Aspetti psicosociali che facilitano il rientro sul posto di lavoro dopo patologia cardiovascolare

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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI MILANO - BICOCCA DIPARTIMENTO DI PSICOLOGIA Corso di Laurea Triennale in COMUNICAZIONE E PS ICOLOGIA

Aspetti psicosociali che facilitano il rientro sul posto di lavoro dopo patologia cardiovascolare

Relatore: Prof. Massimo MIGLIORETTI

Tesi di Laurea di: Sarah CAMER INO Matricola N° 728852

Anno Accademico 2012/2013


INDICE 1. Introduzione ............................................................................................. 4 2. Le patologie del sistema cardiovascolare ................................................ 6 2.1. L’incidenza delle malattie cardiovascolare ...................................... 6 2.2. Il sistema cardiovascolare ................................................................. 7 2.3. Descrizione delle patologie del cuore e loro fattori di rischio .......... 7 3. Riabilitazione e ritorno sul posto di lavoro .............................................. 10 3.1. Riabilitazione cardiovascolare .......................................................... 10 3.2. Fattori che influenzano il rientro lavorativo ..................................... 14 3.3. Reintegro sul posto di lavoro e valutazione d’idoneità psicofisica del soggetto ....................................................................................... 23 4. Conclusioni .............................................................................................. 27 Bibliografia.................................................................................................... 28 Siti web consultati ......................................................................................... 31 Ringraziamenti .............................................................................................. 32

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Riassunto Le malattie cardiovascolari rappresentano un problema di enorme rilevanza in termini sanitari ed economici e sono dunque fonte di crescente preoccupazione per il futuro. In prospettiva, il rapido invecchiamento della popolazione europea e l'aumento dell'incidenza di obesità e diabete contribuiranno ad un incremento del tasso di mortalità per malattia cardiovascolare. I progressi compiuti negli ultimi decenni nelle tecniche di intervento e nelle cure mediche hanno migliorato le probabilità di sopravvivenza e la qualità di vita del cardiopatico, tuttavia i soggetti in età lavorativa, rimangono spesso malati cronici e/o si ritirano prematuramente dal mercato del lavoro. Con questa tesi si vuole offrire una panoramica di quei fattori fisici, psicologici e sociali che possono influenzare la riabilitazione e il reintegro del lavoratore affetto da queste patologie sul posto di lavoro.

Parole chiave: Malattia cardiovascolare, ritorno sul posto di lavoro, fattori psicologici.

Abstract Cardiovascular diseases represent a problem of huge relevance in health-care and economic terms, therefore they are causing of growing concern for the future. In perspective, the rapid ageing of European population and the increasing incidence of obesity and diabetes will contribute to increment mortality rate caused by cardiovascular disease. In the last decades in the intervention techniques and medical care field, there have been developments that have improved the chances of survival and the quality of life for cardiopath, but still, subjects in their working age, often remain chronically ill and/or retire themselves prematurely from the workforce. This paper aims to examine the physical, psychological and social factors likely to influence rehabilitation and return to work.

Key words: cardiovascular disease, return to work, psychological factors.

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Introduzione Sulla base delle ricerche reperibili nella letteratura scientifica, con questo lavoro s’intende evidenziare quelle variabili psicologiche, sociali e fisiche che condizionano il ritorno sul posto di lavoro di soggetti colpiti da patologie cardiovascolari. Considerando che lo stress è uno tra i fattori più rilevanti nell’eziologia di queste patologie, si è pensato di ripercorrere la letteratura dal 2000 a oggi, soprattutto perché è in questo ultimo decennio che gli interventi a favore della salute e benessere dei lavoratori, anche in ambito psicosociale, si sono moltiplicati in risposta all’Accordo Europeo dell’8 Ottobre 2004 e al D.Lgs n. 81/2008 1 art. 28, comma l-bis. Inoltre i miglioramenti occorsi nelle tecniche d’intervento e di riabilitazione, nel caso d’infarto miocardico acuto hanno drasticamente cambiato l’esperienza e le aspettative dei pazienti (Bhattacharyya et al., 2007). La ricerca della letteratura è stata condotta su data base “Springer” “MedLine – Ovid”, “PubMed” e “PsycInfo”, usando come chiavi di ricerca le parole: “cardiovascular disease”, “statistics”, “psychosocial factors”, “psychological factors”, “return to work”, “stress”, “mental health” “psychological assessment”. E’ stata inoltre cercata la letteratura grigia, in particolare presso la Biblioteca di Medicina del Lavoro dell’ Ospedale Maggiore Policlinico: Fondazione IRCCS Ca' Granda. Ad oggi le patologie cardiovascolari sono responsabili, secondo l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità), del 30% delle morti in tutto il mondo, mentre secondo l’ultimo rapporto dell’ European Heart Network e dell’ European Society of Cardiology, del 47% nella sola Unione Europea costituendo così la patologia di maggior rilievo in assoluto. (European Cardiovascular Disease Statistics. 2012). La situazione italiana è in linea con quella del resto del mondo. Nel nostro paese ogni anno circa 230.000 persone muoiono per malattie cardiovascolari; l’infarto rappresenta la prima causa di mortalità e l’ictus la prima causa di disabilità permanente. Da qui la volontà di annoverare e spiegare i molteplici fattori che possono intervenire nel processo riabilitativo di un lavoratore colpito da questa patologia. E’ importante precisare che, nonostante la maggior parte delle persone che si ammalano di una patologia cardiovascolare si siano ormai ritirati dall’attività lavorativa, un numero consistente è comunque ancora in età da lavoro.

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Il Decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, "Attuazione dell'articolo 1 della legge 3 agosto 2007, n. 123, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro" è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 101 del 30 aprile 2008 - Supplemento Ordinario n. 108 e ha sostituito il D.Lgs 626/94 in materia di sicurezza sul lavoro.

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Nel dettaglio, nella prima parte di questo lavoro si presenterà un quadro generale sulle malattie cardiovascolari, i fattori di rischio e i relativi tassi di incidenza. Nella seconda parte si approfondirà il rapporto tra lavoro e cardiopatie. In particolare si porrà un accento sui fattori psicologici e psicosociali che facilitano la ripresa dell’attività lavorativa ed i metodi di valutazione impiegati in medicina del lavoro per il reintegro del lavoratore sul posto di lavoro. Si concluderà offrendo una sintesi dei risultati, delle ricerche effettuate in questo ambito ed una valutazione del possibile ruolo dello psicologo in questo ambito.

