Sara Turano | Tesi di Laurea_Lo spazio dei rifugiati nella città europea. Torino

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Sara Turano

LO SPAZIO DEI RIFUGIATI NELLA CITTÀ EUROPEA. TORINO



LO SPAZIO DEI RIFUGIATI NELLA CITTÀ EUROPEA. TORINO

tesi di laurea magistrale in Architettura Costruzione-Città

candidata: Sara Turano

Politecnico di Torino a.a. 2015/2016

relatore: Angelo Sampieri correlatore: Quirino Spinelli


Indice

Introduzione: La crisi dei rifugiati e lo spazio della città europea

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I. LUOGHI, NUMERI, STORIE DI RIFUGIATI Guerre 1. Teatri di guerra 2. Caduti 3. Racconti di guerra

15 15 20 35

Fughe 1. Vie di fuga 2. Popoli in marcia 3. Attraverso i campi e lungo i greti

47 47 53 71

Rifugi 1. Spazi per l’accoglienza 1.1 Campi 1.2 Spazi istituzionali 1.3 Spazi non istituzionale 2. Ricoveri 3. Un letto di passaggio

83 83 84 87 92 95 99


II. L’ACCOGLIENZA NELLE CITTÀ. TORINO Campi urbani 1. Casa del Mondo 2. Ozanam House 3. Ex-MOI

117 119 129 139

Città segrete 1. Appartamenti - Corso Regina Margherita, 140 - Via Feletto, 50 2. CIE

149 151 153 161 169

III. QUESTIONI DI SPAZIO Dare casa 1. Densificazione 2. Sostituzione 3. Riciclo

179 180 184 186

Fare città 1. Sottrazioni 2. Polarizzazioni 3. Una disseminazione

191 195 201 207

Conclusioni

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Bibliografia

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Introduzione


La crisi dei rifugiati e lo spazio della città europea

L’ultimo decennio è stato interessato da quattro gravi crisi la cui combinazione ha segnato e cambiato radicalmente lo spazio europeo: prima fra tutte la grande crisi economica e finanziaria che dal 2007 manifesta una condizione di grande stagnazione, seguita dalle forti tensioni diffuse sul territorio ucraino a partire dal 2014 e dalla minaccia del terrorismo jihadista che incombe su paesi la cui stabilità è già ampiamente compromessa. A queste si aggiunge la forte pressione migratoria di popoli provenienti dall’Africa e dal Medio Oriente, segnata dalla difficoltà di distinguere tra tradizionali «migranti economici» e coloro che a pieno titolo possono essere considerati «rifugiati» e «profughi», i cosiddetti «migranti forzati», costretti a lasciare il loro paese spinti da guerre, regimi di oppressione e persecuzioni. È attraverso l’inserimento all’interno di questo quadro più ampio che è possibile avere una più corretta lettura dell’attuale crisi migratoria, la quale, in relazione alla specificità dei soggetti coinvolti, viene più comunemente definita una «crisi dei rifugiati». I recenti spostamenti attraverso le frontiere ridisegnano punti di partenza, di destinazione e transito, contribuendo così a ridefinire una geografia della mobilità umana, oltre a cambiare la configurazione dei territori intercettati dal passaggio delle masse. Entro un quadro di questo tipo, si assiste all’incapacità da parte dei paesi europei di fornire una concreta risposta ai problemi, proprio in relazione ad una loro nuova possibile natura di terra di accoglienza di cui ancora non hanno assunto consapevolezza. La crisi produce effetti destabilizzanti. L’afflusso massiccio di uomini, donne, bambini, privi di qualsiasi dotazione è percepito dai paesi ospitanti come una minaccia per la sicurezza a cui si prova a dare risposta attraverso l’innalzamento di “sbarramenti anti-migranti” 1 che causano l’interruzione di alcune rotte ma che, allo stesso tempo, indirizzano verso l’apertura di porte alternative. L’arrivo di un numero sempre maggiore di individui incide inoltre profondamente sulle strutture sociali consolidate, che si trovano costrette a cambiare per far fronte all’arrivo di individui «sempre più poveri di quanti si erano già insediati in precedenza, oltre 1

Limes 3/2016, La sindrome di Tocqueville

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che diversi per lingua, aspetto fisico, usanze, credenze e pratiche religiose. La percezione diffusa è quella di uno sconvolgimento dell’ordine sociale. Per alcuni, è l’alba di un mondo nuovo, all’insegna del meticciato e della fratellanza universale; per i più, è l’inizio di un’invasione».2 Cresce il fenomeno delle disuguaglianze sociali che sempre più si rivelano e si consolidano attraverso la formazione di nuove ingiustizie spaziali.3 L’eterogeneità dei popoli, dei costumi, delle domande, comporta l’esplosione di nuovi sistemi di intolleranza4 dettati da sentimenti di paura e insicurezza. Il migrante è un diverso, un soggetto poco “familiare” che per molti può rappresentare una minaccia, una “distopia che cammina”, volendo utilizzare le parole di Zygmunt Bauman.5 Per questo la società avverte la necessità di far valere un principio di autodifesa attraverso dei dispositivi spaziali il cui ruolo è quello di tenere “il nemico” a distanza, operando così una di serie di esclusioni selettive. Le istituzioni europee, al contempo, si adoperano nel modificare il complessivo disegno legislativo in tema d’asilo, adeguandolo attraverso nuove rigide normative create ad hoc per provvedere alle necessità, contenere i nuovi arrivi e regolamentare le permanenze sul territorio, tenendo conto delle cause che ha provocato questa crisi e nella consapevolezza che essa è destinata a durare per anni ed avere delle conseguenze strutturali sugli equilibri demografici, economici, sociali e politici dello spazio europeo. Il nuovo quadro normativo pertanto avrà sì a che vedere con provvedimenti di natura emergenziale, destinati però a restare per un tempo presumibilmente lungo. Un tempo durante il quale l’Europa cambierà probabilmente in modo rapido e radicale. Tale crisi infatti incide su altre profonde crisi delle società occidentali. Quelle ambientali, della mobilità, quelle economiche come abbiamo detto. Ne consegue uno

2 Maurizio Ambrosini nella Prima Conferenza Nazionale sull’Immigrazione del PD Oltre la paura. Per l’Italia della convivenza, 25/26 marzo 2011 3 E.W. Soja, Seeking Spatial Justice, University of Minnesota Press, Minneapolis, 2010 4 Bernardo Secchi, La città dei ricchi e la città dei poveri, Laterza, Bari, 2013 5 Zygmunt Bauman in un’intervista del 29 agosto del 2015 concessa al giornalista de La Repubblica Antonello Guerrera – Zygmunt Bauman: “I migranti risvegliano le nostre paure. La politica non può rimanere cieca - asserisce: “Nella nostra società liquida, flagellata dalla paura del fallimento e di perdere il proprio posto nella società, i migranti diventano “ walking dystopias”, distopie che camminano. Ma in un’era di totale incertezza esistenziale, dove la vita è sempre più precaria, questa non è l’unica ragione delle paure che scatena la vista di ondate di sfollati fuori controllo. Vengono percepiti come “messaggeri di cattive notizie”, come scriveva Bertolt Brecht. Ma ci ricordano, allo stesso tempo, ciò che vorremmo cancellare”.

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sviluppo che subisce un forte rallentamento: «si sta indebolendo rapidamente l’infrastruttura territoriale fatta di nuclei urbani, piattaforme produttive e reti che è la principale risorsa europea e costruisce la differenza con i paesi in rapido sviluppo. Cambia la dotazione di capitale fisso sociale incorporato nel territorio. Sono in atto processi di dismissione estrema, sostituzione di vecchie attrezzature del welfare, emergenza di economie minute e puntuali, riorganizzazioni sociali attorno a forme e culture dell’abitare inedite»6. Le aree urbane mutano in funzione dei nuovi usi e delle nuove pratiche, diverse forme di urbanità si confrontano e si oppongono e l’attuale crisi delle migrazioni collabora a questo cambiamento introducendo nuove forme di occupazione del territorio, nuovi dispositivi spaziali che rispondono alla domanda di nuovi protagonismi sociali. Il fenomeno è esposto all’interesse di una pluralità di discipline e di settori d’analisi che spaziano dalla sociologia all’economia, dall’antropologia alla politica. Il suo forte impatto sul territorio coinvolge ovviamente l’urbanistica, l’architettura e gli studi urbani più in generale nel momento in cui si devono comprendere le trasformazioni da esso prodotte nel breve e lungo periodo sulla struttura spaziale. Le rotte di transito generano corridoi, soglie e confini, campi volti a rispondere alle esigenze primarie dei profughi, strutture temporanee e stanziali di accoglienza che si relazionano con i tessuti urbani esistenti. Questa tesi si colloca entro questo campo di attenzioni, prova a restituire i mutamenti che il fenomeno migratorio degli ultimi anni ha esercitato in relazione allo spazio, pone pertanto una particolare attenzione alla produzione di spazi nuovi che ospitano nuovi migranti. È opportuno ribadire che non si tratta di migranti economici, che scelgono liberamente di spostarsi e il cui movimento è finalizzato ad un effettivo stanziamento all’interno delle società riceventi, ma soggetti costretti a lasciare il proprio paese, ignari di quale sarà il loro destino e che si confrontano con condizioni di transitorietà e liminalità. La tesi si compone di tre parti. Una prima parte ricostruisce il fenomeno dell’attuale crisi dei rifugiati entro un arco temporale che va dall’inizio del 2011, quando i flussi in arrivo nel continente europeo cominciano a registrare un andamento ascendente, sino alla fine del 2015, quando si inizia a prendere 6 Estratto dalla ricerca Territories in crisis, sviluppata attraverso una collaborazione tra il Politecnico di Torino e l’Ecole Polytechnique Fédérale de Lausanne sul riattrezzarsi di architettura e urbanistica a fronte del mutare delle logiche economiche, sociali e istituzionali come diretta conseguenza della crisi che coinvolge buona parte dei paesi occidentali.

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consapevolezza del carattere strutturale del fenomeno. In particolare si esplorano qui le cause che hanno sollecitato gli spostamenti, le rotte intraprese e le strutture presso cui trovare rifugio, tenendo conto dei numeri, dei luoghi e di alcune testimonianze che descrivono l’intricato percorso che porta a vivere in una condizione di sospensione temporanea. Una seconda parte di questo lavoro si concentra sull’esplorazione di un contesto urbano specifico, Torino, nel quale si osserva come la cultura architettonica e quella urbanistica si attrezzano a fronte del nuovo fenomeno migratorio. Apparentemente fuori dalle principali traiettorie che interessano i recenti flussi umani, la città è invece fortemente coinvolta. All’interno del tessuto urbano l’accoglienza dei rifugiati e dei richiedenti asilo è demandata a una ricca rete di strutture, nella fattispecie di campi urbani e piccoli nuclei disseminati sul territorio che contribuiscono alla definizione di una nuova questione abitativa, in parte trattata da esplorazioni progettuali che propongono modelli architettonici innovativi per la nuova ‘categoria sociale’. Ne consegue una città diversa, fatta di nuovi spazi che nella loro specificità producono forme e modi di abitare inediti che si intrecciano e talvolta si scontrano. Ciascuna di queste configurazioni, a cui si darà conto nell’ultima parte di questo lavoro, formalizza nuove domande di urbanità, di attrezzature e servizi, oltre che di alloggi, temporanei e stanziali. In tal senso, è evidente, che la questione dell’accoglienza, nelle discipline dell’architettura e dell’urbanistica, non può essere ridotta a problemi di comfort e design, o a soluzioni prettamente tecniche che certamente dovranno essere pertinenti. Il diverso rapporto tra società e territorio, insieme al cambiamento della struttura economica ed istituzionale del nostro continente, ci mettono oggi davanti all’affermazione di una «nuova questione urbana» che, come in passato, darà probabilmente avvio a scenari inediti, per far fronte ai quali non possiamo trovarci impreparati.

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I. LUOGHI, NUMERI, STORIE DI RIFUGIATI



Guerre

Gran parte del mondo è in guerra. Un crescente numero di conflitti, più o meno recenti, continua a insidiarsi all’interno dei Paesi del pianeta, minando la stabilità di molti popoli e determinando esodi di massa che mettono a rischio l’equilibrio geopolitico globale1. Sono circa 15 i conflitti scoppiati o che si sono riaccesi solo negli ultimi cinque anni, sommandosi al consistente numero di scontri già in corso e costituendo la maggiore causa degli spostamenti dei civili, secondo quanto riportato dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR - United Nations High Commissioner for Refugees) nel rapporto annuale del 2015 sugli spostamenti forzati. 1.

