Accademia di Belle Arti di Cararra Diploma Accademico di II Livello
Prof. Silvia Papucci
Sporco Mondo Il graphic design nell’era del Co2
Tesi di Sara Raffaelli Matr. GB107 relatore Prof. Federico Luci co-relatore Prof. Matteo Chini A.A. 2018/2019 Sessione: Febbraio 2020
Introduzione
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Una nuova divinità: Progresso 1.1 Ieri 1.2 Oggi
2100 2.1 Clima 2.2 Città invivibili 2.3 Flora e fauna 2.4 Superbatteri
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Arte per il pianeta
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Il graphic design nell’era del CO2
3.1 Land Art 3.2 Street art per l’ambiente 3.3 Moss Graffiti 3.4 L’arte del collasso
4.1 Sulla Carta 4.2 Eco-Branding 4.3 Design e riciclo 4.4 Street Advertising 4.5 Eni 4.6 Il marketing del Bio e dell’Ecologico
Conclusioni
ANTROPOCENE Termine divulgato dal premio Nobel per la chimica atmosferica Paul Crutzen, per definire l’epoca geologica in cui l’ambiente terrestre, inteso come l’insieme delle caratteristiche fisiche, chimiche e biologiche in cui si svolge ed evolve la vita, è fortemente condizionato a scala sia locale sia globale dagli effetti dell’azione umana. Non essendo un periodo accolto nella scala cronostratigrafica internazionale del tempo geologico (secondo i dettami dell’ICS, International commission of stratigraphy), l’Antropocene si può far coincidere con l’intervallo di tempo che arriva al presente a partire dalla rivoluzione industriale del XVIII sec. ovvero da quando è iniziato l’ultimo consistente aumento delle concentrazioni di CO2 e CH4 in atmosfera.
INTRODUZIONE
In questa tesi sarà analizzato il fenomeno dell’inquinamento ambientale, dal punto di vista del quotidiano, dell’arte e infine, del graphic design. Verranno illustrate soluzioni, progetti e prodotti che tentano di lanciare messaggi per sensibilizzare o che cerchino, loro stessi, di essere il meno impattanti possibile. Sarà poi dedicata una sezione al marketing, a come cerchi di rendere l’aspetto di un prodotto bio e vicino all’ambiente , talvolta sfociando nel “greenwashing” con spot, packaging e comunicazione visiva in generale,nonostante il prodotto finale non sia realmente naturale o ecosostenibile. Saranno infine presentati, nel corso di tutta la tesi, siti, oggetti, carte, e altri strumenti che possono essere utilizzati o acquistati ed utilizzati nella quotidianità o in ambito artistico.
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1. Una nuova divinità: Progresso.
Industrializzazione e globalizzazione, o più semplicemente, progresso. Questo è il nuovo Dio che ci da la possibilità di mangiare carne o cibi sempre diversi, di avere un outfit differenti per ogni giorno della settimana, di farci la doccia tutte le sere, di poter prendere un caffè davanti alla torre Eiffel ed essere a casa per l’ora di cena. Fabbriche, aziende, mezzi di trasporto, persino il consumo dei beni di prima necessità contribuiscono al sempre più rapido degrado del pianeta. Questa nuova divinità (che potrebbe benissimo affiancarsi a Media e Tecnologia della famosa serie tv “American Gods”) chiede però un sacrificio non indifferente, del quale per il momento, ancora molte persone non sembrano preoccuparsi. Il nostro respiro. Ogni giorno, sacrifichiamo non solo il nostro ossigeno, ma anche quello del resto del pianeta, di foreste, boschi, oceani, animali. Si tenterà di capire quando e come tutto ciò è potuto accadere.
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1.1 Ieri
Durante il corso della storia il rapporto tra l’uomo e l’ambiente che lo circondava è cambiato al variare delle sue esigenze. L’uomo primitivo, che si nutriva di piante ed animali e che a sua a volta poteva soccombere nella lotta contro animali più forti, si collocava nel sistema naturale come qualsiasi altra forma vivente. Con la scoperta dei primi attrezzi e del fuoco invece, ha cominciato a imporsi sull’ambiente, modificandolo e iniziando a inquinarlo. Inquinare è una parola che ha un significato molto generico: si può dire che se in un ambiente si introducono sostanze estranee ad esso lo si inquina. Ciò significa che l’inquinamento ambientale è iniziato da quando i primi uomini hanno cominciato a usare il fuoco: fumi, polveri delle sostanze bruciate, ceneri sono saliti nell’atmosfera e si sono sparsi sul suolo e nelle acque. Conseguentemente, si scoprì che gli stessi fumi e l’acqua contaminata dai metalli depositati portarono malattie polmonari e ossee. Si parla di problemi ambientali già alla nascita delle prime città, più di 5000 anni fa, con lo sviluppo di un’agricoltura sistematica, che introdusse i primi problemi di sovrapproduzione agricola e i negativi effetti ambientali a essa legati, riguardanti soprattutto l’impoverimento dei terreni e il disboscamento. Questo dominio sulla natura, conquistato non dall’uso mezzi tecnologici di cui l’uomo ha potuto disporre, bensì dall’ abuso degli stessi, ci porta direttamente alla prima rivoluzione industriale nel XVIII secolo. Con queste prime scoperte e nuovi mezzi, l’uomo cambia il modo di lavorare e migliora il generale tenore di vita, sorgono le prime fabbriche e le prime città industriali con l’inizio dell’urbanesimo. All’inizio del Novecento, con la seconda rivoluzione industriale nasce il consumismo e la vita quotidiana viene inesorabilmente trasformata. Fra il 1870 e il 1900 infatti, fecero la loro prima apparizione una serie di strumenti, di macchine, di oggetti d’uso domestico che sarebbero poi diventati parte integrante della nostra quotidianità: la lampadina, l’ascensore elettrico, il motore a scoppio, gli pneumatici, il telefono, l’automobile e, con l’uso del petrolio e dei suoi derivati come fonte di energia, nasce quell’inquinamento che oggi sta facendo collassare il pianeta. Dalla seconda rivoluzione industriale le emissioni di gas presenti nell’atmosfera sono diventate un problema su scala globale, portando in poco più di un secolo, all’attuale condizione caratterizzata dall’effetto serra, dallo smog e dalle piogge acide.
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Disastri ambientali. Ad aumentare il livello di inquinamento globale, nella storia, vi furono poi degli episodi di “disastri ambientali” con fuoriuscite di sostanze, dispersione di petrolio sia sulla terra che nelle acque, radiazioni, incendi di enorme portata, guerre con armi chimiche e atomiche. Alcuni di essi sono descritti nelle pagine seguenti.
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Bhopal, Madhya Pradesh, India. Fu causato dalla fuoriuscita di 40 tonnellate di una sostanza altamente tossica (isocianato di metile) da uno stabilimento della Union Carbide India Limited, causata da da gravi carenze delle misure di sicurezza dell’impianto. Inizialmente vennero stimati 4.000 morti, avvolti da una nebbia tossica nei pressi dello stabilimento. Nei giorni successivi, venne rilevato come circa altre 50.000 persone furono contaminate dalla fuoriuscita. Molti subirono danni permanenti ed invalidanti (insufficienza renale, cecità). Altri (probabilmente 15mila persone) persero la vita nei mesi ed anni successivi a causa della contaminazione.
Bomba Atomica Questo “disastro”, come per Chernobyl, non si limita solo all’ambiente ma, come sappiamo, ha ripercussione tragiche e immediate anche sull’uomo. Tralasciando gli effetti immediati, i sopravvissuti furono colpiti nei giorni successivi all’esplosione, da piogge radioattive. Durante le piogge, le particelle più pesanti di materiale radioattivo caddero nelle immediate vicinanze. Le particelle più fini furono soffiate su lunghe distanze prima di scendere. Le particelle molto fini viaggiarono nel vento, prima di combinarsi con il vapore acqueo e cadere sotto forma di pioggia radioattiva.
Nigeria. Un disastro senza fine, da un lato ladri e sabotatori di petrolio causano perdite continue, dall’altro le stesse compagnie, per non incorrere in costi troppo alti, lavorano in condizioni di sicurezza inadeguate, perpetuando un circolo vizioso.
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Chernobyl. L’esplosione devastante, nel 1986 el reattore nucleare di Chernobyl rimane uno dei più gravi incidenti nucleari nella storia. Le piogge radioattive caddero disperdendo scorie nell’Europa settentrionale, dalla Scandinavia alla Scozia, dalla Cumbria al Galles, a oltre 2.700 Km da Chernobyl. Le conseguenze sulla salute umana e sul numero di persone morte per conseguenze legate all’incidente ancora oggi fa discutere. A più di 30 anni dall’incidente, non esiste una cifra ufficiale di decessi accertati. Che si tratti di poche migliaia o di diverse decine di migliaia di persone non lo sapremo mai con certezza. Quel che è certo è che, ancora oggi, un’area di quasi tremila chilometri quadrati attorno alla centrale è inabitabile e off-limits per uomo.
Chernobyl.
Bhopal, India.
Nigeria.
Bomba Atomica, Nagasaki
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1.2 Oggi
In tempi più recenti, nel 1997, è stato stipulato il protocollo di Kyoto nell’omonima città giapponese, entrato poi ufficialmente in vigore nel 2005 con la ratifica della Russia. In questo incontro, parteciparono inizialmente 180 stati e, in un secondo momento, se ne aggiunsero altri fino ad arrivare ad un totale di 192. L’obiettivo fissato era quello della riduzione al minimo delle emissioni gas serra che inquinano l’ambiente (anidride carbonica, metano, ossido di azoto, idrofluorocarburi, perfluorocarrburi ed esafluoruri di zolfo). Il protocollo prevedeva target vincolanti solo per i paesi industrializzati: per l’Europa la quota di riduzione assegnata era dell’8%, distribuita in modo differente da Paese a Paese: per l’Italia, ad esempio, era del 6,5%, per la Germania e la Danimarca del 25%. Era stata presa inoltre, la decisione di attuare delle politiche ambientali e industriali che rallentassero il riscaldamento globale per Stati aderenti al protocollo, chi non avrebbe rispettato gli accordi sarebbe stato punito con una sanzione pecuniaria. Gli obiettivi prefissati dal protocollo non solo non sono stati raggiunti da alcune nazioni, ma in casi come la Spagna e l’Italia, le emissioni sono aumentate, rispettivamente del 33,6% e del 15% . Anche il risultato degli altri paesi fù negativo (fra questi Austria, Danimarca, Olanda, Portogallo, Belgio, Irlanda e Finlandia), ma i valori assoluti delle emissioni sono decisamente meno importanti, secondo il rapporto "Greenhouse gas emission trends and projections in Europe 2009". Il mondo ha continuato a cercare delle soluzioni, a stipulare accordi per contenere il problema del surriscaldamento globale, e lo fa nel Novembre 2015 durante la Cop , o conferenza delle parti di Parigi, quando 195 paesi hanno adottato il primo accordo universale e giuridicamente vincolante sul clima mondiale, conosciuto come “l’accordo di Parigi”, in cui sono stati inclusi tutti quei paesi che nel protocollo di Kyoto non erano stati compresi.
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Di seguito, gli accordi fra i governi: • Limitare l’aumento medio della temperatura mondiale al di sotto di 2°C rispetto ai livelli preindustriali, puntando alla soglia di 1,5 gradi, come obiettivo a lungo termine. • Fare in modo che le emissioni globali raggiungano il livello minimo al più presto possibile, pur riconoscendo che per i paesi in via di sviluppo occorrerà più tempo. • Procedere successivamente a rapide riduzioni in conformità con le soluzioni scientifiche più avanzate disponibili.
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Europa L’Unione Europea già nel 2010, fra gli obiettivi di crescita sostenibile da definire, ha individuato alcuni obiettivi vincolanti per contrastare i cambiamenti climatici e giungere a un utilizzo più efficiente delle risorse energetiche. In sintesi gli obiettivi su clima ed energia sono: • ridurre del 20% le emissioni di CO2 • portare al 20% la quota di energia prodotta da fonti rinnovabili • migliorare del 20% l’efficienza energetica. L’Unione nel suo complesso però, ha raggiunto solo l’obiettivo sulle emissioni di gas serra. Per raggiungere la quota di energia rinnovabile prefissata mancano ancora 2,5 punti percentuali, mentre l’obiettivo sull’efficienza energetica risulta ancora lontano. Anche se l’Europa ha raggiunto l’obiettivo sulle emissioni di gas serra solo 15 paesi, considerati singolarmente, hanno raggiunto l’obiettivo. L’Italia non è tra questi. Parlando invece di rinnovabili l’Europa è ancora fortemente dipendente dall’energia importata da paesi esterni all’Unione: bisogna allora considerare che un miglioramento dell’efficienza energetica può, oltre che innalzare il livello di competitività dell’Ue, diminuire la dipendenza dalle importazioni di combustibili fossili.
Italia L’Italia ha raggiunto i target nazionali sulla percentuale di energie rinnovabili e sull’efficienza energetica, ma ha ridotto le emissioni di meno del 16%, dunque non ha raggiunto questo l’obiettivo del 20%. Nel nostro paese infatti le emissioni di gas serra sono costantemente aumentate dalla seconda metà degli anni ‘90 fino al 2005. Analogamente rispetto a quanto avvenuto nel resto dell’Unione, a seguito della crisi economica c’è stato un crollo nelle emissioni, ma non abbastanza da raggiungere l’obiettivo, mentre nel 2018 è tornato a salire il ilvello di CO2. Come già detto, nel nostro paese il ricorso all’energia da fonti rinnovabili è molto aumentato tra il 2011 e il 2012. Abbiamo raggiunto l’obiettivo nazionale, pari a una quota del 17%, già nel 2014. Le cose sono migliorate dopo la Cop25 tenutasi a Madrid, durante il quale è stato riscontrato che, a livello europeo, l’Italia è tra i Paesi più impegnati sul clima. Ha infatti raggiunto e superato gli obiettivi del pacchetto UE clima-energia 2020 e, con l’adozione delle misure previste dal Piano Nazionale Integrato Energia e Clima (PNIEC), saranno raggiunti anche gli obiettivi previsti dal “Quadro climaenergia” UE per il 2030. In linea con quanto proposto dall’Unione Europea, l’Italia ha inoltre avviato una consultazione pubblica per definire la “Strategia di lungo termine” per il 2050. 16
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Stati Uniti Il paese, già nel 2018, aveva registrato una forte crescita (del 3,4% rispetto all’anno precedente) secondo i risultati dell’istituto di ricerca Rhodium Group, i cui dati indicano che nel 2018 ad aumentare sono state le emissioni di tutti i macro-settori: energia, trasporti, industria e immobiliare. Di come sia scesa fortemente la produzione di elettricità garantita dalle centrali a carbone, in quegli anni chiuse perchè più inquinanti. A compensare tale declino, però, non sono state le rinnovabili ma il gas naturale. Che è meno dannoso in termini di emissioni di CO2 rispetto al carbone, ma che di certo non raggiunge i livelli di solare ed eolico. Il settore più dannoso in termini di dispersione di biossido di carbonio nell’atmosfera, tuttavia, è risultato quello dei trasporti. Per il terzo anno consecutivo, infatti, il consumo di carburanti per muovere persone e merci è la principale causa di emissioni negli Stati Uniti. Nel corso di quest’anno poi gli Stati Uniti hanno ufficialmente informato le Nazioni Unite dell’uscita dall’accordo sul clima di Parigi decisa da Donald Trump nel 2017. La motivazione sarebbe riconducibile alla differenza di trattamento riservata a paesi come la Cina che, secondo il presidente USA, ha la possibilità di estrarre carbone senza la ricevere richiami, a differenza dell’America. L’uscita degli Usa, dovrà attendere fino al prossimo mandato, nel quale Trump proverà ad essere rieletto.