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CAPITOLO 2 Le patologie del sistema cardiovascolare L’incidenza delle malattie cardiovascolari Tra i dati più importanti esposti nell’ European Cardiovascular Disease Statistics 2012, si evidenzia come, rispetto al 2008, il numero di persone che muoiono a seguito di malattie cardiovascolari sia sceso dal 48% al 47%; in pratica contro i 4,3 milioni di morti delle statistiche precedenti, oggi circa 4 milioni di europei ogni anno muoiono per malattie cardio e cerebrovascolari, le cui principali cause sono ictus ed infarto del miocardio. Quest’ultimo, uccidendo 1,9 milioni di persone ogni anno nella sola Unione Europea, è considerato essere il primo grande killer. Complessivamente, secondo i dati raccolti, le donne sono le più colpite in ciascuno dei 27 paesi dell’Unione Europea, (nelle donne il 43% rispetto a tutte le altre cause, negli uomini il 36%), la CHD è la forma più comune. Ad incidere particolarmente è il peso economico delle malattie cardio e cerebrovascolari. Ogni anno vengono spesi 196 miliardi di euro e di questi il 54% sono da attribuire a: ricoveri, esami e farmaci, mentre il restante 46% sono i costi indiretti sopportati dalle famiglie per l’assistenza ai malati, e dalla società per la perdita della produttività. Si evidenzia quindi come le malattie del sistema circolatorio costituiscano in quasi tutti i Paesi ad alto reddito, e tra questi l’Italia, uno dei più importanti problemi di sanità pubblica: sono, infatti, tra le principali cause di morbosità, invalidità e mortalità e il loro impatto provoca danni umani, sociali ed economici elevati. Nel 2008 in Italia secondo “la Relazione sullo Stato Sanitario del Paese”, per la prima volta, le malattie del sistema circolatorio divengono la prima causa di morte: nella popolazione maschile in particolare con 97.953 decessi su 281.824 totali, superando il numero di decessi per tumori (97.441). Tra le donne invece, come già osservato da tempo, le malattie cardiovascolari si confermano come causa principale di morte con 126.531 decessi su un totale di 296.366 (43%), i tumori seguono con 74.767 decessi (25%). Per le malattie ischemiche del cuore (infarto del miocardio, altre forme acute e subacute di cardiopatia ischemica, infarto miocardico pregresso, angina pectoris e altre forme croniche di cardiopatia ischemica) sono stati registrati 75.046 decessi (37.827 uomini e 37.219 donne), pari al 33% circa del totale delle morti dovute a malattie del sistema circolatorio (Relazione sullo Stato Sanitario del Paese 2009-2010). Pag. 6


Il sistema cardiovascolare Il sistema cardiovascolare è formato da una pompa meccanica, il cuore, e da un sistema di tubi suddivisi a loro volta in: arterie, vene e capillari entro i quali scorre il sangue la cui funzione è permettere gli scambi di sostanze dal sangue alle cellule del corpo e viceversa. Questo apparato, trasportando in tutto il corpo le sostanze di nutrimento e l’ossigeno, è strettamente legato all’apparato respiratorio e ai suoi organi principali, i polmoni, grazie ai quali può rifornirsi di ossigeno ed eliminare le sostanze di rifiuto, principalmente rappresentate dall’anidride carbonica. Il cuore è un organo muscolare, cavo, che costituisce il centro motore dell’apparato circolatorio. Attraverso la sua struttura, il miocardio, formato sia da tessuto muscolare liscio che striato, garantisce il pompaggio di 4.000 litri di sangue/die, attraverso 96.000 km di vasi sanguini con una media di 100.000 contrazioni e rilassamenti giornaliere. (Rigutti, 2000).

Descrizione delle patologie del cuore e fattori di rischio Le malattie cardiovascolari sono le patologie che colpiscono il cuore e/o i vasi sanguigni. Il danno provocato da queste malattie può far si che, in determinati distretti, non giunga una quantità di sangue adeguata alle esigenze. L’insufficiente afflusso di sangue in un distretto fa sì che le cellule che lo costituiscono vadano rapidamente incontro a carenza di ossigeno. Questa carenza di ossigeno è detta ischemia. Se l’ischemia si prolunga nel tempo, può causare la morte di una parte dell'organo provocando quindi un infarto (necrosi del tessuto). L'ictus cerebrale e l'infarto del miocardio sono le più gravi e diffuse malattie cardiovascolari. Nel primo caso la malattia determina una riduzione di sangue a livello di una zona del cervello, nel secondo caso si ha una riduzione del flusso di sangue a livello di una delle coronarie, i vasi deputati a portare il sangue al muscolo cardiaco. Il danno provocato al cuore dall'infarto rende più difficile il lavoro di pompa di quest'organo e questo può determinare problemi circolatori anche in altre parti del corpo (Società Italiana di Cardiologia - www.sicardiologia.it, 2013). I fattori di rischio alla base di queste patologie possono essere molteplici e di varia natura. Nella fattispecie sono note: la conformazione genetica, le abitudini e lo stile di vita, l’esposizione ambientale, ciascuna di queste se presenti in un soggetto esente da Pag. 7


manifestazioni cliniche della malattia, aumentano la sua probabilità di ammalarsi in un certo periodo di tempo. In particolare tra i principali fattori che influenzano il rischio di andare incontro a malattie cardiovascolari sono presenti: ipertensione arteriosa, ipercolesterolemia, diabete, obesità, fumo e sedentarietà. La tabella 1, qui sotto riportata, mostra i fattori e le relative condizioni di rischio raccolti dall’Osservatorio Epidemiologico Cardiovascolare (OEC) e riepilogati dal Progetto Cuore. (Il Progetto Cuore - www.cuore.iss.it , 2009)

Fattori di rischio cardiovascolare Ipertensione

pressione arteriosa sistolica ≥160 o diastolica 95 mmHg o trattamento specifico

Ipercolesterolemia

colesterolemia ≥240 mg/dl o trattamento specifico

Diabete

glicemia ≥126 mg/dl o trattamento specifico.

Sindrome metabolica

presenza di tre o più delle seguenti componenti: 

Abitudine al fumo

Sovrappeso

Obesità Adiposità addominale

Sedentarietà Familiarità

obesità centrale (circonferenza vita >102 cm negli uomini e >88 cm nelle donne)  alterata regolazione della glicemia (glicemia a digiuno ≥110 mg/dl) o pregressa diagnosi di diabete  trigliceridemia elevata (≥150 mg/dl)  colesterolemia - HDL bassa (<40 mg/dl negli uomini e <50 mg/dl nelle donne)  pressione arteriosa elevata (≥130/85 mmHg) o in trattamento antipertensivo. viene considerato fumatore chi fuma anche solo una sigaretta al giorno, a settimana o al mese; non fumatori ed ex fumatori sono considerate quelle persone che hanno smesso di fumare da almeno un anno. il punto in cui una persona è detta in sovrappeso è determinato generalmente dall’ Indice di Massa Corporea (IMC). Il sovrappeso è definito come un IMC di 25,0-29,9 Kg/m². indice di massa corporea (IMC) ≥ 30 Kg/m² 

circonferenza vita >102 cm negli uomini e 88 cm nelle donne  rapporto vita/fianchi >0,95 negli uomini e 0,85 nelle donne. riguarda la sedentarietà nel tempo libero e nell’attività lavorativa. la familiarità per malattie cardiovascolari aterosclerotiche viene indagata con domande riguardanti familiari consanguinei di primo grado (genitori, fratelli/sorelle, figli) ammalati o deceduti in età < 55 anni negli uomini e < 65 anni nelle donne a causa di ictus e infarto del miocardio. Tabella 1: fattori di rischio cardiovascolare

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*Rischio cardiovascolare assoluto È la probabilità di essere colpiti da un evento fatale o non fatale coronarico o cerebrovascolare nei successivi 10 anni. È costruito sulla base di 8 fattori di rischio (età, sesso, abitudine al fumo, diabete, colesterolemia totale e HDL, pressione sistolica, terapia antipertensiva).

Alcuni di questi fattori sono non-modificabili, come ad esempio la familiarità nei consanguinei di primo grado, l'età, e il sesso, mentre i rimanenti sono definiti modificabili per sottolineare come, con degli interventi di prevenzione, sia possibile attenuarne la gravità riducendo così la probabilità di ammalarsi. Questi interventi si basano soprattutto sull’esposizione a comportamenti e stili di vita salutari: alimentazione corretta, non abitudine al fumo ed attività fisica. Aggiungendo a questi fattori di stile di vita sano anche un riposo notturno costante pari ad almeno 7 ore di sonno per notte, è stato calcolato che gli effetti benefici per cuore e arterie vengono amplificati e il rischio di sviluppare malattie cardiovascolari e di morire a causa di queste stesse patologie si abbassa ulteriormente, passando rispettivamente dal 57% al 65% nel caso di CVD e dal 67% all'83% nel caso di ictus o altre malattie cardiache (HoevenaarBlom et al., 2013). Dati recenti, invece, sul diabete mostrano come negli ultimi 10 anni la prevalenza di questo fattore di rischio sia raddoppiata, e se considerato insieme all’obesità potrebbe vanificare, nei prossimi anni, gli sforzi fin qui fatti per la prevenzione (European Cardiovascular Disease Statistics, 2012). Nel caso invece degli ex tabagisti, è stato trovato che nonostante si aumenti in media tra i 2,5 e i 5 chili di peso - dopo 4 anni di lontananza dal fumo - nello stesso intervallo di tempo si riscontra anche un rischio cardiovascolare più basso del 54% sia nei pazienti con diabete che senza (Clair et al., 2013).