Teatri di guerra

Il Mediterraneo rappresenta oggi una delle aree politicamente più instabili a livello globale. La stagione del cambiamento politico sulla sponda nordafricana, che ha avuto inizio nel dicembre del 2010 con le prime proteste popolari in Tunisia, ha modificato radicalmente il sistema politico ed istituzionale, sociale e culturale delle regioni interessate, mentre il disordine ha favorito un abbassamento del controllo dei crescenti movimenti migratori.2 L’ondata rivoluzionaria tesa a promuovere una maggiore democrazia ed a3favorire il

1 Stabilire il numero dei conflitti attualmente in corso è difficile. A guardare la mappa del pianeta risulta maggiore la porzione attualmente in guerra che non quella in pace. I numeri sono stati diffusi dall’ Heidelberg Institute for International Conflict Research che dal 1991 redige ogni anno il “Conflict Barometer”, descrivendo dettagliatamente i conflitti in corso a livello globale e ponendo particolare attenzione alla loro intensità: dalle dispute non violente alle vere e proprie guerre. Il Rapporto evidenzia inoltre come il numero dei Paesi in guerra sia sensibilmente più alto rispetto a quelli riconosciuti e come, in molto casi, siano presenti più fronti di guerra (anche di diversa intensità) nello stesso Stato. 2 Osservatorio di politica Internazionale, L’impatto delle primavere arabe sui flussi migratori regionali e verso l’Italia A LATO Città di Aleppo sotto i bombardamenti - Photo credits © LEFT

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Siria 2011 - in corso Guerra civile iniziata nel contesto della Primavera Araba contro il governo di Bashar al-Assad. Il radicalizzarsi degli scontri ha favorito l’avanzamento di gruppi di fondamentalisti il cui principale obiettivo è l’instaurazione della Shari’a in Siria

Ucraina 2014 - in corso Conflitto armato nella regione del Donbass

Turchia 1978 - in corso Insurrezione di vari gruppi di curdi a favore dell’indipendenza dei territori del Kurdistan dalla Turchia

Egitto 2011 - in corso Conflitto innescato dai militanti islamici nella penisola del Sinai

Libia 2014 - in corso Seconda guerra civile (governo di Tobruk vs. governo di Tripoli)

Algeria 2002 - in corso Insurrezioni nei territori del Maghreb di gruppi di militanti islamici (GSPC e AQIM)

Mali 2012 - 2015 Insurrezioni contro il governo maliano per l’indipendenza dei territori del Nord, altrimenti conosciuti come Azawat

Niger - Nigeria - Camerun - Ciad 2009 - in corso Insurrezioni del gruppo ribelle jihadista Boko Haram

Rep. Centrafricana 2012 - in corso Guerra civile tra la coalizione ribelle Séléka e le forze del governo

Rep. Democratica del Congo 1995 - in corso Insurrezioni delle forze democratiche contro il governo del paese

Sud Sudan 2013 - in corso Guerra civile tra le forze del governo e le forze dell’opposizione


Iraq 2014 - in corso Guerra civile. Insurrezione irachena contro la conquista di alcuni territori del nord del paese da parte dello Stato Islamico dell’Iraq e del Levante (ISIS)

Afghanistan 2015 - in corso Seguito della prima fase della guerra afghana (2001-2014) condotta dagli Stati Uniti con l’obiettivo di distruggere al-Qaeda ed eliminare i talebani al governo. Nel 2015, lo Stato Islamico dell’Iraq e del Levante (ISIS) ha iniziato a radicarsi reclutando sempre più combattenti contro la leadership talebana

Israele - Palestina metà del XX sec - in corso Storico conflitto territoriale per il controllo di Gerusalemme, i confini, gli insediamenti israeliani, la libertà di movimento palestinese e il diritto palestinese al riorno

India - Pakistan 1947 - in corso Storico conflitto territoriale tra l’India, il Pakistan e una piccola parte del territorio cinese per il controllo dello stato del Kashmir

Pakistan

Arabia Saudita - Yemen

2004 - in corso Scontro armato tra lo Stato e gruppi di militanti nei territori nord-occidentali

2015 - in corso Conflitto scoppiato tra due fazioni che affermano di rappresentare il governo yemenita. I gruppi fondamentalisti di al-Qaeda (AQAP) e dello Stato Islamico dell’Iraq e del Levante (ISIS) hanno preso il controllo di aree dell’entroterra e di tratti di costa

Somalia 1991 - in corso Guerra civile nata dalla resistenza al regime di Sias Barre degli anni ‘80. Dal 2009 il conflitto si combatte tra le forze del Governo Federale della Somalia e gruppi di militanti islamici, in particolare nel sud del paese

Sudan 2011 - in corso Conflitto armato tra l’esercito del Sudan (SAF) e il Sudan People’s Liberation Movement-North (SPLM-N), affiliato del Sudan People’s Liberation Movement (SPLM) nel Sud Sudan

maggiori conflitti in corso luoghi della Primavera Araba

fonte: CIA, World Factbook; HIIK Conflict Barometer; Atlante delle guerre e dei conflitti nel mondo


riconoscimento di alcuni essenziali diritti umani, la Primavera Araba, ha coinvolto i territori del Nord Africa sino ai paesi del Golfo, portando alla fine dei vecchi regimi in Egitto, Tunisia e Libia e allo scoppio della guerra civile in Siria e nello Yemen. L’Africa è del resto, per intero, il continente maggiormente coinvolto dalle profonde crisi umanitarie e politiche. Buona parte dei paesi è attualmente in guerra: milizie ribelli, gruppi separatisti o anarchici combattono tra di sé e contro i governi. Un clima di particolare instabilità si registra, nei paesi dell’area subsahariana, dove sommosse di ribelli e scontri contro i militanti islamici non desistono dal fare pressione sugli ingenti spostamenti dei civili alla continua ricerca di territori che possano garantire loro maggiore sicurezza e speranza per il futuro. In paesi come Somalia, Eritrea e Gambia si fugge da dittature e persecuzioni che opprimono ogni libertà personale. Ma continuano le fughe anche dai paesi che escono da sanguinosi conflitti e che oggi attraversano una fase di regolamento dei conti, come in Costa d’Avorio, dove chi si schierava dalla parte del governo deposto è ora vittima di ritorsioni e ostracismo. Rivoluzioni, guerre civili, accanto a gravi crisi politiche e contese di confini sempre più labili, dilagano in Medio Oriente, considerata la polveriera del mondo, dove ai combattimenti tra diversi gruppi rivali si aggiungono quelli tra fazioni appoggiate da governi stranieri o da organizzazioni terroristiche internazionali. L’invasione americana dell’Iraq nel 2003 e, in seguito, le rivolte arabe del 2011 hanno sollecitato la crisi dello Stato arabo facendo convergere diversi fattori di instabilità fino a quel momento latenti. Ed è in questo clima che il Medio Oriente diventa terreno fertile per l’emergenza di diversi focolai di guerra ai quali, a loro volta, si intrecciano profonde divisioni religiose, come gli scontri tra i due principali rami dottrinali dell’Islam dei sunniti e degli sciiti, che negli ultimi anni hanno assunto una rilevanza sempre maggiore nel regolare interessi e alleanze, soprattutto in paesi come Siria e Iraq. In Siria, paese di maggioranza sunnita1, dal 2011 si combatte una guerra civile ____

1 CIA, The World Factbook, Religions

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contro il regime del presidente Bashar al-Assad, di stampo sciita, provocando persino una divisione all’interno del Consiglio di Sicurezza dell’ONU che vede la Russia a favore del regime, e gli Stati Uniti a favore dei moderati che lo combattono1. In Iraq, paese di maggioranza sciita2 , si contrastano gli avanzamenti dell’auto proclamato Stato Islamico dell’Iraq e del Levante (ISIL o ISIS), gruppo terroristico islamista e sunnita. La feroce espansione dell’ISIS riflette, tra le altre cose, il tentativo di fornire un senso d’identità in una fase di grande confusione e collasso sociale, non solo nei territori di Siria e Iraq, ma simultaneamente su diversi fronti, a partire dalle coste libiche, sino a coinvolgere la stessa Europa. Sede di conflitti di lungo corso e di grandi tensioni è anche il continente asiatico. Il Pakistan continua a ricevere forti pressioni non solo da parte dell’India, con cui è in conflitto da più di mezzo secolo per ataviche questioni territoriali, ma anche dell’Iran e dell’Afghanistan, territori su cui si assesta il regime fondamendalista islamico da cui si levano organizzazioni militari e terroristiche il cui avanzamento rappresenta una minaccia a livello globale. Unitamente all’elevato numero dei fronti di combattimento, il forte coinvolgimento di molti stati esterni determina una continua evoluzione delle situazioni conflittuali, destando notevoli preoccupazioni oltre che nei territori direttamente colpiti, anche in quelli su cui indirettamente ne ricadono gli effetti, diventando essi stessi della teatri di guerra. La storia è nota, ed oggetto di un dibattito politico che veicola molti cambiamenti a livello non solo globale ma anche locale. Sono ormai numerosi, potremmo dire quasi tutti, i Paesi del mondo chiamati a soccorrere, ad accogliere, in molti casi a combattere, nel tentativo di risolvere un conflitto dall’esterno, senza spesso possedere adeguati mezzi per farlo ed ostacolati da sentimenti discriminatori. Entro un quadro così complesso e composito, come ben sappiamo, le azioni di esportazione di modelli di pace e democrazia finiscono spesso per destabilizzare un equilibrio socio-politico già di per sé precario, mettendo in evidenza il vero problema nella risoluzione di alcuni conflitti, ovvero il prevalere di interessi parziali rispetto alla ricerca di una vera collaborazione tra Paesi. 1 Il Post, 09/09/2015, Le sette crisi del Medio Oriente 2 CIA, The World Factbook, Religions

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2.

Caduti

L’impatto delle guerre diffuse su vasta scala è enorme. A dimostrarlo sono le grandi cifre che di anno in anno si registrano nei territori coinvolti e che descrivono una condizione destinata a perdurare ancora per molto tempo. L’inasprimento delle crisi e degli episodi di violenza in alcuni specifici paesi nel giro di pochi anni, infatti, ha causato centinaia di migliaia di morti e milioni di sfollati. Dal 2011, a partire dalle prime proteste insite nel più ampio quadro della Primavera Araba sino alla loro evoluzione odierna in veri e propri conflitti civili, sono state contate circa 300 mila vittime1 (delle quali oltre 250 mila solo in Siria2), da sommare alle quantità prodotte dalle molteplici situazioni conflittuali di diversa natura diffuse nel mondo. Ma è dal 2012 che il numero dei morti subisce una forte impennata: sono sempre più i paesi coinvolti e sempre più le violenze negli scontri. Le zone a più alto indice di violenza sono i territori del Medio Oriente e dell’Asia Meridionale, dove negli anni si produce un progressivo aumento del quantitativo di vittime. Afghanistan, Pakistan, Iraq sono tra i territori maggiormente colpiti da conflitti di grande intensità, con migliaia di morti ogni anno; ma è sicuramente la Siria a fornire il dato più consistente: con oltre 15 mila vittime nel 2012, circa 73 mila nel 2013, 76 mila nel 2014 e 55 mila nel 2015, è attualmente il paese con la situazione più drastica e con pesanti conseguenze anche sul bilancio demografico. Dall’inizio della guerra civile, infatti, l’andamento della popolazione siriana ha subìto un brusco calo, con un tasso di crescita pari a -9,73% nel 20143, da imputare non solo al crescente numero dei ___

1 Il dato è stato ricavato da una serie di rapporti ufficiali redatti dall’ONU e dagli osservatori che monitorano costantemente l’andamento dei conflitti scoppiati nei singoli paesi nella stagione della Primavera Araba. 2 Si fa riferimento al numero di morti stimati nel rapporto del 7504° incontro delle Nazioni Unite dell’agosto del 2015 relativo alla situazione del Medio Oriente - Alarmed by Continuing Syria Crisis, Security Council Affirms Its Support for Special Envoy’s Approach in Moving Political Solution Forward - e al Syrian Observatory for Human Rights che nel marzo 2016 stima un numero di vittime pari a 273.520 dall’inizio della rivoluzione siriana. 3 Index Mundi, http://www.indexmundi.com/g/g.aspx?v=24&c=sy&l=it

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morti1, oltre che al cospicuo saldo migratorio, ma anche al dimezzarsi delle nascite annuali che prima della guerra civile erano circa 500 mila, scendendo a poco più di 200 mila nell’ultimo anno2. Come in Siria, il bilancio demografico di altri paesi è stato interessato da un graduale abbassamento. In particolare, gli andamenti mostrano come Ucraina, Sudan, Israele, abbiano registrato un tasso di crescita negativo negli ultimi due anni, quando il peso della guerra ha cominciato ad aumentare in maniera significativa, seppur con un numero di vittime nettamente inferiore rispetto al caso siriano. I numeri individuati fanno percepire la portata di un fenomeno in continua e rapida crescita che non accenna a fermarsi e che, proprio in relazione alla sua condizione di persistenza, ha grande incidenza sulle trasformazioni del territorio, e sulla progressiva destrutturazione delle società colpite dalla guerra. Alcuni, spesso eletti, o comunque in possibilità di fuggire, vedono nella nell’abbandono dei territori di nascita, l’unica soluzione possibile alla sopravvivenza.

1 In Siria si registra un tasso di mortalità in continua crescita a partire dal 2010. In particolare, il 2014 riporta un tasso pari al 6,51%, quasi il doppio rispetto a quello registrato negli anni precedenti. Si fa riferimento alle statistiche elaborate da Index Mundi, sulla base dei dati ricavati dal CIA World Factbook, che fornisce informazioni circa la storia, la società, il governo, l’economia e le questioni transnazionali di circa 267 entità nel mondo. 2 La Stampa, 18/11/2015, La guerra civile dimezza le nascite in Siria

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2011

100 - 1.000 morti 1.000 - 10.000 morti + 10.000 morti

fonte: ONU; osservatori che monitorano costantemente l’andamento dei conflitti scoppiati nei singoli paesi nella stagione della Primavera Araba.


Pakistan

Iraq

India

10.000

1.000


2012

100 - 1.000 morti 1.000 - 10.000 morti + 10.000 morti

fonte: ONU; osservatori che monitorano costantemente l’andamento dei conflitti scoppiati nei singoli paesi nella stagione della Primavera Araba.


Siria

Afghanistan

Pakistan

Iraq

Somalia

Yemen

Sudan

Nigeria

Turchia

India

Rep. Dem. del Congo

Algeria

Sud Sudan

10.000

1.000


2013

Libia

Yemen

fonte: ONU; osservatori che monitorano costantemente l’andamento dei conflitti scoppiati nei singoli paesi nella stagione della Primavera Araba.

Algeria

100 - 1.000 morti 1.000 - 10.000 morti + 10.000 morti


Siria

Afghanistan

Iraq

Sudan

Pakistan

Nigeria

Sud Sudan

Somalia

Rep. Centrafricana

Rep. Dem. del Congo

India

Mali

Egitto

73.447

10.000

1.000


Camerun

Egitto

India

Mali

fonte: ONU; osservatori che monitorano costantemente l’andamento dei conflitti scoppiati nei singoli paesi nella stagione della Primavera Araba.

Algeria

100 - 1.000 morti 1.000 - 10.000 morti + 10.000 morti

Rep. Dem. del Congo

2014


Siria

Iraq

Afghanistan

Nigeria

Sud Sudan

Ucraina

Pakistan

Somalia

Sudan

Rep. Centrafricana

Libia

Israele

Yemen

76.021

20.000

10.000

1.000


2015

Libia

fonte: ONU; osservatori che monitorano costantemente l’andamento dei conflitti scoppiati nei singoli paesi nella stagione della Primavera Araba.