Cina Il disimpegno degli Stati Uniti sull’emergenza climatica si sta riflettendo sulle scelte della Cina, un altro grande produttore di emissioni inquinanti. Wang Yi, rappresentante del governo di Xi Jinping, ha confermato che la Cina vuole mantenere gli impegni assunti con l’Accordo di Parigi, ricordando però che “alcuni paesi” non lo stanno facendo, con un chiaro riferimento agli Stati Uniti. Alcuni osservatori si aspettavano l’annuncio di nuovi impegni e con obiettivi più ambiziosi da parte della Cina, e c’è ora la preoccupazione che il rallentamento dell’economia cinese in parte dovuto alla “guerra commerciale” avviata da Trump con i suoi dazi possa essere un ostacolo all’avvio di politiche più incisive per ridurre le emissioni. Nel 2018 il consumo mondiale di energia è aumentato del 2,3%, un ritmo doppio rispetto alla media dell’ultimo decennio e di questi 33,1 miliardi di tonnellate di emissioni, 9,5 sono stati attribuiti alla Cina. Il problema di questo paese, come anche per l’India è che non riescono ad andare oltre il carbone, che è la più inquinante tra le fonti di energia. Nonostante la Repubblica Popolare sia leader nell’espansione di energia rinnovabile e nucleare, la sua crescita nelle energia pulite non riesce a tenere il passo con l’aumento del suo fabbisogno energetico. Per questo ricorre al carbone, con aumento dei consumi del 5%. Quasi identica la dinamica dell’India, unica altra grande economia mondiale ad avere aumentato il suo consumo di carbone. 18
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Germania Nel Settembre del 2019 il governo ha approvato la prima legge tedesca che affronta in modo organico il tema della lotta contro il cambiamento climatico (Klimaschutzgesetz), oltre al programma dettagliato di misure per raggiungere gli obiettivi ambientali nel 2030 in tutti i settori economici. In generale, la legge intende assicurare che la Germania soddisfi i traguardi climatici nazionali/europei in linea con gli accordi di Parigi (limitare il surriscaldamento globale sotto i 2 gradi centigradi); inoltre, si è posta l’obiettivo (a lungo termine) di realizzare, entro il 2050, un’economia neutrale in termini di gas a effetto serra. In una delle ultime dichiarazioni la cancelliera Angela Merkel ha però affermato che, per quanto riguarda il 2020, difficilmente verrà centrato l’obiettivo. Per quanto riguarda, invece, il programma di protezione climatica, il governo tedesco ha previsto,un mercato nazionale del carbonio in due settori, edifici e trasporti. Parliamo di un meccanismo di carbon pricing: lo scopo è far pagare le emissioni di anidride carbonica a chi inquina di più. Si partirà con un prezzo di 10 euro per la singola tonnellata di CO2 nel 2021, per poi salire progressivamente fino a 35 €/tCO2 nel 2025. Il programma tedesco prevede anche diverse misure di compensazione per cittadini e imprese. Ad esempio, il governo intende ridurre gradualmente il prezzo dell’energia elettrica tramite un alleggerimento di alcune voci che gravano sulla bolletta, come gli oneri di rete e il sovrapprezzo con cui si finanziano le fonti rinnovabili. Olanda Solitamente si pensa all’Olanda come uno dei posti più green fra i vari paesi del mondo, invece la qualità dell’aria in alcune zone olandesi è pessima; non solo non rispetta i parametri UE ma pone un serio rischio per la salute dei residenti. Nel 2018 l’Olanda si prefissò obiettivi ben più ambiziosi di quelli previsti dall’accordo di Parigi: il piano prevedeva a riduzione delle emissioni del 95% entro il 2050, ma il progetto non presentava ancora una strategia definita. In tempi ancor più recenti, il paese ha dichiarato che intende vietare la vendita di auto a benzina e diesel tra il 2025 e il 2040. Quest’anno inoltre (2020) ,dal 1 Gennaio l’Olanda limiterà la velocità delle auto a 100 K/h per limitare le emissioni di CO2 . Nel campo delle rinnovabili invece, i Paesi Bassi stanno investendo moltissimo sull’eolico e sul fotovoltaico. Di quest’ultimo, l’Olanda potrà vantare l’avvio del più grande arcipelago fotovoltaico. India Narendra Modi, primo ministro indiano, ha confermato di voler aumentare la percentuale di energia prodotta da fonti rinnovabili in India entro il 2022, ma non ha comunque preso impegni più concreti. L’India mantiene un’alta dipendenza dalle centrali a carbone per la produzione di energia elettrica, e i piani per passare ad altre fonti sono ancora confusi. 20
Stato a processo Olanda, sentenza storica sul clima: lo Stato, portato in tribunale dai cittadini, condannato a ridurre le emissioni inquinanti. Plastic Road Un progetto 100% sostenibile, basato sui principi di prefabbricazione e modularità. Una valida alternativa alle strade tradizionali attraverso la realizzazione di un materiale costituito da plastica riciclata.
Olanda, protesta per il clima
Olanda, Plastic Road concept 21
Danimarca Nel lontano 1971, la Danimarca aveva già istituito un ministero dell’Ambiente, quando nel resto del mondo la problematica dell’inquinamento non era ancora all’attenzione dei governi e dei cittadini. Oggi è il paese green per eccellenza, ed è sempre più lanciata nella transizione verde con un progetto ambizioso: tagliare le emissioni di gas climalteranti del 70% entro il 2030. Già avviata anche nel campo delle energie rinnovabili tanto che il 9 luglio 2015, quando, complice un’insolita quantità di vento, le pale eoliche del Regno hanno regalato alla popolazione danese il 116% della domanda elettrica complessiva che si è trasformato nel 140% alle 3.00 del mattino successivo, grazie al calo dei consumi notturno. L’uso metodico, sistematico e addirittura periodico della bicicletta fa quasi sparire il petrolio. Se ne contano circa 650mila contro le sole 125mila automobili. La Danimarca, infatti, è stato il primo paese ad aver introdotto nel 1993 un sistema unificato di segnaletica ciclabile al quale hanno fatto seguito negli anni parcheggi dedicati alle bici e un efficiente servizio di bike sharing che ha portato nel 2013 ad inaugurare addirittura un’autostrada per biciclette per favorire uno stile di vita a impatto zero e ridurre i rischi per chi decide di spostarsi muovendosi solo in bici. Infine, per riconfermare il primato del paese, è danese l’isola a impatto zero alimentata dal vento. Samso, un lembo di terra danese di 114 chilometri quadrati davanti allo Jutland, trasformata in una vera oasi sostenibile grazie alla partecipazione dei suoi abitanti. Un progetto che non solo ha tagliato le emissioni nocive nettamente e ridato vita al tessuto sociale dell’isola, ma che dimostra come sia possibile vivere con il 100% di energia pulita.
L’accordo di Parigi sembra essere la strada giusta per tornare ad avere una realtà più pulita sotto tutti gli aspetti (aria, oceani, terra). Bisogna sicuramente ammettere però che questo impegno globale non presenta però molti vincoli per i paesi aderenti. Non sono infatti previste né un organo per il controllo delle varie nazioni né sanzioni alle stesse (come nel protocollo di Kyoto) nel caso in cui un membro non dovesse raggiungere l’obiettivo prefissato, questo potrebbe tradursi in promesse non mantenute. Ogni stato inoltre, crea autonomamente un proprio piano per la riduzione dell’inquinamento nel proprio paese, questo può creare grandi differenze in termini di quantità di lavoro “da svolgere” fra i partecipanti all’accordo. 22
Danimarca, Isola di Samso
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2 . Anno 2100
Eventi come l’accordo di Parigi sono un collettivo atto di amore per il proprio pianeta e tentativo di migliorare la situazione non solo dell’ambiente, ma anche delle generazioni future che, senza un’educazione al rispetto del pianeta, si troveranno, fra 80 anni, un mondo molto più ostile sotto molti punti di vista come clima, alimentazione, nuovi e più resistenti batteri. Anno 2100, come per il precedente periodo, sembra una data piuttosto lontana. Eppure, ipotizzando che a 30 anni io abbia una figlia, e che questa a sua volta faccia un figlio anch’essa a 30 anni, nel 2100 io avrei 106, mia figlia 76 e mio nipote 49. Questo significa che parte della mia generazione, quella dei miei figli e dei miei nipoti, conosceranno un pianeta ben diverso da quello in cui abbiamo la fortuna di abitare oggi. Tenendo a mente questo piccolo preambolo, vediamo ora stime e previsioni sugli accadimenti e cambiamenti che troveremo intorno agli anni 100, prodotte da diversi centri di studio e ricerca:
2 .1 Clima Alcuni studi hanno provato a fare una stima dei cambiamenti climatici utilizzando dei modelli derivati da informazioni definite dall’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change, l’organismo delle Nazioni Unite che studia l’evoluzione del clima). Sono stati individuati due possibili scenari: il primo, che non si interessa di limitare i consumi, vede un aumento continuo delle emissioni di gas climalteranti, il 58% del nostro Pianeta potrebbe essere interessato da un nuovo record di temperatura massima almeno una volta l’anno entro il 2100. Il secondo, che cerca invece di mantenere il global warming sulla soglia dei 2 gradi, come previsto dagli accordi internazionali di Parigi, le zone esposte ogni anno alle ondate di calore fuori scala saranno molto più ristrette, perché si parla in questo caso del 14% del Pianeta. Sostanzialmente in entrambi i casi (di cui il primo con maggiori criticità) si avrà un intenso aumento del caldo e un’altrettanta emissione di gasserra nell’atmosfera. I paesi più colpiti saranno quelli in via di sviluppo e i paesi tropicali. Senza una rapida e drastica diminuzione delle emissioni di CO2, le conseguenze potranno essere catastrofiche per un numero elevato di persone su scala globale: siccità, mancanza di cibo, devastazioni di interi ecosistemi, aree che diventeranno inabitabili. 24
Lettera dal 2100 Questo video, che è stato per me di grande ispirazione, riassume in pochi minuti, lo stato in cui potrebbe versare la terra nel 2100. La caratteristica, di forte impatto, sta nell’ipotetico narratore, il quale non si identifica in un ricercatore, ma una ragazza che scrive una lettera alla nonna, vissuta negli anni 20 e 60 del nostro millennio.
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2.2 CttĂ invivibili
Secondo uno studio pubblicato su Nature, ondate di calore e aumento dei livelli del mare metteranno in ginocchio diverse metropoli urbane con milioni di abitanti: l’obiettivo è capire quali zone, senza una chiara lotta al cambiamento climatico, rischiano di diventare invivibili entro il 2100.
New Orleans. Da ricordare per l’inondazione subita nel 2005 per via dell’uragano Katrina; è infatti, secondo il rapporto, tra le città al mondo maggiormente vulnerabili. Si calcola che se solo salisse il livello del mare di circa 90 centimetri, più di 100mila residenti (un terzo della popolazione) finirebbero sott’acqua. India. Attualmente circa il 2% della popolazione è costretto a vivere con una temperatura di bulbo umido di circa 33 gradi centigradi, vale a dire con tassi di umidità elevatissimi (a una temperatura di bulbo umido di 35 gradi il corpo umano può sopravvivere solo per poche ore). Si calcola che la quota, entro fine secolo, arriverà a interessare il 70% del paese.
Shanghai. La terza città per abitanti al mondo con le sue 25 milioni di persone, subirà ondate di calore in aumento d’intensità fino a diventare “fortemente minacciose” per la salute umana, con una situazione davvero difficile dopo il 2070. Chicago. Il problema principale sembra essere il caldo intenso e le sue ondate che nel 1995 uccise oltre 700 persone e, come riportato nelle stime dello studio, un fenomeno di questa portata potrebbe verificarsi adesso con una maggiore probabilità, e in qualsiasi momento.
Miami. Più di 3,3 milioni di residenti andranno incontro a violente alluvioni nel giro di 80 anni. Tra il 2010 e il 2100 oltre 13 milioni di persone potrebbero essere esposte a un aumento di circa 180 centimetri del livello del mare, e di queste circa un quarto vivono nelle zone tra Miami e Broward, in Florida.
Dubai. In questo paese i problemi legati all’aumento della temperatura sembrano essere più o meno gli stessi. La città, infatti, rischia di raggiungere i 45 gradi centigradi di media, durante il periodo estivo, già a partire dal 2070.
Abu Dhabi. Siccità e caldo intenso in un costante aumento con temperature che metteranno in serio “pericolo la vita delle persone”.
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Miami.
Venezia.
New Orleans.
