Sapori di Sicilia. nov dic 2013

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Novembre-Dicembre

Editoriale

e n o u B te! Fes

È

il nostro primo Natale insieme. E questo editoriale non può che iniziare con un augurio. Durante questo periodo, di auguri se ne ricevono talmente tanti che, alla fine, neanche li si ascolta più.Tuttavia nel caso di Sapori di Sicilia Magazine gli auguri sono sinceri, perché sono quelli che la Redazione rivolge a se stessa e a voi. Perché, senza lettori, non ci sarebbe alcuna rivista. Siamo in edicola da soli tre numeri. Confezionare queste pagine per voi, e per noi, è un vero piacere, perché abbiamo la possibilità di incontrare gente interessante, che dedica ogni singolo giorno a valorizzare le eccellenze e i tesori nascosti di questa terra. Abbiamo la possibilità di incontrare luoghi vicini che sembrano lontani. Siete mai andati a Bronte ad assaggiarne i pistacchi? Volete rimanere di sale con la cattedrale di Realmonte? Non c'è bisogno di andare lontano. Ed ancora le magie del miele e le suggestioni delle grappe siciliane. Abbiamo pensato anche di suggerirvi come preparare la tavola per il pranzo del 25. Il nostro chef Natale Giunta, inoltre, vi invita al suo locale Castello a Mare per un ricco Menù di Capodanno. Siamo ritornati bambini e abbiamo ripreso, nelle pieghe della nostra memoria, i dolci e i piatti tipici delle feste, che da sempre hanno accompagnato le giocate natalizie e i momenti più belli trascorsi in famiglia. Insieme alle nostre ricette, vi regaliamo il nostro CAlENDARIo: una ventata di suggestioni, colori ed emozioni per tutto il nuovo anno. lasciatevi ispirare. E auguri, dunque, di buon Natale e di felice 2014.

Alessia Boschetti

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SAPORI DI SICILIA

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Filippo La Mantia

ambasciatore della cucina siciliana

di Marilisa Giammona

Si definisce “oste” e “cuoco”, non gli piacciono i francesismi, della poliedricità ne ha fatto un mestiere a tutto tondo. Filippo la Mantia è entrato nelle nostre case con il Talent Show ‘The Chef’ su la5 di Mediaset. ROMA: palermitano doc, anche a distanza non perde l’occasione di sentire gli odori della sua amata Sicilia; nella sua casa romana si racconta tra passato e presente. La sua ricetta vincente è: non prendersi mai sul serio.

• Filippo, quando nasce la pas-

cucinare, attività che in carcere mi dava una sensazione di benessere. Tutti i detenuti hanno questo attaccamento per il cibo che li tiene vivi là dentro.

• Giovanni Falcone firma la tua

sione per la cucina?

scarcerazione alla vigilia delle festività natalizie, che ricordi hai?

Crescendo a Palermo, e avendo sempre avuto contatti con cibo, odori e sapori, questa è una passione connaturata nel mio DNA. Naturalmente non tutti diventano cuochi. Io però ho percepito questa aspirazione e l’ho fatta diventare una professione.

Devo essere sincero... l’emozione che ricordo è contrastante, tra felicità di essere finalmente libero, e rammarico perché non potevo cucinare per i miei compagni di carcere, dopo che avevamo programmato insieme il menù di Natale. Ormai eravamo come una famiglia.

• Nel tuo passato, per equivoci • Filippo, ormai vivi a Roma da giudiziari, hai vissuto un’esperienza triste in carcere, e lì hai scoperto l’amore per la cucina.

Non è stata un’esperienza triste e mi ha dato tanto dal punto di vista umano. Lo so che è difficile da capire, ma è un’esperienza che consiglierei a tutti, perché quando ti negano tutto, cominci ad apprezzarlo. È un banco di prova molto forte, dove il cibo diventa il punto focale della tua giornata, ti aiuta a passare il tempo che lì dentro è molto lento. Diventa, inoltre, il cordone ombelicale con la tua famiglia, un legame vitale. Mi portavano gli ingredienti per

diversi anni; cosa ti manca della Sicilia?

Non mi manca niente perché ogni giorno tratto la Sicilia e ne parlo. Mangio più siciliano ora di quando vivevo a Palermo. Mi faccio mandare tutto, anche gli odori. Mai dimenticare da dove proveniamo. Ricordo che quando mi sono sposato, qui a Roma, tra tutti i miei invitati personali, oltre agli amici di sempre, c’erano anche da Palermo il mio bottegaio preferito, il fruttivendolo, il barista. Vederli felici mi faceva tanto piacere, mi ha riempito il cuore. MAGAZINE

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I n vo l t i n i d i spatoLa

• Tu prepari solo piatti siciliani, • Preferisci cucinare la carne

ma non usi nè cipolla nè aglio, come mai?

Sì, cucino solo siciliano, ho eliminato questi ingredienti perché non mi piacciono. Cucino solo quello che mi piace.. della serie “a cu’ ci piace ci piace.. a cu’ non ci piace… arrivederci e grazie”

• Sei fantastico... Qual è il piatto che ti piace di più?

Il concetto è che mi piace cucinare, quindi va bene tutto. Mi piace tanto manipolare la materia prima, mi piace sporcarmi le mani con gli ingredienti, mi piace tanto preparare la nostra caponata di melanzane, perché mi da soddisfazione. È diventata, infatti, una dei miei piatti principali. Adoro anche le paste e se devo scegliere tra un primo e un secondo, preferisco una buona pasta, mi diverte molto di più.

• Secondo te la cucina siciliana

ha una marcia in più rispetto alle altre cucine delle regioni italiane?

Non bisogna mai discriminare nessuna regione, perché ognuna ha le sue tradizioni. Sicuramente la Sicilia nella sua storia, con le tante dominazioni, dagli arabi agli spagnoli, ha assimilato qualcosa di unico e prezioso, influenzando la nostra cultura e le nostre abitudini, portando qualcosa a tavola.

• Quanto è importante in cucina la materia prima? È fondamentale. Per quanto mi riguarda l’olio d’oliva è il primo ingrediente al mondo e il menù di un bravo cuoco deve sempre variare in base a quello che c’è di fresco, appena raccolto, appena pescato. Infatti la mia cucina varia come le stagioni. MAGAZINE

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o il pesce?

Io preferisco la carne, perché mi piace, anche se mi rendo conto che il pesce in cucina è più intrigante; anche se va cucinato poco, non troppo crudo, non ci deve essere sangue, deve essere morbido al palato, con la sensazione di leggerezza che si sciolga in bocca. La vera abilità di un cuoco è saper cucinare bene il pesce.

• Un piatto tipico siciliano a cui sei molto legato. Mi piace molto il “falso magro”, perché anticamente era un piatto povero, ma sostanzioso, ripieno di rimasugli della cucina. Oggi quest’arte del riciclo del cibo, di non buttare nulla, è tornata in uso nelle nostre tavole.

• Basta Filippo mi stai facendo venire l’acquolina in bocca! Che vino consigli da accompagnare a questo piatto prelibato?

Assolutamente un Rosso del Conte, che per me è il vino per antonomasia, ha il pregio di essere buonissimo.

Un episodio che ti viene in mente dei tuoi clienti? Recentemente, una mia cliente che doveva festeggiare il suo compleanno. Quando le ho detto che non sarei andato a cucinare per la sua festa, pianse. Ora, da amico, mi toccherà andare a casa sua a cucinare.

• Quindi non tralasci mai l’aspetto umano? Mai, non lo trascuro mai. È la cosa più importante del mio successo. Faccio questo mestiere per gli altri, personalizzo i piatti, inspirandomi alle persone.

Ingredienti: • filetto di spatola • mollica di pane • uvetta e pinoli • capperi • basilico • buccia di limone grattugiata • un pizzico di sale • olio d’oliva. procedimento: Si amalgama il tutto, ottenendo un unico composto, che verrà distribuito nei vari filetti di spatola, arrotolarli, metterli in una casseruola e infornarli a 180 gradi per 10 minuti. Vino consigliato: bollicine settecento targate Cusumano.

di

F

ia t n a M a ilippo L

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diverte tantissimo. L’ho presa come un gioco. Prima non ne volevo sapere nulla di andare in tv. Questo progetto l’ho accettato perché ci sono tanti palermitani che me lo hanno proposto, stimolando il mio spirito campanilistico, per sentirmi più vicino alla mia città. Non ho voluto, però, né copioni né scalette. Io sono quello che sono, scelgo e creo.

• Filippo, nello scorso luglio lasci

il Majestic di via Veneto a Roma, ora dove possiamo trovarti?

• Allora a me cosa consiglieresti? • Tu ti definisci “oste” e “cuoco”, spiegami meglio...

Una bella cassata siciliana…

• Oddio Filippo mi vedi così in carne?

No. Una bella cassata è piena di ricotta, cioccolata amara, cannella, pasta reale, frutta candita e pan di Spagna, è un mix di voluttuosità!

• Quindi è l’emblema della Sicilia,

lo prendo come un complimento.

Certo! Stai scherzando? che ti dovevo dire la “tonnina in agrodolce”? Tu per me sei una bella cassata!

Io non sono uno chef, ma un cuoco. Sono italiano. Lo chef identifica un ruolo all’estero, con tutto rispetto ai francesi, ma nella mia categoria in Italia siamo tutti cuochi. Poi sono oste perché amo stare in sala con i miei clienti, parlare con loro e dare loro dei consigli. Poi entro in cucina e mi metto ai fornelli per loro. Poi ritorno in sala e li coccolo continuamente.

• Se ti dico ‘The Chef ’? Bellissima esperienza che sto facendo con Mediaset su La5, mi

IL “FaLso MaGro” di Filippo La Mantia “...lo preparo con la sella di vitello appiattita, poi per il ripieno metto una serie di ingredienti. la base è la mollica di pane tostata con olio d’oliva e acciuga sciolta, uvetta e pinoli, pezzetti di cacio cavallo, salame e prosciutto a pezzetti, pomodorini secchi. Insomma lo faccio gustoso; poi lo arrotolo con il composto dentro e lo chiudo con uno spago da cucina, lo faccio rosolare in padella con un po’ d’olio d’oliva fino a farlo dorare. Poi lo metto in una casseruola dentro il forno, dove vado ad ultimare la cottura, che sarà per venti minuti circa a 180°”...

Tra fine novembre e la prima settimana di dicembre, parte un nuovo progetto. Sarò al Jumeirah sempre in via Veneto a Roma. Tra un anno aprirò a Dubai, perché mi piace l’idea di internazionalizzare la mia cucina siciliana, anzi palermitana.

• Quindi “Forza Palermo”. Sempre!!! Da buon palermitano.

• Cosa farai da grande? Ancora non l’ho capito, faccio tutto quello che mi piace, ogni giorno, la mia ricetta vincente è: non prendersi mai sul serio.


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Editore

Novembre • Dicembre

FREE PRESS

piccola soc. coop. di giornalisti Via Leonardo da Vinci, 126 90145 Palermo buongiornoredazione@virgilio.it www.saporidisiciliamagazine.it

tel. 091.2521378 Direttore Editoriale Maestro Chef Natale Giunta Direttore Responsabile Alessia Boschetti Coordinatrice Editoriale Maria Grazia Sclafani Direttore Artistico Giacomo Callari

soMMarIo

Impaginazione e Grafica

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Segreteria di Redazione

Loredana Greco

................................................. Editoriale ..... Intervista al cuoco Filippo La Mantia ........ Le ricette dello Chef Natale Giunta ................................. Sicilia terra del vino ................................. La rivincita dell’olio ........................ Sailem, il Castello a Mare ............... Cattedrale di sale a Realmonte ...... Palermo-Catania, sapori e tradizioni ................................... La Sicilia premiata ........................................ Legumi siciliani .......................... L’americano trapiantato .... Carlo Distefano, Il “re” della ristorazione ..................................... Il miele, oro puro ................. Grappa, un distillato siciliano ............................................ Le agromafie ................... Sicilia paradiso degli agrumi ................................................ Pantelleria ..................................... Sapori d’autunno ... Intervista allo Chef Salvatore Cappello SAPoRI E bEnESSERE

99 ................................ Le radici della salute 102 ...................................... Il cibo sulla pelle

Veronica La Fata Ornella Romano Hanno collaborato Alessandra Alesi Silvia D’Alia Violetta di Pietrantonio Alessia Di Stefano Rossi Anna Ferrante Daniela Fleres Marilisa Giammona Francesca Giunta Veronica La Fata Maria Rita Pisano Nino Randisi Ornella Romano Lara Tripo Concessionaria della pubblicità Mediagroop Sicilia s.r.l. Via Leonardo da Vinci, 130 Tel. 0912521378 Marketing e Pubblicità Palmarita Balsamo Foto Archivio Sapori di Sicilia Bartolo Chichi Paolo Balsamo Stampa Punto Grafica Mediterranea Villabate (PA) tel. 091.6303336

N. 3 - Novembre-Dicembre 2013 MAGAZINE

SAPORI DI SICILIA

Registrato presso il Tribunale di Palermo IVA assolta dall’editore ai sensi dell’art. 74, comma 1, lettera c, del DPR 633/72, così come modificato dalla legge 30/12/91 n. 413.


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la lista della spesa

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Ricette

di natale giunta

totani ripieni con spuma di piselli

procedimenTo:

ingredienTi per 6 persone:

lavare e pulire i totani, separando la testa e i tentacoli dal cappuccio che andrà tenuto da parte intero. lessare per 5 minuti in acqua salata un pugno di piselli; tagliare a cubetti i pomodori; tritare le bucce del limone e dell’arancia e l’aglio; tritare anche le teste e i tentacoli del mollusco. riunire tutti gli ingredienti in una ciotola e aggiungere il pangrattato, poco olio, sale e pepe. Farcire i cappucci dei totani col composto e chiuderli per bene attorno a un foglio di pellicola trasparente; trasferirli in una placca o teglia in silicone e cuocerli in forno a vapore per 20 minuti a 100°. Tritare al coltello il cipollotto e imbiondirlo in una casseruola con olio, unire i piselli e cuocere per 20 minuti bagnando di continuo con brodo vegetale bollente. Frullare per omogeneizzare. servire la spuma di piselli in una fondina e adagiarvi sopra i totani ripieni dopo averli affettati a rondelle di circa 2-3 cm di spessore.

6 totani 50 gr piselli (più quelli per la spuma) 2 pomodori 1 limone (solo scorza) 1 arancia (solo scorza) 1 spicchio d’aglio 100 gr pangrattato olio extravergine d’oliva sale, pepe spuma di piseLLi: 1 cipollotto 200 gr piselli freschi 100 ml brodo vegetale 2 cucchiai olio extravergine d’oliva sale, pepe

Valori nutrizionali per porzione 236 g

Tempo di preparazione:

45 minuTi

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calorie Totali grassi di cui saturi carboidrati di cui zuccheri di cui Fibre proteine colesterolo sodio

330 kcal 18,5 g 4,3 g 17,4 g 15 g 3g 24,7g 212 mg 374 mg magazine

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Ricette

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Pasta ro malu

tempu c’anciovi procedimenTo:

ingredienTi per 5 persone:

Tagliare l’aglio a pezzettoni e scaldarlo in un saltapasta con olio, filetti di acciuga, olive e prezzemolo tritati; sfumare con vino bianco e lasciar insaporire il tutto per 3 minuti a fuoco dolce. lessare nel frattempo i broccoletti, scolarli e unirli nel saltapasta; portare a cottura in 5 minuti a fuoco moderato. Frullare metà del composto al mixer e tenere da parte. cuocere i paccheri in acqua bollente salata, scolarli al dente e saltarli con il restante condimento e pangrattato. servire la pasta così condita sulla crema di broccoletti a specchio. Terminare con una pioggia di pomodorini secchi tagliati a filetti.

400 gr paccheri di grano duro 200 gr cime di broccoletti 80 gr acciughe a filetti 50 gr pangrattato spicchi d’aglio 40 gr olive nere 80 gr pomodorini pachino secchi 50 ml olio extravergine di oliva prezzemolo sale, pepe

Valori nutrizionali per porzione 180 g

Tempo di preparazione:

25 minuTi

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calorie Totali grassi di cui saturi carboidrati di cui zuccheri di cui Fibre proteine colesterolo sodio

524 kcal 14,5 g 2,3 g 79,3 g 9,7 g 6,8 g 19,1 g 6 mg 363 mg magazine

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Ricette

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Risotto con nero di seppia, ricotta e pesto di pistacchi

procedimenTo:

ingredienTi per 5 persone:

imbiondire mezza cipolla tritata in una pentola con quattro cucchiai d’olio, aggiungere le seppie pulite e tagliate a filetti e rosolarle per qualche minuto; unire il concentrato di pomodoro e le sacche col nero; cuocere per 15 minuti a fuoco moderato. salare, pepare e profumare con alloro. Tritare la restante cipolla e appassirla per 5 minuti a fuoco dolce in una casseruola a parte con quattro cucchiai d’olio; alzare la fiamma, unire il riso e tostarlo per 2 minuti, sfumarlo col vino bianco e procedere alla sua cottura, abbassando di nuovo la fiamma e bagnandolo ripetutamente con brodo vegetale bollente. Unire il condimento di seppie negli ultimi 6 minuti di cottura del risotto. spegnere la fiamma e mantecare con olio extravergine. pestare i pistacchi al mortaio con aglio e olio ottenendo un pesto. servire il risotto, sformandolo attraverso un cerchietto, con una quenelle di ricotta fresca cosparsa in superficie di pistacchio e con il pesto ai pistacchi.

400 gr riso carnaroli 1 cipolla 400 gr seppie 750 ml brodo vegetale 200 gr ricotta di pecora ½ cucchiaino concentrato di pomodoro ½ bicchiere vino bianco 50 ml olio d’oliva 2 foglie di alloro sale, pepe 100 gr pistacchi sgusciati e sbucciati 1 spicchio d’aglio olio

Valori nutrizionali per porzione 250 g

Tempo di preparazione:

25 minuTi

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calorie Totali grassi di cui saturi carboidrati di cui zuccheri di cui Fibre proteine colesterolo sodio

720 kcal 35 g 7,6 g 72 g 4,4 g 2,2 g 27 g 112 mg 332 mg magazine

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Rollatine di Coniglio

al pistacchio procedimenTo:

ingredienTi per 8 persone:

imbiondire il cipollotto tritato in una casseruola con olio, unire i capperi dissalati, le olive tritate e il sedano a brunoise e rosolare per 3 minuti; stemperare con un bicchiere d’acqua calda e unire il concentrato di pomodoro. cuocere per 10 minuti e tenere la salsa in caldo. Frullare i pistacchi con il pane, l’albume, la panna, il sale e il pepe fino a ottenere un composto spalmabile e omogeneo. aprire le fette di coniglio e batterle con un batticarne (dal fondo liscio); spalmarvi sopra la farcia di pistacchi e richiuderle a mo’ di rollatine, senza far fuoriuscire la farcitura. avvolgerle saldamente con la pellicola trasparente e cuocerle a vapore per 15 minuti. privare le rollatine della pellicola e affettarle come un arrosto. servire le fettine di rollatine al pistacchio con la salsa d’accompagnamento ai cipollotti e terminare con una macinata di pepe nero.

100 gr cipollotti 1 cucchiaio capperi dissalati 50 gr olive 200 gr sedano acqua 1 cucchiaino concentrato pomodoro 60 gr pistacchi sgusciati 100 gr pane bianco 1 albume 3 cucchiai panna sale, pepe 600 gr polpa di coniglio disossato olio extravergine d’oliva

Valori nutrizionali per porzione 131 g

Tempo di preparazione:

30 minuTi

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calorie Totali grassi di cui saturi carboidrati di cui zuccheri di cui Fibre proteine colesterolo sodio

190 kcal 5,6 g 0,8 g 14,8 g 4g 1,7 g 19,4 g 53 mg 71 mg magazine

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Spatola

ai pinoli

procedimenTo:

ingredienTi per 6 persone:

ricavare delle striscioline dal filetto di pesce spatola, passarle nell’uovo sbattuto e nel trito di mollica di pane, pecorino, aglio, pinoli, capperi e prezzemolo; arrotolarle a mo’ di girandole e fermarle con stuzzicadenti. infornarle per 10 minuti a 180°. affettare il porro a julienne, passarlo nella farina e nell’olio caldo da frittura. Fare una millepunti di sedano, carota e zucchina e condirla con olio, sale e pepe. servire le girandole di pesce spatola sopra la millepunti di verdure e sormontarle col porro croccante.

400 gr filetto di pesce spatola 200 gr pangrattato (mollica di pane) 2 tuorli d’uovo 100 gr pecorino grattugiato 1 spicchio d’aglio 1 cucchiaio di capperi 1 ciuffo di prezzemolo 50 gr porro farina olio per friggere 1 carota, 1 zucchina, ½ peperone olio extravergine d’oliva sale

Valori nutrizionali per porzione 171 g

Tempo di preparazione:

20 minuTi

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calorie Totali grassi di cui saturi carboidrati di cui zuccheri di cui Fibre proteine colesterolo sodio

418 kcal 22,6 g 5g 29,2 g 0,6 g 2,5 g 24,5 g 76,8 mg 272 mg magazine

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Ricette Cannelloni

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con sparaceddu e ricotta di capra su crema di pomodori

procedimenTo:

ingredienTi per 8 persone:

impastare la semola con le uova e l’acqua fino a ottenere un composto liscio e omogeneo; lasciarlo riposare in frigo per un’ora, stenderlo e tagliarlo con una rotella in sfoglie di 6x6 cm. scottarle in acqua bollente per 3 minuti, scolarle e tenerle da parte. pulire i broccoli, sbollentarli per 5 minuti, scolarli e tagliarli a pezzetti, quindi unirli al composto di ricotta, caciocavallo grattugiato (metà), pepe e cannella in polvere. Farcire i quadrati di pasta con tale farcia e chiuderli ben stretti a mo’ di cannelloni. raggrupparli in ragione di quattro per porzione e legarli con un filo di cicoria selvatica; spennellarli con olio, cospargerli del restante caciocavallo grattugiato e cuocerli al forno per 20 minuti a 180°. cuocere per circa 10 minuti i pomodori datterini in una padella con olio e basilico, passarli al passaverdure e tenerli da parte. Tagliare a metà gli altri pomodori, condirli con olio, sale, pepe e scorza di arancia grattugiata; cuocerli a bassa temperatura nel forno a 80° per un’ora. passarli al setaccio e unirli al sugo di pomodoro semplice. servire la crema di pomodori in un piatto fondo e, sopra i cannelloni croccanti. decorare con una fogliolina di basilico.

