 5 e i 14 anni. Il mio grazie va comunque esteso anche a loro, perchè tutto lo staff ha contribuito alla realizzazione di questo volume. Nella speranza che le nostre scelte siano condivise... auguro a tutti buona lettura...

Dr. Fausto Bettini Refente Gruppo Medicina Generale Centro Medico San Restituto

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LA SCUOLA

Molto spesso si ricerca un legame logico tra quello che facciamo e quello che dovremmo fare, o meglio tra quello che insegniamo e quello che gli studenti dovrebbero imparare. Certo, la formazione va di pari passo con la modernità, così come la scienza, la tecnologia, la sociologia. Una sola, non so se in assoluto o meno, la certezza che supera il tempo e rimane trasversale nella durata e nella latitudine: la narrativa. La narrativa potrebbe essere paragonata alla geometria, per precisione e proprietà, ma solo quando interagisce e porta alla luce probabilità certe, introduce eventi futuri, anticipa coraggiosi percorsi di pensiero. Occorre credere al fatto che la preziosità della narrativa risiede nella sua universalità, nel senso che si evolve col tempo, vive il tempo, analizza il presente offrendo gli strumenti giusti dell’agire per capacità: si potrebbe affermare che la narrativa potrebbe essere la sezione aurea del pensiero. In questo senso mi sembra giusto, quasi opportuno, incrociare conoscenze diverse che conducono alla conoscenza più completa, scientificamente corretta, per essere necessaria al vivere di oggi. Allora come non conoscere i valori proteici, le quantità, la peculiarità di cibi che l’instancabile motore dello stomaco deve tradurre in energia, in benessere e in prevenzione? Un motore meccanico fuori giri si fonde; uno stomaco mal nutrito distrugge la vita (quella presente e quella futura) ma anche la capacità di pensare. Ma si, i giovani non si convincono del fatto che il fumo li consuma lentamente, foraggiando l’organismo di una quantità di rischi che nessuno, dico nessuno, potrà mai più eliminare. La stessa cosa vale per le malattie veneree! La sessualità non è un giocattolo, tanto meno un divertimento, come certa INTRODUZIONE

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informazione continua a farci credere e ad affermare, altrimenti le extasy, gli alcol, le sigarette resterebbero sui banchi di vendita. Sembra che sia in atto una sorta di contestazione forte alla vita. I giovani devono cominciare a tornare ad apprezzare la sobrietà, ma soprattutto rivalutare l’amore, forse andare a ricostruirlo, perché il sesso è la esaltazione della persona, ma anche la sua distruzione. Questo percorso educativo dei medici, “autori vari”, utilizzato in questa pubblicazione, mi piace, lo apprezzo; lo apprezzo nella parte in cui interagisce e completa la informazione rendendola istruzione e formazione, ma anche offrendo indicazioni utili per migliorarsi e vivere meglio, in particolare quando si fa riferimento alla attività motoria: la formazione del corpo; formazione che il corpo non scorda, anzi conserva molto bene nella memoria e, al momento giusto, la recupera per superare difficoltà e fatiche, ma anche sofferenze. Chiamiamolo pure sistema immunitario, ma quando viene meno... anche lì c’è poco da fare. L’adulto è ciò che la persona è stato da bambino; la buona salute è quello che trovi nel paniere della protezione del corpo. Un altro fatto apprezzabile risulta il legame con la problematica dell’apprendimento, i molti disturbi specifici dell’apprendimento e le psicopatologie legate strettamente alla vita moderna, ai videogiochi, alle fiction, ma anche a tanto altro. Quel ragazzo amante dei tuffi ha detto, a proposito di uno sport: “Non riesco a capire che senso ha tirare calci ad una palla!” Il problema non sono i calci, ma l’alienazione che si impossessa dell’anima e dell’agire dell’uomo impreparato: per questo, anche, è apprezzabile il lavoro dei nostri “autori vari” che potranno permettere ai nostri studenti di saperne di più su sé stessi per vincere la difficoltà della contemporaneità. In questo senso mi pare di poter affermare che le scoperte sono risultati condivisi e necessità da considerare. Angelo Scialpi - Dirigente Sc. IC di Castellucchio Patrizia Roncoletta - Dirigente Sc. IC di Bozzolo Pierluigi Alessandrini - Dirigente Sc. IC di Sabbioneta

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SOMMARIO ALLERGOLOGIA Le malattie allergiche nel bambino

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ANESTESIA L’anestesia nel bambino

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CARDIOLOGIA Le principali cardiopatie congenite in età pediatrica I soffi in età pediatrica CHIRURGIA GENERALE · DERMATOLOGIA Le verruche Pediculosi e Ptiriasi L’appendicite acuta in età pediatrica segni e sintomi CHIRURGIA MAXILLO FACCIALE · ODONTOIATRIA ORTODONZIA Ortodonzia e Prevenzione Prevenzione orale Trattamento ortodontico

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pag. 143 pag. 147 pag. 153

pag. 163 pag. 166 pag. 170

CHIRURGIA PLASTICA Orecchie ad ansa

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EDUCAZIONE ALIMENTARE Educazione alimentare. Una consapevole crescita

pag. 187

EDUCAZIONE SANITARIA Fumo di sigaretta Perché si inizia a fumare? Prevenzione-rischi-complicanze La febbre in età pediatrica Consigli di primo soccorso ENDOCRINOLOGIA Prevenzione del diabete tipo I FISIATRIA · FISIOTERAPIA · ORTOPEDIA PODOLOGIA · RADIOLOGIA La scogliosi Attività fisica e crescita dell’individuo Ruolo della medicina dello sport come branca specialistica

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Come e quando fare i controlli ortopedici ai nostri figli? Alcuni consigli Il piede piatto Il podologo come figura armonica nello sviluppo del bambino Utilizzo della diagnostica per immagini in giovani fra i 5 e i 14 anni GASTROENTEROLOGIA La celiachia GINECOLOGIA HPV (papilloma virus) e Vaccino Sessualità ed adolescenza Il ciclo mestruale NEUROLOGIA · NEUROCHIRURGIA La prevenzione del trauma cranico nell’infanzia Meningiti Le epilessie NEUROPSICHIATRIA INFANTILE · LOGOPEDIA PSICOMOTRICITÀ · PSICOLOGIA I disturbi di apprendimento in età evolutiva L’educazione può aiutarci a prevenire alcune psicopatologie? Quando un bambino “parla male” La Psicomotricità

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pag. 195 pag. 209 pag. 213 pag. 216

OCULISTICA Il bambino e l’oculista

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OMEOPATIA L’omeopatia nel bambino e nell’adolescente

pag. 225

OTORINOLARINGOIATRIA Epistassi? Niente panico

pag. 229

UROLOGIA Le patologie urologiche pediatriche più comuni

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Guida alla lettura: * al termine di ogni articolo troverete la spiegazione del termine scritto a lato dell’asterisco ** significa che la parola scritta a lato dei due asterischi è argomento di uno degli articoli presenti nel libro

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Allergologia

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LE MALATTIE ALLERGICHE NEL BAMBINO Le malattie allergiche nel bambino, così come nell’adulto, hanno avuto negli ultimi anni un andamento esponenziale tanto da far parlare di “epidemia allergica“. La spiegazione di tale fenomeno è da ricercare nell’interazione tra fattori genetici (predisposizione familiare); fattori ambientali, quali l’esposizione ambientale ad allergeni inquinanti indoor 1 (acari, muffe, animali domestici) e/o outdoor 2 (pollini); fattori igienici come la minor incidenza di infezioni microbiche a trasmissione oro-fecale 3 (tifo per es.); e altre cause ancora sconosciute. Le allergie sono reazioni anomale del sistema immunitario 4: in seguito all’esposizione del bambino a sostanze estranee, avviene la sensibilizzazione che si manifesta con la produzione da parte del sistema immunitario, di anticorpi di tipo IgE 5. L’allergia, quindi, si manifesta ogni volta che il bambino viene a contatto con la sostanza a cui è sensibilizzato, ossia l’allergene, per via inalatoria (pollini, acari ecc.), digestiva (alimenti, farmaci), contatto (farmaci, alimenti), inoculazione (insetti pungitori,farmaci). L’incontro allergeneIgE specifiche negli organi bersaglio (cute, naso, occhi, bronchi) dà luogo ad alcuni sintomi quali rinite, congiuntivite 6, asma bronchiale, dermatite atopica e per fortuna rara, l’anafilassi 7. L’allergia può quindi essere definita come una reazione esagerata ed inappropriata dell’organismo nei confronti di sostanze che per la maggior parte delle persone sono innocue, ovvero un eccesso di “legittima difesa“. Spesso l’allergia si insinua in modo subdolo nel bambino, come nel caso di una dermatite atopica dal prurito irresistibile che altera il ritmo del sonno, o una tosse incessante, o un respiro affannoso o sibilante. Altre volte può essere una rinite con il caratteristico “naso chiuso“ a determinare una pessima qualità di vita. In un bambino, più che in un adulto, è particolarmente importante, soprattutto per quanto riguarda le allergie alimentari, individuare l’allergene responsabile così da poterlo tenere a distanza ed evitare reazioni anche gravi quali lo shock anafilattico 7. Così è molto importante la diagnosi certa onde evitare l’eliminazione di alimenti che sono indispensabili per il suo sviluppo psico-fisico. La dermatite atopica La Dermatite Atopica (DA) è la più frequente tra le patologie croniche dell’età pediatrica. Un recente studio epidemiologico condotto in Italia su bambini in età scolare ha confermato che la prevalenza della DA si attesta ALLERGOLOGIA

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intorno al 15%. Quasi la metà dei bambini interessati dalla malattia presenta sintomi entro i primi 6 mesi e l’85% di essi entro i primi 5 anni. Le parti colpite dalle manifestazioni eczematose che possono presentarsi sotto forma di chiazze, eritemato-pruriginose sono soprattutto le pieghe naturali dei gomiti, ginocchia (cavi poplitei), collo, volto; caratteristiche le pliche infraorbitarie, dette di Dennie-Morgan che contribuiscono a formare il quadro della facies atopica. La cute del bambino atopico è secca, il prurito e le conseguenti lesioni da grattamento sono una costante e rappresentano le manifestazioni più importanti per l’influenza negativa sulla qualità della vita del bambino e dei genitori; inoltre le lesioni da grattamento possono andare incontro ad infezioni che necessitano di antibioticoterapia per la risoluzione. Non sempre il bambino con DA risulta sensibilizzato ad allergeni specifici, quando lo è sono soprattutto i cibi, quali latte, uovo, pesce, arachide. Nella maggior parte dei casi con l’aumentare dell’età tali sensibilizzazioni si risolvono;in alcuni casi per esempio per l’arachide tale sensibilizzazione permane anche nell’età adulta; per latte e uovo è invece, nella maggior parte dei casi, temporanea. La rinite allergica Anche la rinite allergica ha una elevata prevalenza nella popolazione pediatrica, gli ultimi dati epidemiologici descrivono una incidenza tra il 1520%; acquista comunque un peso rilevante nella misura in cui la si valuta alla luce della prognosi.Infatti la probabilità che un rinitico sia anche un asmatico, nell’immediato o in futuro, è particolarmente alta. Pertanto è importante effettuare un approfondimento diagnostico allergologico in tutti i bambini con sintomi rinitici che durano per lasso di tempo superiore a 2-4 settimane, periodo di tempo di solito sufficiente per risolvere i problemi legati a semplici episodi infettivi. Il quadro clinico della rinite allergica dell’infanzia poi, non differisce da quello dell’adulto: starnutazione, rinorrea, congestione e prurito nasale accompagnato dal caratteristico “saluto allergico” (movimento ripetitivo di strofinamento del naso con il palmo della mano) e dalla “piega allergica” (solco trasversale localizzato alla radice del naso). Gli allergeni maggiormente implicati sono i pollini (Graminacee; Betulacee; Parietaria), gli Acari della polvere, le muffe (Alternaria), derivati epidermici di animali domestici (Cane, Gatto e piccoli roditori). L’esposizione all’allergene pollinico può essere modulata sia da fattori climatici che ambientali. Infatti si segnalano epidemie di asma in corso di temporali legate 18

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alla frammentazione del polline e alla successiva trasformazione in particelle di dimensioni tali da poter raggiungere le vie bronchiali. I tipi di polline a cui si è sensibili, variano a seconda delle diverse aree geografiche del mondo: nell’area mediterranea, per esempio, la sensibilità all’olivo e alla parietaria è più spiccata. Sono prevalentemente più colpiti i bambini rispetto alle bambine. Oltre ai fattori ereditari entrano notevolmente in gioco anche i fattori ambientali. In primo luogo il fumo di sigaretta contribuisce alla sensibilizzazione allergica, tanto è vero che il rischio di rinite in quei bambini che vivono in ambienti umidi e caldi (quali sono le case moderne) insieme a genitori che fumano, è più alto. Anche l’inquinamento ambientale e l’assunzione precoce di allergeni alimentari “maggiori”, per esempio latte e uovo, possono contribuire ad una precoce sensibilizzazione allergica. Fra gli allergeni perenni l’acaro ha un ruolo di primo piano sia per prevalenza di sensibilizzazione che come presenza durante tutto il corso dell’anno. Si è visto come la sensibilizzazione a questo allergene sia uno dei principali fattori di rischio per lo sviluppo di asma. Gli Acari della polvere sono comuni parassiti che vivono a stretto contatto con la cute umana, in natura esistono più di 47 specie di acari, ma quelli più rilevanti dal punto di vista allergologico sono i Dermatophagoides Farinae e Pteronyssinus. La fonte allergenica più potente degli Acari della polvere è rappresentata da proteine presenti nei residui fecali e da prodotti di decomposizione del corpo dell’acaro stesso; sono in genere, molto più numerosi sulla superficie dei materassi che non nella polvere presente sul pavimento domestico. Rispetto ai campioni di polvere raccolti dal pavimento, infatti, nel caso dei materassi si osserva un “carico“ di acari per grammo di polvere maggiore di 120 volte. Ecco perchè adeguate misure di prevenzione ambientale, in particolare l’impiego di appositi coprimaterassi, permette un miglioramento clinico. Infine, tra le misure di prevenzione, non va dimenticata l’abolizione del fumo in casa (il maggior responsabile dell’infiammazione bronchiale) e l’accortezza di evitare odori irritanti per le vie aeree come profumi forti, lacche spray, deodoranti, insetticidi spray. Per quanto riguarda gli animali domestici, il gatto per esempio, è stato dimostrato come il contatto precoce nei primi anni di vita con una elevata concentrazione di allergeni, riduce il rischio di sensibilizzazione anche nei riguardi degli altri allergeni inalanti. Nei soggetti sensibilizzati al gatto invece, esposti a basse concentrazioni dell’allergene per esempio in ambienti pubblici (scuole), dove l’allergene non è presente ma è trasportato dagli ALLERGOLOGIA

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indumenti degli alunni, il bambino può andare incontro a significative riacutizzazioni rinitiche e asmatiche. Il pelo degli animali non è allergizzante di per sé, ma in quanto veicolo di sostanze allergeniche presenti nella saliva che l’animale leccandosi rilascia sul pelo (urina, squame di pelle morta, acari). Le allergie alimentari Le allergie alimentari si manifestano in circa l’1-4% dei bambini, fin dai primi mesi di vita e nella maggior parte dei casi si risolvono con l’età. Quando i bambini (atopici) entrano in contatto con l’alimento a cui sono sensibilizzati si verifica la reazione allergica che può essere più o meno grave. L’allergia alimentare non va confusa con l’intolleranza alimentare che si verifica per deficit enzimatici o immaturità o patologie infiammatorie dell’apparato gastrointestinale,come per es l’Intolleranza al Lattosio che è lo zucchero principalmente presente nel latte e derivati ed è causata dalla mancanza temporanea o definitiva dell’enzima deputato alla digestione del lattosio (Tilattasi). L’Intolleranza al Lattosio provoca sintomatologia gastrointestinale specifica (addominalgie, scariche diarroiche, meteorismo), mentre il bambino allergico al latte presenta soprattutto sintomatologia cutanea (eczema) e/o respiratoria. Le più frequenti allergie alimentari sono causate dalle proteine contenute nei cibi comunemente utilizzati: latte, uova, arachidi, soia, noci, pesce. Ad alcuni bambini basta una piccolissima quantità dell’alimento a cui sono allergici, per scatenare una reazione allergica. Inoltre le risposte allergiche ai cibi possono comparire subito o entro pochi minuti dall’ingestione del cibo, oppure dopo alcune ore. I sintomi più comuni sono: • Eczema, orticaria (eczema = reazione della pelle di tipo infiammatorio; orticaria = interessa la parte superificale della pelle) • Prurito e/o edema delle labbra e della mucosa orale • Vomito, diarrea, addominalgie • Difficoltà respiratoria, riniti e crisi di broncospasmo • Anafilassi, ossia una reazione allergica seria ma per fortuna rara, che necessita di trattamento tempestivo e urgente per l’interessamento contemporaneo di più organi (naso, bronchi, intestino, cute) fino alla perdita di coscienza. Può essere molto grave e perciò va affrontata con grande tempestività. Diagnosticare un’allergia alimentare può rivelarsi semplice se si ha una reazione rapida dopo il contatto con l’alimento incriminato, più difficile se 20

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i sintomi tardano a manifestarsi o si presentano sotto forme diverse. Se si sospetta un’allergia la prima cosa da fare è eliminare dalla dieta l’alimento che si ritiene responsabile dello scatenamento allergico (quando si riesce a individuarlo). Le allergie alimentari più frequenti nel corso del primo anno di vita sono le allergie al latte e ai suoi derivati. Se il bambino è allergico al latte per la sua alimentazione si può ricorrere a latti idrolisati le cui proteine sono state rotte in piccole parti così da non provocare la reazione allergica; oppure al latte di soia che contiene solo proteine vegetali; o ancora, al latte di asina che è ben tollerato, anche se difficile da trovare in commercio o ai latti ipoallergenici in cui le proteine del latte vaccino sono state sottoposte a particolari trattamenti. La forma preventiva più efficace di un’accertata allergia al latte vaccino ed ai suoi prodotti è quella di evitare l’assunzione, per esempio, di burro, formaggi, gelati; oltre a tutti quegli alimenti confezionati che possono contenere caseina, caseinato e lattoalbumina. Cosa apparentemente semplice, ma difficilissima nella pratica poiché questi prodotti compaiono, anche a nostra insaputa, in moltissimi prodotti alimentari (allergene nascosto). Un’allergia molto comune nell’infanzia, soprattutto nel primo anno di vita, è quella all’uovo. Inizia dopo i 6 mesi (al momento dello svezzamento) e tende a diminuire con l’accrescimento. La maggior parte delle proteine allergenizzanti è contenuta nell’albume, ma anche il tuorlo può dare allergia; per cui un bambino può essere allergico ad uno dei due elementi dell’uovo o a entrambi. La cottura riduce del 70 per cento il rischio di manifestare una reazione allergica. È importante però che durante l’allattamento la madre curi la sua alimentazione perché nel latte materno possono passare delle proteine (o porzioni di queste) non tollerate dal bimbo allergico (per esempio proteine dell’uovo o del latte vaccino). Se un bambino che soffre di allergia alimentare frequenta l’asilo nido o la scuola materna è accortezza del genitore avvisare gli insegnanti dell’allergia, così da evitare qualsiasi assunzione alimentare nel corso delle ore scolastiche. Le (vere) allergie alimentari trovano ancor oggi poca attenzione da parte dei produttori di alimenti. È quindi auspicabile che in un prossimo futuro sulle etichette dei prodotti alimentari oltre alle informazioni generali siano riportati in modo dettagliato gli ingredienti, la presenza di additivi e di ogni potenziale allergene. ALLERGOLOGIA

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È allergia? Il sospetto di malattia allergica deve essere confermata dal riscontro di una sensibilizzazione attraverso l’esecuzione di test allergologici. A questo scopo il prick test è la metodica più rapida economica e affidabile, mentre il dosaggio delle IgE specifiche sieriche (RAST) va riservato a casi selezionati come l’impossibilità dell’esecuzione del prick per cute con eczema diffuso, o di poter sospendere la terapia antistaminica. Le prove cutanee (Prick test) consistono nell’applicare sulla pelle (normalmente dell’avambraccio) una goccia dell’allergene che si vuole testare e poi pungere con una lancetta la pelle attraverso la goccia. In alcuni casi il test cutaneo si esegue utilizzando l’alimento fresco, frutta e verdure soprattutto (prick to prick). Si tratta di una procedura poco dolorosa a cui si possono sottoporre con tranquillità anche i bambini. Se il soggetto è sensibilizzato nei confronti di alcuni allergeni testati, avrà prodotto immunoglobuline specifiche (IgE). In pochi minuti, si produrrà un caratteristico pomfo (piccolo rigonfiamento) arrossato, caldo e pruriginoso che raggiungerà il massimo entro 20 minuti e scomparirà nel giro di alcune ore. La piccola quantità di allergene con cui il soggetto viene a contatto rende questi test cutanei molto sicuri. Il trattamento Anche il trattamento non differisce da quello dell’adulto; gli antistaminici soprattutto quelli di ultima generazione meno sedativi, hanno migliorato l’impatto della malattia allergica sulla qualità della vita. Ma è soprattutto con l’immunoterapia, i cosiddetti vaccini, l’unica terapia allergene orientata, che si è assistito negli ultimi anni al miglioramento della prognosi a distanza (rinite-asma), confermando come un intervento precoce potrebbe essere effettivo nella prevenzione dell’asma Questi trattamenti, in passato disponibili solo per via sottocutanea, oggi possono con successo essere effettuati per via sublinguale, garantendo una migliore adesione da parte di chi è allergico. Infatti, possono essere assunti a domicilio senza pericoli e non necessitano di frequenti sedute in ambiente ospedaliero. Peraltro anche per i vaccini per via sottocutanea sono possibili nuovi schemi terapeutici che garantiscono un minor numero di iniezioni e quindi tempi molto più rapidi di trattamento. Quindi, nei casi meno impegnativi di rinite può essere utile il ricorso ad un antistaminico, associato ad un cortisonico in spray quando compare ostruzione nasale. Va invece evitato un uso prolungato di spray con vasoco22

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strittori: è vero che risolvono con molta rapidità l’ostruzione nasale, ma il loro uso protratto porta a modificazioni croniche della mucosa nasale. Inoltre la terapia con antistaminici si è dimostrata efficace nella Dermatite Atopica e in tutte le forme di orticaria del bambino per il controllo soprattutto della componente pruriginosa. Conclusioni Le malattie allergiche hanno un notevole impatto sulla qualità di vita del bambino e in alcuni casi (allergia alimentare) possono essere a rischio per la vita. Pertanto è importante una diagnosi precoce non solo per poter attuare un percorso terapeutico il più efficace possibile nella prevenzione della cosiddetta “marcia allergica“ ovvero la progressione del bambino affetto da dermatite atopica verso la rinite e l’asma bronchiale, ma soprattutto per far sì che il bambino allergico diventi adulto con le stesse aspettative del bambino non allergico. È importante a questo scopo che pediatra, specialista allergologo e familiari interagiscono, ma soprattutto parlino un linguaggio comune. Articolo redatto da: Dr.ssa Maria Teresa Costantino Specialista in Allergologia Ospedale Carlo Poma Mantova

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Indoor: al chiuso. Outdoor: all’aperto. Trasmissione oro-fecale: le malattie chiamate a trasmissione oro-fecale vengono così definite perché l’agente infettante entra nell’organismo attraverso la bocca e eliminato con le feci. Sistema immunitario: è il sistema di difesa del nostro organismo composto da sostanze chimiche e cellulari. Anticorpi di tipo IgE: prodotti dal Sistema Immunitario nel momento in cui l’organismo entra in contatto con l’allergene. È una difesa. Congiuntivite: infiammazione della congiuntiva dell’occhio. Anafilassi - shock anafilattico: l’anafilassi è una reazione allergica. Lo shock anafilattico è la forma più grave e potente di reazione anafilattica, rappresenta una situazione d’urgenza che non trattata in tempo mette in pericolo di vita chi la subisce ALLERGOLOGIA

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Anestesia

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L’ANESTESIA NEL BAMBINO Il termine anestesia, di derivazione greca, significa letteralmente “abolizione della percezione dolorosa”. Tale condizione può essere indotta farmacologicamente o può essere il risultato di un processo patologico che ha arrecato danno alle strutture nervose (ad esempio le ustioni). Nella pratica clinica, si parla di anestesia generale quando l’abolizione del dolore è accompagnata da una perdita di coscienza farmacologicamente indotta; diversamente, nel caso dell’anestesia loco-regionale (anestesia sub aracnoidea1, epidurale2 e plessica3) il paziente rimane sveglio ed in contatto con il mondo esterno, pur non percependo alcun dolore. L’indicazione a procedure diagnostiche invasive (chirurgiche) e di immagini (indagini strumentali come TAC, RMN, Endoscopia digestiva) spesso ripetute, si sta facendo più frequente in ambito pediatrico, sia per l’ottimizzazione delle linee giuda, sia per una più ampia disponibilità sul territorio di strumentazioni sofisticate. Altrettanto forte è la necessità di ridurre, se non eliminare, il carico di dolore e di stress per i bambini, fatto ancora più importante nel caso in cui siano affetti da patologie croniche. Il ricorso alla sedazione4 profonda piuttosto che alla anestesia generale, con conservazione della respirazione spontanea pur abolendo lo stato di coscienza, e la disponibilità di farmaci ad azione ultrabreve ha facilitato l’approccio alle diverse procedure invasive. L’elenco delle suddette che si potrebbero effettuare in sedazione e in apposito spazio nell’ambito della clinica pediatrica è molto lungo; eccone alcuni esempi: • Colonscopie e gastroscopie, spesso ripetute nell’ambito dello studio di malattie croniche (celiachia**, rettocolite ulcerosa, malattia di Crohn) • Punture lombari (nella diagnosi differenziale delle meningiti**) • Puntato midollare (nella diagnosi di malattie onco-ematologiche) • Artocentesi (per diagnosi differenziale di artriti idiopatiche giovanili monopoli-articolari) • Biopsie epatiche, ossee, renali, muscolari • Indagini strumentali TAC, RMN, per le quali l’assoluta immobilità del paziente è fondamentale (situazione difficilmente realizzabile con un paziente pediatrico senza l’ausili farmacologico). Per un anestesista è fondamentale tenere presente che il bambino NON è un piccolo adulto, in quanto presenta caratteristiche fisiologiche ed ANESTESIA

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anatomiche del tutto peculiari, oltre al fatto che i bambini presentano una soglia del dolore inferiore a quella degli adulti per una mielinizzazione ancora incompleta (incompleta maturazione del sistema nervoso periferico). L’esame obiettivo del bambino dovrà valutare lo stato delle vie aeree, la mobilità del torace, l’auscultazione cardiaca, l’obiettività addominale e la corretta motilità dei quattro arti. Fondamentale per gli specialisti (Chirurghi ed Anestesisti) che si prendono in carico il piccolo paziente è il colloquio con i famigliari dello stesso, per ottenere informazioni riguardo a patologie presenti nella storia di quella famiglia: le più importanti riguardano le patologie a carico dei muscoli, allergie a farmaci, sindromi quali asma bronchiale, fibrosi cistica, patologie respiratorie in atto, malattie dell’apparato cardiocircolatorio. Articolo redatto da: Dr.ssa Elena Chiesa - Specialista in Anestesia Rianimazione presso Ospedale Carlo Poma di Mantova

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Anestesia sub-aracnoidea: l’anestetico locale viene iniettato nel liquido che “bagna” il midollo spinale. L’effetto anestetico interessa addome-arti inferiori. Anestesia epidurale: l’anestetico locale viene iniettato nello spazio che si trova fra due vertebre. Anestesia plessica: l’anestetico locale viene iniettato in prossimità di un plesso nervoso (unione di vari nervi). Sedazione: procedura eseguibile presso strutture ambulatoriali. Si crea nel paziente una condizione di rilassamento, amnesia e/o controllo del dolore. Può essere una sedazione profonda o cosciente/meno profonda.

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ANESTESIA

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Cardiologia

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LE PRINCIPALI CARDIOPATIE CONGENITE IN ETÀ PEDIATRICA

V.P. AO. A.P. SIV.

V.SX.

V.DX.

IMMAGINE DI UN CUORE NORMALE V.P.: Vene Polmonari AO.: Aorta e Arco Aortico A.P.: Arteria Polmonare SIV.: Setto Interventricolare V.SX.: Ventricolo Sinistro V.DX.: Ventricolo Destro

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D.I.A.

St.Pol.

D.I.V.

LE ALTERAZIONI CARDIACHE DI UNA TETRALOGIA DI FALLOT D.I.A.: Difetto Interatriale St.Pol.: Stenosi Polmonare D.I.V.: Difetto Interventricolare

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L.A.P. Anomala

TETRALOGIA DI FALLOT CON ANOMALIA DELL’ARTERIA POLMONARE DI SX L.A.P.Anomala.: Ramo sinistro dell’Arteria Polmonare Anomalo Oltre alle alterazioni strutturali tipiche della tetralogia di Fallot, (Div, Dia, St. Pol.) il ramo sinistro dell’arteria polmonare nasce dall’Arco Aortico

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Sten. Arc. Aort.

Pervietà Dotto

D.I.A

V.SX. Ipoplasico

IPOPLASIA VENTRICOLO SINISTRO CON STENOSI DELL’ARCO AORTICO DIFETTO INTERATRIALE E DOTTO DI BOTALLO PERVIO

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TRASPOSIZIONE GROSSI VASI Nella trasposizione dei grossi vasi l’arteria polmonare nasce dal ventricolo di sinistra che è posizionato a destra; L’aorta nasce dal ventricolo di destra che è posizionato a sinistra. RA: Atrio Destro LV: Ventricolo Sinistro (comunica con l’Atrio Destro) LA: Atrio Sinistro RV: Ventricolo Destro (comunica con l’Atrio Sinistro) Ao: Arco Aortico PA: Arteria Polmonare CARDIOLOGIA

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Dotto arterioso pervio

FLUSSO SISTEMICO DIMINUITO SHUNT DA SINISTRA VERSO DESTRA ATTRAVERSO IL DOTTO ARTERIOSO PERVIO FLUSSO POLMONARE AUMENTATO (SOVRACCARICO POLMONARE)

IPERTROFIA DEL VENTRICOLO SINISTRO

B. Scissione del dotto arterioso correttiva

FLUSSO SISTEMICO NORMALE DOTTO ARTERIOSO DIVISO E CUCITO FLUSSO POLMONARE NORMALE

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I SOFFI IN ETÀ PEDIATRICA Il soffio cardiaco considerato un rumore prodotto da un flusso sanguigno di tipo turbolento. Nei grossi vasi il sangue scorre in forma laminare e non produce alcun rumore. Tale flusso laminare può essere sostituito da un flusso turbolento che è caratterizzato da continui cambiamenti di velocità e direzione delle particelle del liquido sanguigno.Nei bambini è molto frequente il fenomeno della turbolenza proprio perché la velocità del sangue è maggiore e la viscosità è minore rispetto agli adulti. Se a queste due componenti associamo l’ipercinetica del cuore e la parete più sottile del torace dei bambini, si deduce il perché esiste una elevata frequenza di soffi cardiaci in questa fascia di età. Esistono tre tipi di soffi cardiaci: a) Soffio organico: è un reperto ascoltatorio che origina da un’alterazione delle strutture cardiache, su base congenita (presente dalla nascita) o acquisita; b) Soffio funzionale: è un reperto legato a modificazioni funzionali circolatorie secondarie tipo anemia, febbre, ipertiroidismo o malformazioni toraciche (pectus escavatum, scoliosi) c) Soffio innocente: è un reperto ascoltatorio presente in soggetti sani senza alcuna patologia cardiaca. Soffi cardiaci in rapporto con i toni I soffi cardiaci possono essere definiti in base al rapporto con i toni: a) Soffi sistolici (proto, meso, tele ed olosistolico) quando avvengono tra il primo e il secondo tono; b) Soffi diastolici (proto, meso, tele ed olosistolico) quando avvengono dopo il secondo tono e prima dell’inizio primo tono; c) Soffi continui quando iniziano dopo il primo tono e si continuano senza interruzione dopo il secondo tono. Intensità dei soffi: scala di Levine L’intensità di un soffio viene valutata di regola su una scala di 6 gradi, proposta da Levine. SCALA DI LEVINE Grado 1: soffio molto lieve, che per essere apprezzato deve essere ascoltato con molta attenzione, in ambiente silenzioso, con il bimbo tranquillo. CARDIOLOGIA

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Grado 2: soffio lieve, che comunque viene apprezzato anche in condizioni non ottimali. Grado 3: soffio di forte intensità apprezzabile anche se il bambino piange o l’ambiente è molto rumoroso. Grado 4: soffio molto forte accompagnato da un fremito precordiale1 alla palpazione. Grado 5 e 6: udibili anche non appoggiando la membrana sul precordio. La capacità di distinguere tra un soffio di grado 5 e quello di un grado 6 è di irrilevante utilità diagnostica. Soffi innocenti Si definisce soffio innocente un reperto di soffio ascoltatorio cardiaco non legato ad alterazioni organiche della struttura del cuore ne a variazioni delle condizioni fisiologiche generali o cardiocircolatorie. L’incidenza dei soffi innocenti in età pediatrica varia a seconda delle casistiche, dal 30% fino al 90%; la media si aggira intorno al 60%. Il periodo di massimo riscontro va dai tre fino agli otto anni di età. La maggior parte di questi soffi scompare verso l’età adulta. È significativo lo studio fatto da Marienfield e Coll che dopo un controllo di questi soffi innocenti a distanza di 20 anni circa l’80% di essi era completamente scomparso. Caratteristiche dei soffi innocenti 1) Soffio vibratorio: È il soffio più frequente fra quelli innocenti: lo si ascolta con la massima intensità lungo la parasternale sinistra bassa, nel quarto o quinto spazio intercostale. Di solito è un soffio proto sistolico, a carattere vibratorio, qualche volta musicale o ronzante. L’intensità non supera mai i 3/6 secondo la scala li Levine. Spesso si attenua e qualche volta scompare in ortostasi ( in piedi) e dopo sforzo; si accentua nella posizione accovacciata. 2) Soffio eiettivo polmonare: Si apprezza a livello del II° - III° spazio intercostale sinistro, l’intensità secondo Levine è intorno ai 2/6, si ascolta meglio in posizione supina e di solito scompare in ortostatismo ( in piedi) e nell’ispirazione forzata. Si accentua con l’esercizio, la febbre, in corso d’anemia. 3) Soffio venoso del collo ( venous hum): È un soffio molto frequente in età pediatrica, lo si ascolta alla base del collo soprattutto a destra. È un soffio di tipo continuo ed ha un’intensità 38

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secondo Levine di 2-3/6. Aumenta di solito con l’inspirazione; classica è la modificazione di questo soffio nei cambi di posizione, infatti lo si apprezza quasi esclusivamente nella posizione seduta e di solito diminuisce o scompare con il movimento del capo e con la compressione delle vene giugulari (vene ai lati del collo). 4) Soffio carotideo: È tra i soffi innocenti quello meno frequente; si ascolta alla base destra e nella regione bassa del collo soprattutto a destra. È un soffio di tipo eiettivo di solito di intensità pari a 2/6, raramente raggiunge i 3/6. L’esercizio fisico e la febbre di solito fanno accentuare l’intensità del soffio. 5) Soffio neonatale: Si ascolta solo nei primi giorni di vita, infatti in questo periodo il tronco ed i rami dell’arteria polmonare formano un’angolazione a T, questo determina l’instaurarsi di un flusso turbolento e quindi del soffio neonatale. Caratteristiche comuni dei soffi innocenti Sono quasi sempre sistolici, mai olosistolici (cioè della durata di tutta la contrazione dei ventricoli del cuore, soffio unico), hanno un’intensità di 1-2/6, molto raramente intorno ai 3/6, mai oltre; presentano una tonalità dolce, musicale o pigolante; raramente sono irradiati; possono variare con i cambi di posizione e con le fasi del respiro; hanno il carattere di unicità (il soffio è l’unico reperto all’ascoltazione cardiaca). Conclusioni La diagnosi differenziale tra i soffi cardiaci a carattere innocente a quelli a carattere organico, di solito si basa su un accurato esame obbiettivo e su di un’anamnesi (storia clinica del paziente) approfondita, associata ad alcune manovre fisiologiche (posizione supina o accovacciata, ortostatismo, inspirazione forzata, compressione delle vene del collo, ecc). Come abbiamo già visto il soffio innocente ha delle caratteristiche peculiari che lo rendono facilmente identificabile. In una bassa percentuale di casi la diagnosi differenziale risulta difficile per cui si rende necessario eseguire delle indagini strumentali. L’esame elettrocardiografico (ECG): è un esame indolore della durata di circa 10 minuti. Attraverso questo esame si valuta l’attività elettrica del cuore. La radiografia del torace: è un altro esame considerato indispensabile**, e ci permette di valutare l’ombra cardiaca ed il flusso polmonare. Ha una durata di circa 15 minuti. CARDIOLOGIA

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L’esame ecocardiografico: è una metodica non invasiva della durata di circa 25 minuti e tranquillamente ripetibile al bisogno. L’esame si base sull’utilizzo di ultrasuoni. L’esame può essere associato all’esame Doppler che studia il movimento del sangue all’interno del cuore e dei vasi; è sempre un esame indolore, che non utilizza radiazioni e che ha una durata di circa 25 minuti. Si sottolinea l’importanza, da parte del pediatra, nello spiegare e chiarire ai genitori l’assoluta innocuità dei soffi a carattere innocente, di far capire che ogni tipo di sport può essere praticato, e che il bambino deve comportarsi ed essere trattato come un soggetto normale. Tutto ciò contribuisce a tranquillizzare l’ambiente familiare e soprattutto a rendere ottimale lo sviluppo psico-fisico del bambino. Articolo redatto da: Dr. Angelo Romano - Specialista in Pediatria Direttore Unità Operativa di Pediatria Ospedale Oglio Po Cremona

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Precordiale: zona del torace in corrispondenza del cuore.

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Chirurgia Generale Dermatologia

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LE VERRUCHE Le verruche erano già conosciute al tempo degli antichi Greci e Romani; in alcuni scritti del 30 a.C., Aulo Cirnelio Celso parla già di manifestazioni, simili a “porri“ che fanno pensare alle verruche. La loro identificazione, come infezioni trasmissibili per contagio, avvenne però solo alla fine di questo secolo, mentre l’agente che ne è la causa, il virus, fu isolato nel 1949 e solo qualche anno dopo caratterizzato ed inquadrato nella famiglia dei Papovavirus. Oggi si calcola che a soffrire di verruche sia circa il 7% della popolazione. Con le più moderne tecniche di biologia molecolare sono stati identificati più di 50 sottotipi di Papilloma virus ma solo alcuni di questi sono responsabili delle lesioni cutanee. Poco si conosce su come entri nelle cellule, ma una volta che vi ha avuto accesso, sfrutta le risorse della cellula che lo ospita per coordinare i propri geni e replicarli. Il picco massimo di incidenza è dai 12 ai 16 anni e a grande maggioranza la localizzazione è sulle mani e sulla pianta dei piedi. Soggetti con immunità cellulare (diminuzione delle difese delle proprie cellule) compromessa sono ad alto rischio per le verruche; ultimamente si è parlato di una aumentata suscettibilità alle stesse nei bambini affetti da dermatite atopica**. La trasmissione avviene attraverso i cheratinociti desquamati (cellule della pelle che producono cheratina, una proteina) Il periodo di incubazione è di circa 1-6 mesi ma si sospetta un periodo di latenza di 3 anni o più. Cosa sono le verruche? Si tratta di infezioni ad eziologia (causa) virale che si presentano come delle escrescenze carnose, dure, di natura benigna. Sono lesioni cutanee molto frequenti e generalmente insorgono in età giovanile. Ne possono essere interessate anche le mucose. Come avviene il contagio? Il virus delle verruche è autoinoculabile. La trasmissione dell’infezione si verifica per lo più per contatto diretto, cioè toccando le verruche altrui; perchè tuttavia si verifichi il contagio, la cute “ricevente” deve essere abrasa, deve cioè presentare quella che noi medici definiamo “soluzione di continuo”, cioè un’interruzione della sua integrità, altrimenti il virus non penetra. Diversamente il contagio può verificarsi attraverso le squame della verCHIRURGIA GENERALE • DERMATOLOGIA

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ruca che cadono in zone umide, ad esempio piscine o saune, o asciugamani umidi, anche se è dimostrato che questo virus sopravvive poco in aria ambiente. Per questo motivo, se ci si asciuga le mani con un asciugamani appena utilizzato da una persona infetta o si cammina dove ha appena camminato un soggetto malato, è molto probabile che ci si possa infettare. Anche le scarse condizioni igieniche contribuiscono ad aumentare la probabilità di contagio. È comunque dimostrato che, sia l’insorgenza, che il decorso dell’infezione appaiono in stretto rapporto con lo stato immunitario del soggetto; pertanto i fattori principalment coinvolti nell’infezione sono due: virulenza del virus e scarse difese immunitarie. Quando il virus penetra nel nostro corpo, si crea una situazione di gioco-forza tra la sua capacità infettante e quella dell’organismo ospite di reagire e difendersi. Alcuni soggetti sono protetti dal proprio sistema immunitario nei confronti del virus ; altri invece, il cui sistema immunitario è fragile, sono particolarmente suscettibili a contrarre l’infezione. Il decorso delle verruche è assai poco uniforme; sono affezioni benigne anche se spesso sono difficilmente sradicabili. Sovente l’organismo che le ospita si autoimmunizza e questo accade in un periodo di tempo tra i 3 mesi e i 5 anni. In circa il 60% dei casi le verruche tendono a risolversi spontaneamente, mentre nel restate numero di casi è necessario intervenire con una specifica terapia. Esse inoltre sono altamente recidivanti e possono pertanto ripresentarsi nel tempo. Quanti tipi differenti di verruche? Si distinguono diverse forme cliniche di verruche a seconda della risposta dell’ospite, della sede di lesione e del tipo di virus infettante. Verruche volgari Sono quelle che comunemente vengono chiamate “porri”. Sono abbastanza comuni e sono tumori benigni della cute, escrescenze di varia grandezza (da 1 mm a 2 cm) con superficie rugosa, di colorito bianco-grigiastro, a volte brune e di consistenza solitamente dura. Le verruche volgari si possono localizzare ovunque, ma la loro sede preferenziale è il dorso delle mani, soprattutto in regione periungueale (intorno all’unghia). Possono essere singole o riunite a grappolo; solitamente 44

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asintomatiche, tranne quando hanno sede plantare dove procano dolore in quanto essa è soggetta a compressione. Verruche plantari Si definiscono così le verruche che si sviluppano sulla pianta dei piedi, dove, per effetto della continua compressione cui sono sottoposte, tendono a svilupparsi in profondità. Sono solitamente dolorose e coperte da una callosità, al di sotto della quale la superficie delle verruche è caratterizzata da punti rossi, che sono capillari trombizzati. Esiste un particolare tipo di verruca dei piedi, molto grossa, denominata “verruca a mosaico” per il suo caratteristico aspetto. Verruche piane Sono escrescenze rotondeggianti o poligonali, piccole, delle dimensioni di 1-5 mm. La superficie è liscia e rugosa, di colorito roseo, marroncino. Ne sono colpiti soggetti di giovane età. Spesso si tratta di bambini che sono emotivamente provati o stressati. Le lesioni sono di solito molto numerose con distribuzione sparsa o raggruppata e le sedi preferenziali sono il volto, il collo, il dorso. Solitamente non provocano alcuna sintomatologia, sono molto resistenti al trattamento, ma possono anche regredire spontaneamente. Condilomi acuminati I condilomi sono verruche che compaiono in sede genitale; si manifestano come papule rosee che aumentano più o meno rapidamente di numero e di dimensioni, fino a raggiungere talvolta dimensioni notevoli. Crescendo, queste verruche si raggruppano e si fondono in masse “a cavolfiore” o” a cresta di gallo” come vengno comunemente denominate. Si localizzano in qualunque parte dei genitali maschili o femminili, con spiccata predilezione per le mucose. Quale terapia La terapia specifica più semplice si avvale dell’utilizzo di sostanze chimiche da applicare direttamente sulle verruche per eradicarle. Le molecole più importanti sono l’acido salicilico e l’acido lattico. Queste sostanze sono preenti in soluzione o in pomate o incorporate in piccoli dischi di idrogel a rilascio controllato. CHIRURGIA GENERALE • DERMATOLOGIA

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Il trattamento deve essere effettuato tutte le sere. Tali sostanze hanno la capacità di distruggere la verruca, ma non essendo selettive, possono danneggiare anche la cute sana limitrofa alla verruca. Questo tipo di terapia può essere applicata al proprio domicilio ed è proponibile nelle fasi iniziali della cura. Anticamente veniva utilizzato il latte delle foglie di fico o la schiuma delle lumache, entrambe sostanze acide, che venivano applicate direttamente sulla lesione. Un’altra terapia più aggressiva ne prevede la bruciatura tramite l’utilizzo dell’ elettrocoagulazione o della crioterapia. La prima, provoca la necrosi dei tessuti e può creare una brutta cicatrice. La crioterapia utilizza invece l’azoto compresso a temperatura di meno 150°. Quest’ultima terapia è facile da eseguire, non dà cicatrici perché non distrugge i tessuti sani, non serve anestesia e causa solo un bruciore all’atto del congelamento della verruca. Il principio della terapia si basa sul concetto che il freddo provoca la morte delle cellule che contengono il virus. È tuttavia necessario sottoporsi a numerose sedute di terapia ed è sconsigliabile ricorrere a tale terapia d’estate per il rischio di macchie della pelle. Una terapia molto efficace per la distruzione delle verruche è l’utilizzo del LASER CO2. Questa metodica utilizza la luce del laser per distruggere selettivamente le cellule infettate dal virus, rispettando la cute sana in tutta la zona circostante alla verruca. Necessita di una modesta anestesia locale ma non causa alcun dolore post-operatorio nè limitazione funzionale alcuna. La gestione dell’immediato post-operatorio e dei giorni successivi negli interventi con il laser è decisamente più agevole e libera da fastidiosi impedimenti allo svolgimento delle normali ed abituali consuetudini di vita. Tale strumento deve tuttavia essere utilizzato da mani esperte perchè può, se non utilizzato correttamente, lasciare macchie antiestetiche marcate. Articolo redatto da: Dr. Alessandro Finadri - Specialista in Chirurgia Generale Casa di Cura San Clemente Mantova

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PEDICULOSI E PTIRIASI I pidocchi sono artropodi, vale a dire organismi invertebrati (privi di colonna vertebrale) dotati di esoscheletro1 duro e articolato, che fanno parte della classe degli insetti e che parassitano2 l’uomo da sempre senza distinzione di razza. Le origini della pediculosi (infezione dell’uomo da parte del pidocchio) risale a tempi davvero lontani basti pensare che, secondo studi scientifici, la differenziazione tra pidocchio della testa e del corpo risale a circa 70.000 anni fa. Due generi di pidocchi infestano l’uomo: Pediculus humanus e Phthirius pubis. Il Pediculus humanus si differenzia in due specie: P. humanus capitis (agente della pediculosi della testa) e P. humanus corporis (con tropismo per i peli lunughi -peluria- del corpo). Il Phthirius pubis (vive sui peli del pube talora in altre sedi pelose) è chiamato comunemente con il termine di “piattola”. Il pidocchio della testa può solo occasionalmente essere trovato sul corpo ma quello del corpo raramente si riscontra sulla testa. La piattola può migrare dal pube in altre sedi del corpo quali torace, ascelle e cosce. Nei bambini una sede molto frequente è anche quella palpebrale dove i parassiti sono presenti in scarso numero. Tutti i pidocchi si nutrono del sangue dell’ospite direttamente da un vaso sanguigno che raggiungono attraverso un particolare apparato buccale dotato di stiletto. Hanno scarsa resistenza a temperature inferiori a quella cutanea ed in ogni caso gli indumenti non indossati per 10 giorni portano alla morte i parassiti. Pediculosi della testa Epidemiologia ed incidenza La pediculosi del capo è la ectoparassitosi (pediculosi) più frequente. Il pidocchio si trasmette per contatto diretto mediante l’uso di cappelli, spazzole e pettini. Esso passa direttamente da una testa all’altra o anche attraverso il contatto con cuscini, poltrone ecc. Le uova possono trasmettersi con la caduta di capelli infestati. In Italia è stato osservato un incremento di pediculosi nei bambini che frequentano le comunità scolastiche in quanto focolai epidemici naturali. Il numero di casi osservati è passato da 3.500 del 1990 a 5.000 del 2000.Capelli lunghi, fini, biondi e scarsa igiene sono l’habitat preferito dai CHIRURGIA GENERALE • DERMATOLOGIA

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pidocchi. Anche la carenza di presidi medici tra le classi socio-economiche più disagiate in aree endemiche favorisce la cronicizzazione dell’infestazione ed aumenta la probabilità di contagio con i movimenti migratori. Eziologia (storia) Il Pediculus humanus capitis è un ectoparassita (cioè vive sulla superficie del corpo ospite) obbligato e permanente, a metamorfosi (cambiamento) incompleta (il suo sviluppo comprende solo tre stadi ninfali), monoxeno (può completare il suo ciclo biologico solo su una specie di ospite), ematofago3. La femmina è lunga 3-4 mm mentre il maschio è più piccolo; ha una forma grossolanamente ovoidale è appiattito dorso-ventralmente e possiede 3 paia di zampe. Il colore varia dal bianco-grigiastro al marrone a seconda del colore della pelle della popolazione umana di cui abitualmente è parassita. Le sei zampe di cui è dotato terminano con un’unghia apicale a forma di uncino con la quale si aggrappa saldamente ai capelli. Gli occhi, praticamente inutilizzati, sono piccoli e sporgenti. L’apparato buccale si è trasformato filogeneticamente diventando perfettamente idoneo alla suzione (succhiare) e consiste in un rostro pungente e retrattile protetto da una guaina. È munito di dentini mobili. All’atto del morso il pidocchio inietta, con la saliva, una sostanza anticoagulante che facilita la suzione, quindi estroflette i denti in modo da fissare bene il rostro (becco) alla pelle in quanto la “poppata” è abbastanza lunga: 2-3 ore consecutive. La femmina depone 7-10 uova ogni giorno, durante l’arco di esistenza di circa un mese. Le uova che sono ovali e ricoperte da capsule bianche (lendini), si schiudono dopo una settimana circa. Le larve, più correttamente chiamate ninfe, somigliano a piccoli pidocchi adulti. Esse subiscono tre stadi di sviluppo per un periodo di 8-9 giorni prima di raggiungere la maturità. I pidocchi e le uova sono più numerosi nella regione occipitale e retro auricolare (dietro orecchie). Manifestazioni cliniche Gli aspetti clinici delle pediculosi sono variabili. Il quadro è generalmente dominato dalla presenza di numerose lendini4 sui capelli e da escoriazioni da grattamento, talora impetiginizzate (infettate da batteri) o ricoperte da croste. I pidocchi sono spesso difficilmente evidenziabili soprattutto se in numero esiguo. Il prurito, a volte intenso, dipende dalla risposta immunitaria verso gli antigeni contenuti nella saliva del pidocchio e dalla soglia di percezione 48

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dell’ospite. Raramente esso è completamente assente e, di solito, è intenso nella regione occipitale, dove l’infestazione è più diffusa. Il grattamento facilita infezioni batteriche secondarie, che conducono alla formazione di croste. Nei casi di infestazione cronica grave il bambino può divenire pallido, anemico, svogliato e febbrile.