Ipotetica mappa dell’Italia nel 2100 29
2.3 Flora e fauna
Abbiamo già potuto assistere alla potente capacità di adattamento e rinascita di flora e fauna, si pensi agli ettari di foreste bruciate, al disastro radioattivo di Chernobyl, alle inondazioni e a tutti i disastri naturali e artificiali. Entro il 2100 però, gli ecosistemi del nostro pianeta dovranno sottoporsi ad un ulteriore prova di resistenza e adattamento . Fino a questa data infatti, i mutamenti climatici globali modificheranno la vegetazione di quasi metà della superficie terrestre e condurranno a una conversione di circa il 40% degli ecosistemi e dei biomi dalla attuale tipologia , ad esempio foresta, prateria o tundra , in un’altra. E’ stato stimato un crescente mutamento ecologico e di stress nella biosfera terrestre, con molte specie vegetali e animali costrette ad affrontare una accentuata competizione per la sopravvivenza e con significativi sovvertimenti di specie, le autoctone infatti, verranno empre più frequentemente ‘rimpiazzate’ da altre specie aliene invasive. La maggior parte della superficie terrestre non coperta da ghiaccio o deserto è destinata ad affrontare una variazione di almeno il 30% della vegetazione. Mutamenti che richiederanno notevole sforzo di adattamento (e, spesso, il vero e proprio trasferimento) della fauna tipica o degli stessi esseri umani (ricordiamo ciò che abbiamo detto sulle inondazioni di città come New York). I ricercatori hanno rilevato uno spostamento di biomi, o grandi tipi di comunità ecologiche, verso i poli della Terra e verso altitudini più elevate. Il fenomeno è più accentuato per quanto riguarda praterie temperate e foreste boreali. L’area del Mediterraneo rientra poi a pieno titolo tra gli “hotspots” più sensibili (aree destinate a dover sopportare il grado maggiore di sovvertimento di specie) individuati dallo studio, assieme a regioni dell’Himalaya e del Tibet, all’Africa equatoriale orientale, al Madagascar, alle propaggini meridionali del Sud America e alle regioni dei Grandi Laghi e delle Grandi Pianure in America Settentrionale. Non sorprende, inoltre, che le maggiori aree di sensibilità ecologica, dove sono previsti più drastici mutamenti di bioma per questo secolo, si trovino in zone interessate da cambiamenti climatici particolarmente accentuati: alle alte latitudini dell’emisfero settentrionale, in primo luogo ai margini delle foreste boreali. Questo stravolgente mutamento non si riferisce solo alla vegetazione, anche la fauna dovrà lottare per la sopravvivenza, lo studio prevede, infatti, che i mutamenti climatici romperanno l’equilibrio biologico tra specie vegetali e animali interdipendenti e, in molti casi, già minacciate; ridurrà quindi la biodiversità e condizionerà in maniera negativa i cicli dell’acqua, dell’energia, e di altri elementi.
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2 .4 Superbatteri
La resistenza antibiotica è destinata a diventare una delle principali sfide per la salute dei prossimi decenni. I ceppi batterici antibioticoresistenti di Escherichia coli, Malaria e Tubercolosi sono quelli che destano maggiori preoccupazioni. La principale causa è attribuita all’abuso di antibiotici anche nei casi in cui questi non sono necessari. Più nello specifico, l’abitudine di assunzione degli stessi, anche per trattare infezioni virali; prenderli senza la prescrizione del medico, o per un periodo più esteso di quello raccomandato; o ancora, assumerli a scopo preventivo. Inoltre, ad arricchire lo spettro di abuso di farmaci, c’è l’utilizzo degli antibiotici somministrati agli animali d’allevamento, i cui residui, attraverso lo sterco e le falde acquifere, si diffondono nell’ambiente, contribuendo a desensibilizzare germi e batteri, senza pensare poi alla quantità di sostanze che restano all’interno delle carni che arrivano sulle nostre tavole. Anche in questo caso (come in quello dei cambiamenti naturali della terra) la resistenza agli antibiotici è stata accelerata proprio dall’abuso. L’Italia è uno dei paesi europei che ne usa di più. I sistemi di sorveglianza confermano che anche il fenomeno della resistenza è tra i più elevati per i paesi europei, più al centro e al sud che nel nord Italia, in stretta relazione con il consumo. Secondo dati dell’Istituto superiore di sanità, quasi la metà degli italiani che nel 2007 hanno assunto un antibiotico lo ha fatto senza la prescrizione del medico. Alta anche la percentuale di chi usa farmaci in caso di influenza e raffreddore, quando normalmente non servono. Le soluzioni a questo problema sono quelle di combinare diversi antibiotici tra quelli esistenti, di rinforzare le molecole con sostanze adiuvanti che rendano i microbi resistenti di nuovo suscettibili e di mettersi alla ricerca di nuovi composti antibatterici.
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3. Arte per il pianeta
L’arte è sempre stata sensibile per natura. Si dice che gli artisti siano persone dall’animo fragile, esseri umani che captano, meglio di altri, le sensazioni, le emozioni, le essenze di ciò che li circonda. Anche rispetto alla crisi climatica, agli sprechi e a tutto ciò che nuoce all’ambiente, gli artisti sono stati una delle prime “categorie” di persone che si sono mobilitate per lanciare un messaggio, risvegliare le coscienze, per liberare il mondo dal torpore della nuova vita tecnologica.
3.1 Land Art
Come già detto, il periodo successivo alla Seconda Guerra Mondiale, vide un grande sviluppo di tecnologie e, di conseguenza l’entrata nell’era consumistica. A questo, si contrappone subito un movimento artistico nato negli anni sessanta in America definito Land Art e caratterizzato dall’intervento diretto dell’artista sul territorio naturale, specie negli spazi incontaminati come deserti, laghi salati, praterie, ecc. Con la definizione di Land Art, e con quella di Earth Workers, vengono indicate quelle operazioni artistiche che sono realizzate da un gruppo di artisti, che si autodefiniscono fanatici della natura, delusi dall’ultima fase del Modernismo e desiderosi di valutare il potere dell’arte al di fuori dell’ambiente asettico degli spazi espositivi e anche delle aree urbane caratterizzate dalla presenza delle istituzioni, intervenendo direttamente sul territorio. La Land Art è l’arte realizzata con rami, foglie, pietre, terra, acqua; un’arte effimera esposta al sole, alla pioggia e al freddo, in grado di creare un rapporto diretto con la natura, servendosi di ciò che c’è senza intaccare l’ambiente, rispettando il contesto ed esaltando le bellezze già presenti.Agire in luoghi solitari, non toccati o abbandonati, porta l’uomo alla comprensione della sua limitatezza di fronte alla vastità del mondo naturale. Il grande impiego di energie umane e mezzi meccanici risultano, alla fine, ben poca cosa di fronte alla forza primordiale e ai tempi lunghissimi della natura: le forme geometriche primarie sono segni destinati prima o poi ad essere riassorbiti dai processi naturali e il progressivo degrado delle opere e la quasi inaccessibilità dei luoghi fa sì che queste risultino inamovibili e, con il passare del tempo, invisibili. Il nostro rapporto con la terra è complesso: anche se sfruttiamo e aggrediamo la natura per strapparle ciò che è necessario alla nostra sopravvivenza, siamo tuttavia consapevoli della sua trascendente imperturbabilità, del suo immenso potere.
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Walter De Maria. Artista poliedrico, scultore, land artist, compositore, persino batterista nella rock band “The primitives”. Nella land-art si distingue con l’opera The Lightning Field del 1977 in cui attrae i fulmini di una tempesta nel deserto del New Mexico con una griglia di 400 pali di acciaio. Si rivela inoltre una figura chiave del minimalismo presentando installazioni scultoree ridotte all’essenzialità geometrica. Lightning Field. Impotenti, isolati, è così che si sentono i fruitori dell’opera “Lightning Field” di Walter De Maria, sopraffatti dal silenzio delle giornate quiete, dall’immenso spazio vuoto del campo, dalla potenza dei fulmini che cadono sugli steli di metallo, spesso rendendoli incandescenti. In quest’opera è infatti richiesta una partecipazione intensa che comporta il massimo grado di magicità e di isolamento: il Lightning Field è visitabile, ogni settimana, da un numero ridotto di persone, non più di sei, e ogni sopralluogo deve durare almeno 24 ore, così da partecipare, dall’alba al tramonto, a tutti gli incidenti e le incidenze naturali. L’impostazione dell’opera è musicale, ha infatti una partizione che è sempre la stessa ma è soggetta al mutamento dell’ambiente circostante in termini di stagionalità e climaticità. Ciò che l’artista cerca di fare è sollecitare un ascolto prolungato della materia, in modo da individuarne le modulazioni e aggrapparsi sensorialmente a esse. Una sorta di ritorno alle origini, quando ancora l’uomo era totalmente in sintonia con la natura, e poteva trovare un legame con la melodia di una folata di vento, lasciarsi intimorire dal tuono e stupire dal disegno del fulmine.
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Earth Room. Un loft a Manhattan, New York, ricoperto di terra fino al ginocchio. La natura invade un appartamento, simbolo della vita urbana di una città in eterna evoluzione, crescita e cementificazione, dove l’unica percezione con il paesaggio è dato dal dominio dei maestosi edifici e il contatto con la natura quanto di più artificiale si possa trovare. La terra che riempie le stanze è viva, cosí come sarebbe tutta la terra che ricopre il pianeta se l’impatto dell’uomo non fosse stato cosí nocivo. Sempre nuove forme di insetti si dischiudono in essa, muschi, muffe e licheni. Sul significato di questa e delle sue altre opere, Walter de Maria ha lasciato ben pochi segni, preferendo che fosse il fruitore ad elaborarne il contenuto a partire dalle proprie percezioni, qui, in primis, quella olfattiva e a seguire quella sonora e visiva.
Walter De Maria, Lightning Field 39
Walter De Maria, Earth Room
Robert Smithson, Spiral Jetty. Forse una delle più iconiche immagini quando si pensa alla Land Art è proprio Spiral Jetty di Smithson, un’opera mastodontica da 6000 tonnellate di rocce basaltiche, cristalli di sale, alghe e acqua. Dal lago si protende una linea che si ricollega alla spirale per un totale di 1450m di lunghezza, ancorati a una circonferenza spiralica con diametro di 450m. Smithson decise di scegliere un paesaggio eremitico, in questo caso giustificato dal precedente progetto di costruzione di un impianto industriale, poi abbandonato. L’opera di Smithson si rivolge così a un paesaggio largamente compromesso dall’uomo, il Great Lake Salt, dapprima sfruttato dai cercatori d’oro per le sue miniere petrolifere e poi adibito a sito per impianti petroliferi. Smithson sceglie la forma di una spirale per il suo richiamo immediato alla perfezione del mondo naturale. Non può non saltare alla memoria la geometria aurea del Nautilus o l’andamento centripeto dei gorghi acquatici. Si viene a creare poi, anche un interessante gioco cromatico, che vede l’acqua tendere verso un colore rossiccio in prossimità delle linee di contorno dei cerchi e variare le sue tonalità in tutti gli spazi tra una linea e l’altra. Questi rapporti tra forme e colori contribuiscono a creare, un luogo di solitudine e riflessione, dove ci si può allontanare dalla frenesia urbana. Un altro elemento distintivo è la sua fragile esistenza. L’opera infatti, ha subito mutamenti nel corso del tempo, immergendosi per 21 anni e tornando poi visibile ma differente per i colori della superficie a causa del deposito di sali marini. Il messaggio che l’artista vuole mandare è quello di un’opera d’arte slegata dal circolo vizioso dei mercati dell’arte, un’opera in continua trasformazione nel suo luogo natale, a cui è stato dato un tocco iniziale da parte di Smithson ma che ora è lasciata al mutamento, diventando inafferrabile, lontana dalla distruzione dell’uomo, ambasciatrice dell’ambiente e del suo bisogno di essere salvato, o lasciato in pace. Opere analoghe create da Smithson sono il Broken Circle e la vicina Spiral Hill, realizzate ad Emmen in Olanda, durante l’estate del 1971. Il paesaggio è molto simile a quello della Spiral Jetty. Nel caso del Cerchio Spezzato l’artista si serve della sabbia dorata della spiaggia di un piccolo lago vicino alla città, formatosi all’interno di una cava dopo i lavori di estrazione. Il sistema costruttivo è ancora una volta lo scavo e riposizionamento del terreno così da formare due archi di cerchio simmetrici, uno riempito d’acqua, l’altro è invece un cumulo di sabbia lineare. Le forme e i materiali ricorrono anche nella Spiral Hill nella quale, questa volta, il terreno scuro si avvolge verso l’alto in un vortice di terra.
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Robert Smithson, Spiral Jetty 43
Robert Smithson, Broken Circle
Andy Goldsworthy. Questo artista è legato alla Land Art in un modo ancora più puro. Lavora infatti come scultore della natura, utilizzando solo materiali provenienti da essa, senza contaminare le sue opere con macchine o macchinari. Il suo approccio non solo rende la natura il coautore del suo lavoro, ma sottolinea che gli esseri umani non sono separati dalla natura, ma ne costituiscono piuttosto una parte inesorabile. Il lavoro di Goldsworthy si basa su un’estetica minimalista che deriva dal vedere la poetica nel quotidiano. Pietre, rocce, rami, ramoscelli, foglie e ghiaccio sono disposti con cura e pazienza, facendo uso di vari motivi ripetuti come linee serpeggianti, spirali, cerchi e buchi. Il passare del tempo e la sua eventuale dissoluzione della materialità sono fondamentali per il lavoro di Goldsworthy. Concentrandosi sull’effimero, l’artista rifiuta l’idea dell’arte come merce da esibire e vendere. Inoltre, l’utilizzo di oggetti che si decompongono riflettono l’idea di un mondo, da noi abitato, in continua evoluzione e la necessità di capire che nulla è eterno.
Red Leaf Patch. Il passare del tempo è l’attributo principale di Red Leaf Patch. L’idea è quella di un lavoro che alla fine svanirà in natura. Le foglie saranno rosse solo per una stagione, in seguito diventeranno nere e marciranno, risultando infine un tutt’uno con il terreno. Come ha affermato Goldsworthy, la sua arte lo ha reso consapevole di “come la natura è in uno stato di cambiamento e come quel cambiamento sia la chiave per capire. Voglio che la mia arte sia sensibile e attenta ai cambiamenti nel materiale, nella stagione e nel tempo”. Goldsworthy si riferisce poi, all’artista del Bauhaus Joseph Albers i cui studi hanno sottolineato il potere del colore nella creazione dello spazio.
Icicle Star, L’ opera è stata creata unendo dei pezzi di ghiaccio attraverso il solo uso della saliva. Insieme ad altri pezzi analoghi, questa stella esprime l’idea e il concetto di fragilità della natura, data dalla scarsa stabilità nel momento in cui l’artista unisce le parti di ghiaccio, dal possibile scioglimento dell’opera, dalla conseguente probabilità che la stessa vada in frantumi nel momento in cui Goldsworthy decide di spostarla per documentare l’azione artistica.
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Andy Goldsworthy, Red Leaf Patch 47
Andy Goldsworthy, Icicle Star
Richard Long. Fotografo e scultore britannico, a partire dagli anni Sessanta si avvicina alla Land Art creando nuovi paesaggi durante il suo cammino intorno al mondo. I suoi principali lavori consistono nella creazione di forme (cerchi, linee, croci) utilizzando solo i materiali autoctoni a disposizione, come pietre, sabbia, tronchi, aggiungendo o togliendo materiale dal sito. In alcuni casi, come in “A line made by walking2 (Inghilterra, 1967) e “A walking and running circle” , fa nascere le sue forme dall’azione del camminare continuo lungo una stessa linea nel terreno, tanto da lasciare una traccia ben visibile del suo passaggio. In altre occasioni lascia che siano gli elementi naturali e le leggi della fisica a completare l’opera. Gli elementi di cui si serve l’artista, lo ispirano a lasciar tracce, segni, impronte che risvegliano energie primordiali e primitive. Nelle sue foto porta la propria testimonianza del suo lungo cammino, fisico, spirituale e artistico, attraverso luoghi deserti, dove la natura incontaminata mostra la sua potente libertà e autonomia aprendosi a grandi prospettive e impervi orizzonti. Rispetto ad altri land artist, che utilizzano anche macchinari per il trasporto di materiali più massicci, Long non si ritrova nella definizione usuale di land artist, ma è legato maggiormente ai sentimenti di leggerezza meditativa ed estetica, al carattere effimero e sfuggevole della naturalità degli elementi. Five Stones. Quest’opera consiste in una foto scattata dalla cima di un declivio di sabbia subito dopo aver lasciato rotolare liberamente cinque pietre, fatte partire da una linea retta orizzontale ma terminate in punti completamente diversi ai piedi della pendenza. A Walking Around Circles. Si tratta di un altro tracciato, questa volta creato camminando in cerchio. Alcune geometrie sono insistentemente ricorrenti negli interventi di Richard Long, sono le forme archètipe del triangolo, del cerchio, della spirale e della linea. In esse si avvertono aria, luce, mobilità atmosferica e vibrazioni naturali. Gli elementi di cui si serve lo ispirano a lasciar tracce, segni, impronte che risvegliano energie primordiali e primitive.
