Unica Zürn. I doni della follia - Sarah Palermo

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Unica Zürn. I doni della follia di Sarah Palermo

L’esistenza tragica di un’artista sul filo del rasoio tra avanguardia e malattia mentale – Testi letterari e disegni nell’orbita del surrealismo – Il diario doloroso di un’assenza tra memoria e delirio

La lettura

di un’artista come Unica Zürn ci conduce in un mondo oltre le frontiere del reale e comporta necessariamente un approccio biografico, sia semiotico che psicanalitico. Infatti la sua opera non è altro che un netto riflesso della sua vita, dalla prima giovinezza all’estremo momento del suicidio che sorprendentemente compirà in un istante di piena nitidezza mentale. Unica Zürn, poetessa e disegnatrice, nasce il 6 luglio 1916 nel quartiere Grünewald di Berlino. Secondogenita, dopo il fratello Horst, del padre Ralph Zürn, grande viaggiatore, capitano di cavalleria, giornalista, scrittore e piccolo editore, e della madre Melene Paline Heerdt, appartenente all’alta borghesia di Merano e scrittrice1, che ha la possibilità di essere introdotta nelle alte gerarchie naziste dal marito da cui divorzierà nel 1930 per sposare un dirigente del Terzo Reich.

1  A. D’Anna, Unica Zurn. L’écriture du vertige, Edition Cartouche, Parigi 2010, p. 25.


Da bambina Unica, abbandonata dalla famiglia e succube della figura di un padre assente, gioca tutto il giorno con due amici che si divertono a bendarla e deriderla dopo averla legata con una corda intorno al corpo2. Ancora molto giovane subisce violenza dal fratello3 e a soli 16 anni abbandona il liceo per trovare impiego come stenodattilografa e addetta al montaggio nella casa cinematografica UFA-Film4. Dal 1936 al 1942 lavora come drammaturga e sceneggiatrice per film pubblicitari e sposa Erich Lampenmühlen, commerciante, più grande di lei di 19 anni, da cui avrà due figli, Katrin nel 1943 e Christian nel 1945. Dopo il divorzio dal marito, a cui rimane la custodia dei figli, inizia una vita bohèmienne nella Berlino dell’immediato dopoguerra dove conosce il pittore Alexander Camaro, con cui vive un periodo felice, che la introduce alla pittura e con cui frequenta l’ambiente cabarettistico dada-surrealista Die Badewanne5. Nel 1953 a Berlino vive uno degli avvenimenti più importanti della sua vita, conosce l’artista e fotografo tedesco Hans Bellmer ad un vernissage nella galleria Springer, a lui si sentirà legata per il resto della sua vita; partono insieme nello stesso anno per trasferirsi a Parigi dove sarà introdotta nell’ambiente surrealista che la stimola a dedicarsi al disegno automatico e alla tecnica dell’anagramma. Le difficoltà tra la Zürn e Bellmer sono molteplici a causa delle differenze culturali, ma soprattutto delle ristrettezze economiche. Unica reagisce compilando anagrammi poetici ed eseguendo numerosi disegni. Per lei non esiste una lingua capace di esprimere in modo adeguato una sensazione esistenziale, motivo per cui sceglie un codice espressivo quasi ermetico ed intraducibile. La concentrazione e l’arte combinatoria richiesta dagli anagrammi la assorbono totalmente (dal 1953 al 1964 ne compone 124). La prima crisi di schizofrenia della Zürn, documentata da lei stessa nei suoi scritti, esplode durante una proiezione in cui assiste ad una scena di rapina che lei interpreta come rapimento e sottrazione di se stessa. Anche l’incontro con

Bellmer evoca nella sua mente visioni e suggestioni, così lo riconosce nel film Les enfants du Paradis6 di Marcel Carné nel personaggio del protagonista Jean-Louis Barrault. Legatissima alle immagini in movimento, conosciute durante la sua esperienza lavorativa presso la casa di produzione cinematografica UFAFilm, si appassiona anche alle cartoline animate. Il mondo del cinema deciderà in seguito di omaggiare la figura della Zürn con un film di Rainer Werner Fassbinder e la partecipazione di Hanna Schygulla nella parte della protagonista, progetto mai realizzato a causa della morte precoce del regista tedesco7.