Yemen

100 - 1.000 morti 1.000 - 10.000 morti + 10.000 morti


Siria

Afghanistan

Iraq

Sudan

Pakistan

Nigeria

Sud Sudan

Somalia

Rep. Centrafricana

Rep. Dem. del Congo

India

Mali

Egitto

55.219

20.000

10.000

1.000


31,82mln

39,21mln

38,81mln

21,7mln

22,25mln

23,13mln

23,74mln

82,06mln

86,89mln

88,48mln

80,72mln

29,11mln

Algeria

37,76mln

Camerun

21,16mln

Egitto

79,39mln

India

1.121mln

Iraq

31,76mln

32,58mln

Israele

7,76mln

7,91mln

Libia

6,103mln

6,155mln

6,202mln

Mali

14,42mln

14,85mln

15,3mln

Nigeria

164,2mln

168,8mln

173,6mln

Pakistan

176,2mln

179,2mln

182,1mln

Rep. Centrafricana

4,436mln

4,525mln

4,616mln

Rep. Dem. Congo

63,93mln

65,71mln

67,51mln

Siria

21,96mln

22,4mln

22,85mln

29,82mln

38,48mln

1.252mln

1.237mln

33,42mln

8,06mln

10,2mln

32,58mln

7,82mln 6,244mln

1.252mln

37,06mln 8,05mln 6,412mln

16,46mln

16,95mln

177,1mln

181,6mln

196,2mln

199,1mln

5,278mln

5,392mln

77,43mln

79,37mln

17,8mln

10,5mln

10,43mln

10,62mln

11,56mln

12,04mln

35,48mln

36,11mln

81,62mln

79,41mln

9,908mln

Sud Sudan

10,38mln

10,84mln

11,3mln

Sudan

36,43mln

37,2mln

37,96mln

Turchia

73,06mln

74mln

74,93mln

Ucraina

45,71mln

45,59mln

45,49mln

23,3mln

23,85mln

24,41mln

2011

2012

2013

32

1.236mln

39,54mln

17,95mln

Somalia

Yemen

32,56mln

30,5mln

Afghanistan

44,29mln

44,43mln

26,05mln

26,74mln

2014

2015


100-1.000 morti

10.000-50.000 morti

1.000-10.000 morti

+50.000 morti

A LATO Confronto dell’andamento della popolazione nei singoli paesi in guerra dal 2011 al 2015 fonte: CIA World Factbook; ONU; osservatori che monitorano costantemente l’andamento dei conflitti scoppiati nei singoli paesi nella stagione della Primavera Araba.

33


Hudea, la bimbia siriana che “si arrende” alla macchina fotografica Photo credits © Osman Sagirli


3.

Racconti di guerra

“Quando una guerra inizia gli uni e gli altri contendenti inneggiano alla sicura vittoria, gli uni e gli altri invocano Dio con loro e la benedizione delle armi. Così dalle origini, perchè ogni avversario si ritiene dalla parte della giustizia. Con il passare del tempo nel conflitto, i più ragionevoli e razionali hanno dei dubbi; incominciano la stanchezza, il desiderio di farla finita.”

Mario Rigoni Stern I racconti di guerra

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Shabbir - Photo credits Š Sara Turano


SHABBIR, 35 anni Pakistan Shabbir è pakistano. Racconta di essere andato via dalla sua terra perché ormai non gli era più possibile restare. Lui, sunnita, è sposato con una donna sciita, ma la profonda discrepanza fra le due fazioni mette a repentaglio la loro unione. A seguito dell’ennesimo episodio di violenza tra le due famiglie, Shabbir è costretto a lasciare tutto e tutti e a scappare per mettersi in salvo. Inizia così un lungo viaggio durato diversi anni che dal Pakistan lo porta in Iran, dove si ferma qualche tempo per guadagnare la quantità di denaro necessaria a proseguire il viaggio. Shabbir non ha un letto, dorme nel parco, in montagna, in stazione. A causa del suo credo religioso lì la sua vita è in costante pericolo. Riesce ad arrivare in Turchia e poi si ferma 7 anni in Grecia. Lavora in un ristorante, poi in un hotel e si dedica al lavoro nei campi, così come faceva in Pakistan. Decide di spostarsi in Italia che raggiunge in 13 giorni, attraversando il Kosovo, la Serbia, l’Ungheria e l’Austria con ogni mezzo di fortuna. Prima Roma, poi Caltanissetta, dove formalizza la richiesta d’asilo. La sua destinazione è Torino. Arriva in città il 27 ottobre del 2015 accolto dapprima nel campo gestito dalla Croce Rossa a Settimo Torinese per poi essere assegnato a uno dei Centri di accoglienza straordinaria. Oggi Shabbir vive all’interno nel centro gestito negli stabilimenti delle vecchie Fonderie Ozanam.

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Hameed - Photo credits Š Sara Turano


HAMEED, 26 anni (KPK) Pakistan Hameed viene dal Pakistan. Vissuto in un piccolo paesino di montagna, all’età di soli 12 anni si sposta in città, dove gli è permesso studiare. “Nella mia parte non c’è tanta gente che studia”, dice. Prosegue gli studi per diversi anni lontano dalla famiglia. Decide di iscriversi a Medicina, che frequenta per un anno, ma vuole fare l’Ingegnere e vuole studiare in Italia. Si trasferisce a Torino, dove richiede il permesso di soggiornare come studente. È settembre del 2014 quando Hameed deve ritornare in Pakistan per sottoporsi a delle cure. Nel frattempo le cose nel suo paese d’origine sono cambiate: dal 2008 i talebani hanno attaccato il suo paese. La vita lì non è semplice, specialmente per coloro che vivono altrove da tempo, proprio come Hameed. La gente non si fida di nessuno, chiunque potrebbe essere un potenziale nemico. “Quando ero in Pakistan non parlavo con nessuno, neanche con la mia famiglia, perché mi seguivano, non sapevo di chi potermi fidare”. Resta solo pochi mesi, la sua volontà è quella di continuare a studiare, così riparte per l’Italia. Questa volta non riesce però a ottenere il permesso di soggiorno e per questo non riesce neanche a iscriversi nuovamente all’Università per proseguire il suo percorso di studi. Hameed non se lo può permettere, non ha i soldi per pagare le tasse e ha paura di ritornare in Pakistan, dove metterebbe a rischio la sua sicurezza. Gli consigliano di richiedere asilo in Italia.

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Ansumana - Photo credits Š Alessandro Oppi Salvatico


ANSUMANA, 26 anni Gambia Ansumana proviene da un piccolo villaggio del Gambia posto al confine meridionale col Senegal. In questo piccolo lembo di terra il potere esercitato dal presidente Yahya Jammeh preclude ogni tipo di libertà agli abitanti, costretti a subire e a soccombere in cambio della vita. Molti decidono di scappare, altri sono obbligati a farlo. Quella di Ansumana è una delle tante vite a rischio. Vittima di persecuzione, lascia il paese, la famiglia, il lavoro e si dirige verso un territorio che possa consentirgli di vivere e di esprimere liberamente il proprio pensiero.

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Mori - Photo credits Š Alessandro Oppi Salvatico


MORI, 20 anni Gambia Mori in Gambia fa il tassista. Una sera la sua vita viene stravolta: il passaggio alle persone sbagliate lo costringe a lasciare il paese. È la sera del 30 dicembre 2015 quando tre uomini lo minacciano e scendono dalla sua auto lasciando due pacchetti pieni di munizioni. Mori inizia a sentire degli spari e in preda al panico scappa, eludendo un posto di blocco della polizia che in tempi brevi identifica il suo veicolo. Quella sera inizia il colpo di stato in Gambia e Mori, nella condizione in cui si trova, viene esortato ad andarsene e non tornare mai più. Con l’aiuto del suo capo riesce ad arrivare in Libia, dove in cambio di vitto e alloggio lavora in un laboratorio sartoriale. Ma anche quella “stabilità” è destinata a tempi brevi: il laboratorio viene preso d’assalto da un gruppo di banditi il cui obiettivo è quello di sottrarre tutto quanto è in possesso dei presenti. Mori non ha niente e in cambio della vita è costretto a scappare nel più breve tempo possibile, di nuovo.

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Mohamed - Photo credits Š Sara Turano


MOHAMED, 28 anni Somalia Mohamed viene dalla Somalia, racconta di aver vissuto in un clima di guerra per tutta la sua vita. È infatti nel 1991 che si avvia il conflitto civile destinato a durare per decenni e che costringerà gran parte della popolazione a trovare rifugio altrove. Mohamed in Somalia fa l’autista, ha un suo minibus con cui lavora quotidianamente. Anche se in balia della guerra, conduce una vita dignitosa, con un lavoro che gli consente di mantenere una moglie e una figlia. Ma nel 2009 il conflitto aumenta la sua intensità: il Governo Federale somalo combatte contro gruppi di militanti islamici che acquisiscono sempre più potere minacciando gli oppositori. Nel frattempo a Mohamed viene offerta l’occasione di lavorare per circa un mese per il Governo. Messi a conoscenza di questa collaborazione, i gruppi ribelli gli intimano di lasciare il nuovo impiego per avere salva la sua vita e quella dei suoi familiari. La Somalia non è più un posto sicuro e a Mohamed viene consigliato di lasciare il Paese e di intraprendere il lungo viaggio che a distanza di qualche anno lo porterà in Europa. Spera di riuscire a trovare un lavoro e di avere migliori prospettive di vita.

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Fughe

La fuga è spesse volte l’unica possibilità di salvezza per le persone che vivono in paesi in cui dilagano gravi violenze e persecuzioni. Costrette ad abbandonare la casa, il lavoro, le abitudini, si ritrovano a intraprendere lunghi e tormentati viaggi alla ricerca di un luogo che possa fornire loro maggiore sicurezza e accoglienza. L’instabilità delle aree colpite da fenomeni di guerra, oltre a produrre continuamente consistenti movimenti all’interno dei paesi e tra i paesi confinanti, ha fatto sì che un minore controllo sul territorio, frutto dell’indebolimento delle istituzioni, innescasse un incremento di flussi di transito, coinvolgendo anche nazioni non limitrofe e non direttamente interessate dai conflitti bellici, ma su cui gli effetti di tali scontri ricadono. La presenza di così tanti fronti di guerra ha prodotto un’accelerazione quantitativa delle migrazioni, influendo profondamente sui rapporti tra i paesi occidentali e sulle organizzazioni economiche internazionali. Tale fenomeno è di natura nuova rispetto al carattere delle migrazioni, in quanto i soggetti interessati non si spostano per migliorare le proprie condizioni di vita, i cosiddetti migranti economici, ma sono migranti forzati, richiedenti una qualche forma di protezione nei Paesi disposti ad ospitarli. Ed è proprio in relazione a questa nuova natura che il fenomeno diventa sempre meno controllabile. 1.

Vie di fuga

L’Europa subisce in prima linea il clima di guerra che attanaglia alcuni territori, trovandosi a dover accogliere corposi flussi di individui. Tale questione, negli ultimi tempi, ha assunto un carattere emergenziale, tanto che si è soliti parlare di una crisi dei rifugiati.

A LATO

Rifugiati in fuga in Slovenia - Photo credits © Sergey Ponomarev/Redux

47


378.604

391.384 555.791 571.178

153.842

388.233

3.845

858.608 106

31.174


269

principali vie di fuga principali punti di transito principali punti di arrivo fonte: http://migration.iom.int/europe/ (gennaio 2016)


Una crisi che riguarda molti aspetti, tra i quali i territori di transito: le molte vie di fuga, che principalmente vanno dal Mediterraneo ai Balcani, lungo la rotta che dalla Grecia conduce al cuore dell’Europa. Tale flusso ha aperto un nuovo fronte sulla Manica, dove, attraverso l’Eurotunnel, si tenta di arrivare in Inghilterra. Questo dato dimostra come la crisi non interessi solo la sponda europea che si affaccia sul Mediterraneo, ma si espanda in modo capillare in tutto il continente, sommandosi alla grande crisi economica e finanziaria già presente nei territori attraversati. La traversata del Mediterraneo, per quanto rischiosa, è la rotta più utilizzata dai rifugiati, essendo le frontiere terrestri molto più complicate da superare. Il tempo ha portato alla definizione di nuovi canali che garantissero il raggiungimento delle mete più ambite, aggirando il più possibile i rigidi controlli delle frontiere. Si è cominciato a usare una rotta marittima molto più breve e meno pericolosa dalla Turchia alla Grecia e, a seguito di una maggiore flessibilità di alcuni stati che hanno deciso di togliere delle misure forse troppo severe per prevenire l’ingresso dei migranti, è stata favorita l’apertura di nuovi itinerari terrestri, come la rotta balcanica. Il progressivo incremento di richieste che preme su alcuni paesi europei, conseguenza del fallimento delle politiche di redistribuzione e identificazione, oltre che dell’intensificarsi di alcuni scontri, ha reintrodotto controlli alle frontiere nazionali di un’Europa che si diceva fino a pochi anni fa finalmente ‘aperta’. È il caso della chiusura della frontiera tra Italia e Francia a Ventimiglia nel 2011 e nel 2015, poi tra Bulgaria e Grecia e tra Germania e Austria, sempre nel 2015. Entro questo clima di irrigidimento dei Paesi coinvolti, prendono piede nuove politiche che portano a ridiscutere Schengen1. Tanto che l’area di libera circolazione pare attualmente fortemente compromessa, soprattutto a seguito degli episodi terroristici che hanno messo in allarme un continente in cui è già ampiamente diffuso un senso di insicurezza e debolezza, non solo economica. 1 La Convenzione di Schengen è un accordo internazionale che prevede la libera circolazione tra i paesi firmatari con l’abolizione dei controlli alle frontiere per tutti i viaggiatori, salvo circostanze eccezionali. Riconosciuto inizialmente tra Benelux, Germania Ovest e Francia, in applicazione dell’Accordo di Schengen del 1985, lo spazio Schengen è attualmente composto da 26 paesi, di cui 22 membri dell’Unione europea e quattro non membri (Islanda, Liechtenstein, Norvegia e Svizzera). Non ne fanno parte Bulgaria, Cipro, Croazia, e Romania, per cui il trattato non è ancora entrato in vigore, e Irlanda e Regno Unito, che non hanno aderito alla convenzione esercitando la cosiddetta clausola di esclusione.