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CAPITOLO 3 Riabilitazione e ritorno sul posto di lavoro Riabilitazione cardiovascolare Fino agli anni ’50 il riposo a letto ha ampiamente rappresentato la pratica cardiologica, seguendo un principio generalizzato della medicina che l’organo colpito doveva essere messo a riposo per poter recuperare la sua funzionalità. Fu così che il confinamento a letto e il riposo assoluto diventarono il trattamento centrale delle vittime di un evento cardiaco. I pazienti colpiti da un infarto venivano messi a riposo per 4-6 settimane e considerati a tutti gli effetti invalidi con tutti i risvolti negativi conseguenti al riposo prolungato: deterioramento delle condizioni fisiche e psicologiche, costipazione, tromboflebiti, ipotrofia muscolare, osteoporosi, polmoniti, e stress psicologico dei famigliari. Nel 1951 Levine e Lown esortarono per una mobilizzazione veloce del paziente che includeva periodi progressivi di terapia in poltrona (Mital e Mital, 2002). Successivamente in seguito alle nuove conoscenze emerse nel campo della fisiologia cardiaca, durante gli anni ’70, fu definitivamente abbandonato il trattamento prolungato a letto in funzione della “terapia in poltrona” e della “mobilizzazione precoce”. Questa rappresentazione del paziente incapace di sforzi fisici si era radicata in modo molto profondo nell’immaginario collettivo, e perfino oggi lo stigma che viene associato ai pazienti con infarto è quello di una compromissione della loro reintegrazione sociale e professionale. Nel 1993, L’OMS (l’Organizzazione Mondiale della Sanità) ha definito la riabilitazione cardiovascolare come un processo multifattoriale e multidisciplinare attivo e dinamico che ha il fine di favorire la stabilità clinica, ridurre il rischio di successivi eventi cardiovascolari, limitare le disabilità conseguenti alla malattia e supportare la ripresa ed il mantenimento di un ruolo attivo nella società, migliorando la qualità di vita dei cardiopatici. Statisticamente parlando, per il 50% degli americani colpiti da un evento ischemico o cerebrale non viene attuata alcuna strategia efficace di prevenzione secondaria dei fattori di rischio cardiovascolare; solo il 17% dei pazienti con un evento ischemico acuto afferisce a una struttura riabilitativa, rispetto al 76 % di quelli sottoposti a bypass (Piccoli, 2011). La situazione italiana non è migliore, secondo lo studio BLITZ, solo il 4% effettua una Pag. 10


riabilitazione presso un centro specializzato, l’11% va presso un'altra struttura ospedaliera, mentre il rimanente 85% effettua una riabilitazione a domicilio. (Piccoli, 2011). Risulta quindi cruciale e di enorme importanza la realizzazione di adeguati programmi riabilitativi finalizzati alla prevenzione secondaria e al mantenimento dell’integrazione sociale dei pazienti tra cui la reintegrazione sul posto di lavoro. Negli ultimi anni, il trattamento della fase acuta delle patologie cardiovascolari ha registrato progressi molto significativi che hanno determinato un sostanziale aumento della sopravvivenza dei pazienti. Analoghi progressi si sono osservati anche nella ricerca clinica rivolta ai cardiopatici post-acuti e nell’ambito della prevenzione secondaria a lungo termine; tuttavia la traduzione pratica di questi interventi risulta tuttora inadeguata (Griffo et al., 2008). I risultati ottenuti dall’indagine ISYDE (2001) (Italian Survey on cardiac rehabilitation) con lo scopo di monitorare la realtà riabilitativa italiana,

evidenziano

come

la

maggior parte dei centri riabilitativi sia

localizzata

al

Nord

(57%)

seguono Sud e Isole con 26% e il Centro con 17%. Di fatto, il numero delle strutture è cresciuto negli ultimi 6 anni del 16% (Dati ISYDE Figura 1: a cura di Roberto Tramarin responsabile progetto ISYDE 2008 disponibile su http://www.cardiolink.it/

2001 vs ISYDE 2008 vedi figura 1). Il 59% delle unità di Cardiologia

riabilitativa italiane si trovano in ospedali pubblici ed il 41% in strutture private, nelle quali si concentra il maggior numero di posti letto destinati alla riabilitazione degenziale. Circa due terzi dei letti monitorizzati di terapia sub-intensiva si trovano in strutture riabilitative specialistiche private. I centri pubblici risultano più orientati ad offrire programmi riabilitativi in day hospital o ambulatoriali. Le attuali evidenze scientifiche hanno ampiamente dimostrato che la riabilitazione cardiologica nella sua articolazione complessiva, in cui l’esercizio fisico è solo una delle componenti, riduce la disabilità dovuta alle malattie cardiovascolari e migliora la sopravvivenza a lungo termine. Per questo, indipendentemente dall’età, a tutti i soggetti che abbiano avuto un infarto o un’angioplastica e che siano stati operati al cuore, dovrebbe essere proposto un programma di riabilitazione (CardioLink News – www.cardiolink.it – 2010). Pag. 11


Ad oggi due terzi dei pazienti che accedono ai centri di riabilitazione

provengono

direttamente

da

cardiochirurgici

reparti dopo

un

intervento di by-pass o di sostituzione

o

riparazione

valvolare. I pazienti che fanno riabilitazione dopo un infarto Figura 2: a cura di Roberto Tramarin responsabile progetto ISYDE 2008 disponibile su http://www.cardiolink.it/

rappresentano solo il 9% della casistica

e

quelli

dopo

angioplastica coronarica il 14%. In crescita la percentuale di pazienti che entrano in programmi riabilitativi per scompenso cardiaco (Figura 2). In genere si tratta di soggetti che hanno superato i 60 anni. Rispecchiando i trend di invecchiamento della popolazione generale, il 25% dei pazienti riabilitati sono over 75 (Figura 3). La constatazione che, solo una piccola parte della popolazione eleggibile, accede realmente ai programmi

di

riabilitazione

cardiologica evidenzia la necessità di

elaborare

ed

implementare

strategie per facilitare le erogazioni degli interventi al maggior numero di pazienti. Altrettanto importante è il

numero

di

pazienti

che

interrompono la riabilitazione nella fase immediatamente post acuta non

Figura 3: a cura di Roberto Tramarin responsabile progetto ISYDE 2008 disponibile su http://www.cardiolink.it/

riuscendo a mantenere uno stile di vita corretto e/o un corretto uso dei farmaci di prevenzione secondaria vanificando quasi tutti i risultati ottenuti (Griffo et al., 2008). La riabilitazione cardiologica è attualmente il modello più efficace - e costo efficace - per la realizzazione di una prevenzione secondaria strutturata a lungo termine anche se al momento non esistono studi scientifici che dimostrino che la ripresa dell’attività lavorativa,

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in aggiunta alla riabilitazione, abbia contribuito ad una maggiore sopravvivenza e riduzione di recidive e complicanze. (Borchini e Ferrario, 2010) La RC si suddivide classicamente in tre fasi: 

Fase 1: è rappresentata dalla fase acuta di infarto miocardico acuto (IMA), chirurgia cardiaca o angioplastica coronarica, o instabilità per scompenso cardiaco. Durante questa fase la valutazione clinica, la rassicurazione del paziente e dei familiari, la valutazione dei fattori di rischio e una mobilizzazione precoce possono risultare elementi chiave.