2  U. Zürn, Oscura primavera, in L’uomo nel gelsomino, a cura di S. Bortoli, L. Magliano, edizioni La Tartaruga, Milano 1980, p. 14.

3  Ibidem, p. 17. 4  E.M. Thüne, in Unica Zurn. Due Diari, Edizioni L’Obliquo, Brescia 2008, p. 5. 5  Ibidem, p. 6.

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Ivi.

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C. Mangiarotti, Unica Zurn, una unica supplenza, in Invenzioni nella psicosi, Quodlibet, Macerata 2008, p. 147.

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La sua produzione letteraria e artistica sarà interrotta dalla prima crisi seguita da un ricovero di alcuni mesi nel 1960 all’ospedale di Wittenau a Berlino dove la dichiarano schizofrenica. Successivamente vivrà un ricovero più lungo presso la clinica Sainte-Anne di Parigi dove rimarrà per due anni. Gli ospedali di Sainte-Anne e Wittenau sono stati i suoi indirizzi più frequenti evocati durante le lunghe crisi mentali, alternate solo da momenti di ritorno alla vita reale distinti da importanti esposizioni presso la galleria parigina Le soleil dans tête nel 1956 e nel 1957 e dalla sua partecipazione all’Exposition Internationale du Surrealisme alla galleria Cordier in cui viene consacrata come artista della corrente. Entrerà e uscirà da numerose altre cliniche fino al 1970, anno della sua morte, quando il 19 ottobre, dimessa dall’ospedale psichiatrico dove sembra aver riacquistato le forze, durante una visita nella casa che condivideva con Hans Bellmer gravemente malato, al sesto piano di rue de la Plaine 6, a Parigi, si getta dalla finestra. Ha 54 anni. Per l’interpretazione dell’espressione visiva di Unica Zürn occorre primariamente sottolineare la sua formazione tedesca e la sua maturità bilingue, una doppia cultura quella berlinese e quella parigina che influenzeranno il suo tratto artistico. Il suo eterno camminare sul filo del rasoio, tra il timore della vita in gioven-

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tù e l’incontro con l’erotismo femminile, ossessionata da un’eterna presenza/assenza mentale e fisica come quella dell’Uomo nel gelsomino8, che rappresenta il padre, figura mancante e costante, interrompe la sua vita e la indirizza verso quel baratro poetico ed esistenziale tanto studiato da psicologi e psichiatri. I disegni di Unica Zürn veicolano l’anomalia della sua psiche e della sua geometria mentale che si sviluppa in una propria logica e in un’armonia grafica che, nonostante non obbedisca a ristrette regole compositive, segue una sofisticata impronta stilistica. I disegni sono compiuti in gesti essenziali, senza colature né ripensamenti, con l’utilizzo di una punta di penna non troppo spessa grazie alla quale crea un tratto fragile e fine, elaborando fantasiose architetture mentali che volano in spazi ideali. Ne emergono figure antropomorfe, particolari umani, animali ed anagrammi – terra di rifugio per Unica, complementare e fondamentale per la sua immaginazione. Il disegno è spesso accompagnato da poesie anagrammatiche e racconta con graffi, linee e simboli ciò che le parole non arrivano ad esprimere, ossia la logica dei suoi sogni, l’affiorare dei ricordi che la torturano e la perdono, che cerca di ricostruire attraverso pulsioni e visioni. Queste ultime la allontanano e la riportano a quel mondo di erotica incoscienza descritto in Oscura primavera9, in cui affronta il tema della violenza infantile e che diventa un manifesto di lotta e di ribellione contro il mondo adulto. Il linguaggio anagrammatico rappresenta la metafora del corpo di Unica che il suo compagno, l’artista Hans Bellmer, si diverte a scomporre nelle anamorfosi fisiche in cui sintetizza l’essenza della sua poetica della Poupée10. Il genio della follia, l’espressione infantile ed aliena di disegni e di componimenti poetici, raccolti nelle due collezioni pubblicate: Hexentexte11 (“scritti di streghe”, NdR.) del 1954 con 10 anagrammi, 10 disegni di Unica Zürn e una

8  U. Zürn, L’uomo nel gelsomino, a cura di S. Bortoli, L. Magliano, edizioni La Tartaruga, Milano 1980, p. 47. 9  10

U. Zürn, Oscura primavera in L’uomo nel gelsomino, cit. H. Bellmer, The Doll, Edizione Atlas Press, Londra 2013.

11  U. Zürn, Hexentexte, Galerie Springer Berlin, 1954 in Alben, raccolta di testi e disegni di Unica Zürn, Verlag Brinkmann & Bose, Berlino 2009, pp. 16-30.