300 gr semola di grano duro 80 gr tuorli 100 ml acqua 400 gr broccoli primizie (sparaceddi) 180 gr ricotta di capra 50 gr caciocavallo cannella in polvere 10 fili di cicoria selvatica olio extravergine d’oliva sale, pepe crema di pomodori: 250 gr pomodori datterini 15 foglie di basilico olio extravergine d’oliva 250 gr pomodori di collina 20 gr scorza d’arancia sale, pepe

Valori nutrizionali per porzione 276 g

Tempo di preparazione:

45 minuTi

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calorie Totali grassi di cui saturi carboidrati di cui zuccheri di cui Fibre proteine colesterolo sodio

362 kcal 9,8 g 4g 55,3 g 3,5 g 4,5 g 21 g 183 mg 116 mg magazine

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Sicilia terra del vino La coltivazione delle vite in Sicilia ha avuto una straordinaria evoluzione negli ultimi decenni e ha fruttato riconoscimenti a livello mondiale di Alessia Boschetti

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ome nell’antichità, anche oggi la vite richiede costanti attenzioni da parte dell’uomo. Introdotta, pare, nel 1400 a.C., dai Micenei, la coltivazione della vite in Sicilia ha avuto una straordinaria evoluzione negli ultimi decenni e ha fruttato riconoscimenti a livello mondiale. La posizione geografica nel cuore del Mediterraneo rende la Sicilia un punto di incontro dei popoli che si affacciano sul bacino del mare, considerato per eccellenza culla della civiltà. L’isola rappresenta, da sempre, una specie di enorme, splendida piazza, per gli scambi commerciali e culturali. Il vino, insieme con l’olio e il grano, è stato uno dei prodotti di maggior attenzione dei mercanti, specie nel periodo di colonizzazione greca, iniziata nel 750 a.C., che ha lasciato tracce notevoli al suo passaggio. Il florido commercio, soprattutto con Cartagine, è stata una pausa felice nella storia della vite nell’isola, che subì alti e bassi considerevoli. Il ritrovamento di viti fossili nella zona dell’Etna testimoniano la naturale predisposizione del suolo alla pianta. Con l’arrivo dei Greci la viticoltura si sviluppò notevolmente, anche grazie ad alcune varietà portate dagli stessi

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colonizzatori, quali appunto il Greco o il Grecanico. Da questo momento in poi la vite trova sempre maggior spazio nell’economia siciliana, sostenuta anche dai popoli che susseguirono i Greci come Romani, Bizantini, Normanni, Svevi, Aragonesi e Spagnoli. Dalla fine del 1770 ai primi del 1800 due eventi diedero una svolta alla viticultura dell’isola: la nascita del Marsala, nel 1773, e l’arrivo della famigerata fillossera, che distrusse la maggior parte dei vigneti nel 1800. Con il rinnovo delle culture, nel 1900, la Sicilia si riprese nella produzione, ma fu solo nel 1960 che si introdussero nuovi tipi di impianti, a spalliera e a tendone, per aumentare le rese produttive: la classica forma ad alberello dà una resa produttiva minore, circa 50 quintali contro i 70100 e anche più delle altre. Il volto della Sicilia attuale è quello di una terra dalle grandi potenzialità. Ai vitigni tipici (autoctoni) se ne sono affiancati altri di origine francese e tedesca che hanno trovato un habitat ideale, consentendo alla produzione di accostare alle vinificazioni in purezza di un solo vitigno quelle, innovative, frutto del matrimonio tra più tipi di vitigno. Tra le varietà autoctone, partendo dalle uve bianche, spicca l’Ansonica o MAGAZINE

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Terre del vino imp_4 19/11/13 12:47 Pagina 21

l’Insolia, particolarmente adatta a vini secchi da tavola, delicati sia nei profumi sia di corpo. Ultimamente è vinificata sia in purezza sia con lo chardonnay, regalando in questo caso prodotti di maggior struttura e con una maggior intensità di profumi, dovute anche alla maturazione in botti piccole. Quest’uva può entrare anche nella produzione del Marsala. Il Carricante è anche conosciuto come “Catanese bianco” e trova habitat ideale sui terreni vulcanici dell’Etna. Il Cataratto bianco, viceversa, prospera nella provincia di Trapani nelle sue diverse varietà, ha profumi poco intensi e un discreto grado alcolico e una media struttura, il che lo rende un supporto ideale e componente base del Marsala. Il Damaschino, il cui nome ricorda le probabili origine siriane, è un vitigno poco usato, forse per la sua struttura poco rilevante che non promette nè corpo nè gradazione alcolica interessanti. Dalla Grecia sono arrivati invece, il Greco e il Grecanico, che hanno avuto maggiori fasti nel passato e che ora rientrano in vari vini da tavola. Il Grillo è usato per produrre il Marsala, ma ultimamente lo si sta valutando in purezza per vini secchi da pasto. La Malvasia delle Lipari fu introdotta anch’essa dai Greci e trovò nelle isola habitat ideale che ha conferito al vitigno caratteristiche uniche. Lo Zibibbo, sembra, arrivò al seguito degli Arabi, interessati a produrre uva appassita, ha acini grandi ed è impiegato sia come uva da tavola sia nella produzione di Moscato di Pantelleria. MAGAZINE

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Tra i vitigni rossi il Frappato di Vittoria è quello che dà vini dai colori più tenui e tuttavia dotati di buona longevità. Il Nerello ha diverse varietà, le più conosciute sono il Nerello Mascalese e il Nerello Cappuccio; il primo è più usato ed apprezzato e rientra in numerosi vini rossi di una certa importanza. Il vitigno più pregiato è in assoluto il Nero D’Avola, vinificato in purezza regala prodotti splendidi ed è frutto di proficui matrimoni con il Cabernet Sauvignon. Il Perricone o Pignatello dà a sua volta prodotti di buona struttura con profumi e sapori molto apprezzati. Accanto a vitigni autoctoni, la Sicilia ha ormai un ricco bagaglio di vitigni alloctoni, arrivati da altre regioni o dall’estero. Alcuni profumi sono stati introdotti nel 1800 e anche prima, per opera di illuminati proprietari terrieri, altri sono approdati una decina di anni fa. Tra i vitigni bianchi, quelli che hanno riscosso maggior interesse sono: Chardonnay, Müller Thurgau, Pinot grigio e Pinot bianco, Sauvignon. Tra i rossi: Barbera, Cabernet Sauvignon, Merlot, Pinot nero, Syrah. Le uve da tavolo sono coltivate principalmente in tre provincie: Agrigento, Caltanissetta, Siracusa. La forma di coltivazione più usata è quella a tendone che prevede l’estensione dei tralci della vite su diversi supporti per avere altissime rese per ettaro. Le varietà maggiormente prodotte sono l’Italia e lo Zibibbo; di questa varietà una parte arriva da Pantelleria.

riSotto ai carciofi

Ingredienti per 4 persone: 400 gr cuori di carciofi 320 gr riso 1 litro brodo 2 cipolla bianca 50 gr parmigiano grattugiato 30 gr burro 5 cucchiai d'olio 1 spicchio d'aglio qb maggiorana qb sale qb pepe

Procedimento: Pulire i carciofi e tagliare in quattro i cuori. tritate l’aglio e metà della cipolla e farli rosolare in una padella con l’olio. aggiungere i cuori di carciofo e farli cuocere per circa 10-15 minuti a fuoco lento, aggiungendo un cucchiaio di brodo vegetale. tritare la maggiorana e aggiungerla ai carciofi. fare fondere il burro nella pentola per il risotto, aggiungere l’altra metà della cipolla tritata e versare il riso. Girare, per un paio di minuti, con un cucchiaio di legno e sfumare con il vino bianco. aggiungere poi un paio di cucchiai di brodo vegetale caldo e mescolare bene. a metà cottura del riso, aggiungere i cuori dei carciofi ed amalgamare bene. infine, fare mantecare il riso a fuoco lento con una noce di burro e il parmigiano grattugiato. Servire ben caldo.

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la rivincita dell’

olio

fino a poco tempo fa, ingiustamente poco considerato, l’olio siciliano si sta prendendo le sue rivincite

C

on gli sforzi di produttori e istituzioni, l’olio siciliano è cresciuto in qualità ed è diventato, in alcune zone, un prodotto a denominazione di origine protetta (DOP). Da sempre la Sicilia è stata un’importante produttrice d’olio da olive ( il 15% dell’intera produzione italiana), e, a dire il vero, tra le regioni del sud è sempre stata quella con la più alta percentuale di extravergine.

Fino a pochi anni fa però raramente i gourmet italiani o stranieri la citavano tra le alte zone dei grandi oli di qualità: nelle riviste d’alta gastronomia si è sempre parlato di oli umbri, toscani, liguri. Adesso, invece, la Sicilia si è presa una clamorosa rivincita, rastrellando una grande fetta dei premi internazionali. Si potrebbe affermare, volendo aprire una polemica, che ciò è possibile perché – secondo severe norme internazionali – le degustazioni non sono più appannaggio di una ristretta cerchia di critici enogastronomici, ma hanno regole rigide e uniformi; con i moderni panel (gruppi organizzati e riconosciuti dal Comitato Oleicolo

di Silvia D’Alia

Internazionale di assaggiatori professionali) di degustazione, il palato e il naso sono diventati strumenti “scientifici”, in grado di dare un giudizio oggettivo. Sarebbe ingiusto limitare il moti vo del suo successo a questo, ma sta anche in una crescita qualitativa voluta e cercata dagli olivicoltori e dagli enti pubblici, che hanno evidenziato nel settore un grande attivismo. L’olio extravergine siciliano ha una spiccata personalità: pur evidenziando differenze evidenti tra zona e zona, hanno tutti un profilo comune, che conferma una delle tipiche prerogative della Sicilia, definita giustamente “isola dei profumi”. Infatti gli oli hanno una nota aromatica molto spiccata, fresca, con prevalenza di sentori erbacei, ma spesso anche con una piacevole componente floreale. Hanno un

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sapore che ricorda sempre il pomodoro acerbo, con aggiunta di altri vegetali, e sono morbidi, rotondi in bocca. La tipicità è dovuta, oltre ai fattori pedoclimatici, alla presenza pressoché escluvisa di cultivar autoctone, in particolare diversi tipi locali di Nocellara, la Tonda Iblea, la Biancolilla oliarola messinese. Pur attiva su tutta l’isola, la cultura dell’olivo si è specializzata in alcune zone denominate di origine protetta. L’olio DOP Monti Iblei proviene dalle pendici dei colli omonimi nelle province di Siracusa, Ragusa e Catania; è medio fruttato (il fruttato è il sentore di oliva) e fragante, con lieve sensazione piccante (che negli oli extravergini veri è un pregio e si attenua con il tempo). È ideale per friggere o condire l’insalata d’arancia. Dolce e mediamente fruttato, con sentore d’erba fresca è l’olio DOP Valdemone del Messinese, ottimo per la pasta con le sarde e la caponata.

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L’olio DOP Valli Trapanesi ha spesso un fruttato deciso, una punta d’amaro (che è un gran pregio, non un difetto) e un piccante evidenti; si esalta con i broccoli affogati, i pomodori ripieni, i maccheroni alla Norma. La DOP Monte Etna copre la fascia pedemontana del Vulcano e fornisce oli intermedi tra quelli messinesi e iblei. Gli oli DOP Valle del Belìce, con fruttato e aromi intensi, esaltano il maccu di fave, il capretto, il coniglio in agrodolce. Con punta di amaro, fruttato delicato e forte sentore erbaceo sono gli oli DOP Val di Mazara, per il salmoriglio e per la pasta ‘cca muddica. In grande crescita, soprattutto grazie agli agriturismi, è la produzione di oli biologici. Infine con gli oli siciliani si possono fare ottimi dolci; anzi, si possono superare alcuni tabù dell’alta pastic ceria: già da 2000 anni qui si fa persino la pasta sfoglia con l’olio extravergine.

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il Castello a Mare

un po’ di storia

I

l ristorante “Castello a Mare” di Natale Giunta si trova nel Parco archeologico del Castellammare, nei pressi della Cala, nel quartiere la Loggia, a nord del porto di Palermo. Il Castello è stato il più importante baluardo difensivo del porto di Palermo fino al XX secolo. Edificato nel IX secolo, in epoca arabo-normanna, nel corso dei tempi fu ripetutamente restaurato e ampliato per adattarlo ai vari utilizzi che ne fecero i governi cittadini successivi. Nel XVI secolo assunse la funzione di residenza dei vicerè di Sicilia. Vi morì l’insigne poeta Antonio Veneziano, nel 1593, per

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di Francesca Giunta lo scoppio della polveriera. Il Castello divenne poi sede siciliana del Tribunale dell’Inquisizione (poi trasferito a Palazzo Steri). In età borbonica iniziò il suo declino, dovuto all’inutilizzo come struttura puramente difensiva, anche se fu sede di iniziative antiborboniche, conclusesi poi negativamente. Durante l’insurrezione di Palermo, fu uno dei punti da cui si bombardò la città e venne parzialmente smantellato dopo la partenza delle truppe regie. Nel 1923, nel quadro dell’ampliamento e risistemazione del porto, venne demolito con cariche di dinamite. Subì ulteriori danni durante

i bombardamenti della Seconda guerra mondiale. Nel 2009, a seguito di scavi e lavori di restauro, iniziati nel 2006 per riportare alla luce i resti di un insediamento arabo in Piazza XIII Vittime, il Castello è diventato il nucleo del Parco archeologico del Castellammare. La Cala è un arco di mare compreso fra la via Francesco Crispi e il Foro Italico e corrisponde al porto più antico della città di Palermo: attualmente vi si accede attraverso l’imboccatura del Porto di Palermo. Furono per primi i Fenici a sfruttare questa insenatura naturale, nella quale sfociavano i fiumi Kemonia e MAGAZINE

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Papireto; questi fiumi adesso, a causa dell’espansione del centro storico, hanno un letto sotterraneo ed in tempi post-bellici sono stati deviati a parecchia distanza. Il bacino era protetto ad est dal Castello a Mare: il molo venne costruito fra il 1300 e il 1445 e rimase il principale approdo della città fino al XVI secolo, periodo in cui iniziò lo sviluppo portuale delle

zone dei quartieri di Santa Lucia (l’attuale Borgo Vecchio) e di Sant’Erasmo. Anche se nel corso dei secoli il maggior traffico marittimo si spostò dalla Cala al porto vero e proprio (più a nord), l’insenatura attirò sempre l’interesse degli urbanisti palermitani nei vari periodi storici. Alcuni fra i progetti vincitori del concorso riguardo al Piano regolatore della città del 1939, ne

ipotizzarono l’interramento, la squadratura o addirittura un ponte, che attraversando la Cala avrebbe congiunto il lungomare Crispi con il Foro Italico, ma non diventarono ufficialmente parte del piano regolatore cittadino e non vennero attuati. Degli antichi edifici rimangono parte della torre maestra, la torre cilindrica e il corpo d’ingresso.

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i giorni nostri

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i racconta che fino a qualche anno fa da quelle parti, tra l’eternit e i cattivi odori, ci si poteva imbattere in cani da combattimento o cavalli per le corse clandestine. Oggi, la Cala, l’antico porto palermitano utilizzato per la nautica da diporto, con la sua rinascita simboleggia la voglia della città, che i Greci battezzarono «tutto porto», di riappropriarsi di quel mare negato per decenni da incuria e illegalità. Il processo di recupero e bonifica del waterfront della città vecchia, che abbraccia l’area della Cala e del Castello a mare, ha cambiato volto negli ultimi anni. E là dove trionfavano abusivismo, discariche e degrado, oggi nelle estati palermitane si gode degli spettacoli di artisti importanti e tutto l’anno di un ristorante chic che brilla di luce propria. Una perla preziosa che sovrasta la Cala. Guidato dall’autorità portuale di Palermo, con al timone l’ingegnere e docente Nino Bevilacqua, il percorso di rinascita del waterfront ha restituito alla città un pezzo dimenticato della sua storia, quel Castello a Mare a lungo abbandonato, oggi al centro di un’area archeologica che ospita eventi artistici di primo piano, ma anche il ristorante gestito dallo chef Natale Giunta. Accanto al Castello a Mare, ecco la Cala. Relitti, liquami, eternit e svariate forme di illegalità facevano da padrone. Adesso invece, è uno dei porti più belli della Sicilia: grazie al ristorante, è diventato uno dei luoghi più glamour. Il ristorante Castello a Mare accoglie i suoi ospiti in un’atmosfera calda e bianca, sulla quale soffia la brezza leggera del mare d’inverno e la frescura delle notti d’estate. Una location d’eccezione che racconta di uno dei posti più belli della città. Protagonista è lo chef Natale Giunta con la sta estrosità e l’inventiva perenne di creare dei piatti fatti appo-

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sta per colpire il palato e la fantasia dei visitatori. La carta menù accompagna il cliente nei meandri di una cucina autentica senza orpelli, molto attenta alla materia prima ed esclusiva in ogni sua forma e in ogni suo piatto. Ad essere d’aiuto nelle “biancastre” cucine open del ristorante, Gianluca Costanzo, braccio destro dello chef Natale Giunta. In sala la forma è impeccabile: la posateria scelta per il ristorante è quella nata dall’estro di Gualtiero Marchesi (fuso con il design di Broggi) che intende esaltare i sapori anche attraverso questa linea innovativa e pensata per ogni alimento. Castello a Mare è un ristorante che emoziona i propri clienti attraverso la cura dei particolari. L’arredo sempre al top del design. Sulle pareti campeggiano le foto della Cala antica per ricordare la bellezza di una città che ha ritrovato il suo splendore. La sua cucina parla di luci e di colori, di sapori e di profumi, di tempi e di modi, di storia e di quotidiano, di idee e di ideali, ma soprattutto di cultura e di culture. La sicilianità spiccata e orgogliosa dello chef Natale Giunta descrive una particolare attitudine, un peculiare modo di interpretare e vivere l’atto sociale più antico dell’umanità: il mangiare. Questo, lungi dall’essere riducibile a mero fenomeno nutrizionale, costituisce la sintesi (forse la più ricca e complessa) di un insieme di elementi e di valori propri di un contesto geografico, storico, etico e culturale, che rappresenta, in questo caso, iconograficamente, la Sicilia. La qualità senza compromessi delle materie prime utilizzate, l’eleganza dei suoi piatti, i gusti ricercati e nuovi, ma mai troppo complessi e irriguardosi nei confronti della tradizione, sono diventati la nota distintiva del suo modo di creare. MAGAZINE

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Al Tavolo Antipasto Cannolo di pane ripieno di gamberone rosso servito su insalatina di carciofi marinati Primi piatti Riso carnaroli allo zafferano in salsa di astice, code di granchio e caviale Panciotti ripieni di ricotta di bufala in salsa di dentice e teste d’arancia Secondo piatto Filetto di ricciola in salsa di champagne rosè, spuma di melanzanine di Ragusa e corallo di pesce Dessert Connubio di crema al mascarpone e cremoso al cuor di guanaja, croccante all’amaretto Cassatelle calde Crostatina di mandorle Sfincette con ricotta Setteveli al pistacchio Cioccolattini farciti

Al Vassoio a giro dai camerieri Bollicine • Bellini • Spriz Bastoncini di verdure croccanti in pastella di ceci Tartara al porro e melograno Insalatina di mare con grattatella di mandarino Ostriche al pepe Muffulettine ai ricci Palla ripiena di burrata

Acqua naturale e frizzante Vino Bianco Maggiore Rallo Brindisi: Firriato Saint Germain (Magnum) Caffè, Amari, Grappe, Limoncello

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la Cattedrale di Sale di Realmonte L

di Maria Grazia Sclafani

a miniera di sale di Realmonte si trova poco fuori dal centro urbano, in località Scavuzzo. Si tratta di un complesso gestito dalla società Italkali e, assieme alle miniere di Racalmuto e Pasquasìa, è una delle miniere più importanti di tutta la Sicilia. Attraverso un processo industriale molto particolare, la miniera è in grado di estrarre un ottimo sale da cucina, sali di potassio di varia natura e alcune tipologie di cainite. In genere, l’acqua del mare viene lasciata evaporare al sole, dopodiché, dopo aver estratto il sale, lo si passa in alcune vasche diverse per ottenere il sale che verrà poi utilizzato per l’alimentazione. La miniera di sale di Realmonte si estende lungo 25 chilometri di gallerie, le quali si snodano lungo percorsi scavati nel sottosuolo. Peculiarità della miniera di sale di Realmonte è una sontuosa

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chiesa, chiamata non a caso “Cattedrale del Sale”. La cattedrale è stata ricavata scolpendo direttamente la roccia, ricavandone così suppellettili e statue. A meno di 150 m dalla superficie e a 30 m sotto il livello del mare, dove il pubblico viene accompagnato con dei pullman navetta attraverso gallerie scavate dai minatori, si trova un sito veramente unico, che può contenere 800 posti a sedere, con un’acustica

che supera i più sofisticati Auditorium e Teatri d’Opera: la Chiesa della Miniera di Sale di Realmonte è così chiamata dai minatori perché lì viene celebrata la messa di Santa Barbara (loro protettrice) e per la presenza di alcune straordinarie sculture scavate ad altorilievo nelle sue pareti che raffigurano immagini sacre. Essa è unica al mondo per le sue peculiarità e la sua ubicazione, che


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la pone nelle vicinanze di una delle coste più belle del mondo, ad 1 Km dalla Scala dei Turchi e dalla Villa Romana ed a soli 15 Km dalla Valle dei Templi di Agrigento. La Cattedrale del Sale conserva al suo interno una serie di opere molto particolari. Spiccano su tutte la mensa, anch’essa scolpita nel sale, dov’è stato

raffigurato un agnello; l’ambone, pure ricavato da un blocco salino, è caratterizzato dalla presenza di una croce e del cero pasquale. Anche la cattedra vescovile è stata modellata direttamente col sale, ed è una specie di trono scolpito all’interno di una parete, sopra il quale è presente anche l’emblema del vescovo.

Infine sono presenti alcune sculture in bassorilievo, su cui primeggiano quelle di Santa Barbara, della Sacra Famiglia e di Gesù Crocifisso. Persino le due acquasantiere che accolgono i visitatori all’ingresso della Catte drale sono state ricavate da alcuni blocchi di sale.

Le miniere possono essere visitate previo invio di una e-mail o di un fax all’Italkali (www.italkali.com), specificando la data in cui si ha intenzione di effettuare la visita e quale dovrebbe essere il numero dei visitatori. In genere, la direzione della miniera ricontatta gli interessati per comunicare se la richiesta di visita è compatibile col lavoro minerario di quei giorni.