Fase 2: è un programma strutturato che comprende attività fisica in ambiente ospedaliero e supporto educazionale e psicologico con percorsi finalizzati a modificare gli specifici fattori di rischio. Un approccio individualizzato riconosce la necessità di adeguare l’offerta di servizi alle necessità specifiche del singolo. L’intervento deve includere:  Un intervento informativo, educazionale e comportamentale al fine di modificare credenze errate sulle malattie cardiache, incoraggiare la sospensione del fumo e il raggiungimento e/o mantenimento di un peso corporeo ideale attraverso un’alimentazione corretta.  Un programma di esercizio fisico finalizzato al ritorno al lavoro o ad attività lavorative non professionali  L’impostazione di un programma a lungo termine con il supporto di una equipe multidisciplinare (cardiologo, psicologo, fisioterapista, e dietologo).

Fase 3: rappresenta il mantenimento a lungo termine dell’attività fisica e del cambiamento dello stile di vita (es. gruppi di autosostegno, gruppo di supporto cardiaco). Le evidenze scientifiche ad oggi suggeriscono che entrambi debbano essere perseguiti affinché i benefici siano mantenuti nel tempo.

I modelli di riabilitazione cardiologica più diffusi in generale sono quelli sviluppati a livello ospedaliero da team multidisciplinari specializzati e comprendono essenzialmente la forma di riabilitazione in regime di ricovero per pazienti più complicati, instabili a medio alto rischio e disabili, e la riabilitazione ambulatoriale per pazienti più autonomi a basso rischio e che richiedono minore supervisione. Purtroppo non sempre queste strutture sono adeguate; per la riabilitazione cardiologica. Le più alte percentuali di ricoveri inappropriati, ovvero non adeguati al bisogno di riabilitazione del paziente, fatti al momento sbagliato e senza rispettare la durata necessaria, sono stati registrati in Molise e a Bolzano (SiVeAS). Pag. 13


Fattori che influenzano il rientro lavorativo L’occorrenza di malattie cardiovascolari nei soggetti in età di lavoro prevede un’attenta valutazione di quei fattori, sia fisici che psicosociali, che possono influire negativamente o positivamente sulle possibilità di integrazione/reintegrazione al lavoro di soggetti con eventuali limitazioni funzionali.

Fattori fisici Per quanto concerne i fattori fisici, la concomitanza con altre condizioni morbose risulta essere ostacolante nel processo di ritorno sul posto di lavoro. Studi effettuati dimostrano che pazienti affetti da diabete mellito e/o vasculopatia periferica hanno maggiore difficoltà a riprendere l’attività lavorativa rispetto a pazienti non affetti da tali patologie. (Borchini e Ferrario, 2010). Così pure la gravità della malattia cardiaca coronarica risulta essere un fattore predittivo negativo per la ripresa dell’attività lavorativa che risulta essere più rapida per pazienti con infarti circoscritti rispetto a quelli più estesi; allo stesso modo pazienti con angina residua sono più rapidi nella ripresa lavorativa rispetto a pazienti che non riferiscono più angor. Pazienti con funzione ventricolare sinistra conservata e paucisintomatici presentano un recupero più rapido e rientrano al lavoro in percentuale maggiore rispetto ai soggetti con funzione ventricolare depressa, tale andamento si mantiene stabile in osservazioni condotte a lungo termine (Borchini e Ferrario, 2010).

Fattori psicosociali Da un punto di vista psicologico, la reintegrazione sul posto lavoro non è solo un ritorno alla normalità dell’individuo ma anche un aspetto fondamentale della qualità della vita. Lo stress, essendo uno tra i fattori più rilevanti nell’eziologia e nel mantenimento delle cardiopatie, deve essere valutato correttamente per assicurare le condizioni psicosociali migliori nell’ambiente in cui il paziente sarà reinserito (Stress and cardiovascular disease, 2006). Lo stress, secondo Selye (1936) “reazione a-specifica dell'organismo a qualsiasi stimolo interno o esterno di tale intensità e durata da evocare meccanismi di adattamento o di riadattamento atti a ristabilire l'omeostasi (pag. 64)”, agisce sulle malattie cardiovascolari Pag. 14


mediante un aumento del tono del sistema nervoso autonomo e un aumento delle secrezioni ormonali. L’attivazione del sistema endocrino, con il rilascio di cortisolo e adrenalina, comporta un’accelerazione del ritmo cardiaco e una vasocostrizione da cui dipende un aumento della pressione arteriosa. Gli ormoni dello stress, portando quindi ad un continuo accumulo di zuccheri nel sangue, stimolano il grasso addominale (Cesana e Ferrario, 2005). In un recente articolo, Cleveland e suoi collaboratori (2012), che hanno basato un loro studio sulla conoscenza delle reazioni fisiologiche che coinvolgono l’apparato cardiovascolare in risposta a vissuti di stress (opportunità - sfida o minaccia), riferiscono che sia la percezione di una minaccia che quella di un’opportunità attivano il sistema simpatico con conseguente aumento della frequenza cardiaca e della contrattilità ventricolare, tuttavia chi si sente minacciato ha in più un’attivazione ipotalamo-pituitaria che inibisce la vasodilatazione e diminuisce la resistenza periferica dopo rilascio dell’epinefrina. Questa risposta fisiologica è funzionale alla vigilanza protratta e ad un lungo periodo di “risposta” lotta/fuga. La cronicità dello stress e delle relative risposte fisiologiche possono trasformarsi in patologie vere e proprie (Stress and Cardiovascular Disease, 2006). La tabella qui sotto riportata mostra le varie risposte fisiologiche e comportamentali nelle tre fasi del processo di stress.

Modificazioni biologiche e comportamentali nelle tre fasi dello stress Fase di allarme

Fase di resistenza

Modificazioni acute, reversibili ed adattive

Fase di esaurimento

Organizzazione stabile, ma Crollo delle difese, ancora reversibile limite delle impossibilità di ulteriore riserve funzionali adattamento agli stressors LIVELLO NEUROTRASMETTITORIALE Sollecitazione acuta dei sistemi Sollecitazione cronica dei Insufficienza funzionale non NA, 5 - HT, Ach, con sistemi neurotrasmettitoriali reversibile dei sistemi modificazione transitoria del con riduzione del margine di neurotrasmettitoriali . loro reciproco equilibrio resistenza funzionale. Iperattività non reversibile funzionale Iperattività recettoriale recettoriale reversibile LIVELLO NEUROENDOCRINO Attivazione acuta del sistema Attivazione cronica ma Iperattivazione stabile, non ipotalamo-ipofiso reversibile del sistema reversibile, del sistema corticosurrenale ipotalamo-ipofisoipotalamo-ipofiso cortico corticosurrenale surrenale. Alterazioni stabili a livello di altri sistemi Pag. 15


LIVELLO COGNITIVO Elaborazione cognitiva secondaria dell’evento perdita; organizzazione dei meccanismi di coping; disagio soggettivo (depressione stabile ma reversibile) LIVELLO COMPORTAMENTALE Comportamenti attivi di Organizzazione compenso; ricerca attiva di comportamentale di tipo soluzione all’evento perdita depressivo ma reversibile (nuovi legami di adattamento Elaborazione cognitiva dell’evento perdita; disagio soggettivo (depressione transitoria); motivazione alla ricerca di soluzioni

Fallimento dei meccanismi di coping; lutto cronico; perdita della motivazione alla soluzione; depressione grave non reversibile Riduzione dell’attività; organizzazione stabile di tipo depressivo.