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Paesi dell’Unione Europea Paesi che aderiscono allo spazio Schengen Paesi che hanno sottoscritto la Convenzione di Schengen ma in cui non è ancora in vigore Nuovi muri contro i migranti Paesi che hanno sospeso Schengen Paesi contrari alla ripartizione dei profughi in quote nazionali fonte: Limes 3/2016

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Il 2016 inizia con una reintroduzione “temporanea” dei controlli alle borderline da parte di 6 paesi firmatari: Norvegia, Svezia, Austria, Germania, Francia e Danimarca. Il rischio è quello di scatenare un effetto domino, come già è in parte avvenuto. Lo stato di guerra si riversa così sul territorio europeo anche in questo modo: compromettendo la sua dimensione unitaria, a partire da una più forte demarcazione dei confini, rendendo persino più difficili gli scambi commerciali e gli spostamenti degli investimenti tra gli stessi Paesi europei. Si rende al contempo evidente come le politiche migratorie disegnino continuamente nuovi perimetri di esclusione dallo spazio giuridico europeo. I confini fisici di questa grande fortezza paiono oggi i Balcani, l’Italia e lo stretto di Gibilterra. Per la sua collocazione geografica, l’Italia è uno dei paesi maggiormente esposti al fenomeno migratorio. Facile punto d’arrivo, specialmente per i flussi provenienti dal Nord Africa, quella italiana non è sempre una meta ambita da coloro che sono costretti a lasciare il proprio paese. Dei boat people che sopravvivono alle traversate marittime, solo una parte resta in Italia, dove presenta la propria istanza di protezione. L’altra parte tenta di continuare il viaggio per raggiungere i paesi del Nord Europa, dove migliori politiche in termini di accoglienza, frequenti ricongiungimenti familiari e maggiori opportunità di inserimento nel mondo del lavoro, rendono più ambite le mete. Non tutti gli esuli riescono però a veder realizzato il proprio obiettivo. Molti vengono, infatti, rimandati nel paese di primo ingresso in cui sono già state formalizzate delle richieste d’asilo, in forza del molto discusso Regolamento di Dublino1. A fronte dei principi emanati dal diritto internazionale2, l’Italia non ha il potere di regolamentare gli ingressi nel proprio territorio, subendo l’imposizione di trattenere coloro che hanno fatto richiesta, pur contro la loro stessa volontà.

1 La Convenzione di Dublino è un trattato internazionale multilaterale in tema di diritto d’asilo firmato nel 1990 dall’Unione europea e da alcuni altri stati del continente. La Convenzione è stata poi sostituita dal Trattato di Dublino II, sottoscritto dagli Stati dell’Ue nel 2003, poi modificato nel 2013 e rinominato Dublino III, confermando il principio secondo cui i cittadini extracomunitari che fuggono da Paesi di origine perché in guerra o perseguitati per motivi di natura politica o religiosa possono fare richiesta di asilo solo nel primo Paese membro dell’Ue in cui arrivano. 2 La Convenzione di Ginevra del 1951, enuncia il principio di non-refoulement, ripreso dalla normativa internazionale e nazionale, secondo cui “nessuno Stato Contraente espellerà o respingerà, in qualsiasi modo, un rifugiato verso i confini di territori in cui la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate a motivo della sua razza, della sua religione, della sua cittadinanza, della sua appartenenza a un gruppo sociale o delle sue opinioni politiche”.

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Col permanere o l’aggravarsi delle situazioni di guerra in un numero sempre maggiore di paesi, i fenomeni di migrazioni forzate attraverso nuovi confini continuano ad intensificarsi e ad avere enormi ricadute sul territorio europeo: dalle rotte di transito si originano corridoi, barriere e nuovi spazi volti a rispondere alle esigenze primarie dei profughi: sostare temporaneamente in prima istanza. Come sotto gli occhi di tutti, seppure forse ancora non sufficientemente compreso, il fenomeno determina un profondo mutamento del territorio europeo. 2.

Popoli in marcia

Nel 2015 le persone in fuga da persecuzioni, conflitti e violazioni di diritti umani sono state sessanta milioni, il più alto livello raggiunto dalla Seconda Guerra Mondiale. Negli ultimi anni il numero dei rifugiati nel mondo è aumentato del 45% dal 2011, accompagnato da una progressiva riduzione di ritorni in patria1. La dinamica dell’esilio-ritorno, percepita come due moti contrapposti, non appare sempre realistica: a ogni partenza non corrisponde un rientro. Anzi, si attesta sempre più una politica del non-ritorno, complice il peggioramento delle condizioni di sicurezza globali. Nel 2014 i rientri sono stati 126.800, contro i 414.600 dell’anno precedente2. Oltretutto, i rifugiati di guerra si intrecciano con il fenomeno dei migranti economici e climatico-ambientali, spingendo su un fenomeno di congestione difficile da gestire, in particolare da parte di paesi che mancano di una concreta programmazione. «Malgrado le disuguaglianze nel diritto alla mobilità e le barriere erette dai paesi sviluppati, un numero sempre maggiore di abitanti del mondo si sposta attraverso i confini nazionali, scombussolando le differenze tra territorio, popolazione e cittadinanza»3. Si assiste, infatti, a importanti conseguenze che il fenomeno migratorio genera sui territori, a partire da un’alterazione della distribuzione della popolazione che molte città vedono aumentare e molte

1 UNHCR Global Trends, World at War 2 Ibid. 3 Maurizio Ambrosini, Un’altra globalizzazione. La sfida delle migrazioni transnazionali, 2008

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altre perdono. I paesi di destinazione, in particolare, considerata la portata dei flussi, danno avvio a processi di regolamentazione e di controllo degli ingressi e della permanenza dei rifugiati, molto spesso contrastati dall’emergere di nuovi sistemi di intolleranza stimolati dalla paura dello straniero, “la solidarietà cede il passo, o quanto meno si affianca, a un’ansia diffusa, pronta a sfociare nella diffidenza”1. Circondata da numerosi teatri di guerra, l’Europa è la prima destinazione in termini di flussi, davanti a Stati Uniti, Paesi del Golfo e alla Russia. L’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM)2 certifica che nel 2011 70.402 persone hanno raggiunto le coste europee, ovvero circa l’80% in più rispetto all’anno precedente, sino a raggiungere un significativo aumento nel 2015, quando si contano oltre un milione di arrivi. L’OIM, in una nota congiunta con l’UNHCR, spiega che la soglia del milione è stata superata il 21 dicembre con un totale di «972.000 persone che avevano attraversato il Mediterraneo, a cui si aggiungono le 34.000 arrivate via terra in Bulgaria e Grecia attraverso la Turchia», riportando un picco di 221.000 arrivi solo in ottobre. Nonostante alcune rotte originate dalle coste meridionali del Mediterraneo siano mutate negli ultimi tempi, il territorio europeo non ha subìto un calo di arrivi. Piuttosto, ha risentito di un aumento considerevole di sbarchi che ulteriormente ha fatto pressione su un continente su cui grava un clima di instabilità politica ed economica. Le richieste d’asilo del 2015, registrate fino a settembre, hanno raggiunto la quota di 812 mila3, contro le oltre 714 mila4 registrate l’anno precedente. Un quadro che descrive un progressivo aumento di richieste già a partire dal 2011, quando la natura delle migrazioni comincia a cambiare oltre che a inspessirsi. Non si tratta più solo di migranti economici, il cui obiettivo è quello di una ____ 1 Luca Rastello, La frontiera addosso, 2010 2 L’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (IOM/OIM) è un’organizzazione internazionale fondata nel 1951 che si occupa di migrazioni. Pur non facendo parte del sistema delle Nazioni Unite, dal 1992 l’OIM mantiene lo status di osservatore nell’Assemblea Generale e collabora strettamente con le Agenzie specializzate dell’ONU. Attualmente gli Stati membri sono 149 e quelli osservatori sono 12, a cui si aggiungono numerose organizzazioni intergovernative e non governative. 3 Atlante SPRAR, 2015 4 Atlante SPRAR, 2014

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vita meno precaria, ma anche di soggetti che necessitano di protezione internazionale, essendo la loro vita gravemente minacciata da guerre. Il nuovo profilo del migrante pone l’Europa davanti a delle scelte: se da un lato la normativa comunitaria impone di offrire accoglienza, dall’altro lato, all’interno delle comunità nazionali, dilaga il timore che l’incessante pressione migratoria possa, in qualche modo, costituire una minaccia alla sicurezza e al carattere identitario. Tali circostanze portano a ridiscutere le normative adottate in merito alla gestione delle richieste d’asilo e all’accoglienza dei rifugiati, in particolare la Convenzione di Dublino del 1990, la quale ha dato adito a una crescita ancora più significativa della crisi umanitaria all’interno dei paesi più sollecitati dalla pressione migratoria, come la Grecia e la stessa Italia, che faticano a garantire un’adeguata risposta d’accoglienza. Del milione di arrivi registrato nel 2015, oltre 850 mila hanno interessato la Grecia e oltre i 150 mila l’Italia1. Problematica a cui il Consiglio Europeo ha provato a dare risposta attraverso la disposizione approvata il 22 settembre del 2015 con la quale si proponeva un ricollocamento all’interno degli stati membri dell’UE di 120 mila persone in evidente bisogno di protezione internazionale, a favore della Grecia e dell’Italia2. Il provvedimento rivela un carattere duraturo del fenomeno che probabilmente necessiterà di nuove e continue misure di regolarizzazione. Anche l’Italia è dunque diventata terra d’asilo, con un numero di richieste tali da consentirle di avvicinarsi ai paesi europei con maggiore tradizione di protezione internazionale. Nel 2011 le domande di protezione registrate sono state 37.350, il 208% in più rispetto a quelle ricevute nel 2010, per poi subire un calo nell’anno successivo (17.352) e una ripresa a partire dal 2013 (26.620) ______ 1 UNHCR: http://data.unhcr.org/mediterranean/regional.php#_ga=1.78313490.74533937.14433631 76 2 Decisione (UE) 2015/1601 del Consiglio Europeo del 22 settembre 2015 che istituisce misure temporanee nel settore della protezione internazionale a beneficio dell’Italia e della Grecia: si istituisce un meccanismo di ricollocazione temporanea ed eccezionale, su un periodo di due anni, dagli Stati membri in prima linea Italia e Grecia in altri Stati membri, di 120.000 persone in evidente bisogno di protezione internazionale che sono arrivate o arriveranno nel territorio di tali Stati membri da sei mesi prima dell’entrata in vigore fino a due anni dopo l’entrata in vigore. In base alla decisione approvata dalla maggioranza qualificata (Romania, Repubblica Ceca, Slovacchia e Ungheria si sono pronunciati contrari, mentre la Finlandia si è astenuta dal voto), 66 000 persone saranno ricollocate dall’Italia e dalla Grecia (15 600 dall’Italia e 50 400 dalla Grecia). Le restanti 54 000 persone saranno ricollocate dall’Italia e dalla Grecia nella stessa proporzione dopo un anno dall’entrata in vigore della decisione.

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con cui l’Italia rientra tra i cinque Stati membri ospitanti il maggior numero di richiedenti asilo. Ma è nel 2014 che il dato si amplifica, quando, a fronte dei 170 mila arrivi, le richieste aumentano a circa 65 mila e, ancora, a quasi 70 mila nel 20151. Ma il riconoscimento di una qualche forma di protezione viene concesso a sempre meno persone: di tutte le domande esaminate dalle diverse Commissioni territoriali solo una parte ha avuto esito positivo con il riconoscimento di una qualche forma di protezione, che sia quella di rifugiato, sussidiaria o umanitaria. L’alto numero delle decisioni negative implica il rischio di un altrettanto elevato numero di ricorsi, condizione necessaria per rimanere nei centri di accoglienza. Si alimenta così uno stato di congestione che mette in crisi l’intero sistema d’asilo determinando lunghe permanenze all’interno delle strutture demandate ad accogliere, mentre il quantitativo di arrivi permane crescente.

1 I dati sono stati percepiti dai rapporti annuali elaborati dalla rete del Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati (Atlante SPRAR) e del Consiglio Italiano per i Rifugiati (CIR)

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Gommone carico di migranti al largo delle coste libiche - Photo credits Š Massimo Sestini


2011 incrementi e decrementi rispetto all’anno precedente delle richieste di protezione nei paesi europei

+20 -1010

-930

-2170

+40 +270 +30

-1150 -650

+2770

-1740 +4410 +4230 +3840

+120

+670

-1340 +10

-90 +3410 -410 +60 +860 +520 0 +2530 +24070 +230 -130 +570 +10 -960

+5920

+6800

+1710 -1390

Paesi dell’Unione Europea Paesi che aderiscono allo spazio Schengen Paesi che hanno sottoscritto la Convenzione di Schengen ma in cui non è ancora in vigore

fonte: UNHCR, Asylum Levels and Trends in Industrialized Countries, 2011

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Svezia

Russia

Regno Unito Paesi Bassi Germania

Belgio

Austria Svizzera

Francia

Serbia

Italia Turchia Iraq

Afghanistan

Iran

Pakistan

Eritrea

Nigeria

Somalia

26.000

25.900

19.440

16.020

14.420

11.590

Belgio

Regno Unito

Svizzera

Turchia

Austria

Paesi Bassi

10.935 Eritrea

29.650

13.920 Nigeria

40.360

16.233 Somalia

Italia

17.362 Russia

Svezia

18.175 Iran

45.740

19.139 Pakistan

Germania

21.349 Serbia

52.150 23.743

Origine delle richieste di protezione (>10.000) - 2011

Francia

36.247

Iraq

Paese d’arrivo

Afghanistan

Paese d’origine

Destinazione delle richieste di protezione (>10.000) - 2011


2012 incrementi e decrementi rispetto all’anno precedente delle richieste di protezione nei paesi europei

+40 +730

-160

+14240

+10 -150 +120

+2330 -350

+1510

-2740 -7480 +2790

+4100 +18800

+6510

+30

+230 +3000 +460 -40+390 -18400

+20

+790

+10 -550 +340 +1300 -110 0 +270

-830

+700

+190 -140

Paesi dell’Unione Europea Paesi che aderiscono allo spazio Schengen Paesi che hanno sottoscritto la Convenzione di Schengen ma in cui non è ancora in vigore

fonte: UNHCR, Asylum Levels and Trends in Industrialized Countries, 2012

60


Norvegia

Svezia

Russia

Regno Unito

Germania

Belgio

Austria Svizzera

Francia

Serbia

Georgia

Italia Turchia Siria Iraq

Afghanistan

Iran

Pakistan

Eritrea

Nigeria Somalia 17.350

10.690

17.410 Austria

Italia

18.530 Belgio

Norvegia

25.950 Svizzera

10.725 Georgia

26.470

11.303 Nigeria

Turchia

11.860 Eritrea

27.980

17.794 Somalia

43.890

19.068 Iran

Svezia

19.584 Iraq

Regno Unito

21.856 Russia

55.070

23.229 Pakistan

64.540 24.340 Serbia

Francia

24.755

Origine delle richieste di protezione (>10.000) - 2012

Germania

36.634

Siria

Paese d’arrivo

Afghanistan

Paese d’origine

Destinazione delle richieste di protezione (>10.000) - 2012


2013 incrementi e decrementi rispetto all’anno precedente delle richieste di protezione nei paesi europei