Diagnosi Importante per la diagnosi è la presenza di uova capsulate (lendini) di forma ovale, tenacemente fisse al fusto del capello. Possono essere facilmente confuse con le pseudolendini, si distinguono in quanto queste ultime si sfilano liberamente lungo il capello. Con una lente d’ingrandimento si riconosce facilmente l’aspetto caratteristico delle uova piriformi. Ancora più facile è la loro individuazione con la luce di Wood (luce ultravioletta), consigliata soprattutto negli screening di massa. Le lendini appaiono di colore giallo brillante. La “parassitofobia” è una spiacevole conseguenza della malattia che si verifica in una minoranza di pazienti. Il delirio di parassitosi (sindrome di Ekbom) è una vera e propria sindrome psicosomatica descritta solo in donne di oltre 60 anni. Vanno differenziate dalla pediculosi anche le forme di eczema e di dermatite seborroica del capillizio. CHIRURGIA GENERALE • DERMATOLOGIA

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Terapia Se è presente una grave infezione secondaria, soprattutto con adenite (infiammazione ghiandole linfatiche) o tossiemia (avvelenamento del sangue), si deve somministrare terapia antibiotica per via sistemica (nel sangue). Se i capelli sono inestricabili, è meglio tagliarli. Nella maggior parte dei casi, comunque, è sufficiente il trattamento locale con antiparassitari. Il piretro è uno dei più antichi insetticidi di origine organica in uso al mondo. È estratto dal fiore di piretro. Quello più pregiato proviene dalla Dalmazia ed è specifico nei confronti del pidocchio verso il quale è quattro volte più potente del DDT. Il fiore del piretro Chrisanternun cinerariaefoliuin è simile alla margherita, ma contiene nella sua essenza la più letale delle sostanze insetticide. Il piretro non è tossico per l’uomo e per questo è stato impiegato come antielmintico (farmaco che ha proprietà di uccidere vermi) per via orale (assunto per bocca). Il DDT è un altro potente insetticida di cui è nota l’attività tossica residua per cui può permanere a lungo e resistere a molteplici lavaggi. Per tali motivi ne è stato raccomandato dall’OMS un uso oculato in campo medico. Lo zolfo è una sostanza attiva impiegata sin dall’antichità (già i medici babilonesi ne facevano uso per curare le micosi). A contatto con la cute lo zolfo sviluppa idrogeno solforato portando a morte i parassiti. Negli USA uno dei prodotti più largamente utilizzato è lo shampoo di lindano (esacloruro di gammabenzene). Questo è irritante per la pelle, le mucose e gli occhi, e può determinare dermatiti se impiegato in eccesso. Sono state osservate crisi convulsive a seguito di trattamento prolungato in bambini molto piccoli che potevano anche aver ingerito il farmaco. La piretrina associata a piperonil butossido è notevolmente meno tossica del lindano nelle sperimentazioni su animali. Essa è tuttavia irritante per le mucose e per gli occhi e sono segnalate reazioni allergiche. Attualmente si impiegano la permetrina e i piretroidi di sintesi. Pediculosi del corpo Epidemiologia L’infestazione è attualmente poco comune nelle aree civilizzate, tuttavia esistono focolai endemici in zone con condizioni igieniche ancora carenti. Eziologia e manifestazioni cliniche L’agente è il Pediculus humanus (o corporis) che vive sui peli lanugo 50

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del corpo e soprattutto lungo le cuciture e negli anfratti degli indumenti intimi; di qui il pidocchio si reca sulla cute per il pasto provocando piccole lesioni puntiformi, papulose, ricoperte da crosticine ematiche (contenenti sangue) e spesso soggette ad impetiginizzazione (pustole superficiali, spesso sono croste giallastre). Anche le lendini sono reperibili nelle stesse sedi frequentate dal pidocchio. Le aree più colpite sono i pilastri ascellari anteriori e il dorso. Nelle infestazioni croniche estese è caratteristica una melanodermia5 diffusa dovuta al continuo grattamento provocato dal notevole prurito (“malattia dei vagabondi”). Terapia La terapia è la stessa delle pediculosi del capo e del corpo. Pediculosi del pube e delle palpebre Eziologia La pediculosi del pube o ftiriasi pubis interessa i peli pubici da parte dello Phthirius pubis, pidocchio appiattito a forma di granchio. È una parassitosi a prevalente trasmissione sessuale. Solo l’ 1% dei casi di pediculosi del capo è provocato dallo P. pubis. I pidocchi del pube stanno avvinghiati ai peli terminali, prevalentemente al pube ma, soprattutto nei maschi molto pelosi, migrano lungo la linea alba fino ai peli del torace, alle ascelle. La femmina si accoppia solo una volta e rimane fertile per tutta la vita; depone uova, ovalari e brunicce, saldandole al fusto del pelo in sede prossimale. La nascita delle ninfe, quasi trasparenti, avviene dopo 6-9 giorni, lasciando le lendini biancastre e opache. I pidocchi lontani dall’ospite non sopravvivono più di 48 ore. Nel bambino, che non possiede peli terminali al pube, al corpo e alle ascelle, lo P. pubis si localizza frequentemente alle ciglia (pediculosi palpebrale); i pidocchi, difficilmente evidenziabili, sono abbarbicati, lungo il bordo palpebrale, ai peli ciliari. Hanno l’aspetto di granellini giallastri e vengono confusi con le squame della dermatite seborroica. Manifestazioni cliniche L’infestazione cronica è raramente associata alla presenza delle cosiddette “macule cerulee”, macchie lenticolari grigio-azzurrognole asintomatiche nelle sedi di puntura o viciniori (addome, cosce). Terapia La terapia è la stessa delle pediculosi del capo e del corpo. Nella infestazione palpebrale è attiva la pomata al precipitato giallo di mercurio all’1%. CHIRURGIA GENERALE • DERMATOLOGIA

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ALCUNE RISPOSTE… Si infettano solo i bambini? No, anche gli adulti soprattutto le mamme più che i padri per un contatto più stretto con il bambino. Possono venire anche ai bambini con i capelli corti? Sì. Come mi accorgo che il bambino ha preso i pidocchi? Come detto il primo sintomo riferito è il prurito conseguente alla puntura del pidocchio stesso. Quindi dopo aver ispezionato il cuoio capelluto è facile riconoscere le lendini (uova) attaccate ai capelli. Ci sono zone preferite dai pidocchi della testa? Sì, la zona temporale, occipitale e quella dietro le orecchie. Da dove vengono i pidocchi? Dal contatto diretto con la testa o il corpo di un altro bambino infettato, per cui è sempre necessario denunciare il contagio in quanto l’isolamento di un eventuale comunità (asilo, classe, scuola, anziani) permette la sconfitta immediata della fonte di contagio. Cosa si deve fare quando si scopre il contagio? L’infestazione da pidocchi colpisce i peli ed i capelli ma anche gli oggetti che ne vengono a contatto quali pettini e spazzolini per cui anch’essi devono essere attentamente puliti. Gli indumenti, la biancheria, gli asciugamani, vanno lavati in lavatrice a 60°. Per i peluche è indispensabile isolarli per almeno 4 settimane in buste sigillate in modo tale da far morire il parassita. Quante volte bisogna lavare i capelli? È sufficiente un trattamento alla settimana ripetuto per 2 settimane per la maggior parte dei prodotti in commercio. Articolo redatto da: Dr. Pierpaolo Pavanello Specialista in Dermatologia

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Esoscheletro: scheletro esterno formato da sostanze chitinose (composto organico) Parassitare: invadere un organismo animale o vegetale traendo da questo i mezzi per la sopravvivenza Ematofago: insetto che si nutre di sangue Lendine: uova di pidocchio Melanodermia: pigmentazione scura della cute dovuta ad un accumulo di melanina CHIRURGIA GENERALE • DERMATOLOGIA

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L’APPENDICITE ACUTA IN ETÀ PEDIATRICA: SEGNI E SINTOMI L’appendice cecale (o vermiforme) è un piccolo ed esile prolungamento intestinale, che si diparte dal tratto iniziale dell’intestino crasso. Esso, lungo circa dieci centimetri per un diametro medio di 6 mm, grazie ad una ricca componente di tessuto linfatico, pare che nell’uomo possa assolvere al ruolo di sorveglianza immunitaria. L’infiammazione dell’appendice -appendicite- ha una netta prevalenza nell’infanzia, nell’adolescenza e nella prima età adulta, anche se ciò non la esenta dal creare grossi problemi a tutte le età. In particolare, in età pediatrica, l’appendicite acuta sta in rapporto diretto con l’età del bambino, essendo certamente rara nel lattante e via via più frequente man mano che si cresce con l’età. L’appendicite acuta è una malattia piuttosto comune, che interessa annualmente circa lo 0,2% della popolazione pediatrica. Si calcola che, nel corso della vita, circa il 14% della popolazione si ammala di appendicite acuta. Essa è maggiormente diffusa nei Paesi occidentali e industrializzati, probabilmente a causa del pessimo binomio tra sedentarietà e dieta squilibrata: infatti é probabile che il rallentamento del transito intestinale dovuto a diete a basso residuo e a basso contenuto di cellulosa (povere di alimenti quali ad esempio: frutta, fibre, verdura), proprie dell’Occidente, provochi un mutamento della flora batterica. Quest’ultimo fattore, associato alla stasi prolungata (stitichezza), aumenta la possibilità di sovrainfezione batterica e conseguente infezione. In Africa e in Asia questa patologia è poco comune, probabilmente per le diete ad alto residuo proprie di tali regioni. L’appendicite acuta è la causa più comune di urgenza chirurgica nell’età pediatrica e l’asportazione dell’appendice cecale (appendicectomia) è uno degli interventi chirurgici più comuni tra i 6 e i 20 anni! CIECO

Colon Cieco prima parte dell’intestino crasso Intestino tenue

Retto Appendice infiammata

Appendice infiammata CHIRURGIA GENERALE • DERMATOLOGIA

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Alla luce di queste premesse analizziamo e cerchiamo si saperne di più! Che cos’è l’appendicite acuta? L’appendicite acuta è una irritazione, infiammazione (con possibile infezione) della appendice vermiforme. Essa si rende evidente quando l’interno dell’organo viene riempito da qualche cosa che ne causi il rigonfiamento, come ad esempio muco, feci o parassiti. Il ristagno di questi materiali provoca prima un danno locale (a. catarrale) poi la virulentazione dei germi presenti all’interno dell’appendice determina una infezione secondaria con un possibile processo suppurativo (a. flemmonosa). Se il processo evolve si giunge ad una fase gangrenosa (a. gangrenosa) e quindi alla possibile rottura o perforazione dell’appendice che determina la contaminazione della cavità addominale da parte di materiale francamente infetto -feci- (peritonite). La peritonite generalizzata è la complicanza più grave dell’appendicite e, se non trattata in tempo, può addirittura condurre al decesso. Quali sono le caratteristiche particolari dell’appendicite acuta nei bambini? L’appendicite acuta si presenta con lieve maggior frequenza nel sesso maschile e si valuta che vengano eseguite all’incirca quattro asportazioni chirurgiche ogni mille bambini al di sotto dei 14 anni di età. La sintomatologia può essere differente da paziente a paziente e molto può dipendere dall’età, dalla posizione dell’appendice, dall’evoluzione e dal grado dell’infiammazione. Quanto più i bambini sono piccoli tanto più facilmente ci si può trovare di fronte a una appendicite già perforata (peritonite) a causa di alcuni fattori anatomici (per esempio impianto largo della base appendicolare e alla difficoltà che hanno i bambini in questa età a riferire con precisione la sintomatologia soggettiva. Qual’é il sintomo più comune dell’appendicite? Il dolore addominale (“mamma ho il mal di pancia!”) nei bambini è uno dei sintomi più comuni e più vaghi e può indicare numerose condizioni cliniche. Molto spesso la sua interpretazione può essere difficile e non soltanto da parte dei genitori ma anche da parte degli stessi medici (l’appendicite può trarre in inganno anche il più ferrato dei chirurghi e in diversi casi si operano, ancora adesso, delle appendici “innocenti”). Dal punto di vista dei genitori a volte il sintomo viene sottovalutato (con la conseguenza che una banale appendicite 54

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possa evolvere verso forme più gravi), ma, per fortuna, molto più spesso viene enfatizzato al punto tale da portare il bambino al pronto soccorso al minimo sintomo. In effetti, quando il bambino ha il “mal di pancia”, la situazione più frequente è che si tratti di un disturbo che non richieda nessuna cura e tanto meno l’intervento chirurgico. Il dolore addominale è provocato soprattutto da due situazioni: da disturbi psicologici, per esempio la gelosia, la tensione emotiva, la “paura della scuola” oppure da un’alterazione della funzionalità dell’intestino, per esempio la stipsi, o al contrario la diarrea o una cattiva alimentazione, soprattutto quando il bambino mangia poca frutta o verdura. Pertanto, è fondamentale che i genitori possano sospettare, in mezzo a tante forme lievi e innocue, quelle più serie che sono meno frequenti, ma che richiedono una visita urgente del medico. Ecco quindi qualche consiglio: a) tipicamente nell’appendicite acuta il dolore nasce nell’area circostante l’ombelico e quindi spostarsi a livello del quadrante inferiore destro dell’addome ovvero nasce e persiste direttamente in tale zona (peggiora con il movimento, con i respiri profondi, con la palpazione, la tosse o lo starnutire); il dolore può interessare tutto l’addome nel caso di rottura dell’appendice (perforazione peritonite); b) prestiamo attenzione alla durata del dolore e alla posizione del bambino. La durata: il dolore generalmente è innocuo quando dura meno di trenta minuti di seguito. Nessun problema nemmeno se ritorna, anche se è intenso, purché sia sempre intermittente, per cui si alternino periodi di presenza del dolore (però mai di durata superiore a trenta minuti) ad altri di benessere. La posizione del bambino: Contrariamente a quanto si possa pensare il dolore non è grave quando il piccolo paziente si contorce. Quando l’appendice è infiammata, (o comunque una componente interna dell’addome), il bambino tende a stare fermo, anzi più immobile possibile, perché come si muove il dolore gli aumenta: infatti la struttura infiammata tocca le pareti dell’addome evocando il dolore. Proprio questa osservazione è importante per distinguere con sicurezza se il bambino ha o meno l’appendicite. Ancora un consiglio: quando il bambino ha il “mal di pancia” fategli fare un salto, anche solo di pochi centimetri: se riesce a farlo senza eccessiva difficoltà né accusare dolore, il bambino con molta probabilità non ha l’appendicite; se invece si contorce, grida, tiene le mani sull’addome oppure si mette a piangere, fatelo visitare dal medico con urgenza o portatelo all’ospedale (potrebbe avere l’appendicite!). CHIRURGIA GENERALE • DERMATOLOGIA

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Quali sono gli altri sintomi dell’appendicite acuta? Non di rado, la sintomatologia comprende anche disturbi gastrointestinali, che risentono tuttavia di un maggiore grado di variabilità individuale. Tra questi: nausea e vomito; perdita dell’appetito; febbre anche non molto alta (37,2 - 38°C) nelle forme iniziali non complicate da peritonite e malessere generale; modificazioni nel comportamento; stipsi (stitichezza) o diarrea. Quando è necessario consultare il chirurgo? Ogni qual volta si ha anche il solo sospetto che un dolore addominale possa essere causato da un’appendicite. Nel caso in cui venga sospettata tale patologia è consigliabile non somministrare né liquidi né solidi in modo da preparare il bimbo ad un eventuale intervento ove necessario. E sconsigliabile inoltre far ingerire, in maniera arbitraria, farmaci antispastici (i quali eliminerebbero il dolore che è sempre un segno importante e decisivo alla visita medica) e apporre una borsa calda sull’addome, che potrebbe addirittura aggravare la situazione. Come si fa diagnosi di appendicite acuta? Ancora oggi, nonostante gli enormi progressi nella diagnostica per immagini, la diagnosi di appendicite è ancora sostanzialmente clinica e come tale basata sulla ricerca e sulla valutazione dei sintomi riportati dal paziente (anamnesi) o esacerbati da specifiche manovre mediche (esame obiettivo). La palpazione dall’esterno e la valutazione della dolorabilità anche in sede interna (attraverso l’esplorazione rettale), rappresentano strumenti preziosi che aiutano il medico a formulare la diagnosi. Dal momento che l’appendicite si accompagna generalmente ad un significativo incremento del numero di globuli bianchi presenti nel sangue (leucocitosi) e ad un aumento della PCR (Proteina C Reattiva), gli esami ematochimici possono costituire un ulteriore conferma diagnostica. Occorre comunque ricordare che tali segni sono aspecifici, poiché comuni a diverse malattie infiammatorie, e come tali non possono rimpiazzare la valutazione clinica del chirurgo. Il rischio di confondere l’appendicite acuta con forme patologiche atipiche è infatti piuttosto elevato. L’ecografia addominale** è l’esame strumentale accreditato del maggior grado di accuratezza diagnostica (30% nella diagnosi di appendiciti acute catarrali, 100% nella diagnosi di a. acute gangrenose), inoltre richiede 56

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tempi ragionevolmente brevi e non comporta esposizione a radiazioni ionizzanti per cui spesso quest’esame fornisce utili informazioni. La diagnosi di appendicite, di qualunque strumento essa si avvalga, deve comunque essere precoce, in modo da evitare il pericolo di complicanze che in alcuni casi (peritonite) possono rivelarsi addirittura mortali (nei bambini, il rischio di morte può raggiungere anche il 5%). Ancora oggi il rischio di complicanze, anche molto serie, è alto nei bambini con meno di 10 anni d’età, al punto che un bambino su 2 a 5 anni rischia la perforazione. In generale la complicazione più temibile, ovvero, la perforazione dell’appendice, avviene entro 24 ore, (70% nei bambini sotto i 2 anni e del 50% quelli di circa 5 anni) in certi casi, soprattutto nei bambini più piccoli, anche nelle prime 12 ore, dai primi sintomi. Da qui si evince che la tempestività della diagnosi e della cura risulta quanto mai fondamentale. Insomma, il consiglio è sempre quello di non fare mai autodiagnosi di un’appendicite, ma di affidarsi, sempre, ad una accurata visita medica. Inoltre è assolutamente sconsigliato far assumere farmaci, senza prima aver consultato un medico, nel tentativo di curare la malattia o, ancor peggio, mitigare il dolore; il rischio è quello di mascherare i sintomi di un’appendicite, ritardandone la cura, il che è molto, molto, pericoloso! Come si cura? Il trattamento di scelta è quello chirurgico (appendicectomia). L’indicazione verrà data dal chirurgo tenendo conto di una serie di fattori tra i quali l’estensione della malattia, l’età del bambino, la situazione clinica generale, la storia medica, la tolleranza del bambino a determinate procedure o terapie. Gli antibiotici non sono utili nel trattamento dell’appendicite acuta che rimane esclusivamente chirurgico. L’uso dell’antibiotico nel tentativo di evitare o ritardare l’intervento non è corretto. Non bisogna infatti dimenticare che all’origine di una appendicite c’è una ostruzione del suo lume e che l’invasione batterica è secondaria. Gli antibiotici sono utili soprattutto per tenere sotto controllo l’infezione locale e generalizzata e per ridurre l’incidenza postoperatoria di infezione della ferita che rappresenta la complicanza più frequente dopo l’intervento. Inoltre il solo trattamento medico (“raffreddare” l’appendicite con antibiotici e borsa di ghiaccio) espone al rischio di recidiva, in forma spesso anche più virulenta. CHIRURGIA GENERALE • DERMATOLOGIA

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Come avviene il trattamento chirurgico? In anestesia generale si esegue una incisione a livello del quadrante inferiore destro dell’addome. Il chirurgo localizza l’appendice e la rimuove. Nel caso in cui sia presente una forma più avanzata di infiammazione (a. flemmonosa, gangrenosa, perforazione), viene lasciato un piccolo drenaggio nella cavità addominale onde consentire al pus o agli altri fluidi di essere eliminati all’esterno. Tale drenaggio viene rimosso dopo pochi giorni, quando cioè vi sia la sicurezza che non esiste più pericolo di una infezione addominale. Immediatamente dopo il trattamento chirurgico al bambino non viene consentito di bere o mangiare per un periodo di tempo che varia da caso a caso (normalmente dalle 24 alle 72 ore) e pertanto il paziente viene sottoposto ad una terapia reidratante per via endovenosa associata o meno ad una terapia antibiotica di protezione. Passato questo periodo, e dopo la canalizzazione intestinale, al paziente viene consentita prima una dieta idrica e poi solida. Per un paziente trattato per una peritonite i tempi di ripresa possono essere un pò più lunghi e quindi rimanere in ospedale per qualche giorno in più rispetto a quelli operati per una appendicite acuta in fase iniziale (mediamente 7-10 giorni). Casi selezionati possono giovare di un intervento in videochirurgia (laparoscopia) che alcune volte presenta alcuni vantaggi rispetto all’intervento tradizionale. Tuttavia nonostante i vantaggi, l’appendicectomia laparoscopica non si è imposta come intervento di routine cosi come la colecistectomia laparoscopica. La percentuale di complicanze nelle appendiciti acute non perforate è mediamente del 5% e sale al 30% se l’appendicite è gangrenosa o se era presente una peritonite. La causa più importante di morbilità post-operatoria è l’infezione della ferita. E quando il bambino lascerà l’ospedale? È consigliabile che le attività abituali ricomincino in maniera prudente e graduale facendo in modo che lo sport non riprenda prima di 4 o 5 settimane dopo l’intervento e che si eviti di fare effettuare il bagno o la doccia prima che la ferita si sia cicatrizzata definitivamente. In alcuni casi potrà essere necessario continuare la terapia antibiotica ovvero eseguire delle medicazioni che normalmente non sono dolorose. Nel caso in cui nel post operatorio compaia una difficoltà ad evacua58

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re causata in parte dall’intervento, in parte dal necessario allettamento del paziente e dal digiuno, potrà essere utile, temporaneamente, aumentare la quantità di cereali e vegetali introdotti quotidianamente nella dieta. Infine, si può fare della prevenzione? Considerato che nel 35% dei casi l’appendicite insorge a causa di coproliti (feci dure) che si accumulano in sede appendicolare una dieta ricca di fibre riduce il rischio di appendicite. Tale affermazione trova un ulteriore conferma nella maggiore incidenza della malattia nei Paesi Industrializzati, in cui la sedentarietà si somma ad una dieta raffinata e povera di scorie che, oltre a rallentare la velocità di transito intestinale, provoca un mutamento negativo della flora batterica. Articolo redatto da: Dr. Ernesto La Terza Specialista in Chirurgia Generale e Toracica Resposabile Unità Operativa di Chirurgia Ospedale Oglio Po

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Chirurgia Maxillo - Facciale Odontoiatria Ortodonzia

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ORTODONZIA E PREVENZIONE L’ ortodonzia è la branca della odontoiatria che si occupa della prevenzione e del trattamento delle anomalie di sviluppo e di posizione dei denti nonché delle strutture scheletriche che sostengono i denti stessi, e cioè il mascellare per l’arcata superiore, e la mandibola per l’inferiore. I fattori che portano ad una malocclusione sono molteplici; possiamo, in modo schematico, dividerli in due grandi gruppi principali: Fattori ereditari (trasmessi dal patrimonio genetico dei genitori) • affollamento dentario; • diastemi interdentali (spazi tra i singoli denti); • denti soprannumerari; • agenesie (mancanza di uno o più elementi dentari); • crescita ossea mascellare e/o mandibolare in eccesso o in difetto. Fattori ambientali • abitudini viziate (ad es. il succhiamento del pollice); • respirazione orale per difficoltà legate ad ostruzioni, allergie, ...; • deglutizione “infantile”, con interposizione della lingua tra i denti; • perdita prematura di denti decidui o permanenti, per carie o traumi. Vi sono poi casi, decisamente rari, di malocclusioni che sono espressione di sindromi malformative di origine genetica oppure legate ad embriopatie. I principali obiettivi del trattamento ortodontico nel bambino consistono in: ✓ una corretta crescita dello scheletro facciale; ✓ un corretto allineamento dei denti; ✓ una corretta funzione masticatoria; ✓ una buona estetica. La necessità di intervento ortodontico varia a seconda dell’età del bambino e del suo sviluppo. Per questo motivo è importante una prima visita precoce: anche in questo campo si può affermare che prevenire è certamente meglio che curare. Una visita precoce permetterà di valutare se esiste armonia tra le varie componenti del complesso cranio-facciale, oppure se sono individuabili disarmonie a livello dentale o a livello scheletrico, così come disfunzioni o parafunzioni muscolari. Le situazioni in cui è certamente consigliabile sottoporre il bambino ad una visita ortodontica sono fondamentalmente queste: CHIRURGIA MAXILLO-FACCIALE • ODONTOIATRIA • ORTODONZIA

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✓ malposizioni evidenti di uno o più denti; ✓ affollamento ✓ perdita precoce dei denti decidui ✓ perdita tardiva dei denti decidui ✓ problemi respiratori ✓ abitudini viziate (ad es.: succhiamento del dito) ✓ deviazioni nella chiusura mandibolare ✓ disarmonia facciale ✓ difficoltà nel parlare. L’esecuzione di un corretto piano di trattamento individuale, mediante elementi di diagnosi associati, permetterà di orientare la terapia nella direzione più corretta. Potremo avere infatti un intervento di tipo ortodontico in senso stretto (spostamenti dentali), di tipo ortopedico (correzioni della crescita ossea), o ortodontico/ortopedico (cioè con modificazioni di entrambi i tipi). Solo in casi determinati, e fortunatamente non frequenti, ci si indirizzerà verso un trattamento ortodontico/chirurgico. Un aspetto molto importante è valutare il momento più indicato per iniziare un trattamento, poiché le possibilità di intervento sono strettamente correlate con l’età. Infatti eventuali correzioni sono legate a determinati periodi della crescita, e diventano molto più difficili (o addirittura impossibili) alla fine dello sviluppo del paziente. Non dobbiamo mai dimenticare che i denti rappresentano un singolo aspetto di una struttura decisamente complessa, l’apparato stomatognatico (cioè della cavità orale e annessi), che comprende anche componenti ossee, muscolari e nervose. Quindi una buona fase diagnostica permette di programmare il trattamento in modo corretto. I trattamenti eseguiti in epoca di dentatura mista (quando la permuta dentaria non si è ancora completata), ci portano spesso a terminare questa fase della terapia in una situazione non ancora definitiva. Pertanto potranno essere necessari ulteriori interventi quando si sarà completata la maturazione dei denti permanenti. Pertanto in molti casi (ma non in tutti) la terapia ortodontica si può dividere in due fasi: una fase, cosiddetta “intercettiva”, in cui si cerca di correggere le disarmonie, sia di carattere dentale che di origine scheletrica 64

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che, se non modificate durante il periodo di crescita, possono creare ulteriori problemi, di difficile o impossibile correzione con la sola apparecchiatura ortodontica a fine crescita; una seconda fase che inizia quando sono erotti i denti permanenti, e permette di dare rapporti corretti tra le due arcate ed un buon allineamento. Terminata la fase intercettiva, il paziente verrà controllato periodicamente per valutare che lo sviluppo e la permuta dentaria procedano correttamente. Naturalmente è possibile che sia necessaria solo una fase intercettiva oppure solo una fase in dentatura definitiva. Articolo redatto da: Dr. Giampaolo Sabbioni Specialista in Odontoiatria - Ortodonzia

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PREVENZIONE ORALE L’odontoiatria moderna, come tutta la medicina, si fonde sull’assioma che “prevenire sia meglio che curare”. Per effettuare una corretta prevenzione delle più importanti malattie del cavo orale è necessario conoscere le cause che la determinano: sarà più facile allora agire con la necessaria decisione per contrastarle. È nostro parere che il paziente debba recitare un ruolo attivo nel perseguire l’obiettivo “salute orale” e che il medico sia il suo naturale collaboratore. Le principali malattie dei denti e dei loro tessuti di sostegno riconoscono cause ben individuate e controllabili. La carie dentaria e la par odontopatia (la piorrea, come era chiamata una volta cioè la presenza di pus negli alveoli dentari che causa espulsione dei denti) vedono la placca batterica come principale fattore responsabile; la mal occlusione, invece, è frequentemente determinata, o comunque aggravata, dall’abitudine che si protrae oltre tempo a succhiare, ad esempio il dito o il ciuccio, e dalla tendenza del bambino ad assumere atteggiamenti a bocca aperta. Tre sono i livelli di prevenzione della carie dentaria e della paraodontopatia: Il primo: la prevenzione primaria, mira al controllo delle cause per far si che la malattia non si presenti: Il secondo: la prevenzione secondaria, consiste nell’intercettare il danno precocemente, tanto da renderlo reversibile. Si attua sottoponendosi a visite periodiche dal dentista, nel corso delle quali egli potrà rilevare una gengivite iniziale, una carie nei primi stadi di sviluppo oppure un morso crociato che influenza negativamente la crescita dei mascellari e lo sviluppo della dentizione. Sottoponendosi a blande terapie e prescrizioni quando la malattia è allo stadio iniziale è possibile guarire la gengivite, arrestare la carie e far riprendere una crescita equilibrata ai denti e ai mascellari. Il terzo: la prevenzione terziaria, ovverosia l’intervento terapeutico mirato a limitare il danno ormai provocato. Quotidianamente il dentista si cimenta nella cura di carie dentarie più o meno estese e di parodontopatie. Il suo intervento, in questi casi, pur non potendo garantire la completa “restituito ad integrum” dell’organo colpito guarisce comunque la malattia in atto, arrestandone la progressione che renderebbe le cure più complesse o addirittura inefficaci. È di sicuro la prevenzione primaria quella che sta assumendo rilevanza presso la popolazione. Impedire l’insorgenza della malattia è ciò che pro66

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mette. La sua parola d’ordine è “Eliminare la placca batterica da denti e gengive”. Imparare come e quando spazzolare i denti e passare il filo interdentale preserva il nostro sorriso da malattie come carie e gengive infiammate che solo poche decine d’anni fa portavano, progredendo indisturbate, la maggior parte della popolazione alla perdita spesso totale dei denti (piorrea). È necessario altresì sottoporsi a visite periodiche dal dentista, a sedute d’igiene orale professionale mirate alla rimozione del tartaro che si può formare nelle zone dove è più difficile la pulizia domiciliare e maggiore il ristagno di saliva. Sempre con intento preventivo primario si può coadiuvare l’azione di pulizia con la fluoro profilassi. L’assunzione di fluoro nell’età di formazione delle corone dei denti permanenti fa costituire uno smalto più resistente all’azione demineralizzante degli acidi prodotti dai batteri della placca. Oppure si possono proteggere le aree dentali dove la placca batterica tende più facilmente ad infiltrarsi e rimanere intrappolata sigillandole con appositi prodotti. Oggi è possibile raggiungere obbiettivi di prevenzione e mantenimento della propria salute orale immaginabili fino a poco tempo fa. L’odontoiatria moderna ha fatto notevoli passi in avanti in questo senso. Attuando scrupolosamente le regole codificate della prevenzione si può arrivare in età avanzata con tutti i propri denti integri, in perfetto allineamento e con un ottima salute dei tessuti che li circondano e li sostengono. L’unico impegno richiesto è... imparare le regole e metterle in pratica. IGIENE ORALE 10 REGOLE L’igiene orale domiciliare è talmente importante nella prevenzione delle malattie dei denti e delle gengive che riteniamo particolarmente utile fornire un memorandum cui attenersi per renderla efficace al massimo grado. 1. Spazzola i denti per almeno 2 minuti dopo ogni pasto. Al di sotto di questo tempo è difficile eliminare completamente la placca batterica da denti e gengive. Potresti impostare un timer all’inizio dello spazzolamento che ti aiuti a non accorciare il tempo necessario. 2. Cambia lo spazzolino spesso. Quando le setole hanno perso la loro compatezza non esercitano più un efficace azione di pulizia. Il tempo normalmente indicato è di 2 mesi ma accorciandolo un pò si aumenta la qualità dello spazzolamento. 3. Passa lo spazzolino sui denti anteriori e posteriori allo stesso modo. In genere si tende a trascurare la parte posteriore delle arcate a vantaggio CHIRURGIA MAXILLO-FACCIALE • ODONTOIATRIA • ORTODONZIA

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dei denti davanti. Se si mantiene questa cattiva abitudine a lungo i denti molari e le loro gengive ne risentiranno. 4. Utilizza un dentifricio fluorato. Il fluoro esercita un azione protettiva, antisettica e remineralizzante sullo smalto dentale. 5. Compra spazzolini con setole artificiali che hanno le punte perfettamente arrotondate. Le setole naturali hanno punte irregolari e cave, trattengono sostanze al loro interno e non hanno un azione di sfregamento ottimale come quelle artificiali. 6. Usa preferibilmente spazzolini con setole di durezza media a meno che il tuo dentista per motivi particolari, non ti consigli diversamente. 7. Effettua lo spazzolamento dei denti inclinando di 45° lo spazzolino rispetto all’asse del dente e muovilo verticalmente con azione rotatoria dalla gengiva verso il dente. 8. Spazzolando con la mano destra devi fare attenzione a non trascurare alcune zone delle arcate, ad esempio la zona interna superiore destra. 9. Quando hai finito di spazzolare i denti passa il filo interdentale e pulisci la lingua con strumenti appositi. Quest’ultima abitudine per la prevenzione di carie, parodontopatie e disturbi dell’alito (alitosi). 10. Eseguendo un corretto spazzolamento dei denti associato all’utilizzo del filo interdentale e del pulisci lingua non è necessario di routine effettuare anche sciacqui con i colluttori. Questi ultimi si rendono però indispensabili per le cura e la profilassi di condizioni particolari. GOMME DA MASTICARE SENZA ZUCCHERO Ormai è certo: le gomme da masticare senza zucchero aiutano a prevenire la carie. Ovviamente è necessario fare qualche precisazione... ma in linea generale si può dire che è così. Questo gruppo di gomme infatti non contiene zuccheri in senso stretto come il saccarosio, lo zucchero di canna, il miele, il fruttosio, ecc… I quali sono fortemente cariogeni, bensì polialcoli come il sorbitolo (si ottiene dalle bacche del sorbo), lo xilitolo (estratto dagli alberi a legno duro) e il mannitolo. Sostanze che pur avendo un potere dolcificante simile al saccarosio e agli zuccheri naturali “non piacciono” ai batteri responsabili della carie che perciò hanno meno possibilità di ridursi e di attaccare i denti. In realtà solo lo xilitolo è completamente acariogeno, il sorbitolo e il mannitolo presentano un seppur basso potere cariogeno. Uno studio finlandese ha rilevato la riduzione di carie in bambini che masticavano gomme 68

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contenenti al 100% xilitolop, rispetto a gruppi di controllo che non masticavano gomme o masticavano gomme con sorbitolo, oltre all’arresto o addirittura alla la regressione di piccolissime lesioni cariose. Con l’uso di questo dolcificante la placca batterica perde il potere acidogenico e l’adesività, caratteristiche cariogeniche che invece risultano fortemente stimolate dall’utilizzo di zuccheri naturali o raffinati. Un altro effetto positivo dell’uso di gomme senza zucchero è la secrezione, durante la loro masticazione, di una maggior quantità di saliva, la quale esercita due effetti benefici anticarie che sono un’azione di risciacquo sui residui alimentari e un calo di acidità del cavo orale per via del suo potere tampone. Questo secondo effetto provoca una diminuzione della proliferazione dei batteri responsabili della carie, favorita invece da una bassa acidità del cavo orale. Oltre a ciò la masticazione della gomma rimuove meccanicamente i residui di cibo ed accentua il naturale effetto di pulizia provocato dai movimenti di sfregamento di labbra e guance sulle corone dei denti. Riassumendo: gli effetti benefici dell’uso di gomme da masticare senza zuccheri, in particolare di quelli contenenti xilitolo sono i seguenti: 1. Azione meccanica di pulizia dei residui alimentari 2. Azione di risciacquo dei residui alimentari 3. Azione tampone sull’acidità del cavo della proliferazione batterica, in particolare dello streptococcus mutans, uno dei principali responsabili della carie dentaria 4. Perdita di adesività e del potere acido genico della placca batterica 5. Stimolazione dell’effetto di auto detersione determinato dai movimenti di labbra e guance. Considerando tutto ciò, si può dire che le gomme senza zucchero danno un valido aiuto nella prevenzione della carie dentaria, purchè si utilizzino subito dopo i pasti e per non più di mezz’ora (per evitare problemi)! Pur non potendo consigliare l’uso di gomme da masticare senza zuccheri come sostituito di un’igene orale eseguita con perizia e regolarità, si può raccomandare come un moderno, efficace e divertente mezzo di prevenzione della carie dentaria, che si aggiunge ai mezzi classici d’igene orale e di fluoro profilassi. Articolo redatto da: Dr. Gaetano Balzanelli - Dr. Raffaele De Biase Specialisti in odontoiatria CHIRURGIA MAXILLO-FACCIALE • ODONTOIATRIA • ORTODONZIA

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TRATTAMENTO ORTODONTICO Ad integrazione di quanto detto in precedenza, dobbiamo prendere in considerazione tutto ciò che si può fare in termini di prevenzione e intercettazione delle problematiche ortodontiche (ortodonzia preventiva e intercettiva) e soprattutto quando è consigliato iniziare un trattamento ortodontico (cioè che si riferisce all’ortodonzia branca che si occupa delle malformazioni mascellari e dentarie). L’ortodonzia preventiva è rivolta soprattutto a prevenire che determinate situazioni (abitudini viziate, vedi suzione del dito-succhiotto, problemi respiratori,vedi ipertrofia (aumento di volume) adenoidi-tonsille, fattori allergici, vedi riniti (**) allergiche-asma bronchiale, ecc..) (tabella 2) possano interferire con il normale sviluppo orofacciale e portare,di conseguenza,ad anomalie di tipo scheletrico e dentale (malocclusioni). L’ortodonzia intercettiva (4-7 anni d’età) si occupa invece di intercettare l’insorgenza delle malocclusioni dentali. A tal proposito è importante porre attenzione alle problematiche riguardanti: 1. diametro trasversale del mascellare superiore (palato stretto) 2. protrusione (sporge) del mascellare superiore e/o retrusione (rientra) della mandibola (Classe II) 3. protrusione e/o latero-deviazione mandibolare (Classe III) 4. presenza di morso aperto (suzione del dito, deglutizione atipica ecc.) o di morso coperto (l’arcata dentale superiore copre completamente quella inferiore). Ottima in tal senso, per i genitori, è la guida “la malocclusione e il vostro bambino” allegata. Intercettare significa quindi diagnosticare e intervenire precocemente, con l’ausilio di dispositivi ortodontici funzionali, nella correzione delle problematiche suddette. A partire dagli 8-9 anni d’età entriamo nell’ambito dell’ortodonzia tradizionale, “correttiva”, che si occupa di ripristinare, con l’utilizzo di apparecchi ortodontici, per lo più fissi, una corretta occlusione dentale nell’ambito di una crescita scheletrica favorevole. In caso contrario (crescita scheletrica sfavorevole) si renderà necessario, a fine crescita (18-20 anni) intervenire chirurgicamente sulle strutture ossee (mascellare-mandibola), non prima di aver instaurato un’adeguata e specifica terapia ortodontica cosiddetta “prechirurgica”, con lo scopo 70

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preciso di allineare i denti di entrambe le arcate (superiore e inferiore) in maniera tale che,successivamente all’intervento chirurgico, si possa avere una corretta occlusione dentale. È evidente che tale approccio ortodontico-chirurgico coinvolge diverse figure professionali di una specifica Equipe Medico-Chirurgica (Chirurgo Maxillo-Facciale, Ortodontista, Anestesista). Sia nell’ambito dell’ortodonzia “tradizionale” che di quella “prechirurgica” si rende spesso necessario l’apporto clinico e operativo del Chirurgo Maxillo-Facciale in determinate situazioni: 1. Avulsione (asportazione) di denti sovrannumerari (denti in più che possono ostacolare la normale eruzione di altri elementi dentali). 2. Avulsione di denti decidui anchilosati o ritenuti (che non permettono ai corrispettivi permanenti di erompere). 3. Disinclusione di denti permanenti ritenuti (denti che per vari motivi non riescono ad erompere spontaneamente), soprattutto canini e primi e secondi molari permanenti. 4. Germectomia dei III molari (avulsione dei germi dei denti del giudizio) e/o avulsione dei III molari in disodontiasi (non hanno spesso lo spazio necessario per erompere). 5. Frenulectomia1 labiale e/o linguale (frenulo labiale superiore e inferiore che spesso si interpone tra gli incisivi centrali superiori e inferiori creando tra di essi spazi talora considerevoli; frenulo linguale corto con relativa postura anomala della lingua nella deglutizione e nella fonetica). 6. Cisti follicolari (il follicolo è il “sacchetto” in cui è avvolto il dente permanente che deve ancora erompere in arcata). È quindi opportuno, in questi casi, che il paziente venga indirizzato per una più precisa e competente valutazione all’osservazione del Chirurgo Maxillo-Facciale. 1

Frenulo: piega mucosa o cutanea che impedisce o limita il movimento di un organo o parte di esso

Che cosa dovete osservare: N. 1 Se il vostro bambino tiene abitualmente la bocca aperta perché non riesce - o riesce con difficoltà - ad avvicinare le labbra tra di loro: osservate se i due incisivi superiori sono disposti a punta e non lungo una curva; se i denti frontali inferiori sono arretrati; se la faccia appare di forma troppo CHIRURGIA MAXILLO-FACCIALE • ODONTOIATRIA • ORTODONZIA

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allungata; se il palato è stretto; se nella parte posteriore della bocca la chiusura dei denti di sopra con quelli di sotto è al contrario Balena Il dentista può chiamarlo open-bite oppure morso aperto

Conseguenze: Il diametro trasversale dell’arcata dentale superiore è ridotto per il mancato sviluppo sia del pavimento delle fosse nasali sia del palato che risulta stretto; nella parte posteriore della bocca la chiusura dei denti di sopra con quelli di sotto è al contrario; la faccia è allungata e stretta; gli incisivi superiori non sono allineati lungo una curva, ma sono a punta; i denti frontali inferiori sono arretrati. Il bambino può avere sonnolenza di giorno, scarso rendimento sportivo e talvolta anche scolastico: il motivo è che la respirazione è ridotta di 1/3 rispetto a quella nasale per cui arriva meno ossigeno ai polmoni. N. 2 Se il vostro bambino quando sorride scopre troppo la gengiva dell’arcata superiore: osservate se i denti frontali superiori appaiono troppo lunghi, perché sono cresciuti eccessivamente verso il basso. Scimmia il dentista può chiamarlo gummy smile oppure sorriso gengivale

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Conseguenze: è compromessa tutta la masticazione - e conseguentemente la digestione e l’assimilazione dei cibi - oltre ad un’estetica gradevole del sorriso. N. 3 Se il vostro bambino ha, oppure ha avuto, l’abitudine di succhiare il pollice; se ha usato ciuccio o biberon oltre il tempo normale: osservate di profilo se i denti superiori appaiono troppo in fuori; se il labbro inferiore è in dentro/arretrato rispetto al superiore; se parlando/deglutendo la lingua è in mezzo ai denti o il mento è contratto. Castoro il dentista può chiamarlo over-jet oppure morso in avanti

N. 4 Se quando il vostro bambino sorride, non riuscite a vedere i suoi denti di sotto: osservate se di profilo se il labbro inferiore non si riesce a vedere; se il mento è piccolo e sfuggente; se la parte inferiore della faccia appare troppo corta rispetto alla superiore. Coniglietto Il dentista può chiamarlo over-bite oppure morso coperto

Conseguenze: si sviluppa soltanto l’arcata superiore, perché gli incisivi superiori formano come una barriera, l’arcata inferiore non può crescere e, rimanendo troppo corta, i denti inferiori non hanno spazio sufficiente per sistemarsi al loro posto e nella corretta inclinazione. CHIRURGIA MAXILLO-FACCIALE • ODONTOIATRIA • ORTODONZIA

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Che cosa potete fare: Voi genitori, insieme con il PEDIATRA, potete PER PRIMI e PRECOCEMENTE osservare se qualcosa non va nella bocca e nei denti del Vostro bambino. Poi naturalmente sarà il dentista pediatrico o l’ortodonzista che, dopo la visita e la diagnosi sul tipo di mal occlusione. Vi consiglieranno l’apparecchio che è più adeguato per il caso specifico ed a quale età iniziare. Alla visita di controllo dal pediatra (almeno ogni 6 mesi, ma preferibilmente ogni 3) oppure dal vostro medico di famiglia ricordatevi di far controllare ogni volta: • L’igiene dentale, avendo provveduto a casa alla pulizia dentale quotidiana con prodotti al fluoro per prevenire le carie • L’eruzione, cioè la comparsa in successione dei denti, prima quelli da latte e poi quelli definitivi, ma anche il loro numero, forma e colore • Se i denti occupano una posizione corretta, sia singolarmente che nel complesso della dentatura, cioè di una arcata rispetto all’altra arcata L’importante è sapere che, quando è terminata la crescita delle ossa, è molto più difficile modificare sia la posizione di singoli denti, sia quella delle due arcate dentali Se invece si precorrono le deviazioni in tempo utile, cioè prima che i denti raggiungano una posizione definitiva sbagliata, la terapia correttiva sarà molto più semplice e breve. Quindi più facilmente accettata dal bambino. ANCHE PER LE MALOCCLUSIONI, È MEGLIO PREVENIRE CHE CURARE! La malocclusione1 e il vostro bambino Questo opuscolo vi consente di individuare precocemente nel bambino un’eventuale malocclusione: capire il motivo per cui si manifesta e le conseguenze che ne derivano significa comprendere di doverla curare già nella prima infanzia e non a permuta dentale ultimata (cioè intorno ai 10-12 anni). L’obiettivo è quello di far conoscere a voi genitori - a pediatri, medici di base, dentisti generici - la possibilità di correggere molte mal occlusioni, senza disagi e fin dalla più tenera età, agendo sui disturbi dipendenti da quei fattori che ne sono facilmente modificabili. È sufficiente utilizzare apparecchiature ortodontiche studiate per sfruttare le naturali forze muscolari della faccia, cioè in maniera funzionale e non meccanica. 74

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Che cosa dovete sapere Per il vostro bambino una malocclusione già nei primi anni d’età non è (e probabilmente non sarà) soltanto un problema estetico. Individuare nella sua bocca molto presto, già a 4-5 anni di età, i segni di una disfunzione significa migliorare le possibilità di una crescita corretta ed armonica delle strutture scheletriche della sua faccia; evitare successivi problemi alla respirazione, alla fonazione di alcuni suoni o di parole, alla masticazione e quindi alla digestione e assimilazione dei cibi. 1

malocclusione: tra l’arcata dentale superiore e quella inferiore esiste un rapporto alterato. In un’occlusione corretta, tutta l’arcata dentale superiore, come fosse il coperchio di una scatola, deve essere lievemente più larga per poter ricoprire tutta l’arcata dentale inferiore.