Tabella 2: modificazioni biologiche e comportamenti nello stress di (Biondi M., Pancheri P., 1999)

Fra i fattori psicosociali, riferiti all’ambiente di lavoro, che possono entrare in gioco nel processo di rientro al lavoro in quanto fonti di stress, alcuni dipendono dal contenuto stesso di lavoro, altri dal contesto. Tra i fattori più importanti troviamo: carico di lavoro eccessivo dovuto a quantità di lavoro (Song et al., 2010; Yperen, Hagedoorn, 2003), turni (Costa, 2003; Esquirol et al., 2011; Vyas et al.,2012), orari prolungati (Kivimäki et al., 2011), temperature estreme (Dong et al., 2013), rumori (Wenqi et al., 2011), mancanza di supporto sociale (Lett et al., 2005; Ikeda et al., 2008), presenza di elevata conflittualità, ingiustizie, clima lavorativo poco sereno, scarsa libertà decisionale (Kuper e Marmot, 2003). Attualmente, esiste ampia evidenza scientifica che identifica, come stressogene, e quindi potenzialmente dannose una gamma di caratteristiche del lavoro; ciascuno di questi aspetti (vedi tabella 3) in base a determinate condizioni può rappresentare una fonte di rischio psicosociale. Fattori di rischio stress lavoro correlato Aspetti temporali della giornata di lavoro e dell'attività lavorativa:         

lavoro a turni, in particolare turni a rotazione; lavoro straordinario indesiderato o numero "eccessivo" di ore; doppio lavoro lavoro a cottimo in alternativa alla retribuzione oraria (ritmo di lavoro condizionato dal sistema di retribuzione); ritmo di lavoro accelerato, soprattutto in presenza di richieste pressanti da parte del personale addetto alla sorveglianza; tempo insufficiente per rispettare le scadenze di lavoro; programmazione dei cicli di lavoro e di riposo; variazioni della quantità di lavoro assegnata; interruzioni.

Contenuto dell'attività lavorativa (indipendentemente dagli aspetti temporali):  

lavoro frammentario, ripetitivo, monotono che prevede compiti e competenze poco variati; volume eccessivo; Pag. 16


      

ritmo di lavoro fisico/mentale utilizzo delle competenze disponibili; opportunità di acquisire nuove competenze; vigilanza mentale e concentrazione; incertezza delle mansioni o delle richieste; contraddittorietà delle mansioni o delle richieste; risorse insufficienti in relazione all'impegno o alle responsabilità necessari per portare a termine il lavoro (per es: competenze, apparecchiature, struttura organizzativa).

Rapporti interpersonali nel gruppo di lavoro:         

possibilità di interagire con i colleghi (durante il lavoro, nelle pause, dopo il lavoro); dimensione e coesione del gruppo primario di lavoro; riconoscimento per i risultati ottenuti nel lavoro; sostegno sociale; sostegno strumentale; equa distribuzione del lavoro; molestie; densità sociale; personalità “abrasive”.

Rapporti interpersonali con i supervisori/superiori         

partecipazione ai processi decisionali; feedback e riconoscimento da parte dei supervisori/superiori; possibilità di ricevere un feedback dalla supervisione/superiori; grado di rigore della supervisione; sostengo sociale; sostegno strumentale; incertezza o contraddittorietà delle richieste; stile di leadership; pressioni del gruppo.

Condizioni dell'organizzazione:    

prestigio relativo delle mansioni svolte; struttura organizzativa non chiaramente definita (attribuzione delle responsabilità; presupposti organizzativi per conflitti di ruolo e ambiguità); burocrazia organizzativa (amministrativa) e procedure incongrue (irrazionali); politiche discriminatorie (per es. nelle decisioni sui licenziamenti o le promozioni) Tabella 3: Fattori di rischio stress sul posto di lavoro elaborati da Kasl (1991) elenco non completo

Oltre ai fattori psicosociali classici, trasformazioni tecniche-organizzative, socioeconomiche, demografiche-politiche, ed il cambiamento del mondo del lavoro comportano rischi nuovi ed emergenti. I rischi psicosociali emergenti più importanti individuati dagli esperti e riportati in una pubblicazione dell’Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro nel 2007 consistono principalmente nell’uso di nuove forme di contratti di lavoro (precariato) e nell’insicurezza del posto di lavoro (job insecurity), con un sempre maggiore coinvolgimento emotivo ed intensificazione del lavoro, e con un crescente squilibrio tra vita privata e vita lavorativa (work-life balance). Il mercato del lavoro sempre più instabile, la tendenza a razionalizzare e tagliare il personale (produzione di beni e servizi eliminando gli sprechi) e il ricorso all’outsourcing Pag. 17


(l’uso di imprese esterne per svolgere il lavoro) incidono su un aumento di lavoratori con contratto precario: meno tutelati dalle leggi sulla prevenzione, più disposti ad accettare lavori pericolosi in condizioni non a norma e senza un’adeguata formazione in materia di salute e sicurezza sul lavoro;

inoltre si assiste oggi ad un aumento notevole di

informazioni da gestire, di volumi di lavoro da dover affrontare, di lavoro da eseguire sotto-pressione, a causa della capillare diffusione della tecnologia, che permette di essere reperibili ovunque, in qualsiasi momento della propria vita e a qualunque orario (Filardo, 2011). L’esistenza

di

questi

fattori

psicosociali tuttavia non è di per sé sufficiente a generare uno stato di stress; quest’ultimo, infatti, dipende dalla percezione di minaccia che i soggetti hanno di fronte a questi fattori. A questo proposito sono esplicativi il modello interattivo di Karasek (vedi figura 4) e il modello transazionale Figura 4: modello di Karasek a cura del Prof. PM Conway dell'Università Statale di Milano presentate al Convegno IPASVI “il benessere organizzativo nei servizi sanitari: un obiettivo possibile” Milano- 4/12/2011

sforzo/ricompensa

Effort-Reward Imbalance Model (ERI) di Siegrist (vedi figura 5). Il

primo evidenzia come lo stress lavorativo dipenda essenzialmente dall’interazione tra due I l modello Effort/ Rewad I mbalance dimensioni base: la richiesta lavorativa percepita (job demand) e la capacità di gestirla (job

control detta anche decision autority).

A

queste

aggiunge

una

dimensione

“il

si

terza supporto

sociale” che può, con la sua presenza,

• • • • •Carico di lavoro •Interruzioni •Responsabilità •Sforzo fisico •Orari prolungati

Stima Carriera Sicurezza Coerenza dello status lavorativo • Stipendio

Ricompensa

moderare

l’impatto dello stress.