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Palermo di Maria Grazia Sclafani

L

sapori e tradizioni

e mamme vanno in punta di piedi a mettere dolci e giocattoli nelle piccole scarpe dei loro bimbi, e questi sognano lunghe file di fantasmi bianchi carichi di regali lucenti, e le ragazze provano sorridendo dinanzi allo specchio gli orecchini o lo spillone che il fidanzato ha mandato in dono per i morti […] Giovanni Verga racconta così la festa dei morti in Sicilia, che non ha nulla a che invidiare alla celtica Halloween, anche perchè l’origine, è appurato, è comune.

La festa di Ognissanti venne ripresa dai riti romani della Lemuria, giorni dedicati alla commemorazione dei defunti, e messa al posto della precedente festa pagana dedicata alla Samhain (stagione invernale), festa molto importante per i Celti che si preparavano ai rigori invernali, celebrando l’ultima fase del raccolto e l’inizio del nuovo anno.

Alcuni studiosi pensano che la Samhain venisse festeggiata per 3 giorni, 31 ottobre, 1 e 2 novembre. Il 31 ottobre era l’ultimo giorno del vecchio anno e il 1° novembre il primo giorno del nuovo anno: questa notte di passaggio, secondo i Celti, consentiva alle anime di trapassare nel mondo dei vivi. In Sicilia si narra ai bambini che, la notte tra l’1 e il 2 Novembre, i defunti si risveglino e vadano a rubare dai commercianti dolci, giocattoli, vestiti, ecc., per poi regalarli ai piccoli parenti che sono stati buoni durante l’anno. Invece, per coloro che non sono stati tanto buoni, si suole nascondere le grattugie, perché i morti verranno a grattugiare i loro piedi. I bambini alla mattina trovano tutti questi doni vicino al letto. Si è soliti donare dolci antropomorfi come i pupi ri zuccaru (bambole di zucchero), bambole che si ispiravano generalmente ai

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arancine alla

Carne

Ingredienti per 4 persone: 400 gr di riso 200 gr di tritato di manzo ½ carota, ½ cipolla 1 cuore di sedano con le foglie 2 cucchiai di concentr. pomodoro 1 ciuffo di prezzemolo 100 gr di caciocavallo 100 gr di piselli sgranati 4 uova 1 bustina di zafferano parmigiano grattugiato, pangrattato, farina, vino bianco secco, olio extravergine d'oliva, sale e pepe.

paladini di Francia, fatte interamente di zucchero e completamente dipinte a mano, o le ossa ri mortu, dolci generalmente a forma di tibie umane. Durante il mese di novembre le pasticcerie siciliane si riempiono di colori. Non bastano il verde, il rosso e l’arancione delle cassate... si aggiungono colori su colori e forme bellissime di frutta e ortaggi, creati con minuzia e di forma identica all’originale: i dolci di tradizione popolare come i frutti di martorana. Sulla creazione di questi dolci esistono diverse teorie e leggende,

narra di questo rito funebre in “Storia Popolare”. In alcune parti della Sicilia, si è soliti accompagnare le fave alle armuzzi, pane antropomorfo raffigurante fino al tronco le anime del purgatorio con le mani incrociate sul petto. L’usanza di cibarsi di pietanze a forma di uomo, o a parti di esso, risale anch’essa ai tempi dei Romani, che a loro volta, si cibavano delle maniae, pani fatti a somiglianza del dio del bosco, come rito di propiziazione per la divinità. L’uso delle fave si faceva anche a Palermo al XVIII sec., che però prediligeva e predilige tuttora

di certo c’è soltanto che sono moooolto buoni e sono stati creati dalle monache del convento di Santa Maria dell’Ammiraglio, a Palermo. Chissà per quale motivo, le cose più licche vengono sempre create da monaci e monache. In Sicilia è usanza mangiare fave durante questi giorni di festa. Si consumano le favi a cunigghiu (fave a coniglio), dette in alcune zone anche favi ’n quasuni. Esse sono cucinate secondo il rito romano della Lemuria, in cui, a parte che mangiate, le fave nere (nel cui seme, secondo leggenda, si trovavano le lacrime dei trapassati), venivano lanciate a terra dal padre di famiglia per allontanare le anime dei defunti. De Gubernatis

muffulette schiette o maritate, pane morbido e tondo ripieno, e murtidda nivura e bianca (mirto nero e bianco).

Procedimento: rosolare il tritato, in un tegame, con due cucchiai d'olio, un soffritto di sedano, carota e cipolla. Sfumare con il vino e lasciare evaporare. aggiungere, i piselli e fare insaporire; unire il concentrato, sciolto in una tazza di acqua calda, il prezzemolo tritato, una presa di sale e una spolverata di pepe e cuocere per 30 minuti, mescolando ogni tanto. Lessare il riso in acqua salata, scolarlo e disporlo in una terrina. amalgamare con lo zafferano, diluito in poca acqua, l'uovo sbattuto e una manciata di parmigiano e aspettare che il composto si intiepidisca. Prendere un cucchiaio di riso, schiacciarlo sul palmo, in modo da creare un incavo. riempirlo con un cucchiaio scarso di ragù e qualche dadino di caciocavallo e coprite con un altro cucchiaio di riso. Modellare l'arancina e passarla nella farina e nelle restanti uova sbattute con poco sale e, infine, nel pangrattato. Friggere le arancine in olio caldo finché non saranno dorate. Sgocciolarle; porle su carta assorbente per fare perdere l'unto in eccesso e servire M Acalde. GAzINE

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Altra festa molto cara ai Palermitani è l’8 dicembre, la festa dell’Immacolata Concezione, che qui a Palermo si chiama solamente A Maruonna. Per il giorno dell’Immacolata Concezione i più fedeli o i curiosi possono assistere ad alcuni riti particolari legati al culto mariano. Come lo sfincione per la festa dell’Immacolata, un pane condito, davvero unico, che richiama profumi inimitabili: è il classico piatto della vigilia della festa. MAGAzINE

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Lo sfincione a Palermo non è solo un cibo, un piatto prelibato e tipico, è qualcosa di più, un modo di essere, un mondo a parte, uno status symbol. Palermo è simile ai suoi cibi, dunque somiglia anche allo sfincionello (spesso si usa con affetto il diminutivo), untuosa al punto giusto, irresistibile, gustosa, ricca di sapori, indigesta. Lo sfincione si può fare in casa, comprarlo dai tanti fornai della città, ma mai nulla è pari all’acquistarlo dallo sfincionaro dotato di lapino (motoape); in questo caso oltre al gusto, saranno nobilitati tutti i nostri sensi, dall’odorato all’udito, e si entrerà a far parte dell’essenza della città, ci si immergerà rapidamente e con irruenza nel suo mondo più affascinante, popolare, arcaico. Lo sfincione, anche se nasce come un cibo per le feste, è un piatto povero. Come avviene per la pizza, l’idea di fondo sta nell’aggiungere alla pasta di pane schietta (semplice) una cuonza (condimento) per arricchirne il gusto. Nel caso dello sfincione, la cuonza è MAGAzINE

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ottenuta usando prodotti semplici e poco costosi (cipolla, acciughe, caciocavallo, pomodoro) che però, ben cucinati e mescolati tra loro, conferiscono al tutto un gusto ed un profumo inebrianti. Fu probabilmente inventato dalle suore del monastero di San Vito. C’è da dire che le suore a Palermo, non so se abbiano contribuito all’elevazione dello spirito dei cittadini, ma di certo hanno avuto un ruolo predominante nella fondazione del nostro patrimonio gastronomico: sono state loro ad inventare la rosticceria, le cassatine, la frutta martorana ecc. Inizialmente gli sfincioni venivano preparati durante le feste natalizie, ancora oggi è un rito insostituibile mangiarli durante la vigilia della festa della Madonna, quando girando per Palermo, è possibile sentire nell’aria un intenso odore di cipolla. Praticamente lo sfincione si può definire una schiacciata su cui vengono poggiati vari strati di condi-

menti e, come tale, non ha una patria riconosciuta; è a Bagheria però che grazie al particolare condimento che lo caratterizza, ha acquisito una spiccata individualità che lo contraddistingue come “lo sfincione di Bagheria”- e meriterebbe una DoC (o quella che oggi si chiama DE.Co.) - e lo fa apprezzare diffusamente. La base dello sfincione è una normale pasta di pane che, all’acme della lievitazione, viene schiacciata in una forma rotonda o ovale; il condimento (cuonza) è tipicamente a tre strati: il primo di questi è costituito da una salsa di filetti di acciughe sciolte in olio tiepido (è importante che l’olio non frigga durante la preparazione), quindi uno strato di pecorino fresco - o tuma o primosale - tagliato a fette, ed infine uno strato di un impasto ottenuto con mollica fresca di pane triturata, condita con pecorino grattugiato, cipolla scalogna tagliata a rondelle, sale, pepe, origano, il tutto impastato con olio di oliva.

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Fra i dolci dell’Immacolata a Palermo ricordiamo lo scaccio: castagne, noci, mandorle, semenza, pistacchi. Passano altri 5 giorni dall’Immacolata ed ecco un altro attentato alla linea e alla bilancia. Infatti, da un giorno di penitenza in nome di Santa Lucia, il 13 dicembre si è trasformato in un’occasione per rimpinzarsi d’ogni leccornia dolce e salata, mentre la penitenza è compiuta soltanto da pochi. Tuttavia, se si vuole onorare la Santa, basterà pregarla... e se non si eccederà, nulla vieta di gustare qualche preparazione caratteristica che la tra-

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dizione popolare ha conservato sulle nostre tavole! Al grano bollito, cui si diede il nome di cuccía da cocci, cioè chicchi di grano, si cominciò ad accostare il riso, altro cereale in forma di chicco, che fu consumato prima soltanto lessato, poi in forme sempre più elaborate sino ad arrivare all’“arancina”, una piccola palla fritta di riso condito e ripieno di carne tritata al ragù. La fantasia popolare cominciò dunque a non aver più limiti: la

l’unione di pezzetti di zuccata e cioccolata, spolverato di cannella. Quindi, per analogia, si mangiò ogni leccornia che non fosse confezionata con la farina: i ceci lessati conditi col vino cotto, le panelle fritte (piccole cotolette vegetali fatte di farina di ceci), realizzabili anche in una versione dolce, in cui la panella viene farcita con crema di ricotta o d’uovo all’inglese, ed infinite altre preparazioni vegetali dolci e salate, come le crocché (dal francese croquettes) di patate. Si aggiunga che, poiché la Santa è considerata come protettrice degli occhi e della vista, tutti fan mostra di escludere dalla tavola il

cuccìa, prima solo grano bollito con l’olio, diventò poi uno squisito dolce con l’accostamento della crema di ricotta allo zucchero e

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pane e la pasta, fatti con la farina, nel timore superstizioso di contravvenire al voto e di correre il rischio di una malattia agli occhi. Così, nel nome di Santa Lucia, la presunta religiosità dei siciliani annega in un mare di arancine e di cuccìa con la ricotta!... E finalmente arriva il Natale, che non è mai Natale senza il buccellato. Il buccellato, in dialetto cucciddatu, è un dolce tradizionale natalizio diffuso in tutta l’isola

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e ormai pietra miliare della cucina siciliana. Solitamente a forma di ciambella viene anche confezionato in forme più ridotte: i cucciddatini. Gli ingredienti, anche se con qualche variante da luogo a luogo, consistono in ogni ben di Dio: fichi secchi, mandorle, noci, nocciole e pistacchi. Inoltre, il connubio con aromi come il limone, l’arancia, la cannella, la vaniglia e il miele tributa a questo dolce il posto d’onore su un tavolo imbandito per le feste natalizie che con-

trasta ottimamente, ancor oggi, i settentrionali panettone e pandoro, ormai tradizionali anche dalle nostre parti.

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Catania di Daniela Fleres

L’

odore della terra bagnata dalle prime piogge autunnali, le foglie ai bordi delle strade e i primi freddi, conciliano perfettamente con la voglia di casa, di serate in compagnia di amici o parenti attorno ad una buona tavola ricca di piatti, tipici del periodo che ci accompagna verso quello che sarà il tripudio natalizio. Nella Sicilia orientale la tradizione culinaria si lega perfet-

sapori e tradizioni

tamente alla stagione e ai prodotti che essa offre, quindi la zucca è presente spesso nei nostri piatti per condire risotti, pane, torte e antipasti. In particolare tale ortaggio, povero di calorie (solo 18 in 100 g) e dagli alti valori nutritivi e benefici, viene preparato di solito in agrodolce o in salsa d’aglio, detto infatti all’agghiata. Tale piatto arricchiva le nostre tavole sin dall’antichità: le nostre nonne, infatti, continuano a proporlo come antipasto, guarnendolo con qualche foglia di menta. Rimanendo in tema di prodotti regalati dalla terra, ciò che impazza sulle nostre tavole sono i broccoli, i cavolfiori, gli spinaci o le segale selvagge che, oltre ad essere un ottimo contorno, costituiscono gli elementi fondamentali per un piatto unico tradizionale e apprezzatissimo ovvero la scacciata. Si dice che la scacciata abbia origine nella tradizione contadina magazINe

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siciliana, come piatto base risalente alla fine del XVII secolo. come tutti i piatti poveri anche questo ha come ingredienti fondamentali oltre al pane, anche gli avanzi di una cena o di un pranzo abbondante, che siano verdure o carne. la ricetta che andò per la maggiore agli inizi del XVIII secolo fu quella a base di verdure e patate. la scacciata riscosse il suo successo quando moncada, principe di paternò, nel 1763, la volle sulla sua tavola durante i festeggiamenti natalizi e da allora la tradizione la colloca come piatto natalizio per eccellenza. Il condimento delle scacciate potrebbe essere composto, oltre che dai vari formaggi come tuma o primo sale insieme a spinaci, segale selvagge e broccoli, anche da un piatto che costituisce una pietanza tipica del catanese, il tortino di cavolfiori affogato, conosciuto meglio come bastaddu affucatu. No, non è un insulto è semplicemente la varietà di questo tipo di cavolfiore lilla, detto appunto “bastardo” che, nel tortino, è affogato nel vino e condito con il formaggio pepato, le cipolle, le acciughe o la salsiccia, le olive nere e che segue un particolare procedimento di cottura. Il tortino di cavolfiore è un piatto fondamentale nelle tavole natalizie e costituisce un appetitoso antipasto, oltre che un ottimo ripieno per la scacciata. continuando il viaggio nella tradizione culinaria siciliana bisogna necessariamente annoverare le crispelle, salate o dolci, che accompagnano le serate invernali come aperitivo, come cena o come fine pasto, considerando anche quelle di riso. Nella Sicilia orientale le crispelle, tipiche del territorio catanese, sono chiamate sfinci, dall’etimo arabo sfang e il loro odore ritorna a promagazINe

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Crispelle

fumare le nostre vie nel periodo che va dall’autunno a San giuseppe; esse, infatti, sono vendute nei vari gazebo agli angoli delle strade o nelle rosticcerie. per la ricorrenza della commemorazione dei defunti i panifici e le bancarelle si riempiono di rame di Napoli, ricoperte al cioccolato e spesso anche ripiene di marmellata o crema al cacao, e di ossa di morto, biscotti chiamati in questo modo, data la loro particolare durezza e croccantezza. Restando sempre in tema dolce bisogna ricordare che nelle case dei nonni, e oggi anche

ingredienti: 1 kg di farina di semola 15 gr di sale 4 cucchiai di olio extravergine di oliva o strutto 700 ml di acqua tiepida 50 gr di lievito di birra 50 gr di acciughe sottosale 1 cucchiaio di zucchero 200 gr di ricotta fresca qb olio di semi di girasole o strutto

procedimento:

nei supermercati, si trovano le forme di mostarda e di cotognata. Questi costituiscono la versione storica dei più moderni budini, molto densi, e a base di fichi d’India, mosto di vino e mele cotogne, che possono essere gustati appena cotti o fatti essiccare al sole e serviti, a fine pasto, insieme alla frutta secca che, in questo periodo, non può non essere costituita prevalentemente dalle castagne.

In una ciotola versare la farina, sciogliere il lievito di birra nell'acqua tiepida e unirlo alla farina insieme al sale, allo zucchero e all'olio extravergine d'oliva, impastare energicamente finché il composto non risulti omogeneo ed elastico. Fare lievitare per circa un'ora. Per preparare le crispelle è necessario bagnarsi le mani e prendere una piccola quantità di pasta lievitata, inserire l'acciuga o la ricotta in mezzo e chiuderla.Tuffare le crispelle nell'olio bollente e fare friggere finché non diventano dorate, servire subito.


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la nostra cucina annovera ricette che, pur essendo semplici e con ingredienti legati a ciò che la terra offre in questo particolare periodo dell’anno, costituiscono la base della cucina dell’intera penisola. per questo motivo bisogna conservarle al meglio e tramandarle alle nuove generazioni. a tal proposito qualora voleste provare a cimentarvi in cucina con i piatti tradizionali della Sicilia orientale, eccovi qualche ricetta.

• ZUCCA ALL’AGGHIATA 800 gr di zucca 2 spicchi d’aglio 100 ml aceto bianco 2 cucchiai di zucchero sale e pepe qb Preparazione Tagliare la zucca a dadini, farla rosolare con olio e aglio. dopo circa cinque minuti, aggiungere l’aceto e lo zuc chero, lasciando evaporare per qualche istante. dopo altri due minuti spegnere la fiam ma e lasciare raffreddare.

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• SCACCIATA CON SEGALE SELVAGGE 1 kg di farina di semola 25 gr di lievito 20 gr di sale Un cucchiaio di zucchero 600 ml di acqua tiepida 30 gr di olio o strutto 1 kg di segale selvagge 200 gr.di formaggio primo sale

• CAVOLFIORE AFFOGATO

Preparazione Sciogliere il lievito di birra nell’acqua tiepida e unirlo alla farina insieme al sale, allo zucchero e all’olio extravergine d’oliva, impastare energicamente finché il composto non risulti omogeneo ed elastico. Fare lievitare per circa un’ora. lavare e mondare le segale, saltarle in padella con olio, aglio, sale e pepe, aggiungere il formaggio primo sale tagliato a cubetti, spegnere la fiamma e mescolare. Stendere metà della pasta in una teglia e aggiunger il condimento, chiudere con l’altro disco di pasta e cospargere la superficie di olio, infornare a 200° per 20 minuti.

Preparazione lavare e mondare il cavolfiore, tagliarlo a pezzetti. Tagliare il formaggio a strisce, privare le olive del nocciolo, mondare e tagliare finemente le cipolle. In una padella dai bordi alti, creare il vostro tortino ponendo il primo strato di cavolfiori, sale, pepe, cipollina e formaggio, ricoprire con un altro strato di cavolfiore, cipollina, formaggio, acciughe, e olive e infine aggiungere l’ultimo strato di cavolfiore. Irrorare con un filo d’olio e il bicchiere di vino, fare cuocere a fuoco lentissimo per circa 45 minuti, finché il vostro tortino non apparirà compatto. Servire caldo o freddo.

(BASTADDU AFFUCATU)

800 gr cavolfiore 50 gr di acciughe sottolio 300 gr di formaggio pepato fresco 50 gr di olive 2 cipolline novelle 1 bicchiere di vino rosso sale, pepe e olio qb

magazINe

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La Sicilia

premiata di Veronica La Fata

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fine anno si “tirano le somme”. In questo periodo, in edicola fanno capolino numerose guide dei ristoranti che rispondono a molti dei nostri interrogativi: dove andare a cena? Quali sono i posti migliori? Le guide ci offrono spunti per un pranzo veloce, un’importante cena o anche soltanto per un aperitivo tra amici.

Guide dei ristoranti del mondo, d’Italia, ma soprattutto della Sicilia. Anche quest’anno la nostra isola guadagna un posto d’onore nelle numerosissime classifiche, grazie alla sua tradizione, alle sue specialitá gastronomiche ed alla sua invidiatissima dieta mediterranea. Siamo conosciuti in tutto il mondo per la nostra splendida cucina, che dobbiamo continuare a MAGAZINE

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salvaguardare e valorizzare. Lo slogan di molti locali, erroneamente considerati “minori”, è proprio quello di portare avanti le tradizioni siciliane, mantenendo alta la qualitá, ma abbassando i costi. Osterie, enoteche, ristoranti, propongono menú tipici a prezzi “anticrisi”. Non solo siciliani ed italiani, ma anche molti stranieri apprezzano questi locali “low cost”, poiché permettono, a prezzi modici, di gustare la nostra cucina e di toccare con mano le nostre tradizioni. La Sicilia non è soltanto terra di tradizioni, ma anche di innovazioni. La nostra terra ha dato i natali a due fuoriclasse della gastronomia: Pino Cuttaia e Ciccio Sultano, due grandi chef che portano avanti il nome e l’onore della cucina siciliana nelle innumerevoli guide dei ristoranti. Cuttaia gestisce, con la moglie, il famoso ristorante “La Madia” a Licata, in provincia di Agrigento. «La cucina è una sorta di magia afferma lo chef - che evoca un piccolo tesoro di cose buone e naturali». Il suo obiettivo è quello di unire creatività e semplicità per reinventare i piatti tipici della nostra cucina. Sultano invece è lo chef del ristorante “Il Duomo”, a Ragusa

Ibla. Egli vuole sí «sperimentare, ma nel solco della tradizione», riportando alla luce i sapori della tradizione e mostrando l’essenza della nostra terra attraverso ingredienti freschi, genuini e tipicamente siciliani. Due chef che si posizionano sempre ai primi posti, per via dei loro piatti innovativi e conservativi allo stesso tempo. Due chef che andremo a trovare molto presto, per farci raccontare tutti i dettagli della loro storia, della loro cucina e dei loro prestigiosi piatti. Andremo a curiosare nei loro ristoranti e vi porteremo dietro le quinte, dietro i fornelli dei grandi chef, dove i piatti piú innovativi prendono vita.

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Pasta e Fagioli IngredIentI per 4 persone:

300 gr di maltagliati 350 gr di fagioli freschi ½ cavolfiore 100 gr di cotenna di maiale 1 cipolla, olio extravergine d'oliva, sale e pepe procedImento:

Minestra di Ceci e Riso IngredIentI per 4 persone:

600 gr di ceci 300 gr di riso 1 cipolla, olio extravergine d'oliva, sale e pepe procedImento:

Lasciare i ceci a bagno in acqua con un pizzico di bicarbonato per una notte. Affettare finemente la cipolla e fare appassire in un tegame con 3 cucchiai d'olio. Aggiungere i ceci e condire con una presa di sale e una spolverata di pepe. Coprire d'acqua e cuocere per un paio d'ore; poi, versare il riso e portare a termine la cottura. Condire la minestra con un filo d'olio, prima di servire.