+40 +1680

+100

+10380

+20 0 -250

+1350 0

+1210

+4740 -6020 +5030

+4820

+45040 -10

-6510

-270 +90 +16420 -20-100

+10480 +210

+1920

-1010 +50 +2360 +2200 +5750 +710 +10 -1350

+18340

+140 -380

Paesi dell’Unione Europea Paesi che aderiscono allo spazio Schengen Paesi che hanno sottoscritto la Convenzione di Schengen ma in cui non è ancora in vigore

fonte: UNHCR, Asylum Levels and Trends in Industrialized Countries, 2013

62


Origine delle richieste di protezione (>10.000) - 2013 25.720 19.440 18.570 17.500 14.400 13.760 13.280 12.500

Italia

Svizzera

Ungheria

Austria

Paesi Bassi

Polonia

Norvegia

Belgio

11.295

Albania

29.880

14.533

Nigeria

Regno unito

20.482

Iran

44.810

22.291

Eritrea

Turchia

23.869

Somalia

Albania

54.260

25.199

Pakistan

Italia

Svezia

34.614

Serbia

Paese d’origine Svizzera

60.230

36.081

Afghanistan

Austria

109.580

37.321

Iraq

Francia Germania

Francia

39.821

Belgio

Germania

56.346

Siria

Russia

Norvegia Svezia

Regno Unito Russia

Paesi Bassi Polonia

Ungheria

Serbia

Turchia Siria Iraq Iran Afghanistan

Pakistan

Eritrea

Nigeria Somalia

Paese d’arrivo

Destinazione delle richieste di protezione (>10.000) - 2013


2014 incrementi e decrementi rispetto all’anno precedente delle richieste di protezione nei paesi europei

-10 -640

+490

+2730

+50 +180 +110

+7260 +490

+1390

+9450 +1370 +1210

-60

+1380

-6950

+63490 +110

-50 +10560 +22800 +2670 +120 +50 -640 -50 +11460 +37940 +3810 -1240 -90 +200 +1220

+43010

-920 +430

Paesi dell’Unione Europea Paesi che aderiscono allo spazio Schengen Paesi che hanno sottoscritto la Convenzione di Schengen ma in cui non è ancora in vigore

fonte: UNHCR, Asylum Levels and Trends in Industrialized Countries, 2014

64


20.241 19.857 17.207

Somalia

Russia

Origine delle richieste di protezione (>10.000) - 2014 22.110 16.590 14.820

Svizzera

Serbia

Danimarca

10.790

23.850

Paesi Bassi

Bulgaria

28.060

13.870

31.260

Austria

12.640

41.370

Regno unito

Iran

Norvegia

59.030

Ungheria

Iraq

Belgio

63.660

Italia

Francia

Paese d’arrivo 75.090

Mali

87.820

Albania

Svezia

Polonia

173.070

12.087

Gambia

Danimarca

Turchia

12.805

Bangladesh

Regno Unito

Germania

15.717

Italia

13.413

Svizzera

Mali

Germania

Ucraina

Austria

17.026

22.069

Iran

Belgio

Albania

26.332

Nigeria

55.668

Serbia 48.402

59.472

Afghanistan

Paese d’origine

Eritrea

68.719

Iraq

Francia

Pakistan

149.641

Siria

Norvegia Svezia

Russia

Paesi Bassi

Ucraina

Ungheria

Serbia Bulgaria

Turchia Siria Afghanistan

Eritrea Pakistan

Gambia

Nigeria Bangladesh

Somalia

Destinazione delle richieste di protezione (>10.000) - 2014


1.00

8.61

6

2011-2015 arrivi in Europa

.054

216

70.402

2011

22.439

59.421

2012

2013

2014

2015

71

4.2

60

81

2.0

00

al

31

.09

2011-2015 domande di protezione in Europa

0

.02

485

0

333.510

2011

369.31

2012

2013

fonte: UNHCR, Asylum trends

66

2014

2015


08

95

25

046

6.9

47.043

29.179

85

64

21

7

.20

73

161

. 117

15

93.7

4

67

82.49

Rifugiati in Europa (a marzo 2016) fonte: Limes 3/2016

62.620

55.598

3.107.600

2.2

2 14

17.7

11.

6.0

5.1 26

1.1


170

.000

2011-2015 arrivi in Italia

62

153.6

00

.50

0

000

43. 13

.30

2011

0

2012

2013

2014

2011-2015 domande di protezione in Italia

2015

al 01.11

64.

886

68.725

0

.35

37

20

26.6

2

.35

17

2011

2012

2013

fonte: Atlante Sprar

68

2014

2015


2014

Costa D’Avorio

Ucraina

Ghana

Afghanistan

Bangladesh

Senegal

Pakistan

Gambia

27 %

2015

fonte: UNHCR, Asylum trends

69 14 % 8% 6% 5% 5% 4% 4% 4% 3%

Sudan

Rep. Araba Siriana

Gambia

Bangladesh

Mali

Senegal

Ghana

2%

12 % 10 % 8% 8% 7% 7% 4% 3% 2%

Somalia Eritrea Afghanistan Mali Gambia Senegal Egitto Rep. Araba Siriana

13 %

Pakistan

Nigeria

2013

Nigeria

Senegal

3%

9%

4%

7%

7%

3%

2% 1%

Bangladesh Somalia

3%

Mali

2%

3%

Pakistan

Afghanistan

3%

Ghana

Costa D’Avorio

9% 8%

Tunisia

43 % Nigeria

sconosciuta

2011

Somalia

Somalia

3%

11 %

12 %

15 %

18 %

26 %

36 % protezione in Italia

Eritrea

Bangladesh Afghanistan

5%

Pakistan

Mali

11 %

Costa D’Avorio

Ghana

13 %

7%

Tunisia

15 %

7%

Nigeria

15 %

2012

Nigeria

Mali

2011-2015 primi 10 paesi di origine delle richieste di



3.

Attraverso i campi e lungo i greti

“Qui termina il mondo antico; ecco la sua punta più avanzata, "il suo estremo limite". Alle vostre spalle c'è tutta l'Europa e tutta l'Asia; di fronte a voi, c'è il mare, il mare sconfinato.”

Gustave Flaubert Attraverso i campi e lungo i greti

A LATO Slovenia: 7000 migranti in marcia nei campi - Photo credits © Il Corriere della Sera

71


Austria

Torino

Italia

Ungheria Serbia Macedonia Grecia

Turchia

Caltanissetta

Iran

Pakistan

8 anni

0


Pakistan - Italia SHABBIR, 35 anni Pakistan Shabbir impiega circa 8 anni prima di arrivare in Italia dal Pakistan. Costretto a scappare, si sposta dapprima in Iran con ogni mezzo di fortuna, a tratti anche piedi. Lì si ferma qualche giorno e poi riparte per la Turchia impiegando 2/3 mesi: si sposta di città in città a piedi, in macchina, in pullman, in taxi. Resta quasi un anno in Turchia, poi riparte per la Grecia. Dopo 7 lunghi anni, Shabbir riprende il suo viaggio, stavolta verso l’Italia, passando per Macedonia, Serbia, Ungheria e Austria con ogni mezzo che possa consentirgli di proseguire. Una volta in Italia arriva a Roma, poi a Caltanissetta, dove viene identificato e decisa la sua destinazione. Il 27 ottobre 2015 Shabbir arriva a Torino.

73


Torino Milano

Italia

Pakistan

Qatar

9h

0


Pakistan - Italia HAMEED, 26 anni (KPK) Pakistan Hameed arriva in Italia in aereo. Il suo viaggio è sicuramente meno tormentato rispetto a quello intrapreso probabilmente dai compagni con cui ora condivide la stanza. Nessun barcone, nessuna traversata, nessun trafficante. Sale sull’aereo che lo porta dapprima in Qatar, poi a Milano-Malpensa. Il suo viaggio dura 7 ore. Poi ancora due ore di pullman per arrivare a Torino.

75


Torino

2 mesi

Italia

Crotone Catania

Tripoli

Libia

Niger 0

Senegal

Gambia

Mali Burkina Faso


Gambia - Italia ANSUMANA, 26 anni Gambia Esortato a lasciare il paese, Ansumana decide di non seguire l’amico che si sposta nel sud del Senegal, non lo ritiene opportuno perché Casamance è in mano ai ribelli. Decide si proseguire per la direzione opposta. Paga delle persone che con un furgoncino lo portano in Mali. Da lì in taxi sino a Burkina Faso, poi per il Niger e per la Libia, che raggiunge in pullman. Dalla Libia in barca, sulla rotta marittima dei migranti per raggiungere l’Europa. Sbarca in Sicilia e dopo un giorno si ritrova a Crotone, dove, insieme ad altri 15 ragazzi, viene messo su un aereo che lo porterà a Torino. Ansumana e i suoi compagni di viaggio non sanno ancora che il loro destino è quello di essere rispediti nel proprio paese d’origine. Una volta a Caselle, infatti, vengono immediatamente trasferiti nel Centro di Identificazione ed Espulsione di Corso Brunelleschi.

77


Torino 8 mesi Italia

Crotone Catania

Tripoli

Libia

Niger 0

Senegal

Gambia

Mali Burkina Faso


Gambia - Italia MORI, 20 anni Gambia Dal Gambia Mori prende un traghetto che lo porta in Senegal. Con l’aiuto del suo capo riesce a spostarsi da Barra sino in Libia, in macchina, seguendo la rotta che porta a passare per il Mali, Burkina Faso e il Niger. Arriva a Tripoli dove si ferma tra i 6 e i 7 mesi, poi è costretto a pagare i trafficanti che in un barcone di fortuna lo porteranno in Europa. Dopo due giorni in mare arriva in Sicilia, una notte all’aperto e si riparte per Crotone, da dove un aereo lo porterà a Torino. A causa di un raggiro Mori non può richiedere asilo, viene così mandato nel Centro di Identificazione ed Espulsione e dovrà essere rimpatriato.

79


Svezia

5 anni

Torino

Bergamo

Italia Crotone

Lampedusa Tripoli

Bengasi

Libia

Sudan

Khartum

Etiopia

0

Somalia


Somalia - Italia MOHAMED, 28 anni Somalia Esortato a lasciare la Somalia, Mohamed sale sul primo aereo che lo porta in Etiopia. Resta due anni a casa di un amico e continua a ricevere il denaro per vivere dalla famiglia. Ma Mohamed ha bisogno di trovare un lavoro ed essere indipendente. Gli consigliano di andare via dall’Africa, magari in Italia. Contro il volere della sua stessa famiglia lascia anche l’Etiopia e in 13 giorni arriva a Khartum, in Sudan. Lì è costretto a interrompere il viaggio per qualche periodo, le alte temperature non consentono la traversata del Sahara. Riprende dopo due mesi e prosegue in macchina sino in Libia, a Bengasi per l’esattezza, da dove 15 giorni dopo riparte, volando verso Tripoli. Per proseguire il viaggio che lo porterà in Europa, Mohamed lavora per circa un anno e mezzo nelle campagne, ma la vita degli stranieri in Libia è continuamente minacciata dai banditi. A seguito di tre lunghi mesi trascorsi in carcere scappa verso il mare, dove troverà un barcone che in 24 ore lo porterà oltre i confini dell’Africa.

81



Rifugi

1.

Spazi per l’accoglienza

I movimenti migratori generano nuovi spazi, in prima istanza quelli chiamati a garantire un minimo di protezione ed accoglienza: spazi di sosta, rifugi. Situazioni insediative ricorrenti che hanno portato alla trasformazione di intere porzioni di territorio. Lungo le rotte della fuga i rifugiati si confrontano con una serie di spazi di transizione ove trovare accoglienza. Solitamente il primo di questi spazi ha a che fare con una fase di soccorso ed emergenza, poi con condizioni maggiormente stanziali e talvolta soluzioni abitative durature. L’immigrazione diventa così “sismografo sensibile, indicatore efficace di spazialità emergenti, di nuove logiche di organizzazione spaziale”1, mette in evidenza tutta una serie di trasformazioni che modificano la città oltre che i suoi usi. Le forme dell’abitare temporaneo che però, con più evidenza che in passato, segnano il territorio europeo, sono i campi. Questi rifugi possono essere identificati in diversi modi. Riprendendo i termini che vengono utilizzati da Manuel Herz nella descrizione della tipologia specifica dei campi per i rifugiati2, essi possono essere intesi come spazi umanitari, laddove si fornisce assistenza, alloggio, cibo, cure mediche, educazione e formazione: uno spazio pedagogico le cui finalità sono, oltre quelle essenziali di salvaguardare la vita dei soggetti in difficoltà, quelle di favorire i corretti mezzi per una successiva integrazione.

1 Arturo Lanzani, Metamorfosi urbane. I luoghi dell’immigrazione, 2003 2 Lotus 158, People in motion A LATO In fuga da Daesh: viaggio tra i rifugiati iracheni in Giordania - Photo credits © Maddalena Goi

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Ovviamente i campi sono anche spazi di controllo dell’altro, dove l’assistenza consente di sorvegliare, sottrarre libertà di movimento e di espressione politica. Si tratta pertanto di una condizione di attesa e di esilio. Spesso rifugi di questo tipo si identificano come spazi di indigenza e miseria, dove la vita si consuma in situazioni di precarietà che spogliano l’uomo di qualsiasi suo carattere identitario. In questi casi gli spazi dell’accoglienza si prefigurano come spazi di eccezione1 che subiscono una dimensione distaccata rispetto all’intorno, all’interno dei quali lo straniero vive nella condizione di sospensione del diritto2. I campi non sono che una delle forme dell’accoglienza. In città le modalità attraverso le quali dare riparo e protezione, una casa, sono molteplici, fino a palesare talvolta la volontà, da parte delle popolazioni sopraggiunte, di un adattamento ai nuovi modelli abitativi dei paesi ospitanti, pur nella conservazione di caratteri peculiari delle consuetudini abitative tipiche delle loro tradizioni. Palazzine ed appartamenti in centro città, case rurali abbandonate o ancora spazi sottoutilizzati o dismessi sono solo alcuni dei luoghi che offrono l’opportunità di un riuso da parte della popolazione immigrata. Di seguito si prova a dare conto di alcuni degli spazi dell’accoglienza per le nuove popolazioni in marcia.