ANCHE VOI POTETE COLLABORARE ALL’ARMONICO SVILUPPO DELLA FACCIA E DEL SORRISO DEL VOSTRO BAMBINO. 0-3 anni: correggere abitudini dannose per la crescita dento-facciale 1) Il bambino ha l’abitudine di succhiare sempre qualcosa (ciucciodito-labbro-oggetti)? Si ❏ No ❏ L’abitudine a succhiare tiene la lingua in posizione bassa: la deglutizione diviene difettosa e, se questa condizione dura oltre i 3-4 anni, produce deformazioni di vario tipo e a carattere permanente. 2) Parlando pronuncia male il suono di qualche parola (in particolare T, D, L, N, S, Z, R)? Si ❏ No ❏ Per produrre quei suoni dell’alfabeto, la punta della lingua ha gli stessi punti di appoggio della deglutizione. Attenzione. Se il bambino parla male, deglutisce anche male (vedi anche domande 3,4). 3) Non riesce a “mandar giù” caramelle dure oppure medicine in compresse? Si ❏ No ❏ Se la punta - il corpo della lingua non funzionano correttamente si scompensano i naturali meccanismi: nel tempo si altererà tutto l’equilibrio delle forze che modulano la crescita cranio-facciale. CHIRURGIA MAXILLO-FACCIALE • ODONTOIATRIA • ORTODONZIA

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4) Notate larghi spazi tra i suoi denti e quando parla schizzano le goccioline di saliva? Si ❏ No ❏ La posizione della punta della lingua nelle varie funzioni in cui è coinvolta influisce sul posizionamento dei denti. Es: se la lingua si interpone tra le arcate e spinge gli incisivi superiori molto avanti. 5) Quando deglutisce, il mento diventa come fosse tutto “bucherellato”? Si ❏ No ❏ Per non compromettere la crescita scheletrico-dentale, la visita di controllo del pediatra o meglio di un logopedista stabilità se la posizione della lingua durante la deglutizione è sbagliata. 6) Ditegli/le di aprire un pò la bocca e mettere la punta della lingua sul palato: ci riesce? Si ❏ No ❏ É fondamentale controllare che non sia troppo corto il “filettino” (detto frenulo) attaccato sotto la lingua: ostacolerebbe la lingua nelle funzioni naturali (vai ai riquadri delle domande da 1 a 5). 7) Al mattino, notate che il cuscino è bagnato e ha spesso screpolature ai lati delle labbra? Appena si sveglia, ha la necessità e urgenza di bere (dice di avere labbra/gengive secche)? Si ❏ No ❏ Se avete risposto positivamente, probabilmente il vostro bambino respira solo o soprattutto con la bocca. É consigliata una visita dall’otorino: per i motivi già espressi (vai al riquadro delle domande 8-10). 8) Di notte dorme sempre a bocca aperta e talvolta russa? Ha un timbro di voce nasale? Si ❏ No ❏ Se la risposta è si, l’otorino dovrebbe controllare se le vie nasali presentano una qualche ostruzione (con probabili apnee notturne): si rallenta e si altera lo sviluppo-estetica facciale/dentale. 76

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9) Ha raffreddori e tosse molto frequenti oppure spesso il naso “cola” eccessivamente? Si ❏ No ❏ Se ha uno di questi sintomi, parlatene al pediatra: consiglierà una visita dall’otorino o da un allergologo perché la respirazione non corretta rallenta lo sviluppo ed altera l’estetica facciale-dentale. 10) Se gli/le dite di respirare solo con il naso,almeno per 2 minuti, incontra difficoltà? Si ❏ No ❏ Se la risposta è positiva, richiedete il parere dell’otorino perché è urgente ristabilire la respirazione per via nasale. La bocca costantemente aperta ostacola il corretto posizionamento dei denti. ISTRUZIONI: Dalla somma dei si e dei no potrete capire se il vostro bambino presenta o meno qualche problema funzionale che ne comprometterà la crescita dento-facciale: come/quando intervenire, qual è il medico più adatto al caso. a) Se avete ottenuto tutte le risposte “no”: nel vostro bambino/a non è presente alcuna anomalia ortodontica, perlomeno a carattere disfunzionale. Si consiglia, comunque, una visita dal vostro ortodontista o dal dentista per bambini intorno all’età di 5-6 anni ma non oltre i 7 anni. b) Se avete ottenuto una maggioranza di “no”: al vostro medico/pediatra di famiglia e/o al dentista di fiducia, chiedete il parere solo su quelle domande a cui avete risposto con il “si”. c) Se avete risposto “si” alla domanda 2-3-4-5: si consiglia una visita dallo specialista (ortodontista o dentista per bambini o logopedista) che, se necessario, aiuterà il vostro bambino a riposizionare bene la lingua usando un ciuccio “speciale” e/o facendo a casa dei facili esercizi. d) Se avete risposto “si” alla domanda 7-8-9-10: è importante che quanto prima facciate vedere il bambino dal suo pediatra o direttamente da un otorino di vostra fiducia. Lo specialista con la visita e con uso di strumenti adatti per la corretta individuazione del problema, saprà indicarvi che cosa fare per favorire non soltanto l’armonica crescita scheletrica-dentale, ma anche lo stato di salute più in generale ed il benessere psico-fisico del vostro bambino/a. Articolo redatto da: Dr. Mario Collini Direttore Dipartimento Testa - Collo Ospedale Carlo Poma di Mantova e Unità Operativa di Chirurgia Maxillo-Facciale - Dr. P.Manzini Servizio di Ortodonzia Mantova CHIRURGIA MAXILLO-FACCIALE • ODONTOIATRIA • ORTODONZIA

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ORECCHIE AD ANSA Le orecchie ad ansa, più comunemente conosciute come orecchie “a sventola”, rappresentano una patologia congenita dell’orecchio esterno di natura malformativa che comprende il padiglione auricolare e il condotto uditivo esterno. Durante lo sviluppo, l’orecchio comincia a sporgere dalla faccia tra il terzo e quarto mese di gestazione, quando inizia l’incurvamento delle cartilagini che definiscono la forma del padiglione auricolare (Schwalbe, 1897). Un incompleto ripiegamento delle cartilagini produce la prominenza delle orecchie al lato della testa. Esistono vari gradi di arresto dello sviluppo del padiglione auricolare e questo porta a un ampio spettro di presentazioni cliniche. Antelice

MANCANZA DELLA PIEGA DELL’ANTELICE

1,5-2cm

20°-30° Elice Conca

ECCESSIVA PROFONDITÀ DELLA CONCA

ANGOLO CONCO SCAFALE MAGGIORE DI 90°

Angolo Cefaloauricolare

Le tre caratteristiche principali delle orecchie ad ansa sono: 1) un eccesso della conca, 2) una piega dell’antelice scarsamente definita o assente, 3) un angolo concoscafale maggiore di 90° con conseguente alterazione dell’angolo cefaloauricolare normalmente compreso tra 20° e 30°. Il padiglione auricolare protrude dal capo, in media tra 1,5 cm e 2,2 cm. Nelle forme più gravi, le orecchie prominenti bilaterali possono sembrare piatte, perdendo le loro caratteristiche curve fino ad assomigliare a delle ali. Il difetto estetico è quindi dovuto esclusivamente alla forma e alla posizione della cartilagine delle orecchie. L’anatomia dell’orecchio del bambino varia dall’anatomia dell’orecchio dell’adulto per la sola consistenza. Nel neonato l’orecchio è molle e soffice. Ciò spiega il successo della correzione delle deformità congenite nei neonati con la precoce applicazione di tutori (Matsuo e coll,1990). Al terzo anno di età l’orecchio ha raggiunto l’85% delle sue dimensioni da adulto (Adamson e coll, 1965; Farkas 1974). Per questa ragione è possibile sottoporre un bambino ad intervento di otoplastica senza incorCHIRURGIA PLASTICA

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rere in rischi in età pre-scolare (5-6 anni). Con l’avanzare dell’età, la cartilagine diventa più rigida e fragile. Questo è uno degli elementi che contribuisce a determinare la scelta della tecnica operatoria più appropriata all’età e alla consistenza delle cartilagini del paziente. L’otoplastica è una procedura della Chirurgia Plastica. Consiste nel trattamento delle strutture cartilaginee al fine di ripristinare quelle fisiologiche curve che sono presenti nei padiglioni auricolari normali e si avvale di diverse tecniche chirurgiche che variano in base alla gravità della malformazione e all’età del paziente. Anche l’associazione di deformazioni moderate o minime, quando esse siano considerate separatamente, può provocare deformazioni nell’insieme notevoli. Ecco perchè, generalmente, l’otoplastica estetica deve combinare diverse tecniche correttive per raggiungere un risultato d’insieme armonico, elegante e duraturo. Le motivazioni che spingono i pazienti a sottoporsi a questo intervento chirurgico sono principalmente di origine psicologica. Le orecchie ad ansa, soprattutto nei bambini, possono essere causa di disagio; si tratta infatti di un inestetismo molto visibile perchè legato alla fisionomia del viso. La maggior parte dei pazienti ha un’età compresa tra 4 e 14 anni, ma anche un certo numero di adolescenti e di adulti si sottopone all’otoplastica. Quando è possibile sottoporsi all’intervento di otoplastica? Il padiglione auricolare è gia formato all’età di 5-6 anni (età pre-scolare). Nei bambini questo tipo di intervento è eseguito generalmente tra i 6 e i 14 anni cioè nell’età in cui certi difetti estetici diventano fonte di imbarazzo nel rapporto con i coetanei e possono dare origine a profonde insicurezze. Per questa ragione, in alcuni casi, in relazione alla sensibilità che il bambino dimostra verso il problema, si può effettuare l’intervento prima di iniziare a frequentare l’ambiente scolastico (5-6 anni). Non esiste, ovviamente, limite di età nel paziente adulto. Come si svolge la visita pre-operatoria? È necessaria una visita specialistica accurata in quanto l’otoplastica è un intervento molto personalizzato. Con particolare attenzione al paziente pediatrico. Durante la prima visita viene valutata la forma e la dimensione delle orecchie, che spesso sono molto diverse fra di loro, successivamente si illustra la tecnica chirurgica più appropriata per conseguire il miglior risulta82

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to possibile. Viene quindi valutato lo stato di salute generale per escludere alterazioni quali problemi di coagulazione o di cicatrizzazione (attraverso un prelievo venoso), che potrebbero alterare il risultato finale dell’intervento. Al termine della visita viene consegnata al paziente (e ai suoi genitori) un’informativa dettagliata sulla patologia, modalità di intervento e decorso postoperatorio. È necessaria una seconda visita prima dell’intervento chirurgico. Quale tecnica operatoria viene utilizzata? A seconda del tipo di correzione da eseguire viene pianifica la tecnica ideale. Le tecniche chirurgiche più comunemente impiegate si possono dividere in tecniche di modellamento delle cartilagini (Mustardè e Furnas) e tecniche che interrompono la continuità delle cartilagini (Converse-WoodSmith). Quando possibile le prime sono preferibili alle seconde. Le diverse tecniche possono comunque lavorare sinergicamente al raggiungimento di risultati anatomici comuni: 1) produzione di una piega dell’antelice smussa, arrotondata e ben definita; 2) un angolo concoscafale di 90°; e 3) una riduzione concale o riduzione dell’angolo tra conca e mastoide. Che tipo di anestesia viene praticata? L’otoplastica viene normalmente eseguita in regime di day-hospital, occasionalmente in regime ambulatoriale. L’intervento dura circa due ore e viene generalmente eseguito negli adulti e adolescenti in anestesia locale con sedazione(**) e nei bambini in anestesia generale. Qual è il decorso post-operatorio? Nella otoplastica le incisioni sono assolutamente invisibili in quanto nascoste dietro il padiglione auricolare. L’intervento di otoplastica è indolore e termina con una medicazione “a turbante” che deve essere mantenuta per circa due giorni. Nelle 48 ore successive all’intervento e necessario riposare con la testa sollevata. Il fastidio post-operatorio, ove presente, è facilmente controllabile con la terapia farmacologica. A partire dal terzo giorno è possibile riprendere a svolgere le normali attività evitando però sforzi fisici, saune e bagni turchi, l’esposizione al sole e l’uso degli occhiali. Nelle prime 48 ore si possono verificare gonfiore ed ecchimosi intorno alla regione trattata. Raramente si possono verificare infezioni, ematomi o cicatrici cheloidee. Dopo 3-4 giorni è possibile riprendere l’attività lavorativa CHIRURGIA PLASTICA

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se non eccessivamente faticosa. A due settimane dall’intervento chirurgico sarà possibile riprendere progressivamente a svolgere tutte le normali attività compresa quella sportiva. Che tipo di risultato si può ottenere? La otoplastica, sia monolaterale che bilaterale, dà generalmente risultati molto soddisfacenti e permanenti. BIBLIOGRAFIA 1) Precision and suture positioning in otoplasty. Experience with 380 cases.; Mathur BS, Shokrollahi K. J Plast Reconstr Aesthet Surg. 2009 Feb 19 2) Chirurgia Plastica Estetica, Rees - La Trenta; Verduci Editote Vol. 2, cap.33, pg. 887-919 3) Chirurgia Plastica, Grabb & Smith; quinta edizione, Antonio Delfino Editore cap.36, pg. 431-438 4) EMC volumi Chirurgia Plarstica; fascicolo 45-527, pg. 1-17 Articolo redatto da: Dr. Giovanni Bianco Specialista in Chirurgia Plastica e Ricostruttiva

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Educazione Alimentare

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EDUCAZIONE ALIMENTARE: UNA CONSAPEVOLE CRESCITA La consapevolezza e la capacità di discernere i vari tipi di alimenti sono un’importante conquista per un futuro sereno e scevro da problemi dovuti ad una cattiva alimentazione, ed una dieta sana ed equilibrata, abbinata ad una costante pratica sportiva, è assolutamente necessaria ai bambini per sviluppare al massimo le loro potenzialità. I disturbi alimentari che negli ultimi anni hanno interessato un numero sempre crescente di persone sono evitabili; la cura è innanzitutto la prevenzione, a partire dai primi anni di vita. Cibo semplice e genuino, integro e ad alto valore nutrizionale aiuta e indica la strada per una ragionevole lotta alle bevande gassate, ai cibi precotti e alle merendine preconfezionate, tutti elementi responsabili dell’obesità infantile e dei disagi giovanili legati all’anoressia e alla bulimia. Il corpo umano è una macchina molto complessa che per pensare, parlare, comunicare ha bisogno di energia. Essa è fornita dagli alimenti sia animali che vegetali. Il processo mediante il quale essi vengono introdotti nell’organismo viene detto alimentazione. Essa assicura le funzioni vitali per il mantenimento della temperatura corporea, per la costruzione e riparazione di tessuti e per il reintegro di ciò che viene consumato o perduto. QUALI ALIMENTI PER LA SALUTE DEL NOSTRO ORGANISMO? La crescita e la salute del nostro organismo sono subordinate al regolare apporto dei principi nutritivi, in qualità e quantità opportuna. Essi sono sostanze chimiche contenute negli alimenti e si possono raggruppare in sei categorie: carboidrati (o zuccheri), lipidi (o grassi), proteine, acqua, sali minerali e vitamine. I carboidrati costituiscono la fonte immediata di energia per l’organismo: il più noto è il saccarosio (lo zucchero che si trova in commercio), ma gli zuccheri sono presenti nella frutta (fruttosio), nel miele (glucosio), nel latte (lattosio) e in molti vegetali (amido). I grassi hanno funzione energetica di riserva; sono di origine sia animale (panna, burro, lardo, strutto) sia vegetale (olio di oliva e di semi). Le proteine hanno funzione plastica o costruttrice in quanto forniscono il materiale (aminoacidi) da costruzione per l’accrescimento e la manutenzione EDUCAZIONE ALIMENTARE

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del corpo. Sono presenti soprattutto negli alimenti di origine animale (carne, pesce, uova, latte e derivati) e in alcuni di origine vegetale (legumi e cereali integrli). L’acqua è il costituente essenziale dei viventi, scioglie molte sostanze utili, le trasporta alle cellule ed elimina le sostanze di rifiuto. Ogni giorno il corpo umano ne perde 2,5 litri attraverso l’urina, la sudorazione ecc. e perciò è necessario integrare queste perdite. La sua assenza significa la morte delle cellule e delle loro funzioni vitali. I sali minerali, oltre a regolare l’organismo, sono importanti per la costruzione di parti del corpo (ossa e denti) e per sostanze quali ormoni ed emoglobina del sangue. Indispensabili sono il calcio, il ferro,il sodio, il fosforo, il potassio, il cloro, lo iodio, lo zinco, il magnesio, il manganese, il rame, il cromo, il cobalto e altri. Le vitamine permettono lo sviluppo ed il funzionamento di organi, aiutano l’organismo a difendersi dalle malattie e favoriscono l’utilizzo degli altri principi alimentari. Esse sono presenti non solo nella frutta e nella verdura, ma anche nella carne, nelle uova, nel latte e nel pesce. Non esiste un alimento “completo” che contiene in sé tutte le sostanze nutritive nelle quantità necessarie all’organismo. Una dieta bilanciata deve contenere tutti i principi nutritivi: ma in che rapporto? Osserviamo la piramide alimentare che si rifà alla dieta mediterranea che ci indica in quale proporzione è opportuno consumare gli alimenti: in quantità maggiore gli alimenti ricchi di carboidrati che stanno alla base della piramide, in quantità minima quelli ricchi di grassi e zuccheri che stanno al vertice. Per un’alimentazione sana oltre che bilanciata è bene seguire i seguenti consigli: • non consumare troppi alimenti d’origine animale e preferire alle carni rosse (maiale e vitello) quelle bianche (pollo e tacchino) che sono più magre e contengono meno colesterolo • mangiare pesce 3-4 volte alla settimana • usare gli oli vegetali ed in particolare l’olio d’oliva • preferire il latte parzialmente scremato e formaggi meno grassi • mangiare pane, pasta, riso, patate e legumi • mai fare a meno della frutta e delle verdure • non bere bevande gassate e alcoliche, se non con molta moderazione durante i pasti 88

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(IN ETÀ ADULTA) • limitare il sale, il maggior responsabile dell’ipertensione

Carni rosse e burro con moderazione

Cereali raffinati (riso, pane e pasta), patate, dolci con moderazione

Alimenti ricchi di calcio da 1 a 2 porzioni/giorno

Pesce, pollame, uova da 0 a 2 porzioni/giorno

Frutta secca, legumi da 1 a 2 porzioni/giorno

Vegetali in abbondanza

Frutta da 2 a 3 porzioni/giorno

Cereali integrali ad ogni pasto

Grassi vegetali ad ogni pasto

Attività fisica giornaliera, corretta idratazione e controllo del peso corporeo

Importante ricordare di non nutrirsi a caso, ma seguire un’alimentazione adeguata all’età, al tipo di lavoro svolto, alle proprie condizioni fisiche. DIECI IMPORTANTI SUGGERIMENTI DA NON DIMENTICARE ✓ Alimentarsi con piacere e per il piacere del palato. È preferibile condividere i pasti in famiglia e con amici; ✓ L’importanza della colazione: alimenti ricchi di carboidrati come pane e cereali e frutta. Saltare la colazione può causare successivamente fame incontrollata, abbassamento della glicemia con stanchezza e svogliatezza e scarso rendimento scolastico; ✓ Variare gli alimenti per il mantenimento dell’omeostasi1; ✓ Basare l’alimentazione su cibi ricchi di carboidrati; ✓ Frutta e verdura ad ogni pasto o come spuntino: cinque porzioni al giorno tra frutta e verdura; ✓ Consumare con moderazione carni grasse ed insaccati; ✓ Spuntini intelligenti aiutano a fornire energia e nutrienti necessari; ✓ Spegnere la sete: bere molto perché il corpo per il 50% è costituito da acqua: almeno 6 bicchieri al giorno di acqua o latte nell’adolescenza; EDUCAZIONE ALIMENTARE

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✓ Igiene dentale: lavarsi i denti almeno due volte al giorno;(**) ✓ L’attività fisica è salute; Una cattiva alimentazione può portare problemi di vario genere che possono, talvolta, trasformarsi in vere e proprie patologie quali l’anoressia e la bulimia nervosa. CARENZA NUTRIZIONALE Potassio, calcio

Fluoro Iodio

ECCESSO NUTRIZIONALE

IPERTENSIONE

CARIE DENTARIA

MALATTIE CARDIACHE FEGATO TUMORE DELLO STOMACO

Vitamina C Fibra alimentare

CALCOLI BILIARI

Fibra alimentare

TUMORE DEL COLON

DIABETE

TUMORE DEL RETTO

Calcio, fluoro Vitamina D

Zuccheri

GOZZO TUMORE DELLA MAMMELLA

Grassi essenziali

Sale, grassi

Grassi Grassi saturi Alcool Sale Dieta a elevata densità energetica: zuccheri, grassi, alcool Grassi, carne Birra

OSTEOPOROSI OSTEOMALACIA ARTRITE

Ferro, acido felico

ANEMIA

Stati patologici in Europa per i quali è possibile che esista un fattore nutrizionale

I DISTURBI ALIMENTARI Con il termine “Disturbo alimentare” si indica una vera e propria patologia e non è sufficiente per curarla l’amore e la cura dei genitori che si sentono spesso responsabili della malattia in quanto vengono aspramente giudicati e criticati dalle figlie/i anoressiche e bulimiche. Anoressia: solitamente riconoscibili per l’eccessiva magrezza poiché perseguono ostinatamente e con ogni mezzo il calo del peso digiunando, seguendo diete restrittive e praticando sport con costanza maniacale. Oltre alla riduzione del peso corporeo cessa il ciclo mestruale. Insorgono problemi psi90

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chici quali stati d’ansia, sbalzi dell’umore, irritabilità, inquietudine, disturbi di concentrazione, perdita d’interesse e ritiro sociale. Dal punto di vista fisico si osserva la perdita di capelli, sensibilità al freddo, disturbi del sonno, stati di debolezza, aritmie cardiache, decalcificazione delle ossa, perdita di sali, sterilità. Bulimia: Le persone bulimiche non sono necessariamente sovrappeso. Si distinguono per le forti oscillazioni di peso corporeo. Essi seguono digiuni e diete fino a quando, colpiti da fame irrefrenabile, ingurgitano in modo incontrollato alimenti altamente calorici, un’orgia alimentare. Dopo tale comportamento, si autoinducono vomito e/o lassativi e diuretici per liberarsi del cibo ingerito. Insorgono problemi psichici quali senso di colpa e di vergogna, ansia, depressione, sbalzi d’umore e irrequietezza. Sul piano fisico le conseguenze vanno dalla compromissione della funzionalità renale, ai disturbi di circolazione, aritmie cardiache, irregolarità del ciclo mestruale e corrosione dello smalto dentale. Come iniziano questi disturbi? Generalmente con una dieta ferrea, la paura di ingrassare e il desiderio di dimagrire non cessano mai. Magrezza propagandata dai media come sinonimo di bellezza e successo, come sinonimo di felicità e di amore. Come evolve generalmente la malattia? La sensazione di fame, appetito e sazietà risultano distorte ed il pensiero del cibo e delle calorie assimilate dominano l’intera giornata. La percezione del proprio corpo viene completamente alterata: ci si sente sempre troppo grassi, e quando tale percezione persiste nel tempo (vari mesi) assume la connotazione di un vero e proprio campanello d’allarme. Perché continuare mangiando il “niente”? Generalmente, il costante dimagrimento, danno alla persona un senso di grande potenza, di indipendenza, di approvazione da parte degli altri. L’atto del mangiare viene vissuto come un fallimento accompagnato da enormi sensi di colpa che spingono a condotte di vomito autoindotto e all’uso di lassativi. Perché insorgono tali disturbi? I fattori predisponesti possono essere suddivisi in tre classi 1 Individuali: deficit di autostima e perfezionismo nevrotico; 2 Familiari: conflittualità familiari e genitori-figli inducono in soggetti predisposti, risposte di esagerato autocontrollo; EDUCAZIONE ALIMENTARE

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3 Fattori socio-culturali: i media e la cultura dominante pressante verso la magrezza e l’immagine. Quali sono i cambiamenti a cui fare attenzione? ✓ Riduzione del peso e aumento dell’attività motoria (attività fisica ossessiva); ✓ Vestiario che tenda a mascherare le forme; ✓ Talvolta si nota una cura esasperata della propria persona e dell’abbigliamento; ✓ Durante i pasti, consumati spesso in solitudine, masticazione lentissima, mutacismo o crisi aggressive nei confronti dei familiari; ✓ Il comparire dei sintomi indicati sopra. Cosa fare? Anzitutto educare i propri figli a non preoccuparsi eccessivamente per il loro peso e per la loro immagine, rinforzando l’autostima, cioè la fiducia in se stessi e nei propri sentimenti. I riferimenti sono anzitutto il medico di base ed il pediatra, quando si tratta di figli ancora giovani, in fase prepuberale. Di fronte alla malattia sarebbe opportuno non lasciare la ragazza sola durante i pasti; non responsabilizzare fratelli o sorelle poiché sarebbe diseducativo; non cambiare le regole educative che sono in vigore all’interno della famiglia; non trattare la figlia malata in modo diverso dagli altri figli. A chi rivolgersi? La collaborazione tra medico di base, psicologo, psichiatra, dietologo e internista, assuma una grande importanza. La multidisciplinarità e l’integrazione tra i diversi trattamenti in un progetto unico, risulta la soluzione più opportuna di fronte a questo tipo di disagio. Il trattamento, a seconda delle condizioni cliniche, può essere effettuato ambulatorialmente, in Day-Hospital o, nei casi più gravi, in regime ospedaliero. Articolo redatto da: Dr.ssa Daniela Borella - Specialista in Psichiatria - Ospedale Oglio Po Cremona Dr. Antonio La Russa - Specialista in nefrologia-medicina interna Scienze dell’alimentazione - Istituti Ospitalieri di Cremona Dr. Giuseppe Luani - Specialista in Medicina Interna - Casa di Cura San Camillo Cremona Dr. Giacomo Poli - Specialista in Psicologia - Psicoterapeuta Ospedale Oglio Po Cremona 1

Omeostasi: proprietà degli organismi viventi di conservare relativamente costanti alcune caratteristiche interne quali la temperatura,ecc… rispetto alle variazioni delle condizioni esterne

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FUMO DI SIGARETTA: PERCHÈ SI INIZIA A FUMARE? QUALI RISCHI SI CORRONO? COME PREVENIRE L’INIZIO DELL’ABITUDINE TABAGICA E QUALI VANTAGGI SI POSSONO TRARRE DALLA CESSAZIONE? Gli antichi popoli europei ed asiatici pur non conoscendo il tabacco (pianta nativa delle regioni tropicali e subtropicali dell’ America) fumavano altre piante già all’età del bronzo. Cristoforo Colombo e i suoi marinai giunti in America osservarono che molti indigeni fumavano rotoli di foglie di una pianta sconosciuta, avvolte nella foglia che avvolge la pannocchia del mais: a tali rotoli veniva dato il nome di “tabacco”. La pianta giunse in Europa nel 1559. La sigaretta è comparsa in Europa tra il 1840 e il 1850; in Italia fu introdotta nel 1857 da reduci della spedizione di Crimea che la portarono dall’oriente. Il consumo di sigarette si radica con la I guerra mondiale; con la II guerra mondiale l’uso delle sigarette subisce una impennata. In Italia nel 1997 i fumatori costituivano il 25% (33% degli uomini e 17% delle donne) della popolazione > di 14 anni, mentre il 22% erano ex fumatori e il 53% mai fumatori. Nel 1998 si considera che in Italia siano stati consumati più 100 milioni di kg di tabacco. Le sigarette costituiscono il 98% del tabacco assunto. L’abitudine a fumare sta aumentando rapidamente ora nei paesi in via di sviluppo. Più dell’80% dei fumatori adulti hanno iniziato prima dei 18 anni. Diversi fattori, sociali, economici, personali, familiari, farmacologici condizionano la prevalenza dell’ abitudine a fumare e della cessazione della stessa. È attualmente riconosciuto che il fumo di sigaretta è primariamente una manifestazione di dipendenza dalla nicotina e che i fumatori hanno caratteristiche preferenze individuali per il livello di apporto di nicotina. L’assorbimento della nicotina da parte dei polmoni è rapido e completo tale da produrre con ciascuna inalazione un bolo arterioso altamente concentrato di nicotina che raggiunge il cervello in 10-15 secondi, più rapidamente di una iniezione endovenosa. La nicotina nel cervello induce la liberazione di dopamina1 così come avviene con altre droghe quali le anfetamine e la cocaina. Si ritiene che questo sia un elemento critico del meccanismo di dipendenza cerebrale. La nicotina ha un effetto stimolante psicomotorio nei nuovi fumatori, accelera il EDUCAZIONE SANITARIA

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tempo di reazione, migliora la capacità di sostenere l’attenzione. Ma precocemente si sviluppa tolleranza a molti di questi effetti. La cessazione del fumo in soggetti che abbiano sviluppato dipendenza dalla nicotina induce la comparsa dei seguenti sintomi: disturbi del sonno, scarsa concentrazione, bisogno di fumare, irritabilità ed aggressività, depressione, aumento dell’ appetito.

Livelli arteriosi e venosi di nicotina mentre si fuma una sigaretta Notare i picchi arteriosi raggiunti

Fumare una sigaretta per un giovane è un atto simbolico di ribellione

Il fumo nei film e negli sport promuove una immagine positiva del fumo nei giovani. ➤ Le principali caratteristiche sociali e familiari dell’adolescente a maggior rischio di iniziare a fumare sono: 1. Avere genitori o fratelli fumatori 96

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2. Vivere con un solo genitore 3. Non considerare i rischi per la salute del fumo 4. Essere suscettibile alle pressioni dei compagni 5. Essere stanco di andare a scuola e leggere pochi libri 6. Praticare poco sport 7. Ansia e depressione 8. Avere bassa autostima 9. Adottare uno stile di vita simile a quello degli adulti 10. Essere ribelle ed avere difficoltà comportamentali 11. Accettabilità del fumo in famiglia, nella società e nella scuola 12. Essere esposti alla pubblicità delle sigarette ed avere facile accesso alle sigarette. ➤ La revisione della letteratura dimostra che diversi fattori contribuiscono al fumo nei giovani: i comportamenti e le aspettative dei genitori e dei compagni; per es. un giovane ha maggior probabilità di fumare se i familiari, gli amici, e i compagni più grandi fumano. ➤ I compagni che fumano sono particolarmente importanti, in quanto rendono accessibili le sigarette, aumentano la prevalenza percepita dell’abitudine al fumo e aiutano a creare norme nelle quali i giovani si identificano. ➤ La pressione esplicita o implicita dei compagni viene spesso presentata come uno dei maggiori motivi per iniziare a fumare da giovani. ➤ L’esposizione ad esperienze esistenziali negative, quali abusi, eventi stressanti e comunque una bassa autostima sono associati ad una maggiore probabilità di diventare fumatori regolari. ➤ Il supporto dei genitori si è dimostrato protettivo nei confronti del fumo ➤ Visto dalla prospettiva dello stile di vita il fumo si associa con altri tipi di comportamento a rischio: uso di droghe, alcoolismo, comportamenti antisociali. ➤ I giovani si focalizzano più sugli aspetti immediati attraenti piuttosto che sui danni a lungo termine. Per es. ritengono che il fumo li aiuti a far fronte agli stress quotidiani, che faciliti il contatto con ragazzi dell’altro sesso condividendo le sigarette e particolarmente le ragazze ritengono che il fumo le aiuti a controllare il peso corporeo ➤ La percentuale di giovani che hanno fumato in qualche occasione aumenta con l’età: 15% a 11 anni, 40% a 13 anni, 62% a 15 anni. Dato che la percentuale dei fumatori aumenta significativamente dopo i 12-13 anni, le campagne antifumo devono essere svolte prima. EDUCAZIONE SANITARIA

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➤ La prevalenza di giovani fumatori che fumano almeno una volta alla settimana è del 5% a 11 anni, 15% a 13 anni, 35% a 15 anni. ➤ Più precoce è la prima sigaretta fumata più elevata è la probabilità di fumare regolarmente. ➤ Un riscontro recente è che continua ad aumentare la percentuale di ragazze che fumano. ➤ Negli USA il fumo nei giovani si è ridotto dopo aver toccato il picco nel 1997. Si ritiene che le cause di tale riduzione siano: a) marcato aumento dei prezzi delle sigarette, b) sforzi scolastici per prevenire l’uso del tabacco, c) esposizione dei giovani a campagne di prevenzione del fumo sui mass-media nazionali e statali. ➤ Per quanto riguarda l’efficacia dei programmi di prevenzione è stato recentemente evidenziato che interventi per ridurre l’uso del tabacco nei giovani quali leggi sugli ambienti sani, aumento dei prezzi delle sigarette, pubblicità contraria al fumo, rinforzo delle leggi che restringono la vendita di tabacco ai minori, devono essere abbinati a programmi di prevenzione con base scolastica per ottenere il massimo effetto a lungo termine. ➤ Raccomandazioni per sviluppare un ottimale programma scolastico antitabagico: 1. Tempo complessivo per anno scolastico 6-10 ore; 2. Numero annuale di sessioni pari ad almeno 5; 3. Necessità di richiami almeno nei 2 anni successivi al primo svolgimento del programma; 4. Anno di inizio ottimale non oltre i 12; 5. Coinvolgere oltre agli studenti il corpo insegnanti e i genitori; 6. Avvalersi di sistemi audiovisivi ed interattivi per coinvolgere i ragazzi; 7. Fornire informazioni sui danni precoci da tabacco includendovi le ridotte prestazioni fisiche ed intellettive; 8. Informare che le multinazionali del tabacco contano sui ragazzi che iniziano a fumare per rimpiazzare i vecchi fumatori che muoiono; 9. Avvalersi di esempi pratici per resistere alle pressioni per fumare provate nella vita quotidiana; 10. Informare sulle percentuali di fumatori fra i giovani, sulla percentuale dei giovani fumatori che vorrebbe smettere e sulla percentuale di quelli che pur provando seriamente non riescono a smettere; 11. Fornire spazi per attività ricreazionali libere dal fumo ed incoraggiare la partecipazione ad attività sportive; 98

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12. Modulare il linguaggio e la comunicazione a seconda dell’età dei ragazzi. Il fumo di sigaretta è la singola maggiore causa di morte e disabilità evitabile nei paesi sviluppati, in particolare è stato responsabile del 14% di tutte le morti nei paesi Europei nel 1999. Per quanto riguarda i decessi che avvengono nella fascia di età 35-69 anni i fumatori hanno una perdita media di 21 anni di vita rispetto ai non fumatori, mentre per la fascia > 70 anni la perdita media è di 8 anni. I costi umani e sociali sono altissimi se si considera che più di 400.000 morti all’anno sono dovute al fumo sia negli USA che in Europa e che nel servizio sanitario inglese il fumo è stato responsabile di circa 364.000 ricoveri per una spesa di circa 2.100 milioni di euro all’anno (British Medical Journal 2004). Le principali patologie correlate al fumo sono: 1. Neoplasie (tumori): Aumento di 2-4 volte il rischio di svilupparle (il rischio di neoplasia polmonare è aumentato di 15 volte). Il fumo è responsabile di circa il 30% delle morti per tumore (circa 33.000 morti/anno in Italia) 2. Malattia coronarica e infarto: Il rischio rispetto ai non fumatori è di 5 volte maggiore nei fumatori con meno di 50 anni mentre è raddoppiato nei fumatori con più di 60 anni. È responsabile di circa il 25% delle morti cardiovascolari (In Italia circa 25000 morti/anno) 3. Bronchite Cronica ed Enfisema: Il rischio di svilupparle è aumentato di circa 13 volte, è responsabile di circa l’85% delle morti per queste malattie (In Italia circa 20.000 morti/anno) 4. Danni in gravidanza 5. Danni da fumo passivo con aumento del rischio di sviluppare malattie cardiovascolari, neoplasie e bronchite cronica. 6. I bambini di genitori fumatori hanno maggiore probabilità di contrarre: bronchiti, polmoniti, tosse, asma bronchiale, otiti etc. Per la maggior parte dei fumatori, smettere di fumare è la cosa più importante che possano fare per migliorare la loro salute. Incoraggiare la cessazione del fumo è uno degli interventi più efficaci e a rapporto costo/efficacia più vantaggioso che i medici e gli altri operatori sanitari possano fare per migliorare la salute e prolungare la vita dei loro pazienti. EDUCAZIONE SANITARIA

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QUALI BENEFICI A BREVE E A LUNGO TERMINE SI OTTENGONO SMETTENDO DI FUMARE? Smettere di fumare induce benefici alla salute immediati e a lungo termine nei fumatori di tutte le età. • Il rischio aggiuntivo di morte correlato al fumo si riduce precocemente dopo la cessazione e continua per almeno 10-15 anni. • Gli ex fumatori vivono più a lungo di chi continua a fumare a tutte le età, ma l’impatto della cessazione sulla mortalità è maggiore nei più giovani. • Per i fumatori che smettono prima dei 35 anni l’aspettativa di vita è la stessa dei non fumatori. • Per quanto riguarda il tumore del polmone il rischio si riduce in circa 10 anni al 30-50% rispetto a coloro che continuano a fumare. Smettere di fumare ad una età < 30 anni elimina il 90% del rischio di sviluppare il tumore del polmone nel corso della vita. • Il rischio aggiuntivo di sviluppare neoplasie orali o esofagee si dimezza entro 5 anni dalla cessazione. • Il rischio di patologie coronariche si riduce molto più rapidamente dopo la cessazione del fumo. Entro un anno dalla cessazione si dimezza la mortalità aggiuntiva dovuta al fumo e entro 15 anni il rischio assoluto è sovrapponibile a quello dei non fumatori. • I pazienti che smettono di fumare dopo un infarto miocardico hanno un rischio di morte dimezzato rispetto a chi continua. Questo effetto protettivo della cessazione del fumo è molto maggiore dei diversi trattamenti convenzionali standard per l’infarto (trombolisi, aspirina, beta bloccanti, e statine) che hanno un effetto protettivo del 12-25% rispetto alla morte. • Smettere di fumare riduce il rischio di morte dopo ictus e di morte per polmonite e influenza. • Smettere di fumare induce un piccolo miglioramento della funzione polmonare e modifica la velocità di caduta della funzione respiratoria riportandola a quella dei non fumatori. Quindi è fondamentale la cessazione precoce nei soggetti suscettibili agli effetti del fumo per prevenire o ritardare lo sviluppo della broncopneumopatia cronica ostruttiva* (bronchite cronica ed enfisema). Nei soggetti nei quali questa patologia è già presente, anche se anziani e con forme severe, sia la mortalità che i sintomi si riducono in chi smette di fumare rispetto a chi continua. Quindi una efficace prevenzione del fumo di sigaretta e il sostegno per 100

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coloro che desiderano smettere puo’ portare ad enormi benefici sanitari per le popolazioni e per gli individui. Promuovere e sostenere la cessazione del fumo dovrebbe essere una importante priorità di politica sanitaria in tutti i paesi e per tutti gli operatori sanitari a tutti i livelli. BIBLIOGRAFIA 1) ABC of smoking cessation. The problem of tobacco smoking. R. Edwards BMJ 2004; 328: 217-219. 2) ABC of smoking cessation. Why people smoke. MJ Jarvis BMJ 2004; 328: 277-279. 3) Young people health in context. Health policy for children and adolescents n° 4 WHO (Europe) 2004. Health behavior in school aged children study: International Report from the 2001-2002 survey. 4) L’epidemia di fumo in Italia S.Nardini CF Donner Collana monografica AIPO EDI AIPO SCIENTIFICA 2000. Articolo redatto da: A Cura di Cleante Scarduelli Dirigente Medico di I livello presso l’UO di Fisiopatologia e Riabilitazione Cardio-Respiratoria del PRM di Bozzolo Azienda Ospedaliera “C. Poma” di Mantova.

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Dopamina: ha la funzione di neurotrasmettitore del Sistema Nervoso Centrale. Broncopneumopatia cronico ostruttiva: detta anche BPCO è una malattia dell’apparato respiratorio caratterizzata da un ostruzione irreversibile delle vie aeree EDUCAZIONE SANITARIA

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LA FEBBRE IN ETÀ PEDIATRICA La regolazione della temperatura corporea è assicurata dal funzionamento del cosidetto termostato ipotalamico, una struttura situata nel Sistema Nervoso Centrale. Esso esercita la sua azione di controllo sui meccanismi di produzione e dispersione di calore, in modo da assicurare un livello di temperatura quanto più possibile costante. Con il termine di Febbre viene genericamente indicata l’elevazione della temperatura corporea al di sopra delle normali variazioni giornaliere dimostrabili nell’individuo sano. La Febbre rappresenta un fenomeno difensivo che l’organismo attiva per contrastare la presenza di situazioni patologiche nella gran parte dei casi dovute alla presenza di agenti infettivi. Il limite minimo di aumento della temperatura corporea sufficiente a definire la presenza di febbre non è perfettamente definito, perché è ben dimostrato che la temperatura dell’organismo presenta variazioni nell’arco della giornata e che queste variazioni possono differire da individuo ad individuo, sia in funzione della sede ove questa viene misurata, sia in relazione al tipo di termometro utilizzato. Comunque, la maggior parte degli esperti è d’accordo nel definire Febbre una temperatura ascellare superiore a 37,2°C, una rettale superiore a 38°C, una timpanica superiore a 38,2°C o una temperatura orale superiore a 37,5°C. Inoltre tutti gli esperti concordano nel definire Febbre elevata una temperatura uguale o superiore a 38,9°C. Pur essendo una reazione di difesa utile all’organismo, la Febbre è spesso causa di allarme e di paura per i genitori e motivo ricorrente di visite agli ambulatori e al Pronto Soccorso. D’altra parte la Febbre è certamente un’evenienza piuttosto frequente in età pediatrica, verificandosi mediamente 3-4 volte l’anno, ma con un’ampia variabilità da bambino a bambino soprattutto nei primi anni di vita. Nella maggioranza dei casi è legata a malattie infettive. Cause meno frequenti sono le collagenopatie ed i tumori. La Terapia della Febbre deve essere prevista per valori di temperatura che siano capaci di indurre problemi clinici di rilievo, quali l’aumentato rischio di convulsioni in bambini predisposti, la disidratazione e uno stato di malessere. In genere, tali situazioni non si creano per valori di Febbre relativamente contenuti. La massima parte degli esperti ritiene che la Febbre non debba essere trattata se uguale o inferiore a 38,5°C, tranne quando si manifesta in bambini 102

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con malattie neurologiche, metaboliche o cardiologiche croniche. I genitori spesso identificano la Febbre con la stessa malattia e richiedono primariamente un interesse verso la Febbre, piuttosto che verso la causa scatenante questo sintomo. Dato che nessun trattamento farmacologico può essere considerato del tutto scevro da rischi, è fondamentale valutare la necessità di un’eventuale terapia antipiretica in termini di rischiobeneficio. Infatti numerosi dati sperimentali suggeriscono che l’aumento della temperatura corporea può diminuire la capacità di replicazione e virulenza di determinati patogeni1 e può stimolare la risposta immunologica2. Inoltre il trattamento della Febbre può occultare una sintomatologia poco chiara. D’altra parte la Febbre provoca malessere, mentre la defervescenza (diminuzione o cessazione dello stato febbrile) farmacologica migliora le condizioni generali del bambino. Pertanto la Febbre non è un sintomo da trattare necessariamente; tuttavia il miglioramento delle condizioni cliniche ottenute con la defervescenza giustifica l’impiego dei farmaci antipiretici. Questi vanno usati quando l’entità della Febbre è superiore a 38°C se misurata a livello ascellare o 38,5°C a livello rettale. I farmaci antipiretici agiscono abbassando il set-point ipotalamico3 senza avere alcun effetto diretto sul processo infettivo. L’azione antipiretica si manifesta entro 30 minuti dalla somministrazione, con una riduzione di 1-2 °C nel giro di un’ora. Esistono diversi tipi di preparati. Alcuni di questi farmaci, oltre a ridurre la temperatura corporea, presentano un effetto analgesico ed antinfiammatorio. I farmaci che vengono considerati di scelta per la terapia della Febbre nel bambino sono il Paracetamolo e l’Ibuprofene. Entrambi sono certamente efficaci ed è difficile quale debba essere considerato il migliore quando ciascuno sia utilizzato alle dosi consigliate e per via orale (Paracetamolo: 10-15 mg/kg ogni 4 ore; Ibuprofen: 5-10 mg/kg ogni 6-8 ore). Infatti gli studi dimostrano una sostanziale sovrapponibilità d’azione sia in termini di efficacia antifebbrile, sia come possibili effetti collaterali. Sembra comunque che l’Ibuprofene raggiunga concentrazioni più elevate del Paracetamolo e tenda a permanere nell’organismo per un tempo maggiore. Ciò giustifica l’uso di dosi più basse per l’Ibuprofene rispetto al Paracetamolo. Inoltre, per il più prolungato effetto antifebbrile consente di limitare la somministrazione di Ibuprofene a sole 3 dosi giornaliere contro le almeno 4 dell’altro antifebbrile. Oltre ai farmaci antipiretici, per disperdere il calore corporeo possono EDUCAZIONE SANITARIA

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essere impiegati altri metodi. Innanzitutto, devono essere eliminati i vestiti e le coperte in eccesso, dovrebbe essere evitata l’attività fisica per non produrre calore superfluo, è consigliata una temperatura ambientale fresca (21-22 °C) per favorire la perdita di calore ed è essenziale un’adeguata idratazione per compensare l’aumentata perdita di acqua. Le spugnature con acqua tiepida sono molto efficaci nel favorire le perdite di calore perché aumentano l’evaporazione. In associazione ai farmaci antipiretici risultano in grado di abbassare più rapidamente la temperatura rispetto alla sola somministrazione dei farmaci. È importante non utilizzare l’acqua fredda, in quanto può provocare vasocostrizione e brividi, con conseguente disagio del bambino e può anche determinare un incremento della temperatura corporea. Sono sconsigliate le spugnature con soluzioni alcoliche, per il rischio di effetti tossici conseguenti all’assorbimento di alcool per inalazione o attraverso la pelle. La Febbre moderata, inferiore a 38,5°C quella ascellare (o la corrispondente temperatura rettale o auricolare ecc.) in un bambino in buone condizioni cliniche che duri da 24-48 ore, non costituisce motivo di particolare allarme. È utile, in caso di Febbre, non esporre il bambino a una temperatura ambientale elevata. È necessario mantenere una adeguata idratazione offrendo frequentemente liquidi. Non si deve forzare il bambino a mangiare: se ha voglia, può prendere pasti non abbondanti con alimenti facilmente digeribili. In conclusione la Febbre è solo un segno frequente di una infezione o di una malattia e pertanto costituisce un utile segnale di allarme che deve indurre a ricercarne la causa. Articolo redatto da: Dr. Mauro Costa Specialista in Pediatria Pediatra di Libera Scelta Asl Distretto di Viadana MN

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Patogeno: che genera malattia Risposta immunologica: risposta di difesa data dal nostro organismo Set-point ipotalamico: il nostro corpo ha come un vero e proprio termostato, struttura cellulare situata in una parte del cervello detta ipotalamo. Come tutti i termostati anche questo presenta una “manopola”, il punto dove si trova la manopola prende il nome di set-point

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CONSIGLI DI PRIMO SOCCORSO Cosa fare se vi accorgete che vostro figlio è in stato di incoscienza e ha cessato di respirare per qualsiasi motivo? • Valutate che nell’ambiente non persistano situazioni di pericolo per il bambino, voi o altri presenti in casa: ad esempio se la causa dell’incidente è stata una scarica elettrica prima di avvicinarvi al bambino STACCATE LA CORRENTE ELETTRICA o ALLONTANATE IL BAMBINO utilizzando il manico di una scopa, sedia di legno o materiale che non conduca elettricità - se vicino al fuoco o il danno è da fuoco prima di tutto allontanarsi dal fuoco. • Valutate l’effettivo stato di incoscienza, cercate di svegliarlo chiamandolo ad alta voce, dategli piccoli colpetti sulla pianta del piede o provocategli piccoli dolori (pizzicotto) • Se non risponde procedete a: 1) Chiamare o fate chiamare a una persona vicina il 118. Per eseguire la chiamata non abbandonare il bambino. 2) Se siete soli chiamate ad alta voce persone che possono essere nei paraggi. 3) Posizionate il bambino su superficie piana e stabile. 4) Mettete una mano sulla fronte del bambino, portate la testa all’indietro con delicatezza, con altra mano abbassate la mandibola verso i piedi in modo da aprire la bocca. Tirare il mento verso l’alto con la testa indietro permetterà la pervietà delle vie aeree.