Mettere a bagno i fagioli in acqua fredda per 12 ore. Lavare la cotenna e tagliare a pezzetti. In una casseruola fare rosolare la cipolla con 4 cucchiai d'olio insieme alla cotenna. Unire i fagioli scolati, coprirli con abbondante acqua e lasciare cuocere a fuoco lento per circa un'ora con il coperchio. Aggiustare di sale e aggiungere se, necessario, altra acqua. Unire il cavolfiore pulito e fatto a pezzetti e, quando sarà al dente, aggiungere i maltagliati. Appena la pasta sarà cotta, servire con un filo d'olio e pepe.

Minestra con i Tenerumi e salsa picchi-pacchi IngredIentI per 4 persone:

Risotto con la zucca IngredIentI per 4 persone:

400 gr di riso 400 gr di zucca gialla 1 bustina di zafferano 50 gr di lardo di maiale 50 gr di parmigiano grattugiato 1 litro e ½ di brodo 1 cipolla, olio extravergine d'oliva, sale e pepe procedImento:

Privare della scorza e dei semi la zucca, e tagliare a dadini. Affettare la cipolla e farla soffriggere col lardo di maiale tritato, poco olio e un poco d'acqua. Fare evaporare l'acqua e aggiungere la zucca. Farla rosolare per circa 15 minuti a fuoco lento. Versare nel tegame il riso, allungare con un mestolo di brodo, dove precedentemente avrete fatto sciogliere lo zafferano. Cuocere il riso per circa 15 minuti, sempre mescolando con un cucchiaio di legno e aggiungere man mano altro brodo. Quando il risotto sarà cotto, aggiustare di sale, pepare e mantecare con il parmigiano grattugiato.

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800 gr di tenerumi (foglie e germogli della zucchina lunga) 4 grossi pomodori maturi 200 gr di spaghetti (o linguine) spezzettati 2 spicchi d'aglio 1 ciuffo di basilico ½ cipolla, olio extravergine d'oliva, sale e pepe procedImento:

Mondare con cura i tenerumi eliminando le foglie più dure; poi lavarli ripetutamente in acqua corrente. Quando saranno ben puliti, sgocciolarli e tagliuzzarli. Portare ad ebollizione in acqua salata; unire i tenerumi e portare a cottura. Nel frattempo, pelare i pomodori, togliere i semi e spezzettarli. Fare appassire la cipolla tritata, in padella, con un filo d'olio e l'aglio intero e lasciare insaporire la polpa di pomodoro; salare, pepare, profumare con le foglie di basilico e cuocere per 15 minuti. Appena le verdure saranno cotte, aggiungere la pasta e proseguire la cottura su fuoco medio, mescolando spesso. Alla fine, spegnere la fiamma; incorporare la salsa preparata alla minestra e lasciare riposare tutto per qualche minuto, prima di servire.

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Riso con carciofi e piselli IngredIentI per 4 persone:

Pasta con alici e piselli IngredIentI:

500 gr di pasta corta 400 gr di alici 300 gr di piselli sgusciati 1 cipolla, qb prezzemolo, olio extravergine d'oliva sale e pepe procedImento:

Soffriggere con olio in un tegame la cipolla finemente affettata, unire i piselli e un trito di prezzemolo. Lasciare cuocere per una decina di minuti, mescolando continuamente per evitare che si attacchi al fondo. Pulire le alici, eliminare la testa, coda e lisca; metterle nel tegame insieme ai piselli e continuare la cottura. Condire con sale e pepe. A parte lessare la pasta, scolarla e metterla nel tegame con il condimento preparato.

350 gr di riso 5 carciofi 150 gr di piselli freschi 60 gr di pecorino grattugiato 1 limone, 2 acciughe salate 2 spicchi d'aglio, 1 cipolla, un ciuffo di prezzemolo, olio extravergine d'oliva, sale e pepe procedImento:

Eliminare le fogli esterne dei carciofi, tagliare le punte e pelare il gambo. Tagliare i carciofi a spicchi ed il gambo a pezzetti; metterli a bagno in acqua acidulata con succo di limone. In una casseruola fare soffriggere la cipolla affettata sottilmente in cinque cucchiai d'olio, aggiungere l'aglio tritato e, dopo qualche minuto, le acciughe dissalate, da schiacciare con una forchetta. Unire i carciofi ed i piselli, salare, pepare e aggiungere mezzo bicchiere d'acqua. Quando l'acqua sarĂ evaporata versare il riso, mescolare e dopo qualche minuto cominciare ad aggiungere acqua bollente. Portare a cottura, cospargere di prezzemolo tritato, formaggio grattugiato e servire.

Pasta con vongole fresche Pennette al pistacchio e cozze IngredIentI per 4 persone:

500 gr di pennette 100 gr di pesto di pistacchi di Bronte 1 kg di cozze (o vongole) 1 spicchio d'aglio, olio extravergine d'oliva procedImento:

Pulire le cozze (o le vongole), mettere in una pentola e farle aprire. Quando i mitili si schiudono, farli soffriggere in una padella con un po' d'olio e aglio. A fiamma spenta aggiungere il pesto, mescolare e lasciare riposare qualche minuto. Nel frattempo cuocere la pasta, quando sarĂ pronta condirla con la salsa preparata. Aggiungere un po' di pepe e servire.

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IngredIentI per 5 persone:

500 gr di spaghetti 500 gr di vongole sgusciate 4 filetti d'acciuga 1 ciuffetto di prezzemolo 1 bicchiere di vino 2 spicchi d'aglio, sale e pepe (o peperoncino) olio extravergine d'oliva procedImento:

Fare soffriggere l'aglio tritato in un tegame con poco olio e le acciughe, schiacciate precedentemente con la forchetta. Aggiungere le vongole e fare cuocere per circa 10 minuti. Sfumare con il vino e quando sarĂ evaporato aggiungere il prezzemolo, il pepe o peperoncino e spegnere. Lessare in abbondante acqua salata gli spaghetti, scolarli al dente e versarli in un ciotola e condirli. Si posso aggiungere a piacimento anche pomodori maturi, pelati, privi di semi e tagliati a pezzetti; da aggiungere dopo aver fatto evaporare il vino, e cotti per almeno 5 minuti.

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unA ricchezzA dellA terrA

siciliani di Alessandra Alesi

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a tradizione vuole che il primo giorno di un nuovo anno si mangino lenticchie come augurio di ricchezza e prosperità. E la ricchezza delle lenticchie e degli altri legumi non è solo simbolica, ma è dovuta a un gusto e una fonte di benessere più che reale. Le leguminose costituiscono infatti un elemento essenziale della tavola e della cultura siciliana ed erano già coltivate da Greci e Arabi durante le loro dominazioni sull’isola; proprio per il loro legame con il territorio sono anche state inserite da Dario Cartabellotta, assessore regionale all’agricoltura, nel progetto ‘Born in Sicily’, un’idea nata per valorizzare le produzioni agricole siciliane. La coltivazione di lenticchie, fave, ceci e fagioli ha, come si diceva, natali antichissimi: ricchi di fibre e nutrienti, già nel passato costituivano una fonte di sostentamento per comunità costituite da grandi numeri e, grazie alla loro

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versatilità sia come conservazione (dal momento che potevano essere consumati freschi o secchi), sia come impieghi culinari, erano un ottimo alimento, soprattutto per i più poveri che non potevano permettersi la carne.

Ceci I ceci (Cicer arietinum) sono una delle leguminose da granella più antiche e utilizzate in tutta l’area del Mediterraneo. Possono essere consumati freschi o secchi, il più delle volte in zuppe e minestre. Secondo la tradizione araba i semi vengono macinati e ridotti in farina che, mescolata ad acqua e aromatizzata, dà vita ad uno dei cibi da strada palermitani più apprezzati: la panella. I ceci tostati inoltre sono la gustosissima càlia che, insieme alla simenza (semi di zucca tostati), vengono sgranocchiati come “passatempo” (altro nome con cui i due alimenti vengono chiamati) durante

le feste patronali o per accompagnare un aperitivo. Il cece ha anche una certa importanza storica: il cognomen latino “Cicerone” deriva infatti da questo legume ed era un soprannome riservato a coloro che avevano un’escrescenza sul viso a forma di cece, chiamato appunto cicer in latino. Si racconta anche che durante i Vespri siciliani i ceci avevano l’enorme potere di determinare la vita o la morte: veniva infatti mostrato un pugno di cìciri e chiesto di pronunciarne il nome; se la persona interrogata era un francese in incognito tra


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“L’erba del vicino i popolani, veniva subito scoperto a causa della sua pronuncia errata (sciscirì) e veniva giustiziato. Eccetto che per questa parentesi storica i ceci rappresentano un’ottima fonte di salute perché ricchi di aminoacidi, vitamina A, amido, calcio e ferro. Una varietà particolarmente conosciuta in Sicilia è il cece di Villalba, piccolo borgo medievale in provincia di Caltanissetta. Questa varietà di cece, più grande degli altri, viene coltivata in un terreno calcareo e ad un clima particolarmente elevato. La particolarità dei ceci di Villalba risiede nel gusto ricco e piacevole e nella pellicina che rimane ben salda alla polpa senza sfaldarsi.

Lenticchie Le lenticchie (Lens culinaris) sono ricche di proteine e ferro e per questo motivo erano anche chiamate “la carne dei poveri”, specie se associate al consumo di cereali. Data la sua ricchezza di fibre sono indicate come aiuto per la stipsi, mentre, in quantità elevate, possono essere dannose per chi soffre di colite, diverticolite e sindrome del colon irritabile, perché potrebbero irritare ulteriormente le mucose. Ne esistono numerose varietà tra cui quelle di Ustica, di Villalba, di Pantelleria e di Linosa. Le prime provengono dalla piccola isola a nord di Palermo e sono le più piccole d’Italia. Riconoscibili per le loro dimensioni ridotte e per il colore scuro, portano in sé il ricco sapore dei terreni lavici di Ustica. Ancora oggi produzione e raccolta sono interamente manuali, sia per la difficoltà di meccanizzazione nei terreni isolani, sia per il rispetto dell’ambiente: non vengono utilizMAGAZINE

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zati né concimi né erbicidi. La raccolta solitamente avviene a giugno e, una volta essiccate, sono reperibili tutto l’anno. Le piccole lenticchie hanno il vantaggio di poter essere cucinate senza prima essere state tenute a bagno nell’acqua e vengono preparate in zuppa, accompagnate da altre verdure locali, o con gli spaghetti spezzati. A Villalba, invece, le lenticchie sono verde chiaro e hanno dimensioni più grandi (8 mm); è in corso la pratica per il riconoscimento dell’ IGP (Indicazione Geografica Protetta). Fino agli anni ’60 la produzione di questa lenticchia aveva costituito per il paese una grande fonte di ricchezza perché veniva esportata anche all’estero. Successivamente la produzione era rallentata, fino quasi a scomparire, a causa di una minore richiesta sul mercato e dei costi della manodopera; fortunatamente, dagli anni ’90, si è ripresa la coltivazione anche perché, grazie all’interessamento dell’istituto di Genetica vegetale CNR di Bari, sono state scoperte alcune peculiarità molto importanti, come il ricco contenuto di ferro (anche 10mg / 100 gr di lenticchie secche) e proteine (circa 27 gr/100 gr di prodotto secco), il tutto accanto ad una bassa presenza di fosforo e potassio – (rispettivamente 312 e 812 gr / 100 gr di lenticchie secche).

è sempre più verde”. O meglio, “i legumi dei vicini sono sempre più economici”. Pare infatti che, ultimamente, si preferiscano i legumi di ogni parte del mondo (fave egiziane, lenticchie canadesi, fagioli messicani…) a quelli della nostra terra. La spiegazione va ricercata, come sempre accade, nei costi di produzione inferiori, che poi ovviamente si riflettono anche sul consumatore che preferisce risparmiare. I legumi siciliani, infatti, sono prodotti senza sussidi statali e con costi alti per le aziende agricole che sono quindi costrette ad alzare un po’ i prezzi per poter ricavare qualcosa. Ormai i legumi autoctoni sono rivolti a una piccola nicchia di intenditori che sa apprezzarne il gusto e la qualità superiori rispetto a quelli stranieri. Proviamo allora a pensare un po’ più al palato e meno al portafoglio! 49


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Valori nutrizionali dei legumi più diffusi

Le lenticchie di Ustica e Villalba sono riconosciute come PAT (prodotto agroalimentare tradizionale). Le lenticchie pantesche e quelle linosane sono abbastanza simili: entrambe sono di una tonalità tra il rosso e il marrone, di piccole dimensioni e hanno un’alta digeribilità e molti valori nutritivi.

Fagiolo Anche il fagiolo (Phaseolus vulgaris) è ricco di proteine e nutrienti. Nel passato era considerato cibo dei poveri e per questo motivo era escluso dalle tavole dei ricchi; nonostante ciò era considerato simbolo di immortalità, per la sua capacità di riacquistare freschezza dopo un’immersione in acqua fresca. Una varietà molto particolare è quella che viene coltivata a Polizzi Generosa (in provincia di Palermo) ed è chiamato badda (“palla” in dialetto). È un fagiolo bicolore che presenta a sua volta due varietà: badda bianca (color avorio con macchie rosa-aran-

cione) o badda nìura o munachedda (color avorio con macchie violacee tendenti al nero). Questi fagioli vengono raccolti a fine estate per il prodotto fresco e entro fine novembre per quello da essiccare. Ricco di sapore può essere cucinato da solo, con altre verdure e perfino come ripieno per baccalà o coniglio. Un altro fagiolo siciliano degno di nota è il cosaruciaru (in siciliano “cosa dolce”), coltivato nella zona di Modica-Scicli. Bianco con piccole macchie marroni, ha costituito un’importante risorsa nel passato, rischiando quasi di scomparire nel corso degli anni. Grazie ad alcuni contadini che non hanno mai smesso di coltivarlo in privato è ancora possibile gustarlo. Insieme al fagiolo Badda e alle lenticchie di Ustica e Villalba è un presidio “Slow food”.

Fava La coltivazione della fava (Vicia faba) è largamente diffusa in Sicilia, anche per la coltivazione in rotazione con il frumento atta a rendere i terreni più fertili. La zona in cui si

ha una maggiore produzione è quella dell’ennese (Leonforte, Nissoria, Calascibetta e Assoro). La fava di Leonforte (riconosciuta come PAT) è caratterizzata da semi molto grandi (tanto che ogni baccello ne contiene al massimo tre) ed è ricca di vitamine (A, B, C, K, PP), sali minerali, fibre e proteine ed è il legume meno calorico. È di facile cottura e di un sapore gustoso e può essere utilizzata sia nella preparazione del macco di fave (una crema ottenuta da una lunga cottura delle fave essiccate e servita con olio d’oliva) sia per la frittedda (un piatto a base di fave, piselli, carciofi e finocchietto selvatico che, diversamente da quanto il nome potrebbe suggerire, non vengono fritti insieme, ma stufati in tegame).


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l’americano

trapiantato in Sicilia

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ntrodotto in Europa in età colombiana dagli spagnoli che lo importarono dal Messico, il fico d’India è presto diventato un elemento inscindibile nel panorama tipico del bacino del Mediterraneo, dove ha trovato le condizioni climatiche migliori per attecchire e svilupparsi. In Sicilia, in particolare, le “pale” di fico d’India crescono spontaneamente sui suoli sabbiosi e pianeggianti fornendo all’Isola frutti di alta qualità e pregio tanto che la nostra regione ne è, dopo il Messico, il secondo produttore mondiale. In Sicilia il fico d’India è coltivato in aree ben distinte: nella zona centroorientale dell’Isola, che fa capo al paese di San Cono, nel sud-ovest etneo nei territori di Belpasso, Militello, Paternò, Adranoe Biancavilla, nel Belìce (zona sud-occidentale) dove la coltivazione di questa pianta interessa i comuni di Menfi, Montevago e soprattutto Santa Margherita Belìce. Da agosto a Natale, dunque, l’Isola è un prolificare di questo esotico frutto che conta quattro diverse varietà: la gialla, detta “sulfarina”, la rossa, nota come “sanguigna”, la bianca, denominata “muscarella” e quella dal tipico color arancio chiamata “moscateddo”. MAGAZINE

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I pregi di questo frutto sono legati a vari motivi: intanto le pale di fico d’India non hanno bisogno di essere trattate con antiparassitari e pertanto i suoi frutti possono essere considerati naturalmente “biologici”. Ma le sue qualità migliori sono rappresentate dalle sue proprietà terapeutiche tanto che consumare fichi d’India rappresenta un’ottima cura naturale per l’intero organismo. Tra le più importanti proprietà del fico d’India si segnala quella depurativa, ottima per aiutare l’espulsione dei calcoli renali, e quella coadiuvante nella cura dell’osteoporosi grazie alla quantità di ferro, calcio e fosforo contenuti in questo frutto. Il fico d’India è inoltre indicato anche quale integratore nelle diete dimagranti, per il suo grande apporto di fibre che danno un senso di sazietà, e come reidratante e rivitalizzante per chi svolge attività fisica intensa, sia sportiva che lavorativa Contrariamente a quello che si pensa e spesso si fa, il fico d’India può essere consumato interamente: grazie alla minore percentuale di glucosio rispetto alla polpa e ad una maggiore di cellulosa e proteine, la famosa buccia di questo frutto possiede un alto valore nutritivo. Una scoperta “recente” che assomiglia a quella dell’acqua calda

di Maria Grazia Sclafani

se in alcuni paesi della Sicilia era pratica comune nel passato cucinare le bucce fresche e addirittura essiccarle per poi consumarle più tardi. La fioritura di questa pianta inizia in primavera ma i frutti più pregiati sono quelli tardivi che arrivano sulle nostre tavole a dicembre. Questi fichi d’India sono i cosiddetti bastarduna o scuzzulati: in realtà non sono altro che i fichi d’India nati dalla seconda fioritura, che si ottiene eliminando i primi frutti, più piccoli, e costringendo così la pianta a rifiorire. I bastarduna, meno numerosi, hanno però un valore di mercato più alto sia perché sono tardivi e dunque frutti invernali sia perché sono più grandi e senza semi. I fichi d’India non perfettamente maturi sono chiamati invece burduni cioè “bastardi”, termine che derivando dal latino burdo, ossia “mulo”, animale appunto non puro. Ancora oggi, nel periodo della vendemmia, in tutta l’Isola è tradizione consumare fichi d’India nella prima colazione: costume che deriva dall’antica usanza del proprietario della vigna che offriva questi frutti ai suoi vendemmiatori per impedire che mangiassero troppa uva durante il raccolto.

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Carlo Distefano

il Re della ristorazione nel Regno Unito

è

la sua passione la sua grande fortuna

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uante volte ci è capitato di ascoltare storie di nostri concittadini che sono partiti alla ricerca del successo? Quanti di loro lo hanno trovato? Carlo Distefano è uno di loro; a soli 17 anni chiede l’autorizzazione del padre per espatriare, lascia Ragusa per trasferirsi in Inghilterra, alla ricerca di un futuro. Arrivato a Leeds, Carlo inizia subito a darsi da fare, lavorando prima come parrucchiere, poi nel campo della moda. Un grande imprenditore, ma la sua vera passione era la ristorazione. Solo nel 1981 Carlo intraprende la strada

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di Ornella Romano

verso il suo sogno, aprendo un ristorante chiamato “Coco”, in partenership con altre persone. Felici del grande successo, aprono “Coco 2” ma, non trovandosi bene e volendo proseguire per la sua strada, Carlo vende la sua quota e apre un ristorante tutto suo. Nel 1992, inizia il suo grande successo con il primo “San Carlo” a Birmingham. Un paio di anni dopo, apre a Bristol, poi a Leicester, e nel 2004 a Manchester, che oggi è il più grande ristorante della catena. Il piccolo impero di Carlo non comprende solo la catena “San Carlo”, ma anche il ristorante

“Signor Sassi” a Knightsbridge, acquistato nel 2007, non solo per una scelta basata sul business, ma dovuta anche al legame sentimentale, perché era stato lì a pranzo per più di vent’anni. L’espansione geografica dell’impero di Distefano non si ferma in Inghilterra. Durante una cena, al ristorante “Signor Sassi”, nel 2008 il presidente dell’Americana Group, attratto dal cibo e dall’atmosfera, propone a Carlo un franchising “Signor Sassi” in Medio Oriente. Dà origine a ristoranti in Kuwait, Beirut e l’ultimo a Bangkok, con la prospettiva di aprirne dei nuovi in MAGAZINE

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Marocco, a Istanbul, a Dubai, in Cina e infine arrivare negli Stati Uniti. I ristoranti di Distefano sono i favoriti da molti residenti delle varie città, grazie alla sua genuina e originale cucina italiana. Il suo segreto è la passione per il suo lavoro e per la sua terra. Passioni che si esprimono attraverso l’estrema cura nel selezionare i piatti, nell’allestimento del ristorante e soprattutto nello scegliere la location giusta dove aprire un nuovo ristorante. Ogni ristorante ha uno stile unico nel cibo, grazie alla disponibilità data ai vari chef di portare i propri piatti.

Lo staff all’interno dell’impero di Carlo è fondamentale, l’80% è composto da personale italiano, scelto da due agenzie italiane in quanto si cerca di mantenere l’autenticità, che si custodirà anche in Medio Oriente. La sua passione per la cucina e per la cura dei dettagli è condivisa anche dai suoi figli, Marcello e Alessandro e dalla figlia Sasha, i quali lo seguono nella gestione dei ristoranti; in particolare Marcello che si occupa della gestione nel Medio Oriente. La sua catena di ristoranti sparsa in Inghilterra ospita molte star del cinema, sportivi e cantanti.

Soprattutto, sono di casa il Manchester United e il City, che festeggiano una vittoria o si consolano per una sconfitta con un prelibato piatto di spaghetti, esclusivamente preparato da chef italiani. Mi sento personalmente di ringraziare Carlo, come italiana, ma anche e soprattutto come siciliana, perché grazie a lui e forse a pochi altri, la nostra cucina viene conosciuta in tutti gli angoli della terra e molti italiani trasferiti all’estero sentano meno la mancanza di casa, con un buon piatto di spaghetti davanti. Contiamo anche noi sull’espansione dell’impero Distefano.