Campi. Sulle mappe non esistono, eppure vi abitano 6 milioni di persone. I

campi profughi nascono come degli insediamenti provvisori dei migranti. Si compongono di tende, di strutture di fortuna realizzate velocemente e con materiali semplici il cui compito primario è quello di fornire riparo in condizioni di emergenza. Almeno 450 sono i campi gestiti dalle agenzie delle Nazioni Unite (UNHCR e UNRWA) situati principalmente nei paesi in via di sviluppo dove risiede circa l’86% dei rifugiati3. Quello dell’accampamento,

1 Giorgio Agamben, Homo Sacer. Il potere sovrano e la nuda vita, 1995. “L’eccezione è una specie dell’esclusione. Essa è un caso singolo, che è escluso dalla norma generale. Ma ciò che caratterizza propriamente l’eccezione è che ciò che è escluso non è, per questo, assolutamente senza rapporto con la norma; al contrario […] la norma si applica all’eccezione disapplicandosi, ritirandosi da essa.” 2 Giorgio Agamben, Stato di eccezione, 2003 3

Unhcr, Mid-Year Trens 2014, http://unhcr/54aa91d89.html

84


Campo profughi Bredjing, Chad - Photo credits © Marco Tiberio, Le città dei migranti, dall’alto


secondo l’etnologo e antropologo Michel Agier, rappresenta oggi un fenomeno di grande impatto demografico e sociologico che altera la percezione della frontiera attraverso la costituzione di emergenti forme di governance mondiale e di gestione dell’indesiderabile. All’interno dei campi, i rifugiati vivono una condizione di extraterritorialità dettata dalla presenza di confini invalicabili (non solo di natura fisica), il cui presupposto è quello di minimizzare quanto più possibile l’impatto di quanto accade all’interno verso l’esterno. La loro collocazione all’interno di aree scarsamente popolate accentua questa dimensione di estraneità con l’intorno. Tuttavia, all’interno del campo, col prolungarsi delle situazioni, si rileva la definizione di una sempre più evidente dimensione urbana. Il crescente numero di arrivi, insieme al persistere delle condizioni di instabilità, ha portato gli stessi rifugiati a fondare scuole, centri medici, negozi, ristoranti e tutti gli spazi della vita quotidiana che maggiormente si identificano con le forme organizzative di una vera e propria città. Le dimensioni del campo aumentano, le tipologie abitative si evolvono, le rigide strutture col tempo diventano sempre più fluide, le famiglie si spostano all’interno del campo alla ricerca di spazi più ampi, si costruiscono nuove strutture, si comincia a limitare ciò che è pubblico da ciò che è privato. “Il campo e non la città è oggi il paradigma biopolitico dell’occidente”, afferma Giorgio Agamben, “è lo spazio che si apre quando lo stato di eccezione comincia a diventare regola. In esso, lo stato di eccezione, che era essenzialmente una sospensione temporale dell’ordinamento […] acquista ora un assetto spaziale permanente”1. Con queste affermazioni Agamben riconosce il campo come la manifestazione spaziale dello stato di eccezione che oggi influenza la struttura politica del mondo occidentale, “un pezzo di territorio che viene posto fuori dell’ordinamento giuridico normale” ma che tuttavia “non è, per questo; semplicemente uno spazio esterno”2.

1 Giorgio Agamben, Homo Sacer, 1998 2 Giorgio Agamben, Che cos’è un campo?, in Mezzi senza fine, 1996

86


Una volta giunti all’interno di un campo i rifugiati risentono di una condizione di inattività, avendo dovuto lasciare alle spalle la propria vita. Si cimentano allora spesso nella re-invenzione di attività e mestieri che mettono in moto un’economia del campo. Il tentativo di reinventare la quotidianità formando nuove comunità di natura urbana fa subentrare l’idea di “normalità” allo stato di eccezione, con il rischio di creare spazi di marginalizzazione e luoghi di segregazione che riconducono i campi a nuove forme di slums e favelas propri delle grandi metropoli. La normalizzazione della vita quotidiana all’interno di un campo viene percepita come un vero e proprio motore di urbanizzazione, espressione di un’essenza di urbanità1 che lentamente snatura la dimensione transitoria dello spazio.

Spazi istituzionali. Quando i rifugiati giungono nelle terre d’asilo, in seguito alle traversate marittime o alle lunghe rotte terrestri, penetrano all’interno di una condizione di limbo che percorre alcuni spazi di transizione ben definiti previsti dal sistema giuridico dei vari Paesi ospitanti, laddove vivono in attesa della fine del loro stato di sospensione. I centri istituzionali italiani si sviluppano entro due dimensioni dal regime giuridico differente: la prima accoglienza demandata ai centri governativi per richiedenti asilo e la seconda accoglienza affidata alle strutture temporanee. Non appena varcati i confini nazionali è prevista una prima fase di soccorso: i profughi giunti autonomamente o soccorsi in mare vengono accolti nei Centri di Primo Soccorso e Accoglienza (Cpsa) dove ricevono le prime cure mediche d’urgenza, cibo, vestiti, e si intraprende una fase preliminare di identificazione attraverso la foto-segnalazione e la raccolta delle richieste di protezione. Analogamente succede nei Centri di Accoglienza (Cda) in cui viene garantita la prima accoglienza allo straniero rintracciato sul territorio nazionale il cui status non è ancora stato definito. Il tempo di permanenza è quello necessario a ricevere la primissima assistenza ( il richiedente è accolto “per il tempo

1 David Harvey, The right to the city, “New Left Review”, 2008

87


CPSA, Lampedusa - Photo credits Š Germana Graceffo


necessario all’espletamento delle operazioni di identificazione e all’avvio del procedimento di esame della domanda, nonché all’accertamento dello stato di salute al fine di verificare anche eventuali condizioni di vulnerabilità”1) per poi essere distribuiti, in base alla propria condizione, negli appositi centri di prima accoglienza demandati a rispondere alla specificità dei casi che caratterizzano i singoli soggetti. Questi luoghi, oltre ad essere degli “spazi clinici”, catalogano, classificano e smistano: alcuni migranti potranno rimanere sul territorio nazionale, altri no. Chi richiede una qualsiasi forma di protezione viene trasferito nei Centri di Accoglienza per Richiedenti Asilo (Cara), dove soggiornano soltanto coloro per cui occorre accertare l’identità e il tempo necessario affinché la Commissione Territoriale non deliberi la concessione o il diniego della protezione. Questa tipologia di centro opera molto spesso a regime congiunto con i Cda. Per coloro che sono colpiti dal decreto di espulsione è invece previsto il trattenimento all’interno dei Centri di Identificazione ed Espulsione (Cie), dei veri e propri campi di detenzione istituiti per evitare la dispersione di chi deve lasciare il territorio nazionale e consentire l'esecuzione del relativo provvedimento da parte delle Forze dell'ordine. Tra i centri governativi il Cie è a tutti gli effetti una prigione, un’istituzione totale, caratterizzata, come nelle parole di Erving Goffman “dall’impedimento allo scambio sociale e all’uscita con il mondo esterno, spesso concretamente fondato nelle stesse strutture fisiche dell’istituzione: porte chiuse, alte mura, filo spinato, rocce, corsi d’acqua, foreste o brughiere”2. In generale i centri governativi sono delle istituzioni che delimitano una parte di territorio rafforzando la separazione tra dentro e fuori attraverso la costruzione di muri e recinti. Ciò che sta all’interno acquisisce le sembianze di un sistema sociale chiuso e amministrato, parallelo a un sistema aperto e ugualmente amministrato che caratterizza ciò che invece sta all’esterno. Nella

1 Legge Puglia 563/1995, art. 9, comma 4 2 Erving Goffman, Asylums, 1968

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maggior parte dei casi i Centri di prima accoglienza sono collocati a una certa distanza dal centro cittadino secondo un principio di delocalizzazione che “impedisce un rapporto vero con chi vive su quel territorio: gli immigrati sono sempre percepiti come un pericolo per l’ordine pubblico, la modalità di rapporto con loro è la paura. E quindi il luogo dove vivono deve essere sempre una sorta di luogo “speciale”, per non dire di detenzione, sempre costruito secondo caratteristiche tipiche dei luoghi di reclusione”1. Essi figurano dunque come luoghi impermeabili. Meno rigida è la dimensione dei centri istituzionali di seconda accoglienza che ospitano i richiedenti protezione che una volta concluse le operazioni previste dalla prima fase non dispongono di mezzi di sussistenza. In Italia l’accoglienza di secondo livello si confronta con due circuiti paralleli: il Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati (Sprar)2 e i Centri di Accoglienza Straordinari (Cas). Entrambi i sistemi costruiscono progetti di accoglienza integrata destinati alla stessa tipologia di soggetti - richiedenti protezione internazionale, rifugiati, titolari di protezione sussidiaria e umanitaria - ma rispondendo a un’organizzazione giuridica e un’espansione territoriale differenti: lo Sprar, gestito dagli enti locali tramite associazioni ed enti di tutela che si diffonde sul territorio comunale e i Cas gestiti dalla Prefettura attraverso associazioni e con un modello distributivo maggiormente diffuso sul territorio provinciale. Mentre il sistema Sprar rappresenta il modello base riconosciuto a livello nazionale, il sistema dei Cas è stato creato negli ultimi anni, in via del tutto eccezionale, per far fronte ad arrivi consistenti e ravvicinati allestendo strutture temporanee individuate dalle prefetture. Sono luoghi semi-permeabili. Sotto forma di centri, comunità collettive o alloggi quasi del tutto autogestiti, questi spazi si inseriscono all’interno del tessuto urbano in

1 Luca Rastello, La frontiera addosso, 2010 2 A partire dalle esperienze di accoglienza decentrata e in rete, realizzate tra il 1999 e il 2000 da associazioni e organizzazioni non governative, nel 2001 il Ministero dell’Interno, L’Associazione Nazionale dei Comuni Italiani (ANCI) e l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) siglarono un protocollo d’intesa per la realizzazione di un “Programma Nazionale d’Asilo”. Nasceva, così, il primo sistema pubblico per l’accoglienza di richiedenti asilo e rifugiati, diffuso su tutto il territorio italiano, con il coinvolgimento delle istituzioni centrali e locali, secondo una condivisione di responsabilità tra Ministero dell’Interno ed enti locali. La legge n. 189/2002 (Bossi/Fini) ha successivamente istituzionalizzato queste misure di accoglienza organizzata, prevedendo la costituzione del Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati (SPRAR).

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CAS - Sharing, Torino - Photo credits Š Sara Turano


maniera del tutto naturale, quasi mimetica, costituendo un sistema semi-aperto che, contrariamente ai centri governativi, pur disponendo di una propria regolamentazione interna, si rapporta con lo spazio esterno. Si tratta di spazi pedagogici, volti alla creazione di un percorso di autonomia socio-economica dei beneficiari, attraverso l’acquisizione di strumenti che possano consentire loro di agire in tutta autonomia una volta usciti dai programmi di assistenza: apprendimento della lingua italiana, conoscenza del territorio, recupero dei propri background personali, formativi e lavorativi, acquisizione di nuove competenze professionali, costruzione di reti sociali sul territorio di accoglienza. Dall’accoglienza, alla formazione linguistica e professionale, all’autonomia abitativa, l’individuo viene “educato” a vivere nel nuovo territorio. Gli individui che subentrano in maniera irregolare all’interno del territorio nazionale sono sottoposti a un percorso “istituzionale” per il quale è previsto il progressivo superamento di più fasi caratterizzanti prima di uscire dal loro stato di eccezione. Dalla denudazione allo smistamento, dall’ educazione all’inserimento, l’assistenza diventa il compromesso per assumere il controllo dell’altro. I Centri Istituzionali assumono le sembianze di spazi di controllo chiamati a proclamare l’ordine ed ottenere un risultato prestabilito che fa del rifugiato a tutti gli effetti un sorvegliato1.

Spazi non istituzionali. Quella dei centri non istituzionali è forse la dimensione abitativa più esemplificativa del continuo aumento delle migrazioni forzate che penetrano all’interno di territori non sempre in grado di dare una corretta risposta d’accoglienza. Essi sono la rappresentazione della questione

1 Michel Foucault, Sorvegliare e punire. La nascita della prigione, 1976. «Si imprigiona chi ruba, si imprigiona chi violenta, si imprigiona anche chi uccide. Da dove viene questa strana pratica, e la singolare pretesa di rinchiudere per correggere, avanzata dai codici moderni? Forse una vecchia eredità delle segrete medievali? Una nuova tecnologia, piuttosto: la messa a punto, tra il Sedicesimo e il Diciannovesimo secolo, di tutto un insieme di procedure per incasellare, controllare, misurare, addestrare gli individui, per renderti docili e utili nello stesso tempo. Sorveglianza, esercizio, manovre, annotazioni, file e posti, classificazioni, esami, registrazioni. Tutto un sistema per assoggettare i corpi, per dominare le molteplicità umane e manipolare le loro forze, si era sviluppato nel corso dei secoli classici negli ospedali, nell’esercito, nelle scuole, nei collegi, nelle fabbriche: la disciplina. Il Diciottesimo secolo ha senza dubbio inventato la libertà, ma ha dato loro una base profonda e solida, la società disciplinare, da cui dipendiamo ancora oggi».

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Case occupate - Ex Moi, Torino - Photo credits Š Matteo Montaldo


globale dei rifugiati che implica l’appropriazione abusiva di nuovi spazi. Gli immigrati scelgono di occupare gli spazi fisici e sociali lasciati scoperti dagli autoctoni. Edifici non utilizzati, terreni abbandonati, baracche o altre abitazioni di fortuna diventano rifugio per centinaia di persone che si ritrovano senza mezzi di sussistenza, magari anche in seguito alla conclusione del percorso di inclusione sociale previsto dal sistema nazionale che non ha dato i risultati sperati. Ciò che differenzia gli spazi dell’occupazione da quelli previsti dal sistema giuridico è appunto l’assenza di uno status legalmente riconosciuto e quindi di una normativa di riferimento per la loro gestione. Questo non significa che siano privi di regolamentazione. Anzi, come ogni sistema sociale, all’interno delle strutture vigono delle regole stabilite dagli stessi occupanti, che servono a garantire i principi base di buona convivenza, non sempre garantita in situazioni di compresenza di più gruppi etnici. Esistono differenti realtà con differenti modalità di gestione che vanno dall’assoluto spontaneismo a modelli maggiormente strutturati e compartecipati che prevedono periodiche assemblee degli occupanti1.Quelli dell’occupazione sono degli spazi completamente autogestiti che beneficiano spesso del supporto di alcuni gruppi di attivisti e associazioni di volontariato che si occupano delle loro cure e della loro assistenza, proprio come accade nei centri riconosciuti giuridicamente. All’interno dei complessi, specialmente quelli più ampi, non è difficile trovare piccole attività commerciali, ristoranti, botteghe, che danno avvio a delle soluzioni di microcredito e che rappresentano dei piccoli mezzi di sostentamento per gli occupanti. Pur avendo un proprio regolamento e dei ritmi apparentemente differenti rispetto a quanto vi si sviluppa attorno, i luoghi dell’occupazione si presentano come dei sistema aperti, dei luoghi permeabili. E’ evidente come le condizioni abitative precarie spingano gli immigrati a interagire con l’esterno e, di conseguenza, a una più assidua fruizione degli spazi pubblici, riempiendo piazze e strade spesso sottoutilizzate dagli autoctoni. A causa della sua natura di sistema aperto, il centro è soggetto a una proficua crescita della popolazione

1 Rapporto di Medici Senza Frontiere, Fuori campo. Richiedenti asilo e rifugiati in Italia: insediamenti informali e marginalità sociale, 2016

94


interna, favorendo in molti casi situazioni di sovraffollamento dovute principalmente alla presenza di una pluralità di soggetti costituita non solo dalle categorie emergenti dei rifugiati e richiedenti asilo, ma anche da qualsiasi altra categoria si trovi in evidente stato di bisogno. Si viene così accentuando un disagio abitativo già ampiamente presente che tempi di permanenza sempre più dilatati non aiutano a migliorare. 2.