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Richard Long, Five Stones 51
Richard Long, A Walking Around Circles
Alberi in adozione Joseph Beuys. Artista tedesco fra i più emblematici rappresentanti della corrente concettuale nell’arte del secondo 900, Beuys fu uno dei fondatori del movimento ecologico “i verdi” in Germania, un gruppo di ambientalisti e pacifisti che si opponevano all’uso dell’energia nucleare e si battevano per migliorare la qualità della vita nelle grandi città. Oltre all’impegno per l’ambiente, i verdi si schieravano a favore dei diritti di omosessuali e contro opere pubbliche dal forte impatto ambientale. Joseph Beuys, 7.000 Querce. Proprio di sensibilizzazione, ecologia, parla l’opera 7.000 querce, di quel rapporto fra uomo e natura che, già nel 900, si era incrinato. L’artista, si presentò alla settima edizione della mostra «Documenta», che ogni cinque anni viene tenuta nella cittadina tedesca di Kassel, non con una vera e propria scultura, ma accumulando davanti al museo Federiciano di Kassel, un triangolo formato da 7.000 pietre basaltiche. Queste, sarebbero state “adottate” dopo il versamento di una quota in denaro, e al suo posto sarebbe stata piantata una quercia. La piantagione degli alberi si concluse nei cinque anni successivi, l’ultima quercia venne piantata infatti solo nel 1978, quando l’artista era ormai già morto. In realtà l’opera si compirà in un arco molto più ampio, serviranno infatti, circa trecento anni prima che l’insieme delle querce piantate diventi il rigoglioso bosco che Beuys immaginava pensando a questa opera. 7.000 querce diventa un nuovo concetto di arte, qualcosa che non è acquistabile, che non può essere fruito come “l’oggetto d’arte” a cui il mondo era abituato. Questo è un rito, un’azione collettiva e un pensiero profondo, su quel rapporto uomo-natura che via via viene frantumandosi, sull’interesse, già negli anni ‘80, da parte dell’artista e non solo, rispetto alla crisi ecologica.
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Oggi, l’opera di Beuys è diventata un esempio mondiale che molte associazioni e aziende seguono. E’ facile infatti, trovare siti online che ci permettono di adottare alberi, di regalarne ad amici e parenti per natale, di salvaguardare e pulire metri quadri di foreste tramite un acquisto online.
Joseph Beuys, 7.000 quercie 55
Joseph Beuys, 7.000 quercie
3.2 Street art per l’ambiente
La Street Art è un’espressione artistica che prende forma negli spazi pubblici, come ad esempio strade, muri, stazioni. Talvolta vengono predisposti anche degli spazi espressamente dedicati, ma spesso questa forma di manifestazione artistica si fa strada attraverso atti illegali. In effetti, ancora oggi, il confine tra quello che viene considerato vandalismo e arte, rimane una linea molto sottile. Anche questa forma d’arte, nonostante si esprima attraverso l’uso di bombolette spray (non sempre ecologiche), tenta di mandare messaggi chiari e diretti al mondo sul problema dell’inquinamento e dell’indifferenza da parte dei “potenti”, spesso utilizzando, in modo molto intelligente, l’ambiente circostante, come nel caso di “Pianeta al capolinea” di Pejac o “Non credo nel global warming” di Banksy. Scostandosi poi, dal graffito tradizionale, è possibile trovarsi di fronte a murales creati con il muschio, uno strumento naturale per la lotta contro linquinamento dell’aria. O ancora, dopo lunghe ricerche, è stata prodotta una vernice che assorbe lo smog e restituisce aria pulita.
Banksy, Baloon girl
Banksy, Non credo nel global warming. Opera e frase che corre a filo d’acqua lungo il Regent’s Canal a Camden, nel nord di Londra. L’artista l’ha scelta per protestare a fronte del fallimento della conferenza sul clima di Copenaghen. Banksy, Extintion rebellion. Un murales che raffigura una bambina mentre regge un piccolo cartello di Extinction Rebellion, il gruppo di ecologisti nato in Gran Bretagna, accanto a una piantina verde che sta crescendo da un cumulo di terra e brilla nel grigio del muro. E le parole “Da questo momento la disperazione finisce e le tattiche iniziano”. È stato scoperto durante la notte nei pressi di Hyde Park, a Londra, accanto al campo base che era stato allestito e occupato dagli attivisti del clima.
Banksy, Nevicata di cenere. Il primo sguardo, alla parete del garage privato che l’artista ha scelto per la sua nuova opera, mostra un bambino vestito con cappello e cappotto pesanti, ai suoi piedi c’è una slitta. Il bambino tiene le braccia spalancate, il viso rivolto al cielo e la bocca aperta ad accogliere con la lingua i fiocchi di neve che cadono dall’alto. Gli occhi sgranati per la meraviglia. Basta girare l’angolo e il murale cambia completamente aspetto: sull’altra parete dell’edificio, infatti, Banksy ha dipinto un cassonetto incendiato: è da lì che si alza la colonna di fumo che fa nevicare cenere sul bambino. L’opera si trova a Port Talbot, cittadina del Galles tra le più inquinate della Gran Bretagna, la storia di questa città nasce nel 900 intorno alle acciaierie, e ad oggi, le ciminiere continuano a fumare a pieno regime.
Banksy, Mi ricordo quando era tutta campagna. Un’ aspra critica per la cementificazione selvaggia che ritrae un ragazzo con una lattina di vernice e un pennello in mano, autore della scritta al suo fianco, con sguardo impassibile indirizzato a chi guarda il murale. Il graffito è stato eseguito sul muro di un edificio abbandonato, in quello che una volta era la fabbrica di automobili Packard a Detroit, nel Michigan, oggi terra desolata di cemento, vetro e acciaio fatiscenti.
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Banksy, Mi ricordo quando era tutta campagna
Banksy, Non credo nel global warming 61
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Banksy, Extintion Rebellion 63
Banksy , Nevicata di cenere
Blu, Una fetta di inquinamento. A Grottaglie, in Puglia, BLU crea una torta simile alla terra: una copertura fatta di vegetazione con al di sotto degli strati di terra e rocce. Al suo interno però, tolta una fetta di torta, troviamo ciò che l’uomo ha iniziato a nascondere all’interno della terra, plastiche, liquidi tossici e tutto l’inquinamento che è possibile immaginare.
BLU, Appetite for Destruction. Un uomo con denti a forma di palazzi sta divorando un’albero. impresso sulla facciata di un palazzo di Belgrado, questo murale raffigura la metafora delle continue deforestazioni da parte delle multinazionali interessate esclusivamente alla produzione per i propri interessi economici.
BLU, Sete Insaziabile. A Lisbona, questo graffito, tratta il tema dello sfruttamento che lega l’ambiente alle multinazionali, un manager indossa infatti, una corona con sopra disegnati i loghi di imprese petrolifere (le più famose) e tiene il pianeta tra le mani mentre ne sorseggia il succo.
Blu, Il tempo sta per scadere. Un murales che raffigura una clessidra, con all’interno, nella parte superiore piena d’acqua, un iceberg. Sotto una città, che lentamente viene sommersa dal continuo scendere di piccole gocce d’acqua. Il rimando è chiaro e diretto, lo scioglimento dei ghiacciai causati dal global warming, porteranno gravi conseguenze a molte zone del pianeta, che verranno irrimediabilmente sommerse.
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Blu, Sete Insaziabile 67
Blu, Una fetta di inquinamento
Blu, Appetite for Destruction 68
Blu, Il tempo sta per scadere 69
Di seguito altri artisti, vicini al cambiamento climatico, alla deforestazione, alla lotta contro l’inquinamento:
Nemos, Uomini mangia-alberi. Un’altra denuncia sociale in difesa del verde da parte dell’artista italiano. Come per il graffito di Banksy, esprime il concetto della deforestazione o più in generale dell’attacco alla vegetazioe per la costruzione di abitazioni, per la cementificazione dell’ambiente.
Iena Cruz, Hunting Pollution. Grande e coloratissimo, il murales che si trova nel quartiere Ostiense a Roma. L’ opera d’arte, inaugurata ufficialmente il 26 ottobre 2019, oltre alla funzione decorativa, aiuta anche l’ambiente. Questo perchè realizzata con Arlite, una pittura speciale che “mangia” l’inquinamento, i batteri e i cattivi odori purificando l’aria. Questa eco-vernice si attiva grazie all’energia della luce e può ridurre l’inquinamento circostante fino all’88%. Un muro di 100mq ricoperto di Arlite ad esempio, purifica l’aria come 100mq di bosco. Non a caso l’opera, realizzata dallo street artist di fama internazionale Iena Cruz, si chiama “Hunting Pollution” (“cacciando l’inquinamento”) e raffigura un enorme airone tricolore, specie in via d’estinzione, che cattura nel suo becco un pesce che nuota in un mare inquinato. L’enorme murales in eco-vernice è stato realizzato da Iena Cruz in collaborazione con Yourban 2030, un’associazione noprofit, che ha promosso la realizzazione di quest’opera green. L’ obiettivo, oltre a combattere l’inquinamento, è quello della sensibilizzazione sulle tematiche ambientali.
Pejac, Pianeta al capolinea. Titolo simile a “il tempo sta per scadere” del già citato Blu, in questo caso però al posto della clessidra troviamo disegnati tutti i paesi del mondo come se fossero stati tracciati con un olio motore, un liquido nero, tossico, che si sta sciogliendo e riversando in un tombino li accanto. E’ proprio l’utilizzo di questo elemento urbano a rendere l’opera di grande impatto, facendo riflettere sulla quantità di materiale inquinante finisce nelle acque e successivamente nei mari, avvelenando tutto il pianeta.
Natalia Rak, Là dove c’era un fiore. La vernice interagisce con la realtà in quest’opera in cui una bambina dalle treccine rosse, dipinta su un muro, crea un delizioso gioco di prospettive innaffiando in punta di piedi un albero cresciuto poco lontano dalla casa. L’albero però, è reale. Il graffito colora un edificio popolare di Bialystok, in Polonia.
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Nemos, Uomini mangia-alberi
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Pejac, Pianeta al capolinea 72
Natalia Rak, Là dove c’era un fiore 73
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Airlite eco spray Il murale di Cruz è stato sicuramente una rampa di lancio della nuova vernice Airlite, questa non si limita però all’arte, si pone invece l’obiettivo di creare spazi puliti da smog e la riduzione dei gas serra. Nello specifico la riduzione dell’inquinante NO2, è di oltre l’80% in laboratorio e del 50% in ambiente reale. Si tratta di un processo non dissimile dalla fotosintesi clorofilliana: il segreto della eco vernice, infatti, è lo sfruttamento della potenza della luce per liberare molecole ossidanti che attaccano gli agenti inquinanti e li trasformano in sali minerali del tutto innocui. Tra i benefici di Airlite c’è anche la possibilità di eliminare, stando ai test, il 99,9% di batteri presenti presenti sulla superficie, compresi i cosiddetti superbatteri.
Iena Cruz, Hounting Pollution 75
3.3 Moss Graffiti
Antenata della nuovissima vernice utilizzata a Roma, la miscela per il Moss Graffito unisce il mondo vegetale del muschio a quello dell’arte del murales. E’ facilmente intuibile che la presenza di verde ripropone il gioco messo in atto dalla vernice che trasforma l’inquinamento, inglobando CO2 e rilasciando ossigeno. I Moss Graffiti nascono dalle sperimentazioni di Edina Tokodi, in arte Mosstika (moss= muschio + tika= suffisso di politica). L’artista ungherese, in collaborazione con Eleanor Stevens, ha realizzato un composto di muschio, siero di latte e zucchero, con cui realizza animali, piante e figure umane con l’intento di riavvicinare l’uomo alla natura. Sorprendenti e raffinate sono anche le creazioni tipografiche di Anne Garforth, grande sperimentatrice di tecniche e materiali alternativi.
Jennifer Ilett Un esempio di graffito verde è “Hello, Goodbye” di Jennifer Ilett, artista attiva a Toronto che, in collaborazione con Sprout Guerriglia, ha creato un gioco di colori e rilievi grazie alla tridimensionalità del muschio. In questo specifico murales, Jennifer Ilett si sofferma sul riconoscimento, da parte dell’uomo, sulla grande bellezza estetica della natura e di come, in genere, facciamo di tutto per controllarla. Anna Garforth Una lettura differente è data da Anna Garforth, le sue opere, possiedono una mutazione combinata all’azione del tempo. L’opera prima è verde, poi ingiallisce, fino a morire e lasciare spazio a qualcosa di nuovo: una sorta di land art dentro alla street art.
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Agente rilassante Un centro di meditazione a Manhattan ospita un enorme quadro di muschio stabilizzato. La sua funzione è quella di offrire i benefici contemplativi e calmanti che derivano dalla semplice vista delle piante. Queste infatti possono aumentare la nostra attenzione, produttività, creatività riducono lo stress e hanno un effetto rilassante.
Moss Concept Uno pneumatico che integra al suo interno del muschio vivente per migliorare la qualità dell’aria mentre l’automobile è in movimento. Una vera e propria fotosintesi clorofilliana generata dal nuovo concept di pneumatici della Goodyear, che produrrà ossigeno proprio come una pianta e contribuirà a ripulire le città.
Anna Garforth, Grow 77
Anna Garforth, In this spore borne air 78
Jennifer Ilet, Hello Goodbye 79
3.4 L’arte del collasso La tesi tratterà ora di quell’arte, che mostra la realtà dell’inquinamento quotidiano, che tenta di suscitare una presa di coscienza grazie al lavoro di fotografi come Mandy Barker, di artisti come Brother Nut e delle associazioni, che sempre si appoggiano all’arte per comunicare la gravità dei cambiamenti climatici , come WWF e Greenpeace.