Impegno Sforzo

L’Effort Reward Imbalance di Siegrist J. vede invece lo stress come effetto di una transazione

poco

Questionario principale → Effort/ Reward I mbalance Questionnaire

Figura 5: modello ERI di SiegristPaul inMauric italiano a cura del Prof. PM Conway eConway dell'Università Statale di Milano presentate al Convegno IPASVI “il benessere organizzativo nei servizi sanitari: un obiettivo possibile” 4/12/2011

Pag. 18


vantaggiosa. Il soggetto valuta l’impegno speso sul lavoro superiore ai vantaggi conseguiti in termini di carriera, rispetto e riconoscimento economico. Una terza dimensione overcommitment (coinvolgimento eccessivo per motivazione intrinseca) rende i soggetti maggiormente suscettibili a subire lo stress derivante da uno squilibrio tra dare ed avere (Vrijkotte et al., 2004). La metodologia scelta per valutare lo stress sembra essere molto importante per ottenere dei risultati epidemiologicamente significativi nella valutazione del rischio cardiovascolare e dipende dal tipo di lavoro e di ambiente organizzativo. Oggi in Italia vengono usati il Job Content Questionnaire (JCQ di Karasek, versione italiana di Baldasseroni et al.), l’Effort-Reward Imbalance Questionnaire (ERI-Q di Siegrist, versione italiana di Dragano e versione italiana di Costa), l’OSI di Cooper (versione italiana a cura di Sirigatti e Stefanile): analisi complessiva dello stress occupazionale, il M_DOQ10 (Clima Organizzativo, Majer e D’Amato): questionario multifattoriale per la diagnosi delle organizzazioni e ilMOHQ (Avallone): analisi dei fattori di benessere organizzativo. In una revisione della letteratura David S. Krantz (2007), riporta gli studi che confermano un peggioramento delle condizioni in pazienti affetti da patologie delle arterie coronariche a causa di stress cronico o acuto dovuto al fatto che il cuore sotto sforzo non riesce a reclutare una quantità di sangue sufficiente per far fronte alla situazione. La percezione dei soggetti relativamente alle condizioni stressanti è influenzata anche dalle loro condizioni di origine come la situazione socio economica, le occasioni di studio e le possibilità di scelta del lavoro. Le persone svantaggiate possono andare maggiormente incontro a lavori più pesanti, precari, meno gratificanti, più stressanti, inibenti, frustranti e di conseguenza accumulano più vissuti negativi (sfiducia, sospettosità, ostilità – attacchi di rabbia, irritabilità, depressione, isolamento sociale, burnout, mancanza di risorse ed impiego di tipo strategie difensive, basse capacità di recupero - “resilience”) (Camerino, in press). Per esempio il rischio cardiovascolare specie coronarico è risultato, in diversi studi prospettici significativamente associato a stati di esaurimento vitale e di burnout (Houdmont et al., 2010; Toker,2012). Oltre alle ricadute psicofisiche dirette dovute allo stress cronico, queste persone con poca o nulla soddisfazione lavorativa vanno anche più facilmente in contro a comportamenti poco salutari come diete sbagliate, alcool, fumo, e sedentarietà (Rozanski, Blumenthal e Kaplan, 1999). Lo studio di Fiabane e colleghi (2012), nonostante il campione limitato (n=83), ha dimostrato l’importanza della soddisfazione lavorativa “job satisfaction” nel facilitare il Pag. 19


ritorno sul posto di lavoro, in particolare la possibilità di carriera, la flessibilità lavorativa, e una crescita personale sono risultate componenti importanti di un ritorno al lavoro entro 2 mesi dalla dimissione. Williams (2000) e Iribarren (2000) hanno verificato come, ostilità e rabbiosità, siano all’opposto predittori di un peggioramento delle condizioni cardiache, escludendo altri possibili fattori di rischio. La psicologa Lésperance e collaboratori (2002) hanno notato che i fattori psico-sociali riescono ad

influenzare anche il recupero dagli attacchi di cuore o altri problemi

cardiovascolari. In un studio su 896 soggetti sofferenti di attacchi di cuore quelli con depressione avevano un rischio tre volte più alto di ammalarsi e/o morire negli anni successivi, rispetto ai non depressi. Il dato è stato confermato da Frasure-Smith con l’osservazione che tra le donne questo rischio è più elevato che tra gli uomini.

La

spiegazione, secondo H. M. Arthur (2006), sarebbe che le donne, dopo un infarto miocardico acuto, non attuano strategie di coping in modo efficace quanto gli uomini; questo porterebbe essere causa di un maggior numero di sintomi psicosomatici e valori elevati di ansietà e depressione. Nel 2007 Yuval ha aggiunto come, sempre nelle donne (con età inferiore ai 60 anni) il rischio di depressione dopo un infarto miocardico acuto sia fino a tre volte più elevato che negli uomini a parità di condizioni fisiche, risultando quindi, alla luce delle numerose evidenze scientifiche, uno dei fattori psicologici più importanti (se non il più importante) per il ritorno sul posto di lavoro (Fukuoka et al., 2009; Pozuelo et al., 2009). Mookadam e Arthur (2004) in uno studio sulla relazione tra supporto sociale e depressione, dopo infarto miocardico, hanno constatato che la prima può mitigare gli effetti della depressione sulla patologia e sulla mortalità cardiaca, sia nelle donne che negli uomini. Borchini e Ferrario (2010) in uno studio sulle variabili psicosociali correlate a un più rapido ritorno sul posto di lavoro hanno identificato: un alto grado socioeconomico, un elevato livello di istruzione, l’età (ampiamente dimostrato da tutti gli studi) un costante supporto familiare, una tipologia contrattuale di tipo full time e un’elevata motivazione alla ripresa dell’attività lavorativa. La probabilità di ritornare sul posto di lavoro, dopo un evento cardiovascolare, generalmente risulta inversamente proporzionale al tempo di assenza dal posto di lavoro, a prescindere dalle condizioni di salute del lavoratore. In termini pratici, le chances di un paziente di ritornare a lavorare calano del 50% dalla dodicesima settimana di assenza Pag. 20


(Stay-At-Work and Return-To-Work Process Improvement Commitee, 2006). Interventi atti a promuovere il ritorno al lavoro raramente hanno successo se il paziente è stato assente per un lungo periodo di tempo, per questo motivo è importante capire perché alcuni pazienti ritornano al lavoro, mentre altri ritardano il loro ritorno diventando disabili in modo permanente o uscendo prematuramente dalla forza lavoro (Fukuoka, 2009). Recentemente Yuval e colleghi (2007) hanno evidenziato in uno studio su 160 pazienti con questionario autosomministrato come un breve periodo di ospedalizzazione, la giovane età e un alto reddito pre-malattia, incidano positivamente sui tempi di ritorno al lavoro, a scapito però, in quasi la metà dei pazienti, di una netta riduzione della qualità di vita, e di una perdita della sicurezza e dell’immagine di sé. Infine Slebus et al. (2012) hanno pensato di mettere a confronto i fattori facilitanti o capaci di ostacolare il ritorno sul posto di lavoro di pazienti con una pregressa sindrome coronarica acuta (ACS) a 3, 6, 9 e 24 mesi dalla dimissione ospedaliera. Le ragioni accertate riguardano la possibilità di lasciare il lavoro (pensione d’invalidità od anzianità), il malessere che permane a causa della malattia e delle cure, la perdita di interesse e di motivazione e la mancanza di condizioni adeguate alla propria ripresa. Tabella 4: Fattori facilitanti o di ostacolo al ritorno sul posto di lavoro a tre mesi dalle dimissioni ospedaliere. I dati sono riportati in ordine di frequenza.