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5) Se vedete corpi estranei nella bocca tentate di rimuoverli avendo cura di non peggiorare l’ostruzione. 6) Valutate la presenza del respiro per almeno 10 secondi come. a) Guardate se il torace si alza e si abbassa. b) Avvicinate il vostro orecchio al naso del bambino e alla bocca e ascoltate se emette i rumori della respirazione. c) Avvicinate una guancia al naso e alla bocca del bambino per sentire il flusso d’aria. 7) Se il respiro è presente mantenete la pervietà delle vie aeree mantenendo aperta la bocca (con una mano spingere il mento verso il basso), tenere altra mano sulla fronte. Potete anche posizionarlo su un fianco, questa posizione è chiamata Posizione laterale di sicurezza. 8) Continuate a controllare che respiri 9) Se il respiro è assente iniziate la respirazione bocca a bocca. Effettuate 5 volte la respirazione con insufflazioni lente e profonde. Per controllare che la manovra sia eseguita correttamente controllare il torace del bambino, quando si immette l’aria il torace si deve sollevare, si deve riabbassare quando stacchiamo la bocca.Poi sospendete e valutate se il bambino ha polso

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Per valutare il polso appoggiate indice e medio sul collo, lateralmente alla trachea e esercitare una leggera pressione

10) Valutate il polso per 10 secondi, osservate contemporaneamente eventuali movimenti di deglutizione, respiro, tosse o altri segni. 11) Può verificarsi la presenza di polso ma non il respiro. In tal caso procedete con respirazione bocca a bocca. Praticate 20 insufflazioni al minuto. 12) Se non c’è polso iniziate con le compressioni del torace. Il rapporto compressioni torace-respirazione bocca a bocca deve essere di 30 compressioni alternate a 2 ventilazioni. Attenzione alla forza praticata dal massaggio, deciso ma non violento. Nel bambino si esegue la tecnica a due mani o a una mano. Il punto esatto dove posizionarsi si trova nel seguente modo: arrivare al punto di incrocio delle due arcate costali, appoggiare l’anulare in questo punto, portare verso l’alto il dito medio; dove arriva il dito medio posizionare il palmo di una o due mani a seconda del massaggio che si andrà a praticare (a una o a due mani)

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13) Se il bambino presenta polso e respiro metterlo in posizione laterale di sicurezza 14) Continuate valutazione di polso e respiro se non c’è ne polso ne respiro 15) In caso si riprenda polso e respiro continuare a sostenere l’attività respiratoria insufflando 20 volte al minuto (circa 1 ogni 3 secondi) Che cosa dovete fare se vi accorgete che vostro figlio ha le vie aeree ostruite da corpo estraneo con grave difficoltà a respirare? Ostruzione vie aeree parziale Se l’ostruzione è parziale e il bambino riesce in qualche modo a respirare, parlare, piangere, tossire non fate nessuna manovra di disostruzione, tranquillizzate il bambino e fategli mantenere la posizione che preferisce. Fatelo tossire. Se l’ostruzione non si risolve chiamate il 118 o trasportatelo al Pronto Soccorso. Ostruzione vie aeree completa 1) Chiamare il 118 2) In caso di bambino cosciente, fino alla disostruzione o fino a quando il bambino non diventi incosciente, in sequenza successiva e ripetutamente dovete fare le seguenti manovre:

Tenendo il bambino sul vostro ginocchio a pancia in giù dategli, con il palmo della mano, 5 pacche sul dorso tra le scapole 108

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Subito dopo abbracciatelo da dietro sotto le ascelle e, tenendolo eretto, contraete le vostre braccia in modo da determinare 5 compressioni sub diaframmatiche. 3) se dopo aver eseguito le manovre indicate il bambino resta o diventa incosciente applicate le procedure previste per il bambino in stato di incoscienza. Ustione: consigli pratici Che cosa fare subito? • Allontanare il bambino dal pericolo e dall’agente ustionante. • Se si sono infiammati gli indumenti spegnete le fiamme e toglietegli subito i vestiti. • Se si tratta di ustioni chimiche togliete i vestiti avendo cura di riparare le vostre mani con guanti o in qualche altro modo. • Se si tratta di ustione da corrente elettrica prima di toccarlo staccare la corrente o allontanarlo dai fili con materiale non conduttore. • Raffreddare subito l’area con acqua fredda del rubinetto per 20-30 minuti; se la lesione è estesa non superate i 5 minuti. Come medicarlo a casa • Disinfettate la lesione con disinfettante ad esempio citrosil, dopo aver lavato la zona con acqua fredda (vedi sopra). • Applicare pomata antisettica (ad esempio Sofargen). • Applicare una garza medicata non aderente (esempio Fitostimoline o Connettivina). EDUCAZIONE SANITARIA

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• Chiudete la lesione con garze sterili e tenerle in sede con cerotti o benda a rete. Come trasportarlo al Pronto Soccorso • Se la lesione non è estesa trasportatelo con proprio mezzo al Pronto Soccorso; in caso contrario chiamate il 118. • Avvolgete la zona interessata con garze sterili o una federa pulita. Che cosa non fare • Non applicate mai sulla cute ustionata olio di oliva, dentifricio o altri medicamenti “della nonna”. • Non usate cotone idrofilo o materiale non sterile per tamponare o coprire l’ustione. • Non bucate le flittene (bolle piene di liquido più o meno grandi che talvolta si formano): esse mantengono la lesione idratata e sterile e seccheranno da sole, garantendo una migliore guarigione. Precisiamo che le norme sopra descritte sono indicate per i bambini. Si definisce tale il bambino che ha un età uguale o superiore a anni 1. In caso di età inferiore all’anno le manovre sarebbero differenti. Avvelenamento NUMERI UTILI Consigliamo di trascrivere e tenere vicino al telefono i seguenti numeri telefonici: CENTRO ANTIVELENI

DI MILANO: DI PAVIA: DI BERGAMO:

02 66101029 0382 24444 800883300

Potete rivolgervi a qualsiasi numero di quelli sopra indicati. Personale addetto è a vostra disposizione per qualsiasi chiarimento o informazione vogliate qualora il vostro bambino sia venuto a contatto con sostante di cui volete delucidazioni. Articolo redatto da: Infermiera Professionale Emanuela Natali

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Endocrinologia

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PREVENZIONE DEL DIABETE TIPO 1 La prevenzione del diabete di tipo 1 è un obiettivo di primaria importanza, se si pensa che attualmente nel mondo ci sono complessivamente (tipo 1 e tipo 2) circa 250 milioni di persone malate di diabete. Il diabete tipo 1 è una patologia multifattoriale caratterizzata dalla distruzione selettiva delle beta cellule pancreatiche (cellule in grado di produrre insulina) su base autoimmune1, che si associa a iperglicemia (aumento di glucosio2) cronica con complicanze a breve (chetocidosi3, ipoglicemia (diminuzione di glucosio) e a lungo termine (nefropatia4, neuropatia5, retinopatia6). La prevalenza del diabete tipo 1 in Italia è compresa tra lo 0,2% e lo 0,5 % ma è in continua crescita (la regione in Italia che ha la maggiore incidenza di diabete mellito tipo 1 è la Sardegna). Tre sono i principali fattori coinvolti nella patogenesi di questa patologia: 1) fattori genetici (trasmesso in modo ereditario) 2) fattori immunitari: nel diabete mellito tipo 1 è possibile evidenziare a livello del pancreas la presenza di un insulite7 conseguente a un attivazione del sistema immunitario associata alla presenza di autoanticorpi che distruggono le beta cellule; 3) fattori ambientali: • Infezioni virali. Si ipotizza che infezioni virali (COXSACKIE, ECHOVIRUS, PAROTITE, ROSOLIA, CITOMEGALOVIRUS) possano scatenare il processo autoimmunitario. • Fattori dietetici. Importanti evidenze hanno suggerito che le proteine del latte vaccino possano fungere da trigger (grilletto) per il processo autoimmune di distruzione delle beta cellule: esiste infatti una correlazione tra aumento del rischio di contrarre il diabete e inizio di una dieta a base di latte vaccino prima del 3 / 4 mese di vita. Sembra importante anche la percentuale di vitamina D in quanto avrebbe un azione immunomodulante che riduce la distruzione delle beta cellule deputate alla secrezione dell’insulina. Per prevenzione primaria si intende quella da realizzarsi in epoca antecedente allo sviluppo del processo autoimmune, sostanzialmente in età neonatale o comunque non oltre il primo anno di vita. Qualunque genere di prevenzione primaria deve quindi necessariamente formarsi su uno screeENDOCRINOLOGIA

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ning genetico rappresentato dalla familiarità per la malattia o dalla presenza di alleli HLA8 ad elevato rischio come il DR3 e il DR4. Attualmente sono in corso vari studi per approfondire alcuni aspetti della prevenzione ancora sconosciuti che sono il TRIGR, il BABY DIET e, ancora in corso in tutto il mondo, il TRIAL Net. Scopo dello studio TRIGR Si propone di verificare il possibile ruolo della precoce esposizione alle proteine del latte vaccino in soggetti geneticamente predisposti. Più in dettaglio, si vuole valutare se la totale abolizione delle proteine del latte vaccino nei primi 6-8 mesi di vita prevenga la comparsa di diabete tipo 1 o di anticorpi anti insula pancreatica (markers surrogati) in neonati ad alto rischio genetico, parenti di primo grado di pazienti diabetici. Un studio preliminare condotto su 208 neonati finlandesi ha mostrato una riduzione del rischio del diabete nel gruppo non esposto alle proteine del latte e una assoluta normalità nello sviluppo dei neonati trattati, per cui lo studio appare sicuro. Baby Diet Dagli Stati Uniti giunge una nuova speranza contro l’obesità e il diabete: un gruppo di ricercatori del UT Southwestern Medical Center ha individuato l’origine delle cellule staminali del grasso nelle pareti dei vasi sanguigni che nutrono il tessuto adiposo. Sono state ribattezzate “Baby Fat Cells” le piccole cellule adipose che aspettano inattive in attesa delle calorie in eccesso che le faranno moltiplicare e ingrossare. Lo studio, pubblicato su Science, potrà aprire una nuova strada nella cura dell’obesità e del diabete, ha spiegato il Dr. Jonathan Graff a capo dell’équipe. Progetto TrialNet Il progetto TrialNet, finanziato dal ministero della salute americano, è uno studio internazionale che comprende 3 centri europei, tra cui l’Ospedale San Raffaele di Milano e ha come obbiettivo la prevenzione del diabete di tipo 1 in bambini e adulti. Lo studio oltre a portare a una miglior conoscenza delle tappe di sviluppo del diabete prevede, nel caso in cui si identificasse una sostanza ade114

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guata, di somministrarla a quelle persone risultate positive agli anticorpi per evitare o ritardare l’insorgenza del diabete. La prevenzione secondaria è quella che interviene a processo autoimmune già avviato e si applica a soggetti positivi allo screening per gli autoanticorpi a specificità insulare:IAA,GAD e IA/2. Si tenta la prevenzione secondaria con alcune sostanze farmacologiche che rallentano o bloccano l’autodistruzione delle beta cellule quali alcuni immuno-soppressori, l’insulina somministrata per via orale e una dieta priva di glutine(**). La prevenzione terziaria si identifica nel mantenimento della funzione beta cellulare residua ancora presente all’esordio della malattia. Sono in corso incoraggianti esperienze con l’impiego di anticorpi monoclonali anti-cd3. Obiettivo della prevenzione terziaria è inoltre quello di prevenire le complicanze tipiche del diabete. Un importante studio conclusosi alcuni anni fa, il DCCT, ha dimostrato che con la terapia insulinica intensiva si mantengono le concentrazioni di glucosio nel sangue vicino ai livelli normali, e questo rallenta la comparsa e/o il peggioramento delle complicanze suddette. Da tutto questo si evince come la prevenzione del T1DM (diabete autoimmune) sia un obiettivo ancora lontano da raggiungere ma sicuramente tutti gli studi sperimentali in corso porteranno a notevoli progressi nei prossimi anni. Articolo redatto da: Dr. Mantovani Enzo Centro Antidiabetico Ospedale Carlo Poma Mantova

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Malattia autoimmunitaria: si definisce malattia autoimmunitaria o malattia autoimmune una condizione patologica provocata da una reazione immunitaria (difesa che parte dal nostro corpo) diretta contro costituenti propri dell’organismo che vengono scambiati per agenti esterni pericolosi Glucosio: è uno zucchero Chetoacidosi: grave situazione clinica che si verifica quando in mancanza di insulina l’organismo comincia a utilizzare acidi grassi per ottenere energia Nefropatia: causata dal deterioramento dei “filtri” che nei reni garantiscono la pulizia del sangue Neuropatia: termine che indica danno o “stato di sofferenza” di una fibra nervosa Retinopatia: raggruppano tutte le affezioni della retina che è la membrana più interna dell’occhio Insulite: costituita da un infiltrato di cellule mononucleate immunocompetenti, è la caratteristica predominante osservata nell’isola pancreatica al momento dell’insorgenza del DM1. Allele: è un gene cioè unità di informazione genetica che controlla un carattere funzionale o strutturale di un individuo ENDOCRINOLOGIA

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Fisiatria Fisioterapia Ortopedia Podologia

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LA SCOLIOSI Di cosa si tratta La parola “scoliosi” deriva dal greco skolios (storto, contorto) e indica una deviazione laterale e una deformazione permanente della colonna vertebrale, fissata, non modificabile volontariamente, che si accompagna ad alterazioni anatomiche delle vertebre e delle altre strutture di sostegno del tronco. La colonna vertebrale può essere paragonata ad una pila snodabile e flessibile di segmenti articolati (le vertebre). Normalmente la colonna rimane diritta poiché i segmenti sovrapposti hanno una forma perfettamente regolare e simmetrica, le capsule articolari ed i legamenti li mantengono in posizione esatta, i muscoli rappresentano una forza di sostegno ben equilibrata. In presenza di una scoliosi, la colonna, osservata anteriormente e posteriormente, anziché essere diritta, è incurvata e torta su sé stessa; pertanto presente una o più curve sul piano frontale. La scoliosi non va confusa con la deviazione sul piano sagittale (direzione antero-posteriore) caratterizzata da un accentuazione della curva dorsale che prende il nome di cifosi che si differenzia dalla lordosi o meglio iperlordosi caratterizzata da una accentuazione della curva lombare.

posizione normale

cifosi

lordosi scoliosi

Come valutarla? L’uomo è afflitto dalla scoliosi fin dall’assunzione della posizione eretta, e questo spiega perché la scoliosi sia una malattia conosciuta e studiata fin dai tempi più antichi. FISIATRIA • FISIOTERAPIA • ORTOPEDIA • PODOLOGIA • RADIOLOGIA

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È importante sottolineare che la scoliosi generalmente non determini dolore a livello del rachide (colonna vertebrale) durante il suo sviluppo e pertanto rimane spesso misconosciuta; Il riscontro di forme lievi di scoliosi è perciò spesso occasionale; capita infatti che la madre o il padre che si accorgono di atteggiamenti posturali non corretti del proprio figlio o in altri casi si giunge ad una diagnosi in occasione di visite mediche richieste per altri problemi. La valutazione della scoliosi è sempre clinica; dall’esame obiettivo (ciò che emerge dalla visita medica) si può evidenziare un’asimmetria dell’asse delle spalle, delle creste iliache, una curvatura della linea delle apofisi spinose, un’asimmetria dei triangoli della taglia o nelle forme gravi un accorciamento del tronco con conseguente diminuzione della statura dell’individuo.

Asimmetrie delle spalle Deviazione delle spinose vertebrali Asimmetria dei triangoli della taglia Asimmetria delle creste iliache

Va distinta dalla scoliosi vera l’atteggiamento scoliotico. La scoliosi, in termini tecnici, è un “disformismo”, e va distinta dal semplice atteggiamento scoliotico, che rientra nel gruppo dei “paramorfismi”. In presenza di un disformismo la colonna vertebrale è, da un punto di vista anatomico, deformata, in presenza di un paramorfismo la colonna vertebrale è del tutto normale. L’atteggiamento scoliotico comporta sempre una deviazione laterale della colonna, con conseguente perdita della verticalità della stessa, ma non si accompagna mai a deformazione dei corpi vertebrali ed è correggibile volontariamente o con semplici interventi esterni. La deviazione è visibile solo in alcune posizioni, in piedi generalmente. In posizione distesa, le vertebre si riallineano e la deviazione scompare completamente o quasi completamente. 120

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L’atteggiamento scoliotico è generalmente determinato da condizioni statiche, ad esempio in presenza di dismetria (differente lunghezza) degli arti inferiori, oppure da lussazione dell’anca, oppure ancora da dolore vertebrale o muscolare, o, piuttosto frequentemente, da alterazioni posturali o ipovalidità della muscolatura del tronco. La terapia si basa sull’eliminazione della causa che ha prodotto la condizione (ad esempio compensando l’accorciamento dell’arto inferiore, eliminando il dolore vertebrale o rinforzando la muscolatura del tronco). A differenza della condizione precedente, una scoliosi strutturata è una deformazione permanente, fissa, non suscettibile di miglioramento senza intervento esterno, che si accompagna sempre ad alterazioni anatomiche della colonna vertebrale. Una scoliosi strutturata coinvolge, oltre alla colonna dorsale, le articolazioni, i legamenti, la muscolatura paravertebrale, e, nei casi più gravi, anche gli organi interni e le visceri. La colonna vertebrale scoliotica è incurvata su sé stessa, ed è torta nelle tre direzioni dello spazio. Nella scoliosi si individuano sempre una o due curve principali (o primitive). Per mantenere l’asse di gravita del tronco e la verticalità del capo (importante per l’orizzontalità dello sguardo e dell’udito) il rachide si inflette sopra e sotto tale curva. Alla curva principale si aggiungono pertanto curve secondarie o di compenso. La prima si distingue dalle seconde perché è più grave, più fissa, più difficilmente correggibile. A seconda della localizzazione della curva scoliotica principale la scoliosi può essere definita cervico-dorsale, dorsale, dorso-lombare, lombare. A causa della forma delle vertebre e del modo con cui si articolano tra loro, una deviazione scoliotica si accompagna quasi sempre ad una rotazione vertebrale in toto attorno all’asse longitudinale del rachide e ad una componente di torsione differente in ogni singola vertebra. Lo squilibrio laterale provocato dalla scoliosi obbliga le singole vertebre ad inclinarsi lateralmente, e spostare così l’asse di gravità verso il lato della concavità. Per riportare la gravità al centro, interviene a questo punto una rotazione dal lato opposto. FISIATRIA • FISIOTERAPIA • ORTOPEDIA • PODOLOGIA • RADIOLOGIA

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La rotazione vertebrale provoca inoltre un’asimmetria costale: le coste del lato della concavità sono infatti spinte lateralmente ed in avanti dalle apofisi trasverse ed hanno così tendenza ad orizzontalizatteggiamento scoliotico zarsi; al contrario, le coste del lato della convessità sono spinte indietro e si verticalizzano, causando una deformazione della gabbia toracica nota come gibbo costale. scoliosi vera In presenza di un gibbo costale questo va misurato e valutata la sua riducibilità. Quali esami sono necessari e quando rivolgersi allo specialista Dopo una attenta valutazione clinica il pediatra può decidere di richiedere la consulenza specialistica da parte di fisiatri od ortopedici i quali se indicato richiederanno accertamenti radiografici che permetteranno di definire la severità del quadro clinico. L’entità della deviazione scoliotica viene espressa in gradi. Il sistema di misurazione attualmente più usato è quello di Cobb. Generalmente si considerano casi indicativi di scoliosi valori superiori ai 5 gradi Cobb; la maggior parte delle scoliosi presenta angoli di curvatura tra i 5 e i 30 gradi Cobb; se la curva supera i 30 gradi si è in presenza di una curva significativa. Per il rischio legato all’esposizione a radiazione ionizzante si preferisce ridurre al minimo gli esami strumentali monitorando l’andamento della curva clinicamente. Esami di secondo livello come RMN o TAC vengono riservati a casi selezionati nel dubbio di patologie diverse (dolore da cause non note, sospette ernie discali o altro). Evolutività delle curve scoliotiche L’evolutività della curva dipende dalla forma anatomo-radiologica della scoliosi, ma anche dall’età del paziente. È necessario pertanto valutare da parte dello specialista lo stadio di maturazione ossea (test di Risser) e la presenza di fattori di rischio (ad es. famigliarità per scoliosi). L’evolutività è di massima entità durante il periodo dell’accrescimento (11-15 anni nelle ragazze e 13-17 anni nei ragazzi). 122

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Incidenza nella popolazione La scoliosi è un’affezione relativamente frequente, per alcuni frequente in senso assoluto. Il sesso femminile è maggiormente colpito nel rapporto di circa 5:1 rispetto a quello maschile. Le fasce di popolazione più colpite sono quella infantile-adolescenziale e quella senile. Le stime più attendibili calcolano che, al raggiungimento della maturità scheletrica, tra 2 e 4 persone per mille presentano una curva superiore ai 25 gradi Cobb. Diagnosi Da un punto di vista diagnostico è fondamentale valutare se si è alle prese con un paziente affetto da scoliosi strutturale o da semplice atteggiamento scoliotico. Sottovalutare il potenziale evolutivo di una scoliosi strutturata può portare a conseguenze drammatiche; allo stesso modo scambiare un semplice vizio posturale per una scoliosi può portare a proporre terapie lunghe, costose e spesso inutili se non dannose. Il paziente scoliotico, o con scoliosi sospetta, deve essere esaminato in tre posizioni: in stazione eretta, flesso in avanti, adagiato su un lettino in posizione supina. Osservando il soggetto in stazione eretta si può osservare bene l’eventuale asimmetria del livello orizzontale delle spalle e dei fianchi, l’asimmetria dei triangoli della taglia, la presenza di eventuali deformazioni a carico del torace e del bacino; e inoltre la sede della curva, il suo verso, la presenza o meno di curve di compenso. Le scapole possono essere alte o alate per la spinta ricevuta posteriormente dal gibbo costale. Per mezzo di uno speciale filo a piombo può essere valutato un eventuale squilibrio tra il tronco e le pelvi. Il filo a piombo va appoggiato a livello della 7a vertebra cervicale (prominente), facendolo poi cadere nella piega interglutea. Esaminando il paziente flesso in avanti, è possibile valutare l’incurvamento dei processi spinosi e soprattutto l’entità del gibbo costale, “ad occhio” o tramite uno speciale apparecchio, composto da una livella unita ad una scala graduata, che va appoggiata sul dorso del paziente, misurando con un lato sull’apice della prominenza del gibbo, la distanza in centimetri dall’emitorace controlaterale. Osservando il paziente adagiato su un lettino in posizione supina è possibile misurare la lunghezza degli arti inferiori ma soprattutto valutare la FISIATRIA • FISIOTERAPIA • ORTOPEDIA • PODOLOGIA • RADIOLOGIA

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conformazione globale del rachide ed il trofismo della muscolatura paravertebrale. È quindi importante valutare l’elasticità o grado di correggibilità della curva scoliotica, trazionando il paziente per il capo e facendogli compiere movimenti di lateralità del tronco. L’esame radiografico è indispensabile: esso consente di misurare l’entità della curva scoliotica e la componente di rotazione-torsione dei corpi vertebrali. Le radiografie standard in ortostatismo del rachide (AP e LL) sono la base di partenza per una valutazione (in caso di sospetta dismetria degli arti inferiori, è consigliabile eseguire un secondo esame radiografico in clinostatismo e “lateral bending” con inclinazione laterale del tronco, dal momento che in caso di scoliosi funzionale la curva si corregge spontaneamente).

Il test di Risser, infine, che valuta il grado di ossificazione della cresta iliaca ( indicata nel disegno con cerchio rosso) per stabilire l’età ossea (che non sempre coincide con quella cronologica) del paziente, è indispensabile se si è alle prese con una scoliosi dell’età evolutiva. Normalmente l’ossificazione inizia dalla spina iliaca anteriore superiore procedendo posteriormente fino alla spina iliaca posteriore superiore; al termine della crescita si ha una fusione completa con l’ala iliaca. Per la classificazione Risser ha suddiviso l’accrescimento in cinque gradi: 1+ quando l’ossificazione è intorno al 25%; 2+ quando è intorno al 50%; 3+ quando la copertura è di circa il 75%; 4+ quando si ha l’ossificazione completa del tratto e 5+ quando si ha la fusione completa del nucleo apofisario con l’ileo (fine dell’accrescimento e stabilità pressoché definitiva della curva scoliotica). 124

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Per la diagnosi della scoliosi, recentemente è stata introdotta una nuova tecnica nota come teletermografia che misura specificatamente il calori emesso dai muscoli della colonna. Tale calore è negli scoliotici di intensità differente tra un emidorso e l’altro e quanto maggiore si verifica questa asimmetria nei controlli periodi tanto più seria è la progressione della malattia. Scoliosi ad eziologia nota Le scoliosi vengono sommariamente divise in due gruppi: le scoliosi ad eziologia (causa) nota e le scoliosi ad eziologia sconosciuta, cioè idiopatiche. Le cause che possono determinare l’instaurarsi di una scoliosi sono molteplici: malformazioni congenite delle vertebre, di un’anca o di un arto inferiore, osteopatie gravi (osteogenesi imperfetta, rachitismo, osteomalacia), osteocondrodisplasie1 (acondroplasia), miopatie2 (esiti di poliomielite, distrofie muscolari), malattie delle vertebre (spondiliti, processi infiammatori a carico delle vertebre- spondiloartriti, malattie articolari) malattie mesenchimali (sindrome di Marfan), mucopolisaccaridosi3 (sindrome di Morquio), neurofibromatosi4 (morbo di Van Recklinghanson), malattie del torace (esiti di pleuriti, empiema), neoplasmi vertebrali. Scoliosi idiopatiche Le scoliosi idiopatiche, cioè quelle scoliosi di cui non sono ancora noti i fattori scatenanti, rappresentano il 70-80% di tutte le scoliosi. La forma più comune è la scoliosi idiopatica dell’età evolutiva. Le cause che determinano l’insorgere della malattia sono solo ipotizzabili: la malattia ha comunque riconosciuta una base genetica multifattoriale (la possibilità di sviluppare la malattia per un individuo figlio di madre scoliotica è fino a 10 volte superiore rispetto ad un individuo figlio di madre normale). Il fatto che si riscontri prevalentemente nel sesso femminile ha fatto pensare alla presenza di un possibile fattore ormonale; qualcuno ha proposto il coinvolgimento del sistema nervoso centrale. L’ipotesi più attendibile è che la scoliosi idiopatica sia determinata da piccole turbe dell’accrescimento delle vertebre, da un cedimento del siFISIATRIA • FISIOTERAPIA • ORTOPEDIA • PODOLOGIA • RADIOLOGIA

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stema capsulo-legamentoso vertebrale o da insufficienza o squilibrio della muscolatura paravertebrale. Alterazioni di questo tipo potrebbero agire singolarmente o associate. Una volta iniziata, la curva scoliotica tenderebbe a peggiorare per l’instaurarsi di un circolo vizioso (la deformità compromette ulteriormente la simmetria dell’accrescimento vertebrale, la stabilità dei legamenti, l’equilibrio muscolare). Sulla base della loro lunga esperienza e delle loro lunghe ricerche sull’eziologia delle deformità spinali, Nachemson e Sahlstrand hanno definito la scoliosi idiopatica come “una malattia multifattoriale a cui partecipa una mutazione anormale del Sistema Nervoso Centrale geneticamente determinata, associata ad un disassamento dello scheletro per differenza di crescita dei diversi elementi vertebrali, sui quali agiscono fattori biochimici e neuromuscolari, per i quali è difficile stabilire se siano cause o conseguenze”. La malattia si riscontra prevalentemente in soggetti longilinei ed astenici, e predilige spiccatamente il sesso femminile (in un rapporto di circa 7:1 rispetto a quello maschile); la curva principale insorge sempre prima della pubertà (generalmente tra gli 8 e i 12 anni) e tende a strutturarsi e ad evolversi rapidamente. La progressione della curva può essere particolarmente rapida e intensa (anche fino a 20° Cobb l’anno), poiché la malattia tende ad aggravarsi, in misura assai variabile, con l’accrescimento corporeo. Al raggiungimento della maturità scheletrica la curva si stabilizza quasi completamente, fino a divenire notevolmente fissa una volta raggiunta l’età adulta. Solo scoliosi molto gravi (>°40) possono continuare a peggiorare, nella misura di circa 1 grado Cobb l’anno, anche nell’età adulta. Le scoliosi idiopatiche hanno sempre curve ad ampio raggio: la curva principale può essere unica (o doppia); alla curva principale si associano sempre curve di compenso, la componente di rotazione-torsione dei corpi vertebrali è marcata e quasi sempre presente. Trattamento delle scoliosi <°40 Gli accenni alla terapia che si fanno di seguito si riferiscono principalmente alla scoliosi idiopatica, di gran lunga la più comune. Bisogna premettere che la correzione della deformità scoliotica è particolarmente difficile e si rende tanto più incompleta quanto maggiore è l’età del soggetto colpito e l’entità della curva. All’inizio la scoliosi è discretamente correggibile: in seguito tende a 126

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divenire sempre più rigida fino a divenire notevolmente fissa una volta raggiunta l’età adulta. A quel punto l’esperienza insegna che la deformità non è più correggibile. Per questo è importante intervenire il più precocemente possibile e tenere sotto controllo il paziente scoliotico fino al termine dell’accrescimento, piuttosto frequentemente (ogni 4-6 mesi). È possibile distinguere due tipi di terapia: una cruenta e una incruenta. La cura incruenta (che non prevede cioè trattamento chirurgico) è indicata nell’età infantile-adolescenziale e nelle scoliosi lievi (<°30), compensate, con scarsa componente di rotazione vertebrale; nelle scoliosi, soprattutto, che non mostrano tendenza a peggiorare (scoliosi idiopatiche non evolutive). La terapia incruenta si oppone alla progressione della curva scoliotica onde evitare l’intervento chirurgico. La cura si avvale della combinazione tra terapia ortopedica e terapia fisioterapica. La prima si prefigge come scopo la limitazione dell’evoluzione della curva e la correzione della deformità; la seconda viene attuata per migliorare le condizioni generali del bambino o dell’adolescente, aumentando il trofismo della muscolatura. L’attività fisica acquista in particolare un ruolo determinante quando si passa dall’uso di un corsetto che, indossato a tempo pieno per mesi o per anni, comporta inevitabilmente atrofia muscolare e rigidità del rachide. Più che la ginnastica in palestra, definita correttiva mentre in realtà non corregge certo la deformità, ci sentiamo di consigliare gli sports attivi, purché impieghino globalmente la muscolatura del tronco (come il nuoto o la pallavolo). La terapia ortopedica si avvale dell’uso di corsetti, busti e apparecchi gessati. La funzione del corsetto è, nelle forme evolutive, di immobilizzare la colonna e prevenire così l’aggravamento della malattia; nelle forme più lievi e benigne, una terapia corretta può portare anche alla completa correzione della deformità. Il corsetto esercita una trazione continua e progressivamente aumentabile sulla colonna vertebrale. Si tratta però di uno strumento efficace solo nel periodo dell’accrescimento corporeo, e diviene praticamente inutile nell’età adulta. I corsetti vanno indossati 24 ore al giorno; successivamente le ore di applicazione possono essere progressivamente diminuite, anche per permettere al paziente di eseguire una ginnastica specifica per combattere l’atrofia muscolare e la rigidità del rachide provocate dal corsetto stesso. FISIATRIA • FISIOTERAPIA • ORTOPEDIA • PODOLOGIA • RADIOLOGIA

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Esistono numerose varietà di corsetti ortopedici, da adattare alle singole circostanze, ma essi sono fondamentalmente di tre tipi: il corsetto alto tipo Milwaukee, quello ascellare tipo Lionese, il corsetto basso tipo Lapadula. Il primo fa presa sul bacino, sul mento e sull’occipite ed è efficace in qualsiasi forma di scoliosi; il secondo è indicato nelle curve dorsali o dorso-lombari in quanto il suo appoggio superiore è sotto le ascelle; il terzo è indicato per le curvature lombari o dorso-lombari in quanto il suo appoggio è ancora più in basso. Un uso non corretto dei corsetti può provocare spiacevoli effetti secondari: il corsetto di Milwaukee, in particolare può, in taluni casi, provocare ulcerazioni nei punti di maggiore pressione e problemi di malocclusione dentaria. Recentemente, per il trattamento delle scoliosi, ci si avvale di nuove tecniche non invasive, tra le quali la stimolazione elettrica (LESS): degli elettrodi vengono applicati alla cute sul lato convesso della curva maggiore, per almeno 8 ore notturne. Tale tecnica avrebbe un’efficacia nel 44% dei casi trattati. Trattamento delle scoliosi >°40 Nelle scoliosi più gravi e che hanno tendenza ad aggravarsi, si deve eseguire la cura cruenta. L’età ideale per eseguire il trattamento cruento è quella dai 12 ai 16 anni, quando l’evoluzione della scoliosi sta per esaurirsi e, d’altra parte, le curve si mantengono ancora discretamente elastiche e correggibili. Ciò non toglie che talora si possa intervenire anche in età infantile, se le curve tendono ad un peggioramento particolarmente rapido e intenso (come nella neurofibromatosi) o in età adultà, quando la scoliosi causa disturbi estetici e statici notevoli, o si complica con dolori artrosici, insufficienza respiratoria, compressione midollare o mielo-radicolare. La metodica più antica è quella di Risser, che prevede una correzione della deformità con più tappe di gesso prima dell’intervento chirurgico. L’intervento chirurgico consiste in un’artrodesi5 vertebrale, generalmente posteriore. Il tratto di colonna da artrodesizzare deve comprendere tutta la curva principale e 1-2 vertebre sopra e sottostanti ad essa. In genere, si devono fondere gli archi posteriori di 8-14 vertebre. L’intervento consiste nel mettere a nudo la faccia posteriore degli archi vertebrali, cruentarla totalmente mediante l’asportazione di trucioli ossei, e ricoprirla con abbondanti frammenti ossei prelevati dalla tibia6 o dall’ala iliaca7 dello stesso paziente, ovvero dalla banca dell’osso. Ai trapianti ossei si associa poi un’asta metallica (distrattore 128

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di Harrington), la quale, ancorata alle vertebre che stanno alle due estremità della curva scoliotica, viene messa in tensione intraoperativamente così da correggere la curva e rendere stabile tale correzione. Con questo mezzo di fissazione interna si garantisce meglio il mantenimento della correzione e si abbrevia il periodo di immobilizzazione in gesso. Dopo l’intervento si confezione un nuovo busto gessato in massima correzione che viene mantenuto per circa 1 anno. Se la fusione delle superfici cruentate e dei trapianti è buona, la deformità non è recidiva, e la funzionalità rachidea rimane sostanzialmente invariata. Articolo redatto da: Dr.Alberto Formis Specialista in Fisiatria presso Unità Ospedale di Bozzolo MN Carlo Poma MN

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Osteocondrodiplasie: malattie ereditarie in cui si assiste ad uno sviluppo anormale delle ossa e delle cartilagini che determinano disturbi della crescita e dello sviluppo. Miopatia: infiammazione dei muscoli Mucopolisaccaridosi: gruppo di malattie metaboliche, dove ognuna di esse è causata da deficit di enzimi specifici Neurofibromatosi: gruppo di malattie genetiche cioè ereditarie che colpiscono cellule nervose e mucocutanee Artrodesi: saldatura di un’articolazione provocata chirurgicamente Tibia: osso della gamba tra ginocchio e caviglia Ala iliaca: parte del bacino FISIATRIA • FISIOTERAPIA • ORTOPEDIA • PODOLOGIA • RADIOLOGIA

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ATTIVITÀ FISICA E CRESCITA DELL’INDIVIDUO L’attività fisica deve essere innanzitutto un mezzo di sviluppo della persona che tenga conto dei reali bisogni del singolo. Non deve quindi riguardare solo lo sviluppo fisico, ma anche quello psicologico, sociale e motivazionale. Tutto ciò è inserito in un contesto generale di avviamento alla pratica motoria come mezzo di prevenzione, motivazione, partecipazione e sviluppo sociale. Un programma di attività fisica “unilaterale e standardizzato” ha come obiettivo principale quello di allenare e sviluppare la qualità fisica maggiormente coinvolta in quella determinata disciplina sportiva. A tal fine vengono adottati programmi di allenamento che utilizzano pochi e ripetitivi gesti, col rischio quasi inevitabile di rallentare o ancor peggio, di bloccare, i processi di apprendimento motorio del bambino. Al contrario, un allenamento “multilaterale” favorisce lo sviluppo parallelo e contemporaneo delle qualità psicofisiche allenabili nel ragazzo, in quanto utilizza esercitazioni varie, alternate e polivalenti (le attività motorie devono avere carattere orientato allo sviluppo di capacità ed abilità del bambino).

SVILUPPO SOMATICO + SVILUPPO NEURO-PSICHICO

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SVILUPPO DEL SOGGETTO NELLA SUA GLOBALITÀ

Il carico di lavoro durante il processo evolutivo L’avvio all’attività fisica e sportiva deve prevedere attività globali; è da sottolineare l’importanza di un allenamento multilaterale, fondamentale per evitare specializzazioni precoci. Tale processo avrebbe conseguenze negative sulla crescita dell’apparato muscolo-scheletrico e psicologico perché limiterebbe le potenzialità del bambino e potrebbe favorire la comparsa di atteggiamenti patologici o l’insorgere di eventi traumatici. Un’attività fisica asimmetrica (che stimoli solo una parte del corpo) crea squilibri muscolari che, se ripetitivi, favoriscono l’eventuale ipersviluppo di alcune parti del corpo a scapito di altre, creando di conseguenza squilibri importanti a carico di tutto l’organismo. Un’attività variegata consente continue esperienze e quindi arricchimenti psico-motori che portano più precocemente alla conquista della completa padronanza motoria. La stimolazione varia e multilaterale quindi, oltre a favorire la crescita armonica di tutti gli apparati corporei, eviterà anche che il bambino si specializzi in un determinato gesto motorio. Attenzione par130

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ticolare deve essere fatta ai CARICHI DI LAVORO: se eccessivi ed irrazionali come intensità e momento di inizio, possono procurare seri danni all’apparato scheletrico e legamentoso. Andare ad agire con sovraccarichi su una struttura ossea ancora in crescita può aumentare considerevolmente il rischio di fratture e traumatismi vari. Qualità e quantità di lavoro devono essere scelte perciò in base alle tappe di accrescimento poiché l’attività motoria si prefigge obiettivi relativi alle fasce di età: ➤ 3-6 anni: l’attività fisica deve ASSECONDARE il processo evolutivo nei suoi aspetti fisiologico e psico-motorio; ➤ 7-10 anni: l’attività fisica deve AIUTARE il processo evolutivo, facendo prendere coscienza del proprio corpo al bambino, com’è fatto come funziona e come usarlo correttamente; ➤ 11-15 anni: l’attività fisica deve FAVORIRE il processo evolutivo dal punto di vista fisico, organico e socio-relazionale. L’osso è una struttura dinamica dato il continuo ricambio biologico cui è soggetto; l’attività fisica può influenzare i processi fisiologici che presiedono questo ricambio biologico: • Positivamente se l’attività libera stimoli di modesta entità ma costanti; • Negativamente con rallentamento della crescita se provoca stimoli di eccessiva intensità; • Negativamente con l’arresto della crescita se tali stimoli intensi sono protratti nel tempo. L’esercizio fisico, il movimento, la ginnastica, il gioco, lo sport contribuiscono ad allenare: • CAPACITÀ COORDINATIVE Il periodo più favorevole per lo sviluppo delle capacità coordinative è compreso tra i 7 e i 12 anni: nei primi anni di vita si sviluppa maggiormente la capacità di apprendimento e controllo motorio mentre col passare degli anni si osserva un notevole incremento delle capacità di adattamento, combinazione e trasformazione dei movimenti. Le capacità coordinative generali stanno alla base degli automatismi necessari alla pratica sportiva. Per allenarle occorre variare sempre contenuti, mezzi, qualità ed intensità degli stimoli, nonché il modo di proporli. • CAPACITÀ CONDIZIONALI Forza: la forza in generale non va allenata in modo specifico prima della pubertà in quanto un eccessivo sovraccarico funzionale può compromettere la corretta crescita scheletrica del ragazzo. La forza veloce è invece la capaciFISIATRIA • FISIOTERAPIA • ORTOPEDIA • PODOLOGIA • RADIOLOGIA

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tà rappresentativa fondamentale delle capacità condizionali nel periodo 6-14 anni e va pertanto stimolata adeguatamente. Rapidità: è in relazione alla maturazione del Sistema Nervoso Centrale e raggiunge il suo apice tra i 7-8 anni ed i 12-13 anni. Lo sviluppo della rapidità và di pari passo con lo sviluppo delle capacità coordinative. Resistenza aerobica: non esistono controindicazioni allo sviluppo di tale capacità in età precoce anche se occorre considerare la mancanza generale di motivazione con cui i bambini affrontano queste esercitazioni. Mobilità articolare: la capacità di compiere movimenti con un’escursione ampia si riduce durante la pubertà per lo sviluppo parallelo della forza che tende ad inibirla, va pertanto sollecitata maggiormente nel periodo tra i 12 e i 16 anni. Di seguito sono riportate le migliorie apportate ad organi ed apparati dall’attività fisica APPARATO MUSCOLO-SCHELETRICO tonicità delle masse muscolari corretta postura, migliore mobilità articolare SISTEMA ENDOCRINO-METABOLICO rapporto peso/altezza favorevole, corretto assetto glico-lipidico aumento della massa magra e riduzione della massa grassa APPARATO CARDIOCIRCOLATORIO aumento dei volumi respiratori, facilitato ritorno venoso E RESPIRATORIO riduzione della frequenza cardiaca miglioramento dell’irrorazione periferica incremento della resistenza allo sforzo fisico COMPORTAMENTO E PERSONALITÀ buon controllo emotivo, buona adattabilità valida autostima, buona capacità di socializzazione In conclusione, l’attività fisica si pone come obiettivo quello di migliorare il soggetto, sia dal punto di vista fisico che sotto il profilo psicologico, nel rispetto di un corpo che sta crescendo e che spesso presenta dei conflitti sia interni che esterni. Qualsiasi attività proposta dovrà essere varia ed andare a stimolare il più possibile tutte le capacità ed abilità. I rischi in cui incorre un bambino che non pratica qualsiasi attività fisica sono soprattutto la sedentarietà e l’obesità, problemi molto diffusi tra i ragazzi della nostra società, oltre alla mancata percezione del proprio corpo e la scarsa socializzazione. È ormai comprovato che l’esercizio fisico può risolvere buona parte di questi problemi. Articolo redatto da: Fisioterapista Sara Pasetti

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RUOLO DELLA MEDICINA DELLO SPORT COME BRANCA SPECIALISTICA Cenni storici Il significato etimologico della parola “Sport”, deriva dal termine “divertimento”. Però, tutti sappiamo che non esiste attività sportiva senza fatica. Quindi sport sta al divertimento, come questo sta alla fatica. L’uomo primitivo è stato il più grande sportivo della storia perché la sua vita era imperniata sul “movimento” dall’alba al tramonto. Il suo obiettivo primario era quello di procacciarsi il cibo e, quindi, tutto dipendeva dal lavoro delle sue braccia e delle sue gambe. L’uomo moderno invece, in seguito alle continue invenzioni e innovazioni, si è trasformato in una persona sedentaria al punto tale da sentire la necessità di interrompere questo suo “ciclo vizioso” con lo Sport.Quindi, se l’uomo primitivo faceva Sport per bisogno e o necessità, l’uomo moderno lo fa per puro divertimento. È con la nascita dei Giochi Olimpici (776 A.C.), primo segno di pratica sportiva con l’aggiunta del piacere del gioco e della competizione. Dobbiamo, però, arrivare ad Ippocrate per la prima e più approfondita disamina degli aspetti medici e terapeutici dell’esercizio fisico. Con Galeno, discepolo di Ippocrate, si cominciò a considerare gli effetti benefici dell’esercizio fisico sull’organismo, ma anche quelli opposti dopo l’abbandono dello Sport attivo. Al tempo dei Romani, con la costruzione delle Terme, si diffuse il “culto” del proprio corpo. Con l’avvento del Cristianesimo invece, questa pratica decadde e si mantenne nel MedioEvo dove la medicina non riconosceva più la validità terapeutica dell’esercizio fisico. Nel Settecento, dopo la Guerra dei Trent’anni, rifiorisce l’interesse per gli studi di Medicina applicati all’esercizio fisico. Nei primi del Novecento, la storia della Medicina dello Sport si identifica nel crescente impegno della classe medica per approfondire le conoscenze dei meccanismi fisiologici e fisiopatologici dell’esercizio fisico e culmina con l’organizzazione del 1° congresso dedicato allo Sport di Parigi nel 1915. Nel 1930, tramite il Comitato Olimpico Nazionale (C.O.N.I.) nasce la Federazione Italiana dei Medici Sportivi (F.M.S.I.) con compiti esclusivi di ricerca scientifica. Nel 1957, con Decreto del Presidente della Repubblica, fu istituita la prima Scuola di Specializzazione in Medicina dello Sport presso l’Università degli Studi di Milano diretta dal Prof. Margaria (emerito pioniere della Fisiologia applicata allo Sport). Nel 1961 il Prof. Venerando (emerito pioniere della Cardiologia FISIATRIA • FISIOTERAPIA • ORTOPEDIA • PODOLOGIA • RADIOLOGIA