Mandy Barker, Un viaggio innaturale. È questo il titolo dell’intervento tenuto da Mandy Barker, fotografa che segue il viaggio dei rifiuti nell’oceano, risvegliando bellezza e coscienza. Il viaggio errante compiuto dai detriti rilasciati in mare che ne alterano per sempre l’ecosistema. Una “Soup” (questo il nome dato dalla fotografa alla prima serie di lavori) in cui possiamo vedere centinaia di frammenti di plastica multicolore, disposti a creare delle immagini suggestive ed attraenti al primo sguardo, fino a quando l’occhio non mette a fuoco i singoli oggetti e riconosce innumerevoli tipi di detriti che dal 1950 in poi, quando la plastica ha cominciato ad essere prodotta su larga scala, sono finiti nei mari e negli oceani a causa di una cattiva gestione dei rifiuti. 500+ mostra gli oltre 500 oggetti di plastica che gli scienziati hanno ritrovato nell’apparato digerente di un pulcino di albatros morto nel vortice del Pacifico settentrionale, la regione degli oceani con la più grande concentrazione di detriti plastici. I piccoli albatros nutriti con plastica muoiono di fame, con il ventre pieno di oggetti non digeribili che i loro genitori hanno scambiato per cibo.
Penalty (rigore), composta da 769 palloni da calcio provenienti da 41 paesi, ritrovati su 144 spiagge del mondo e inviati alla fotografa da 89 cittadini. Per realizzare i suoi scatti Mandy Barker ha raccolto rifiuti di plastica dai mari e dalle spiagge di tutto il mondo: resti di palloncini, scarti di lenza da pesca che diventano fitte matasse che ricordano nidi di uccelli o meduse, pezzetti di bicchieri monouso, palloni di tutte le dimensioni, a decine. Burnt mostra frammenti di plastica parzialmente bruciati e poi abbandonati in mare.
Bird’s nest è una composizione di decine di nidi di uccelli marini fabbricati con lenze da pesca.
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Mandy Barker, 500+
Mandy Barker, Burnt 83
Mandy Barker, Penality
Mandy Barker, Bird’s Nest
WWF, Ice Bear Project. Una scultura di ghiaccio a forma di orso polare, simbolo del cambiamento a causa del surriscaldamento globale. L’artista a cui wwf ha commissionato il progetto, Mark Coreth ha pensato che poche persone avrebbero mai sperimentato l’Artico per conto proprio, ma si rese conto di poter portare l’Artico a tutti sotto forma di un evento scultoreo. Toccando questa scultura i pasanti hanno subito collegato l’orso polare e la sua casa bloccata dal ghiaccio. Molte mani hanno contribuito a scaldare e sciogliere l’orso, rivelando lo scheletro di bronzo all’interno. Con questa scultura, mutevole e impotente, ogni persona ha potuto sperimentare quanto potere ha Greenpeace, Our future is l’umanità di influenzare l’equilibrio della natura. disappearing. Anche in questo caso vediamo una scultura di Brother Nut, Dust Plan. Wang Rezheng (aka Brother ghiaccio, raffigurante una madre e Nut), artista cinese, dal 24 luglio al 30 novembre il suo bambino mano nella mano. scorsi ha impiegato quattro ore delle sue giornate Lentamente, sotto i raggi del sole, la ad aspirare lo smog di Pechino, con un aspirapolvere statua inizia a sciogliersi, prima nelle capace di risucchiare lo stesso quantitativo di aria sue parti più sottili, come le braccia, respirata da 62 persone in un giorno. Facendo dando l’impressione di essere state leva su una preoccupante piaga ambientale i cui amputate. Più passa il tempo e più la effetti quotidiani colpiscono milioni di cinesi, scultura muta, si decompone, sparisce, l’artista ha monopolizzato l’attenzione dei media muore. Il concept della campagna, internazionali, che hanno seguito e documentato realizzata dall’agenzia Healing Brush il l’evoluzione della sua performance intitolata 31 luglio 2018 a Seoul, viene spiegato simbolicamente Dust Plan. Con la polvere raccolta, così dai suoi curatori: “Poiché i Brother Nut ha costruito un mattone, per dare ghiacciai artici si stanno sciogliendo a ai suoi concittadini e al mondo intero una prova causa dei cambiamenti climatici, ogni tangibile della gravità di una situazione non più paese del mondo soffre di condizioni ignorabile. L’aria respirata dagli abitanti di Pechino meteorologiche anomale come neve in 100 giorni si è tramutata in altrettanti grammi di pesante, ondate di calore, siccità e polvere, trasformati , con l’aggiunta di una piccola grandi tifoni. Ciò che sta accadendo quantità di argilla, in un oggetto solido e denso nel Polo Nord sta influenzando anche come un mattone. Un invito, forse, a gettare le basi la vita di tutti“. per la soluzione di un problema globale. WWF, Save paper-save the planet. Un semplice dispenser di carta, con una piccola modifica e della carta color verde diventa un oggetto di forte comunicazione. WWF vuole sensibilizzare il pubblico all’uso consapevole, al limitare gli sprechi, bucando il dispenser con la forma del Sud America, che, ad ogni strappo di carta, cambia colore, da verde a nero.
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WWF, Ice Bear Project
Brother Nut, Dust Plan 89
WWF, Save paper - save the planet 90
Greenpeace, Our future is disappearing 91
4. Il graphic design nell’era del CO2
Nel mondo della pubblicità, la lotta all’inquinamento, l’essere “ecofriendly”, bio e puntare al riciclo, è diventato l’obbiettivo del settore marketing di molte aziende a prescindere dal prodotto venduto. Da una parte, nel caso di molte multinazionali, inoltre, viene letteralmente spostata l’attenzione dal prodotto all’interesse (vero o falso che sia) , da parte dell’azienda, di tutelare l’ambiente, ridurre o contenere gli sprechi, portare avanti progetti per aiutare e sostenere paesi in via di sviluppo, danneggiati da guerre o catastrofi climatiche, di essere sempre più vicine al cliente, anche dal punto di vista emotivo. Dall’altra, sempre attraverso il graphic design, associazioni, gruppi, attivisti, e altrettante aziende, cercano e trovano dei modi per sensibilizzare, far riflettere e risvegliare le coscienze, è il caso della foto di Jeorge Gamboa con il suo sacchetto di plastica-iceberg delle campagne di wwf e greenpeace, dell’ormai famoso brand Freitag e del suo corrispettivo italiano Le Malefatte. Anche i mezzi con cui vengono comunicati dei messaggi o esibiti dei prodotti diventano meno inquinanti, il più utilizzato è per esempio, internet ed i social network in generale, i quali sicuramente non necessitano né di stampa né di consumo di carta, risultando inoltre molto accattivanti per l’ampia possibilità di poter interagire con immagini e post. E’ nel momento in cui la comunicazione deve uscire dal mondo in codice binario, che entrano in gioco interventi di street advertising come gli stencil creati grazie alla pressione dell’acqua, i moss graffiti di cui abbiamo già parlato, pannelli che sfruttano la luce solare per lasciare un messaggio sull’asfalto.
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4.1 Sulla Carta
Non possiamo sicuramente escludere il graphic design “tradizionale”, ovvero quello su carta: poster, biglietti da visita, pieghevoli, libri ed altro. Oggi la carta è un prodotto industriale realizzato grazie a dei macchinari e tecniche di lavorazione che consentono di ottenere, alla fine del processo, fogli flessibili e sottili, disponibili in varie grammature e colori. Negli ultimi anni però questa materia prima è venuta sempre meno, a causa dell’abuso della stessa e degli incendi di portata colossale in tutto il mondo. E’ stato calcolato che ogni minuto scompaiono tre campi da calcio, inoltre, si stima che i consumi comuni di un italiano in un anno si aggira attorno ai 200kg, nel mondo invece vengono utilizzati circa 300 mila tonnellate di carta. Carta ecologica, riciclata e FSC Oggi abbiamo la possibilità di stampare la nostra comunicazione visiva pur senza deturpare l’ambiente, grazia alla conosciutissima carta marchiata FSC e alla carta riciclata, oppure possiamo limitare l’inquinamento per la produzione della stessa scegliendo una delle tante altre carte ecologiche. Queste tre opzioni non sembrano differire molto le une dalle altre, ma i processi che stanno dietro alla loro produzione sono ben diversi: La carta FSC è forse la fonte di maggiore confusione quando si parla di cellulosa e di riciclo. Ne esistono di diverse tipologie: l’FSC non è infatti un tipo particolare di materiale o di trattamento, ma un bollino di qualità che viene assegnato da un ente (il Forest Stewardship Concil) ad una carta che rispetta certi requisiti. Il logo dell’albero viene dato solo alla carta proveniente da un patrimonio boschivo gestito consapevolmente, dunque da alberi abbattuti ma immediatamente sostituiti da giovani virgulti. Lo scopo è garantire sempre un ricambio di alberi. Anche in questo caso, la carta certificata può avere a che fare con il riciclo, pur trattandosi di definizioni che hanno poco a che fare fra loro: La carta FSC 100% contiene solo legno certificato. La carta FSC riciclata contiene solo ricicli provenienti da legno FSC. La carta FSC mista è un prodotto che può contenere legno FSC, carta FSC riciclata e carta riciclata normale. Non sempre la carta riciclata è la più ecologica, questo perchè gli scarti prodotti dal taglio delle immagini “al vivo” del foglio, sono inchiostrati, e vanno dunque sbiancati. Questo processo richiede un ulteriore uso di energie e l’impiego del cloro, o talvolta di ossigeno (fra i due quest’ultimo risulta più ecologico). La carta ecologica, dunque, non è sempre frutto del riciclo: la definizione parte dall’assunto che, per sbiancare la carta, si utilizza ossigeno e non cloro.
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Oltre alla conosciutissima carta certificata FSC, oggi possiamo scegliere fra varie tipologie di carta che rispettano l’ambiente e nascono dal recupero di materie prime differenti fra loro. Cartalatte e Cartafrutta. Sono tipologie di carte riciclate che si ottengono dal recupero esclusivo della componente cellulosica dei cartoni per bevande. Nello specifico, la cartalatte è il risultato del riciclo dei contenitori del latte fresco (Tetra Rex) e Cartafrutta del riciclo dei prodotti a lunga conservazione (es. succhi di frutta). Vengono utilizzate per produrre stampati di ogni genere, pubblicazioni editoriali, shoppers e articoli di cancelleria. Carta riciclata. Prodotta dai maceri di carta già utilizzata e non dalla cellulosa delle piante. Il riciclo della carta sfrutta la raccolta differenziata e non comporta l’abbattimento di altri alberi. Per quanto riguarda questa tipologia di carta, non tutti sanno che la riciclata non deve necessariamente essere prodotta solo da rifiuti: alcune cartiere utilizzano anche fogli di carta bianca vergine. Per essere definita riciclata, però, l’utilizzo di carta vergine non deve andare oltre il 40% e, preferibilmente, deve utilizzare fogli di carta FSC. Inoltre, quando la carta riciclata viene sbiancata con l’ossigeno, può anche essere considerata ecologica.
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Cartamela, molto uilizzata nell’Alto Adige, è oggi una delle carte più innovative nel panorama delle carte ecologiche. Dopo diversi esperimenti l’ideatore di questa carta è riuscito a bloccare il processo di fermentazione degli scarti, pur conservando intatte tutte le loro caratteristiche chimicofisiche ed ottenere una “farina di mele” perfetta per la produzione di carta.
Carta da macero. Composta da quelle fibre buone che si riescono a recuperare durante il riciclaggio. Questa carta aiuta a portare al minimo il consumo energetico ed idrico ed a rimuovere del tutto le emissioni che inquinano l’aria durante la produzione della cellulosa.
Tetrapack da cui si ricavano cartalatte e cartafrutta
Carta mela 97
Carta piantabile. Meno utilizzata rispetto alle Shiro Alga Carta. Prodotta con le appena citate, la carta piantabile, può diventare alghe presenti in eccesso sui fondali un nuovo tipo di supporto per la comunicazione. della laguna di Venezia, oltre al 50% Si pensi a quanti volantini vengono gettati a terra di cellulosa FSC. L’utilizzo delle alghe dopo essere stati consegnati all’interno di eventi, consente sia di preservare il mare fiere e manifestazioni. Con questo tipo di carta e della laguna mantenendolo pulito sia un pò di umidità, potremo assistere alla nascita di di sostituire una parte della cellulosa piccoli germogli là dove l’uomo ha deciso di gettare il proveniente da alberi con una risorsa suo volantino. Da una parte questo nuovo supporto naturale alternativa. può essere una “cura” alle disattenzioni dell’uomo, dall’altra, Poopoo Paper. Dal letame possono nascere fogli non deve essere visto come una di carta. Questa l’idea di Thusitha Ranasinghe giustificazione all’abbandono di che, in Thailandia, ha aperto e avviato la prima rifiuti per strada. attività produttrice di carta da sterco animale, Un limite che si può poi attribuire precisamente di elefante. Con il tempo, la a questa tipologia di carta è produzione si è allargata ed è possibile oggi, sicuramente legato al suo aspetto: acquistare carta proveniente da letame di grezzo, “sporco”, talvolta dai bordi elefanti, mucche, asini, cavalli, panda e alci. irregolari. Queste caratteristiche Questa tipologia di carta non è ancora molto allontanano il supporto da progetti utilizzata nella stampa industriale ma è impiegata che richiedono una presentazione nella confezione di scatole, cornici,piccoli sofisticata e pulita. E’ infatti più quaderni o usata come carta da lettere facile immaginare un impiego della carta piantabile per tutta quella fascia di prodotti legati al bio sia alimentare che Favini, linea Crush. Crush è la della cura personale, oppure a ristoranti, taverne e nuova gamma ecologica di Favini luoghi di cucina tradizionale dove il rapporto uomorealizzata con sottoprodotti di natura dovrebbe essere molto stretto. lavorazioni agro-industriali che Ancora, è possibile trovare questo tipo di supporto sostituiscono fino al 15% della nelle partecipazioni, inviti e biglietti da visita, tutti cellulosa proveniente da albero. accomunati da una certa, naturale leggerezza. I residui di agrumi, uva, ciliegie, lavanda, mais, olive, caffè, kiwi, nocciole e mandorle sono le materie prime naturali che, salvate dalla discarica, vengono utilizzati per la produzione di queste esclusive carte.