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Don Alfonso - nero d'avola Vinificazione: in rosso, a temperatura controllata, con fermetazione malolattica completamente svolta. Affinamento: per un breve periodo in piccoli carati francesi (barriques) e 3 mesi in bottiglia. i suoi abbinamenti: perfetto per i primi di pasta con sughi di carne, arrosti di carni rosse, selvaggina, brasati e formaggi maturi e saporiti. Chardonnay Vinificazione: Pressatura soffice senza macerazione delle bucce, decantazione a freddo e fermentazione a temperatura controllata. Affinamento: parte in acciaio inox 3 mesi, e 2 mesi in bottiglia. i suoi abbinamenti: si abbina bene ad un vasto numero di cibi come molluschi, crostacei, pesce, pollame, primi piatti in genere. azienda vinicola marchettawines marco marchetta via aldo capitini, 15 - 92020 Palma di montechiaro (aG) tel. 0922.1898054 - cell. 339.4234495


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on si può discutere sulle preferenze e sui gusti personali di ognuno, del resto, non è buono ciò che si dice essere buono, ma soprattutto e principalmente è buono ciò che piace. del resto, il concetto di bontà, così come di bellezza, è così astratto e indefinibile che ognuno ha modi e definizioni proprie non sempre condivisibili da altri. Però sarebbe bene che ognuno formasse il proprio concetto di “buono” e, soprattutto, che sia il risultato di gusti e preferenze personali e non di altri. la prossima volta che sentite dire che un vino è “fruttato”, senza altre specificazioni sulla sua qualità, oltre a risentirvi del fatto che un termine come questo non aiuta affatto e non dice niente, prendete il vostro calice e provate voi stessi ad assaggiarlo, sempre con moderazione, e lasciate che siano i vostri sensi a raccontarvi quel vino. del resto il vino è una bevanda che ha bisogno dei sensi per essere compresa; le parole, per quanto belle esse siano, non gli renderanno mai giustizia, possono solo dare una vaga idea. a pochi kilometri dalla valle dei templi in agrigento, sorge Palma di montechiaro, la città del Gattopardo fondata nel 1637 dalla famiglia tomasi di lampedusa, ai tempi signori di montechiaro. Grosso centro agricolo e con molte attrattive turistiche poco sfruttate, sorge su un'altun rocciosa da cui domina la vallata sottostante che si protende fino al mare, da dove spiccano in primo piano ben visibili dallo scorrimento veloce che attraversa la vallata, i monumenti storici: Palazzo ducale del 1659 (il secondo) costruito dopo che il primo venne inglobato nel monastero delle Benedettine del 1637, anch'esso visibile, in cima ad una larga scalinata la bellissima chiesa madre del 1666. Palma soffre ancora oggi la continua emigrazione verso la Germania (settore della ristorazione) verso le regioni settentrionali italiane (settore edilizio), ed in tutte le città universitarie italiane dove si trasferisce gran parte degli studenti. Qui nasce marco marchetta giovane imprenditore di appena 26 anni, ma con idee ben chiare e precisi obiettivi. dopo diverse esperienze nel settore del turismo e non solo, ha cominciato a muovere i primi passi a livello locale facendosi apprezzare per questa sua propensione imprenditoriale ed economica. spinto fin da bambino dai genitori ad amare e privilegiare la passione per la campagna, scopriva infatti di volta in volta, tutti i segreti racchiusi nello scenario magico dei suoi vigneti, gustando i dolcissimi acini prossimi alla maturazione, pregustando quello che oggi è il suo chardonnay e il suo nero d'avola " don alfonso". Un vino questo frutto di passione, professionalità, anni di sacrifici e responsabilità ereditati dal padre, che in un periodo di forte crisi come questo, rappresenta il simbolo del lavoro giovanile e dell'iniziativa imprenditoriale.


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il miele oro puro

di Maria Rita Pisano

Q

uando si parla di miele, la curiosità sale, specialmente quando si pensa a come si produce e a come si fa. Questa è una domanda che sicuramente si pongono molti consumatori che ogni giorno restano entusiasti dei benefici derivanti dal consumo di questo nettare completamente naturale. Tutti sappiamo che il miele è prodotto dalle api, ed esso, unito all’acqua, costituisce l’unico alimento nutrizionale per i nostri piccoli insetti. la base per la produzione del miele è il nettare, cioè un liquido zuccherino secreto dai fiori per attirare insetti pronubi che favoriscano la sua fecondazione.

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il liquido zuccherino, viene raccolto sistematicamente dalle api, che lo trasportano nell’alveare utilizzando una sacca (detta “mellifica”), posta prima dello stomaco, che contiene circa il peso equivalente ad un terzo di quello dell’ape stessa. giunta all’alveare, l’ape bottinatrice passa il testimone alle api di casa più giovani; durante questi passaggi il nettare viene arricchito e trasformato in miele. il miele che viene estratto dall’alveare è solo quello che le api producono in sovrappiù al loro fabbisogno; infatti, è compito di un buon apicoltore equilibrare le risorse necessarie per il benessere delle api e il prodotto da mettere in commercio.

l’apicoltore, attraverso le operazioni più importanti di smielatura, filtrazione e centrifuga del prodotto, rende il miele idoneo alle nostre tavole. la sicilia è tra le più importanti produttrici di miele, i riconoscimenti sono sia a livello nazionale che internazionale e tra questi vanno ricordati il premio internazionale Biolmiel, manifestazione ospitata nel comune di castelbuono, e il concorso giallo miele. il presidio slow Food dell’ape nera sicula conta oggi sette produttori nell’aera tra palermo e Trapani, malgrado questo grande impegno le minacce di estinzione della razza. il miele siciliano è conosciuto soprattutto per la varietà di tipologie come: magazine

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biscotti siciliani alla

pasta di miele

Ingredienti:

• miele D’Acacia: dolce, stuc-

chevole e privo di retrogusto, consigliato come miele da tavola e come dolcificante naturale nelle bevande, quale caffè o the. per il sapore così delicato si consiglia ai bambini. miele di Aneto: gusto abbastanza deciso, con retrogusto leggermente amaro ricco di sali minerali. È l’ideale per i formaggi delicati non stagionati come la ricotta. miele di Asfodelo: prodotto soprattutto nel palermitano e nell’ennese, il suo gusto è tra i più delicati, con leggero retrogusto acidulo, idoneo per i formaggi non stagionati. miele di Castagno: tipico del messinese, ricco di sali minerali. miele di Cardo: prodotto nel trapanese, messinese e palermitano. il prodotto è molto profu-

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mato con un sapore forte; ha proprietà depurative. miele millefiori: è indicato per combattere l’acidità di stomaco. Ha proprietà ricostituenti essendo il miele più ricco dal punto di vista nutrizionale. miele di limone: molto profumato, dal gusto delicato e fruttato. il miele di limone, insieme al miele di arancio, di mandarino e di agrumi sono indicati per zuccherare le tisane, essendo dei mieli dal gusto delicato, ma anche nei formaggi, soprattutto quelli stagionati. miele di mandarino Tardivo di Ciaculli: prodotto nel palermitano, il suo odore ricorda il fiore di mandarino. prodotto ideale da spalmare sul pane, come dolcificante, nelle tisane o semplicemente da degustare in purezza.

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1000 gr di farina 00 300 gr sciroppo di zucchero (150 gr acqua e150 gr zucchero) 500 gr di miele 30 gr di lievito vanigliato 1 bustina di vanillina 2 bucce di mandarini Procedimento: Mettere tutti gli ingredienti in planetaria e impastare. ad impasto liscio formare delle stecche, intaccare con un coltello, tagliare trasversalmente e unire tre pezzi, formando cosi il classico rametto di pasta di miele (questo impasto viene utilizzato nella tradizione dei morti anche per creare carrettini, pupe, soldati ecc...). a cottura ultimata spennellare con il miele. cuocere a 210° per circa 20 minuti.

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il miele si è dimostrato nel corso degli anni un prodotto utilizzabile in molti campi dalla medicina tradizionale e omepatica, per la preparazione di birra (Birra ama Bionda ad alta fermentazione con miele d’arancio di sicilia), nell’ambito culinario come elemento da sostituire allo zucchero; e anche nel mondo della cosmesi trova per vari usi, dalla crema di bellezza, alle creme curative e antirughe ecc… il potere curativo del miele era già noto al tempo degli antichi egizi. dal punto di vista nutrizionale il miele è composto da una piccola percentuale di acqua, fruttosio, glucosio, saccarosio, destrine e sostanze minerali. la presenza di fruttosio dona al miele un potere dolcificante superiore alla zucchero raffinato. sono presenti anche una discreta quantità di oligoelementi, vitamine e sostanze battericide come l’acido formico,

l’inibina e la gemicidina; queste conferiscono al miele la possibilità di essere conservato a lungo nel tempo e ne giustificano anche l’utilizzo come coadiuvante nella disinfezione; infatti oltre alle sostanze sopracitate, anche l’alta percentuale di zucchero e il ph acido contribuiscono all’attività antibatterica. in medicina viene impiegato in vari settori: Per le vie respiratorie: il miele esercita un’azione calmante e decongestionante della tosse; una cucchiaiata di miele sciolta in un liquido caldo (non oltre i 40° c) ha una notevole efficacia non solo contro la tosse, ma anche contro stati febbrili e affezioni delle prime vie respiratorie. Per l’apparato digerente: il miele esercita un’azione protettiva, stimolante e regolatrice; infatti, grazie alla presenza di acido for-

mico, inibisce le fermentazioni anomale, causa di infezioni febbrili ed epidemiche. Per il sistema muscolare: esercita un aumento della potenza fisica e della resistenza, grazie alla presenza di glucosio e fruttosio. Nell’ apparato urinario: coadiuva l’attività diuretica e depurativa; la sua somministrazione facilita l’eliminazione delle sostanze tossiche. il miele, inoltre, può aiutare l’azione fissatrice nelle ossa del calcio e del magnesio forniti dagli altri alimenti della nostra dieta. il miele viene utilizzato anche come cicatrizzante, per uso esterno nei casi di piaghe, ferite e ustioni. sostituire lo zucchero (saccarosio) nella nostre tavole, con dell’ottimo miele, potrebbe essere una scelta strategica e un valido aiuto al nostro organismo.

Biscotti natalizi di miele e mandorle dosi per 50-60 biscotti Preparazione 50 min. + 1 ora di raffreddamento cottura 10-12 min. ingredienti: • 150 gr di mandorle intere (pizzuta d’avola) • 500 gr di farina bianca • 21 cucchiaino di lievito in polvere • 2 cucchiaini di cannella in polvere 1/2 cucchiaino di chiodi di garofano macinati • 125 gr di burro • 100 gr di zucchero • 3 uova di allevamento a terra (bio) • 2 cucchiai di miele • 100 gr di scorza di arancia candita • 50 gr di scorza di limone candita tritata • 20 gr di mandorle a scaglie • 10 gr di canditi misti Preparazione: Portate il forno a una temperatura di 170°. Distribuite le mandorle intere su una piastra da forno. Tostatele per 7 minuti fino a quando saranno dorate, lasciatele raffreddare e tritatele. Setacciate la farina, il lievito e la cannella, i chiodi di garofano e un pizzico di sale in una terrina. Lavorate il burro e lo zucchero in una terrina capiente con

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uno sbattitore elettrico ad alta velocità fino ad ottenere una crema; incorporare 2 uova. In un tegamino scaldare il miele a fuoco basso finche diventerà liquido. Unite al composto il miele la scorza d’arancia e di limone candite e le mandorle tritate. Incorporate anche gli ingredienti secchi fino a formare una palla liscia; datele la forma di un disco e avvolgetela nella pellicola e tenetela in frigorifero per 1 ora. Scaldate il forno a 180°. Rivestite con carta forno le teglie. Stendete la pasta su una superficie infarinata, con uno spessore di 5 mm. Ritagliate i biscotti da 6 cm di diametro con la forma desiderata. Uniti i ritagli di pasta, stendetela nuovamente e continuate a tagliare i biscotti fino a esaurimento. Trasferite i biscotti sulla teglie a 2,5 cm l’uno dall’altro. Sbattete l’uovo rimasto e usatelo per spennellare i biscotti, completate con le mandorle a scaglie e i canditi. Fate cuocere i biscotti per 12-14 minuti.

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GRaPPa

un distillato siciliano di Maria Rita Pisano*

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a grappa è parte della plurisecolare tradizione italiana e come tale ha accompagnato innumerevoli generazioni fino ai giorni nostri. oggi la grappa è assaggiata per il piacere delle sensazioni che può trasmettere: ecco perché dobbiamo scegliere l'eccellenza tra le eccellenze siciliane. il prodotto che si ricerca deve essere una grappa più morbida e decisamente più elegante, degustata da amatori e appassionati. la grappa di oggi non è più bevuta, ma degustata. gli appassionati del prodotto parlano di “grappe” e non più di “grappa”. ognuna è diversa per le vinacce utilizzate in distillazione, per la tipologia di alambicco impiegato, ma soprattutto perché così la vuole il distillatore. le diversità delle zone di produzione accompagnano l’assaggiatore alla scoperta di vitigni diversi, ma anche di culture e tradizioni che ogni regione italiana offre in abbondanza.

a partire dal 1980, il mondo della grappa ha visto una certa reazione da parte delle distillerie artigianali nei confronti di questa situazione. superando non poche difficoltà economiche, queste distillerie hanno prodotto grappe di qualità, curando non solo una distillazione di alto livello ma anche la presentazione della bottiglia, affinché la percezione del suo contenuto fosse chiara sin dal primo sguardo. negli stessi anni, il pubblico dei degustatori e degli appassionati si allarga, diventa più esperto e pretende un prodotto sempre più selezionato e dalle caratteristiche meno ruvide, con un grado alcolico inferiore cosicché tutti gli aromi della grappa possano fiorire liberamente. ai giorni nostri, la grappa si è rivelata nelle sue potenzialità di complessità e morbidezza, conquistando in questo modo il favore del pubblico internazionale e diventando di fatto e di diritto il distillato italiano per eccellenza.

* dott.ssa in scienze e tecnologie agrarie

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il nostro paese infatti, gode di un comparto produttivo molto variegato, in particolare, in Veneto, rivalutata nell’ultimo decennio anche in sicilia. le materie prime che il nostro territorio offre sono l’elemento chiave per un distillato di qualità. le vinacce sono l’elemento fondamentale, esse devono essere fresche nei profumi, intrisa di mosto o vino, e lavorata immediatamente dopo la separazione dalla fase liquida. diversi sono i processi di distillazione per le vinacce bianche e rosse. le vinacce bianche, appena dopo la pressatura, che deve essere delicata, vengono preparate per la fermentazione. l’ambiente di fermentazione va protetto dall’ossigeno e alle vinacce vanno aggiunti lieviti selezionati per la fermentazione. invece le vinacce rosse, dopo la svinatura, devono essere conservate in ambiente anaerobico (in assenza di ossigeno) per evitare lo sviluppo di muffe e batteri acetici. appena terminata la fermentazione le vinacce devono essere avviate alla distillazione. l’integrità

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dei terpeni (aromi primari dell’uva), decade con le lunghe conservazioni, in quanto l’ossigeno ossida queste delicatissime molecole. inoltre lunghi insilamenti determinano l’aumento del tenore di metanolo. la durata di un ciclo di distillazione (cotta) è di circa 3 ore e produce circa 30 litri di grappa a pieno grado (65/70% Volume). le vinacce del territorio siciliano, provengono da vitigni autoctoni come: il nero d'avola, il grillo, lo zibibbo di pantelleria, la malvasia delle lipari, il moscato di siracusa. la scelta delle materie prime e le cultivar non sono solo l’unica magia per un distillato perfetto occorre la sensibilità, esperienza e la passione di un buon distillatore. la grappa, patrimonio italiano indiscusso e unico al mondo, è esportata in moltissimi paesi: esiste addirittura l’accademia svedese della grappa. il mercato estero di

riferimento rimane comunque la germania, seguita dal resto d’europa. ma anche stati Uniti e canada dimostrano un apprezzamento sempre più crescente verso il nostro distillato di bandiera. il biennio 2004-05, un'annata d'oro per la produzione siciliana, ha visto riconoscimenti ufficiali e vendite oltreoceano, occupando un posto di rilievo sul mercato internazionale. tra i riconoscimenti si ricorda la manifestazione internazionale: “World spirits award 2008”, dove una grappa trapanese è stata l’unico distillato italiano a salire sul podio. a scalare la vetta è il distillato conte alambicco di sicilia.


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pomodori di Pachino... o di Pechino? di Nino Randisi

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on c è amore più sincero di quello per il cibo”. Così scriveva George Bernard Shaw. E aggiungiamo noi ,“ cibo sano e non clonato”, che nuoce alla salute. Oggi l’industria del falso alimentare, dei prodotti copiati nel mondo, fattura parecchi miliardi di euro. Il business dell’agropirate-

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ria, della contraffazione, della frode nei confronti dell’agroalimentare, “made in Italy”in particolare, è sempre di più in espansione, nonostante i controlli serrati dei Carabinieri del Gruppo NAS. Aumenta il numero dei prodotti clonati e sempre a danno dei consumatori. Rimanendo ai dati diffusi, emerge come il valore dei

prodotti clonati e venduti sul mercato esteri con un nome che ricorda quello dell’originale italiano, ma non di origine italiana, è pari a 60 miliardi di euro annui, a fronte di un’esportazione complessiva di prodotti agroalimentari realmente italiani, che ammonta a 20 miliardi annui. Si tratta di un enorme danno, non solo econo-

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mico, ma anche di immagine, perchè le produzioni agroalimentari italiane rispettano norme e discipline molto più stringenti di quelle seguite da chi all’estero le imita. La Cia (Confederazione italiana agricoltori) denuncia come a finire nel mirino dell’agropirateria, sono di frequente i prodotti più pregiati, contrassegnati dai marchi Dop e Igp: proprio quelli che dovrebbero offrire un’assoluta garanzia di sicurezza alimentare. Nel 2012, le frodi alimentari scoperte in Italia hanno portato complessivamente al sequestro di quasi 20 milioni di chili di prodotti alimentari e bevande per un valore di 468 milioni di euro. I prodotti pi colpiti dalle frodi sono stati farine, pane e pasta (16 % in valore del totale sequestrato), quello della carne e degli allevamenti (11%), latte e derivati (8 %), vini e alcolici (5%). Va precisato peraltro che ben il 31 % del valore dei sequestri riguarda la ristorazione con la chiusura dei locali». A giudizio della Coldiretti, i risultati dell’attività investigativa confermano che tra Agenzie delle Dogane, Nas dei Carabinieri, Istituto Controllo Qualità Capi tanerie di Porto, Corpo Forestale e Carabinieri delle Politiche Agricole, Asl, ai quali si aggiunge l’attività degli organismi privati, «attestano che l’Italia può contare sul primato comunitario in materia di sicurezza alimentare grazie alla più estesa rete di controlli. Un impegno che va sostenuto stringendo le maglie troppo larghe della legislazione comunitaria con l’obbligo di indicare in etichetta la provenienza di tutti gli alimenti, come richiesto ora anche dal presidente francese Francois Hollande, per garantire trasparenza negli scambi MAGAZINE

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commerciali, agevolare l’attività ispettiva e difendere i consumatori ed i produttori dal rischio di frodi ed inganni». Sempre la Coldiretti individua significative responsabilità nella diffusione di taluni recenti allarmi alimentari al ritardo delle istituzioni comunitarie nell’adottare una corretta e trasparente informazione al

Ferrari, si sono esercitati, qualche anno fa, sul pomodoro. Confezioni di concentrato di pomodoro identiche a quelle originali prodotte in Italia con tanto di marchio commerciale (bandiera tricolore e scritte in italiano) sono state preparate in Cina e sono state commercializzate sui mercati internazionali con grave danno, ovvia-

consumatore finale. Il ritardo dell’Ue nell’adottare misure di trasparenza dell’informazione al consumatore, come l’obbligo di indicare in etichetta la provenienza delle materie prime usate, ha favorito il moltiplicarsi degli allarmi a tavola provenienti dalle diverse parti del mondo. «Le norme vigenti sono troppo blande - rincara la dose il Presidente dell’Associazione “Area Consumatori” Rocco Sofi - e imprenditori senza scrupoli trovano molti vantaggi e pochi rischi nel frodare. Le attuali normative infatti non costituiscono un vero deterrente in quanto non prevedendo detenzione ne ritiro delle autorizzazioni per i colpevoli». Una nota di colore “rosso”, infine. I cinesi, oltre a clonare le

mente, per l’immagine del Made in Italy. Il presidente della Coldiretti Sergio Marini, ha denunciato come «Il pomodoro, secondo le analisi,sempre secondo Marini- sarebbe presente soltanto in tracce, mentre la gran parte del prodotto sarebbe costituito da scarti vegetali di diversa natura, quali bucce e semi di diversi ortaggi e frutti. Le analisi chimiche hanno rilevato livelli di muffe che eccedono i limiti di legge previsti dalla legislazione italiana». Il prodotto originale poi, nel caso di specie, viene commercializzato con il marchio Salsa, di proprietàdella Cec, Centro esportazioni conservati di Nocera Superiore (Salerno). E questo non è che soltanto uno dei tanti esempi.

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bornin sicily Cucinare siciliano per mangiare sano

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a nostra iniziativa editoriale, con lo slogan “Sicilia produce, Sicilia conviene”, si propone di sostenere l’obiettivo del disegno di legge “Born in Sicily”, approvato il 6 Novembre scorso dall’Assemblea regionale siciliana, in attesa del Commissario dello Stato. Il progetto “Born in Sicily, cooking show a chilometro zero” è stato presentato, giorno14 Novembre, dall’assessore regionale alle Risorse agricole ed Alimentari, Dario Cartabellotta, a Castello a Mare ristorante del nostro direttore editoriale Natale Giunta. Nel nostro giornale Giunta, garantisce la qualità e la genuinità delle ricette. Propone, quindi, solo ricette con i prodotti di stagione a chilometro zero. Durante la presentazione del progetto, lo chef ha realizzato alcune pietanze con soli ingredienti dell’Isola, degustate inseguito dai partecipanti. Tutti gli invitati, tra cui anche i Food Blogger del capoluogo, definiti come ambasciatori della diffusione della cultura del mangiare MAGAZINE

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siciliano, hanno contribuito con una propria ricetta alla realizzazione della pubblicazione della raccolta “Born in Sicily”, omaggiata alla Regione per la campagna di sensibilizzazione a sostegno del progetto. Tra le ricette proposte Cous cous con cubi di tonno, il Timballo del

Principe a base di Marsala secco, Pasta di grano Tumminia con verdure saltate, Bruschette all’eoliana, Spaghetti con pesto di pomodori

di Ornella Romano arrostiti, finocchietto e mandorle tostate. “La finalità di questo disegno di legge - ha detto Dario Cartabellotta - è di creare un marchio e certificare i nostri prodotti, in modo da trasmettere ai consumatori il valore di un prodotto certificato e garantito da un punto di vista igenico-sanitario. E quindi si propone di difendere la qualità dei frutti della terra dalla concorrenza sleale dei prodotti scadenti. Una legge che non implica alcuna spesa pubblica e che tutela le risorse vegetali e animali dei prodotti siciliani.” Lo chef Giunta sottolinea il suo interesse per questo progetto, sia perché non prevede alcuna spesa pubblica, ma anche perché vuole abituare i siciliani a fare la spesa e ordinare al ristorante in modo sano. Inoltre, lo chef si impegnerà a versare un euro, alla Mensa del Padre Abraham, alla Gancia, che aiuta i senza fissa dimora, per ogni cliente che sceglierà il menù a chilometro zero.