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dello Sport e mio futuro relatore/docente alla Scuola di Specializzazione in Medicina dello Sport dell’Università degli Studi “La Sapienza”di Roma) assunse la Direzione del F.M.S.I. Negli anni ‘60 /’ 70 nacquero i primi centri MedicoSportivi ed i primi ambulatori direttamente gestiti dalla Federazione Medici Sportivi Italiana. Lo Specialista in Medicina dello Sport Si delinea così la figura ed il ruolo del Medico dello Sport: un pò psicologo e sociologo, un pò educatore, un pò antropometrista, un pò internista, un pò dietologo, un pò fisiologo, un pò cardiologo, un pò pneumologo, un pò traumatologo e da ultimo, ma non meno importante, un pò geriatra. Senza nulla togliere a tutte queste importanti figure professionali, spiego brevemente il perché di tutto ciò. Psicologo e sociologo perché profondo conoscitore di tutte le metodologie di allenamento sia del singolo che del gruppo. Educatore perché l’attività fisica è un mezzo fondamentale per la maturazione dell’individuo. Antropometrista perché, come del resto il pediatra, è attento alle varie fasi evolutive del nostro corpo. Internista perché deve sapere di “tutto un pò”. Dietologo perché il cibo deve essere il nostro miglior carburante soprattutto durante l’attività sportiva. Fisiologo perché l’esercizio fisico modifica tutti i nostri parametri fisiologici basali. Cardiologo perché l’apparato cardiovascolare è uno dei perni fondamentali su cui si basa l’esercizio fisico. Pneumologo perché l’apparato respiratorio è un altro perno fondamentale su cui si basa l’esercizio fisico. Traumatologo perché, come del resto l’ortopedico, è il primo eventuale soccorritore sul campo. Geriatra perché, col prolungarsi della vita media, sempre più persone faranno sport in età avanzata. Legislazione sanitaria nazionale per la tutela dello sportivo È del 18 febbraio 1982 il Decreto del Ministero della Sanità “norme per la tutela sanitaria dell’attività sportiva agonistica” quello che tratta sino ad oggi sulle direttive comportamentali degli sportivi agonisti. Si considera, per tanto, 134

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agonista l’atleta che partecipa a gare e/o competizioni organizzate da federazioni e/o enti di promozione sportiva. È del 28 febbraio 1983 il Decreto del Ministero della Sanità “norme per la tutela sanitaria dell’attività sportiva non agonistica” quello che tratta sino ad oggi sulle direttive comportamentali degli sportivi non agonisti. Si considera, pertanto, non agonista chi fa Sport per conto proprio o in strutture private al di fuori di federazioni e/o entri di promozione sportiva. Questi due decreti legislativi, anche se migliorabili e adattabili all’usura del tempo, risultano essere il nostro “fiore all’occhiello” sia in Europa che nel Mondo, dove ancora non esiste una legislazione correlabile, della nostra legislazione sanitaria. Anche le nostre Scuole di Specializzazione in Medicina dello Sport sono ambite dai colleghi stranieri. Mi ricordo che al mio corso di specializzazione del lontano 1982/83, su 40 posti, il 50% circa fu riservato a medici stranieri (tedeschi, spagnoli, brasiliani, colombiani etc...). Ciò a dimostrazione della validità e considerazione della nostra branca specialistica all’estero. Il Medico dello Sport come certificatore In seguito ai decreti legislativi sopra menzionati, la figura del medico dello Sport ha assunto un ruolo preponderante nella certificazione sia agonistica (certificato giallo regionale) in esclusiva, che non agonistica (certificato di buona salute) in modo paritetico ai medici di base e ai pediatri. Convenzionalmente la cartella clinica su cui il Medico dello Sport riporta i dati personali, anamnestici e clinici dello Sportivo risulta di due tipi: - Cartella bianca (tabella A) per chi fa attività sportiva non agonistica e agonistica per tutti gli sport motoristici a basso impegno cardiovascolare quali: automobilismo, motociclismo, paracadutismo ecc... - Cartella azzurra (tabella B) per chi fa attività sportiva agonistica a medio-alto impegno cardiovascolare quali gli sport di squadra (calcio, pallavolo, pallacanestro, rugby, ecc…) e gli sport individuali (atletica leggera, ciclismo, nuoto, tennis, ecc…). La visita medico-sportiva è un “insieme” di fasi cliniche e strumentali. Per gli Sport di cui alla Tab. A la visita medico sportiva si compone di: • Anamnesi famigliare, patologica, sportiva atta a far emergere elementi utili per lo svolgimento o meno dell’attività sportiva soprattutto in età giovanile. • Visita clinica appropriata con particolare riguardo all’apparato cardiovascolare, respiratorio e muscolo-scheletrico. • Prova ottometrica della vista. FISIATRIA • FISIOTERAPIA • ORTOPEDIA • PODOLOGIA • RADIOLOGIA

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• Elettrocardiogramma basale. • Esame completo delle urine. Per gli Sport di cui alla Tab. B oltre ai sopraelencati si aggiunge: • Spirometria. • Elettrocardiogramma dopo test di Master (90 salite e discese da uno scalino alto 30, 40 o 50 cm. a seconda dell’età, sesso e grado di allenamento, per 3 min). Una particolare menzione va fatta riguardo la pratica sportiva agonistica ad impegno cardiovascolare medio-elevato degli ultra quarantenni (i così detti atleti master); in questi casi è consigliato il test con cicloergometro (prova da sforzo su ciclette). Conclusioni e riflessioni finali Da tutto ciò si evince che la nostra branca specialistica risulta essere soprattutto una medicina di prevenzione. Già da diverso tempo si è sostituita alla medicina scolastica e alla medicina militare (le visite per l’arruolamento volontario vengono eseguite dal medico dello Sport con gli stessi criteri della idoneità agonistica) e quindi risulta essere il primo e unico “filtro” preventivo nella vita dell’individuo. È difficile educare l’opinione pubblica (genitori, allenatori, presidenti di società sportive, politici locali e nazionali) a far eseguire una visita (tra l’altro gratuita e a carico del Servizio Sanitario Nazionale fino alla maggior età) di per se considerata “inutile e banale”, soprattutto avendo a che fare con una “classe” di individui fondamentalmente sana, rapportata alla visita di necessità e/o del bisogno quale può essere quella dentistica (mal di denti), chirurgica (mal di pancia), cardiologica (dolore al petto) ecc… Siamo l’uovo di Colombo: è meglio l’uovo oggi o la gallina domani? È meglio prevenire o curare? È il dilemma del “business commerciale”. La maggioranza delle Aziende Ospedaliere hanno optato per le branche specialistiche così dette “acute” dove si hanno margini di guadagno differenti. Allora mi chiedo: “ma è meglio spendere 50,60 euro per una visita medico-sportiva oggi o migliaia di euro per un intervento chirurgico, una protesi ecc… domani”? Se tutti facessero attività sportiva controllata oggi, avremmo sicuramente sempre meno obesi, diabetici, cardiopatici domani. Lascio a voi lettori il diritto di scelta. Articolo redatto da: Dr. Flavio Novellini specialista in Medicina dello Sport

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COME E QUANDO FARE I CONTROLLI ORTOPEDICI AI NOSTRI FIGLI? ALCUNI CONSIGLI Introduzione È nei primi 2 decenni di vita che il nostro organismo, dal punto di vista scheletrico, si evolve e prende la forma che poi gli sarà propria per tutta la vita. Alla fine dell’adolescenza (cioè verso i 18-19 anni) l’accrescimento è ormai compiuto: ciascuno di noi porterà con sé per tutta la vita il frutto di quanto per lui è stato destinato nei primi 2 decenni in parte dalla natura e in parte dall’ambiente familiare. Si prenderanno in considerazione 3 regioni del corpo e si tenterà di spiegare come e quando è più opportuno che per esse vengano fatti i controlli ortopedici. Le parti del corpo considerate sono: l’anca il piede la schiena. Ognuna di queste ha momenti e velocità di sviluppo che sono differenti uno dall’altra. L’ANCA Premessa: l’anca è un’articolazione in cui le 2 ossa a contatto sono rappresentate dalla testa del femore (di forma sferica convessa) che è contenuta all’interno del cotile (che fa parte del bacino) che ha una forma sferica concava. In situazioni di normalità, le 2 ossa sono a contatto in modo perfettamente congruente. Quando si parla di displasia delle anche, si intende che le due parti non sono perfettamente concentriche per cui il movimento non avviene più in modo perfettamente armonico. A lungo andare, la mancanza di questa perfetta congruenza porterà al consumo della cartilagine che riveste le 2 parti e quindi, più o meno tardi, si arriverà all’artrosi. La conformazione delle anche si completa nei primi mesi di vita: nel primo anno di vita esse hanno la capacità di rimodellarsi spontaneamente, se correttamente guidate, ma tale capacità si va progressivamente perdendo nel corso dei mesi. È dunque nel primo anno che è possibile mettere in atto, quando serve, meccanismi di correzione che non sono assolutamente invasivi e che, in un’alta FISIATRIA • FISIOTERAPIA • ORTOPEDIA • PODOLOGIA • RADIOLOGIA

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percentuale di casi, possono risolvere il problema della displasia(alterazione nella composizione cellulare di un organo o di un tessuto): più tempestiva la diagnosi, migliori saranno le possibilità di correzione. Superato tale termine, questa possibilità di correzione spontanea è persa. L’ecografia delle anche: si tratta di un’esame “non invasivo” (che cioè non comporta rischi o danni a carico dell’organismo) che consente di vedere se l’anca è normale o se c’è una displasia. L’ecografia va fatta a tutti i bimbi nei primi 3-4 mesi di vita (addirittura va fatta alla nascita se esiste una familiarità per displasia o se lo Specialista lo consiglia). I PIEDI Per i piedi possono esservi 2 diversi tipi di problemi. Il primo in quanto essi possono essere il punto di arrivo di problemi che partono più dall’alto. Ad esempio: se l’anca o la coscia o la gamba hanno un “difetto torsionale”, cioè sono ruotati in modo atipico, tale rotazione inevitabilmente la si vedrà al piede per cui vedremo il bimbo che cammina a punte in dentro o a punte in fuori. Il piede pertanto è il punto di arrivo di un problema che non è suo ma deriva più dall’alto. In tal senso correggere con l’applicazione di scarpe ortopediche o plantari potrebbe essere non solo inutile o dispendioso ma addirittura dannoso. Il secondo tipo di problema può essere insito nel piede. In tal senso la situazione che più comunemente si presenta è quella del piede piatto.(**) Nei primi 2 anni di vita il piede ha la principale funzione di trasmettere al cervello le informazioni che arrivano dal terreno: il bimbo usa i piedi per conoscere, per tastare il terreno. Può così capitare che a quest’età il bimbo cammini nei modi più strani ma questo non significa necessariamente che ci sono problemi (è evidente che nel dubbio la cosa più corretta è comunque di consultare lo Specialista). Fino a 2-2,5 anni può esservi indicazione a scarpine morbide, leggere, come si trovano usualmente in commercio. Il piede mantiene la capacità di rimodellarsi fin verso l’inizio dell’adolescenza dopo di che esso perde progressivamente la propria plasticità per acquistare una conformazione più strutturata: le possibilità correttive con plantari e/o scarpe ortopediche si vanno così progressivamente riducendo col passare del tempo: è inutile mettere una scarpa o un plantare a 10 anni in quanto non serve più a nulla. 138

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Il periodo di maggiore osservazione per il piede va quindi collocato fra i 2-3 ed i 12-13 anni. A proposito del piede piatto, le opinioni che oggi vanno per la maggiore sono: ✓ la correzione del piede piatto può avvenire spontaneamente, indipendentemente dall’uso o meno di scarpe e di plantari; ✓ plantari o scarpe possono avere un’utilità se sono usati continuativamente per almeno 2 anni e in fase precoce (cioè non oltre i 5-6 anni): dopo tale età, scarpa e plantare hanno solo una funzione estetica senza più capacità correttiva; ✓ comunque sia, scarpa e plantare non possono dare la garanzia di correzione stabile; ✓ quando il piede si mantiene piatto, la correzione può avvenire solo tramite l’intervento che normalmente viene fatto intorno ai 9-10 anni, in anestesia generale, ha la durata media di 10-15 minuti e dopo esso il bimbo cammina praticamente subito senza più bisogno di scarpe ortopediche o plantari. Occorre a ciò aggiungere: • che la scarpa ortopedica va rinnovata col crescere del piede e/o coi cambi di stagione • che il servizio sanitaro rimborsa la scarpa ortopedica laddove si sia in presenza di un piede piatto grave, altrimenti il rimborso vale solo per il plantare. Quando e come fare i controlli? • Intorno ai 3 anni un primo controllo per valutare se vi sia indicazione al plantare/scarpa. • Intorno agli 8 anni per valutare a che punto siamo. È inutile presentarsi allo Specialista con le radiografie dei piedi: sia lo Specialista a decidere se farle o meno e quali radiografie fare. Ma perchè operare? Una parte di piedi piatti in età adulta evolve verso il peggioramento ed il dolore (spesso molte patologie del piede sono legate ad un problema di piede piatto e la loro correzione a volte può non prescindere dal piede piatto). Intervenire precocemente è più semplice. Correggere un piede piatto adulto è più complesso, la convalescenza è più lunga e i risultati più incerti. FISIATRIA • FISIOTERAPIA • ORTOPEDIA • PODOLOGIA • RADIOLOGIA

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LA SCHIENA Qui il problema che più comunemente si presenta nel giovane è la scoliosi (**). Premessa: spesso il problema scoliosi viene associato al problema della lunghezza degli arti inferiori. Può capitare che per motivi diversi la lunghezza degli arti inferiori non sia uguale. Occorre a tal proposito sapere: • che tale situazione è abbastanza comune; • che ciò il più delle volte non comporta alcun problema né di estetica né di funzione né per il presente né per il futuro; • che differenze di lunghezza inferiori a 1-1,5 centimetri non hanno alcun signicato patologico e non peggiorano (esistono le situazioni evolutive ma sono situazioni particolari); • che per valutare una differenza di lunghezza degli arti inferiori, usare il centimetro può esporre ad errori ed insinuare inutili ansie nei genitori: è solo la radiografia che nella maggior parte dei casi può dire se c’è una differenza di lunghezza; • non c’è alcuna indicazione a fare radiografie a tale scopo se non è lo Specialista che lo richiede: i raggi vanno fatti solo quando necessario. Che cos’è la scoliosi? Perchè si parli di scoliosi ci vogliono 2 requisiti: 1. che ci sia una curva della schiena 2. che tale curva evolva cioè che peggiori nel tempo. Cosa significa che la scoliosi evolve? Significa che col passare del tempo la curva peggiora. La differenza di lunghezza degli arti inferiori comporta spesso la comparsa di una curvatura della schiena ma questa non ha in sé un potenziale evolutivo: anche se noi non la curiamo, è improbabile che la curva peggiori. La differenza fra l’essere o no una scoliosi è che per risolvere un problema di schiena legato ad una differenza di lunghezza degli arti inferiori può essere sufficiente un rialzo alla scarpa mentre per un problema di scoliosi può esservi necessità di ricorrere a lunghe terapie riabilitative od al busto (se non addirittura all’intervento), pena il ritrovarsi con peggioramenti progressivi della curva. L’età critica per la scoliosi è di solito l’adolescenza: dall’inizio (gli 11-13 anni) alla fine (i 18-19 anni). 140

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La velocità di peggioramento della scoliosi è massima all’inizio dell’adolescenza e diminuisce col passare degli anni. È bene che all’inizio dell’adolescenza il ragazzo venga visto dallo Specialista (nel dubbio anche prima) perchè le possibilità di correggere o quanto meno contenere una curva scoliotica sono tanto maggiori quanto più precocemente si corre ai ripari. Alla fine dell’adolescenza la schiena ha già una sua conformazione definitiva e tale rimarrà per tutta la vita, salvo peggiorare anche in età adulta se si è in presenza di curve importanti o, in certe fasi della vita (gravidanza, aumenti di peso, menopausa, età anziana, osteoporosi), anche per curve di poco conto. E allora: cosa può succedere a trascurare una scoliosi? La presenza di una scoliosi porta in età adulta alla più facile comparsa di artrosi (con dolore e minor resistenza alla fatica) e, in certe situazioni, ad un progressivo peggioramento della curva con la comparsa di situazioni a volte anche molto invalidanti. Articolo redatto da: Dr. PierGiovanni Barbieri Specialista in Ortopedia e Traumatologia

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IL PIEDE PIATTO Tutti i bambini nascono con il piede piatto. È la norma: quasi tutti evolvono spontaneamente verso lo sviluppo di un piede normale con gli archi plantari ben rappresentati entro i 7-10 anni. Piede piatto Per piede piatto si intende una riduzione fino alla scomparsa o inversione della volta plantare del piede. La volta plantare rappresenta l’incavo presente normalmente nella pianta del piede dell’adulto, è definita da un arco plantare al bordo mediale, da un arco plantare al bordo laterale e da un arco traverso a livello delle teste metatarsali. A creare e mantenere la volta plantare concorrono sia i rapporti tra le ossa del tarso1 sia l’equilibrio delle tensioni muscolari. Dall’età di due anni è possibile seguire la formazione della volta plantare nello sviluppo del piede del bambino e in caso di persistente piattismo è consigliabile intraprendere una serie di provvedimenti che vanno dalla ginnastica per attivare i muscoli cavisti, alla deamI) Arco longitudinale interno o mediale bulazione a piedi scalzi per permettere ai reII) Arco longitudinale esterno o laterale III) Arco trasverso o anteriore cettori della pianta del piede di inviare impulsi al cervello che coordina il tono di questi muscoli ed infine alla applicazione di plantari che in parte passivamente ed in parte attivamente inducono il piede ad assumere una morfologia corretta. Tuttavia, in una piccola percentuale di casi, lo sviluppo del piede non si completa e si rende necessario intervenire con la chirurgia. Nella maggior parte dei casi si tratta di interventi semplici di chirurgia mininvasiva che a) muscoli del polpaccio con pochi giorni di convalescenza riportano il b) muscoli estensori c) tensioni sul piede bimbo alle normali attività quotidiane; la chid) legamenti della pianta del piede + e) muscolatura pianta del piede + rurgia più impegnativa, che prevede osteoto142

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mie (taglio chirurgico di un osso) e trasposizioni muscolari (spostamenti di fasce muscolari) è riservata a rari casi di deformazioni strutturali del piede spesso già riconoscibili alla nascita. Chirurgia Miniinvasiva Consiste nell’applicazione di una vite al seno del tarso in un’età variabile fra gli 8 e i 13 anni. Il seno del tarso è una formazione anatomica localizzata subito al di sotto del malleolo2 esterno e costituita da un piccolo tunnel che si interpone tra astragalo3 e calcagno4. Sono state descritte varie metodiche che prevedono di volta in volta l’inflissione della vita nella superficie calcaneare del seno (calcaneo-stop), nella superficie astragalica o direttamente nel seno del tarso.

La vite può essere in metallo (titanio o acciaio) o essere in acido polilattico (materiale completamente riassorbibile che ha il vantaggio di evitare un secondo intervento per la rimozione della vite stessa a distanza di 2 - 3 anni). Dopo l’intervento si applica uno stivaletto gessato da carico da portare almeno 25 gg. poi il bimbo può riprendere le normali attività precedenti l’intervento. Articolo redatto da: Danio Dott. Ferrarini - Giacomo Dott. Visioli Specialisti in ortopedia e traumatologia 1

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Tarso: parte dello scheletro del piede, composta di sette ossa, posta tra l’articolazione del collo del piede e il metatarso Metatarso: complesso delle cinque ossa del piede, fra il tarso e le ossa delle dita Malleolo: ciascuna delle due sporgenze ossee laterali del collo del piede formate dall’estremità inferiore del perone e da un prolungamento dell’estremità inferiore della tibia Astragalo: osso del tarso che si articola in alto con la tibia e in basso con il calcagno Tibia: osso della gamba di forma allungata, tra il ginocchio e la caviglia Perone: osso esterno della gamba, accoppiato alla tibia, con cui si articola nella parte superiore Calcagno: osso maggiore del tarso che forma la parte posteriore e inferiore del piede, su cui poggia tutto il corpo FISIATRIA • FISIOTERAPIA • ORTOPEDIA • PODOLOGIA • RADIOLOGIA

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IL PODOLOGO COME FIGURA NELLO SVILUPPO DEL BAMBINO L’età pediatrica è la fase fondamentale dello sviluppo armonico del bambino, in cui la crescita modella la struttura corporea e le problematiche di diversa natura possono, se non valutate, portare problemi più o meno gravi nell’età adulta. La valutazione di una persona non significa analisi settoriale, ma interazione multidisciplinare con inquadramento completo delle problematiche psico-fisiche e sociali dell’individuo. In questa valutazione vengono coinvolte diverse figure professionali, tra le quali riveste particolare importanza la figura del PODOLOGO. Il podologo è l’operatore sanitario che in possesso di laurea in podologia, dopo esame obiettivo del piede, tratta direttamente con mezzi ortesici e protesici tutte le problematiche del piede e svolge il suo lavoro prevalentemente in studi privati, e lì dove il piano regionale lo preveda in strutture pubbliche (asl, ospedale etc…) Fondamentalmente si sottovaluta l’importanza di una corretta funzionalità del piede e ci si dimentica che esso svolge un ruolo di primo piano per il benessere di tutto l’organismo. Pertanto, alterazioni strutturali e funzionali del piede, anche apparentemente banali, possono creare seri disturbi, non solo nella sede di insorgenza ma anche in gran parte delle strutture sovrastanti coinvolgendo tutto il sistema posturale. Inoltre in alcune condizioni patologiche come il diabete, è fondamentale attuare un’adeguato programma preventivo per evitare complicanze anche gravi. Il podologo quindi, attua prestazioni finalizzate e fornire un benessere immediato, favorire la deambulazione e migliorare la prestazione sportiva riabilitando un corretto rapporto tra piede e postura prevenendo complicanze locali. Tuttavia nel corso degli anni il delicato ruolo del podologo è stato spesso ricoperto da operatori non qualificati con evidenti rischi della salute del paziente. Appare quindi evidente la necessità di rivolgersi esclusivamente a personale qualificato al fine di ottenere la garanzia delle cure più adeguate alla propria patologia. La valutazione del piede in età evolutiva inizia già dai primi anni di vita del bambino 3/4 anni circa. 144

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Prima di questo periodo il bambino per normale costituzione presenta un pannicolo adiposo plantare di protezione che in qualche modo non permette una visione adeguata della conformazione del piede (infatti bambini con età inferiore ai 3 anni analizzati presentavano per la maggior parte dei casi piede piatto). Dai 3/4 anni circa, con la perdita di questo pannicolo, il piede si presenta con la propria conformazione anatomica, ed è in questo periodo che alterazioni di postura del piede possono essere valutate e si può iniziare un intervento correttivo la dove necessita per evitare l’instaurarsi di deformità non più correggibili se non mediante interventi in età adulta. L’ esame obiettivo si avvale di diversi momenti di valutazione che sono: - Valutazione visiva - Analisi del piede in carico e scarico. - Valutazione del cammino (valutando il bambino durante la deambulazione a piede scalzi ci permette di notare se presenta anomalie di postura del piede es. presenza di piede piatto o cavo). - Valutazione del cammino e della postura mediante la pedana baropodometrica, (questo esame ci permette di analizzare il piede in momenti diversi: statica - dinamica - posturale. Questa analisi ci da la possibilità di evidenziare problemi sia a livello del piede durante l’appoggio sia della postura mantenuta dal bambino).

Pedana baropodometrica

- Manipolazioni del piede per valutare la mobilità delle articolazioni. A titolo esplicativo alcuni interventi specialistici sono: - Confezionamento di ortesi1 plantari utilizzate per correggere squilibri strutturali nel piede del bambino (dopo valutazione con pedana baropodometrica) - Uso di ortesi al silicone come prevenzione per evitare deformità digitali (posizione di ortesi al silicone compensative per mantenere o riportare in posizione anatomica le dita). - Valutazione e controlli delle calzature (consigliare le calzature più FISIATRIA • FISIOTERAPIA • ORTOPEDIA • PODOLOGIA • RADIOLOGIA

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idonee per un corretto cammino del bambino e controllo periodico della calzatura). In conclusione il podologo che interviene nell’età evolutiva si prefigge di valutare a scopo preventivo mediante analisi completa del cammino, l’instaurarsi di patologie a carico del piede e di correggere la dove possibile problematiche presenti. Inoltre mediante la valutazione può indirizzare il bambino allo specialista o con l’uso di ortesi correttive che permettano di correggere la postura del piede, ripristinare la corretta deambulazione e migliorare problemi posturali globali del bambino stesso e permetterne lo sviluppo armonico, riducendo o addirittura risolvendo i problemi. Articolo redatto da: Valerio Zambello Podologo

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Ortesi: apparecchio applicabile al corpo per correggere un’anomalia funzionale, ma che non sostituisce parti anatomiche mancanti

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UTILIZZO DELLA DIAGNOSTICA PER IMMAGINI IN GIOVANI FRA I 5 E I 14 ANNI Lo Specialista Radiologo ha negli ultimi anni aggiunto alle indagini tradizionali, basate su radiografie, altre metodiche basate su principi fisici diversi e che hanno ampliato la sua capacità di inquadrare diagnosticamene i pazienti. Per questo motivo la stessa dizione di Specialista in Radiologia si è aggiornata in quella di Specialista in Diagnostica per immagini. Vediamo quali sono oggi le principali metodiche a sua disposizione: 1) Esami radiologici Nata più di cento anni fa, la radiografia è la più semplice e la più consolidata delle tecniche di diagnostica per immagini. Ed è anche la più economica. È adatta a studiare principalmente le ossa e i polmoni. I raggi X emessi dalla macchina passano attraverso il corpo del paziente dove vengono più o meno attenuati a seconda del tessuto che attraversano. I raggi che non sono assorbiti dal corpo impressionano la pellicola che si trova dietro. Perciò, in corrispondenza degli organi molto densi come le ossa, che lasciano passare pochi raggi, la lastra sarà bianca, mentre strutture poco dense come l’aria contenuta nei polmoni o nell’intestino lasciano passare molti raggi e appaiono perciò scure. Inoltre con l’aiuto di mezzi ausiliari (mezzi di contrasto) si possono studiare altri settori del corpo, come il tubo digerente, i vasi del corpo. I raggi X sono radiazioni ionizzanti, non innocue per il nostro organismo e nocive se non usate correttamente e in caso solo di necessità. Particolare attenzione va rivolta a donne in età fertile, in gravidanza e in giovani pazienti. Per questo le radiografie devono essere effettuate solamente quando l’esame è giustificato dal quesito clinico e non ottenibile con altre metodiche. (principio della giustificazione) Le dosi massime di esposizione sono fissate per legge, in modo da non risultare pericolose per la salute. Compito dello Specialista in Diagnostica per immagini è quello di valutare il quesito clinico e consigliare la migliore metodica per quel quesito diagnostico (principio della ottimizzazione, applicando contemporaneamente il principio della giustificazione). Le principali indicazioni di esami radiologici in giovani pazienti sono: FISIATRIA • FISIOTERAPIA • ORTOPEDIA • PODOLOGIA • RADIOLOGIA

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- Un campo importante di applicazione di tutte le radiografie riguarda i traumi (contusioni, distorsioni, lussazioni, fratture). - La radiografia del torace analizza nei dettagli le strutture toraciche, che sono: la gabbia toracica con le coste, i polmoni e le pleure (membrane di rivestimento dei polmoni e della gabbia toracica), i grandi vasi sanguigni del mediastino (la regione compresa tra le due pleure, destra e sinistra, che rivestono il torace), il cuore ed il piccolo circolo (il percorso cuore-polmoni-cuore compiuto dal sangue che deve essere ossigenato). È un’indagine molto usata, perché è veloce e perché si presta a numerosissime applicazioni cliniche (dolore toracico, difficoltà respiratoria, sospetto problema cardio-vascolare, preparazione d’interventi chirurgici, ecc.). - La radiografia della colonna vertebrale è particolarmente utile per i bambini e gli adolescenti, che possono avere deformazioni laterali della colonna dorsale (scoliosi) dovute ad un’errata postura. - La radiografia degli arti è utile per evidenziare la presenza di malformazioni congenite, vale a dire già presenti alla nascita o acquisite. Inoltre si possono valutare eventuali diminuzioni dell’arco plantare del piede (piede piatto) o alterazioni infiammatorie a livello delle ginocchia. - Nei bambini e giovani l’esame radiografico del cranio e dei seni paranasali è eseguito, oltre che in caso di sospetta malformazione per valutare l’entità di eventuali traumi e in caso di segni e sintomi che fanno sospettare una anomalia del sistema nervoso centrale. - Per valutazione dell’età ossea, mediante una radiografia della mano e del polso, nei casi in cui ci sia una sospetta discrepanza fra età cronologica e sviluppo corporeo. Metodica che usa radiazioni ionizzanti e che quindi necessita delle stesse precauzioni e attenzioni riportate per la Radiologia sopra citate è la TAC, che permette di avere, per la sua alta risoluzione spaziale, importanti elementi diagnostici. 2) Ecografia Si tratta di un esame che non utilizza radiazioni ionizzanti, ma ultrasuoni. Non ha quindi le controindicazioni degli esami radiologici. È esame semplice, rapido ed economico. È adatto a esaminare tutti i tessuti molli (tiroide fegato, milza, pancreas).Valuta bene anche i reni e le vie urinarie, per una diagnosi precoce e un monitoraggio di stasi delle vie urinarie. È particolarmente usato per valutare lo sviluppo delle anche, alla nascita del bambino (entro i 3 mesi di vita). 148

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3) Risonanza Magnetica Nucleare (RMN) Rappresenta la terza e più giovane delle metodiche introdotte.Non è una metodica ionizzante, ma ha limitazioni legate alla presenza di parti metalliche all’interno del corpo, per i campi magnetici che si creano nell’esame. La risonanza magnetica analizza il comportamento delle molecole di acqua (che rappresentano l’80% della massa del corpo umano) quando sono sottoposte a particolari campi magnetici. Il paziente, immobile, viene posto in un grosso magnete. Questa metodica, per la sua alta capacità di analizzare le parti molli e il contrasto delle strutture, serve per visualizzare in modo ottimale muscoli, tendini, la cartilagine articolare, oltre che per un’ottimale studio del cervello e del midollo spinale. Da questa rapida carrellata complessiva si evince come solo da un uso integrato e giustificato delle varie metodiche si possa ottenere un buon risultato diagnostico. Compito dei genitori sarà di osservare i propri figli e segnalare al proprio Pediatra o Medico di famiglia eventuali sospetti di alterazioni fisiche o di altra natura, in modo da consentire che i Medici possano guidare ed indirizzare i pazienti ai vari Specialisti, fra i quali quello in Diagnostica per immagini, per l’ottimale gestione del caso. Articolo redatto da: Dr. Antonio Bonanno, Dr. Antonio Gullì, Dr. Francesco Maledera Specialisti in Radiologia presidio ospedaliero Oglio Po

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LA CELIACHIA La celiachia è una allergia al glutine geneticamente determinata (una sostanza proteica presente in alcuni cereali quali orzo, segale e frumento) la cui assunzione provoca un danno alla mucosa intestinale e possibili alterazioni dell’assimilazione degli alimenti ingeriti. Qual’è il peso sociale di questa condizione? In Italia si stima che una persona ogni 100-150 sia affetta da celiachia; tuttavia i celiaci attualmente riconosciuti sono solo 35 mila, segno che questa condizione fino a qualche anno fa spesso non veniva riconosciuta. Le attuali conoscenze hanno permesso di migliorare l’accuratezza e la tempestività della diagnosi di celiachia, che attualmente viene posta ogni anno in 5.000 soggetti, 2.800 dei quali neonati. La celiachia può colpire qualsiasi fascia d’età: l’intolleranza può comparire più o meno acutamente in un periodo qualsiasi della vita, molto spesso in seguito ad un evento emotivamente stressante, ad un intervento chirurgico, ad una infezione intestinale. Quali sono le manifestazioni cliniche? Il bambino celiaco è intollerante al glutine fin dalla nascita, ma i sintomi della malattia compaiono solo dopo lo svezzamento, quando cioè vengono introdotti nella dieta alimenti contenenti glutine, quali ad esempio il semolino, la pastina, i biscotti, il pane, i grissini, etc. Nei casi “tipici” il bambino presenta un marcato rallentamento della crescita a cui si accompagnano un aumento di volume dell’addome, che appare gonfio, e l’assottigliamento dei muscoli delle braccia e delle gambe. Il piccolo si presenta inoltre pallido, apatico, facilmente irritabile, e si alimenta malvolentieri: il suo aspetto caratteristicamente viene rappresentato come un bimbo molto magro, di statura bassa rispetto all’età, stanco e affaticato. Molto frequentemente è presente una diarrea cronica, caratterizzata da feci molto abbondanti, untuose e di odore fetido (per la presenza di alimenti scarsamente digeriti e non assorbiti). Nel bambino più grande e nell’adulto la celiachia decorre in modo più subdolo, con sintomi meno evidenti o confondenti. Possono ad esempio comparire anemia persistente, vaghi disturbi della digestione, turbe dell’umore, in sostanza sintomi poco specifici che pertanto vengono spesso trascurati, consentendo così alla malattia di evolvere. GASTROENTEROLOGIA

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Infine, esistono soggetti affetti da celiachia che non lamentano sintomi o nei quali i disturbi sono talmente modesti da non richiedere l’intervento del medico, e che pertanto vengono sottoposti ad accertamenti solo perché nell’ambito familiare vi è un altro membro affetto da celiachia. È infatti noto che il 10-20% dei parenti di primo grado di un celiaco può a sua volta esserne affetto; non è quindi corretto parlare di vera e propria ereditarietà ma piuttosto di “predisposizione familiare”. Non raramente alla celiaca sono associate altre patologie autoimmuni quali il diabete, l’artrite reumatoide, le alterazioni della tiroide. Come fare diagnosi di celiachia? La diagnosi di celiachia si compone, oltre che di una accurata valutazione dei sintomi e della storia clinica da parte del Medico Curante o dello Specialista, di due ordini di accertamenti: • esami del sangue per la ricerca di alcuni auto-anticorpi specifici (antiendomisio, anti-transglutaminasi, anti-gliadina) • esofagogastroduodenopscopia con biopsie nel duodeno (gastroscopia di parte dell’intestino tenue) A quali conseguenze può portare la celiachia? La diagnosi di celiachia è di fondamentale importanza soprattutto nei bambini, perché può essere causa di rallentata crescita e sviluppo. Anche nelle persone adulte tuttavia il cattivo o parziale assorbimento delle sostanze nutritizie può portare ad alterazioni funzionali dell’organismo, conseguenti al malassorbimento. In particolare: • Osteoporosi, perché assorbire poco calcio e vitamina D può indebolire la struttura ossea. • Anemia, per la carenza di ferro o vitamine. • Disordini della coagulazione, per ridotto assorbimento di vitamina K. • Dermatite erpetiforme (malattia cronica che colpisce la cute e l’intestino), per deposito cutaneo di IgA. • Infertilità o aborti: ve ne è una maggiore incidenza determinata in particolare dalla carenza di folati. • Alterato funzionamento della tiroide: chi è affetto da celiachia infatti è tre volte più soggetto a soffrire di affezioni tiroidee rispetto ad un soggetto non celiaco. 154

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Qual’è la cura? Attualmente per curare la celiachia l’esclusione dalla dieta di alcuni degli alimenti più comuni quali pane, pasta, biscotti e pizza, risulta l’unica cura efficace; si tratta di una terapia volta all’eliminazione del glutine della dieta e che comporta pertanto attenzione da parte della persona che ne è affetta ed una scrupolosa igiene riguardo a tutto ciò che viene a contatto con il cibo, al fine di eliminare anche le più piccole tracce di farina da ogni stoviglia. Ciò comporta un non indifferente sforzo in ambito di educazione alimentare, poiché l’inavvertita assunzione di glutine, anche in piccole dosi, può causare danni anche gravi alla salute di queste persone. La dieta senza glutine, condotta con rigore, rappresenta l’unica terapia che consente a chi è affetto da celiachia di ottenere la risoluzione dei sintomi, la correzione dei deficit nutrizionali e quindi di condurre una vita normale. Va segnalato tuttavia che vi sono incoraggianti scenari per il futuro: gli sforzi attuali della ricerca sono infatti concentrati a identificare un enzima capace di scomporre proprio quella parte del glutine che risulta tossica per i celiaci. In futuro potrebbe quindi essere messo in commercio un farmaco da assumere allorché si mangi qualche alimento “proibito”. Altri studiosi hanno scoperto una proteina in grado di regolare la risposta immunitaria dell’organismo in persone celiache, e lavorano allo studio di un vaccino preventivo. Cosa possono mangiare i soggetti celiaci? Vi sono alimenti ad alto contenuto di glutine, e quindi da considerarsi tossici, che devono tassativamente essere banditi dalla dieta, ed altri che si possono mangiare tranquillamente. Vi sono poi alimenti che, a seconda del Produttore, possono contenere o meno glutine, in quanto tale sostanza viene utilizzata nel processo di trattamento dell’alimento stesso: in tal caso sarà necessario controllare scrupolosamente le caratteristiche di composizione e produzione al momento dell’acquisto. Grande attenzione deve essere inoltre rivolta a tutti quei comportamenti che si compiono in modo automatico: inghiottire una pillola ad esempio, può essere dannoso, se tra gli eccipienti vi è glutine. Massima attenzione deve anche essere posta in cucina: vietato riutilizzare l’olio per friggere (potrebbe essere stato contaminato da cibi infarinati o impanati) e vietato utilizzare la stessa macchinetta del caffè per preparare quello d’orzo. Attenzione infine ai prodotti commerciali confezionati, spesso addizionati di emulsionanti o addensanti a base di cereali. GASTROENTEROLOGIA

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Semaforo rosso (alimenti vietati) per: farine di orzo, segale e frumento; pasta; pane; pizza, focaccia, fette biscottate, cracker e grissini; biscotti, torte confezionate, snack e merendine; pasta fresca, ravioli e gnocchi; yogurt ai cereali o al malto; creme (besciamella, crema pasticcera ecc.) a base di farina; alimenti impanati; minestroni già pronti con cereali; birra; caffè d’orzo o segale. Semaforo giallo (alimenti da controllare) per: panna montata, budini, purè istantaneo, yogurt alla frutta, formaggi fusi e sottilette, salumi ed insaccati, marmellate, creme spalmabili al cacao e cioccolata, gelati già confezionati, dadi, caramelle e gomme da masticare, maionese, senape e salsa di soia, oli di semi vari. Semaforo verde (alimenti consentiti) per: riso, pasta speciale senza glutine, semolino di riso, farina di miglio, soia, mais, riso, castagne, ceci e tapioca, carne, pesce, polenta, uova, latte e formaggi, tutti i tipi di verdura, tutti i tipi di frutta fresca, legumi, frutta secca e sciroppata, bevande gassate (aranciata, cola, chinotto), caffè e the, grappa, rum, vini, spumanti, gelati e sorbetti fatti in casa, torte, dolci e biscotti fatti in casa con le farine permesse, zucchero e miele, budini preparati in casa, burro, oli di oliva, mais, vinaccioli, soia, riso, girasole e arachide. Pareri ancora discordanti sono espressi al riguardo del consumo di avena, whisky, gin e wodka. Aspetti burocratico-sanitari La celiachia, in quanto patologia cronica, dà diritto ad un’esenzione del ticket sia per l’acquisto dei prodotti senza glutine (SOLO SE ACQUISTATI IN FARMACIA), sia per l’esecuzione delle analisi periodiche che è necessario effettuare per accertarne lo stato di remissione. Conseguentemente alla diagnosi, il celiaco deve essere seguito attraverso visite periodiche per accertare la correttezza della dieta, la normalità degli esami del sangue (compresa la negativizzazione degli auto-anticorpi) e l’assenza di sintomi. Solo in casi particolari sarà necessario ripetere un esame endoscopico di controllo. Articolo redatto da: Dr. Nicola Mantovani, Dr. Thomas Togliani Specialisti in Gastroenterologia Ospedale Carlo Poma

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HPV (PAPILLOMA VIRUS) E VACCINO L’infezione da Human papillomavirus rappresenta la più comune e diffusa delle malattie a trasmissione sessuale (con oltre 6 milioni di nuove infezioni/ anno in USA), le cui differenti conseguenze di pertinenza onco-ginecologica sono il riflesso del rilevante ruolo carcinogenetico di alcuni genotipi virali. Esistono circa 120 «genotipi» del virus HPV che infettano l’uomo, un terzo dei quali associato a patologie del tratto anogenitale, sia benigne che maligne. Dei 120 genotipi, il tipo 16 è associato a circa il 50% dei casi di tumore alla cervice uterina, il tipo 18 del 20% e i restanti genotipi di circa il 30%. I genotipi 6 e 11 sono responsabili del 90% dei condilomi genitali. L’infezione da HPV è più frequente nella popolazione femminile. Si calcola che il 75% delle donne sessualmente attive si infetti nel corso della vita con un virus HPV, e fino al 50% con un tipo oncogeno. Ci vogliono però molti anni perchè le lesioni provocate dall’HPV si trasformino, e solo pochissime delle donne con infezione da papilloma virus sviluppano un tumore del collo dell’utero. La maggior parte (70-90%) delle infezioni da HPV è, infatti, transitoria e guarisce spontaneamente senza lasciare esiti. L’intervallo di tempo che trascorre tra l’infezione e l’insorgenza delle lesioni precancerose è in genere di circa cinque anni, mentre la latenza per l’insorgenza del carcinoma cervicale può essere di decenni. Si possono quindi distinguere diversi tipi di conseguenze cliniche HPVcorrelate: carcinomi della cervice uterina, carcinomi del basso tratto genitale (vulva, vagina, perineo, ano, pene), lesioni preneoplastiche del basso tratto genitale (basso ed alto grado), carcinomi di pertinenza non ginecologica (cavità orale, laringe, faringe, prostata, vescica) in cui l’HPV gioca un ruolo oncogeno non ancora chiarito, condilomatosi genitale1 e papillomatosi2 respiratoria ricorrente. Oggi è stato messo a punto un vaccino che, con utilizzo di tecniche di ricombinazione genica, evoca in modo potente l’immunità umorale dell’ospite, in modo superiore a quella dell’infezione naturale ma senza alcun rischio di contrarre l’infezione. L’obiettivo principale della vaccinazione anti-HPV è la prevenzione primaria nei confronti del cancro della cervice uterina, delle lesioni preneoplastiche (a basso e ad alto grado) che lo precedono e delle lesioni precancerose della vulva e della vagina. GINECOLOGIA

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L’ottenimento di questo traguardo è dato dalla presenza nel vaccino, dei genotipi a più elevato rischio oncogeno cioè l’HPV 16 e 18. Questi ultimi, pur presentando variazioni geografiche, sono comunque presenti nel 70% dei carcinomi della cervice uterina. L’efficacia vaccinale è del 100%, o del 71% nelle donne esposte in precedenza al virus (secondo un recente studio pubblicato sulla rivista “ Lancet” che ha seguito 18mila donne per 3 anni). Viene considerato il momento più opportuno per eseguire il vaccino ed ottenere il massimo di risultato in termini di efficacia il periodo antecedente i primi rapporti sessuali, poiché il Virus viene trasmesso attraverso tale via. Il vaccino verrà offerto, dal Sistema Sanitario Nazionale, in maniera gratuita alle dodicenni. Per quanto riguarda tutte le altre fasce d’età è già disponibile in farmacia a pagamento, dietro prescrizione medica. Il farmaco si chiama Gardasil. È composto da 3 dosi: la seconda va somministrata a distanza di 2 mesi dalla prima e la terza a distanza di 6 mesi. Obiettivo non secondario è, inoltre, la prevenzione della patologia benigna HPV- correlata, cioè la condilomatosi ano-genitale. In questo senso l’inserimento dei genotipi HPV 6 ed 11 nel vaccino quadrivalente si traduce nella protezione pressoché totale (> 90%) da questa patologia. È bene non sottovalutare queste manifestazioni cliniche che, seppure a carattere benigno, hanno notevoli risvolti psicologici ed economici sulla comunità. Gli studi condotti sulla popolazione femminile con vaccino quadrivalente (Gardasil) hanno dimostrato l’efficacia protettiva del 100% nei confronti di tale patologia. Non bisogna però che la donna vaccinata trascuri i regolari i controlli ginecologici (visita, Pap Test) considerando che la vaccinazione non può comprendere tutti i tipi virali ad alto rischio, e che soprattutto, non protegge delle altre patologie sessualmente trasmissibili. Il vaccino contro l’HPV secondo le informazioni scientifiche oggi disponibili, è sicuro, ben tollerato e in grado di prevenire nella quasi totalità dei casi l’insorgenza di un’infezione persistente dei due ceppi virali responsabili attualmente del 70% dei casi del tumore della cervice uterina. Dovrà essere osservata una particolare cautela alla somministrazione del vaccino in donne in età fertile, poichè, sebbene nelle gravidanze insorte durante gli studi clinici dei due vaccini non sia stato rilevato alcun impatto nega160

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tivo sulla fertilità in termini di incidenza di aborti spontanei, morti intrauterine e anomalie congenite, i dati attualmente disponibili non sono sufficienti per raccomandarne l’uso in gravidanza, pertanto sarebbe consigliabile eseguire un test di gravidanza prima della vaccinazione e nei 6 mesi seguenti (tempo necessario per le altre 2 dosi di richiamo) terapia anticoncezionale. Articolo redatto da: Dr. Vincenzo Siliprandi Specialista in Ginecologia-Ostetricia Ospedale Oglio Po Cremona

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La condilomatosi genitale è una malattia a trasmissione sessuale. I condilomi, detti anche verruche veneree, possono diffondersi sui genitali interni ed esterni, e su qualsiasi mucosa interessata dal rapporto. Papillomatosi respiratoria ricorrente: patologia delle vie aeree o dell’apparato respiratorio che provoca lesioni non cancerose ma molto fastidiose alla gola che, sviluppandosi, possono ostacolare gradualmente la respirazione, bloccando le vie aeree. GINECOLOGIA

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SESSUALITÀ ED ADOLESCENZA Parlare di adolescenza è affascinante ma nel contempo difficile. Il tema dell’adolescenza può essere declinato in vari modi. La contraccezione sicuramente rappresenta un tema importante nelle teenager. Le indagini condotte in Italia negli ultimi anni hanno evidenziato una realtà complessa, che vede da un lato un numero sempre maggiore di adolescenti che si dichiarano sessualmente attive, dall’altro fa emergere l’evidenza di una informazione abbastanza diffusa ma molto generica e pertanto imprecisa riguardo la contraccezione. Risulta così sempre più importante elaborare possibili risposte efficaci alle problematiche adolescenziali. In particolare, è necessario focalizzare l’attenzione verso l’impegno alla educazione sessuale, anticoncezionale e comportamentale in genere, con particolare attenzione alle malattie sessualmente trasmesse. Il compito di “educare” si dovrebbe basare su una stretta collaborazione tra consultori, medici di medicina generale, scuola, genitori e gli stessi adolescenti. Ma non è facile attivare questi circuiti. Spesso insorgono problematiche di tipo organizzativo, talora più semplicemente aspetti sociali e culturali, come il disinteresse di istituzioni e professionisti. Un ruolo di fondamentale importanza lo dovrebbe avere anche il medico di medicina generale che andrebbe coinvolto in questi processi di attenzione, informazione, controllo, risultando essere un punto nodale del sistema sanitario, anche in termini di prevenzione, che pur va esercitata in particolare verso le malattie sessualmente trasmesse e le gravidanze non desiderate. Gli adolescenti sono il nostro futuro, e noi operatori sanitari non possiamo dimenticarlo né dimenticarli. L’adolescenza rappresenta un’età della vita così ricca ed irruente, ma così fragile. L’adolescenza è il periodo dei fermenti emotivi e dei timori. A volte si creano condizioni o percezioni di presunte patologie da parte del giovane che, in assenza di informazioni ed indirizzi corretti, possono scatenare ansie ed angosce, spesso sproporzionate rispetto al reale peso clinico del presunto problema. Diverse patologie andrologiche (malattie dell’apparato sessuale maschile) e ginecologiche (varicocele, ovaio policistico, malformazioni, malattie genetiche, disturbi di identità in genere, ecc.) si manifestano clinicamente proprio in tale periodo della vita e quindi una loro diagnosi precoce è determinante per la prevenzione di alterazioni organiche, funzionali e psichiche che, se non affrontate precocemente, possono divenire irreversibili 162