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Poopoo Paper
Carta Piantabile 99
4.2 Eco-branding e inchiostri vegetali
E’ possibile essere “ecologici” anche utilizzando dei normali inchiostri secondo l’esperimento concettuale portato avanti sul sito ecobranding-design.com. Si tratta, come suggerisce già la parola, di un rebranding in cui si tenta di giocare con gli spazi vuoti, che non verranno quindi inchiostrati. Delle prove di eco branding sono state applicate su famosi loghi quali Apple, McDonald’s, Nike, Starbucks ed altri. Certamente uno degli obiettivi fondamentali è quello di non stravolgere il logo, mantenendolo ben riconoscibile e di ottenere un risultato altrettanto forte ed esteticamente piacevole. Una novità degli ultimi tempi, poi, è l’uso di inchiostri a base vegetale, di cui alcune aziende anche italiane sono fornite. Gli inchiostri vegetali godono di una popolarità crescente grazie ad una caratteristica importante: non liberano composti organici volatili nella fase di asciugatura. Questi nuovi inchiostri sono composti di oli vegetali ricavati da fonti rinnovabili e utilizzano materie prime pure, in grado di assicurare comunque un’ottima qualità di stampa. Le vernici a base d’acqua per esempio sono composte dal 60% da acqua e il 40% da resine acriliche e additivi. Rispetto ai comuni inchiostri, questo nuovo modo di pensare la stampa è certamente più ecologico ed ha un tasso di biodegradabilità più alta, bisogna però ricordare che l’impatto ambientale non è prodotto solo dalla tipologia di materie prima ma anche dal processo di stampa e di essicazione delle vernici. Secondo le statistiche portate avanti da EuPIA (european print ink association), è consigliabile, per avere la sicurezza di impattare meno sull’ambiente, tenere conto di: materia prima, fabbricazione, applicazione, utilizzo finale e smaltimento. Ad esempio, il termine inchiostri all’acqua può suggerire qualcosa di ambientalmente compatibile; lo stesso vale per gli inchiostri basati su oli vegetali, che danno un’impressione favorevole a causa del loro contenuto in una o più materie prime provenienti da fonti rinnovabili. Tuttavia occorre considerare che, per comparazione con altri tipi di inchiostri, questi prodotti possono nei fatti richiedere un’energia significativamente superiore per l’essiccazione e quindi il quadro generale può rivelare che essi hanno un impatto ambientale più forte di quanto si possa pensare. E’ allora il caso di soffermarci maggiormente sull’impiego della carta che risulti il meno impattante possibile piuttosto che sull’utilizzo di inchiostri vegetali? Dipende dalle quantità. Il tipo di stampa (offset) fa già intendere che sarebbe consigliabile avere molte copie del proprio prodotto, semplicemente in termini di costi. Se si pensa poi alla quantità di materiale che deve essere utilizzato per questo tipo di stampa, viene naturale pensare allo scarto che avremo a fine produzione, nel caso si limiti a poche copie. 100
Germania Sono diverse le tipografie ad aver intrapreso questo viaggio negli ichiostri a base vegetale. In Germania, l’azienda dieUmwelt Druckerei attua una politica molto vicina all’ambiente, utilizzando una carta 100% riciclata, colori organici sia in offset che in digitale. Inoltre l’impatto ambientale dell’azienda è minimo grazie agli investimenti della stessa su progetti di riforestazione, bilanciando così le emissioni di CO2 e la produzione di ossigeno.
Italia Come per la tipografia tedesca appena citata, di seguito la soluzione italiana di Ecoprintweb, anch’essa attenta all’impatto ambientale e ai consumi.
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Eco-branding design 103
Non è solo il supporto ecosostenibile, a schierarsi contro l’inquinamento,ma anche le comunicazioni visive a tema ambientale che seguono, le quali si concentrano sul messaggio di salvaguardia del pianeta attraverso la fotografia, le idee, il graphic design. National Geographic. Planet or Plastic? Terribile e brillante insieme, il lavoro firmato dall’artista messicano Jeorge Gamboa è una provocazione forte che mette il lettore di fronte a un dramma che troppo spesso ci rifiutiamo di vedere. Non lascia spazio ad altre interpretazioni, la foto proposta dal National Geographic: il problema dell’inquinamento plastico nel mondo è solo la punta dell’iceberg. Gamboa ha presentato l’opera, intitolata “Iceberg Plástico”, alla Biennale di manifesti della Bolivia nel 2017, dove ha vinto il primo premio nella categoria dei manifesti politici e sociali. Grazie alla copertina del National Geographic “Planet or Plastic”, ora l’opera è destinata a diventare iconica. Greenpeace, Don’t suck the life from our oceans. Campagna affidata all’agenzia canadese Rethink, raffigura alcuni animali, inseriti in bicchieri con ghiaccio, quasi fossero parte di un cocktail. Una cannuccia in plastica spunta dalla bocca di una tartaruga, un pesce e un gabbiano. Tutti animali che hanno a che fare con la plastica ormai ogni giorni, tutti animali vicini al mare o alle spiagge, sempre più inquinate dall’uomo. Sea Sheperd, Tortured Animals. La campagna mostra, come l’uso che facciamo della plastica stia torturando gli animali marini, soffocati da un sacchetto usa e getta. La campagna è stato creato da Sea Shepherd , un’ONG focalizzata sulla conservazione della fauna marina, che organizza dei “cleanup” nelle spiaggie di tutto il mondo e segue il lavoro degli scienziati per studiare gli effetti delle microplastiche sulle specie marine.
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WWF Japan, Population by Pixels. La campagna firmata WWF del 2008, vede delle foto composte da tanti pixel quanti sono gli animali ancora esistenti, il messaggio, come si potrà ben intuire, vuole mostrare il decadimento di alcune razze animali. WWF, Plastic Spiecies. Secondo il Wwf Italia, “Nuove e strane specie stanno comparendo nel mare: la manta-busta, il granchio-tappo, il pesce-bottiglia, specie poco desiderabili e che derivano proprio dal nostro stile di vita abituato all’usa e getta quando si consumano prodotti in plastica”. E’ la provocatoria campagna “visual” del Wwf per dire no a queste specie e si a un mare plastic free. Una campagna promossa nell’ambito di “GenerAzioneMare” e lanciata in occasione della Giornata mondiale dell’ambiente, del 2018, che l’Onu ha dedicato proprio alla lotta contro l’inquinamento da plastica con lo slogan “Beat plastic pollution. If you can’t reuse it, refuse it”
National Geographic, Planet or Plastic? 105
WWF, No Plastic Species 106
Greenpeace, don’t suck the life from our oceans. 107
WWF Japan, Population by Pixels. 108
National Geographic, Planet or Plastic?
Sea Sheperd, Tortured Animals. 109
4.3 Design e riciclo
Come già anticipato, l’attenzione agli sprechi arriva anche da vere e proprie aziende. Da un’idea innovativa, dal forte desiderio di cambiare le cose e dalla determinazione di mostrare al mondo che il cambiamento è possibile. Così nascono i prodotti del futuro, riciclati, biodegradabili e di design.
Freitag. Un’ azienda basata sul riciclo, in questo caso di vecchi teloni di camion, camere d’aria usate e cinture di sicurezza. L’idea arriva da due graphic designer, i fratelli Markus e Daniel Freitag, i quali erano alla ricerca di una borsa funzionale, impermeabile e robusta per contenere i loro progetti. Nasce così la Messenger Bag, che ottiene subito un grande e ottimo riscontro a Zurigo. La bellezza di questo metodo di lavoro, oltre alla possibilità di acquistare solo pezzi unici, sta nel concetto di riciclo, riuso e nel cercare sempre nuove possibilità per migliorare questo prodotto. Nel 2014 poi, il marchio di borse ha potuto puntare su una nuova materia prima: un Get on Board: Reduce. Reuse. Rethink tessuto sviluppato personalmente da cima a fondo, Caffè, foglie di banana, alghe , sono i nuovi ottenuto a partire da fibre vegetali e prodotto componenti biodegradabili che danno vita nel raggio di 2500 chilometri da Zurigo con un al nuovo, innovativo vassoio creato dallo impiego minimo di risorse, altamente resistente e studio PriestmanGoode. completamente biodegradabile. F-ABRIC è il nome Pensato per sostituire piatti e stoviglie usa e della nuova linea, che si inserisce perfettamente getta negli aerei. Ancor più impressionante nella filosofia Freitag: “pensiamo e agiamo in cicli”. è il coperchio da dessert commestibile a base di wafer e delle capsule utilizzate per salse o latte a base di alghe solubili. Questa Le Malefatte. Azienda veneziana che segue i concetti proposta mira a incoraggiare i fornitori e le di Freitag, anch’esse realizzate con materiale compagnie aeree a ripensare il servizio pasti riciclato, ovvero dal pvc dei banner pubblicitari o dai in un modo più ecologico, in particolare teloni dei camion. Il prodotto finito inoltre, ha una in vista della legislazione sul divieto della valenza sociale molto importante, perchè lavorato plastica monouso, che in alcuni paesi viene dai detenuti del carcere di Santa Maria Maggiore, proposta come già nel 2021. per offrire loro un percorso di riabilitazione professionale grazie alla Cooperativa Sociale Rio Terà dei Pensieri, la quale al momento lavora all’interno dei due Istituti Penitenziari di Venezia ed in area penale esterna. Le attività sono state avviate a partire dalle caratteristiche dei luoghi in cui erano inserite, e con particolare attenzione alla relazione con il territorio circostante: la città di Venezia. I detenuti e le detenute quindi, anch’essi soci lavoratori della cooperativa, coadiuvati da docenti, collaboratori e volontari, producono oggi articoli serigrafati, borse e accessori in PVC riciclato, creano linee di cosmetici e coltivano ortaggi biologici. Il loro lavoro viene commercializzato sia attraverso la vendita al dettaglio che commissioni pubbliche e private.
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Get on Board: Reduce. Reuse. Rethink
Le Malefatte 113
Freitag, borsa in PVC
Leaf Republic. Un’idea, poi un progetto kickstarter e adesso sempre più una realtà. E’ quella dell’azienda Leaf republic, produttrice di piatti, stoviglie e imballaggi 100% biodegradabili. Dopo anni di progettazione, prototipazione e test, l’azienda tedesca è riuscita a creare delle stoviglie usa e getta fatte esclusivamente da foglie per lo strato superiore e inferiore, cucite insieme con fibre di foglie di palma che contengono, nello strato centrale, uno spessore resistente di carta sempre composto da foglie. Infine, non vengono usate per la produzione, colle, agenti chimici, additivi, plastiche riciclate. Nata nel 2014 a Monaco, oggi l’azienda ha messo a punto una macchina semiautomatica per ottimizzare e velocizzare la produzione ed arrivare a più persone. Design di Cartone. Librerie, tavoli, sedie, e ogni altra componente di arredamento per la casa a cui è possibile pensare, sono oggi costruiti in cartone, un materiale riciclabile ed ecosostenibile, già utilizzato in Italia e all’estero. I mobili sono infatti realizzati mediante una tecnica di incastro a vista, che rende visibili i singoli dettagli ed evita l’uso di collanti nocivi. Potrebbero sorgere dei dubbi circa la resistenza, testata sui cartoni di prima qualità, i quali sono in grado di reggere pesi elevati, alcune sedie sostengono pesi fino a 2 quintali. Questo materiale, inoltre, si presta ai più svariati usi. Debitamente accostato a lastre di vetro temperato o film trasparenti che fanno da guaina protettiva, può diventare anche un piano di lavoro per la cucina. Un ulteriore vantaggio è sicuramente il costo, dovuto sia all’economicità della materia prima sia al trasporto e al montaggio, entrambi semplici. Come già detto, è possibile immaginare qualunque tipo di oggetto, compresi quelli di design ma anche i giochi per bambini, come Kartoni (dalla Germania), un calciobalilla interamente utilizzando prodotti riciclati e riciclabili (fogli di cartone e legno). Semplice, veloce da montare e non necessita di viti o attrezzi particolari per l’assemblaggio.
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Stonethica . Sviluppatasi dall’azienda italiana Petris, nasce Stonethica, che attraverso un ciclo ecosostenibile, trasforma gli scarti provenienti dalla lavorazione del marmo e della pietra naturale ( la percentuale di materiale riciclato si aggira attorno ai 98,6% e i 99,4%), in lastre Stonethica assemblati grazie a una resina naturale e atossica. Il risultato è un materiale omogeneo ma caratterizzato dalle tipiche trame stratificate.
Stange, Arredamento in cartone.
Stonethica, oggetti di design. 117
Leaf Republic, set di prodotti.
4.4 Lo Street Advertising
Oggi, viviamo in un’epoca in cui la maggior parte della comunicazione, seguendo il trend della digitalizzazione, si è spostata sull’online e sui social media sfruttando nuovi canali per raccontare il brand: dai banner a Google Adv, dalle newsletter promozionali a Facebook e Instagram Adv, fino ai video pre-roll su You Tube, gli esempi sono numerosi e svariati. Anche una volta aver spento il pc possiamo trovare pubblicità e spot alla televisione e alla radio, ma quando si tratta di uscire di casa, insieme alla solita cartellonistica, possiamo trovare degli esempi di out-of-home. Più semplicemente, la pubblicità fuori casa e “da strada”. Lo Street Advertising è una pratica che permette di collocare dei messaggi pubblicitari sugli spazi pedonali delle città attraverso l’uso di uno stencil e di colori a base acqua, completamente removibili in un secondo momento. Non è facile datarne la nascita, essendo considerato in passato come un mezzo facente parte del marketing non convenzionale e data la sua natura connessa al mondo della Writing Art. Con il passare degli anni la tecnica si è affinata e migliorata, andando a profilarsi come una vera e propria alternativa alla cartellonistica. Sono molti gli esempi che possono essere visti nei centri urbani: esistono ad esempio i Reverse Graffiti o water pressure stencil, creati attraverso l’uso di uno stencil e di un getto di acqua calda che va a rimuovere lo sporco dalla superficie, in modo che il messaggio appaia grazie all’effetto di contrasto sporco-pulito. Un altro esempio, più sofisticato, sono i Green Graffiti, conosciuti anche come “chalk graffiti”, ossia messaggi realizzati questa volta con una miscela naturale e colorata, tramite uno stencil che ne definisce la grafica. Stesso procedimento della water pressure stencil, spruzzando però polvere di gesso e vernice al latte (durata vari mesi o settimane in base alle condizioni atmosferiche). L’applicazione può avvenire unicamente in spazi pedonali, pubblici o privati; al termine della campagna il team di lavoro si occupa della pulizia completa dell’area interessata. La fase di rimozione del messaggio avviene grazie ad un getto d’acqua ad alta pressione, senza detergenti o additivi chimici; i residui di graffito che vengono immessi nel sistema sono completamente naturali e innocui per l’ambiente. Diversi sono i vantaggi che rendono queste tecniche interessanti, anzitutto il fattore sostenibilità, i Green e Reverse Graffiti sono infatti a impatto zero sull’ambiente; perchè utilizzano una pittura naturale e la fase di rimozione richiede solamente acqua calda ad alta pressione, i Reverse Graffiti, invece, sono realizzati solamente con l’ausilio di un getto d’acqua, quindi ciò che potrà “pulire” o per meglio dire sporcare nuovamente il suolo, sarà il tempo. I messaggi inoltre, possono essere posizionati in aree individuate come di passaggio o di forte interesse per il target di riferimento del brand, aumentando moltissimo l’efficacia della diffusione del messaggio. 120
Costi di Marketing Le spese di marketing, possono gravare anche il 30%–50% sul costo finale delle merci e non portare a benefici duraturi all’azienda. Chilometri di carta, superfici sproporzionate di cristalli liquidi, potentissimi neon o fari su pannelli pubblicitari. Immagini femminili o infantili ammiccanti e spregiudicate, email cestinate ancor prima di essere lette, gadget inutili: sono esempi di campagne ed espedienti pubblicitari convenzionali e fortemente inquinanti. Il messaggio pubblicitario diventa poco leggibile, rumoroso e rischia di allontanare il consumatore. Per grosse aziende, ma a maggior ragione per quelle piccole o nascenti, il green advertising rappresenta una soluzione non solo ragionevole ma anche responsabile. Tali installazioni inoltre vantano un gran risparmio sia energetico che economico, garantendo allo stesso tempo flessibilità, provvisorietà e un forte potere emozionale (su quest’ultimo sono basati anche molti spot televisivi e in generale la pubblicità dell’ultimo millennio).