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postfazione di Hans Bellmer, e Oracles et spectacles12 del 1967, sono una testimonianza della sua conoscenza dei misteri alchemici ed esoterici della kabbala che utilizza come una linea ideale ed aleatoria in cui condensa elementi onirici che fanno parte della sua vita reale. Vi appaiono volti che accompagnano la sua esistenza, soli o fusi tra di loro si riconoscono Hans Bellmer e Henri Michaux, due uomini bianchi13 i cui occhi umani o animali sono rappresentati moltiplicati all’infinito in una polioftalmia che descrive l’inquietudine della Zürn riprodotta in un turbinio di vortici di sguardi che si inseguono incessantemente. Un’analisi degli stati d’animo interviene a giustificare le infinite circonvoluzioni che tentano di spingersi oltre i limiti del foglio da disegno, il che determina un forte senso di spaesamento e un collaterale decentramento della narrazione. Un filo rosso guida la mente di Unica e i suoi gesti “ondulazioni più impercettibili del flusso di pensiero”14 nel disegno automatico, tecnica che ha conosciuto al suo arrivo a Parigi grazie ad André Masson e a Henri Michaux e al suo ingresso nella cerchia dei surrealisti incoraggiato da André Breton, poeta e teorico del surrealismo, e da artisti come Max Ernst e Jean Arp, entrambi di lingua tedesca che la introdussero nel mondo della cultura parigina. Tra le tecniche che apprenderà durante la sua vita nella capitale del surrealismo ci sarà anche la decalcomania, già praticata da Max Ernst e Oscar Dominguez, che la Zürn interpreterà sul foglio bianco, specchio e protezione dal suo stato mentale, con un linguaggio allucinatorio dettato dall’automatismo. L’emergenza del desiderio supera la sensazione di sottomissione che compromette più volte il suo stato fisico e mentale represso e sfogato negli anagrammi poetici e nei numerosissimi disegni. In una fuga allucinatoria nascono onde, serpenti, occhi e finestre da cui si affacciano altrettanti mostri e creature mentali, riflesso della malattia e della follia di Unica. L’estenuante attesa e lo stato di immobilità sono le condizioni necessarie alla sua arte che trasmette e ricorda l’assenza della prima figura maschile della sua vita: “Suo padre è il primo uomo

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Ibidem, pp. 268-277.

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A. D’Anna, Unica Zurn, L’écriture du vertige, Edition Cartouche, Parigi 2010, p. 94.

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Ibidem, p. 139.