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Sicilia, paradiso degli agrumi

di Giacomo Callari

La qualità superiore degli agrumi siciliani è riconosciuta in tutto il mondo, ma la concorrenza di alcuni paesi mediterranei extraeuropei sta mettendo in difficoltà le produzioni. Per la Sicilia si tratta della sfida dei prossimi anni.

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ono il simbolo della Sicilia nel mondo. Studi accurati hanno dimostrato universalmente che fanno bene alla salute che siano degli ottimi alleati nella prevenzione delle malattie e contro l’invecchiamento. Sono gli agrumi di Sicilia, riconosciuti in tutto il mondo per la loro bontà, ma spesso in concorrenza sui banchi dei supermercati con i cugini delle altre aree del Mediterraneo. I primi a realizzare agrumeti in Sicilia, con anche geniali metodi di irrigazione, sono stati gli Arabi, che importavano l’arancia amara; solo nel XVI secolo fu introdotta quella dolce proveniente dalla Cina. Ed è questo

agrume più importante nell’isola, coltivato in tutte le provincie, pur se ci sono zone più vocate di altre. Sicuramente l’area più interessante è la provincia di Catania, con le aree limitrofe di Siracusa ed Enna. In questo territorio vi è la produzione pressochè esclusiva, tutelata dalla IGP (indicazione geografica protetta) delle cosiddette arance rosse, ossia pigmentate di rosso nella polpa e spesso nella buccia. Studi accurati, hanno rilevato una netta superiorità, oltre che organolettica (per la grande ricchezza di acidi in perfetto equilibrio con quella degli zuccheri), nutrizionale e salutistica, che si manifesta quantitativamente sia qualitativamente. Le arance rosse, non solo contengono percentuali superiori di vitamina C e altri principi attivi salutari, presenti anche il quelle bionde, ma pure sostanze preziose, costituite proprio dai pigmenti che contribuiscono al diverso colore, assenti nelle bionde, capaci di rallentare l’invecchiamento delle cellule umane.

L’IGP, insieme a una adeguata campagna informativa internazionale, contribuisce e quindi anche a tutelare la produzione di questa varietà pigmentale, il Tarocco, la più comune, e le due pregiatissime Moro e Sanguinello, in pericolo di scomparsa. Le arance bionde non sono condizionate da una così precisa area a vocazione specifica, pur se hanno trovato un ambiante ideale in provincia di Agrigento, dove, nella zona di Ribera, sopratutto la varietà di Washington Navel si esprime al meglio. Anche per quanto riguarda i mandarini la Sicilia si trova al primo posto nella produzione italiana. Il comprensorio in cui la coltivazione del mandarino è più diffusa è quella di Palermo, con la varietà Avana e il tardivo di Ciaculli. Di fatto però il mandarino autentico è quello che sta più nel cuore dei Siciliani, sopratutto della campagna palermitana, che tengono molto a possederne una pianta giardino o sul terrazzo e che la offrono volentieri agli ospiti come

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dono di pregio, evidenziato in particolare dal raffinato e intenso profumo. Sono sopratutto le clementine, ibridi di ibridi (incroci di mandarini e mandarancio che, a sua volta, è un incrocio di mandarino e arancio), a crescere sul mercato. La Sicilia, nonostante la quantità di agrumi prodotti, a livello commerciale è meno agguerrita dei concorrenti, a causa di una produzione suddivise in piccole aziende non sufficientemente organizzate in grandi realtà consortili: questa aumenta il problema dell’impossibilità di garantire, sopratutto alla grande distribuzione, uno standard costante. Ecco perché molti agrumi di Sicilia restano in pianta: non conviene raccoglierli. È frequente incontrare, nei mercati all’aperto dell’isola, camioncini colmi di arance raccolte con intraprendenza negli aranceti trascurati dai proprietari: una raccolta familiare, la vendita diretta al pubblico, offrono in molti di questi casi acquisti vantaggiosi al consumatore locale. Ma è una scelta che paga in termini di economia? La riqualificazione del prodotto, in modo da porre la clientela di fronte alla certezza che gli agrumi proposti dalla Sicilia hanno specificità superiori, è la strada che si sta seguendo. Gli agrumi rappresentano, infatti, il frutto più comodo sul mercato, ideale per un consumatore impaziente e distratto:non hanno semi e si sbucciano rapidamente, con due dita. Non è da trascurare il favore presso i bambini, sia per i motivi già detti, sia per l’ attrattiva esercitata da quei frutti che si mangiano in unsol boccone. La Sicilia si colloca al secondo posto dopo la Calabria nella produzione delleclementine, che si concentrano sopratutto nelle aree costiere ioniche nelle

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province di Catania, Siracusa e Ragusa. Il secondo agrume prodotto in Sicilia è il limone. Le province più interessate sono Siracusa, Palermo, Catania, e Messina. Pregiatissimo nell’area costiera della provincia, è il limone siracusano Femminello, probabilmente presente fin dal secolo IX secolo con gli Arabi. Di Femminello ci sono diversi cloni, diffusi anche in altre zone. Si tratta di limoni rifiorenti che consentono numerose raccolte annuali: i limoni invernali (settembre- maggio, più gialli, a buccia sottile, più succosi), i bianchetti (febbraio-maggio, più chiari, a buccia spessa) , i verdelli, i maggiolini, (verdi scuri, a buccia sottile), gli agostani ( aprilesettembre). È invece poco rifiorente e precoce la varietà Interdonato, tipica della costa Messinese. Meno importanti in Sicilia le culture di altri agrumi come il pompelmo, il bergamotto, il cedro. Gli agrumi siciliani non sono ovviamente destinati solo al consumo diretto, ma anche alla trasformazione in succhi: se questo non è un prodotto tipico del l’isola per la sua caratteristica industriale, tipici sono invece i derivati dalla bucce, ossia le essenze naturali, ottime per la pasticceria e liquoreria, e i canditi. MAGAZINE

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Pistacchio di Bronte imp_23 19/11/13 13:35 Pagina 71

il

Pistacchio di BRONTE UN PRIMATO D’ECCELLENZA

B

RONTE, borgo ai piedi dell’Etna, è la patria dell’oro verde: il PISTACCHIO. Avvitato su strade ripide tra l’Etna e i Nebrodi, Bronte vive di pistacchi: c’è chi li coltiva, chi li commercia, chi li trasforma in dolci, creme e salse. Gli alberi non si concimano, non si irrigano – anche perché di acqua non ce n’è – si trattano pochissimo e si potano un paio di volte, per eliminare i rami secchi e togliere le gemme negli anni “di scarica”. Il pistacchio, infatti, un anno produce e un anno riposa e, durante quest’ultimo, i contadini eliminano le poche gemme spuntate sui rami in modo che la pianta possa immagazzinare tutte le energie per esplodere nella stagione successiva. Attesa per due anni, la raccolta è il momento decisivo. Tra la fine di agosto e l’inizio di settembre il paese si svuota: nei loci (nome locale delle pistacchiete) lavorano tutti: donne, vecchi e bambini. La raccolta è complicata, si fa in bilico sui massi di lava, aggrappati ai rami con una mano, mentre con l’altra si staccano i chicchi uno a uno, per farli cadere nella sacca di tela legata al collo . Il pistacchio verde di Bronte non riesce a reggere la concorrenza con i frutti meno saporiti, ma decisamente meno costosi, provenienti dall’Iran, dalla Turchia e dall’America. Così le principali industrie dolciarie e i grandi salumifici italiani – che un tempo acquistavano i pistacchi in Sicilia – si rivolgono alla produzione estera. Possiamo far risalire agli Arabi il merito della diffusione della cultura del pistacchio nell’isola, anche se solo dalla seconda metà dell’ottocento si sono davvero espanse le coltivazioni insieme al suo uso. In MAGAZINE

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di Alessia Di Stefano Rossi

genere, il frutto viene raccolto dal produttore, smallato, asciugato e poi venduto in guscio alle aziende: tra queste, l’80% sono estere mentre solo il 20% è rappresentato dall’industria nazionale. Il pistacchio di Bronte deve avere tra i requisiti principali, colore verde intenso e sapore aromatico ma soprattutto deve essere prodotto in terreni di origine vulcanica. Infatti, la pianta, si trova a suo agio su rocce laviche, terreni proibitivi per qualsiasi altra coltivazione. Il produttore, per ogni otto piante femmine, deve piantare un maschio, affinché il vento trasporti i pollini dei fiori dai maschi fino al pistillo delle femmine. Il pistacchio si presenta alla vista in grappoli consistenti in piccole noci, con mallo gommoso e resinoso. È un frutto ricco di proteine e vitamine ed ha un valore nutritivo molto alto, il doppio delle calorie del burro. Il frutto ( fastuca) viene commercializzato sotto diverse forme: la tignosella, che sarebbe il pistacchio non sgusciato, e il pelato, il pistacchio sgusciato e privato dell’endocarpo. Gli usi del pistacchio di Bronte sono davvero infiniti: possiamo citare la granella, la farina, la pasta di pistacchio, seccato e usato per insaporire i salumi, il pesto di pistacchio, il gelato, i torroni, i confetti e così via. Si adatta in cucina, sia al salato che al dolce infatti viene utilizzato in pasticceria per i cannoli siciliani o per le torte (vedi Torta Fedora) ma anche appunto per la pasta con il pesto o per carni e pesci. A Bronte, è stata creata un’associazione di pasticceri, per diffondere l’uso del pistacchio in pasticceria e tutelarlo.

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Pistacchio di Bronte imp_23 19/11/13 13:35 Pagina 72

Pesce sPada al profumo di

Pistacchio di Bronte

Questo eccellente frutto, ha ottenuto e innalzato il suo meritato valore nel giugno del 2009 con la Denominazione di Origine Protetta, (DOP) dopo otto anni di protezione nazionale transitoria e la costituzione di un consorzio di tutela. Inoltre, vanta il presidio Slow Food per salvaguardare la produzione del pistacchio brontese “non equiparabile a nessun altro pistacchio mediterraneo e che cresce solo a Bronte”. Ogni anno a fine settembre, Bronte è in festa per la sagra del pistacchio. Durante questi giorni affollati, si rigenerano ambientazioni tipiche dell’antica civiltà contadina incluso ovviamente l’assaggio e l’acquisto sia dei frutti che delle varie lavorazioni, inclusi i fantastici dolci.

Ingredienti per 4 persone: • Pesce spada • Pistacchi • cipolla • aglio • Brandy Procedimento:

Fare un soffritto di cipolla e olio, aggiungere il brandy e far sfumare. Tritare i pistacchi e aggiungerli al composto di cipolla e con la salsa coprire la parte superiore di una fetta di pesce spada. Mettere in teglia oleata con aglio e foglie di alloro e cuocere in forno per 15 minuti. Una squisitezza !!

a

Bronte non c’è negozio, bar, pasticceria che non proponga dolcetti a base di pistacchio. croccanti, fillette (specie di savoiardi), torroni e torroncini, paste, torte e anche il panettone. Perlopiù sono preparazioni in cui il pistacchio ha preso il posto della mandorla; dolci che appartengono alla storia recente del paese, quella degli ultimi vent’anni. Nell’antica e ricchissima tradizione della confetteria siciliana, il frutto di Bronte compare raramente: lo troviamo a volte nel torrone, nel gelato, nella cassata, ma è complementare alla vera protagonista dei dolci isolani, la mandorla. In giro per il mondo, invece, il pistacchio è ingrediente fondamentale di molte preparazioni tipiche. Nella Germania del nord con i pistacchi si preparano salse per la selvaggina e si aromatizza l’impasto delle Jägerwurst (“salsicce del cacciatore”). Il ripieno del dolce simbolo di Lubecca – il marzapane – è a base di mandorle e pistacchi. La Francia usa il pistacchio per fare torte, dolcetti, gelati; per farcire e decorare i cioccolatini. Ma anche la charcuterie ricorre a questo piccolo frutto per ingentilire i sapori con una nota ammandorlata: i pistacchi entrano nell’impasto della saucisson di Lione, in alcune terrine e in vari paté. e poi ci sono la svizzera e il Belgio, gli altri due regni della pralineria, che ricorrono al pistacchio per farcire mille specialità a base di cioccolato. MAGAZINE

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Pantelleria

e i caPricci di eoLo e iL soLe roVente di Veronica La Fata

N

on appena si arriva a Pantelleria, via mare partendo da Trapani, o più comodamente in aereo, si sente subito un’atmosfera diversa, un clima lontano dalla città e dal caos. Si sbarca in un’isola diversa dalle Eolie, le Pelagie o le Egadi. PANTIDDARÌA infatti non sembra un luogo turistico: offre una splendida atmosfera familiare. Originariamente gli arabi la chiamavano Bent-al-ryion, figlia del vento: Pantelleria infatti è anche detta “Isola del Vento”, proprio perchè costantemente vi soffiano il maestrale, lo scirocco o la tramontana. Nel ‘700 l’isola vede la convivenza pacifica tra Cristiani e Musulmani. L’equilibrio si ruppe però nel 1087, quando le Repubbliche marinare del Mediterraneo si allearono per cacciare i musulmani. Forte fu la contaminazione tra i due popoli, tanto che ancora oggi le borgate agricole mantengono nomi come Bugeber, Rekhale, Mueggen, Bukkuram. L’influenza araba si nota anche nella struttura dei dammusi, tipiche costruzioni dell’isola: le case pantesche presentano muri di pietra a secco MAGAZINE

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e tetti a cupola, segno appunto della tradizione islamica. Caratteristici dell’isola sono i cosiddetti “giardini panteschi”: si tratta di torri, di forma circolare, costruite con pietre a secco, che proteggono le coltivazioni dai forti venti. Solitamente vengono utilizzate per produrre gli agrumi e la loro altezza può variare da 1 a 3 metri, in base alla pianta che ospitano. L’isola, nata da un vulcano, presenta rocce acide e ricche di materiali sodici unici al mondo, al punto da prendere il nome di Pantelleriti. L’ultima eruzione del vulcano, nel 1831, fece emergere l’isola Ferdinandea che, però, si inabissò subito dopo. Uno dei trentasei crateri spenti dell’isola costituisce la caldera della Favara, un vero e proprio bagno turco all’aperto: questa sauna naturale offre emissioni gassose di vapore acqueo ed anidride carbonica, che hanno proprietà benifiche quali rimuovere le cellule morte, migliorare la circolazione e curare l’acne. Poi vi sono le fumarole della grotta del Bagno Asciutto, di Katzen, di Fossa Pernice e le sorgenti di acque calde a Cala Gadir. Non dimentichiamo il

Lago Specchio di Venere, anch’esso in un’antica caldera: le sue acque cristalline nascondono un fango che ha proprietà benefiche per la pelle. Altrettanti effetti salutari li produce la sabbia nera di ossidiana, presente nelle vasche di acqua calda della Grotta di Ulisse, sul versante africano: essa stimola la circolazione ed aiuta ad eliminare le tossine dal corpo. Pantelleria è anche un paradiso per gli escursionisti, con centinaia di km di strade interne e sentieri praticabili, e per gli amanti del birdwatching: migrano infatti molte specie di uccelli, tra i quali la Cinciallegra, il Beccamoschino, i Nibbi, i Falchi, le Cicogne. Insomma, Pantelleria è la meta perfetta per chi vuole trascorrere una vacanza immerso nella natura, tra splendidi panorami, la cura della pelle ed un’ottima cucina. Molte sono le specialità pantesche, come il ciakiciuka (una sorta di caponata di melanzane e peperoni), il cuscus con zuppa di pesce e verdure, o il bacio pantesco, frittelle con ricotta e scaglie di cioccolato; e ovviamente i tradizionali capperi e lo zibibbo.

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Capperi Hanno un’altezza che varia tra i 30 e i 50 cm, con foglie carnose di colore verde scuro e dei fiori bianco e rosa: questi boccioli sono appunti i capperi, piccoli, duri e verdi. La varietà più pregiata è la “Capparis Spinosa”. I capperi vengono coltivati in terreni terrazzati e lavorati esclusivamente con il sale marino. Si raccolgono tra maggio e settembre, generalmente all’alba, perché con questa luce si distinguono meglio i boccioli. Dopo di ciò, vengono messi in tini, dei grandi recipienti, con sale marino grosso: la

salamoia, formata dal sale e dall’acqua di conserva, gli permetterà di maturare. Poi vengono scolati, messi in altri tini e salati nuovamente per altre due volte: così sono pronti per un lungo periodo di conservazione o per essere consumati. Solitamente i capperi accompagnano le insalate, la carne, il

pesce, i primi, ma soprattutto la tradizionale tumma pantesca, un fresco formaggio locale. Zibibbo Originaria dell’Egitto, quest’uva è stata introdotta a Pantelleria dai Fenici. Viene coltivata su terrazzamenti costruiti sui pendii e sorretti da muri di pietra lavica. Può essere mangiata come frutta, fresca o essiccata, o può essere vinificata, dando vita al vino zibibbo o al moscato di Pantelleria. Dal colore ambrato e dal sapore dolce ed aromatico, si accompagna molto bene a formaggi e dolci di mandorla, specialmente se servito a fine pasto, ad una temperatura di 10-12 gradi.


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N

ata nella metà degli anni ‘50 nelle campagne di Piana degli Albanesi. L’iniziativa di nonna Odigitria e proseguita poi da papà Vernaci e dal cognato Stassi, la Casa dell’Uovo si è tramandata da padre in glio no ai giorni nostri. Oggi l’azienda è di proprietà di Natale Vernaci e le sorelle, che le hanno impresso una svolta imprenditoriale senzaper questo rinunciare alla genuinità e alla tradizione. La casa dell’uovo è oggi una delle realtà avicole più importanti di Palermo, con circa 300 clienti tra ristoranti, bar e supermercati,ma si rivolge anche direttamente al cliente nale. L’azienda, nell’interesse primario del consumatore, gestisce tutta la catena di produzione, dall’allevamento delle galline al confezionamento delle uova, passando per la produzione, dei mangimi, evitando cosi la manipolazione intermedie e facendo arrivare sulle nostre tavole un prodotto sempre fresco e genuino. A ulteriore garanzia, sia le galline che i mangimi sonosottoposti periodicamente a severi e accurati controlli da parte dei servizi veterinari locali e da analisi dell’Istituto zooprolattico di Forlì, uno fra i più qualicati del settore. Dall’inizio di quest’anno, la Casa dell’Uovo ha deciso di tornare alle origini, riponendo ancora una volta le galline a terra, ma con gli standard igienico-sanitari odierni. Un ritorno al passato, dunque ma che guarda ancora una svolta al futuro.


Pranzo Domenicale imp_25 19/11/13 13:37 Pagina 76

Pranzo della Domenica D

omenica scorsa ho trascorso una giornata all’insegna del gusto. Ebbene sì! Come quasi ogni domenica mia zia Carmela si è autoinvitata a casa mia con la scusa che “cc’è na bella iurnata!”. Ho accettato di buon grado considerando che la zia è un’ottima cuoca e ha pensato bene di portare cibo preparato da lei. Come sempre è arrivata in ritardo, alle 14.00 p.m., in compagnia di quei tre birichini dei suoi nipoti che, non appena mettono piede in casa, si fiondano sulla tavola che avevo preparato con cura mettendola a soqquadro. Ma la mia irritarione è svanita non appena la zia Carmela ha iniziato a scoperchiare i tegami che aveva con sé. - Cosa hai preparato di buono zia? - Un ssàcciu se a ttìa ti piacinu i sardi e u pisci frittu, ma l’ â ssaggiare; cci sunnu sardi fatti in tutti li maneri.

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di Anna Ferrante

Io amo mangiare pesce e, in modo curioso e forse un po’ inopportuno, iniziai a sbirciare il contenuto di ogni tegame. Non avevo mai assaggiato sarde preparate in questo modo. - Zia, cosa sono? - Chisti su ssardi all’agretto. Pi ffarli pigghi l’acciughe e i pulizii tutti; cci levi i lischi e a testa, poi le sciacqui per bene. Poi pigghi un tianu e cci metti tutti i fittini di limiuni tagghiate bbelle sottili e cci metti ‘ncapu le acciughe e u pomaroru tagghiatu tuttu a pizzuddìcchia, senza pellicina e senza semini. Poi i cunzi cu ògghiu, àgghiu fattu nicu nicu, basilicò e arìniu. Aggiusti cu sali e u metti ‘nto furnu a 180°. L’acciughe all’agretto sono buone puru friddi. Bene! Al solo pensiero di assaggiarle avevo già l’acquolina in bocca, così ne mandai giù una di nascosto. La zia infatti era intenta ad osservare il primo piatto preparato da lei e a trovare le parole giuste per descrivermi quella ghiottoneria.

- Chista è a pasta cu pestu e pisci frittu. Pi ffarla pigghi i pomarori e i metti a mmollo nell’acqua cavura pi ccincu minuti; poi cci levi a bbùccia e tutti i semini e tagghi a ppizzuddi. Poi pìgghi i ménnuli, i pesti nel mortaio e cci metti antìcchia ri sali e i metti ‘nto contenitore. Poi pesti aglio, basilicò e cci metti sempre antìcchia ri sali; cci iunci u pomaroru e continui a pestare fino a ffare un composto omogeneo. Poi pigghi sto pesto e u metti ‘nto contenitore cu i mènnuli pistati, iunci ògghiu, sali e spezi, arrimini arrimini e u lassi accussì pi ddui uri. Nel frattempo pulizii i pisci, i metti ‘nta farina e ppoi na pare a cu ògghiu e sali. Devi preparare gli spaghetti, cci metti u pestu e ‘ncapu stu pisci ca fa accussì bbella figura. A mmìa sta pasta piaci puru fridda. Meglio così, almeno non mi son dovuta mettere ai fornelli per riscaldare la pasta. D’altronde, se fredda è più buona, perché non assecondare la zia? MAGAZINE

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Pranzo Domenicale imp_25 19/11/13 13:37 Pagina 77

... a ta vola!!