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e condizionare il benessere presente e futuro del giovane. Tuttavia nell’adolescenza si possono verificare anche reali condizioni di disagio, si possono sviluppare comportamenti e dinamiche di gruppo che possono facilitare percorsi a rischio verso le dipendenze. Spesso nell’adolescenza si sperimentano i primi rapporti sessuali, con le problematiche relative alla sfera psichica, alla contraccezione e alla possibile esposizione alle malattie sessualmente trasmesse. La legge 28 agosto 1997, n. 285 (GU n.207 del 5 settembre 1997), interviene con “Disposizioni per la promozione dei diritti e di opportunità per l’infanzia e l’adolescenza”, per favorire la promozione dei diritti, la qualità della vita, lo sviluppo, la realizzazione individuale e la socializzazione dell’infanzia e dell’adolescenza. Ma nonostante tutto questo, gli adolescenti ed i giovani frequentano poco i Consultori Familiari, sia perché spesso non ne conoscono l’esistenza, sia per la “diffidenza” verso strutture frequentate da adulti per problematiche inerenti quasi esclusivamente la sessualità; spesso si crea la convinzione che il semplice accesso ai servizi possa essere visto come una dichiarazione di avere problematiche legate alla sessualità. È fondamentale dunque l’implementazione di una medicina d’opportunità e d’iniziativa, in una strategia operativa mirata ad attribuire al contatto un significato di intervento preventivo. Oltre al tema della contraccezione, gli adolescenti percepiscono sempre di più, anche se non abbastanza, la problematica relativa alle malattie a trasmissione sessuale (STD; Sexually Transmitted Diseases). Per capire la rilevanza di tale problematica nell’età dell’ adolescenza, è necessaria una breve indagine preliminare sui comportamenti sessuali a rischio nei giovani. Perché un numero così elevato di giovani sessualmente attivi adotta dei comportamenti a rischio nei confronti delle STD? Nel tentativo di poter rispondere a questa domanda, appare utile seguire l’impostazione di Moore e Rosenthal (1) che espongono e disaminano alcuni dei miti giovanili. Il primo di questi, definito come il “mito della fiducia nell’amore”, giustifica il comportamento a rischio del giovane con la convinzione che una relazione monogama e duratura non ha caratteristiche di rischio, e non richiede pertanto l’uso di precauzioni. Ma cosa significa per un/una giovane “rapporto regolare”? Il periodo che consente di definire una relazione come “regolare” varia da un mese sino al matrimonio, con una durata media di circa 6 mesi; per alcuni adolescenti, la GINECOLOGIA

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norma è rappresentata dalla “monogamia seriale”, ossia da una successione di rapporti permanenti. I giovani non tengono conto della storia sessuale dei loro partner. Il secondo mito si può definire “non-a-me”: malgrado che la maggior parte dei giovani sia a conoscenza delle campagne informative sul rischio delle STD, solo pochi di essi pensano che la questione possa riguardarli da vicino. Essi percepiscono l’esistenza e la minaccia delle malattie come un qualcosa che riguarda “altri” (gruppi “a rischio”, omosessualità, tossicodipendenza…), ma non se stessi: la convinzione che ciascuno sia speciale, sicuro, invulnerabile, onnipotente (“a me non può succedere”) si rivela presente in varie situazioni (fumo, uso di sostanze) ed è uno degli aspetti più problematici nell’approccio al mondo giovanile, specialmente per il medico di famiglia che, ricordiamolo, spesso incontra i giovani per motivi occasionali/burocratici e non sempre coglie l’occasione per svolgere un approccio di medicina di opportunità. Un terzo mito è quello dell’“Alea”, ossia del rischio volutamente cercato e (si ritiene) controllato: si fa sesso non sicuro con lo stesso spirito con cui si assumono alcol/sostanze, o si guida in modo spericolato, o si fanno sport estremi senza preparazione. L’amore per il rischio è uno degli aspetti tipici dell’età adolescenziale; sta agli adulti (genitori, operatori scolastici, medici) agire come “istruttori di scuola guida”, ossia incanalando nei percorsi di controllo la ricerca del rischio. Emerge dunque il ruolo fondamentale della famiglia, della scuola, degli operatori sanitari di ricerca/individuazione dei comportamenti a rischio attraverso il dialogo, l’ascolto, eliminando l’onnipresente timore di “dire troppo” o “dire troppo poco”. Volendo scendere nel particolare, non si deve ritenere che l’uso del profilattico sia semplice e alla portata di tutti: molti adolescenti d’ambo i sessi non possiedono la necessaria confidenza con questo semplice strumento, temono che possa rovinare il rapporto, non riescono a condividere con il partner il desiderio di utilizzarlo, oppure non sanno come rifiutare un rapporto a rischio. Soffermandoci ulteriormente sulle malattie a trasmissione sessuale, l’incidenza è notevolmente aumentata in questi ultimi anni. La maggior parte dei pazienti sintomatici si trova nella fascia di età compresa tra i 15 e i 30 anni, dunque un adolescente che presenta sintomi più o meno evidenti di tipo genito-urinario andrebbe sempre ben indagato. La sintomatologia con cui, frequentemente, si presentano queste malattie può essere riassunta in queste situazioni: 164

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✓ Uretrite1 (con secrezione); ✓ Disuria2; ✓ Vaginite3 (con secrezione maleodorante); ✓ Irritazione genitale e rossore (propri dell’HIV, sifilide, epatite B); ✓ Prurito vaginale; ✓ Cervicite4; ✓ Dolore ai quadranti addominali inferiori e posteriormente alla schiena simile alla malattia pelvica infiammatoria; ✓ Dispareunia5; ✓ Ulcere nella regione anorettale. Il principale problema resta quello diagnostico perché l’adolescente, spesso, non sa riconoscere i segni e i sintomi con cui esse si presentano; non bisogna inoltre sottovalutare il ruolo che gioca la paura che qualsiasi sintomo si presenti dopo un rapporto sessuale possa essere il segno di una malattia a trasmissione sessuale. Alcuni adolescenti, probabilmente la minoranza, comprendono le possibili complicanze legate alle malattie veneree e accolgono l’invito ad eseguire una visita specialistica. Altri invece non lo accettano e lo considerano un’esperienza umiliante non seguendo i controlli. La giovane età costituisce un fattore di rischio per l’acquisizione delle infezioni sessualmente trasmesse (IST) e questo è probabilmente attribuibile al fatto che i tessuti genitali sono ancora immaturi e quindi più recettivi ai patogeni, nonché ad una maggiore probabilità di comportamenti a rischio (2, 3). Dal 1° gennaio 1991 al 31 dicembre 2005, il Sistema di Sorveglianza ha raccolto un totale di 18.243 nuovi casi di IST tra i giovani di età compresa tra i 15 e i 24 anni, pari al 18.8% di tutti i casi di IT segnalati al Sistema di Sorveglianza nello stesso periodo. Il 51.7% è stato diagnosticato in uomini, il 92.5% in individui eterosessuali ed il 21,0% in pazienti non italiani. Il 48.2% dei pazienti riferiva di non avere utilizzato nessun metodo contraccettivo negli ultimi 6 mesi, il 12,9% di avere avuto già una IST in passato e il 4,3% dichiarava di aver fatto uso di droghe per via iniettiva. Relativamente al comportamento sessuale, il 52.4% dichiarava di avere avuto un solo partner negli ultimi sei mesi, mentre il 45,5% di averne avuti due o più negli ultimi sei mesi. Dalla distribuzione dei casi per tipo di diagnosi è emerso che le patologie più frequenti tra i giovani sono state i condilomi acuminati ano-genitali (49,0%) e le infezioni di Chlamidya trachomatis (12,5%). Dopo il 2000 la sifilide primaria (sifilide I-II), la sifilide latente e le infezioni gonococciche hanno fatto registrare un aumento delle segnalazioni. Relativamente al sierostato per HIV, GINECOLOGIA

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fra i 18.243 casi segnalati di IST in pazienti giovani, 11.637 (68,8%) hanno effettuato il test anti-HIV e 528 (4,5%) sono risultati positivi. Tra questi, il 35,6% scopriva di essere positivo al momento della diagnosi di IST. In Italia i giovani rappresentano un quinto di tutti i casi di IST segnalati. Le diagnosi più frequenti sono stati i condilomi acuminati ano-genitali e le infezioni clamidiali. L’Organizzazione Mondiale della Sanità raccomanda l’effettuazione di un test HIV in tutti i pazienti con una diagnosi di IST. Un terzo dei giovani HIV positivi con IST ignorava il proprio sierostato HIV costituendo, a loro insaputa, una fonte di infezione attraverso contatti sessuali non protetti o trasmissione per via parenterale (aghi). Questi giovani a cui non era stata diagnosticata l’infezione da HIV non hanno potuto usufruire di un management precoce e di cure appropriate, che sappiamo possono garantire una sopravvivenza oltre i 20 anni ed una qualità di vita eccellente. Conclusioni L’età del primo rapporto si è abbassata e per questo ci si aspetterebbe un maggiore ricorso alla EC (educazione contraccettiva) anche ad età inferiori, ma ciò non accade; è aumentato l’uso del profilattico, che spesso però viene mal utilizzato. Quando si analizzano i dati relativi alle adolescenti che afferiscono al consultorio, emerge come la prima visita sia richiesta soprattutto da ragazze maggiorenni, anche se i primi rapporti sessuali si hanno intorno ai quindici - sedici anni o anche prima, e il motivo di questo sfasamento è da ricercare nella paura che la richiesta contraccettiva consenta al medico, se la ragazza è minorenne, di avvertire i genitori. Non meravigliamoci quindi se negli ultimi anni è in aumento il ricorso all’IVG (interruzione volontaria di gravidanza) delle minori. È necessario dunque avviare programmi congiunti tra consultorio/scuola/famiglia/medici di base al fine di: ✓ informare i giovani sulle presentazioni cliniche delle IST e sulle possibili complicanze e sequele di queste patologie; ✓ sensibilizzare alla necessità di rivolgersi al proprio medico di fiducia in caso di presenza di segni o sintomi compatibili con una IST; ✓ educare all’uso del condom, non solo come mezzo anticoncezionale ma anche come metodo preventivo per evitare l’acquisizione di infezioni; ✓ promuovere l’effettuazione del test HIV in tutti i giovani affetti da una IST. 166

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Più in generale: ✓ convincere gli adolescenti a modificare le proprie abitudini sessuali non è compito facile, e richiede la partecipazione di tutti (famiglie, scuole, massmedia, operatori sanitari); ✓ occorre comprendere che il comportamento sessuale, nonostante i cambiamenti intercorsi nella società, è fortemente influenzato dalle differenze di genere: i ragazzi continuano ad avere più partner, a considerare importante il bisogno di sesso, a cercare i rapporti occasionali, mentre per le ragazze il sesso è ancora vissuto con maggior partecipazione, desiderio di amore e aspetti di romanticismo; ✓ occorre esplorare il contesto entro il quale i ragazzi costruiscono le proprie esperienze sessuali, cessando di considerare gli adolescenti come un gruppo omogeneo: le informazioni circa l’uso del profilattico e il rischio di diffusione delle STD devono essere differenziate sia secondo il genere che secondo la personale percezione del rischio. BIBLIOGRAFIA 1) Moore S, Rosenthal D. “Adolescenza e sessualità”. Franco Angeli, Milano, 2007. 2) Fenton KA, Lowndes CM, the European surveillance of Sexually Transmitted Infections (ESST) Netwoek. “Recent trends in the epidemiology of sexually transmitted infections in the European Union”, Sex Transm Infect, 80, 255263, 2004. 3) Kucinskienè V, Sutaitè I, Valiukevicienè S et al. “Prevalence and risk factors of genital Chlamydia trachomatis infection”, Medicina (Kaunas), 42, 10, 885894., 2006. Articolo redatto da: Dr.ssa Marzia Isabella Maini, dr.ssa Alessandra Gazzoni U.O Ostetricia e Ginecologia, Ospedale “C. Poma”, Mantova

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Uretrite: infiammazione dell’uretra (canale che porta l’urina dalla vescica all’esterno) Disuria: difficoltà nell’emissione dell’urina Vaginite: processo infiammatorio che colpisce la vagina Cervicite: processo infiammatorio al collo dell’utero detta cervice Dispareunia: dolore nell’area vaginale accusato dalla donna durante il rapporto sessuale GINECOLOGIA

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IL CICLO MESTRUALE Il ciclo mestruale è il periodo compreso tra una mestruazione e la successiva. Accompagna la vita della donna dalla prima mestruazione (menarca) fino all’ultima (menopausa). Il ciclo mestruale è regolato da diversi ormoni,sostanze naturali prodotte da alcune ghiandole endocrine (ghiandole che secernono ormoni) che attraverso il circolo ematico raggiungono vari organi dove svolgono la loro azione specifica. Il centro regolatore è rappresentato dall’ipofisi, ghiandola endocrina situata alla base del cervello che produce due ormoni (gonadotropine): l’ormone follicolostimolante (FSH) e quello luteinizzante (LH). Questi ormoni ipofisari agiscono sull’ovaio causando la maturazione della cellula uovo con la sua liberazione durante l’ovulazione e la produzione di due ormoni: estrogeni e progesterone. Gli ormoni ovarici agiscono soprattutto sull’utero stimolando la proliferazione dell’endometrio1 (estrogeni) per prepararlo ad una gravidanza (progesterone). Il ciclo mestruale dura in media 28 giorni, a partire dal primo giorno della mestruazione e si divide in tre fasi: • fase proliferativa o preovulatoria, dove avviene, in una delle due ovaie, la maturazione del follicolo e della cellula uovo e a livello dell’utero la proliferazione dell’endometrio (estrogeni) • fase ovulatoria, dove si ha l’ovulazione cioè la rottura del follicolo e l’emissione della cellula uovo. Dura 2-3 giorni e rappresenta il periodo più fertile della donna. • fase postovulatoria o secretiva, dove a livello dell’ovaio si verifica la formazione del corpo luteo e a livello dell’utero la trasformazione dell’endometrio in tessuto adatto ad accogliere una gravidanza (progesterone), se questa non avviene l’endometrio è espulso con la mestruazione,che dura 3-6 giorni. L’inizio delle mestruazioni (menarca) avviene intorno ai 12 anni ma è normale tra gli 8 e 16 anni. Fattori quali l’eredità, la dieta e soprattutto la salute possono accellerare o ritardare il menarca. Nell’adolescenza i cicli possono essere imprevedibili alternando periodi di cicli frequenti (polimenorrea) ad altri con assenza del ciclo (amenorrea) dovuti all’immaturità dell’asse ormonale che governa il ciclo stesso. 168

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Il ciclo mestruale non è regolare in tutte le donne, in alcune è più lungo, in altre è più breve. Le variazioni del ciclo, di solito, sono dovute a cambiamenti nella fase preovulatoria, mentre quella postovulatoria, in genere, è costante e dura 13-14 giorni. Al momento dell’ovulazione il muco cervicale diventa più abbondante, chiaro e filante: la temperatura corporea aumenta di 0,5°C fino all’inizio della mestruazione. Comunque è difficile sapere esattamente quando avverrà l’ovulazione perciò i metodi contraccettivi basati su tale previsione possono essere poco affidabili. Articolo redatto da: Dr. Mattia Gualdi Specialista in Ginecologia Ostetricia Ospedale Oglio Po Cremona

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Endometrio: mucosa che riveste la superficie dell’utero GINECOLOGIA

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Neurologia Neurochirurgia

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LA PREVENZIONE DEL TRAUMA CRANICO NELL’INFANZIA La motivazione più frequente che induce a portare in Pronto Soccorso un bambino è il trauma conseguente a un incidente, domestico o no, che il più delle volte, per fortuna, si risolve in un grosso spavento, ma altre volte porta con sè una prognosi ben più grave. Il trauma cranico rappresenta, purtroppo, in Italia, la prima causa di morte nella fascia di età da 1 a 14 anni ma nella maggior parte dei casi si risolve senza esiti. Dal 4 al 8 % delle visite eseguite al Pronto soccorso pediatrico è dovuto proprio al trauma cranico. Vediamo quindi come cercare di prevenirlo Cominciamo a considerare il caso dei bambini più piccoli. Per quanto gli adulti stiano attenti e scrupolosi, i bambini riescono comunque a procurarsi contusioni varie e frequenti. Dobbiamo cercare di evitare situazioni di rischio. I bambini si muovono molto fin subito dopo la nascita, riuscendo a spingersi con i piedini se questi riescono a raggiungere un appoggio; crescendo, diventano capaci di rotolare prima di quanto immaginiate e non pochi genitori lo hanno capito solo dopo che il bimbo aveva già subito la sua prima zuccata. Quindi non lasciate mai vostro figlio da solo su fasciatoi, letti, divani o poltrone, anche per brevi istanti, perchè vi sta suonando il telefono o perchè sta salendo il caffè! In questo caso mettetelo in un luogo sicuro come un box o il lettino con le sponde, se non potete portarlo in braccio con voi. Verificate che il lettino abbia sempre le sponde alzate quando vi lasciate vostro figlio. Quando il vostro bambino avrà imparato a gattonare dovrete usare cancelletti per le scale e chiudere le porte delle stanze che giudicherete per lui pericolose: ➤ Non fategli usare il girello perché il bambino potrebbe capovolgerlo o cadere dalle scale ma soprattutto perché la sua autonomia di spostamento diventerà col girello assai maggiore, potrà raggiungere camere per lui pericolose e, per esempio, rovesciarsi addosso oggetti pesanti (paralumi, tirando il filo della luce) o cibi bollenti arrivando in cucina. ➤ Badate che le finestre siano protette da parapetti se abitate al di sopra del primo piano. ➤ Fate attenzione e proteggete gli spigoli taglienti di tavoli o mobili con i quali il bambino possa ferirsi al capo. NEUROLOGIA • NEUROCHIRURGIA

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➤ State attenti a come posizionate il televisore a tubo catodico che attira l’attenzione, è pesantissimo e sbilanciato in avanti e può schiacciare i bambini più piccoli. ➤ Il vostro bambino è in grado di scavalcare le sponde del lettino se, una volta in piedi, il margine superiore delle sbarre supera l’altezza dei capezzoli. ➤ In automobile abituate fin dai primi mesi di vita il bambino a stare negli appositi seggiolini; non fatelo mai viaggiare in braccio a voi, nemmeno per brevi percorsi. Legatelo sempre bene quando è sul seggiolone o sul passeggino. Il bambino di oltre 4-5 anni è ormai un piccolo adulto capace di interagire con gli altri. È determinante per questo motivo dare ai piccoli una educazione che li responsabilizzi precocemente riguardo ai rischi della strada, della casa e dello sport. In primo luogo i bambini imparano dall’esempio degli adulti e poi dall’insegnamento. I traumi nell’età da 5 a 15 anni sono: 80% stradali; 20% accidentali Nei traumi stradali è coinvolto come: Pedone 45%; Trasportato 30%; Ciclista o guidatore di ciclomotore 25% Ogni anno nella Neurochirurgia dove lavoro a Cremona i ciclisti e i pedoni investiti morti o con lesioni gravissime si contano a decine. Le vittime della strada sono come le vittime di una guerra continua ed inarrestabile che dura ormai da più di un secolo. La prevenzione di questi eventi ed in particolare degli incidenti stradali è un progetto che coinvolge tutti i livelli decisionali e per i bambini non è diverso che per gli adulti. Per i bambini vi è in più la tutela ed il dovere che coinvolge noi adulti sia come genitori che come educatori o funzionari pubblici e privati. Lo Stato segue una strategia chiara e cioè cerca di: ➤ separare il traffico automobilistico da quello pedonale o ciclabile; evitare gli incroci a livello con ponti o tunnel, sostituirli con rotatorie ecc. ➤ educare gli utenti a non offendere: rispettare le regole, non abusare di velocità,alcool, droghe o telefono al volante ➤ insegnare agli utenti a difendersi: cinture allacciate, airbag, casco ecc. Che cosa possiamo fare in più per i bambini e per i ragazzi Insegniamo loro sin da piccoli le regole elementari del traffico e del comportamento. 174

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➤ In automobile diamo loro il buon esempio guidando rilassati senza aggressività. Ovvio aggiungere che dobbiamo noi per primi allacciare le cinture, non telefonare e non fumare alla guida. ➤ In automobile convincere il bambino a stare sempre seduto sul sedile posteriore e con cintura allacciata. ➤ In bicicletta e sugli sci deve sempre portare il casco. Lo stesso vale per altri sport potenzialmente violenti. Nonostante tutto il nostro impegno nostro figlio riporterà comunque delle contusioni sul cranio durante la sua vita ma queste come tutti sappiamo molto raramente avranno conseguenze gravi. Un trauma che in un adulto può sembrare di poco significato, in un bambino può avere maggiore importanza. In parte questo è determinato dalla relativa debolezza della scatola cranica rispetto al volume cerebrale. Molto spesso non è l’urto in sé che deve preoccupare, bensì il danno (ematoma) che da esso può lentamente generarsi nel cranio fino a dare segno della sua presenza alcune ore dopo l’incidente. La pronta diagnosi dell’ematoma, quando i danni creati non sono molti, è l’obiettivo che bisogna perseguire. Per ottenere tale scopo è buona norma osservare attentamente il bambino per 24-48 ore qualunque sia la violenza del trauma cranico, proprio per scorgere i sintomi secondari allo sviluppo dell’ematoma. Naturalmente non è necessario vietare al bimbo di addormentarsi di notte o durante le ore del solito pisolino quotidiano; tuttavia è una buona norma svegliarlo ogni 2 ore per essere sicuri che egli è attento e ben orientato come di solito. Si ricordi che un bambino che ha subito un trauma al capo può: ➤ avere mal di testa; ➤ essere pallido; ➤ vomitare come fatto occasionale; ➤ non ricordare perfettamente ciò che gli è capitato; ➤ essere sonnolento al momento in cui usualmente va a letto; Tali sintomi non debbono creare ansie o allarmi ingiustificati. Il bambino deve riprendersi in tempo molto breve salvo la persistenza di un leggero mal di testa. Ogni volta che avete l’impressione che bambino non è tornato normale o sta peggiorando, è meglio consultare il medico di fiducia o il più vicino pronto soccorso. La maggior parte delle contusioni craniche non richiedono trattamenNEUROLOGIA • NEUROCHIRURGIA

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to. Quelli più seri, però, richiedono il ricovero ospedaliero. Si ricordi che la grandezza della tumefazione non è in relazione alla serietà del trauma. Solo il comportamento successivo del bambino può suggerire indizi sull’importanza del trauma. In caso si decida di portare il bambino in ospedale è meglio non lasciare il capo penzolante ma tenerlo in asse con il tronco. In caso di incidente stradale grave il trasporto viene meglio delegato a personale qualificato. È necessario verificare bene se ci sono lesioni cutanee importanti e notare la sede dell’impatto. Se c’è emorragia è importante controllarla applicando una compressione esterna omogenea con garza sterile o almeno con un panno pulito. L’emorragia deve essere fermata soprattutto nei bambini piccoli per evitare i rischi dell’anemizzazione. Rivolgersi ad un Pronto Soccorso se il bambino ha: • uno stato di incoscienza dopo l’incidente • progressiva sonnolenza o difficoltà nel risveglio • vomito persistente (più di 3 volte) e nausea • convulsioni • difficoltà nell’esprimersi, persistenti capogiri, problemi di deambulazione • difficoltà nella visione o ineguale diametro pupillare • emorragie che non si fermano nonostante la compressione applicata • cambi di personalità o comportamenti tali da non riconoscere familiari e giocattoli comuni, articolazione di frasi sconclusionate, irritabilità o letargia • persistente e severo mal di testa L’elemento di valutazione più importante è comunque l’evoluzione del livello di vigilanza e cioè della prontezza con cui si verificano tre tipi di risposta e cioè 1. L’apertura degli occhi 2. Il movimento delle mani e delle braccia 3. la risposta verbale Si devono osservare questi comportamenti sia nella loro spontanea manifestazione che dopo la chiamata o anche dopo una leggera stimolazione dolorosa (se necessario un delicato pizzicotto). Tale osservazione se adeguatamente riferita al medico di pronto soccorso unitamente alla precisa descrizione dei fatti è assolutamente preziosa ed insostituibile in certi casi. 176

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Una volta affidato il bambino al pronto soccorso il ruolo del genitore non si esaurisce, anzi la sua presenza è fondamentale per rendere il piccolo il più possibile collaborante e agevolare l’esecuzione degli esami e delle manovre necessari. Ad esempio la TAC viene eseguita bene se il bambino sta fermo. Lo stesso vale per suturare in anestesia locale una piccola ferita al cuoio capelluto o incannulare una vena periferica. Se il bambino non si sente abbandonato o in pericolo si affida con fiducia agli adulti che lo assistono. Questo breve testo del tutto incompleto non ha lo scopo di aumentare l’ansia ma di dare consapevolezza e un minimo di aiuto descrivendo quello che accade ogni giorno. Anche se molto è stato fatto ancora di più si potrà fare in futuro per evitare il trauma cranico grave. Articolo redatto da: Dott. Roberto Poli Neurochirurgia - Istituti Ospitalieri di Cremona

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MENINGITI La meningite è una infezione del sistema nervoso centrale causata da vari ceppi batterici o virali ma può essere anche di tipo asettico (senza segni di infezione). Le forme virali sono più frequenti ma meno gravi di quelle batteriche. I microrganismi responsabili della maggior parte delle meningiti batteriche pediatriche sono 3: ✓ Haemophilus influenzae tipo B (Emofilo) ✓ Neisseria meningitidis (Meningococco) ✓ Streptococcus pneumoniae (Pneumococco), in percentuale inferiore anche Streptococchi del gruppo B, Staphylococcus, Listeria, Bacilli Gram-negativi. In Italia, dal 1994 (anno in cui sono iniziate, a scopo di sorveglianza epidemiologica, le registrazioni delle meningiti da parte di ASL e Divisioni Ospedaliere) a tutt’oggi, il patogeno (che genera malattia) più frequentemente identificato è stato il Pneumococco, seguito dal Meningococco e infine dall’Emofilo. Tuttavia, la distribuzione dei tre principali tipi di meningite varia a seconda dell’età considerata. Le meningiti da PNEUMOCOCCO compaiono ad un’età maggiore rispetto all’Emofilo e al Meningococco, cioè sono più frequenti sopra i 25-30 anni e solo una piccola parte dei casi si verifica in bambini sotto i 5 anni. Lo Streptococcus pneumoniae è un batterio molto diffuso che può essere presente nella gola e nel naso di bambini e adulti sani senza dare segno di sé ( ciò accade nel 40-60 % dei bambini). Esistono molti sierotipi1 e alcuni di questi, in presenza di un abbassamento delle difese immunitarie dell’individuo possono provocare una patologia generalizzata. In età pediatrica il Pneumococco può dare infezioni invasive (meningite e infezione sistemica) o localizzate (otite media acuta, sinusite, polmonite). Secondo il Ministero della Salute, ogni anno in Italia si verificano 30-40 casi di meningite da Pneumococco ogni 100.000 bambini di età inferiore ai 5 anni. Le meningiti da MENINGOCOCCO sono più frequenti tra i 15 e 50 anni e solo nel 30 % dei casi in bambini sotto i 5 anni (specie sotto i 2 anni). Il batterio, che penetra nell’organismno attraverso il naso, la bocca o la gola, si trova abitualmente nel rinofaringe di circa il 5% della popolazione e si diffonde con le goccioline respiratorie, oltre che con il contatto diretto. Solo una piccola parte di portatori di questo germe sviluppa la meningite. I meningococchi 178

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conosciuti, che hanno come ospite unicamente l’uomo, sono 13 e 5 di questi (A,B,C,W135 e Y) sono più frequentemente implicati nelle forme invasive. Il gruppo B è la principale causa di malattia endemica2 nei Paesi Industrializzati. La sua frequente percentuale e il rapporto con il gruppo C oscillano dall’80 al 40 % nelle diverse nazioni e in diversi periodi. Ha un andamento meno grave del gruppo C che rappresenta l’altra importante causa di patologia meningococcica e che anche in Italia è in aumento. Le meningiti da EMOFILO sono nettamente più frequenti nei primi 5 anni ma si osserva una significativa e graduale diminuzione dei casi segnalati. L’Haemophilus influenzae tipo B (HiB) si trova normalmente nella gola o nel naso di individui sani senza causare alcun problema; si trasmette comunemente da una persona all’altra per via aerea, ma in particolari condizioni di immunodepressione (ridotte difese immunologiche) può diventare particolarmente patogeno. La meningite da HiB ha un’incubazione di 2-5 giorni e in genere colpisce i bambini nei primi 5 anni di vita. Gli antibiotici sono efficaci nel 95% dei casi. Quasi tutti i bambini durante i primi 5-6 anni di vita vengono a contatto prima o poi con il germe. Di solito, non subiscono alcun danno e sviluppano anticorpi che li proteggeranno per le età successive. La sintomatologia della meningite può essere importante e di particolare gravità: notevole compromissione dello stato generale, interessamento neurologico ( convulsioni, alterazioni della coscienza che vanno dall’irritabilità spiccata alla letargia3, fino al coma), febbre elevata, segni di ipertensione endocranica (vomito, cefalea, rallentamento del battito cardiaco) e di irritazione meningea (rigidità nucale). Con minor frequenza, il germe può causare epiglottite ( infiammazione grave e improvvisa delle prime vie aeree con sintomi di soffocamento) e sepsi (infezione generale dell’organismo). Queste malattie, dette “forme invasive”, colpiscono quasi esclusivamente i bambini al di sotto dei 5 anni di età. La diagnosi di meningite si fa con la rachicentesi, cioè un prelievo di liquor a livello lombare (puntura a livello della colonna vertebrale). Tale esame permette di stabilire il tipo di meningite e spesso di identificare direttamente il germe in questione. In caso di pronta instaurazione di terapia antibiotica, cortisonica e di supporto (liquidi), la prognosi di meningite, un tempo quasi sempre letale, è spesso buona e con completa guarigione. Purtroppo, esistono forme a decorso fulminante o fatale (7-10%) e a volte possono rimanere esiti permanenti come sordità, disturbi visivi e del linguaggio, ritardo mentale, ed epilessia nel 30-35 % dei casi, anche in presenza di trattamento corretto e tempestivo. NEUROLOGIA • NEUROCHIRURGIA

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VACCINAZIONE ANTIPNEUMOCOCCICA Esistono 2 tipi di vaccini, composti solo da alcune parti del microrganismo e vengono definiti multivalenti in quanto proteggono verso più sierotipi di Pneumococco: ➤ il vecchio vaccino antipneumococcico polisaccaridico (23-valente) che si somministra in dose singola per via intramuscolare o sottocutanea ➤ il nuovo vaccino antipneumococcico coniugato (eptavalente) che si somministra per via intramuscolare e il cui numero di inoculazioni varia in base all’età di inizio del ciclo vaccinale. Il vecchio vaccino poteva essere eseguito in tutti coloro che avevano più di 2 anni di vita e in particolare anziani e soggetti a rischio ( immunodepressione, sindrome nefrosica5, asplenia4, anemia falciforme6). Il nuovo vaccino è destinato a bambini molto piccoli e viene consigliata anche una vaccinazione con il vaccino polisaccaridico 23-valente dopo il compimento del secondo anno di vita. Dopo 5 anni dalla prima vaccinazione con vaccino polisaccaridico, nei soggetti a rischio viene consigliata una rivaccinazione. Le reazioni avverse si distinguono in: ✓ molto comuni ( più del 10%): arrossamento, gonfiore, dolore nella sede di inoculo, febbre oltre i 38°C, irritabilità, sonnolenza, sonno agitato; ✓ meno comuni (meno del 10%): febbre oltre i 39°C; ✓ non comuni (meno dell’1%): rash cutaneo, orticaria; ✓ rari (meno dello 0,1%): convulsioni, episodi di ipotonia (diminuzione del tono muscolare) - iporesponsività. La rivaccinazione con il vecchio vaccino polisaccaridico induce un significativo aumento delle reazioni indesiderate locali nel sito dell’iniezione e reazioni sistemiche. Vengono segnalati casi di convulsioni e morti improvvise (SIDS: Sudden Infant Death Syndrome) nei neonati; segnalazioni isolate di vasculiti (processo infiammatorio che interessa le pareti dei vasi) dei piccoli vasi, gravi reazioni febbrili con leucocitosi (aumento temporaneo dei globuli bianchi nel sangue), sindrome di Sweet (dermatite acuta), trombocitopenia (diminuzione delle piastrine) e cheratoacantoma7 nel sito di inoculazione. Riguardo all’uso recente e sempre più diffuso del nuovo vaccino coniugato eptavalente, va raccomandata la massima prudenza, in quanto non siamo in grado di fare un bilancio approfondito tra rischi e benefici. Il nuovo vaccino è stato studiato su misura per i sierotipi di Pneumococco isolati negli Stati Uniti, mentre in Italia i sierotipi presenti non sono ancora noti. Il vaccino coniugato eptavalente, inoltre è stato pubblicizzato anche per prevenire le 180

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otiti medie acute dovute a infezione da pneumococco, ma la sua efficacia in proposito è modesta e ridotta ad un 5-7%. Il nostro Ministero della Salute pertanto, raccomanda questa vaccinazione nei soggetti considerati ad alto rischio di avere malattie gravi da Pneumococco, perché affetti da: anemia falciforme, talassemia (malattia che comporta anemia), asplenia funzionale e anatomica, broncopneumopatie croniche, immunodepressione, cardiopatie croniche, insufficienza renale, diabete mellito (**), epatopatie croniche, perdita di liquido cerebrospinale. I danni da vaccino coniugato eptavalente rilevati dal VAERS (il noto sistema di vaccinovigilanza americano) sono di 1 caso ogni 7.575 dosi somministrate e riguardano patologie neurologiche (specialmente convulsioni), patologie immunologiche (anafilassi reazione allergica, vasculiti, trombocitopenie,..), molte reazioni allergiche, agitazione psicomotoria, patologie respiratorie e addominali e non pochi casi di morte (in genere morti improvvise o morti per infezioni invasive da Pneumococco). Alcuni studi parlano di 2 morti da vaccino ogni 10000 vaccinati. Quindi, se consideriamo solo la mortalità, mentre la meningite da Pneumococco causa circa 3,7 morti/anno, se vaccinassimo tutti i nostri nati avremmo circa 110 morti/anno. VACCINAZIONE ANTIMENINGOCOCCICA Esistono due tipi di vaccini, composti solo da alcune parti del microrganismo: ➤ il vecchio vaccino antimeningococcico polisaccaridico ( detto tetravalente, perché attivo contro quattro sierotipi: il gruppo A, C, W-135 e Y e quindi non contro il sierotipo B che sarebbe più frequentemente causa di meningite); si somministra in dose singola per via sottocutanea, determina una protezione di breve durata e può essere somminstrato solo ad adulti a rischio di setticemia (concentrazioni sempre più elevate di batteri nel sangue) o di meningite cerebrospinale o a bambini di età maggiore a 2 anni di vita (sotto i 2 anni la risposta è troppo debole); i richiami vanno fatti ogni 3 anni se persiste il rischio della malattia; ➤ il nuovo vaccino antimeningococcico coniugato (monovalente efficace solo contro il sierotipo C) che si somministra per via intramuscolare e il cui numero di inoculazioni varia in base all’età di inizio del ciclo vaccinale; determina una protezione di lunga durata e può essere somministrato anche in bambini di età inferiore a 2 anni. Nei bambini di 2-11 mesi di vita si consigliano 3 dosi con un intervallo di almeno 1 mese tra loro e con la prima dose NEUROLOGIA • NEUROCHIRURGIA

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somministrata generalmente al secondo mese di vita. Nei bambini di età superiore ai 12 mesi sono invece sufficienti 2 dosi distanziate almeno 1 mese tra loro, mentre per i bambini più grandi e gli adulti è sufficiente una sola dose. Va ricordato che nel nostro Paese i più comuni ceppi di Meningococco sono il sierotipo C e B e che contro questo ultimo non è disponibile alcun vaccino. Il sierotipo B ha un andamento poco grave, mentre il sierotipo C presenta una mortalità elevata. Circa un terzo dei casi di meningite da Meningococco si verifica sotto i 5 anni di vita e fino al 2003 erano dovuti con frequenza maggiore al sierotipo B, ma da allora stanno aumentando le segnalazioni di meningiti da sierotipo C. La protezione data dal vaccino è di durata breve e diversa per i vari gruppi di Meningococco: la protezione maggiore è verso il gruppo A (1 anno nel bambino di 2-5 anni; 2-4 anni nell’adulto), mentre la protezione verso il gruppo C è inferiore a 1 anno. I danni a lungo termine da vaccino antimeningococcico non sono ancora completamente noti ad esclusione degli effetti più banali quali febbre, cefalea, stanchezza e reazioni locali che, nel caso del vaccino coniugato sono più o meno gravi nel 40-60% dei soggetti. L’introduzione estesa del vaccino contro il sierotipo C molto probabilmente sta inducendo la mutazione del virus stesso e la crescita e la maggiore aggressività degli altri sierotipi verso i quali il vaccino non può proteggere. Infatti sono aumentati i casi di infezione da Meningococco tipo C tra i vaccinati e i morti causati dal Meningococco di tipo B. VACCINAZIONE ANTIEMOFILO di tipo B Il vaccino antiemofilo è costituito da un polisaccaride capsulare purificato coniugato e fornisce una sufficiente copertura anticorpale dopo un unico inoculo solo nei bambini di età superiore ai 15-24 mesi (però l’attuale programma di vaccinazione consiglia il vaccino al 3° mese di vita, perché la primissima infanzia è l’età più a rischio). Nei neonati sono consigliate 3 dosi intramuscolari; dopo il primo anno di vita è sufficiente un solo inoculo. Va ricordato che l’autorevole FDA (Food and Drug Administration) americana non ha autorizzato la vendita di vaccini antiemofili utilizzabili prima dei 15 mesi di vita. La protezione fornita da questo vaccino è di circa 1,5-3,5 anni. Il vaccino pare faccia aumentare i casi di asma, di infiammazione della epiglottide8, di allergie nei bambini vaccinati, forse anche di diabete giovanile insulino-dipendente; in ogni caso viene usato da troppo poco tempo per poter conoscere bene la sua tollerabilità o meno. 182

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La meningite resta una patologia grave. La non ottimale capacità terapeutica offerta dai farmaci si è ultimamente tradotta in una eccessiva fiducia nei vaccini. Pertanto è necessario ricordare alcuni aspetti dell’immunoprofilassi vaccinale per avere un approccio più adeguato verso questa malattia: ✓ ogni vaccino fornisce una certa protezione solo verso uno specifico germe ✓ la protezione offerta dal vaccino non è totale ✓ i vaccini attualmente in commercio non proteggono da tutti i possibili tipi di meningite ✓ la diffusione della pratica vaccinale sta causando un cambiamento della frequenza dei tipi di meningite pediatrica favorendo la proliferazione e la maggiore aggressività dei sierotipi che non sono coperti dai vaccini esistenti ✓ mancano studi adeguati che dimostrino l’efficacia a lungo termine delle vaccinazioni antimeningite ✓ mancano studi clinico-epidemiologici che precisino la tollerabilità dei vaccini e quindi la loro sicurezza a lungo termine. Articolo redatto da: Dr.ssa Donatella Confalonieri Specialista in Medicina Infettiva - Ecografista Clinico

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Sierotipo: quando il materiale organico infetto (ad esempio sangue) reagisce positivamente solo con un determinato siero, contenente un anticorpo in grado di legarsi ad uno specifico antigene microbico Endemica: da endemia, manifestazione costante di una malattia Letargia: stato di sonno profondo di origine patologica Asplenia: inefficienza della milza a causa o di asportazione chirurgica o di assenza congenita Sindrome nefrosica: insieme di sintomi e segni clinici causati da una alterazione dei glomeruli renali che comporta una perdita di proteine con le urine Anemia falciforme: Malattia ereditaria, detta anche anemia a cellule falciformi o anemia drepanocitica, in cui l’emoglobina, principale proteina di trasporto dell’ossigeno nel sangue, possiede una struttura anomala (emoglobina S). Tale condizione determina la carenza di ossigeno nel sangue, l’abbassamento del pH plasmatico, e la conseguente alterazione dei globuli rossi, che assumono la forma di una falce o di mezzaluna e ostruiscono la circolazione nei vasi di piccolo calibro (arteriole, venule, capillari sanguigni). Cheratoacantoma: una forma di neoplasia a carattere benigno, che si manifesta sulla cute particolarmente il viso e il collo Epiglottide: linguetta posta dinnanzi all’apertura superiore della laringe NEUROLOGIA • NEUROCHIRURGIA

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LE EPILESSIE Definizione Il termine epilessia (dal greco epilambanein, essere colti di sorpresa) viene utilizzato per definire una condizione patologica caratterizzata dall’occorrenza di crisi epilettiche che tendono a ripetersi spontaneamente nel tempo. Non rientrano, quindi, in questa definizione le crisi che si verificano in conseguenza di malattie extracerebrali che solo secondariamente si ripercuotono sul sistema nervoso, come ad esempio le convulsioni febbrili del bambino (cioè crisi epilettiche che compaiono in corso di febbre senza segni di infezione intracranica o di altra causa definita). Non costituiscono un’epilessia nemmeno le crisi che possono complicare in fase acuta un danno al sistema nervoso, come ad esempio quelle che possono presentarsi nelle prime 24 ore dopo un trauma cranico grave o un ictus. Data l’estrema variabilità delle crisi e le diverse cause che possono essere alla base di un’epilessia, sarebbe più corretto parlare di epilessie. Epidemiologia Il 5% della popolazione presenta una crisi unica durante la vita, mentre la prevalenza delle epilessie (cioè il numero di casi nella popolazione ad un momento definito) nei Paesi industrializzati è dell’1% e sale al 15-20% nei Paesi in via di sviluppo. Le epilessie possono insorgere in qualsiasi momento della vita, con un picco nel primo anno di vita e dopo i 75 anni. Tipologia delle crisi Le crisi epilettiche sono dovute alla presenza di un gruppo più o meno grande di cellule nervose (neuroni), che tendono ad avere un’attività eccessiva. Quando questa attività è limitata a poche cellule o si esprime in un tempo brevissimo, non dà luogo ad alcuna manifestazione clinica. Se, invece, l’attività eccessiva (definita scarica) diviene EMISFERO SINISTRO EMISFERO DESTRO più sostenuta o coinvolge un numero Razionale Emotivo sufficiente di neuroni, può esprimersi Pratico Creativo con una manifestazione clinica eviden- Logico Immaginativo Intuitivo te, definita crisi (la scarica che la genera Lineare Olistico viene detta “critica”). L’area cerebrale Analitico Allargato Matematico in cui si genera e/o diffonde la scarica determina il tipo di crisi. 184

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Area premotoria

Corteccia motoria primaria

Solco centrale

Area prefrontale

Corteccia primaria somoestetica Area del gusto Area di associazione somoestetica Area di associazione visiva

Corteccia visiva Area motoria della parola (area di Broca) Area di associazione uditiva Corteccia uditiva primaria

Area sensoriale della parola (area di Wernicke)

Se la scarica critica è fin dall’inizio estesa ai due emisferi cerebrali e coinvolge simultaneamente tutta la corteccia, dà luogo ad una crisi primitivamente generalizzata. Questo tipo di crisi si verifica quasi esclusivamente nelle epilessie che esordiscono nell’infanzia e nell’adolescenza. La forma più comune di crisi generalizzata è la crisi convulsiva tonicoclonica (crisi di Grande Male), caratterizzata da un’improvvisa perdita di coscienza (in genere con caduta a terra), “scosse” muscolari ai 4 arti, bava alla bocca, perdita di urine e/o feci, morsicatura laterale della lingua. Un esempio di crisi generalizzata non convulsiva è, invece, rappresentato dalle assenze, cioè episodi di perdita di coscienza solitamente brevissimi, senza caduta a terra, non accompagnati da nessun altro sintomo o, eventualmente, da segni motori minimi. Al contrario, se la scarica critica interessa un settore limitato della corteccia cerebrale, ne consegue una crisi parziale o focale (semplice o complessa a seconda che la coscienza rimanga integra o venga compromessa), le cui manifestazioni cliniche esprimono in modo esagerato o distorto quelle che, in condizioni normali, sono le funzioni proprie dell’area di corteccia interessata. Se, per esempio, l’area che genera la crisi ha normalmente la funzione di far muovere la mano o di far ruotare gli occhi da un lato, la fenomenologia delle crisi sarà costituita da un movimento involontario, repentino e spesso eccessivo della mano o da una brusca rotazione degli occhi; se, invece, l’area ha la funzione di elaborare le informazioni provenienti dalla sensibilità di un arto, durante la crisi comparirà per esempio formicolio a quell’arto. Il movimento o il formicolio potranno estendersi ad altri segmenti corporei se la scarica riuscirà a diffondere ad aree cerebrali vicine. Alcune aree del cervello sono addette all’elaborazione di contenuti NEUROLOGIA • NEUROCHIRURGIA

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emozionali; l’espressione delle crisi generate da tali aree potrà essere una sensazione di paura o di benessere. Altre aree conservano ed elaborano i contenuti della memoria; le crisi che originano da tali aree si esprimeranno, per esempio, con la comparsa di un ricordo intenso ed improvviso. Le crisi che si verificano in particolari territori corticali, come il lobo temporale o frontale, daranno più spesso un’alterazione del contatto con l’ambiente o un completo oblio delle manifestazioni critiche (crisi parziali complesse). Se la scarica che ha dato luogo ad una crisi focale tende successivamente a diffondere a tutta la corteccia, la crisi che ne consegue viene definita secondariamente generalizzata. Cause e Classificazione delle epilessie Forme idiopatiche Si verificano senza alcuna causa identificabile in soggetti sani, che non presentano, al di fuori delle crisi, nessuna alterazione né delle loro prestazioni psichiche né di altre funzioni neurologiche. Iniziano nell’infanzia, nell’adolescenza o nel giovane adulto e hanno alla base una predisposizione genetica nota o presunta. Sono forme benigne e molte di esse guariscono spontaneamente già nel corso dell’infanzia o in età adulta. A questa categoria appartengono sia epilessie generalizzate che parziali. Tra le più note forme generalizzate ricordiamo l’epilessia con assenze dell’infanzia (o Piccolo Male del bambino), l’epilessia mioclonica giovanile (o sindrome di Janz) e il Grande Male al risveglio. Tra le forme parziali, l’epilessia benigna a punte centro-temporali (o epilessia benigna rolandica), l’epilessia dell’infanzia con parossismi occipitali e l’epilessia primaria da lettura. Pur non essendo questa la sede in cui dare una descrizione dettagliata dei vari tipi di epilessia, spendiamo, solo per curiosità, due parole su alcune di queste forme. Piccolo Male del bambino: compare in età scolare e si manifesta con frequenti (fino a 200 al giorno) episodi di assenza. Epilessia mioclonica giovanile: crisi caratterizzate da brusche scosse (mioclonie) degli arti superiori, che compaiono soprattutto al momento del risveglio mattutino e a cui possono associarsi occasionali crisi convulsive. Durante la crisi mioclonica la coscienza rimane integra. 186