Fattori

Esempi

Segni o sintomi della malattia Contenuto del lavoro

Fattori facilitanti

Relazioni al lavoro Abilità a partecipare Funzionalità delle cure Relazioni Familiari Situazione economica Motivazione Capacità fisiche Comorbilità Capacità mentale Termini di impiego

Fattori ostacolanti

Motivazione Effetti collaterali delle medicine Previdenza Sociale Segni e Sintomi di malattia Pag. 21

Niente più problemi al cuore, mi sento bene, non sento più dolori. Hanno cambiato il lavoro in base alle mie esigenze di salute, ridotto il carico Colleghi di lavoro gentili Sono in grado di fare ogni cosa Consigli ricevuti dal mio dottore sono stati utili In famiglia sono meno stressati Non posso rinunciare al mio lavoro Sono motivato sul lavoro Stanchezza Diabete e dolori alla schiena Problemi di concentrazione Licenziato dopo che sono tornato al lavoro Non mi entusiasma più lavorare Sono stordito a causa delle medicine che prendo Le leggi mi consentono di andare in pensione Ho ancora dei problemi di cuore


Trattamenti per curare la malattia Contenuto del lavoro Relazioni sul lavoro Fiducia in se stesso Il corso della malattia

Fattori che hanno influenzato il non ritorno o il non ricominciare a lavorare

Capacità fisica Comorbilità Termini di impiego Previdenza sociale Corso della malattia Condizioni cardiache Motivazione Segni e sintomi di malattia Contenuto del lavoro La capacità di partecipare Le capacità mentali Effetti collaterali dei medicamenti La necessità di avere delle abilità necessarie al lavoro L’età La fiducia in se stessi

Devo seguire dei programmi di riabilitazione, sto aspettando un intervento alle coronarie percutaneo Il carico fisico e mentale era eccessivo Ho problemi con il mio superiore Mi sento insicuro sul lavoro Ero frequentemente malato

Risposte date Ho l’ernia Sono stato licenziato Potevo andarmene in pensione Sono dovuto tornare in ospedale 20% pump stroke Non voglio lavorare mai più Sono troppo stanco a causa dei disturbi di cuore Le richieste sul lavoro sono troppe Sono stato licenziato a causa delle mie difficoltà Ho problemi di concentrazione Non riesco a sopportare le terapie Ho problemi a camminare Sono troppo vecchio Non mi sento sicuro sul lavoro

In uno studio giapponese Fukuoka e colleghi (2009) precisano come gli interventi diretti alla salute e a un celere ritorno sul posto di lavoro debbano tener conto dell’ambiente di lavoro (work environment), e delle credenze socioculturali specifiche del paese di riferimento; per esempio, i Giapponesi tendono a stigmatizzare negativamente la depressione più di quanto non avvenga nelle popolazioni occidentali. La depressione, in Giappone, è infatti spesso ritenuta una debolezza personale e per questo tenuta, se possibile, nascosta. Per il sistema sanitario giapponese sarebbe quindi particolarmente difficile implementare screening e trattamenti per la depressione a seguito di una sindrome coronarica acuta in quanto risulterebbe inaccettabile sia per i pazienti che per il sistema. Differenze socioculturali a parte, resta comunque difficile valutare scientificamente l’efficacia di questi interventi, i contributi presenti in letteratura hanno evidenti limiti metodologici: soprattutto la bassa numerosità dei campioni esaminati e la difficoltà a tenere sotto controllo la complessità dei cambiamenti oltre a quelli voluti dai ricercatori.

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Reintegro sul posto di lavoro L’OMS nel 2001 ha proposto il metodo inglese International Classification of Functioning (ICF) in modo che venga certificato il grado di salute delle persone affinché queste possano raggiungere il massimo della propria realizzazione. Il reintegro sul posto di lavoro prevede quindi una valutazione di quanto l’individuo è in grado di fare ed una rimozione di eventuali ostacoli. Di conseguenza i criteri e le indicazioni per il reinserimento lavorativo sono basati sulla congruità tra capacità cliniche funzionali residue del soggetto e le caratteristiche

ambientali

ed

organizzative

del

lavoro

(Borchini

et

al.,

2010). Generalmente i soggetti presentano un una diminuzione di energia e di vitalità ed una capacità limitata di mantenere gli stessi orari e gli stessi ritmi di una volta (O’Hagan, 2012). Il D.Lgs n. 81/2008, in materia di salute e sicurezza negli ambienti di lavoro e le successive disposizioni integrative e correttive introdotte con il D.Lgs n. 106/2009 2, obbligano il datore di lavoro ad effettuare la valutazione dello stress correlato al lavoro secondo quanto previsto dall’Accordo Europeo del 2004. Obiettivo dell’Accordo è quello di accrescere “la consapevolezza e la comprensione dello stress da parte dei datori di lavoro, dei lavoratori e dei loro rappresentanti…(art 1.)” e “ offrire un quadro di riferimento per individuare e prevenire o gestire problemi di stress” (art 2.). In base all'art. 41 del Decreto Legislativo 81 del 2008, il medico competente esprime un giudizio d’idoneità alla mansione specifica anche per i soggetti con disabilità. Tale giudizio prevede che venga emessa idoneità piena, idoneità parziale (temporanea o permanente con prescrizioni o limitazioni), inidoneità temporanea, o inidoneità permanente alla mansione. Tale pratica sviluppata in primo luogo per i portatori di handicap è intesa a favorire una loro migliore integrazione nell’ambiente di lavoro, anche se, nella pratica, si trasforma spesso in una lunga serie di limitazioni e prescrizioni. Essa viene però normalmente applicata anche a chi ha avuto una patologia organica e rischia di essere alla base di un allontanamento del lavoratore da tutte quelle attività di lavoro che possono in qualche modo sostenere un significativo dispendio energetico e carico di lavoro per il cuore (Taino, Brevi, Gazzoldi, Imbriani, 2013). Il decreto, all’art. 39 comma 5 dice che il medico competente deve “avvalersi, per accertamenti diagnostici, della 2

Il Decreto Legislativo del 3 agosto 2009 n. 106, "Disposizioni integrative e correttive del Decreto Legislativo 9 aprile 2008 n. 81 in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro" è stato pubblicato sul Supplemento Ordinario n. 142 alla Gazzetta Ufficiale n. 180, del 5 agosto 2009.

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collaborazione di specialisti...” questa possibilità risulta utile nel caso di reinserimento alla guida di cardiopatici ove viene ritenuta necessaria una valutazione psicologica per la valutazione dei tempi di reazione, attenzione, concentrazione e vigilanza (De Bortoli et al., 2012). L'art. 42 prevede che, in caso di inidoneità a mansione specifica, il datore di lavoro adibisca il lavoratore, anche quello con disabilità, ove possibile, ad altra mansione e/o a 'ritagli di mansione' compatibili con il suo stato di salute; se il soggetto possiede ancora delle capacità lavorative, queste vanno utilizzate al meglio e il medico competente deve collaborare in tal senso. Il datore di lavoro, inoltre, non può chiedere prestazioni non compatibili con le minorazioni del soggetto disabile e, in caso di un aggravarsi delle condizioni di salute o di un accresciuto carico di lavoro, il disabile può chiedere che venga riconsiderata la compatibilità tra le mansioni a lui affidate e il suo stato di salute. In base a quanto sopra esposto, il datore di lavoro può chiedere che vengano accertate le condizioni di salute del lavoratore portatore di disabilità anche per verificare se, a causa delle sue minorazioni, egli possa continuare a essere utilizzato presso l’azienda. Il medico competente e le figure della prevenzione aziendali (RSPP, RRLLS, datore di lavoro, dirigenti e preposti), al momento dell'inserimento lavorativo del disabile e in itinere, cercano quindi di sostenerne le possibilità di realizzazione attraverso la nuova offerta lavorativa così da evitare un aggravarsi od una regressione della patologia e i costi sociali di una disabilità non valorizzata. Il reintegro, deve articolarsi in una serie di fasi atte sia ad analizzare e valutare le capacità psico-fisiche del soggetto disabile (in relazione alla specifica attività lavorativa che egli sceglie o gli viene offerta) sia a reperire forme e modalità di adattamento del lavoro alle specifiche capacità operative della persona stessa (Leocata, in press). Il medico del lavoro convoca a colloquio/visita il lavoratore interessato, effettua un sopralluogo in azienda e, al termine del procedimento, produce una relazione esaustiva riguardante: le effettive mansioni svolte dal lavoratore; la valutazione della compatibilità delle mansioni con lo stato di salute della persona con disabilità; la valutazione di altre eventuali mansioni compatibili che rendano possibile una continuità d’impiego del lavoratore in azienda; il suggerimento di eventuali forme di sostegno e strumenti tecnici per consentirne il mantenimento al lavoro; il suggerimento di possibili aggiustamenti nell’organizzazione del lavoro. Generalmente le condizioni psicofisiche del soggetto vengono valutate, tramite visita medica e, se il caso, psicologica, per accertarne l’idoneità e quindi procedere al reintegro. Un supporto nel garantire condizioni di lavoro meno Pag. 24