- E non abbiamo ancora finito. Ho preparato un secondo gustosissimo: sarde a beccafico. I sardi a beccaficu si fanno ‘nto furnu. Lo accendi a 200° e lassi riscaldare; intanto lavi i sardi belle pulite, cci live i lischi e le teste, a coda però làssala. Sciacqua le sarde e i tagghi a libro. Fai dorare a fuoco lento a muddica e arrimini senza fermarti; poi metti a mollo i passolini, triti u prezzemolo e le acciughe (ma prima cci â llivari u sali). Metti pinoli, muddica atturrata, prezzemolo, acciughe ‘nto un contenitore di vetro e arrimini cu a cucchiàia di legno, poi mitti u composto mmenzu i sardi e li rrotoli in modo che a cura resta all’esterno. I metti ‘nta tìgghia unta d’ògghiu e cci metti l’alloro tra una sarda e l’altra ca cci porta un aroma speciale. Poi ‘ncapu cci metti una sprizziatina d’ògghiu mmiscatu con succo d’arancia e zzuccaru e inforni pi mmenz’ura. Infine la zia ha preparato un invitante sorbetto; giusto quello che ci voleva per concludere il pranzo.

Io amo preparare dolci, e con molta curiosità ascolto la modalità di preparazione: - Pigghi un tianu e cci metti 2,5 dl d’acqua; ci arrimini u zzuccaru fino a che bolle. Poi u lassi còcere a ffocu lentu per 2-3 minuti, spegni la fiamma e fai arrifriddare l’acqua. Spremi i limiuna, i filtri e iunci il succo cu ll’acqua. Sbatti il composto con le fruste elettriche per 3 minuti, arrimini con cura si nno l’acqua si separa dal succo; poi metti tutti cosi ‘nto freezer pi mmenz’ura. Monti con la frusta un albume, l’â ffare divintare bello schiumoso, iunci al sorbetto antìcchia di zzuccaru e sbatti con la frusta tutto il composto; l’â a sbattere per 2 o 3 volte ogni mmenz’ura. Infine lo puoi mèttiri arreri ‘nto freezer e nniscirlo quannu l’â mmanciari. - Zia, verrai anche domenica prossima?

antipasto accIughe all’agreTTo

Primo piatto PaSTa cu PeSTu e PIScI frITTu

Secondo piatto Sarde a beccafIco

Ingredienti per 6 persone

Ingredienti per sei persone

Ingredienti

1 kg d’acciughe 6 pomarori maturi 3 spicchi d’àgghia 3 limiuna basilicò, arìniu, olio extravergine d’oliva

600 gr ri spaghetti 700 gr ri pesciolini pi ffarli fritti. 1kg ri pomaroru. 5 spicchia r’àgghia 150 gr ri mènnule atturrate e ssenza bbùccia 1 bicchiere r’ògghiu extravergine d’oliva, farina, sali, spezi.

800 gr ri sardi frischi 4 acciughe sotto sale 50 gr di pinoli 50 gr di uvetta 1 arancia 100 gr ri muddicca atturrata menzu bicchiere d’ògghiu d’oliva pipi, sali, pitrusinu, zzuccaru, alloro.

Tempo di preparazione 25 minuti

Tempo di preparazione: 1 ora e 20 minuti.

Il dolce SorbeTTo al lImone Tempo di preparazione: 25 minuti

Tempo di preparazione: 1 ora 4,5 dl di succo di limiuni 250 gr di zzuccuru semolato 1 albume

Il consiglio: se i sardi i manciati friddi sono cchiù buone.


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Pranzo Domenicale imp_25 19/11/13 13:38 Pagina 79

Anguilla alla “Matalotta” IngredIenTI Per 4 PerSone:

1kg di anguille già pulite e tagliate a pezzi 1 cipolla, 1 mazzetto di prezzemolo 5 pomodori pelati olio extravergine d'oliva, sale e pepe

Alici all’Arancia IngredIenTI Per 4 PerSone:

1 kg di alici 200 gr di olive bianche, 50 gr. di pinoli 250 gr di pangrattato 2 arance, 2 limoni, 1 bicchiere di vino bianco prezzemolo, olio extravergine d'oliva, sale

ProcedImenTo:

Lavare con cura le anguille, asciugarle e cospargerle di sale. Tritare finemente la cipolla e lasciare rosolare, in un tegame, con un filo d'olio. Aggiungere la polpa di pomodoro spezzettata, un trito di prezzemolo e una spolverata di pepe e lasciare insaporire per qualche minuto. Versare, quindi, 1 tazza d'acqua calda e portare ad ebollizione. Regolare di sale, unire il pesce e proseguire la cottura per circa 10 minuti, su fiamma moderata.

ProcedImenTo:

Pulire e disiliscare le alici, eliminando la testa. In un tegame, mettere delle fettine di limone, e coprirle con le alici, aggiungere le olive a pezzetti, il prezzemolo a foglioline, i pinoli, spolverare di pangrattato, e bagnare con il succo delle arance e vino bianco. Fare un altro strato ed infine mettere il pangrattato rimasto, versare un filino di olio su tutto ed infornare per una ventina di minuti.

Baccalà alla Siciliana IngredIenTI Per 4 PerSone:

Braciolettine alla Messinese IngredIenTI Per 6 PerSone:

800 gr di braciolettine di vitello 50 gr di sugna 100 gr di pangrattato 50 gr di pecorino grattugiato 1 ciuffo di prezzemolo salsa di pomodoro sale ProcedImenTo:

Allargare le fettine di carne sul tavolo di marmo e condirle con un pizzico di sale e un po' di sugna. Mescolare il pangrattato col pecorino, prezzemolo tritato e qualche cucchiaio di salsa di pomodoro, per legarle. Versare un cucchiaio di questo composto su ogni fettina, che arrotolerete su se stessa a formare delle piccole braciole. Impostare negli spiedini e passare in olio e pangrattato. Arrostire sulla brace.

800 gr di baccalà già ammollato ½ bicchiere di vino bianco secco 500 gr di pomodori 200 gr di patate 60 gr di olive nere snocciolate 1 cucchiaio di capperi sotto sale 40 gr di pinoli 40 gr di uva passa ½ cipolla, 2 spicchi di aglio olio extravergine di oliva sale e pepe ProcedImenTo:

Modellare il baccalà, privandolo di pelle e lische, quindi tagliarlo a pezzi. Porre in un tegame mezzo bicchiere di olio, la cipolla tritata e l'aglio schiacciato. Portare su fuoco dolce e quando il soffritto sarà quasi trasparente, eliminare l'aglio e unire i pomodori, precedentemente pelati, privare dai semi e tritare grossolanamente. Coprire a filo con acqua tiepida, pepate e portare ad ebollizione; lasciare cuocere per circa 30 minuti, quindi unire le patate pelate e tagliare a tocchetti, le olive, i capperi dissalati, i pinoli e l'uva passa, precedentemente ammollata e strizzata. Lasciare cuocere per circa 45 minuti, o fino a che le patate non saranno quasi sfatte. Regolare di sale a fine cottura e servire.


Sapori d'Autunno imp_26 19/11/13 13:38 Pagina 80

cAstAgne Funghi zuccA di Anna Ferrante

’autunno è la stagione che ci regala colori caldi e sapori intensi: zucche, funghi e castagne regnano, incontrastate, nelle nostre cucine.

L

chiamo che possiede anche varie proprietà: carboidrati, sali minerali (calcio, sodio, ferro, magnesio e potassio) e vitamine (B e C); inoltre contiene amido e fibre. Il frutto è

Le castagne arrostite (altrimenti dette «caldarroste»), che rendono liete le nostre giornate piovose, spesso accompagnano le chiaccherate tra parenti o amici durante una piacevole passeggiata o (perché no?) durante una conversazione a tavola mentre si sorseggia del buon vino rosso. Insomma, per noi siciliani, la castagna è il frutto dell’autunno; ma non dimenti-

ricoperto da una membrana chiamata «episperma» che, a sua volta è ricoperta da un involucro spinoso detto «riccio». Esistono quattro varietà di castagne: i marroni, le castagne, le ibride euro-giapponesi e le giapponesi; possono essere consumate dopo averle bollite in acqua e sale oppure arrostite o possono essere utilizzate nella preparazione di varie pietanze. In genere le casta-

gne piccole sono destinate alla bollitura mentre quelle più grandi vengono arrostite. Castagne arrostite: con un coltellino affilato praticate un taglio

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di circa 3 cm sulla buccia della castagna fino ad arrivare alla polpa. Occorre cuocerle in una padella bucherellata facendole arrostire a fuoco lento. Mescolate per rendere omogenea la cottura. Curiosità: come capire se le castagne sono vuote? Immergetele in un contenitore pieno d’acqua per qualche ora, quelle che salgono a galla sono vuote. La zucca, nella stagione autunnale, non la ritroviamo soltanto la notte di Halloween come semplice ornamento con quegli occhioni scavati e la bocca aperta in un mostruoso sorriso, ma costituisce soprattutto un ingrediente essenziale nella preparazione di varie e gustose pietanze. La zucca è un ortaggio con importanti proprietà nutritive; è infatti un alimento ricco di vitamine e minerali, ipocalorico e costituito per il 95% d’acqua. Zucca in agrodolce: fate soffriggere due spicchi d’aglio in padella con olio extravergine d’oliva; sbucciate la zucca e non dimenticate di eliminare i semi,

tagliatela a fette sottili e friggetela. Aggiungete un po’ di sale e versate un po’ di aceto e zucchero dopo averli amalgamati in un bicchiere. Il sapore particolare è dovuto proprio all’accostamento di questi due ingredienti. Mescolate e lasciate MAGAZINE

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sfumare l’aceto. Riponete delicatamente le fette di zucca in un piatto, addobbate con foglioline di basilico e lasciate a riposo per qualche ora. È un piatto che va servito a temperatura ambiente. E non dimentichiamo i funghi. Anche questi costituiscono un alimento ricco di proprietà nutritive da non sottovalutare; contengono infatti selenio (che protegge l’organismo dalle malattie infettive) e vitamina B, inoltre tendono a rafforzare il sistema immunitario. Ricordiamo che i funghi sono microorganismi che si nutrono per mezzo di altri organismi: proprio per questo ne esistono varie specie, alcune commestibili e altre no. È, infatti, consigliabile non raccogliere funghi se non li si conosce sia per la salvaguardia della propria salute che per mantenere inalterato l’equilibrio dell’ecosistema. Tante sono le varietà di funghi commestibili: prataiolo, pioppino, chiodino, piede di capra, lingua di brugliera, porcino, prugnolo, gallinaccio, steccherino, champignon. E proprio quest’ultima tipologia di fungo è l’ingrediente base di una ricetta semplice e veloce.

Champignon in umido: fate dorare in padella due spicchi d’aglio con un po’ di olio extravergine d’oliva, dopodichè toglieteli. Affettare i funghi champignon e versarli in padella, mescolate e lasciate a fuoco lento per circa 8 minuti. Unite la salsa diluita con acqua e aggiungere sale (in alternativa aggiungere un dado) e pepe. Mescolate e aggiungete un po’ di prezzemolo.

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Spiedini o “spitini” IngredIentI per 6 persone:

1 kg di fettine di manzo ben spinate (dimensione 3x6cm circa) 2 grosse cipolle, foglie di alloro

Salsiccia al Ragù IngredIentI per 6 persone:

1 kg salsiccia 200 gr estratto di pomodoro 1 cipolla procedImento:

Scegliere un tipo di salsiccia a tocchetti grossi e non troppo magra. Girarla a ruota trattandola con spiedini e bucarla con la forchetta in più punti prima di metterla in padella, a fiamma bassissima, in modo che il suo stesso grasso rimasto per soffriggere in tegame la cipolla tagliarla a fette sottili e l'estratto. Allungarla con un litro d'acqua e fare cucinare il sugo per circa un'ora, prima di mettere in tegame anche la salsiccia, poi lasciare insaporire nel ragù per circa 20 minuti. Servire tiepida.

per il ripieno: ½ cipolla grattugiata 300 g. pangrattato 300 gr caciocavallo o pecorino grattugiato 50 gr passoline 50 gr pinoli ½ bicchiere d'olio extravergine d'oliva, sale e pepe procedImento:

Lavare con cura le anguille, asciugarle e cospargerle di sale. Tritare finemente la cipolla e lasciare rosolare, in un tegame, con un filo d'olio. Aggiungere la polpa di pomodoro spezzettata, un trito di prezzemolo e una spolverata di pepe e lasciare insaporire per qualche minuto. Versare, quindi, 1 tazza d'acqua calda e portare ad ebollizione. Regolare di sale, unire il pesce e proseguire la cottura per circa 10 minuti, su fiamma moderata.

Trippa con Melanzane Baccalà Fritto IngredIentI per 4 persone:

1 kg di filetti di baccalà già ammollati e spinati farina olio extravergine d'oliva sale procedImento:

Lavare e asciugare il baccalà; poi, spellare e tagliare a pezzetti non troppo piccoli. Infarinare leggermente, eliminando la farina in eccesso e friggere in abbondante olio caldo. Sgocciolarlo e cospargerlo di sale. Servire il pesce con spicchi di limone, oppure, con una salsa maionese aromatizzata con aglio tritato e un pizzico di peperoncino in polvere.

IngredIentI per 6 persone:

800 gr. trippa 6 melanzane 1 kg pomodori maturi 100 gr caciocavallo grattugiato basilico, 3 cipolle olio d'oliva, sale e pepe procedImento:

Tagliare la trippa a strisce, lavarla bene e lessarla in acqua e sale. Insaporire quindi in un tegame con cipolla tagliata a fette sottili e soffritta nell'olio e qualche cucchiaio di salsa di pomodoro (preparare con le restanti cipolle, il pomodoro e il basilico). Tagliare le melanzane a bacchette e friggerle in olio abbondante, dopo averle tenute per un'ora in acqua e sale. Quando avrete pronto ogni cosa, versare in una teglia un po' di salsa e disporre a strati melanzane, trippa, salsa, formaggio grattugiato e basilico. Coprire con la salsa. Passare a forno caldo per 10 minuti circa e servire nella stessa teglia.


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Sapori

di

Sicilia

ed i lettori...

...i mille sapori del sole

Ricca, opulente, barocca, oppure gustosamente semplice, impreziosita da ingredienti poveri, la gastronomia del sole, il risultato di un’originale e antichissima globalizzazione di cultura, tradizioni, ricette e prodotti importati durante le diverse dominazioni e poi adottati o rielaborati secondo le esigenze: ...questA è lA cucinA siciliAnA invitiamo tutti i lettori a mandare le loro ricette che verranno selezionate e pubblicate sul nostro Magazine sapori di sicilia. le migliori e le più originali, saranno premiate con il bellissimo “piatto del buongustaio” (ceramica siciliana - Ø 37 cm)

@

inviare a: Redazione SapoRi di Sicilia - Via leonardo da Vinci, 126 - 90145 palermo buongiornoredazione@virgilio.it


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Salvatore Cappello maestro pasticciere di Maria Grazia Sclafani

I

l nome di Salvatore Cappello è inscindibilmente legato ad una torta. Non esiste turista o palermitano che abbia una sola meta per un solo obiettivo: la Setteveli. Cioccolato, cioccolato e ancora cioccolato, sette strati per sette tipi diversi. Peccato di gola all’ennesima potenza. «Tutto ha avuto inizio qui, nel 1940», ci racconta Salvatore Cappello, che ci accoglie nella sua storica pasticceria di Via Colonna Rotta, a due passi dal Palazzo Reale e dalla Cattedrale di Palermo. «Mio nonno Bartolomeo aveva un piccolo ambiente, dove svolgeva il lavoro di lattaio grazie alle mucche di sua proprietà. Nel dopoguerra, mio padre rilevò il piccolo magazzino del nonno e lo trasformò in una bottega per la produzione e vendita di gelati e dolci tradizionali. Il binomio era questo: latteria e gelateria. I dolci, nel dopoguerra, si facevano ancora in casa». È una strada in salita quella di Salvatore Cappello, pasticciere un po’ per DNA, e per tanta passione. «Alla fine degli anni ’60, la piccola azienda fu ceduta da papà a me e a mio fratello. Mio fratello ha abbandonato presto – continua Cappello - preferì l’impiego a stipendio sicuro. Per lui era un sacrificio troppo altro da pagare». Il futuro Maestro, però, insiste e accetta la sfida, appassionandosi sempre più alla pasticceria. Da allora è stato un crescendo, incrementando la varietà dell’offerta, inizialmente limitata a pochissimi dolci della tradizione palermitana ed in seguito estesa anche alle novità che cominciavano ad affacciarsi nel settore della pasticceria.

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«Oggi posso affermare con orgoglio che la mia è un’attività imprenditoriale fondata sulla mia famigliadichiara con orgoglio. Oltre me, ci sono mia moglie, mio figlio Giovanni, che sta seguendo le mie orme e mia figlia Roberta, che si occupa del marketing e della comunicazione». Dicevamo all’inizio, che non si può parlare di Salvatore Cappello senza ricordare che fu lui che introdusse, nella Palermo degli anni ’70-’80, l’uso del cioccolato al posto del surrogato, purtroppo diffusissimo all’epoca, e negli anni ’90 le moderne mousse. «Sono stato a studiare per anni a Torino, a fianco di un noto maestro del cioccolato, Guido Bellissima. Sono stati anni fatti di tanto studio, corsi frequentati in Italia e all’estero, di concorsi e riconoscimenti, ma anche di grande innovazione, però sempre con rispetto delle materie prime siciliane e delle tradizioni». E a proposito di tradizioni, gli chiediamo come sia nata la «sua» Setteveli. «È un dolce creato da tre chef pasticceri: i padovani Luigi Biasetto, MAGAZINE

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Cristian Beduschi e Gianluca Mannori, che facevano parte della squadra italiana che ha trionfato alla Coppa del Mondo di Pasticceria di Lione nel 1997» - risponde Cappello, sistemandosi orgoglioso la giacca da cuoco -«Il dolce in origine è stato pensato per un pubblico francese. Io l’ho rivisitato in chiave siciliana, unendo un morbido savoiardo al cioccolato al pralinato ai cereali, mousse al cioccolato fondente

al 64%, bavarese alle nocciole e sette veli (da cui il nome) di croccante cioccolato. Ai siciliani piace gustare, croccare, masticare. Anche il dolce!» Lavoro costante, impegno, e tanta umiltà sono i binari che hanno condotto la vita di un maestro. Direzione che è stata seguita anche dal figlio Giovanni, che a soli 28 anni è anch’esso già pluripremiato pasticcere e attivo in numerosi concorsi.


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«Per ora c’è il papà. Per lui, io ho fatto la salita, così come i miei la fecero per me. Loro sono andati in pensione esattamente quando si son resi conto che io e mio fratello eravamo in grado di andare avanti con le nostre gambe. Oggi mi rendo conto che è tutto molto più difficile. Il problema per mio figlio sarà quando il

papà deciderà di fare altro o di andare in vacanza. Di certo c’è che lui adesso si sta godendo la discesa!» È amara la considerazione di Salvatore Cappello sul presente e sulla nostra situazione economica: «Oggi non augurerei a nessun giovane di aprire un’attività ex novo. Nè a Palermo, nè in nessuna parte d’Italia.

Io resto a Palermo perché qui sono le mie radici. È più un dovere morale nei confronti dei miei genitori. Ma ai giovani direi che ci sono tante occasioni fuori dalla nostra nazione. Paesi magari non ricchi come l’Italia, ma sicuramente più felici». Gli chiediamo se pensa a qualche posto in particolare. Gli si illuminano gli occhi quando risponde: «Penso al Madagascar. Sono stato lì per un progetto umanitario. La gente ha pochissimo, eppure sorride. In questo progetto abbiamo insegnato loro a cucinare le arancine con il loro riso e a fare la ricotta con il loro latte per realizzare i nostri cannoli». È proprio vero! Non esistono terre più o meno tristi. La felicità forse è il sole della Sicilia che Salvatore Cappello un po’ ovunque semina per il mondo, insieme ai suoi dolci! MAGAZINE

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Cuccia IngredIentI per 6 persone:

500 gr di grano 500 gr di ricotta 200 gr di miele procedImento:

Torrone di Mandorle IngredIentI per 4 persone:

1 kg di mandorle sgusciate 1 kg di zucchero procedImento:

A piacimento sgusciare le mandorle e togliere loro la pellicola scura, immergendole per qualche minuto in acqua calda. Versare in tegame con lo zucchero e passare sul fuoco, a fiamma bassissima, mescolando sempre, fino a che lo zucchero diventa color oro scuro. Togliere il tegame dal fuoco e versare velocemente il torrone sul tavolo di marmo precedentemente unto e cercare di spianarlo. Quando si sarà raffreddato tagliare a pezzi il torrone. Per un torrone più profumato, unire la scorza grattugiata di un limone ed un cucchiaio di cannella in polvere, dopo aver tolto il tegame dal fuoco. Ungere il marmo con 2 cucchiai di olio di mandorle e continuare la preparazione come sopra descritta.

Pasta Reale IngredIentI per 8 persone:

1 kg di farina di mandorle 1 kg di zucchero ½ bustina di vaniglia 250 gr di acqua procedImento:

Mettere in un tegame l'acqua e lo zucchero, mescolare e portare ad ebollizione, togliere dal fuoco non appena lo zucchero sarà sciolto. Fare attenzione al punto di cottura dello zucchero, perché andando oltre lo zucchero potrebbe bruciarsi. Inseguito, togliere il tegame dal fuoco e di incorporare la farina di mandorle e la vaniglia. Fare amalgamare bene, la farina allo zucchero, e versare la pasta sul tavolo di marmo, opportunamente bagnato. Appena sarà fredda, lavorare a lungo, finché non diventerà liscia e compatta. A questo punto, preparare con le apposite le formine il dolce desiderato.

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Lavare il grano, versarlo in una ciotola, copritelo con acqua fredda e lasciarlo in ammollo per 2 giorni. Scolarlo, sciacquarlo, trasferirlo in una pentola e copritelo d'acqua. Portare sul fuoco e lasciare cuocere per un'ora a partire dal bollore. Nel frattempo lavorare in crema la ricotta con il miele. Scolare il grano, amalgamarlo alla ricotta, suddividerlo nelle ciotole individuali e lasciare riposare per almeno mezz'ora prima di servire, guarnire a piacere con pistacchi tritati, canditi o scagli di cioccolato.