Ricoveri

Al 31 dicembre 2015 in Italia si contano 103.792 presenze all’interno del sistema nazionale di accoglienza ordinaria e straordinaria, quasi il doppio rispetto ai 66.066 registrati nell’anno precedente. La soglia del 2014 è stata superata già nei primi due mesi del 2015: oltre 67 mila migranti, di cui il 15% distribuiti nei Centri istituzionali di prima accoglienza (Cpsa, Cda e Cara), il 30% accolti nei Centri istituzionali di seconda accoglienza del circuito Sprar e il 55% nelle 1.657 strutture di accoglienza straordinaria diffuse su tutto il territorio nazionale1. Nel 2011, l’importante flusso migratorio proveniente dal Nord Africa ha inciso in maniera significativa sulle quantità dei posti messi a disposizione dalle strutture presenti sul territorio. Ciò ha infatti comportato un allargamento della loro capienza oltre che l’adozione di misure straordinarie di accoglienza promosse dalla Protezione Civile, in aggiunta ai sistemi ordinari. La rete Sprar nel 2011 ha accolto un numero di beneficiari pari a 7.598, il 10,8% in più rispetto all’anno precedente, rendendo disponibili 3 mila posti in accoglienza che accedono al Fondo nazionale per le politiche e i servizi dell’asilo (FNPSA)2. Nel biennio 2011-2012 i posti hanno subìto un ulteriore incremento arrivando a 3.979 per un totale di 7.823 beneficiari3.

1 2 3

Ministero dell’Interno, Presenze dei migranti nelle strutture di accoglienza in Italia, 2015 Atlante Sprar, 2011 Atlante Sprar, 2012

95


Oltre al sistema ordinario, si è reso necessario provvedere all’installazione di circuiti di accoglienza straordinaria e temporanea: 26.500 posti aggiuntivi solo nel 20121. La crescente richiesta d’aiuto percepita negli anni successivi ha implicato un forte ampliamento del sistema abitativo dell’accoglienza: dal finanziamento di 10.381 posti nelle rete Sprar a fronte di 12.631 soggetti ospitati nel 20132, al raddoppio di 20.752 posti nel 2014, per 22.961 richiedenti3. Nello stesso anno, i 35.562 posti supplementari4 manifestano la portata di un fenomeno in continua crescita con conseguente appropriazione di nuovi spazi all’interno del territorio, necessità che si conferma anche nel 2015, quando l’accoglienza straordinaria raggiunge il quantitativo di 76.683 posti, contro i 21.449 di quella ordinaria5.

90 mila 80 mila 70 mila 60 mila 50 mila 40 mila 30 mila

posti straordinari

20 mila 10 mila

accolti posti ordinari 2011

0 2013

2012

2014

2015

1 Rapporto di Medici Senza Frontiere, Fuori campo. Richiedenti asilo e rifugiati in Italia: insediamenti informali e marginalità sociale, 2016 2

Rapporto sulla protezione internazionale in Italia, 2014

3 Atlante Sprar, 2014 4 Rapporto di Medici Senza Frontiere, Fuori campo. Richiedenti asilo e rifugiati in Italia: insediamenti informali e marginalità sociale, 2016 5

Rapporto sulla protezione internazionale, 2015

96


Nonostante il significativo allargamento della rete istituzionale, il sistema d’accoglienza nazionale non è riuscito a contenere l’incremento delle richieste di protezione presentate. L’aumento degli arrivi, unito alla dilatazione dei tempi di permanenza all’interno di specifiche strutture, ha comportato una carenza a livello strutturale che ha favorito il fenomeno delle occupazioni. Si sono affermate nuove realtà abitative non riconosciute a livello istituzionale che accolgono coloro che non hanno avuto accesso al sistema d’accoglienza previsto dall’ordinamento o che sono stati costretti ad uscirne prima di aver concluso il percorso di autonomia. Si parla degli insediamenti informali1,sempre più numerosi e diffusi, che insieme agli spazi di natura temporanea giuridicamente riconosciuti contribuiscono alla definizione del nuovo modello abitativo che contraddistingue la città contemporanea.

1 Rapporto di Medici Senza Frontiere, Fuori campo. Richiedenti asilo e rifugiati in Italia: insediamenti informali e marginalità sociale, 2016

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La Camera di Vincent ad Arles - Vincent Van Gogh


3.

Un letto di passaggio

“Lilin resta un po’ lì come una pietra, poi si solleva, emettendo un lamento senza parole articolate, scende dal letto, prende il suo cuscino, una coperta, il tabacco dal comodino, le cartine, i fiammiferi, il portacenere - Va’, Lilin bello, va’ -. Si avvia piccolo e curvo sotto quel carico verso il sofà del corridoio.”

Italo Calvino Un letto di passaggio

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Letto di Shabbir - Photo credits Š Sara Turano


Ozanam House SHABBIR, 35 anni Pakistan Dopo il lungo viaggio attraverso la rotta balcanica Shabbir arriva in Italia. Dal nord al sud, fino a Caltanissetta, dove richiede protezione. Resta in un campo per 2 settimane, una vecchia struttura gestita dalla Croce Rossa dove riceve cure e assistenza. In questi centri la permanenza è limitata poiché il destino dei richiedenti è quello di essere trasferiti in tempi brevi in strutture di seconda accoglienza, dove potranno rimanere il tempo necessario a completare il loro percorso di autonomia. A Shabbir tocca raggiungere Torino. Viene accolto in un altro campo gestito dalla Croce Rossa a Settimo Torinese, tappa quasi sempre obbligatoria per chi arriva sul territorio. Dopo una settimana viene trasferito in una struttura di seconda accoglienza, un appartamento nella città di Torino in cui rimane circa due mesi, e a dicembre del 2015 trova posto all’interno del Centro di accoglienza “Fonderie Ozanam”. Shabbir studia per conseguire il diploma di terza media, frequenta contemporaneamente 4 scuole che spera gli diano la possibilità di imparare l’italiano in poco tempo per potersi inserire al più presto all’interno del mondo del lavoro.

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Letto di Hameed - Photo credits Š Sara Turano


Ozanam House HAMEED, 26 anni (KPK) Pakistan Appena arrivato a Torino per la prima volta Hameed va a vivere in un appartamento con altri ragazzi. L’anno successivo rientra in graduatoria per soggiornare in un collegio universitario, dove trascorre 10 mesi. Si trasferisce per qualche tempo a casa di un suo amico per poi nuovamente usufruire di un posto letto in una residenza universitaria, stavolta a Grugliasco. Poi si sposta a Collegno, a casa di un altro amico, dove resta circa 7 mesi e dove ritorna a stare una volta rientrato in Italia dal Pakistan, nell’attesa di ricominciare a studiare e poter nuovamente richiedere di soggiornare in un collegio. Ma questo non gli è permesso ed è costretto a richiedere asilo per poter restare, richiesta che consentirà alla Prefettura di assegnargli una sistemazione all’interno di una delle strutture d’accoglienza diffuse sul territorio torinese. Dal 28 gennaio del 2016 Hameed vive nel Centro di accoglienza straordinaria ubicato negli stabilimenti delle vecchie Fonderie Ozanam. Lavora come mediatore linguistico e si adopera all’interno della struttura come organizzatore dei tornei di cricket nella città di Torino, unico mezzo di svago che Hameed ha per non pensare alla sua condizione. In fondo lui voleva solo studiare. “Io non sono felice in asilo politico, io volevo stare qui come uno studente, perché la vita come studente è più facile”, racconta.

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Letto di Ansumana - Photo credits Š Sara Turano


Appartamento via Cernaia, 32 ANSUMANA, 26 anni Gambia Dopo un faticoso tragitto in mare aperto Ansumana e i suoi compagni di viaggio giungono sulle coste italiane, in Sicilia. Racconta di essere rimasto sull’isola solo una notte, in un accampamento all’aperto provvisto di materassini sistemati alla meglio. La polizia fornisce loro dei fogli da compilare. Ansumana non lo sa, ma insieme agli altri ragazzi sta per essere portato nel Centro di Identificazione ed Espulsione di Torino: loro non hanno diritto di richiedere asilo perché figurano come migranti economici e devono essere espulsi dal territorio. Ansumana racconta del CIE come qualcosa di irrazionale, a suo dire “una prigione”. Non parla volentieri del suo trattenimento, la sua esperienza lo porta ad essere distaccato e diffidente. Descrive con rabbia il periodo di detenzione, costretto ingiustamente all’interno di uno spazio confinato, senza poter avere il benchè minimo contatto con il mondo esterno. Dopo 34 giorni per lui e diversi altri si aprono i cancelli: non sono dei migranti economici, scappano da guerre e persecuzioni che mettono a rischio la loro vita e per questo hanno il diritto di richiedere asilo in Italia. A seguito della richiesta Ansumana trova rifugio in un appartamento della rete di accoglienza a Torino. Oggi frequenta 3 scuole che gli permetteranno di imparare l’italiano e di conseguire la terza media, oltre a praticare attività sportive e ricreative come supporto alle differenti pratiche di inclusione sociale che forse gli offriranno l’opportunità di vivere una vita più dignitosa.

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Letto di Mori - Photo credits Š Sara Turano


Appartamento via Cernaia, 32 MORI, 20 anni Gambia Mori arriva in Italia col barcone. Dopo una lunga traversata da Tripoli insieme a tantissimi altri ragazzi approda in Sicilia. Lì restano una notte accampati alla meglio su dei materassini, firmano dei documenti e ripartono. La destinazione è Torino. Mori viene detenuto nel Centro di Identificazione ed Espulsione di Corso Brunelleschi perché risulta un migrante economico e perciò non avente diritto a richiedere protezione in Italia. Resta oltre un mese nel centro, recluso, sorvegliato e senza alcuna possibilità di relazionarsi con quanto sta fuori da quelle mura. Poi finalmente qualcuno si accorge che lui e molti altri hanno diritto alla protezione e vengono portati fuori da lì. Mori richiede asilo e oggi vive in un centro di seconda accoglienza, un appartamento in pieno centro che condivide con altri 7 ragazzi. Lui ora sorride, ma la sua non è stata un’esperienza facile, porta ancora i segni delle violenze subite. Mori non avrebbe mai voluto lasciare il suo paese.

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Letto di Mohamed - Photo credits Š Nicolò Vasile


Ex-Moi MOHAMED, 28 anni Somalia A Lampedusa Mohamed e gli altri ragazzi con cui ha affrontato la traversata marittima vengono accolti in un grande centro di primissima accoglienza in cui, oltre alle prime cure, ricevono un’esigua somma di denaro che gli consente di mettersi in contatto con le proprie famiglie. Il giorno successivo, a piccoli gruppi, vengono trasferiti nei centri di prima accoglienza laddove sarà deciso il loro destino. Mohamed viene inviato nella struttura di prima accoglienza di Crotone, viene identificato e dopo 2 mesi raggiunge il Piemonte, dove trascorrerà il periodo di seconda accoglienza che dovrà garantirgli il successivo inserimento all’interno della società. L’iter è uguale per tutti: una volta in Piemonte i ragazzi vengono accolti nel campo di Settimo Torinese, laddove saranno poi “smistati” nelle diverse strutture diffuse sul territorio. A Mohamed tocca andare a Racconigi. Trascorre solo 6 mesi nella nuova struttura, due grandi edifici contenenti 12 ospiti ciascuno. Mohamed fa richiesta di protezione e attende per lungo tempo l’esito da parte della Commissione. Nel frattempo viene trasferito in una nuova struttura, stavolta a Sommariva del Bosco. Mohamed non è soddisfatto del percorso di inserimento, a suo dire non gli vengono offerte delle reali possibilità, così decide di interrompere tutto ed andare in Svezia dove potrà restare solo 6 mesi. Il documento di Dublino lo costringe a tornare in Italia. Prima a Bergamo a casa di un amico, poi a Torino, dove nel 2013 è tra i 200 rifugiati dell’Emergenza Nord Africa che, senza una casa e senza nessun altro mezzo di sostentamento, decidono di occupare il MOI.