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che conosce”15 – mancanza vissuta, ed associata alla purezza delle figura di un fiore di gelsomino, che la condurrà a delle conseguenze disastrose dal punto di vista psichico, e che viene identificato nelle figure di Alexander Camaro che la introdusse al disegno, Hans Bellmer compagno di vita, che incarnava la figura protettiva del padre, e Henri Michaux figura cardine nella sua vita, confidente e amico con cui dal 1957 conoscerà l’uso di droghe come la mescalina. Uomini forti hanno plasmato la sua esistenza regalandole diversi attimi di paralisi e di sospensione mentale. Tali presupposti costituiscono terreno fertile per il suo percorso allucinatorio segnato da attimi di fascinazione e desiderio di annientamento – gettarsi dalla finestra è un atto noto per Unica che descrive con incredibile lucidità il gesto presagito all’età di dodici anni16 – il vuoto rappresenta il riflesso dell’assenza paterna. La sessualità, campo di sperimentazione e ambito fortemente problematico nel surrealismo, traghetta la Zürn dal mondo dell’infanzia a quello dell’età di donna, ma l’effetto più prossimo sarà la schizofrenia che nei suoi disegni appare come metamorfosi di tentacolari piovre penetranti. L’osceno del mondo sessuale, che vivrà come modella ed esperimento artistico del suo compagno Hans Bellmer, la condurrà ad esplorazioni erotiche che allontanano il concetto di trasgressione e creano un viatico perfetto all’“addomesticamento” subito da Unica per amore e per ricerca. Descrive la sessualità con metafore degne di una purezza di fanciulla, senza tabù né forzature, rielaborando il proprio masochismo con l’aiuto dello psichiatra Gaston Ferdière, di cui è stata paziente fino alla fine dei suoi giorni, e dell’amica e traduttrice francese Ruth Henry, intima confidente dell’artista che racconterà le sue ultime ore nella casa che condivideva con Bellmer ormai paralizzato e lontano dalla vita di tutti i giorni. Il disegno, testimonianza allucinatoria dell’esperienza di vita di Unica, perpetua l’immagine e i desideri mentali che si scatenano in intricati grovigli dove sono intrappolati i ricordi di paura e di angoscia dell’infanzia risvegliati durante i numerosi ricoveri. Nei periodi di lucidità continuerà a disegnare e a comporre i suoi due capolavori

letterari Oscura primavera17 del 1969 e L’uomo nel gelsomino18 scritto dal 1963 al 1965, rispettivamente il giovane ed il tardo ritratto della Zürn prima e dopo il lungo periodo di internamenti. Nelle due opere letterarie il tempo sembra fermarsi, il presente prende possesso del suo passato ed è utilizzato sistematicamente per ogni descrizione e riferimento rivelando l’essenza del trauma subito durante la sua infanzia che difficilmente riuscirà ad abbandonare o a superare. Come nel flusso di coscienza di James Joyce o di Virginia Woolf, i suoi pensieri affiorano durante la narrazione come scorci di memoria (che si comprendono a fondo solo con una conoscenza approfondita dell’autrice) dall’andamento sinusoidale che mostra il suo tragico stato mentale e l’autenticità della sua dimensione surreale. I registri linguistici stratificati si mescolano durante la narrazione che diventa polimorfa ed è facilmente assimilabile ai suoi disegni e alla ricerca di pura scomposizione operata da Hans Bellmer nella sua Poupée19. Durante la narrazione, tratteggiata da memoria e delirio, la Zürn restituisce la sua identità originale le cui parole sono quelle che descrivono la verità che vive, uno stile unico e personale che difficilmente segue una trama coerente. Come accade per l’Art Brut, dove il terreno di ricerca tra inconscio e realtà è rappresentato da una narrazione continua, i frammenti di scrittura indecifrabili della Zürn, come sottolinea la studiosa Barbara Safarova, possono essere letti come figure o segni che creano a loro volta dei corpi in una rappresentazione eterogenea20. Unica Zürn, oggetto d’arte ed ideatrice poetica, ha saputo trasformare le sue ferite in un terreno di sperimentazione dell’estetica surrealista esplorando un mondo vicino e lontano, gli abissi del sé e i nuovi orizzonti

Un ringraziamento speciale per il sostegno a Maria Antonietta Spadaro e all’Anisa di Palermo, e per i preziosi suggerimenti a Eva-Maria Thüne.

17  U. Zürn, Oscura primavera, in L’uomo nel gelsomino, a cura di S. Bortoli e L. Magliano, edizioni La Tartaruga, Milano 1980. 18  U. Zürn, L’uomo nel gelsomino, a cura di S. Bortoli e L. Magliano, edizioni La Tartaruga, Milano 1980. 15  U. Zürn, Oscura primavera, in L’uomo nel gelsomino, a cura di S. Bortoli, L. Magliano, edizioni La Tartaruga, Milano 1980, p. 9. 16

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Ibidem, p. 37.

19

H. Bellmer, The Doll, cit.

20  B. Safarova in Unica Zurn, Edition du Panama, Parigi, 2006, p. 50; cat. mostra “Unica Zürn”, Halle Saint Pierre, Parigi (25/09/2006-4/03/2007).

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