stressanti per il soggetto cardiopatico può indubbiamente favorirne la soddisfazione ed il benessere ed una ripresa più rapida delle sue attività. In ambito psicologico si usa generalmente un approfondito colloquio anamnestico accompagnato da scale di misura per la valutazione della sintomatologia soggettiva (GHQ), stati d’ansia e/o depressione (BDI-II), personalità di Tipo A (DSM-IV), abilità di coping (COPE), senso di abilità e padronanza sul lavoro (Mastery scale, Work Ability Index) (Giannuzzi et al., 2005; Steunenberg et al., 2007). Gli interventi individuali di carattere psicologico possono essere indirizzati ad un miglioramento delle capacità professionali e psico-relazionali (formazione, counselling, psicoterapia di riorientamento cognitivo-comportamentale), rilassamento psicofisico (training autogeno, musica ricreativa) (Bradt, Dileo, 2009). Il ruolo del medico del lavoro nel percorso di reintegrazione del cardiopatico risulta dunque cruciale e particolarmente complesso, in quanto egli dovrà esprimere un giudizio sulla compatibilità delle condizioni clinico funzionali del lavoratore con i rischi lavorativi cui tornerà ad essere esposto, indagando e valutando accuratamente entrambe le componenti. I rischi lavorativi conosciuti come aggravanti una patologia cardiaca sono di tipo ambientale (microclima, agenti cardio-tossici), intrinseci alla mansione (impegno fisico richiesto) ed organizzativi (carichi e ritmi di lavoro, turni di lavoro, responsabilità, job control). Lo specialista deve dunque indagare e misurare la residua capacità funzionale del soggetto cardiopatico, effettuare una stratificazione prognostica ed individuare specifiche condizioni di ipersuscettibilità. La ripresa dell’attività lavorativa può essere suggerita quando la capacità funzionale del paziente è più del doppio della domanda energetica della specifica attività lavorativa (testata primariamente attraverso test ergometrici quali: ECG o CPET). Occorre inoltre esaminare alcune particolari condizioni che determinano un incremento del carico lavorativo cardiaco, come lo sforzo isometrico, il prolungato utilizzo delle braccia e lo stress psicologico che possono trasformare in trigger attività apparentemente sostenibili per la

capacità funzionale del lavoratore.

(Borchini e Ferrario, 2010) .Per un’adeguata e sicura ricollocazione lavorativa del soggetto cardiopatico la valutazione funzionale cardiovascolare dovrà essere effettuata, nel corso delle diverse attività lavorative, oltre che nella fase di reintegrazione, anche periodicamente al fine di rivalutarne l’adeguatezza (D.Lgs 81/08 art 41. comma 2). A livello di prevenzione terziaria, lo scopo è aiutare il soggetto ad affrontare il disturbo, il percorso riabilitativo e le eventuali ricadute. Laddove necessario potrebbe essere suggerito Pag. 25


un supporto psicoterapeutico; in questo caso gli interventi psicoterapeutici di tipo cognitivo - comportamentale sono ben valutati. Com’è noto si tratta di un intervento adatto a tutte quelle situazioni di disagio dovute a un difficile adattamento a situazioni attuali di vita o di lavoro. Pur ripercorrendo le vicende passate e le motivazioni che hanno portato alla situazione, l’obbiettivo principale rimane quello di contenere la deriva psicofisica ed emotiva associata ad una visione negativa degli eventi (Camerino et al., in press). Questo tipo d’intervento, mira a far riconquistare un controllo sulle situazioni presenti e riprogettare il futuro, aiuta il soggetto a recuperare una sua volitività ed intenzionalità attiva. Il trattamento individuale può anche includere tecniche anti-stress, tecniche meditative come la mindfulness (MBSR) (Johansson, 2012), assertive, di miglioramento dell’auto-stima ed interventi sulla personale organizzazione e gestione del tempo (Beck, 2011).

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Conclusioni Dato il prolungarsi della vita lavorativa, specialmente in Italia, prima del pensionamento, per il medico del lavoro potrebbe diventare sempre più frequente il doversi confrontare con problemi di reintegro sul lavoro di soggetti affetti da patologie cardiovascolari. Se a livello di prevenzione primaria, grazie al decreto legislativo 81/2008, si sta già cercando di prevenire l’insorgenza di nuovi casi grazie al contenimento di fattori psicosociali avversi con i loro effetti sullo stress, dall’altra i soggetti già incorsi in questo genere di problemi possono cercare di reintegrarsi nel luogo di lavoro grazie a fattori prognostici favorevoli, ad una riabilitazione tempestiva ed adeguata e alla predisposizione di condizioni di lavoro compatibili. L’informazione e la rassicurazione da parte del medico sull’opportunità di tornare al lavoro è molto importante, ma, come anche per la riabilitazione, gli effetti sono limitati o nulli se non tengono conto delle condizioni reali di lavoro (O’Hagan, 2012). In questo senso anche il contributo dello psicologo può rivelarsi prezioso sia per diagnosticare in tempo dimensioni di personalità capaci di favorire l’insorgenza della patologia, sia per valutare precocemente condizioni psicosociali avverse, ma anche per fornire un sostegno nelle fasi di recupero dalla malattia e di reintegro sul lavoro, favorendo un equilibrio tra le dimensioni, della vita lavorativa e personale, e la realizzazione di programmi sanitari aziendali (“smettere di fumare”, “mangiare sano”, “attività fisica”, “migliorare le proprie life skills”), in collaborazione con tutte le altre figure della prevenzione sul lavoro.

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Ringraziamenti Desidero innanzitutto ringraziare il mio relatore, il Professor Massimo Miglioretti, per i consigli e le ore spese a leggere le modifiche alla tesi, e il Professor Luigi Ferrari per gli insegnamenti all’Università che mi hanno appassionata e invogliata a seguire in magistrale questo percorso di studi. Ringrazio gli psicologi del Dipartimento di Medicina del lavoro “Clinica del Lavoro Luigi Devoto” per avermi ospitata e dato delucidazioni, nonché testi e dati indispensabili per la realizzazione della tesi. Inoltre, vorrei esprimere la mia sincera gratitudine alle mie colleghe e amiche: Alessia, Cristina, Monica e Silvia per le risate tra una lezione e l’altra e il supporto morale in quegli esami che sembravano impossibili da superare. Ringrazio con affetto i miei genitori senza i quali non sarei mai potuta arrivare a questo punto; non parlo solo del sostegno economico, che sicuramente è stato indispensabile soprattutto oggi giorno, ma di quell'aiuto tacito o esplicito che tante volte è venuto loro dal cuore. A mia madre che è riuscita quasi sempre a celare la sua ansia, e a mio padre che, nonostante i suoi problemi di salute, si è sempre interessato e preoccupato dei miei studi. L’ultimo mio ringraziamento va a te Angelo, per la serenità che sei riuscito a trasmettermi durante i miei lunghi momenti di sconforto, e per essere colonna portante della mia vita.

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