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Epilessia con crisi di Grande Male al risveglio: esordisce durante l’adolescenza, con crisi tonico-cloniche che sopravvengono quasi esclusivamente poco dopo il risveglio del mattino, dopo una siesta o durante il periodo di rilassamento serale. Epilessia primaria da lettura: crisi motorie o sensitivo-motorie, che interessano la regione orale e facciale e sono provocate dalla lettura prolungata ad alta voce. L’esordio avviene nell’adolescenza e le crisi possono divenire generalizzate se il paziente non interrompe la lettura in tempo. Forme sintomatiche • di malattie neurologiche progressive: all’epilessia si associano gravi disturbi del movimento o di altre funzioni cerebrali e/o un grave deterioramento mentale • di danno cerebrale “acquisito” o “statico”: si tratta di forme che conseguono ad un insulto cerebrale focale o diffuso, che può risalire al periodo prenatale (disturbi dello sviluppo embrionale o fetale, che provocano malformazioni strutturali della corteccia cerebrale o del sistema vascolare), perinatale (asfissia perinatale, applicazione di forcipe, etc.) o postnatale (traumi cranici (**), meningiti (**) ed encefaliti (infiammazione encefalo), vasculopatie cerebrali, tumori cerebrali, disturbi metabolici, intossicazioni) In genere l’esame del paziente mostra uno o più deficit neurologici e il danno cerebrale può essere evidenziato attraverso indagini neuroradiologiche. Forme criptogenetiche (= a causa nascosta) Rientrano in questa categoria quelle epilessie le cui caratteristiche non sono compatibili con le forme idiopatiche, ma in cui non è identificabile alcuna causa, né sulla base della storia personale del paziente, né utilizzando le moderne tecniche radiologiche. Ereditarietà La percentuale di rischio di trasmettere l’epilessia è di circa il 4% se solo un genitore è affetto da epilessia idiopatica, del 20-30% se entrambi i genitori ne sono affetti. Il rischio è maggiore tra i gemelli: se uno dei due gemelli biovulari ha un’epilessia idiopatica, la possibilità per l’altro di avere un’epilessia è del 1020%; tra gemelli monovulari1 la percentuale sale all’80%. Per le forme non idiopatiche, nella popolazione generale il pericolo di ammalarsi è dell’1%, mentre tra i membri di una famiglia dove c’è un caso di epilessia la percentuale è del 2%. NEUROLOGIA • NEUROCHIRURGIA

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Diagnosi Per formulare la diagnosi di epilessia, è necessario che il paziente abbia presentato almeno due crisi di sicura natura epilettica, anche con elettroencefalogramma nella norma. La natura epilettica della crisi viene stabilita dal medico sulla base delle caratteristiche cliniche dell’episodio. Pertanto, quando non vi è stata perdita di coscienza, è fondamentale la descrizione dell’accaduto da parte del paziente, mentre, quando vi è stata compromissione della coscienza, è indispensabile l’intervista dei presenti. Non è corretto porre diagnosi di epilessia in presenza di una crisi isolata o di alterazioni elettroencefalografiche di tipo epilettico in assenza di crisi. Dopo una prima crisi è,comunque, d’obbligo effettuare una serie di esami: ✓ EEG (elettroencefalogramma): registra l’attività elettrica cerebrale attraverso elettrodi posti sul capo. Può avvalorare la diagnosi di crisi epilettica in quanto in grado di rilevare anomalie di tipo epilettico. Quando le crisi sono focali, cioè provocate da scariche circoscritte, tali anomalie vengono registrate solo dagli elettrodi posti al di sopra dell’area interessata. Al contrario, nel caso di crisi generalizzate, le scariche si osservano su tutte le aree di registrazione. Sempre presenti durante le crisi (anomalie critiche), queste anomalie possono verificarsi anche fra una crisi e l’altra (anomalie intercritiche). Quando il soggetto non presenta anomalie intercritiche, è necessario mettere in atto particolari forme di stimolazione che ne favoriscono l’insorgenza (iperventilazione, stimolazione luminosa intermittente, privazione di sonno) ✓ video-EEG: registrazione contemporanea di EEG e manifestazioni cliniche ✓ TAC e RMN (risonanza magnetica nucleare): utili nell’identificare la lesione alla base dell’epilessia nelle forme sintomatiche. Terapia La terapia deve essere iniziata nei casi in cui si sia verificata una tendenza delle crisi a ripetersi spontaneamente nel tempo. Tuttavia, farmaci antiepilettici possono essere utilizzati anche per controllare crisi scatenate da malattie o cause extracerebrali in fase acuta, come ad esempio le convulsioni febbrili. In generale, non si inizia un trattamento farmacologico dopo un’unica crisi, anche se particolari condizioni cliniche possono richiedere una diversa decisione (es. presenza di lesione cerebrale che molto verosimilmente determinerà crisi successive). 188

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La scelta del farmaco dipende dal tipo di epilessia; il trattamento viene iniziato utilizzando un solo farmaco (monoterapia), che sarà gradualmente portato alla dose efficace. Il paziente dovrà sottoporsi a controlli clinici e di laboratorio periodici, più frequenti in fase iniziale. Il raggiungimento del regime terapeutico ottimale sarà verificato mediante il dosaggio della concentrazione plasmatica (= quantità di farmaco disciolta nel sangue), i cui valori cosiddetti “terapeutici” non sono, tuttavia, da considerarsi assoluti. Molti pazienti, infatti, possono avere un controllo completo delle crisi con livelli plasmatici bassi, mentre altri richiedono livelli più alti. Allo stesso modo, un livello plasmatico al di sopra dell’intervallo “terapeutico”, in assenza di effetti collaterali, non deve portare ad una riduzione della posologia del farmaco. Nel caso in cui le crisi non siano controllate nonostante l’utilizzo di un farmaco adeguato a dosi e livelli plasmatici soddisfacenti, andrà effettuata una sostituzione graduale. Il nuovo farmaco verrà aggiunto al primo, quindi si procederà ad una sua progressiva riduzione, fino a totale sospensione. Solo quando tutti i farmaci indicati per quella determinata forma di epilessia si saranno dimostrati inefficaci, sarà giustificato l’impiego di due o più farmaci in associazione (politerapia). Una volta iniziata, la terapia dovrà proseguire per un periodo prolungato e dovrà essere guidata da un medico specialista, in collaborazione con il medico di base. Nelle forme benigne a guarigione spontanea i farmaci verranno progressivamente sospesi; nelle forme in cui una guarigione non è strettamente prevedibile, la sospensione viene effettuata dopo 2-5 anni dal momento in cui il paziente è rimasto completamente libero da crisi. Il trattamento chirurgico è indicato nel caso di epilessia secondaria a lesione cerebrale a carattere evolutivo (tumore), non altrimenti trattabile (ascesso) o potenzialmente pericolosa per la vita (malformazione vascolare) e nel caso di crisi resistenti alla terapia farmacologica, purchè la scarica origini da un’unica area, che viene asportata. L’asportazione di tale area non deve, ovviamente, generare difetti neurologici o non peggiorare quelli preesistenti. La terapia farmacologica deve essere mantenuta almeno due anni dopo l’intervento, per essere poi progressivamente ridotta. I soggetti operati sono considerati guariti se non presentano più crisi a cinque anni dall’intervento. Un numero elevato di pazienti, pur non guarendo, beneficia di una riduzione molto marcata del numero e/o dell’intensità delle crisi. NEUROLOGIA • NEUROCHIRURGIA

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Assistenza La crisi epilettica tende generalmente a risolversi in modo spontaneo nel giro di alcuni minuti al massimo e non richiede alcun trattamento d’emergenza, a meno che abbia una durata prolungata o si susseguano più crisi a breve distanza (stato di male epilettico). Chi assiste ad una crisi epilettica, sia essa parziale o generalizzata, deve limitarsi ad impedire che il paziente si ferisca cadendo o urtando contro mobili od oggetti. Al termine di una crisi tonico-clonica, il paziente, in genere confuso, deve essere posto su un fianco, in modo da liberare le vie aeree da secrezioni prodottesi nel corso della crisi. Solo se il paziente non è noto a chi lo osserva, se non ha mai avuto prima crisi o se si sospetta che possa essersi causato danni fisici (es. per una caduta), andrà portato al Pronto Soccorso. Scuola Il bambino che presenti crisi, ma abbia uno sviluppo cognitivo adeguato all’età, non deve essere considerato “particolare” rispetto ai suoi compagni. Se le crisi sono abitualmente assenti durante le ore scolastiche o hanno sintomatologia minima (es. qualche breve “assenza”), la loro interferenza nel lavoro scolastico è trascurabile. Nei bambini in cui, invece, sono presenti difetti neuropsichici associati all’epilessia o le crisi sono gravi e frequenti, le conseguenti difficoltà di apprendimento e adattamento possono interferire col profitto scolastico. In tali casi è necessario far riferimento a strutture educativo-assistenziali speciali. Sport Le restrizioni alla pratica di attività sportiva dipendono dal tipo di crisi e dal rischio che esse hanno di comparire nel corso della stessa. Da proibire, perchè pericolose per la vita del paziente in caso di crisi maggiore: immersioni subacquee, windsurf, alpinismo, sport aerei (deltaplano, paracadutismo) e sport motoristici (auto, moto). L’equitazione deve essere riservata ai pazienti ben controllati. L’atletica e la ginnastica non sono controindicate. Il ciclismo può essere praticato, ma è sempre consigliato l’uso del casco. Il bagno in acque poco profonde e in piscina può essere praticato solo se le crisi sono ben controllate e a condizione che il soggetto sia sempre sorvegliato. È raccomandata la pratica di uno sport di gruppo. 190

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Televisione e videogiochi La televisione e gli schermi dei giochi elettronici e dei computer sono perfettamente tollerati dalla maggior parte dei soggetti con epilessia. In caso di alcune epilessie, definite fotosensibili (lo sono di solito le epilessie generalizzate idiopatiche), in cui le crisi sono indotte dalla luce intermittente (sia naturale, come il riflesso del sole sul ghiaccio o sull’acqua e i raggi filtrati dagli alberi, sia artificiale, come le luci psichedeliche della discoteca), il rischio di scatenamento di crisi riflesse può essere ridotto al minimo utilizzando semplici precauzioni: illuminare sufficientemente l’ambiente in modo da ridurre il contrasto luminoso, rispettare una distanza sufficiente fra monitor e osservatore (3-4 m per la TV), usare il telecomando per cambiare canale (se è necessario avvicinarsi allo schermo, chiudere un occhio per ridurre l’effetto scatenante della luce), usare occhiali da sole, evitare le luci stroboscopiche della discoteca e i videogiochi. Sonno Una quantità di sonno sufficiente, con addormentamento e risveglio ad orari regolari è uno dei punti essenziali dello stile di vita del soggetto con epilessia. Se il paziente si addormenta tardi, è bene che ritardi anche il risveglio, per mantenere una durata di sonno costante. In questo caso non è necessario interrompere il sonno del mattino per somministrare il trattamento. Alimentazione Non è necessario alcun regime alimentare particolare: caffè e tè sono autorizzati; l’ingestione di grandi quantità di alcool può scompensare un’epilessia ben controllata; non è, tuttavia, necessaria un’astensione totale: si può bere un bicchiere di vino o birra ogni tanto. Articolo redatto da: Dott. GianStefano Baietti, Dott. Lucia Zinno Specialisti in Neurologia Istituti Ospitalieri di Cremona

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Gemelli monovulari-biovulari: Col termine gemelli si definiscono, generalmente, due o più individui generati da un’unica gravidanza. I gemelli si distinguono in gemelli monovulari (o gemelli monozigotici) e in gemelli biovulari (o gemelli dizigotici). I gemelli monovulari derivano da un’unica cellula uovo, fecondata da parte di un unico spermatozoo, nel caso dei gemelli biovulari si ha invece la fecondazione di due diverse cellule uovo da parte di due spermatozoi. NEUROLOGIA • NEUROCHIRURGIA

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Neuropsichiatria infantile Logopedia PsicomotricitĂ Psicologia

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I DISTURBI DI APPRENDIMENTO IN ETÀ EVOLUTIVA Quali preoccupazioni per l’apprendimento a 4-5 anni in età prescolare? I disturbi specifici del linguaggio (DSL) sono il predittore più affidabile della dislessia1 La fonologia, ossia l’insieme degli elementi e delle regole di combinazione dei suoni che, in ciascuna lingua, servono per la costruzione delle parole è un sistema prescrittivo: è un insieme di regole da rispettare e viene sviluppato in gran parte entro il 2°anno di vita. Deve essere completato (prescrittività) entro il compimento dei 3 anni (con eventuali disturbi residuali, rotacismo* e sigmatismo). I bambini che presentano ancora alterazioni fonologiche del linguaggio dopo il compimento dei 4 anni hanno l’80% di probabilità di sviluppare disturbo specifico di apprendimento DSA (Bishop 19922, Stella 2004)3, la dislessia. Il bambino di 4 anni con Disturbo di linguaggio fonologico espressivo come si presenta? È un bambino che parla con buona fluenza verbale, ma non si fa capire bene per le realizzazioni fonologiche spesso poco intelleggibili e gli errori fonemici stabili. Le parole con struttura complessa vengono ridotte a parole con sillabe piane • torta [to:ta] barca [ba:ka] biscotto [bi’to:to] Vengono introdotte sostituzioni di suoni,inversioni di sillabe, o armonie consonantiche • cane [tane] topo [poto] tappo [pa:po] L’organizzazione sintattica della frase non è alterata, ma la morfologia grammaticale è omessa, o prodotta in modo scorretto • La mamma toglie la scarpa al bambino [ma:ma toje ka:pa bi:bo] le bambine si siedono sulla panca [bi:be segono a:la pa:ka] Come evolve il bambino di 4 anni con il disturbo di linguaggio fonologico espressivo? La prognosi è benigna, in quanto evolve spontaneamente verso i 5 NEUROPSICHIATRIA INFANTILE • LOGOPEDIA • PSICOMOTRICITÀ • PSICOLOGIA

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anni. Era infatti conosciuto in passato come ritardo semplice di linguaggio. Se a 5 anni vi è un miglioramento della produzione verbale, a 6 anni però non impara bene a leggere e scrivere perché commette nella lettura e scrittura gli stessi errori che commetteva nel linguaggio, per difficoltà di analisi fonologica e di programmazione fonologica. E più tardi, a 8 anni e oltre, non arriva a imparare a scrivere bene un testo per difficoltà di accesso lessicale, che gli rende difficile studiare anche storia,scienze e geografia per la Difficoltà di Utilizzo dei lessici speciali e la Difficoltà nei processi integrativi. Cosa sono le difficoltà di accesso lessicale? • Difficoltà nei compiti di denominazione (i bambini sanno cos’è, ma non sanno denominarlo)

• Difficoltà nella denominazione rapida

Il recupero spontaneo del linguaggio a 5 anni è quindi illusorio (Scarborough and Dobrich’s 1990)4 infatti dai 4 ai 5 anni vi è un rapido miglioramento del linguaggio verbale e poi una stabilizzazione e un successivo miglioramento lento delle competenze linguistiche lessicali,con la convinzione della risoluzione del disturbo. Invece i bambini con Disturbi di linguaggio fonologici hanno difficoltà ad imparare • i giorni della settimana, • i mesi dell’anno, • le serie numeriche, soprattutto i numeri dopo il 10 • Le tabelline E anche quando hanno imparato le sequenze, hanno difficoltà di recupero funzionale • Che giorno è oggi? • In che mese siamo? • Quale viene prima e quale viene dopo? 196

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Il bambino di 7 anni con disturbi di linguaggio fonologici mantiene difficoltà a ripetere parole complesse, come globalismo,termosifone o gastronomia. Questa difficoltà si mantiene anche se la parola viene decomposta: • Globale, viene ripetuto come goblale Il disturbo di linguaggio fonologico si ripercuote soprattutto nella scrittura, dato che poggia sulla medesima difficoltà di analizzare la struttura della parola. Nello studio delle materie curricolari i bambini con pregresso disturbo di linguaggio fonologico incontrano molte difficoltà nel ricordare le parole specifiche, tipiche dei lessici specialistici. I loro discorsi sono a volte difficili da comprendere. (Giovanni, 9 anni): Ieri sono andato da un mio amico, ...che era il suo coso… la sua festa... abbiamo giocato a palla… a tirare nel coso... è nel muro della sua casa. Le difficoltà persistono a volte fino alle scuole secondarie e riguardano spesso i quantificatori: perimetro, area,perpendicolare, etc. Cosa può fare la famiglia con il pediatra e la scuola dell’infanzia per favorire lo sviluppo di tutti i bambini, e di questi bambini in particolare? • Sviluppare la capacità di identificazione dei bambini con difficoltà di linguaggio • Indirizzarli ai servizi di logopedia • Collaborare con la logopedista per applicare quotidianamente parte del programma di rieducazione • Organizzare laboratori linguistici a scuola con obbiettivi diversi a seconda delle età del bambino I Laboratori linguistici a 4 anni saranno centrati sulla parola e sulla frase • Giochi con parole da ripetere • Denominazione di figure • Rime, filastrocche • Frasi di routine legate a situazioni tipiche (al telefono, fare il messaggero,dal negoziante) I Laboratori linguistici a 5 anni saranno centrati sulla metafonologia ossia la capacità di comparare, segmentare e discriminare parole presentate oralmente, sulla base della loro struttura fonologica (Bishop & Snowling 2004)5 NEUROPSICHIATRIA INFANTILE • LOGOPEDIA • PSICOMOTRICITÀ • PSICOLOGIA

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Fluenza verbale (incomincia per, è arrivato un bastimento carico di...) Domino delle parole Creazione di rime Fusione

I Laboratori linguistici a scuola • Debbono essere fatti dagli insegnanti con tutti i bambini almeno 2 volte alla settimana. • Con i bambini con DSL debbono essere fatti tutti i giorni in gruppi al max di 2-3 bambini. • I giochi nel piccolo gruppo debbono essere condotti separatamente e in ambiente poco rumoroso. • È indispensabile lavorare con un programma preparato e supervisionato dalla logopedista (**). • Bisogna evitare il rischio di proporre ai bambini compiti linguistici troppo difficili, rafforzando la frustrazione comunicativa. • La possibilità di usufruire di rieducazione fonologica nell’anno precedente la scolarizzazione riduce le difficoltà funzionali del dislessico (Harm e Seidenberg 1999)6 e produce benefici, che, se non consentono di evitare la dislessia, rendono comunque più facile il percorso scolastico (Leonard 1998)7. Ma è importante considerare anche altre abilità in epoca prescolare, come ad esempio la presenza di problemi nella percezione visiva evidenti ad una visita oculistica (**), oppure la presenza di problemi nell’acquisizione di competenze prassico-visuo-costruttive evidenti nel disegno, ecc... Quali preoccupazioni per l’apprendimento in età scolare? Nel considerare* i bisogni educativi di un alunno con difficoltà grave, una prima distinzione fondamentale da farsi già in fase preliminare è quella tra le difficoltà nell’apprendere e nel socializzare dei soggetti con svantaggio socioculturale causato dalla mancanza di opportunità, insegnamento scadente o inadeguato,fattori culturali (ad es. soggetti con un background etnico, culturale o linguistico diverso rispetto alla cultura scolastica prevalente), problemi emotivi come la scarsa o assente motivazione scolastica, l’abbassamento dell’autostima e del senso di autoefficacia, l’aggressività, le difficoltà di relazione interpersonale, ansia, depressione ecc... o disabilità primarie presenti fin dalla nascita e che possono essere di tipo neu198

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rologico (es. ritardo mentale, paralisi cerebrale infantile) o sensoriale (es. sordità) o fisico (es: patologie genetiche ecc...), che vanno distinti dai soggetti con disturbi dell’apprendimento che invece si manifestano in presenza di adeguate capacità cognitive,fisiche, emotive e sensoriali; questi ultimi emergono solitamente con l’entrata nel mondo della scuola. Infatti, fin dall’inizio, gli insegnamenti/apprendimenti scolastici richiedono un funzionamento ottimale di attività cognitive quali: la percezione, la memoria, l’attenzione, ecc. Nella fattispecie occorre citare a tal proposito il Disturbo da Deficit di Attenzione/Iperattività ossia la difficoltà che incontrano alcuni soggetti nel mantenere la propria attenzione, nel controllare l’impulso ad agire e, più in generale, nel regolare il livello della propria attività. Le caratteristiche primarie del disturbo sono quindi la disattenzione, ossia la difficoltà nel mantenere un comportamento adeguato per un periodo prolungato nel tempo, l’impulsività, ossia il deficit nella capacità di pianificazione delle azioni, ma anche la richiesta continua di gratificazioni immediate, la tendenza a dare risposte precipitose senza rispettare le più comuni regole sociali e, infine, l’iperattività, la cui caratteristica più evidente è la difficoltà nel regolare il comportamento motorio. Così come viene sottolineato nel DSM-IV (APA, 1995) il disturbo può quindi caratterizzarsi per la contemporanea presenza di sintomi di disattenzione e sintomi di iperattività-impulsività (tipo combinato) oppure per il prevalere dell’uno (disattenzione predominante) o dell’altro (iperattività-impulsività predominanti). Le percentuali di incidenza dei disturbi di apprendimento passano da un 1-2% del periodo prescolare al 5-10% del periodo scolare; questi dati indicano quindi una media di uno/due alunni per classe che presentano questa tipologia di disturbi in presenza di una normale intelligenza generale e in assenza dei disturbi sopra citati (Tressoldi e Vio, 1996)9. L’ICD-10 (Classificazione Internazionale delle malattie, OMS, 1992) e il DSM-IV (Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, APA, 1995) presentano una chiara e concorde definizione di questi disturbi. Un ulteriore sistema di classificazione che può essere interessante consultare è l’ICF Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute, OMS, 2001) e, in particolare, la categoria “Apprendimento e applicazione delle conoscenze”. “I Disturbi dell’Apprendimento vengono diagnosticati quando i risultati ottenuti dal soggetto in test standardizzati, somministrati individualmente, NEUROPSICHIATRIA INFANTILE • LOGOPEDIA • PSICOMOTRICITÀ • PSICOLOGIA

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su lettura, calcolo, o espressione scritta risultano significativamente al di sotto di quanto previsto in base all’età, all’istruzione, e al livello di intelligenza. I problemi di apprendimento interferiscono in modo significativo con i risultati scolastici o con le attività della vita quotidiana che richiedono capacità di lettura, di calcolo, o di scrittura” (DSM-IV, APA, 1995)10. “…sono disturbi nei quali le modalità normali di acquisizione delle capacità in questione sono alterate già nelle fasi iniziali dello sviluppo. Essi non sono semplicemente una conseguenza di una mancanza di opportunità di apprendere e non sono dovuti a una malattia cerebrale acquisita. Piuttosto si ritiene che i disturbi derivino da anomalie nell’elaborazione cognitiva legate in larga misura a qualche tipo di disfunzione biologica. Come per la maggior parte degli altri disturbi dello sviluppo, queste condizioni sono marcatamente più frequenti nei maschi” (ICD-10, OMS, 1992)11. Le manifestazioni psicologiche più frequentemente associate ai disturbi di apprendimento risultano essere una spiccata tendenza alla demotivazione (è molto alta la percentuale di soggetti con disturbi dell’apprendimento che abbandonano la scuola), scarsa autostima, limitato senso di autoefficacia e deficit nelle abilità sociali. Alcuni disturbi comportamentali quali ad esempio il Disturbo della Condotta, il Disturbo Oppositivo Provocatorio si trovano molto spesso in associazione con i disturbi dell’apprendimento. La dislessia evolutiva (Lyon, Shaywitz & Shaywitz 2003)12 è una disabilità specifica dell’apprendimento di natura neurobiologica. Essa è caratterizzata dalla difficoltà ad effettuare una lettura accurata e/o fluente e da abilità scadenti nella scrittura e nella decodifica. Queste difficoltà tipicamente derivano da un deficit nella componente fonologica del linguaggio che è spesso inattesa in rapporto alle abilità cognitive e alla garanzia di un’adeguata istruzione scolastica. Conseguenze secondarie possono includere i problemi di comprensione nella lettura e una ridotta pratica della lettura che può impedire la crescita del vocabolario e della conoscenza generale. Diagnosi differenziale e direttive diagnostiche13 • Un grado clinicamente significativo di compromissione (per esempio, almeno due deviazioni standard inferiori ai livelli attesi o una prestazione inferiore al 5° percentile delle frequenze delle risposte ottenute dal campione normativo di riferimento); • La compromissione deve essere specifica; • La compromissione deve riguardare lo sviluppo della competenza e non la perdita di una abilità precedentemente acquisita; 200

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• Non devono essere presenti fattori esterni capaci di fornire una sufficiente motivazione per le difficoltà scolastiche (es. problemi di Personalità, carenza di istruzione in bambini appartenenti a gruppi sociali particolarmente svantaggiati); • Il Disturbo non deve essere direttamente dovuto a difetti non corretti della vista e dell’udito; • Non vi devono essere anomalie e/o compromissione al Sistema Nervoso Centrale. L’indagine diagnostica sarà necessariamente un intervento specialistico multiprofessionale da svolgere presso servizi ambulatoriali di neuropsichiatria infantile in quanto dovrà prevedere i seguenti momenti: • Anamnesi fisiologica e familiare interessata a verificare la presenza di alcuni segni fondamentali nella storia del bambino, quali ad esempio la familiarità, la linea evolutiva del linguaggio, l’acquisizione delle principali tappe dello sviluppo. • Valutazione medica neuropsichiatrica14 basata sull’esame neurologico, la valutazione dell’accrescimento staturo ponderale e il rilievo di eventuali disfunzioni-alterazione di organi e apparati suggestivi per sindromi genetiche, fino alla prescrizione di esami ematochimici ed esami neurofisiologici • Valutazione strumentale logopedica e psicomotoria che preveda l’accertamento dello “Stato degli apprendimenti”, all’interno dello Stato degli Apprendimenti si indaga su: • Le prassie della scrittura, la capacità cioè di eseguire i movimenti necessari alla scrittura dal punto di vista esecutivo motorio • velocità ed accuratezza in lettura • velocità ed accuratezza in compiti di scrittura • comprensione del testo scritto • abilità di calcolo e di soluzione di problemi matematici • Valutazione psicomotoria per altre abilità che possono essere critiche nel percorso scolastico dell’alunno come le prassie e l’integrazione e percezione visuomotoria • Valutazione psicodiagnostica basata sul colloquio clinico (teso a conoscere la consapevolezza del bambino delle sue difficoltà, la presenza o meno di problematiche emotivo-relazionali primarie), sull’osservazione del comportamento del bambino (se necessario si possono somministrare strumenti utili all’inquadramento di disturbi psicopatologici) • Valutazione cognitiva o neuropsicologica relativa ai processi di memoria, NEUROPSICHIATRIA INFANTILE • LOGOPEDIA • PSICOMOTRICITÀ • PSICOLOGIA

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sviluppo del linguaggio, attenzione, competenze strategiche (“funzioni esecutive”), intelligenza generale, ecc. • Riscontri provenienti dalla scuola, ottenuti mediante la compilazione di adeguate scale di rilevazione dei comportamenti e/o apprendimenti problema da parte dell’insegnante o mediante l’osservazione diretta eseguita dagli specialisti a scuola secondo necessità clinica. Secondo l’associazione italiana per la ricerca e l’intervento nella psicopatologia dell’apprendimento (AIRIPA)15, una classificazione condivisibile dei disturbi specifici dell’apprendimento Scolastico è riferibile alle seguenti categorie: Disturbo della lettura Disturbo dell’espressione scritta Disturbo della comprensione del testo Disturbo del calcolo (Disturbo matematico) Sindrome Non-Verbale o Visuo-Spaziale dell’apprendimento Le difficoltà specifiche di lettura rappresentano il settore maggiormente indagato tra i Disturbi di Apprendimento Scolastico. In genere si usa il termine Dislessia, per rappresentare questo tipo di difficoltà se si manifesta in modo grave. È possibile fare una diagnosi di dislessia a partire dalla seconda o terza elementare, mentre in prima e nell’ultimo anno delle materne si parla di difficoltà nei prerequisiti alla letto-scrittura. Per poter diagnosticare un disturbo specifico della lettura la prestazione del soggetto in compiti di lettura deve essere significativamente al di sotto del livello atteso in base alla sua età, al suo livelli intellettivo generale e alla sua scolarizzazione. Questo accertamento può essere fatto somministrando individualmente al soggetto un test standardizzato di accuratezza e comprensione della lettura (ad esempio le Prove di lettura MT, Cornoldi e Colpo, 1995; 1998)16. In questi casi e fino in IV elementare è possibile prevedere un intervento specifico abilitativo adottando esercizi quotidiani condotti sia con specialisti che con l’aiuto dei docenti scolastici e/o dei genitori. L’obiettivo è modificare alcuni automatismi alla base del processo di decodifica. Quando il problema è purtroppo segnalato già ad età avanzate, oppure quando il problema è gravemente invasivo è possibile intervenire con aiuti compensativi o dispensativi alla lettura, quali l’utilizzo del computer con la sintesi vocale per la lettura o l’uso del registratore. 202

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In genere gli errori più frequenti in un soggetto dislessico possono riguardare l’omissione, la sostituzione, l’inversione di lettere, errori in cui si legge una prima parte della parola e poi si legge male la parte restante. Inoltre è spesso presente, soprattutto nei primi anni di scuola elementare, una eccessiva lentezza nel processo di decodifica. Nelle prime fasi di apprendimento della lettura possono essere presenti difficoltà nel recitare l’alfabeto, nel riconoscere correttamente le lettere, nel fornire semplici rime per determinate parole, ecc. Successivamente, nella lettura ad alta voce, possono presentarsi errori come omissioni, sostituzioni, distorsioni o addizioni di parole o parti di parole, lentezza, false partenze, lunghe esitazioni, perdita della posizione nel testo, espressività/interpretazione inaccurata, inversioni di parole nelle frasi o di lettere all’interno delle parole. Per quanto concerne invece i deficit nella comprensione della lettura, possiamo riscontrare incapacità a ricordare le cose lette, a trarre conclusioni o inferenze, a usare le informazioni contenute nel contesto del materiale letto (Tressoldi e Vio, 1996). Sembra che per comprendere un testo scritto siano necessarie 2 grandi aree di competenza (C. Cornoldi e R. De Beni)17. Una ha a che fare con le variabili strutturali del processo di comprensione stesso e un’altra ha a che fare con le variabili della persona che deve comprendere. Nel merito delle variabili strutturali possiamo elencare 7 campi fondamentali: 1. La capacità di inferire il significato di una parola dal contesto. Questo processo ci permette di anticipare un significato atteso anche prima di leggere la parola stessa. 2. La capacità di fare inferenze semantiche relative a concetti che nel testo non sono presenti esplicitamente, ma che, in base agli elementi, possono essere plausibili. 3. La capacità di tenere conto delle caratteristiche grammaticali, logiche e sintattiche del testo, anche a prescindere dal suo contenuto. 4. La capacità di effettuare un esame puntuale delle informazioni contenute in una frase o in una serie di frasi, individuando una gerarchia di importanza delle informazioni stesse. 5. La capacità di analizzare una storia nella sua serie tipica di eventi, nei suoi personaggi e nelle sue coordinate spazio temporali. 6. Le capacità di cogliere le caratteristiche fondamentali di un brano e in NEUROPSICHIATRIA INFANTILE • LOGOPEDIA • PSICOMOTRICITÀ • PSICOLOGIA

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particolare la sua natura, il motivo per cui è stato scritto e l’idea centrale che vi viene espressa. Vi sono soggetti che hanno difficoltà in tutte o molte delle variabili sopra esposte e altri che hanno difficoltà in alcune. Al di là delle variabili strutturali del testo bisogna dare importanza alle variabili metacognitive presenti nel processo di comprensione, connesse all’idea che il soggetto compie, necessariamente, uno sforzo cognitivo. Egli si deve porre in una posizione attiva rispetto alle informazioni contenute nel testo. Possiamo sottolineare che la comprensione implica una elaborazione personale del materiale scritto. Molti studenti che hanno difficoltà nella comprensione dei testi hanno un’immagine di se come persone che, per comprendere, devono semplicemente leggere di più, magari a voce alta. Questa posizione va rivista totalmente, offrendo loro, indipendentemente dal loro grado di compromissione, una visione possibilista e costruttivista rispetto alle abilità da potenziare. Le difficoltà specifiche di scrittura sono spesso associate a difficoltà in lettura, ma non necessariamente. Possiamo avere difficoltà per gli aspetti grafici o calligrafici. In questi casi, parliamo di disgrafia e di solito occorre valutare se il soggetto ha difficoltà nella coordinazione occhio-mano, nei livelli di percezione visuo-spaziale o prassiche in generale. A volte il bambino presenta invece delle difficoltà soprattutto rispetto alla corretta ortografia nella compitazione(isolare uditivamente i singoli fonemi che compongono la parola da scrivere e selezionare i corrispondenti grafemi) delle parole. In questi casi possono essere frequenti errori di omissione, sostituzione o inversione di lettere (errori di tipo fonologico) oppure errori nei digrammi e nei trigrammi (gn, chi…), nell’uso dell’h, dell’apostrofo, dell’accento o nei raddoppiamenti (errori non fonologici). In questi casi usiamo il termine disortografia. Infine le difficoltà possono manifestarsi a livello di composizione del testo, allorquando il soggetto, soprattutto delle scuole medie, costruisce testi non coerenti o incompleti (nel senso che i percorsi di generazione delle idee non sono supportati da informazioni coerenti o complete), costruisce testi poveri sul piano dei collegamenti dei concetti, costruisce testi con molte informazioni ma non pianificate gerarchicamente e strutturalmente, costruisce testi senza esporre alternative plurime, nei casi gravi non costruisce alcun testo. In questo caso parliamo di difficoltà nella costruzione dei testi scritti. 204

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Le difficoltà relative all’apprendimento della matematica godono di una ricerca recente che sta iniziando a fornirci alcuni suggerimenti importanti solo ora. Le difficoltà di apprendimento della matematica in realtà possono riguardare settori diversi. Una classificazione recente ci suggerisce di tenere distinti i processi alla base delle competenze di calcolo e dei fatti numerici (come le tabelline) rispetto alle competenze nella comprensione e risoluzione dei problemi matematici, dove sono richiesti processi ben distinti da quelli precedenti (come la capacità di categorizzare un insieme di concetti informativi, di schematizzarli e visualizzarli, di pianificarne le azioni, di autovalutarsi). Ancora una volta sembra che possa rivestire una certa importanza il processo di memorizzazione (nell’ambito soprattutto della memoria di lavoro) e recupero mnestico. Insieme a tali competenze mnestiche dobbiamo poi ricordare anche le competenze di tipo visuo-spaziale, ovvero quelle competenze tanto discusse dalle maestre e che però sono oggetto di poco spazio educativo specifico. Anche in questo caso la valutazione può essere effettuata sulla base di un test aritmetico standardizzato somministrato individualmente (ad esempio il test ABCA/Test delle abilità di calcolo aritmetico,Lucangeli18 et al., 1998 e il Test AC-MT, Cornoldi et al., 2002). La sindrome Non-Verbale o Visuo-Spaziale dell’apprendimento I deficit di tipo visuospaziale19 possono produrre una difficoltà marcata nel processo di apprendimento anche se essi non presentano una modalità univoca di espressione, ma costituiscono un eterogeneo complesso di disabilità attinenti all’area non linguistica. La valutazione è complicata anche dal fatto che manca un sistema consolidato di classificazione in riferimento al quale sia possibile caratterizzare questa tipologia di deficit (Cornoldi et al., 1997)20. Un importante contributo in questo ambito è quello fornito da Rourke (1989)21 il quale ha concentrato i suoi studi su quella tipologia di disordini caratterizzata da un forte divario, nel punteggio di QI, fra componenti verbali e non verbali, sulla scia delle differenziazioni già introdotte da Wechsler nella famosa WISC-R (1994)22 tra componenti verbali e di performance. Sul piano dei disturbi di apprendimento il bambino con SNV (sindrome non verbale) manifesta consistenti limitazioni in numerose attività e discipline scolastiche: deficit grafo-motori nell’assimilare le abilità di scrittura sia in stampatello che in corsivo, lacune nella comprensione della lettura, prestaNEUROPSICHIATRIA INFANTILE • LOGOPEDIA • PSICOMOTRICITÀ • PSICOLOGIA

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zioni inadeguate in aritmetica. Inoltre, fin dalla prima infanzia presentano problemi emotivi, difficoltà di integrazione sociale e di condotta a cui segue una drastica e ulteriore riduzione dell’attività, soprattutto nell’esplorazione dello spazio circostante. Possiamo dire (recuperando dal testo “Abilità visuo-spaziali” di Cornoldi e altri)23 che il bambino con queste caratteristiche in genere: - si blocca di fronte a consegne eccessivamente difficili, perché, essendo la memoria di lavoro limitata, vi può essere un eccessivo carico di informazioni che deve gestire; - agisce soprattutto in base agli schemi mentali che può attivare lui stesso, piuttosto che in base a quelli raccolti dall’esterno; ne consegue una certa perseveranza dell’errore; - ha difficoltà a manipolare, costruire o manipolare l’immagine mentale; - ha difficoltà a progettare e pianificare molti compiti; - mostra impaccio di fronte a compiti nuovi. Generalmente la sindrome Non-Verbale o Visuo-Spaziale dell’apprendimento viene suddivisa in: - discrepanza significativa tra abilità linguistiche (conservate) e visuo-spaziali (compromesse), valutata attraverso la somministrazione di scale specifiche WISC . - deficit nella memoria di lavoro visuo-spaziale - alterazione della velocità e della correttezza nella processazione dello stimolo visivo - alterazione dei processi di attenzione visiva - associato disturbo di apprendimento nelle abilità di calcolo e/o soluzione di problemi. Linee guida generali che possono essere di aiuto nella scelta dei modelli più adatti a livello di diagnosi e di intervento24. Una prima questione molto importante è la necessità, anche nei casi di Disturbi dell’apprendimento, come, in generale, nella maggior parte degli interventi in ambito educativo e didattico, di un coinvolgimento di tutte le figure che, a titolo diverso, sono implicate nel processo educativo e di insegnamento-apprendimento del soggetto. Si tratta cioè di attivare una rete di collaborazioni e promuovere una serie di alleanze sia con il soggetto in difficoltà e con i suoi bisogni, sia tra le persone di riferimento educativo per decidere una strategia comune. 206

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Una seconda puntualizzazione preliminare è l’importanza fondamentale, soprattutto nell’ambito dei Disturbi dell’apprendimento, dell’intervento preventivo precoce già a livello prescolare. Questo risulta infatti un “forte alleato” sia nella risoluzione di molti problemi che altrimenti andrebbero via via ad aggravarsi, sia nel successivo trattamento dei Disturbi dell’apprendimento. OPPORTUNITA’ & RIFERIMENTI Riportiamo qui di seguito alcuni riferimenti a siti internet, riviste e CDRom in lingua italiana inerenti i disturbi di apprendimento. Siti internet A.I.D Associazione Italiana Dislessia http://www.aiditalia.org A.I.D.A.I. Onlus – Associazione Italiana Disturbi Attenzione e Iperattività http://www.aidai.org A.I.R.I.P.A. Onlus – Associazione Italiana Ricerca e Intervento nella Psicopatologia dell’Apprendimento http://www.airipa.piave.net Portale del Centro Studi Erickson – Area Disturbi dell’apprendimento e metacognizione curata da Cesare Cornoldi, Rossana De Beni e Gruppo MT http://www.erickson.it Riviste Difficoltà di apprendimento, Trento, Erickson Psicologia clinica dello sviluppo, Bologna, Il Mulino Psicologia e Scuola, Giunti e OS, Firenze

* Rotacismo: modificazione fonetica della erre, meglio conosciuto come “erre moscia” ** Sigmatismo: pronuncia difettosa della lettera “s”

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L’EDUCAZIONE PUÒ AIUTARCI A PREVENIRE ALCUNE PSICOPATOLOGIE? Nel mio lavoro come terapeuta della famiglia e come consulente psicologa in diverse Scuole primarie del cremonese, del mantovano e del reggiano arriva forte la preoccupazione di molte insegnanti per la diminuita capacità di concentrazione dei bambini, i tempi di attenzione coartati (ristretti), la sempre più scarsa capacità organizzativa e la difficoltà a seguire le regole. Allo stesso modo, sono sempre più numerosi i genitori che chiedono e partecipano a incontri di formazione relativamente al tema dell’uso delle regole. Perché accade questo? Ci troviamo in un clima d’incertezza educativa che è la conseguenza di un passaggio a pratiche educative antitetiche e ugualmente deboli. Si è passati da un eccesso di disciplina, regole, autorità esercitata anche tramite la violenza e la forza durante periodo bellico fino agli anni 60’, per giungere poi al permissivismo che caratterizza i tempi odierni. Perché entrambe le pratiche sono pericolose? Entrambe sono basate sul controllo esterno, nel primo caso, quello dell’approccio autoritario determinato da regole e punizioni e nel secondo caso caratterizzato dal vincolo affettivo (“Non ti do regole perché non voglio che tu soffra e perché non mi vorrai più bene..”) e dall’uso dell’elogio. Le conseguenze sul futuro adulto sono: nel caso dell’uso della violenza e dell’eccesso di disciplina l’annullamento dell’individualità per compiacere l’altro (“faccio il maestro perché è il desiderio di mia madre, non mio”) o la ribellione (”..voglio essere il tuo opposto”), nel secondo caso la conseguenza è la dipendenza dall’elogio che produce individui sempre in cerca di consenso e nei casi estremi di riflettori, di spettacolarizzazione ( vedi Grande Fratello, Amici...personaggi televisivi senza qualità ma comunque popolari) NEUROPSICHIATRIA INFANTILE • LOGOPEDIA • PSICOMOTRICITÀ • PSICOLOGIA

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oppure produce un senso di onnipotenza che l’individuo non regge,in particolare i bambini e al quale riuscirà a far fronte unicamente tramite alcune forme di dipendenza, non a caso presente in molto personaggi di successo quali droga, alcool, sesso, gioco d’azzardo e altro. Il primo pericolo del permissivismo è l’abuso di strumenti potentissimi (che in sé non sono da demonizzare, è l’uso che ne diversifica l’effetto) dal forte potere persuasivo: la tv, i videogiochi, internet e il cellulare. Quali conseguenze possono esserci dall’uso imponderato della televisione? Molti bambini sono descritti come iperattivi o con deficit di attenzione perché appaiono come continuamente distratti, con tratti di impulsività, incapaci di portare a termine compiti che richiedono sforzo.(**) In realtà., la prevalenza del disturbo secondo gli studi condotti in Italia (Marzocchi, Cornoldi , Camerini e collaboratori) è solo del 4% (1 bambino su 25) e la diagnosi deve essere condotta secondo criteri specifici indicati con chiarezza dalle Linee guida della Società Italiana di Neuropsichiatria Infantile ma vero è che sono numerosi gli studi che indicano un generale aumento del deficit attentivo e fattori correlati ad esso. Molte ricerche1 e diverse esperienze cliniche2 mettono in correlazione la diminuita capacità attentiva con la pratica educativa. In particolare i bambini lasciati a sé, senza “ l’esserci consapevole” del genitore e quindi più esposti all’uso illimitato di televisione, videogiochi ed internet oltre che a carenza generale di regole sono i più a rischio. Secondo uno studio condotto dalla Washintgton University a Seattle27 su 2600 bambini si evidenzia senza dubbio che quanta più televisione si vede tra gli uno e i tre anni tanto più spesso c’è un deficit di attenzione a scuola. Cercando una relazione tra il guardare televisione da piccoli e sviluppare deficit attentivi si evidenzia che la televisione potrebbe dare stimoli inappropriati alla crescita armonica delle cellule nervose, come dire che la tecnologia si è evoluta tanto velocemente che il cervello dei bambini non vi si può adattare. Un ulteriore studio3 pubblicato su APAM e condotto in Nuova Zelanda per un periodo di 26 anni su 1000 bambini ha valutato il tempo passato davanti alla tv con il successo scolastico. Il successo scolastico è risultato diminuire proporzionalmente al numero di ore passate davanti alla tv: chi non ha raggiunto alcun diploma vi stava 210

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in media 2.76 ore al giorno, chi si era laureato 1,95. L’effetto era più evidente per chi guardava la tv da piccolo. Risultati simili sono stati riscontrati per i videogiochi, l’uso dei quali riduce la capacità di attenzione, la capacità di ragionamento logico- deduttivo, di adattamento, di interazione–mediazione del comportamento pro-sociale. In Italia, secondo recenti studi ISTAT sono 4-5 milioni le persone che fanno uso di videogiochi di cui il 70% sono bambini di età compresa tra i 6 e i 14 anni. Il pericolo aumenta per l’uso di internet. Se gli aspetti positivi del mezzo sono il poter usufruire di un numero illimitato di informazioni, è anche vero che vanno filtrate con dovuta saggezza per non rischiare come afferma un il pedagogista Edgar Morin che una testa “ben fatta” venga sostituita da una “ben piena”. È dunque importante guidare i nostri figli nella giungla della conoscenza proteggendoli da rischi importanti quali il prendere contatto con persone ignote all’insaputa dei genitori ( fenomeno che in Italia colpisce circa il 70 % degli adolescenti all’insaputa dei genitori) senza considerare che l’abuso di internet può generare in soggetti fragili forme di dipendenza quali fenomeni dissociativi, ritiro autistico, alterazioni dello stato di coscienza, depersonalizzazioni. Ulteriore rischio è la sostituzione della fiction con il mondo reale: il mondo dell’anima, delle sensazioni, dei profumi e degli odori, delle esperienze tattili e dei suoni della natura come pure del confronto reale con i coetanei senza il quale viene evitata la fatica della crescita ma anche la bellezza del divenire adulti. Allo stesso modo anche un’ educazione carente di regole che non abbia consentito al bambino di sperimentare una giusta dose di frustrazione, la capacità di perseverare di fronte alle sfide e di concentrare la propria attenzione, lo espone all’irrequietezza e all’impulsività tipiche del disturbo ipercinetico e di altre e più gravi patologie psichiche e del comportamento. Insomma, i bambini hanno bisogno di noi, di educatori che sappiano guidarli, non di stelle che brillano per i propri successi, le proprie conoscenze, la propria esteriorità, ma di esseri umani che” facciano con loro” e non ”per loro” e che sempre di più si chiedano “Cosa è giusto?” prima di seguire il gregge senza consapevolezza. L’’educazione” come già sosteneva molti anni fa Maria Montessori, fra le prime donne medico in Italia e autorevole pedagogista di fama mondiale, NEUROPSICHIATRIA INFANTILE • LOGOPEDIA • PSICOMOTRICITÀ • PSICOLOGIA

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“ è la vera questione sociale del nostro tempo” perché “ il bambino è il padre dell’uomo” e del nuovo futuro.