Water Pressure Stencil, Advertising. 121
Moss graffiti, Mini advertising
Moss graffiti, Adidas Advertising 122
Reverse Graffiti o Chalk Graffiti, Advertising. 123
Calidda, Me cuesta mucho respirar. La società produttrice di gas naturale, per sottolineare il problema dell’inquinamento e i vantaggi di un carburante meno impattante, sceglie di utilizzare una tela bianca capace di assorbire CO2 e di trattenerso su alcune zone della superficie. Il telone è stato posizionato in uno dei punti più trafficati di Lima, Abancay Avenue, così da poter raggiungere un numero più ampio di persone. In 15 giorni, il cartellone pubblicitario aveva assorbito abbastanza CO2 da rivelare il messaggio “Mi costa molto respirare”. McDonalds e DDB, Better Off. Si tratta di un cartellone pubblicitario duble faces per sensibilizzare sul risparmio energetico in onore dell’ ”Earth Day”. Durante la giornata è infatti possibile vedere solo la pubblicità di McDonalds ,mentre nella notte, grazie ad un materiale che ingloba la luce del sole, viene rivelata la frase “Questa era una pubblicità McDonalds. Grazie alla loro partnership, adesso è una pubblicità che risparmia energia. Il cartellone #BetterOff, che si trovava sulla 405 Freeway di Los Angeles, esottolinea la necessità per ogni californiano di fare uno sforzo per risparmiare energia.
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Coca Cola e WWF. Nelle Filippine, la multinazionale e una delle associazioni più conosciute, hanno realizzato un pannello con 3600 bottiglie riciclate con piante di thè: ognuna depura 6 kg di anidride carbonica all’anno. Wolkswagen, Take a break. Questo tipo di green advertising sfrutta la luce del sole proiettando le ombre di lettere, numeri e solidi, i quali colpiti dalla raggi del sole riproducono il marchio dell’azienda e la frase “take abreak from the sun”. Questa comunicazione collabora poi con la fondazione Clare Oliver Melanoma Fund, per sensibilizzare sui tumori della pelle dovuti ad una eccessiva esposizione solare
Wolkswagen, Take a break
Billboard McDonalds e DDB 125
Calidda, Me cuesta mucho respirar. 126
Coca Cola e WWF, green billboard 127
4.5 Eni. Uno spot green per un prodotto black
Come già accennato, non sempre il prodotto risulta il centro focale su cui porre l’attenzione, non si elogiano più la qualità, la funzionalità o la potenza del prodotto. Ci si approccia al cliente con uno spirito quasi da “compagno/amico”, per far capire che l’azienda è “vicina al consumatore”. Questo concetto del creare una connessione fra brand e cliente è una strategia da sempre usata, ma nell’era della lotta all’inquinamento, le multinazionali come in questo esempio di Eni, tentano di veicolare l’idea di essere un “compagno” con il quale poter combattere assieme e anzi, è il brand che ha bisogno dell’aiuto di ogni singolo individuo per poter migliorare il mondo, viene così formandosi un legame emotivo, che preme sull’ interesse, sempre maggiore da parte delle persone, di tutelare l’ambiente. Con simili parole è descritto infatti, l’ultimo spot lanciato da Eni di cui è qui riportato un estratto dal sito ufficiale. “La campagna vuole essere testimone dell’impegno di Eni a costruire un rapporto forte e caldo con i propri e numerosi clienti che a loro volta e al tempo stesso, sono chiamati a rispondere come cittadini responsabili di questo pianeta. Da qui la narrazione di alcuni virtuosi gesti individuali che nella loro somma ‘fanno la differenza’: il giovane Luca, che ricicla la plastica per darle nuova vita, o Chiara, che sceglie sempre prodotti riciclabili; o ancora Silvia che si preoccupa di non sprecare l’acqua, mentre Giulia ha scelto di lasciare l’auto in garage e farne a meno in città.” Frasi all’interno dello spot: “Energia, solo cambiando il modo di guardare le cose, le cose che guardiamo inizieranno a cambiare. Oggi trasformiamo gli oli esausti di frittura in componente per produrre biocarburanti avanzati, ma non basta, per fare davvero la differenza abbiamo bisogno di Chiara, perché in città usa l’auto il meno possibile. Perché Eni più chiara è meglio di Eni.“ Creare un legame sempre più stretto è la chiave di questa comunicazione, se ancora resta qualche dubbio sul concetto di vicinanza al cliente è sufficiente attendere le ultime parole dello spot “Perché Eni più Chiara è meglio di Eni” e il payoff che compare assieme al logo “Eni, insieme abbiamo un’altra energia”. Questo “insieme” inoltre, fa riferimento anche alla cura dell’ambiente (prendiamocene cura “insieme”), e ancora, come i singoli tentino di limitare gli sprechi, anche Eni ci dice che ricicla l’olio di frittura per produrre biocarburante. Quasi ci dimentichiamo che stiamo guardando lo spot di uno dei maggiori estrattori di petrolio, che sicuramente, come è mostrato nel sito, si sta muovendo nella ricerca di nuove fonti energetiche pulite a cui attingere, di nuove tecniche per rendere il carburante del domani più ecosostenibile, ma, nello spot appena analizzato, Eni viene quasi descritta come un’azienda a impatto 0, o meglio, proprio non si parla dell’impatto che ha sull’ambiente (per ovvi motivi di marketing) ma tutta l’attenzione è spostata sul “voler migliorare”. 128
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Eni, spot Eni+Chiara
Rimane così molto lontana dalle menti di chi guarda la pubblicità, la questione delle continue, incontrollate fuoriuscite di petrolio (in Africa), delle quali non vi è nemmeno più un tentativo, da parte dell’azienda di porre rimedio o di trovare il fulcro del problema (che, a detta di Eni, sarebbe da ritrovare nelle gang africane). Tornando all’analisi è possibile affermare che lo spot però, funzioni visivamente molto bene, riuscendo a trasformare Eni in una spalla sulla quale le persone che cercano di rispettare l’ambiente possono appoggiarsi. Gli elementi naturali realizzati con grafica 3d sono gli unici ad essere colorati, il resto parla una lingua fatta di un colore beige molto tenue, macchiato in alcuni punti come se fosse un vero e proprio foglio di carta riciclata su cui si anima il segno nero, o meglio, grigio molto scuro come fosse una matita, che crea le forme. In chiusura, ecco che compare il logo Eni, che perde il suo iconico colore nero intenso accompagnato dalla fiamma rosso vivo, e acquista un colore sfumato, che riprende la palette degli elementi naturali, nel caso dello spot con Chiara, dall’arancio al giallo (per Silvia e Luca, rispettivamente nei toni del viola-rosso e verde-giallo). Anche questa particolarità è da vedere come un tentativo di comunicare che Eni è vicino alla natura proprio perchè resta l’unico elemento colorato il quale, oltretutto, si tinge degli stessi colori della natura mostrata.
Green marketing Come Eni, anche altre aziende tentano di comunicare il loro essere ecologici o bio, nel caso dei marchi alimentari. E’ il caso di McDonald’s, quando già nel 2009 ha deciso di cambiare il colore di fondo al suo logo in Europa, dall’ iconico rosso, all’ecologico verde. “Un simbolo di rispetto nei confronti dell’ambiente”, così il vicepresidente di McDonald’s Germania ha motivato il cambiamento del colore. Alla fine del 2015 inoltre, McDonalds’s introduce il Mc Veggie, un panino dedicato ai clienti vegetariani e si pone un nuovo obiettivo, da raggiungere entro il 2025, di avere il 100% del proprio packaging in carta da fonti riciclate o con la certificazione di provenienza da aree non sottoposte a deforestazione. Ancora, con Iberdrola, multinazionale spagnola del settore energetico, vediamo un logo composto da una foglia, una goccia blu e una goccia arancio. Come si legge dal sito: la foglia “riflette il nostro impegno per l’ambiente, la natura e la sostenibilità”, la goccia blu fa riferimento alle energie rinnovabili “Allude al vento e all’energia idroelettrica”, infine la goccia arancio “rappresenta l’energia solare e il gas naturale”. Anche nel marketing alimentare c’è una globale tendenza al biologico, al “100% naturale”, è il caso di Nestlè, che scrive “bio” sul 95% dei suoi packaging, o di Sammontana, con la sua linea “Amando, il buon gelato senza latte”, o la giungla della pasta biologica, di cui tutti hanno una linea da Barilla a Rummo a Conad, Coop ed Esselunga. Il legante di tutti questi brand e le corrispettive linee di prodotti con lo spot Eni e le comunicazioni visive di altre multinazionali è il marketing del bio e dell’ecologico, più precisamente chiamato: Greenmarketing. Il Greenmarketing è la promozione di prodotti, servizi o attività descritte come ecologicamente sicure o più sostenibili a livello ambientale. 132
Eni, spot Eni+Chiara 133
Questo tipo di pratica nasce come risposta all’effetto nocivo dell’uomo sul pianeta e alla necessità di affrontare il problema, ponendo enfasi sul contributo delle aziende nel ridurre questo impatto. Negli ultimi anni l’impatto negativo dell’attività dell’uomo sulla natura, sulla fauna e sulla flora è diventato oggetto di dibattito pubblico, facendo aumentare, così, la consapevolezza sul problema e sul bisogno di affrontarlo in maniera seria. I consumatori non sono rimasti indifferenti a queste tematiche e sono sempre più propensi a scegliere aziende attente alle questioni ambientali. Così, anche le strategie di marketing si sono adeguate, portando alla nascita e alla diffusione di espressioni come green marketing, marketing sostenibile, marketing ecologico per descrivere tutte quelle attività di promozione che puntano sull’impegno delle aziende nel creare prodotti o servizi ecosostenibili e nel lottare contro problemi come il riscaldamento globale o la distruzione degli habitat delle diverse specie animali o vegetali. Una strategia di greenmarketing non si basa solamente sul prodotto ecologico, anche perchè non tutte le aziende vendono prodotti realmente eco-friendly. Si cerca allora di focalizzare l’attenzione sui progetti e sulle scelte ecologiche portate avanti dal brand. Vengono valorizzati i sistemi di produzione sostenibili e uno smaltimento dei rifiuti responsabile, l’impiego di energie rinnovabili o, dove non fosse possibile, il risparmio di quelle impiegate. Viene poi comunicato ai consumatori target dell’azienda, l’impiego di packaging provenienti da materiali totalmente o parzialmente riciclati. Le campagne pubblicitarie devono essere in grado di spronare i consumatori a essere parte attiva di questo processo, attraverso l’acquisto di prodotti e packaging “eco-friendly”, ricordando che problematiche come l’inquinamento e il surriscaldamento globale riguardano e incidono sulla vita di tutte le persone. È importante, inoltre, che le aziende promuovano non solo pratiche di consumo responsabili ma anche un uso responsabile dei prodotti, così come il riciclaggio dei rispettivi packaging e contenitori. Greenwashing La parola greenwashing è il risultato della combinazione di due parole: green, ovvero verde in termini ecologici, e whitewashing, l’attività di nascondere fatti spiacevoli; quindi, attraverso questa combinazione si vuole indicare la tendenza di molte aziende di proclamare presunti comportamenti sostenibili in modo tale da ottenere un maggior profitto andando ad attirare l’attenzione di quella fascia di consumatori attenti alla salute del pianeta. Molte aziende sono state accusate di pratiche di greenwashing, cioè di promuovere un’immagine positiva in un’ottica di sostenibilità ambientale, attraverso campagne di marketing che in realtà non rispecchiano il reale funzionamento e la “mission” dell’azienda. Si pensi, a tal proposito, a imprese accusate di pratiche dannose per l’ambiente e che “ingigantiscono” il loro grado di impegno nella salvaguardia del pianeta. 134
Nascita del Bio Dopo la Seconda Guerra Mondiale, attorno agli anni ‘50, il batteriologo Hans Muller fondò in Svizzera il Movimento dei Giovani Contadini: un piccolo gruppo di persone che promuoveva l’agricoltura biologica in Europa, puntando al suo riconoscimento sul piano legale. Particolare attenzione veniva posta alla lavorazione del terreno, che doveva essere ridotta al minimo così da non alterarne la composizione microbica. Negli anni ‘60, infatti, si ebbe la cosiddetta “rivoluzione verde” che aveva come obiettivo la massimizzazione della produzione agricola al fine di ottenere maggiori profitti e prevedeva un forte utilizzo della meccanizzazione, la diffusione della monocultura e il massiccio impiego di prodotti chimici di sintesi per la concimazione e la difesa delle colture. Solo nel 1991, si è giunti ad una regolamentazione a livello europeo. Il biologico dunque, è stato per molto tempo prerogativa di pochi pionieri visionari, spesso allontanati per le loro idee troppo anticonvenzionali.
McDonald’s, Mc Veggie
McDonald’s, Green Mascotte 135
Coca Cola Life. Coca Cola, leader mondiale nel settore delle bevande dolcificate, ha lanciato, nel 2016, il suo nuovo prodotto, denominato “Life” e caratterizzato da un’etichetta di colore verde al posto del canonico rosso, per avvicinarsi ai clienti sempre più attenti nell’acquisto di prodotti che siano più rispettosi dell’ambiente. Si può parlare di greenwashing, poichè il nuovo prodotto, che prometteva meno calorie e meno zuccheri, introducendo la stevia, si rivelò per nulla differente della già presente “Coca Cola Zero”, in termini di apporto calorico. Nella descrizione del prodotto c’è scritto infatti, “36% di calorie in meno, con estratto di Stevia” e solo più in piccolo “rispetto alla maggior parte delle bevande cole zuccherate in Italia”. Coca Cola ha cercato, con una manovra di greenwashing di incassare il favore di due categorie: con l’etichetta verde per l’apprezzamento degli ambientalisti, e la dicitura “life” per essere apprezzata dai salutisti. Tutto ciò per contrastare un calo di vendite del 3% circa, probabilmente dovuto a una maggiore consapevolezza dei consumatori nell’acquisto di bibite zuccherate.