Buccellati IngredIentI per 6 persone:

300 gr di farina 125 gr di burro 50 gr di zucchero 1 cucchiaio di vino di Marsala 300 gr di fichi secchi 200 gr di uva passa 100 gr di uvetta sultanina 50 gr di noci sgusciate 30 gr di pinoli 30 gr di scorretta di arancia candita 50 gr di zuccherata 3 chiodi di garofano procedImento:

Mescolare in una zuppiera la farina, il burro, lo zucchero e il cucchiaio di Marsala ed amalgamare il tutto con le mani. Lasciare riposare l'impasto per un'ora circa e dopo stendete la pasta con il mattarello. Preparare nel frattempo il ripieno fatto dai fichi secchi, uva passa, uvetta sultanina, le mandorle, i pinoli, la scorzetta di arancia, la zuccherata, i chiodi di garofano ed un pizzico di pepe. Triturare il tutto finemente mescolando con un po' di zucchero. Avvolgere il ripieno nella pasta, dando forma di ciambelle su cui fare delle piccole indecisioni. Spennellare con tuorlo d'uovo ed infornare per venti minuti. Quando si sarà raffreddato, decorare con zucchero a velo, pezzetti di pistacchio e frutta candita.

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Non facciamo morire_28 19/11/13 13:42 Pagina 91

...non facciamo morire i pupi di zucchero di Alessandra Alesi

I

l 2 novembre è il giorno della commemorazione dei defunti, meglio conosciuta in Sicilia come la “Festa dei morti”. E purtroppo, col passare degli anni e la diffusione delle celebrazioni d’oltreoceano, sembra stia per morire anche uno dei simboli della tradizione siciliana di questo giorno: il pupo di zucchero. Il “dolcetto o scherzetto” di Halloween ha infatti quasi fatto dimenticare i dolcetti tipici della nostra tradizione che, secondo le storie raccontate dai nonni, erano portati in dono dai parenti defunti ai più piccoli di casa. Il pupo ri zuccaru è una statuetta antropomorfa (richiamo alla tradizione di antichi riti pagani) interamente realizzata in zucchero, che un tempo raffigurava paladini e ballerine, oggi anche personaggi dei cartoni animati o addirittura calciatori. Lo zucchero viene fatto colare in stampi di gesso o terracotta della forma desiderata e, una volta induMAGAZINE

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rito, solitamente si decora e si colora la parte anteriore, mentre il retro è lasciato bianco e liscio. Esistono diverse storie sull’origine di questo gustoso dolce: una di queste attribuisce la loro invenzione ad un cuoco siciliano che nel 1574, per onorare la visita di Enrico III, realizzò queste insolite statuette per accompagnare la cena: da qui l’altro nome del pupo, pupaccena (ossia “pupo a cena”). Altri invece sostengono che pupaccena sia una storpiatura di “pupo di cera”. Nonostante la tradizione del pupo stia a poco a poco svanendo, quest’anno, dal 31 ottobre al 3 novembre, i palermitani hanno potuto ammirare un pupo da record. Ai Cantieri culturali della Zisa, durante l’evento ‘Notte di Zucchero’, era infatti presente un paladino di zucchero gigante che ha stupito grandi e piccoli.

I numerosi laboratori organizzati per i bambini (ma seguiti anche da qualche adulto!) hanno riavvicinato tutti alle tradizioni: nel laboratorio di manipolazione, condotto dall’Associazione ‘La Matassa’, si potevano infatti creare i propri pupi. Per il divertimento di tutti sono anche state realizzate acconciature arricchite da frutti di martorana. E allora, non facciamo morire i pupi di zucchero!

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Pasticceria Siciliana

di Alessia Di Stefano Rossi

tradizione che non muore mai "Si è gourmand I come si è artista o poeta"

(Guy de Maupassant)

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dolci siciliani sono oggi famosi ed imitati in tutto il resto d'Italia come nel mondo. Tradizioni antichissime tramandate sino ad oggi, grazie a tre fonti particolari. Andiamo a vedere quali sono. Innanzitutto l'ambiente contadino, dove le donne preparavano dolci per ricorrenze e feste religiose, oltre che familiari. Usanza che ancora oggi riesce a resistere, in un mondo ormai dove nessuno ha più tempo e soprattutto fa fatica a mantenere l'artigianalità. Secondo, i monasteri dove le monache di clausura preparavano dolci riccamente farciti e decorati, rimasti per secoli nelle mura ecclesiastiche e tramandati poi tra la gente comune. Terzo, la pasticceria importata in Sicilia dai pasticceri svizzeri; infatti i dolci più conosciuti appartengono anche alla pasticceria svizzero siciliana. La Sicilia, avendo subito una forte dominazione ed influenza da parte degli arabi, deve molto a questo popolo sia per gli ingredienti introdotti che per le conoscenze acquisite: gli arabi hanno importato il pistacchio, la cannella, la canna da zucchero, limone, cedro, arancia amara e la pasta di mandorle tra gli elementi più importanti. Molti dolci appartenenti una volta solo a festività e particolari periodi dell'anno, sono di uso comune sempre. MAGAZINE

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Tra le feste più celebrate in Sicilia, abbiamo la Pasqua, dove per esempio si producono delle pecorelle di pasta reale e la commemorazione dei defunti, dove i bambini ricevono giochi e dolciumi, tra cui i pupi di zucchero, rappresentanti cavalieri e paladini, insieme alla famosa frutta martorana. Gli ingredienti principali della pasticceria siciliana sono sicuramente la frutta e la frutta secca, il miele, la ricotta zuccherata e il cioccolato ma anche gelati e granite. Anche i preparati e gli ingredienti sono importanti per preparare qualsiasi dolce, dal più semplice al più elaborato. 50 anni d'esperienza. Tra le aziende che si distinguono per questo motivo c'è l' Elenka è un nome divenuto in tutto il mondo sinonimo di successo in gelateria e pasticceria. Tradizione legata alla solarità della terra di Sicilia, ai suoi frutti ricchi e generosi, che Elenka trasforma in piccoli capolavori dedicati ai professionisti del settore. Insomma grande varietà di dolci e fantasia ma ciò che conta sembra essere l'amore per la tradizione insieme all'amore dello stare insieme, con la scusa di gustare queste prelibatezze, tanto antiche quanto sempre attuali.

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&

sapori

benessere

D a questo numero iniziamo un nuovo rapporto con i nostri lettori con l'inserto Sapori&Benessere, per scegliere in maniera sana ed equilibrata cosa

mangiare. Suggeriremo la maggiore varietĂ possibile di alimenti, da assumere sempre con moderazione. Collaboreranno con questa rubrica esperti di nutrizione che ci indicheranno quale sia la dieta piĂš adeguata e come sia possibile migliorare l'alimentazione nostra e dei nostri figli. Cosa intendiamo, quando parliamo di alimentazione corretta? Quella che mantiene la persona in buono stato di salute e gli permette di realizzare al meglio le sue attivitĂ quotidiane. Magari utilizzando prodotti a km 0, sani e siciliani!


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saPori e benessere

Le radici della salute

T

ante sono le “mode dietetiche” del momento che promettono miracoli. La scienza, invece, ci dà una certezza: la nostra Dieta Mediterranea, riconosciuta dall’UNESCO patrimonio immateriale dell’umanità, è efficace non soltanto nel controllare il peso, ma anche nel prevenire e combattere tutte quelle malattie strettamente connesse con l’alimentazione come l’ipertensione, il diabete, la malattia cardio-cerebro-vascolare e, addirittura, alcuni tumori. Purtroppo però, nono stante la nostra grande tradizione alimentare, in questi ultimi 50 anni ci siamo sempre più allontanati da questo modello nutrizionale a favore di altri stili alimentari (soprattutto quello della più ricca America) con risultati disastrosi sulla nostra salute. Ma quali sono le caratteristiche fondamentali della Dieta Mediterranea? Innanzi tutto la ricchezza di carboidrati e fibra, il basso contenuto di acidi grassi saturi e l’alto contenuto di acidi grassi monoin-

saturi (derivati principalmente dall’olio d’oliva). E allora via libera ai cereali, meglio se integrali o non raffinati, in modo da abbassare l’indice gli-

cemico e proteggerci dal diabete. Frequente dovrebbe essere anche il consumo di legumi, che, se da un lato sono fonte di carboidrati a lento assorbimento e di fibre, dall’altro danno un buon apporto di proteine di origine vegetale e di alcuni aminoacidi essenziali per il nostro orga-

di Violetta Di Pietrantonio*

nismo. E poi almeno 5 porzioni giornaliere di frutta e verdura, preferibilmente di stagione, in modo da aumentare il senso di sazietà e rifornirci di vitamine e sali minerali. Moderato dovrebbe essere, invece, il consumo di proteine di origine animale: pesce, carne bianca, carne rossa, latticini e uova; mentre non si nega a tavola una modica quantità di vino, specialmente se rosso, perché ricco in resveratrolo, un potente antiossidante che ha anche azioni immunostimolanti. Infine, per garantire l’apporto di grassi, condiamo i cibi con olio extra-vergine d’oliva, ricco di acidi grassi essenziali e polifenoli, salutari per il nostro benessere. Sembra, inoltre, che gli alimenti per cui è consigliato un consumo più frequente secondo la Dieta Mediterranea (cereali, frutta e verdura) siano anche quelli con il minore impatto ambientale. E in un’epoca come la nostra, dove la salvaguardia dell’ecosistema è addirittura un dovere morale, sappiate che la nostra Dieta Mediterranea, quindi, fa bene anche all’ambiente! * *Medico

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obesiologo

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Sapori e Benessere Radici Salute imp_31 19/11/13 13:50 Pagina 99

280 gr di riso Carnaroli, 16 gamberoni rossi, 50 gr di burro, 1 scalogno 1 carota, 1 costa di sedano. Qualche foglia di alloro, 50 ml di cognac. 30 gr di Parmigiano. 100 ml di vino bianco secco 10 gr di prezzemolo sale e pepe

Iniziamo a preparare il fumetto di pesce: puliamo tutti i gamberoni tranne quattro che cucineremo a parte e che serviranno a guarnizione. Stacchiamo le teste, eliminiamo il carapace e il filettino interno. In una capace pentola portiamo a bollore almeno un litro e mezzo d’acqua con le teste a carapaci la carota pelata, il sedano e qualche foglia alloro: portiamo a bollore, poi abbassiamo la fiamma e portiamo a cottura in 40 minuti Schiumiamo se necessario filtriamo bene e teniamo ben in caldo il brodo ottenuto. Avviamo la cottura del risotto mondiamo lo scalogno e lo tritiamo fine al coltello

In una casseruola facciamo sciogliere metà burro poi stufiamo lo scalogno: aggiungiamo anche il riso e facciamo tostare, prima di bagnare con il vino bianco. Tre minuti prima che il riso arrivi a cottura aggiungiamo gamberoni e il Cognac. Non appena il riso è cotto togliamo dal fuoco e mantechiamo con il burro rimasto e il Parmigiamo grattugiato. Assaggiamo, regoliamo di sale e pepe, spolveriamo di prezzemolo e portiamo in tavola. Disponiamo sul piatto di portata e guarniamo con gamberoni tenuti da parte dopo averli saltati in padella per 4 minuti.


Sapori e Benessere Limone_32 19/11/13 13:52 Pagina 100

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i segreti del

limone di Alessandra Alesi

È

il simbolo della Sicilia. Noto fin dall’antichità, racchiude tra i suoi spicchi numerosi segreti per il benessere del corpo. Gli Antichi Egizi credevano che mangiare il limone o berne il succo fosse un antidoto per il veleno. Recenti studi hanno dimostrato che gli Egizi non si sbagliavano. Il limone è innanzitutto un antibatterico e lo si utilizza nella cura del raffreddore. La vitamina C di cui è ricco aiuta infatti a combattere i sintomi dell’influenza. Antibatterico, ma non solo; antiossidante naturale, disinfettante e antiemorragico. Un vero mix di proprietà racchiuse in un unico frutto. L’acido citrico contenuto nel limone può essere un alleato degli adolescenti nella lotta contro l’acne. Prima di andare a letto si può strofinare un po’ di succo di limone sulla parte interessata che verrà risciacquata con acqua fresca la mattina successiva. Nonostante l’iniziale sensazione di bruciore,

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questo trattamento aiuterà la pelle a guarire, grazie all’azione battericida del limone. L’azione del limone può anche aiutare ad alleviare i fastidi dati dagli insetti: non soltanto 1-2 gocce di olio di limone mescolate con un po’ di miele posso lenire la puntura di un insetto, ma pos-

siamo anche utilizzarlo come repellente: basta spruzzare nell’aria (e perfino sulla pelle) una miscela di 250 ml di acqua con 20 gocce di olio di limone per tenere lontane zanzare e altri insetti. Il limone è anche un valido aiuto per la digestione: bere succo di limone, sciolto in acqua tiepida,

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Sapori e Benessere Limone_32 19/11/13 13:52 Pagina 101

dopo un pasto abbondante aiuterà lo stomaco a secernere più succhi gastrici favorendo la digestione (soprattutto di grassi) e rinvigorendo i muscoli. Non è indicato per chi soffre di ulcere o malattie gastroenteriche in forma cronicizzata. Masticare una fettina di limone può aiutare anche chi ha problemi di alitosi o per migliorare l’alito di chi fuma, beve o ha una salivazione eccessiva. In questo caso, però, si suggerisce di bere un abbondante bicchiere d’acqua dopo la masticazione per evitare che l’acido citrico danneggi lo smalto dei denti. Bere succo di limone è utile per chi soffre di problemi cardiaci o ipertensione, o per le vene varicose. Ma non è tutto! Oltre a curare dei sintomi strettamente fisici, il giallo agrume è anche indicato per curare l’ansia, il nervosismo e la stanchezza; un’emulsione di limone, unita ad altre erbe rilassanti (come valeriana e camomilla) favorisce il sonno e riduce la stanchezza. L’azione benefica del limone sull’organismo è quindi confermata su più fronti e fortunatamente non occorre essere faraoni per usufruirne! MAGAZINE

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Sapori e Benessere Cibo Pelle_33 19/11/13 13:53 Pagina 102

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Il cibo sulla pelle

L

e allergie alimentari sono significativamente aumentate negli ultimi 10 anni. Tale incremento è probabilmente dovuto al sempre maggior utilizzo di ingredienti esotici ed etnici nella preparazione delle pietanze. Si calcola che le allergie alimentari colpiscano il 6-8% dei bambini fino a quattro anni ed il 4% della popolazione di età superiore ai 10 anni. Nelle allergie alimentari il nostro sistema immunitario scambia un determinato alimento, o parte di esso, per una sostanza estranea dannosa e per tale motivo si ha la produzione, in soggetti geneticamente predisposti, di speciali anticorpi detti immunoglobuline E (IgE) in grado di interagire con l’alimento o la sostanza dannosa (definito “allergene”). Normalmente alla prima assunzione dell’alimento non si verifica alcuna manifestazione clinica. Le

di Lara Tripo, Leonardo Pescitelli*

volte successive, invece, anche quando introdotto in dosi minime, il sistema immunitario se ne accorge e, in seguito all’interazione delle IgE con l’allergene in questione, viene rilasciata nel sangue una sostanza chimica detta “istamina”, responsabile della manifestazione allergica cutanea. La reazione immunitaria si manifesta quasi immediatamente dopo aver assunto un determinato alimento. Persino una minuscola quantità dell’alimento responsabile è in grado di provocare sintomi e manifestazioni come problemi digestivi, eruzioni cutanee rosse e rilevate (dette “pomfi”) e gonfiore delle vie aeree. In alcune persone le allergie alimentari possono causare sintomi gravi o addirittura una reazione potenzialmente letale detta “shock anafilattico”. La cute è sicuramente uno tra gli organi più coinvolti nelle reazioni da ipersensibi-

lità agli alimenti. In corso di manifestazioni cutanee da alimenti, qualunque sia l’aspetto clinico della malattia, il prurito ne rappresenta comunque il sintomo distintivo. La sensibilizzazione all’allergene alimentare generalmente inizia già nell’infanzia. Le arachidi, il latte vaccino, così come i prodotti a base di soia (che sono spesso scelti come “alternative” al latte vaccino), il grano, il pesce ed i crostacei, la frutta secca a guscio (soprattutto noci, nocciole, mandorle, anacardi e pistacchi) sono gli alimenti più comunemente responsabili. Sebbene gran parte delle allergie alimentari (in particolare quelle a latte, soia, uova e grano) si risolva spontaneamente con la crescita, le allergie alle arachidi, alle noci, al pesce ed ai crostacei tendono a durare invece per tutta la vita. Per individuare l’esatto alimento responsabile è necessario acquisire una storia familiare e personale dettagliata (per eventuale atopia) ed un accurato esame clinico. È essenziale determinare l’associazione temporale tra ingestione dell’alimento e sviluppo dei sintomi, così come il tipo di sintomi presenti, la quantità di cibo ingerita e l’eventuale comparsa di sintomi

* SpecialiSti in Dermatologia - UniverSità Degli StUDi Di Firenze

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Sapori e Benessere Cibo Pelle_33 19/11/13 13:53 Pagina 103

dopo l’ingestione di cibi simili. L’utilizzo di diari alimentari ( sui cui annotare dli alimenti introdotti nel quotidiano) può essere utile a questo scopo. I test cutanei, ed in particolare i prick test, rappresentano un valido aiuto nella diagnosi delle allergie alimentari. A differenza dei più comuni allergeni inalanti (graminacee, parietaria…), non vi sono estratti alimentari ben standardizzati. Per ovviare a questo problema, in casi selezionati, ad esempio quando vi è una discrepanza tra la storia clinica del paziente ed i risultati dei prick test classici, si può eseguire il test con un ago precedentemente introdotto nel cibo fresco da saggiare sulla cute (prick by prick). Questi test vengono effettuati sulla superficie volare dell’avambraccio e la lettura da parte dello specialista è pressoché immediata (20-30 minuti). Nei pazienti con sospette riacutizzazioni delle manifestazioni di dermatite atopica (eczema) indotte da alimenti (reazioni ritardate cellulo-mediate) si può ricorrere all’atopy patch test, ponendo a contatto della pelle del dorso un cerotto, contenente una sostanza specifica e che viene controllato e valutato poi a distanza di tempo (48 ore). Attraverso un esame del sangue e l’esecuzione su di esso di un test specifico (RAST) si può determinare poi l’eventuale presenza di specifiche IgE anti alimento. Questi test in vitro (eseguiti cioè sul sangue) sono da preferirsi ai precedenti test cutanei nei bambini e nei casi in cui siano presenti circostanze che ne impediscano l’esecuzione (eczema a livello del sito di esecuzione del test, terapia in atto). È bene ricordare che in MAGAZINE

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circa i 2/3 dei pazienti i prick test e il RAST rilevano sensibilizzazioni “silenti” agli allergeni cutanei, cioè clinicamente non rilevanti, mentre il 10% dei pazienti sviluppa reazioni immediate clinicamente evidenti nonostante i prick e il RAST diano esito negativo. Vi potrebbe essere richiesto di eliminare gli alimenti sospetti per una settimana o due, e poi di reintrodurli di nuovo nella dieta, uno alla volta. Questo processo può contribuire a collegare i sintomi agli alimenti specifici, tuttavia non è sempre risolutivo, perché possono entrare in gioco sia fattori psicologici sia fattori fisici. Ad esempio, se si pensa di essere sensibili a un alimento, si potrebbe scatenare una risposta che però non ha nulla a che vedere con una reazione allergica. Quando vi è un alto sospetto che uno specifico alimento sia la causa dell’allergia può essere utile allora

l’eliminazione dello stesso dalla dieta per almeno 7 giorni. Un test di provocazione (reintroducendo l’alimento “sospetto”) viene generalmente svolto al termine della dieta. Quest’ultimo, quando correttamente eseguito, rappresenta il gold standard nella diagnostica delle allergie alimentari. Purtroppo i lunghi tempi di esecuzione e la necessità di eseguire tale test in centri attrezzati sotto stretta sorveglianza medica per evitare reazioni pericolose ne limita la praticabilità. La dieta di eliminazione è l’unico vero intervento che si sia dimostrato efficace da un punto di vista terapeutico. La consulenza di un nutrizionista è comunque di fondamentale importanza per evitare effetti collaterali dovuti a potenziali fenomeni di malnutrizione, conseguenti alla carenza di alcuni nutrienti, soprattutto nei soggetti di età pediatrica.

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Sapori e Benessere Salvia_34 19/11/13 13:53 Pagina 104

sapori e benessere

salvifica di alessandra alesi

I

l suo nome racchiude già in sé le sue proprietà: salvia, dal latino salvus, cioè “sano”. Questa pianta in passato era considerata una panacea, tanto che la scuola medica salernitana nel Medioevo scriveva “cur moritur homo, cui crescit salvia in horto? Quia contra vim mortis, nulla est herba in hortis” (Come mai muore anche colui che tiene la salvia nel suo orto? Perché nessuna erba dell’orto può neutralizzare la potenza della morte). Altri invece credevano che la salvia potesse anche resuscitare i morti. Oggi non ci si aspetta questo risultato, ma questa pianta è utilizzata ugualmente per le sue ricche proprietà terapeutiche. Essa trova infatti impiego in molte patologie soprattutto per la sua influenza sul sistema endocrino. È infatti ottima per regolare la sudorazione, sia quando essa è eccessiva sia quando è insufficiente. È un valido alleato per il raffreddore perché è un ottimo decongestionante per la mucosa delle vie respiratorie e disinfetta il cavo orale

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in caso di stomatiti, gengiviti o faringiti. Essendo un disintossicante e un antiinfiammatorio naturale può dare sollievo alla mucosa gastrica, (favorendo la digestione), al fegato, alle vie urinarie e all’intestino; allevia inoltre i sintomi premestruali e i disturbi della menopausa. Donne gravide o durante l’allattamento e persone che soffrono di patologie nervose devono però consumare questa pianta officinale con cautela. L’olio essenziale di salvia, inoltre, può risultare tossico per il sistema nervoso. Per preparare una tisana potete far bollire l’acqua, aggiungere un cucchiaio di salvia per ogni quarto

di litro e filtrare dopo 5 minuti, oppure potete far bollire insieme acqua e salvia per 3 minuti, lasciare in infusione per 10 e poi filtrare). Se il gusto non è particolarmente gradito si può dolcificare con un cucchiaino di miele. Salute!

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