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QUANDO UN BAMBINO “PARLA MALE” “Si può parlare di una vera parola quando: ✓ la stessa parola viene usata regolarmente per segnalare lo stesso significato, vale a dire un bambino non deve usare scarpa per dire effettivamente scarpa in un’occasione e poi chiamare una scarpa sedia il giorno successivo; i nomi degli oggetti devono rimanere costanti; ✓ la parola usata dal bambino ha un suono che si avvicina a quello della parola convenzionale usata dalla famiglia (protoparole come mmm per dire voglio mangiare non valgono più); ✓ la parola viene detta con l’intenzione di comunicare e non è solo una sequenza che il bambino sta imitando subito dopo averla sentita; ✓ la parola viene utilizzata in una varietà di situazioni per nominare oggetti dello stesso tipo che il bambino non ha sentito nominare prima da nessun altro; in altri termini, la parola non è più legata a un unico contesto. Tutti i bambini, sia che usino il linguaggio orale sia che si esprimano nella lingua dei segni, conquistano la vetta della prima parola. Tuttavia per alcuni bambini questa conquista è raggiunta all’età di dieci mesi, per altri… i genitori sembrano attendere all’infinito”1. Il bambino impara a parlare molto rapidamente. La capacità di acquisire un linguaggio si basa su predisposizioni biologiche innate ma non è indipendente da altre capacità. La possibilità di sviluppare competenze comunicative e linguistiche è cioè strettamente collegata all’interazione di molteplici fattori: maturazione del sistema visivo, acustico e articolatorio, sviluppo motorio, memoria, capacità di rappresentazione e sviluppo affettivo-relazionale. I bambini normalmente imparano a parlare senza alcun preciso insegnamento; attraverso la semplice esposizione al linguaggio adulto essi, partendo da segni di comunicazione pre-verbale giungono a formulare modelli linguistici complessi. Si tratta di un processo graduale che, nella sua “naturalezza”, sottintende una grande variabilità sia nei tempi che nelle modalità attraverso cui si realizza. Ci sono bambini molto precoci, altri più lenti, altri che dopo aver raggiunto alcune conquiste sembrano fermarsi e continuare il loro sviluppo più lentamente. NEUROPSICHIATRIA INFANTILE • LOGOPEDIA • PSICOMOTRICITÀ • PSICOLOGIA

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Non sempre il bambino riesce o può sviluppare adeguatamente il proprio linguaggio, non per tutti i bambini, per lo meno, esso segue un’evoluzione facile e scontata. Capire e conoscere al più presto quando qualcosa si interrompe o rallenta in questo complesso processo è di fondamentale importanza. In alcuni casi il deficit del linguaggio può essere conseguente o comunque “combinato” a gravi patologie oggettivamente riscontrabili, altre volte esso può essere l’espressione di un disturbo di natura transitoria oppure il segno di un disturbo specifico. Di fatto, come numerose ricerche hanno ampiamente dimostrato, un disordine linguistico costituisce sempre un fattore rischio per lo sviluppo cognitivo e psicoaffettivo del bambino. Notevoli sono le difficoltà, infatti, che i bambini con disturbo specifico del linguaggio possono incontrare nell’apprendimento scolastico e importanti possono essere le ricadute sul piano sociale sia in adolescenza che in età adulta. Poter prevenire e individuare precocemente i bambini con problemi di linguaggio è, non a caso, l’obiettivo di numerose recenti ricerche e studi. La possibilità di poter riconoscere precocemente situazioni a rischio costituisce un’importante garanzia nel prevenire, o quanto meno nel delimitare, le successive difficoltà di tipo cognitivo e psicoaffetttivo che un bambino con disturbo del linguaggio può incontrare durante la sua crescita. Diversi autori sono concordi nel ritenere che già la fascia 24-36 mesi sia particolarmente significativa da un punto di vista clinico perché è all’interno di questa fascia d’età che è più facile individuare i late talkers2, quei bambini cioè più esposti a successivi problemi specifici del linguaggio3. Attraverso la valutazione di indici quali lo sviluppo dei gesti simbolici, la comprensione e la produzione lessicale e non per ultimo l’ampiezza del vocabolario situazioni problematiche nell’acquisizione e nello sviluppo del linguaggio possono essere rilevate ed eventualmente trattate. Analizzare e valutare le competenze comunicative e linguistiche del bambino rappresentano una parte importante dei compiti del logopedista. In qualità di operatore sanitario, attraverso un approccio multidisciplinare che prevede l’intervento di figure professionali quali il Neuropsichiatra infantile, lo Psicologo dell’età evolutiva, lo Psicomotricista e il Fisioterapista, 214

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il logopedista si occupa dell’educazione e della rieducazione di tutte quelle patologie che intralciano e rallentano il normale sviluppo del linguaggio. Suo compito è favorire il più possibile un normale sviluppo delle competenze linguistiche tenendo conto che il linguaggio non è solo espressione verbale ma anche comprensione, pensiero, messaggio scritto e lettura.

Articolo redatto da: Dr.ssa Nadia Vaccari Logopedista

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R. Michnick Golinkoff, K. Hirsh-Pasek, 1999 Per convenzione sono stati definiti come late talkers quei bambini nei quali la comparsa del linguaggio è ritardata, presentano un vocabolario inferiore o uguale al 10° percentile a 24 mesi e/o assenza di linguaggio combinatorio a 30 mesi (Thal et al., 1997; Thal e Bates, 1988). Bishop eEdmundson,1987; Rescorla e Schwartz,1990; Thal e Bates, 1988 NEUROPSICHIATRIA INFANTILE • LOGOPEDIA • PSICOMOTRICITÀ • PSICOLOGIA

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LA PSICOMOTRICITÀ Consiste in una forma d’intervento che mira a organizzare lo sviluppo psicofisico dell’individuo tramite l’utilizzo privilegiato di metodologie corporee. Si attua nell’area preventivo-educativo- terapeutico favorendo l’integrazione tra area-motoria-cognitiva-affettiva. Si rivolge prevalentemente all’età evolutiva ma trova anche sue specifiche applicazioni nell’adolescenza, età adulta e nella terza età. Nello sviluppo del bambino la motricità è uno dei principali integratori delle potenzialità di sviluppo psicofisico esprimendo quindi le caratteristiche individuali tramite le relazioni interpersonali , favorendo la progressiva conoscenza di sé a cominciare dal sé corporeo in relazione all’ambiente. Lo psicomotricista opera in collaborazione con altre figure nell’ambito educativo,sociale ,sanitario mantenendo un dialogo multidisciplinare quindi è necessario sottolineare la specificità dell’intervento psicomotorio in relazione al Neuropsichiatria infantile per attuare un intervento adeguato. Sono inoltre importanti logopedisti,fisioterapisti, psicoterapeuti . Nella Psicomotricità Il movimento è finalizzato sia al gioco spontaneo e all’espressività corporea sia all’adattamento a situazioni concrete, intenzionalmente progettate che facilitano nel soggetto la sua autonomia nell’ambito della vita pratica. La Psicomotricità Utilizza nell’ambito pratico gli elementi della comunicazione non verbale (tono, postura, sguardo, spazio), e oggetti (cerchi, corde, palle, foulard) intervenendo con metodologie specifiche quali attività ludiche, creativo espressivo ,attività percettive rilassamento globale. Le attività motorie tenderanno a favorire l’utilizzo del proprio corpo e un miglior controllo e autonomia. Interviene in situazione di disturbi di apprendimento (difficoltà scrittura lettura) inibizioni psicomotorie, goffaggine,difficoltà di coordinazione motoria, iperattività ritardo psicomotorio, disturbi generalizzati dello sviluppo. Gli obiettivi si realizzano in un percorso di riconoscimento della lenta e graduale costruzione dell’identità grazie all’apprendimento di abilità in diversi contesti rendendo possibile il riconoscimento delle risorse individuali. Articolo redatto da: Dr.ssa Lorenza Amadasi psicomotricista

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NEUROPSICHIATRIA INFANTILE • LOGOPEDIA • PSICOMOTRICITÀ • PSICOLOGIA

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Oculistica

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IL BAMBINO E L’OCULISTA La comprensione dell’entità di un difetto visivo e delle possibili complicanze che possono insorgere a seguito di un mancato o cattivo recupero dello stesso sta alla base della buona cura dei nostri figli; capire se il piccolo vede bene oppure no è indubbiamente un grande segno di attenzione, non solo da parte del Pediatra, ma, oserei dire, soprattutto da parte del Genitore. Senza dubbio se in famiglia padre e madre portano occhiali per miopia, ipermetropia o astigmatismo, sarà molto probabile che i figli, o tutti o solo alcuni, prima o poi manifesteranno un difetto visivo ereditato dai genitori. Ma quale difetto? Uno solo o un’associazione di più difetti? Lo stesso in entrambi gli occhi? E in quanto tempo peggiorerà? E come ci si deve comportare? Che sia vero che se mio figlio non porta gli occhiali diventerà cieco? Quante volte, in ambulatorio, si sente ripetere dalla mamma il lamento continuo fatto al povero bambino di mettere gli occhiali, mettili!, mettili!...ma siamo convinti che sia sempre così utile e fondamentale? O forse no… Chiariamoci le idee sui difetti visivi

Simulazione del modo di vedere di un occhio miope: gli oggetti posti a distanza ravvicinata vengono visti correttamente a fuoco, mentre quelli più lontani appaiono tanto più sfuocati ed indistinti tanto più sono distanti e tanto più la miopia è elevata

Simulazione del modo di vedere di un occhio ipermetrope: gli oggetti posti a distanza ravvicinata appaiono sfuocati ed indistinti; gli oggetti distanti vengono visti a fuoco, soprattutto se entra in funzione l’accomodazione

Simulazione del modo di vedere di un occhio astigmatico: le immagini vengono percepite deformate lungo una certa direzione che dipende dalla direzione dell’astigmatismo; la deformazione è tanto maggiore, tanto più elevato è il grado di astigmatismo OCULISTICA

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Il termine MIOPIA deriva dal greco “vedere ammiccando” ed è un vizio rifrattivo (visivo) ereditario, in parte o in toto. Il vizio rifrattivo spesso è di uguale grado nei vari componenti della stessa famiglia, ma può presentare una certa variabilità. Nella maggior parte dei casi il vizio visivo è legato alla lunghezza del bulbo oculare (cioè globo dell’occhio) esagerata; a volte ad un aumento della curvatura della cornea o del cristallino; di rado alla cataratta* o comunque all’aumento dell’indice di refrazione del cristallino (si badi che anche il neonato può presentare già la cataratta, per la quale è necessario eseguire subito l’intervento di estrazione della stessa con l’applicazione di una lente a contatto o l’impianto di un cristallino artificiale).

Cornea Pupilla

Cristallino

Fovea Nervo ottico

Umore acqueo Umore vitreo Iride Retina

Coroide Sclera

Il termine IPERMETROPIA invece significa “oltre misura”. Ereditario anch’esso, parzialmente o totalmente, è dovuto, nella maggior parte dei casi, al fatto che, al contrario della miopia, il bulbo oculare è troppo corto; questa situazione può essere solo uno stadio del normale sviluppo dell’occhio. A volte può essere dovuta ad un appiattimento della cornea. Di rado all’assenza del cristallino (afachia) o comunque ad un’alterazione dell’indice di refrazione dello stesso. L’ipermetropia è un difetto di refrazione che colpisce circa sei milioni di persone in Italia. I raggi luminosi provenienti da oggetti sia vicini che lontani non vengono messi a fuoco sulla retina, bensì su un piano dietro di essa: in questo caso, il bambino vede male gli oggetti vicini e in parte anche quelli lontani. Compensando, entro certi limiti, con l’accomodazione (meccanismo naturale che permette all’occhio la messa a fuoco), può vedere meglio, ma lo sforzo esercitato può provocare affaticamento oculare. Tutti i bambini hanno un’ipermetropia fisiologica alla nascita. L’ipermetropia può essere lieve (fino a 3 diottrie), media (fino a 6 diottrie) e alta (superiore alle 6 diottrie); quest’ultima è piuttosto rara, in genere si associa a malformazioni oculari. Infine il termine ASTIGMATISMO significa “senza punto”; normalmente si lega ad una forma anomala, irregolare, della cornea o del cristallino. Tre sono i difetti di vista; uno in particolare deve condurre il bambino dall’oculista, per il disturbo della qualità di vista e di vita che può procurare: l’IPERMETROPIA. 220

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Come si è accennato poco sopra, quasi tutti nasciamo ipermetropi e normalmente entro il primo anno di vita, con l’accrescimento in lunghezza del bulbo oculare, annulliamo il difetto acquisendo una normale capacità visiva. FUNZIONE VISIVA DEL NEONATO 0-1 mese

Presta attenzione alla luce; limitata capacità di fissazione.

1-2 mesi

Segue oggetti e luci in movimento; presta attenzione a stimoli nuovi e complessi.

2-3 mesi

Matura la capacità di convergenza, di fissazione e di focalizzazione.

3-4 mesi

Movimenti oculari più lineari ed aumento dell’acuità visiva; osserva e manipola oggetti

4-5 mesi

Sposta lo sguardo dagli oggetti alle parti del corpo; tenta di raggiungere e spostarsi verso gli oggetti; riconosce visi e oggetti familiari.

5-6 mesi

Raggiunge e afferra gli oggetti.

6-7 mesi

Movimenti oculari completi e coordinati; sposta lo sguardo da un oggetto all’altro.

7-8 mesi

Manipola gli oggetti guardandoli.

9-10 mesi

Manipola gli oggetti guardandoli.

11-18 mesi

Tutte le funzioni visive giungono a maturazione.

18-24 mesi

Appaia oggetti, imita azioni.

24-30 mesi

Appaia colori e forme; esplora visivamente oggetti distanti.

30-36 mesi

Appaia forme geometriche; disegna rudimentali cerchi.

36-48 mesi

Buona percezione della profondità; riconosce molte forme.

Primi mesi di vita: il neonato ha una limitata capacità di fissazione

4-5 mesi: il neonato distingue alcuni colori fondamentali

7 mesi: il piccolo comincia a percepire il senso di profondità

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Normalmente, acquisita una buona capacità visiva, il piccolo si affaccia alla vita impegnata, con i giochi, la famiglia e la scuola senza particolari limitazioni. Se all’inizio dell’età scolare lo sviluppo visivo è stato regolare, di sicuro il soggetto godrà per tutta la vita di un’ottima qualità visiva. Per questo risulta necessario un controllo oculistico prima dei 4-5 anni, quando non sia troppo tardi per recuperare eventuali handicap visivi. Spesso si nota un certo allarmismo se il nostro bambino lamenta capogiri o mal di testa quando legge o dopo aver guardato la televisione o dopo aver giocato con il computer. Presi da un eccessivo zelo, al limite dell’esagerazione, a volte i medici prescrivono esami come la TAC, la Risonanza Magnetica, l’Elettroencefalogramma, ma spesso indagini ben più semplici sono più che sufficienti per risalire alle cause del malessere. A volte tali disturbi sono legati a problemi alle orecchie, altre volte a problemi oculari. Frequentemente si evidenzia un disturbo chiamato sindrome astenopica, o astenopia accomodativa tipica di bambini dai 2-3 fino ai 7-8 anni, dovuta ad ipermetropia. Questi bambini faticano a mettere a fuoco, fatto che può portare a mal di testa, nausea, vertigini, bruciore agli occhi, affaticamento. Tali pazienti faticano a leggere e quindi provano difficoltà a stare sui libri. Bisogna quindi fare attenzione perché un presunta “svogliatezza” allo studio potrebbe nascondere un malessere fisico. A volte i cali di rendimento scolastico si possono benissimo spiegare con la semplice diagnosi di affaticamento visivo! Se l’ipermetropia del bambino raggiunge le 5-6 diottrie gli riesce difficile la lettura da vicino, con possibili mal di testa, nausea e vertigini. Ecco perché, in presenza di sintomi di questo tipo, occorre anzitutto una visita oculistica, in seconda battuta un controllo otorinolaringoiatrico e soltanto in ultima istanza una valutazione neurologica. Quando è il caso, viene osservato il fondo dell’occhio, che può già escludere alcuni problemi neurologici. Se si riscontra un’ipermetropia elevata o che, seppur di bassa entità, viene mal tollerata dal bimbo (capita sovente ai soggetti nervosi ed eccitabili), si procede alla prescrizione di un occhiale di basso potere che andrà portato tutto il giorno per ridurre così lo spasmo accomodativo e tutto il corteo sintomatologico che ne deriva. Articolo redatto da: Dr. Giuseppe Ghilotti Specialista in Oculistica

* Cataratta: processo di opacizzazione del cristallino 222

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Omeopatia

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L’OMEOPATIA NEL BAMBINO E NELL’ADOLESCENTE L’omeopatia è una scienza relativamente giovane nel campo medico. Nasce verso la metà dell’800 ad opera di un medico tedesco Hahnemann ed opera già per quell’epoca una vera e propia rivoluzione, per la prima volta si parla di medicina globale che si occupa prima della persona in quanto tale con il suo carattere, abitudine, alimentazione, ambiente e della sua malattia. Proprio la malattia viene vista come un segnale di disturbo del corpo per un malessere esterno ed interno che provocando un abbassamento del sistema immunitario predisposto per la difesa apre la porta ad agenti esterni come virus, funghi o batteri od interni con processi degenerativi acuti e cronici come le malattie autoimmuni o tumori. È una vera e propria medicina olistica (dal greco holòs, intero, integrale) che propone all’individuo di guarirlo senza sopprimere ma accompagnando i naturali meccanismi che ha il corpo per mantenersi sani e in salute. È naturale quindi che fra coloro che avranno maggiori vantaggi ci saranno i bambini. Ancora prima di nascere il bambino deve avere un ambiente, nel grembo materno, idoneo per la sua crescita sia fisica che psicologica per questo è neccessario già al nascere dell’essere umano una terapia eugenetica biologica. Successivamente sarà la famiglia ad accompagnare lo sviluppo del bambino cercando di fare svolgere i primi passi verso la crescita in un ambiente con stimoli giusti e che lo rispettino. Le malattie infettive ad esempio che in genere iniziano dal nono mese quando il patrimonio anticorpale ricevuto dalla madre comincia a diminuire fanno si che il bambino metta in atto la sua risposta con malattie febbrili che hanno come unico risultato di stimolare il sistema immunitario per prepararlo all’età adulta. Per questo motivo se sopprimiamo in modo eccessivo questa “ginnastica immunitaria” con farmaci allopatici1 finiamo anche per sopprimere o alterare la risposta immunitaria. L’omeopatia invece accompagna la malattia cercando di ridurre le complicanze e i disturbi della malattia, stimolando le naturali difese organiche, senza recare mai danno al paziente proprio come ci ha ricordato uno dei padri della medicina Ippocrate “Primum non nocere”. Quindi la sacralità dell’arte medica è innanzitutto nell’impegnarsi a non recare mai danno al paziente. Ma la medicina omeopatica ha anche il compito importantissimo di insegnare ai genitori come affrontare la malattia. Per noi la malattia è un linguaggio del corpo perché l’essere umano è un insieme indivisibile tra corpo e mente per cui il sintomo somatico va sempre inserito in un contesto più generale. OMEOPATIA 225

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L’enuresi (urinare a letto) notturna per esempio, indica che durante il giorno il bambino è sottoposto ad una pressione tale (genitori, scuola) che non è in grado di allentare la tensione o di far valere i propri desideri. Bagnando il letto, egli realizza il “lasciare andare” e sperimenta così una esplosione ed un sollievo. Quindi i problemi del bambino spesso segnalano ai genitori la necessità di riflettere ed eventualmente cambiare il proprio comportamento ed il modo di interagire con il proprio figlio. L’approccio omeopatico nelle manifestazioni acute in pediatria si svolge invece ai seguenti livelli. Prima la stimolazione specifica e aspecifica dell’organismo a livello immunitario poi la depurazione delle sostanze chimiche e di tutte le tossine con l’attivazione dei processi escretivi a livello cutaneo, renale e intestinale. L’omeopatia è quindi una possibilità terapeutica reale che agisce in modo significativo sia nelle patologie acute che croniche riconducendo l’organismo al naturale equilibrio che aveva perso nel manifestare la malattia. Articolo redatto da: Dott. Giorgio Leggeri Specialista in Pediatria – Omeopatia

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Farmaci allopatici: presupposti, della medicina allopatica si basano invece sul principio che la malattia sia contrastabile inducendo nell’organismo del paziente dei cambiamenti che siano opposti a quelli in esso prodotti dalla malattia stessa. Questo concetto di ”opposizione alla malattia”, che è insito nel termine stesso ”allopatico” si rispecchia nella farmacopea da noi utilizzata e nelle modalità di somministrare dei farmaci. Se si ritiene che una certa malattia sia dovuta alla carenza di una qualche sostanza, si tenterà di curarla somministrando al paziente tale sostanza. Se una malattia è causata dalla presenza di un germe, la si tratterà con un farmaco in grado di ucciderlo.

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OMEOPATIA

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Otorinolaringoiatra

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EPISTASSI? NIENTE PANICO L’epistassi o rinorragia è la perdita di sangue dal naso che nella maggior parte dei casi avviene dal “Locus Valsalvae”, una regione anatomica anteriore del setto nasale, dove i capillari sono più superficiali e per questo maggiormente soggetti ad emorragia. L’epistassi si definisce essenziale in assenza di uno stato patologico apparente, secondaria se derivante da una condizione patologica dell’apparato nasosinusale direttamente responsabile dell’emorragia. Dal punto di vista epidemiologico è un evento molto frequente e costituisce circa il 20% delle urgenze in ambito otorinolaringoiatrico con una prevalenza per il sesso maschile (62%) per un’età media di 56 anni; spesso in associazione ad ipertensione arteriosa1 e terapie anticoagulanti2 o antiaggreganti3. La persona con epistassi è spaventata e l’evento, nella sua manifestazione acuta, suscita preoccupazione nei genitori e nei famigliari. Sovente, tuttavia, si tratta di una situazione che si risolve spontaneamente favorendo l’arresto dell’emorragia semplicemente tamponando la narice interessata con due dita ponendo il capo in avanti.

POSIZIONE DA MANTENERE IN CASO DI EPISTASSI

SOFFIARE IL NASO, INCLINARE IL CAPO IN AVANTI, CHIUDERE LA NARICE INTERESSATA DALL’EMORRAGIA CON DUE DITA E PORRE DEL GHIACCIO SULLA FRONTE O ALLA RADICE DEL NASO.

OTORINOLARINGOIATRA

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Nella maggior parte dei casi, in particolare nei pazienti giovani, l’emorragia si arresta spontaneamente e non necessita dell’intervento del medico in urgenza ma semplicemente di un controllo ambulatoriale otorinolaringoiatrico, per definire l’approccio terapeutico che ne riduca le eventuali recidive. Diverso può essere l’approccio terapeutico di fronte agli episodi recidivanti: lo specialista in questo caso diviene indispensabile per l’inquadramento diagnostico ed i suggerimanti terapeutici a lungo termine. In alcuni pazienti, infatti, il fenomeno dell’epistassi risulta essere la “punta dell’iceberg”, ovvero la manifestazione più evidente di patologie più complesse, spesso correlate a malattie croniche, come l’ipertensione arteriosa, cardiopatie4, diabete (**), emopatie5, malattie epato-biliari, malattie infettive, malattie renali, deficit nutrizionali, disfunzioni endocrine, patologie nasali croniche e neoplasie. Numerose sono quindi le cause dell’epistassi e nella maggior parte dei casi non si tratta di patologie gravi, tuttavia l’esperienza dello specialista otorinolaringoiatra è rivolta a rassicurare il paziente, a stabilire l’iter diagnostico e definire quindi il corretto approccio terapeutico medico o chirurgico.

Articolo redatto da: Dr. Paolo Parisi Specialista in Otorinolaringoiatria Istituti Ospitalieri di Cremona

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Ipertensione arteriosa: aumento della pressione arteriosa Terapia anticoagulante: la terapia farmacologica anticoagulante orale (TAO) costituisce un trattamento di grande e crescente importanza per la cura e la prevenzione delle malattie tromboemboliche e della patologia vascolare in genere. Terapia antiaggregante: la terapia farmacologica inibisce l’attività delle piastrine circolanti nel sangue che se attive possono portare alla formazione nel circolo di masse solide chiamate trombi; questi possono essere particolarmente nocivi se si formano all’interno delle coronarie. Cardiopatia: si indica qualunque anomalia strutturale o funzionale a carico del cuore Emopatia: malattia a carico del sangue e suoi componenti.

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Urologia

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LE PATOLOGIE UROLOGICHE PEDIATRICHE PIU’ COMUNI FIMOSI Il pene anatomicamente si può dividere in due parti: il corpo vero e proprio del pene e la parte terminale che è il glande. Le due parti sono unite a livello del solco balano prepuziale: è un avvallamento tra il glande e l’asta. Il glande è ricoperto da pelle (prepuzio) che lo protegge. La circoncisione è un intervento chirurgico che consiste in una incisione circolare della pelle del prepuzio (tra l’asta ed il glande) per asportarlo. Il taglio chirurgico viene poi suturato con dei punti riassorbibili nell’arco di 15 giorni (non necessitano di essere rimossi). Alla fine dell’intervento avremo un glande quasi completamente scoperto. Ciò comporta per i primi tempi una ipersensibilità dovuta al fatto che il glande, abituato ad essere sempre coperto, si trova improvvisamente a contatto con i tessuti della biancheria. Col passare dei giorni la pelle del glande si fa più coriacea e questa ipersensibilità si riduce.

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Le indicazioni all’ intervento di circoncisione comprendono: Fimosi (dal greco phimosis = restringimento): la pelle del prepuzio a causa di fatti infiammatori cronici diventa un anello fibroso e rigido e può così impedire o rendere difficile e un po’ doloroso lo scoprimento del glande (quando il pene è in erezione o anche quando è flaccido) A volte la fimosi è così serrata da impedire al paziente di urinare bene. Parafimosi: è un evento raro che succede quando una persona ha la fimosi e retrae con forza il prepuzio per scoprire il glande. Se poi lascia il glande scoperto alcune ore questo si gonfia perchè il sangue non circola bene e la persona poi non è più capace di ricoprire il glande. Questa situazione è pericolosa perché può provocare una strozzatura del glande che peggiora di ora in ora. In questi casi bisogna andare in ospedale d’urgenza per risolvere questa situazione. Tumore del prepuzio (malattia rara) Infezioni del solco balano-prepuziale (balano-postiti), dovute alla scarsa igiene secondaria alla fimosi, che non regrediscono con la terapia medica ed i farmaci.

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PENE ALLA NASCITA CON IL PREPUZIO ADESO AL GLANDE

LO SMEGMA SI ACCUMULA SOTTO IL PREPUZIO INIZIANDO A SCOLLARLO

IL PREPUZIO È COMPLETAMENTE SCOLLATO E L’APERTURA È SUFFICIENTE A FAR FUORIUSCIRE IL GLANDE

IL PREPUZIO È SCOLLATO MA L’APERTURA È TROPPO STRETTA E A FORMA DI PROBOSCIDE. È UNA FIMOSI

IL PREPUZIO È SCOLLATO MA L’APERTURA È TROPPO STRETTA ANCHE IN QUESTO CASO. È UNA FIMOSI

IL PREPUZIO È SCOLLATO MA SOLO PARZIALMENTE. NON C’È FIMOSI MA SOLO ADERENZE.

FRENULO BREVE Per frenulo (dal latino frenulum= letto) si intende una sottile piega della pelle che avvolge il glande (chiamata prepuzio). Il frenulo è elastico. Alcuni giovani hanno il frenulo un po’ corto e se scoprono il glande il frenulo diventa teso. Infiammazioni ripetute 5 3 rendono il frenulo non elastico. Durante il rappor6 to sessuale il frenulo è stottoposto a stiramento: se è corto o se è infiammato si può rompere con sanguinamento. Quando il frenulo è corto o tende a lacerarsi 4 è meglio inciderlo chirurgicamente (frenuloplastica) in 2 1 anestesia locale senza ricovero in ospedale. 1- Frenulo 2- Glande I punti di sutura si assorbono da soli e non vanno 3- Corona 4- Cute poi tolti. È prudente astenersi dai rapporti sessuali per 5- Prepuzio 6-Orifizio dell’uretra un mese circa. 234

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VARICOCELE Il varicocele (dal latino varix = varice e dal greco kele = gonfiore) consiste nella dilatazione delle vene che circondano il testicolo. Queste vene si chiamano spermatiche perché fanno parte del funicolo spermatico, la struttura a fascio che sostiene il testicolo portandovi arterie, vene, fibre muscolari e il condotto deferente. Il condotto deferente è un sottile tubicino che parte dal testicolo, risale nell’addome e sbocca nella prostata: serve al trasporto degli spermatozoi. Per capire il significato di queste strutture è utile ricordare che mentre le ovaie lavorano al caldo dentro l’addome della donna, il testicolo lavora meglio ad una temperatura di circa ½ grado inferiore, fuori dall’addome in una struttura a sacco (scroto) che serve appunto a raffreddare il testicolo grazie alla sue pelle rugosa ed elastica (tanta superficie in poco spazio, come i termosifoni che disperdono il calore grazie alla notevole superficie radiante). Durante la vita fetale il testicoli si trovano nell’addome, come le ovaie. Al settimo mese di vita intrauterina scendono verso il basso, escono dall’addome da due gallerie, una a destra e una a sinistra (canali inguinali) ed entrano nello scroto dove rimarranno tutta la vita. Queste due gallerie sono la strada che l’intestino percorre per uscire dall’addome quando si forma un’ernia. Una volta completata la discesa i testicoli si trovano a una notevole distanza da dove erano nei primissimi mesi di vita fetale: una lunga struttura a forma di corda li accompagna nella discesa, è il funicolo spermatico. Il funicolo spermatico contiene la arteria e le vene che portano il sangue al testicolo. Il sangue è il responsabile della temperatura del nostro corpo (36,5 – 37 gradi): se attorno al testicolo vi sono delle vene dilatate (varici) è piu’ difficile mantenere la temperatura scrotale bassa. Sembra questa la causa del danno al testicolo prodotto dal varicocele. In cosa consiste il danno al testicolo ? La funzione del testicolo è di produrre ormoni maschili (indispensabili per la forma maschile del corpo e per la potenza sessuale) e spermatozoi (indispensabili per la procreazione ). Il varicocele non altera mai la produzione ormonale maschile; può invece alterare la produzione degli spermatozoi. Il 30% degli uomini col varicocele ha una fertilità più o meno ridotta. Il varicocele compare in genere tra i 14-18 anni di vita ed è presente nel 10% dei giovani. Quasi sempre è presente solo dal lato sinistro, raramente è al lato destro e ancora più raramente è presente da tutte e due le parti. Come si fa ad accorgersi di avere un varicocele ? Dato che raramente vi è dolore e la insorgenza è lenta, spesso i giovani non si accorgono di nulla. Solo quando la dilatazione varicosa è accentuata compare una sensazione di “peso” in stazione eretta. Alla palpazione ci si può accorgere, quando si è in piedi, di avere sopra un testicolo un groviglio di vene dilatate. Nei casi incerti una semplice ecografia scrotale con studio della disposizione vascolare (eco-color-doppler) confermerà l’alterato flusso sanguiUROLOGIA

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gno all’interno delle vene spermatiche. Quando il medico conferma la presenza di un varicocele consiglia, se il giovane è minorenne, di non fare nulla e stare a controllare negli anni la evoluzione della malattia. Solo se il varicocele è molto pronunciato e vi è sensazione fastidiosa di peso sarà giustìficata la terapia. Se invece il giovane è maggiorenne, il medico può consigliare lo studio della fertilità: l’esame del liquido seminale è in genere sufficiente. Se non vi è danno seminale l’intervento per eliminare le varici non è in genere indicato, a meno che vi sia sensazione di peso al testicolo. Dato però che il danno seminale è correlato anche alla durata del varicocele, una buona fertilità a 20 anni non significa averla anche a 30. L’esame seminale andrà quindi ripetuto ogni 2- 3 anni. TERAPIA del varicocele: molte sono le tecniche per eliminare le varicosità delle vene spermatiche a) embolizzazione transfemorale b) sclerotizzazione scrotale c) legatura chirurgica d)legatura microchirurgica e) legatura laparoscopica. La embolizzazione transfemorale (procedura mini-invasiva) consiste nel raggiungere la vena spermatica partendo dalla vena femorale alla piega della coscia: in anestesia locale si incide la cute alla piega dell’inguine per 1 centimetro, si penetra nella vena femorale con una sottile sonda flessibile che risalendo fino alla vena spermatica, ne interromperà il lume per mezzo di una soluzione sclerosante iniettata nella vena. Prevede un ricovero di poche ore e la sola anestesia locale alla cute dell’inguine. Viene eseguita dai radiologi sotto visione radiologica. Può succedere che particolari angolazioni della vena spermatica rendano difficile o impossibile il suo incannulamento. La sclerotizzazione scrotale è simile alla prima: la incisione è però alla cute scrotale e le vene slerotizzate sono quelle del funicolo. È eseguita dai chirurghi urologi. Il ricovero è di poche ore e l’ anestesia è locale alla radice dello scroto. La legatura chirurgica della vena spermatica è stata la tecnica più usata nel passato: con una incisione addominale simile a quella per togliere la appendice infiammata si arriva alla vena spermatica e la si lega. La anestesia è generale e il ricovero di uno-due giorni. La legatura microchirurgica prevede l’accesso inguino-scrotale in anestesia locale e un ricovero breve. La legatura laparoscopica è riservata ai varicoceli bilaterali: si penetra nell’addome con tre tubi da laparoscopia e sotto visione si legano le vene spermatiche di destra e di sinistra. La scelta tra queste varie tecniche dipende dalle preferenze del chirurgo . La percentuale di successo è simile per tutte le tecniche; nel 90 % dei casi il varicocele viene guarito , nel 10 % invece ritornerà del giro di 4- 6 mesi. Complicanze: a parte le complicanze dell’atto chirurgico (infezioni, allergie all’anestetico locale o al mezzo di contrasto usato dai radiologi, ematomi) la complicanza più frequente (10% dei casi) è la comparsa , entro alcuni mesi, 236

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di un idrocele (hydor =acqua kele = gonfiore). Lentamente si accumula acqua intorno al testicolo: si dilateranno le tuniche che rivestono il testicolo e lo scroto si gonfierà. Non è una situazione pericolosa per la funzione del testicolo e in teoria l’idrocele può essere lasciato stare. I giovani però preferiscono in genere farsi operare (con una piccola incisione cutanea in anestesia locale o generale) anche per motivi estetici. L’idrocele si forma perché quando la vena spermatica viene stoppata non c’è più il normale flusso di linfa lungo i sottilissimi vasi linfatici che sono affiancati alle vene: la linfa così ristagna attorno al testicolo e trasuda nella tunica che lo avvolge (tunica vaginale). Dopo la correzione del varicocele la fertilità migliora solo nel 60% dei casi. La grande percentuale di pazienti che non hanno miglioramento della loro fertilità è una prova che il legame causaeffetto tra varicocele e infertilità maschile non è ancora sicuro. È molto raro che un varicocele danneggi gravemente la sterilità o la abolisca del tutto. Il recupero pare migliore quando il varicocele viene guarito in età giovanile, dopo i 30 anni l’intervento sembra inutile.

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IDROCELE È una malattia caratterizzata dalla presenza di una quantità eccessiva di liquido attorno al testicolo. Il testicolo è normalmente avvolto da una guaina chiamata tunica vaginale e tra questa guaina e il testicolo è sempre presente qualche goccia di liquido sieroso che permette al testicolo elasticità negli spostamenti del corpo umano. Questo liquido è lo stesso che avvolge molti organi, per esempio l’intestino. Il testicolo di tutti i mammiferi infatti si trova nell’addome fino a circa due mesi prima della nascita, allora esce dall’addome e va a posizionarsi in una sacca termodispersiva chiamata scroto. Il testicolo scende nello scroto per raffreddarsi: mentre infatti le ovaie delle femmine lavorano al caldo e rimangono nell’addome anche dopo la nascita, il testicolo lavora meglio in un ambiente meno caldo ( l’interno dello scroto ha una temperatura di circa ½ grado inferiore a quella del corpo umano). Quando la quantità di liquido cresce (la crescita è molto lenta e non ne sappiamo esattamente le cause) il paziente avverte un gonfiore al testicolo interessato. Qualche volta compare senso di pesantezza. Una causa non rara di idrocele è la infezione acuta del testicolo (orchite). Una forma particolare di idrocele è quello congenito. Cioè presente fin dalla nascita e chiamato idrocele comunicante. Una volta passato dall’addome nello scroto il tunnel di passaggio che si trova a livello dell’inguine si chiude e questo impedisce il passaggio di liquido dall’addome allo scroto. Questa guaina si chiama dotto peritoneo vaginale. Se invece il dotto peritoneo vaginale rimane pervio il liquido presente nell’addome può scendere nello scroto quando il bambino contrae i muscoli ad-

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dominali (ad esempio quando piange). Lo scroto del bambino risulterà gonfio in alcuni momenti per poi sgonfiarsi quando il bambino rimane a riposo. La mamma noterà presto questa situazione. La maggior parte degli idroceli comunicanti si risolve spontaneamente entro il primo anno di età. Se si sospetta la presenza di anse intestinali nel sacco scrotale sarà eseguita una correzione chirurgica. Per motivi estetici o per la pesantezza avvertita il paziente può preferire la eliminazione di questo liquido che di per sé è innocuo. L’intervento consiste in una incisione di pochi cm sullo scroto e sulla tunica vaginale che viene aperta per asportare il liquido e resecare la tunica stessa. Nei bambini in cui l’idrocele non si è risolto dopo il primo anno di età la incisione deve avvenire a livello inguinale in modo da chiudere il dotto peritoneo vaginale a livello dell’anello inguinale interno, seguita dalla escissione del sacco distale. Complicanze dell’intervento: la complicanza più frequente è la infezione della ferita dovuta ai molti germi cutanei . Nel 10% dei casi a distanza di tempo si può riformare il liquido , nel qual caso l’intervento va ripetuto.

TORSIONE TESTICOLARE I testicoli dei mammiferi (non quello dei pesci e degli uccelli) escono dall’addome dove sono situati fino al 7 mese di vita intrauterina e scendono nello scroto per beneficiare di una temperatura ½ grado inferiore . Lo scroto è una tasca cutanea termodispersiva. Alla nascita i testicoli sono già usciti dall’addome. Durante la adolescenza e la prima giovinezza (circa dai 13 ai 20 anni ma anche nella prima infanzia) può succedere che uno dei due testicoli improvvisamente ruoti su se stesso di uno o anche due - tre giri completi determinando la torsione testicolare. Questo grave evento causerà un forte dolore allo scroto con pallore del paziente, nausea e vomito. La rotazione del testicolo interromperà improvvisamente l’afflusso di sangue all’organo e si verificherà un infarto del testicolo, responsabile del dolore. Infarto significa interruzione della circolazione del sangue, come nel cuore. Molto spesso la rotazione avviene di notte verso mattina quando per contrazioni muscolari collegate col sonno, può succedere che i sottili muscoli che sospendono il testicolo come un elastico nello scroto nel sollevarlo causino la rotazione del funicolo (il “cordoncino” che sostiene il testicolo). L’unica cura per questo evento drammatico è la operazione chirurgica in anestesia generale o locale: l’intervento consiste in una piccola incisione scrotale con esteriorizzazione del testicolo e sua derotazione manuale. Alla fine di questa veloce procedura si fissa il testicolo colpito e anche l’altro ai piani cutanei dello scroto per impedire che in futuro si ruoti di nuovo. L’intervento va fatto entro le 6-8 ore dall’insorgenza del dolore altrimenti UROLOGIA

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l’infarto sarà così grave che il testicolo verrà danneggiato irreparabilmente. Oltre le 8 ore in genere si preferisce togliere il testicolo e mettere nello scroto una protesi testicolare (testicolo di silicone o altro materiale inerte) a scopo estetico. La ecografia doppler con studio della vascolarizzazione aiuterà il chirurgo a decidere. Non raramente può capitare che il medico non sia sicuro di che cosa è successo al testicolo dolorante perchè la visita è resa difficile dal dolore o dall’età (nei bambini piccoli). Infatti a volte a ruotare non è tutto il testicolo ma solo un corpiciattolo adeso al testicolo e mobile, di volume come un grano di pepe chiamato idatide del morgagni (medico padovano del 1700 che l’ha descritto per la prima volta), altre volte invece non si tratta di torsione ma di infezione acuta. In quest’ultimo caso la terapia non è ovviamente chirurgica e si usano antibiotici. Per evitare però di sbagliare e scambiare una torsione con una infezione il chirurgo può consigliare di operare comunque per non correre il rischio che per evitare una brevissimo intervento ne risulti in danno irreversibile al testicolo. Un testicolo infartuato diventerà nei mesi successivi piccolo come un pisello. In genere se ne consiglia poi la asportazione per evitare possibili ma lievi danni alla fertilità futura. NORMALE RAPPRESENTAZIONE E DISPOSIZIONE DELLE STRUTTURE DI FISSAZIONE DEL TESTICOLO.

TORSIONE INTRAVAGINALE

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1. FUNICOLO SPERMATICO 2. MESORCHIO 3. LEGAMENTO SCROTALE

TORSIONE EXTRAVAGINALE

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TORSIONE TRA DIDIMO ED EPIDIDIMO

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IPOSPADIA (dal greco YPO=sotto - spadon=apertura): Ipospadia è una malformazione congenita del pene che consiste in un incompleto sviluppo dell’uretra anteriore. Lo sbocco uretrale anomalo può essere a diversi livelli sull’asta o sul perineo. Quanto più prossimalmente sbocca il meato, tanto più sarà facile osservare un incurvamento ventrale (corda). La differenziazione e lo sviluppo uretrale iniziano in utero approssimativamente all’ottava settimana e sono completi alla quindicesima. L’uretra si forma per fusione delle pieghe uretrali lungo la superficie ventrale del pene. Le pieghe uretrali si estendono fino alla corona nella porzione distale dell’asta. La classificazione più comunemente utilizzata per l’ipospadia prende come riferimento la sede del meato uretrale: glandulare, peniena distale, peniena prossimale, giunzione peno scrotale, e perineale. Il 62% delle forme è sottocoronale o penino, il 22% è a livello dell’angolo peno scrotale ed il 16% sullo scroto o sul perineo. L’incidenza dell’ipospadia è di 1 caso su 300 maschi nati vivi. È più frequente negli Italiani e negli Ebrei. Esiste una incidenza familiare. Le anomalie più frequentemente associate all’ipospadia sono il testicolo ritenuto e l’ernia inguinale. Il meato ipospadico può presentarsi stenotico per cui esso dovrebbe essere attentamente esaminato e misurato . un ulteriore segno che si manifesta nella maggior parte dei pazienti è una forma (a cappuccio) anormale del pene dovuta alla scarsità o assenza del prepuzio ventrale. L’incurvamento penino se non corretto causerà abbassamenti ed incurvamenti ventrali del pene che impediranno il rapporto sessuale nei casi più gravi. Nell’ipospadia perineale sarà necessario effettuare le minzioni in posizione seduta, inoltre queste forme di ipospadia negli adulti possono essere causa di infertilità. Lo sbocco uretrale a livello perineale e scrotale dovrebbe essere attentamente valutato per accertarsi che il paziente non sia una femmina con una sindrome adreno genitale con iperandrogenismo. L’uretroscopia e la cistoscopia saranno di aiuto nella valutazione dello sviluppo degli organi riproduttivi interni. Terapia: per ragioni psicologiche l’ipospadia dovrebbe essere corretta prima che il bambino raggiunga l’età scolare e nella maggior parte dei casi si dovrebbe intervenire prima dei 2 anni di età. Più di 150 tecniche di correzione chirurgica sono state descritte. Sono stati usati con successo lembi cutanei peduncolati ed innesti liberi di mucosa buccale per ricostruire la parte mancante dell’uretra. Le fistole possono complicare questi interventi nel 15-30% dei casi. Tutti i tipi di intervento comprendono il raddrizzamento del pene.

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NODULO DOLENTE

RESTRINGIMENTO

DEFERENTI CURVATURA

URETRA

PENE PLACCA FIBROSA

PROSTATA VESCICHETTE SEMINALI

TESTICOLI

CORPI CAVERNOSI

ECTOPIA TESTICOLARE E CRIPTORCHIDISMO (Cryptos= nascosto - orchis = testicolo) Nell’ectopia il testicolo risulta dislocato lontano dalla via di migrazione normale. Nel criptorchidismo il testicolo si arresta lungo il decorso della discesa normale. L’ectopia può essere dovuta ad una connessione anomala della terminazione distale del gubernaculum testis che conduce la gonade* in una posizione anomala. I siti ectopici sono i seguenti: inguinale superficiale ( sito più comune), perineale, femorale e crurale, penino, discesa traversa o paradossa ( entrambi i testicoli discendono lungo lo stesso canale inguinale), pelvico. La causa della mancata discesa non è chiara. Possono essere considerate le seguenti possibilità: anormalità del gubernaculum testis, cioè della struttura cordoniforme che si estende dal polo inferiore del testicolo fino allo scroto. Oppure un difetto testicolare intrinseco che rende il testicolo insensibile alle gonoadotropine, ormoni necessari per la corretta discesa del testicolo nello scroto. Terza ipotesi è la ridotta quantità di gonoadotropine materne che causa una discesa incompleta del testicolo. Il sintomo cardine dell’ectopia o del criptorchidismo è l’assenza di uno o di entrambi i testicoli nello scroto. Il bambino può accusare dolore per un trauma del testicolo se questo è situato in una posizione vulnerabile, ad esempio sopra l’osso pubico. Il paziente adulto con criptorchidismo bilaterale può presentarsi con infertilità. Va distinto un criptorchidismo fisiologico, cioè un testicolo retrattile che migra nel canale inguinale durante l’attività fisica o in presenza di basse tem242

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perature. Ciò è dovuto alla contrazione del muscolo cremastere dello scroto, si verifica in età prepubere quando i testicoli sono ancora piccoli . Vi è una incidenza di tumore da 35 a 48 volte più comune in un testicolo mal posizionato che in un testicolo disceso normalmente. Terapia: la correzione chirurgica dovrebbe avvenire dopo il primo anno di età e consiste nell’isolamento del testicolo all’interno del canale inguinale e nella sua trasposizione il più distalmente possibile. Se non si riesce a posizionare il testicolo nello scroto, si deve cercare di posizionarlo in una posizione dove possa essere palpato. In un successivo momento si può eseguire un secondo intervento per alloggiare il testicolo nello scroto. In caso di testicoli ectopici ed atrofici è necessario eseguire la asportazione del testicolo (orchiectomia). Circa il 20% dei maschi con testicoli unilaterali non discesi rimangono infertili malgrado sia stata effettuate un’orchidopessi ad un’età appropriata. *Gonade: ghiandola sessuale maschile e femminile in grado di produrre gameti e ormoni sessuali ENURESI (En =dentro - uresis= atto di urinare) Per enuresi si intende un’incontinenza notturna dopo i 3 anni di età. La maggior parte dei bambini a quell’età ha raggiunto un normale controllo della vescica, le femmine prima dei maschi. All’età di 6 anni, il 10% dei bambini presenta enuresi. All’età di 14 anni il 5% bagna ancora il letto. Il più del 50% dei casi è dovuto ad un ritardo di maturazione del sistema nervoso o ad un ritardo di maturazione del sistema nervoso o ad una disfunzione intrinseca della vescica mioneurogenica. Il 30% sono di origine psichica ed il 20% sono secondari a malattie organiche. La nascita di un fratello può essere causa di una perdita per il bambino della posizione dominante nella famiglia. Una malattia acuta può essere accompagnata o seguita dal ripetersi dell’enuresi. Gli stress fisiologici o psicologici (paura e ansietà) potrebbero manifestarsi con una vescica non inibita. Circa il 40% dei bambini enuretici hanno quadri elettroencefalografici borderline o francamente epilettici oppure mostrano segni di ritardo di maturazione del sistema nervoso centrale. Bisogna escludere che non vi siano problemi di ostruzione urinaria controllando il flusso. Se l’incontinenza è presente anche di giorno allora si tratta di un disturbo funzionale e non psicogeno. L’esame fisico generale e quello urologico sono normali. UROLOGIA

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Gli studi urodinamici sono di solito anormali e viene spesso ottenuta una curva tipica di iperirritabilità come da vescica neurogena. Salvo che non vengano scoperte infezioni o altre malattie organiche, non sono necessarie manovre strumentali, studi urodonamici o radiografici. Le complicanze dell’enuresi funzionale sono psichiche e non organiche. Questi bambini sono particolarmente turbati quando iniziano a frequentare la scuola. Molta pressione viene fatta dai genitori. L’enuresi può essere prolungata a causa di un appropriato carico di aggressività o come il risultato di una punizione. Terapia: se l’enuresi persiste oltre i 3 anni di età dovrebbe essere presa in considerazione una terapia. Limitare i liquidi dopo cena. La vescica deve essere svuotata al momento di andare a letto ed il bambino dovrebbe essere svegliato un po’ prima del momento in cui solitamente bagna il letto ed invitato ad urinare. Vi sono poi dispositivi meccanici che se bagnati emettono una suoneria di una sveglia che allerta il bambino suscitando un riflesso condizionato che inibisce le perdite urinarie. Vi sono farmaci utilizzabili come l’imipramina (efficace nel 50-70% dei casi), l’atropina, i farmaci simpaticomimetici, antidiuretici come la desmopressina. La psicoterapia può essere indicata per molti di questi bambini e dei loro genitori. L’impegno nella correzione del senso di insicurezza del paziente si basa sui genitori che devono essere indotti a non punire il bambino in modo da non aumentare ulteriormente i già esistenti sensi di colpa e di insicurezza.

Articolo redatto da: Dott. Candido Bondavalli Responsabile Divisione Urologia Ospedale Carlo Poma MN, Dott. Paolo Parma Specialista in Urologia presso Divisione Urologia Ospedale Carlo Poma MN

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Stampato da Arti Grafiche CHIRIBELLA s.a.s. nel mese di Agosto 2009

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Istituto Comprensivo Scolastico di Bozzolo

Il Libro della Salute

Il Libro della Salute Raccolta di articoli redatti da Medici Specialisti su problemi di salute di bambini in etĂ compresa tra 5 e 14 anni

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