Eni Diesel+ Il colosso petrolifero ha dovuto pagare 5 milioni di euro alle casse dello Stato per aver condotto una campagna pubblicitaria ingannevole del suo prodotto «Eni Diesel+». Stabilito dall’anti-trust affermando che la pretesa riduzione dei consumi (-4%) e delle emissioni gassose (-40%) che la società aveva utilizzato come slogan per promuovere il cosiddetto «green diesel» non sono fondate. Il carburante pubblicizzato da Eni è ottenuto miscelando un 85% di gasolio minerale con un 15% di biodiesel, combustibile di origine vegetale. «L’ingannevolezza dei messaggi derivava in primo luogo dalla confusione fra il prodotto pubblicizzato EniDiesel+ e la sua componente biodiesel Hvo, chiamata da Eni “Green Diesel”, attribuendo al prodotto nel suo complesso vanti ambientali che non sono risultati fondati», sostiene la nota dell’Agcm. Le associazioni e i movimenti ambientalisti contestano da tempo l’utilizzo di biodiesel, che si produce a partire dall’olio di palma. Quest’olio è sempre meno utilizzato a livello alimentare perché anni di campagne ambientaliste sono riuscite a renderlo “debole” sul mercato, oltre che per gli effetti negativi sulla salute, ma continua a essere fortemente utilizzato per produrre carburante ed energia. L’etichetta “biodiesel” dietro cui si nasconde serve proprio a ripulirne l’immagine. Rispetto allo spot Eni+Chiara ancora non ci sono sviluppi ma non si esclude una possibile indagine e un nuovo caso di greenwashing. Nel frattempo, sono già comparsi poster che mostrano “Chiara , in attesa che parlino del processo a Eni”.
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Eni Diesel + , graffito di protesta
Coca Cola Life, comunicazione visiva 137
Coca Cola Life 138
Poster di protesta contro lo spot Eni+Chiara 139
Acqua San Benedetto. La famosa azienda Acqua Sant’Anna. Multata per la “BioBottle” nella è stata condannata a pagare una multa di pubblicità che promuoveva l’eco-bottiglia amica 70mila euro per «pratiche commerciali dell’ambiente, in cui erano riportati pregi ambientali scorrette» per una campagna “green” molto superiori a quelli reali. ideata per promuovere una nuova bottiglia, Affermato dalll’Autorità garante della concorrenza allora chiamata “eco-friendly” dall’azienda e del mercato, che ha multato l’azienda per pratica e promossa con uno slogan ritenuto commerciale scorretta e l’ha costretta a pagare una ingannevole: “Meno plastica, più natura“. sanzione di 30.000 Euro per il messaggio apparso su Secondo l’Antitrust, l’azienda non era in diversi giornali e sul sito aziendale. Secondo il testo grado di dimostrare né che le bottiglie diffuso 650 milioni di bottiglie Sant’Anna BioBottle contenessero il 30% di plastica in meno, avrebbero permesso un risparmio di 176.800 barili né che ci fosse un effettivo risparmio di petrolio (utili a riscaldare per un mese una città di energetico associato alla produzione di 520.000 abitanti) e ridotto le emissioni di CO2 pari questo packaging, a differenza di quanto a un’auto che compia il giro del mondo per 30.082 sostenuto dall’azienda, condannata dunque volte in un anno. In realtà, secondo quanto riportato per una “dichiarazione ecologica” che non dall’antitrust, il dato di ‘650 milioni di bottiglie’ poteva essere comprovata. citato negli annunci pubblicitari fa riferimento all’intera produzione annua di bottiglie Sant’Anna, fabbricate sia in plastica (Pet) che in PlaINGEO® (BioBottle). Inoltre, dai dati delle vendite, sul totale di bottiglie di acqua minerale a marchio “Sant’Anna” vendute nel corso del 2010 (oltre 600 milioni) quelle imbottigliate utilizzando la bottiglia “BioBottle” rappresentano una quota pari a circa lo 0,2%. Ciò significa che i pregi ambientali comunicati dalle pubblicità erano di gran lunga superiori a quelli reali.
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Sant’Anna, bio bottle 141
4.6 Anatomia di un prodotto bio
Oggi il biologico è diventato un trendy, una moda, ma, come è stato appena illustrato, dietro al suo successo non c’è solo una motivazione etica, bensì studiate strategie di marketing. Infatti, anche i prodotti che non rientrano strettamente in questa categoria tendono a incorporare nella propria promozione i temi mutuati dal mondo del “bio”. Le aziende modificano i propri prodotti, lavorando sulla loro percezione esterna, così da farli arrivare al cliente come parte di un messaggio che parla di rispetto della natura e della salute, di semplicità, di ritorno alla genuinità e alle tradizioni, di attenzione agli ingredienti e a ogni fase della lavorazione. L’obiettivo primario anche nel packaging è quindi quello di suscitare emozioni e sensazioni tramite elementi grafici e sfumature cromatiche. I colori più usati sono solitamente legati al mondo naturale come il verde, beige/marrone e giallo. (fa eccezione la Barilla che ha confermato l’iconico blu, appena più chiaro e “naturale” del solito blu intenso). Quando compriamo qualcosa, il 90% dei motivi per cui portiamo a termine l’acquisto riguarda il suo colore, o ancora meglio, la percezione che se ne ha. I colori, infatti, hanno un ruolo centrale nelle filosofie dietro ogni brand. Ognuno di essi implica qualcosa, direttamente o indirettamente, ci aiuta ad avere una personale percezione del brand. Alcuni colori, addirittura, vanno oltre le singole aziende, aiutando a definire anche interi settori (il blu, ad esempio, è connessa all’industria di viaggi, il verde alla industria sanitaria, il rosso a quella del fast food). Tornando ai colori del bio, il verde è collegato ovviamente alla natura; di conseguenza, dato che molte piante sono di questa colorazione, è associato anche con concetti legati alla crescita e alla salute. Nel design, questo colore può avere un effetto di bilanciamento, che crea armonia. Per quanto riguarda le forme si utilizza una grafica disegnata, e rimandi al mondo naturale, che diano la percezione del “fatto a mano” come per le animazioni dello spot di Eni, o per il rametto con le foglie, ora disegnate, ora bucate a mostrare la pasta di Barilla nei suoi packaging. Alle foto spesso si prediligono disegni dettagliati o grossolani di frutta, fiori, campi, animali e verdure, come nel caso di Fileni, che vede sia nella comunicazione cartacea sia nell’online, una ridondanza di schizzi di colore verde, su un header (per il sito) altrettanto disegnato su fondo verde, e un testo che varia fra le tonalità di verdi e marrone. I font del biologico sono anch’essi dei rimandi alla terra e al naturale. Cosa c’è di più naturale di un font scritto a mano? Ecco dunque che tornano sui packaging dei prodotti font script, handwritten, irregolari, grunge. Quando il font scelto è regolare, bastone e ben leggibile solitamente è il colore a renderlo nuovamente eco-friendly.
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Barilla, packaging prodotti bio 144
Mulino Bianco, comunicazione prodotti bio
Fileni, comunicazione visiva 145
Barilla, packaging prodotti bio
5. Conclusioni
Dopo un periodo, dedicato esclusivamente alla ricerca di idee, progetti, campagne a favore dell’ambiente, alla ricerca e raccolta di informarmi sullo sviluppo del rilascio di CO2 nell’aria e alla riflesione sulla capacità, delle nostre azioni di modificare la vita attorno a noi, è possibile affermare con discreta sicurezza che: da un lato, la ricerca, in moltissimi ambiti della nostra quotidianità, sta portando frutti sempre più vicini ad uno stile di vita ecologico e rispettoso del pianeta che abitiamo (nonostante il pessimismo dilagante degli ultimi decenni), dall’altro lato è necessario ammettere che, soprattutto parlando delle aziende più grandi e non solo, dei consumatori più ricchi del pianeta, esiste ancora un’indifferenza rispetto al problema dell’inquinamento. Come uno Ying e uno Yang è possibile notare equilibrio già vacillante fra chi inquina senza ritegno e chi tenta disperatamente di lanciare messaggi per sensibilizzare il mondo. Allora, se la globalizzazione e il sistema da essa creato non aiuta a migliorare la situazione, una delle possibili soluzioni, se pur lente e bisognose della partecipazione di tutti, è quella di tornare ad un uso consapevole delle proprie risorse, dall’oggetto, non più nuovo ma ancora utilizzabile, al risparmio dei consumi. Non si intente certo, eliminare completamente l’uso di acqua o riscaldamenti, significa valutare, ad esempio la temperatura della casa e decidere se usare un maglione in più o se accendere i termosifoni. Tutte azioni semplici, che però non vengono compiute dall’uomo, impigrito forse dalle comodità delle nuove tecnologie. Questi piccoli gesti non si limitano però solo alla quantità del consumo ma anche alla tipologia, è il caso allora di fare una scelta consapevole, e acquistare tramite negozi, aziende, rivenditori che abbiano a cuore la salvaguardia del pianeta, quando se ne ha la possibilità. Anche in questo caso, è richiesto uno sforzo ad ogni individuo che deciderà di porre l’attenzione sui vari brand che si propongono come alternative bio. Poichè, come da analisi, se l’attenzione è limitata allo spot, al poster in vetrina, al volantino, è possibile venire facilmente ingannati. È allora il caso di informarsi, di andare più in profondità e studiare cosa c’è al di là della candida e patinata pellicola di amore per l’ambiente proposta dalle multinazionali. Sarebbe possibile obbiettarne, come individui, colpevolizzando la comunicazione dietro ai vari brand, nonostante sia esattamente quello, lo scopo del marketing, studiare strategie per vendere un prodotto ad ogni costo. Non è sicuramente etico pensare di mostrare una parziale verità trasmettendo l’idea di un’azienda come “amica dell’ambiente”. Ma personalmente dubito che il marketing puro possa concedersi il lusso di avere un’etica da seguire.
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Possono farlo le persone, sia quelle a capo di un’impresa commerciale, ed attuare una politica di produzione vicina alla salvaguardia dell’ambiente, sia quelle che ricevono lavoro da tali imprese, fra queste i designer, che possono scegliere di non accettare e non dare il proprio contributo alla creazione di una comunicazione visiva ingannevole. Per quanto riguarda la pratica nel graphic design sostenibile, è possibile affermare che oggi, creare una comunicazione visiva più vicina all’ambiente, senza sacrificarne la qualità in fase di stampa è un’opzione sempre più reale ed ha dei costi più contenuti rispetto al passato. Inoltre è da ritenere soddisfacente la varietà di strumenti che si hanno a disposizione per poter comunicare le idee o pubblicizzare un prodotto mantenendo un basso impatto ambientale. Infine, è doveroso ricordare, che non stiamo salvando il pianeta, o la natura, o l’ambiente, ma noi stessi. L’aria inquinata è quella che respiriamo, l’acqua tossica e infetta è quella in cui ci immergiamo, il cibo contaminato quello che mangiamo. Certo, ne risentono, del nostro sbaglio, anche piante e animali, ma è da ricordare che, in questo momento, a Chernobyl, sono tornati una vegetazione rigogliosa e un’altrettanto prospera fauna. Non l’uomo.
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Ringraziamenti
Un ringraziamento doveroso a tutti i professori incontrati durante il mio percorso, perchè ognuno di loro ha contribuito ad arricchirmi, incuriosirmi e stimolarmi a guardare sempre un pò più in là, nell’ignoto. Un ringraziamento particolare al Prof. Luci, del quale nutro profonda stima, che mi ha accompagnata dal primo anno fino a qui, regalando a me come ad ogni suo studente, pillole di curiosità, fondamentali per continuare a conoscere, studiare, appassionarsi. Ringrazio la gentilezza, l’entusiasmo e il trasporto che il Prof. Chini ha avuto nei miei confronti ma soprattutto nel tema, nella realizzazione e nel contenuto di questa tesi, nonostante i ritardi del caso è stato capace di darmi spunti di riflessione utili al completamento del progetto. Ringrazio due persone, che nel lontano ‘94 hanno dedciso di dedicarsi completamente a me, impiegando il loro tempo, pazienza, gioia, talvolta lacrime, preoccupazione ed hanno pero ore e ore di sonno nella mia crescita e in qualunque decisione della mia vita. Ringrazio tutte quelle persone che hanno sempre fatto parte della mia famiglia, ed anche chi ormai ne fa parte da 8 anni. I nonni, di cui ho la fortuna di averne 4+1, siete tutti un’esempio di determinazione, chi per un motivo, chi per un altro. I prof della famiglia, che animano le nostre giornate, grazie a voi capisco quanto l’Italia sia piccola e quanto un desiderio ardente possa far muovere il mondo attorno a noi. La famiglia che che mi ha accolta nel proprio quotidiano come se fossi sempre stata lì, già dal primissimo giorno. Ringrazio chi è stato mio amico, chi non lo è più, chi voleva esserlo ma per qualche motivo non siamo riusciti a conoscerci o ad andare d’accordo. Ringrazio pure i conoscenti, poichè spesso tendo a distinguere gli amici da quest’altra categoria (sono del segno della vergine ragazzi, essere pignola è più forte di me), perchè tutti hanno potuto portare in me qualche lieve cambiamento, qualche smussatura, qualcosa su cui ragionare. Ringrazio gli amici storici, perchè hanno avuto sempre un sorriso e una battuta idiota per tirarmi su quando ne avevo più bisogno. In realtà ringrazio tutti, proprio perchè ognuno ti da qualcosa, anche quando non vuole. Ringrazio pure me stessa e mi lascio un piccolo pensiero. “Sara, ti sottovaluti davvero troppo. Non sei un genio ma non sei manco n’a scarpa!” Grazie a tutti. 154
Damiano. Dalla regia mi dicono 8 anni, ma a me sembra di conoscerti da una vita. Forse è per questo che il periodo di frequentazione è stato corto e in poco tempo abbiamo deciso di camminare insieme il resto di questa nostra vita. A te vorrei dire grazie, per le innumerevoli giornate passate a rimbalzare come una pallina da ping pong fra Carrara e Montignoso, solo per poter stare con me anche solo 5 minuti. Grazie perchè hai assorbito le mie ansie e le mie paure, sommandole alle tue. Spero di essere capace a fare lo stesso per te amore. Vorrei anche che sapessi, perchè a volte ho l’impressione che tu non ne te accorga, di quanto sei forte. C’è una forza titanica nei tuoi quotidiani atti di gentilezza, da poter cambiare il mondo intero. Vorrei dirti molte altre cose, ma come sai non sono molto brava con le parole, lascerò che siano i nostri occhi a parlarsi, come hanno sempre fatto.
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