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II. L’ACCOGLIENZA NELLE CITTÀ. TORINO



L’incremento numerico del flusso migratorio e delle richieste di protezione internazionale è osservabile, nello spazio, in alcuni territori urbanizzati. Così come alcune ricerche hanno evidenziato il ruolo dell’immigrazione nella trasformazione dei piccoli comuni1, questa tesi pone enfasi sulle ricadute spaziali dell’accoglienza all’interno delle città: luoghi in cui si condensa la maggior parte del dibattito intorno ai temi dell’integrazione e dell’ampliamente dei luoghi della seconda accoglienza, e la crescente necessità di ritagliare nuove porzioni di spazio. Il Piano Nazionale d’Accoglienza2 promuove una ripartizione dei migranti su tutto il territorio nazionale in accordo con le diverse regioni, a ciascuna delle quali è assegnata una quota che tiene conto di fattori come la popolazione, il PIL e il numero di migranti già ospitati. Alla regione Piemonte spetta circa il 7% del totale nazionale, di cui il 40% distribuito nella sola Provincia di Torino e il restante 60% sugli altri territori provinciali. La città di Torino è caratterizzata da un’alta concentrazione di strutture entro le quali si predispone accoglienza ed assistenza a circa 3 mila soggetti presenti sul territorio e distribuiti tra le 51 strutture appartenenti al circuito Sprar, i 36 Centri di Accoglienza Straordinaria, il Centro di Identificazione ed Espulsione e le 4 strutture occupate dagli stessi rifugiati nelle quali, attualmente, si registra la massima affluenza3. Prima e seconda accoglienza, grandi centri e appartamenti, realtà istituzionali e quelle prive di una giurisdizione riconosciuta: gli spazi per i nuovi migranti si inseriscono e si intrecciano al tessuto urbano esistente, talvolta mimetizzandosi al punto da renderne difficile la percezione, altre volte invece emergendo o entrandovi in conflitto. Ed è proprio in base alla loro relazione con la città che è possibile operare una prima distinzione tra i modelli abitativi diffusi sul territorio, identificabili come campi urbani o città segrete, a cui si proverà a dare spiegazione nei paragrafi successivi attraverso l’esplorazione di alcuni casi studio rilevati nel contesto torinese. 1 Si veda, ad esempio: PRIN Piccoli comuni e coesione sociale. Politiche e pratiche urbane per l’inclusione spaziale e sociale degli immigrati, ricerca condotta dall’ Università Iuav di Venezia, Università Mediterranea di Reggio Calabria, Università di Roma Tre, Università Politecnica delle Marche, Università Milano Bicocca, Università degli studi di Ferrara; Marcello Balbo, 2015; Francesco Della Puppa, 2014; 2 Piano Nazionale per fronteggiare il flusso straordinario di cittadini extracomunitari adulti, famiglie e minori stranieri non accompagnati. Intesa del 10 luglio 2014 tra Governo, Regioni ed Enti Locali. 3 Le quantità indicate sono state ricavate mediante un’indagine effettuata sul campo nei primi mesi del 2016 presso gli uffici delle autorità di competenza e presso i siti dell’occupazione. Si fa, tuttavia, riferimento alle strutture diffuse entro i confini dell’amministrazione comunale della Città di Torino

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presenze al 31.12.15

domande di protezione alla Questura di Torino fonte: Prefettura di Torino, Osservatorio Interistituzionale sugli stranieri

2.12

6 al

30.0

9

2.967

Occupazioni: 1.680 Cie: 60 25

74

9

1.1

Cas:

761

Sprar:

466

298 153

2011

A LATO

2012

2013

2014

2015

Mappa di tutte le strutture d’accoglienza diffuse nel Comune di Torino

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Campi urbani Il sistema di accoglienza nella città di Torino è costituito da modelli spaziali di diverso tipo inseriti in contesti urbani estremamente differenti. Ciò che pare accomunarli è comunque, in primo luogo, una certa natura temporanea che contraddistingue l’abitare al loro interno e, in secondo luogo, l’ospitalità a stranieri con status giuridici differenti. Li diversifica, invece, principalmente l’ampiezza dei manufatti architettonici, costituiti solitamente in vecchi capannoni industriali, in antichi arsenali, negli spazi delle caserme dismesse o in vecchi ospedali. In generale si tratta di spazi costruiti inizialmente in risposta a una funzione diversa e solo in un secondo momento convertiti e attrezzati a rifugio. Così anche gli spazi interni, piuttosto che entro una sequenza di spazi progettati per l’abitare, si sviluppano in una successione di ambienti di cui è prevista una condivisione: mensa, palestra, sala tv, moschea, sala lettura, lavanderia. Questi diventano i nuovi luoghi deputati all’interazione sociale e, spesso, alla negoziazione dei conflitti che si generano quasi quotidianamente tra le varie etnie ospitate. Dentro le città, i centri di accoglienza sono luoghi eterotopici 1, certamente complessi e spesso riconoscibili nel tessuto urbano. Sono luoghi estremamente esclusivi in ragione della propria funzione, e per questo anche limitatamente accessibili. Nelle forme differenti in cui esse si presentano, le strutture adibite all’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale, che siano giuridicamente riconosciute oppure no, si comportano come fossero dei campi all’interno della città, contenitori di grande densità abitativa in grado di produrre relazioni e pratiche sociali al loro interno, ma anche, nel rapporto con il territorio nel quale si collocano, capaci di creare inedite forme di urbanità segnate tanto dal conflitto quanto dalla condivisione.

1 «Eterotopia» è un termine coniato dal filosofo francese Michel Foucault per indicare «quegli spazi che hanno la particolare caratteristica di essere connessi a tutti gli altri spazi, ma in modo tale da sospendere, neutralizzare o invertire l’insieme dei rapporti che essi stessi designano, riflettono o rispecchiano» . A LATO Mappa comprensiva di tutti i campi urbani diffusi sul territorio comunale

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CAMPI URBANI: SPRAR strutture maschili strutture femminili

CASA DEL MONDO

0

1 Km vibilità principale vibilità secondaria fermate dei mezzi pubblici in prossimità della struttura


1.

Casa del Mondo

“Casa del Mondo” è uno dei maggiori centri di accoglienza nella città di Torino. Si trova in via Celeste Negarville, all’interno della circoscrizione amministrativa 10 che nel 2015 contava 38.224 residenti di cui 4.792 stranieri1. Il centro si posiziona tra le barre INA CASA di Mirafiori Sud, a pochi passi dalle grande industrie che ne segnano il paesaggio, insieme con i grandi spazi verdi della città pubblica, che specularmente si insinuano dalle sponde del Sangone verso il tessuto urbano. Manufatti di tipo e ordine diverso costruiscono questa parte di città, e, parallelamente alle problematiche che riguardano la trasformazione di un pezzo di città pubblica, “Casa del Mondo” è una delle strutture di maggiore concentrazione di richiedenti asilo a Torino, con una capienza di 108 posti letto. Nato inizialmente come rifugio per tutti gli immigrati soggetti a forme di disagio, a seguito dell’emergenza migratoria degli ultimi anni, e in particolare all’Emergenza Nord Africa, viene istituito come centro di accoglienza per le sole categorie di rifugiati e richiedenti asilo di sesso maschile. Si inserisce, così, tra i centri appartenenti al sistema pubblico di accoglienza promosso dal Programma Nazionale Asilo siglato nel 2011 dal Ministero dell’Interno, dall’ Associazione Nazionale dei Comuni Italiani (ANCI) e dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR), altrimenti conosciuto come Sprar. Come previsto dal sistema nazionale, il centro garantisce ai soggetti ospitati un’accoglienza integrata con la quale, oltre alla distribuzione di vitto e alloggio, si prevedono anche misure di informazione, accompagnamento, assistenza e orientamento attraverso la costruzione di percorsi individuali di inserimento socio-economico. L’intero edificio è oggi gestito, a seguito di un bando di gara istituito dagli uffici competenti, alla Cooperativa Sociale 1 Archivio Anagrafico della Città di Torino. Servizio Statistica e Toponomastica della Città. Elaborazione a cura dell’Ufficio Pubblicazioni e Analisi statistiche A LATO La mappa individua i campi urbani maschili e femminili gestiti dal Sistema di Protezione di Richiedenti Asilo e Rifugiati (Sprar) diffusi sul territorio comunale. Essi rappresentano alcuni dei poli di maggiore concentrazione di rifugiati e richiedenti asilo dell’area metropolitana torinese

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0

100 m Edifici produttivi Edifici residenziali Edifici per servizi Edifici religiosi

Verde pubblico Verde privato Attrezzature sportive

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Progetto Tenda, la quale, organizza e formalizza le diverse pratiche assistenziali nei confronti degli ospiti occasionali, in accordo con le altre Onlus presenti sul territorio. Il manufatto architettonico è scarno e composto da elementi prefabbricati strutturati in tre blocchi collegati da un unico sistema distributivo centrale. I due blocchi posti all’estremità ospitano spazi privati (45 camere da letto, ciascuna dotata di 2 o 3 letti e un bagno) e spazi comuni, pensati per favorire l’integrazione tra le diverse etnie presenti nel centro. Nei piani si distribuiscono, infatti, ampi spazi giorno con sale TV, laboratori, un locale mensa, una palestra, diversi locali lavanderia/stireria, una moschea. Un luogo capace di accogliere differenti pratiche sociali, tanto dense quanto però esclusive, sia che si guardi al suo interno, sia che si indaghi le pratiche nello spazio pubblico. Come se quella di rifugiato fosse condizione escludente dalla trama sociale presente nel resto del quartiere.

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Photo credits Š Sara Turano


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Photo credits Š Sara Turano


CAMPI URBANI: C.A.S. strutture maschili strutture per nuclei familiari

0

OZANAM HOUSE

vibilità principale vibilità secondaria fermate dei mezzi pubblici in prossimità della struttura

1 Km


2.

Ozanam House

La Ozanam House è un luogo segnato da una storia lunga e complessa: l’edificio ha ospitato fonderie dal 19101 al 1965 per conto della Società Italiana Milangili Brevetti Invenzioni (SIMBI); rivisitato nel 1941 in stile tardo-razionalista da Nicolaj Diulgheroff, nel 1969 è affidato alla FIAT, a seguito della dismissione della SIMBI; negli anni Settanta il Comune concede queste strutture in gestione alla Casa Federico Ozanam per aiutare e accogliere studenti-operai; a causa di problemi finanziari, tra il 1986 e il 1987 i locali sono riconsegnati al Comune che li ha ridistribuiti fra diversi enti, riservandoli ad attività socialmente utili per la comunità locale. Nel dicembre 2015, in risposta all’aumento del flusso migratorio destinato alla città di Torino, nei locali dell’edificio si attiva anche il Centro di Accoglienza Straordinaria (C.A.S.). Il quartiere in cui è collocato, a nord-ovest nella circoscrizione 5, proprio a ridosso della Spina 3 e del Parco Dora, è tra le aree più popolose di Torino che con un totale di residenti pari a 125.016 nel 2015 (di cui il 16% stranieri)1, con un tessuto urbano denso e a carattere prevalentemente residenziale. Così come le strutture Sprar, i C.A.S. adottano un modello operativo di ospitalità temporanea e di percorsi individuali di formazione. I ragazzi accolti nello stabilimento frequentano scuole, corsi di formazione professionale, svolgono attività ricreative dietro la costante guida degli operatori dell’European Research Institute Onlus a cui è affidata la sezione dell’accoglienza dei nuovi migranti delle vecchie Fonderie. Il centro di accoglienza si articola su due piani su cui si distribuiscono le camere dei residenti, da un minimo di 2 a un massimo di 5 posti letto. Le camere femminili, al piano terra, hanno accesso a un piccolo cortile interno e a locali lavanderia posti nel piano interrato; quelle

1 Archivio Anagrafico della Città di Torino. Servizio Statistica e Toponomastica della Città. Elaborazione a cura dell’Ufficio Pubblicazioni e Analisi statistiche A LATO La mappa individua i campi urbani maschili e femminili diffusi sul territorio comunale nati come centri di accoglienza straordinaria in risposta all’aumento degli arrivi degli ultimi anni. Essi rappresentano alcuni dei poli di maggiore concentrazione di rifugiati e richiedednti asilo all’interno dell’area metropolitana torinese

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0

100 m Edifici produttivi Edifici residenziali Edifici per servizi

Verde pubblico Verde privato

130


maschili, al piano superiore, hanno invece accesso diretto alla cucina/sala TV e a un piccolo terrazzino, comune a tutti gli utenti. La Ozanam House ha un capienza limitata rispetto ai centri di accoglienza maggiori: su 25 posti letto, la struttura offre rifugio a soli 8 richiedenti asilo. Tuttavia, è un sistema regolato secondo alcune logiche riscontrabili anche nei campi, e per questo anch’esso è un campo urbano: in primo luogo, in ragione di alcune logiche di inclusione capaci di mettere in relazione i nuovi migranti con gli altri ospiti presenti nella struttura, e insecondo luogo per il valore sociale che l’oggetto architettonico e i suoi usi assumono all’esterno di esso. La Ozanam House condivide anche un cortile vivace con varie e diverse attività: il ristorante “Fonderie Ozanam” (promotore peraltro di una recente installazione di 300 metri quadri di orti sul tetto), laboratori di cucina e di pasticceria, una medicheria. In questo la Ozanam House pare un caso esemplare proprio per la diversità dei suoi ospiti che, indipendentemente dalla propria ragione sociale, si muovono entro i medesimi spazi: rifugiati, studenti e ospiti dell’ostello si mescolano e alimentano pratiche di condivisione e interazione. In questo, la molteplicità dei soggetti coinvolti è preziosa nel renderlo sempre più urbano e sempre meno campo.

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CAMPI URBANI: OCCUPAZIONI strutture attualmente occupate strutture sgomberate

EX-MOI

0

1 Km

vibilità principale vibilità secondaria linea ferroviaria fermate dei mezzi pubblici in prossimità della struttura


3.

Ex-Moi

Il Villaggio Olimpico è uno dei maggiori interventi dell’ampio programma di ridisegno urbano e di riconversione funzionale attuato in occasione dei Giochi Invernali del 2006. Il progetto, elaborato da un team internazionale guidato da Benedetto Camerana, prevedeva la dismissione di una porzione della struttura storica dei Mercati Generali Ortofrutticoli e la realizzazione di edifici residenziali, disposti secondo un impianto a scacchiera. L’intervento prevedeva, in primo luogo, l’ospitalità a circa 2600 atleti e personale sportivo durante gli eventi olimpici, e in un secondo momento immaginava la vendita degli appartamenti e degli spazi fieristici a privati e società. Quest’ultima fase è però portata a termine solo in parte, lasciando in stato di abbandono alcuni degli edifici e delle strutture fieristiche per diversi anni. Nel marzo 2013, in seguito alla chiusura del programma di accoglienza straordinaria formalmente noto come «Emergenza Nord Africa», un gruppo di circa 200 rifugiati rimasti senza viveri e alloggio, si appropria di due degli edifici ancora vuoti. In poche settimane, l’occupazione coinvolge quattro edifici. Oggi, il Villaggio Olimpico ospita 1.200 persone1 di circa trenta diverse etnie ed è il più grande insediamento informale nella città di Torino. Questo dato rende conto della condizione di sovraffollamento che si riscontra negli edifici originariamente progettati per accogliere circa 300 persone: dall’area allestita a cucina/sala comune ai sottoscala, i materassi dei migranti trovano posto ovunque nella struttura. L’occupazione dell’Ex-Moi manifesta forse più di tutte le altre strutture presenti sul territorio la dimensione, che qui è richiamata in modo principalmente metaforico, del campo urbano. Come un campo risponde alle logiche di esclusione e di esclusività degli spazi, costantemente sorvegliati, ma delle 1 Rapporto di Medici Senza Frontiere, Fuori campo. Richiedenti asilo e rifugiati in Italia: insediamenti informali e marginalità sociale, 2016 A LATO La mappa individua le strutture occupate abusivamente dai rifugiati diffuse sul territorio comunale.

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0

100 m Edifici residenziali Edifici per servizi

Verde pubblico Verde privato Attrezzature sportive

140


similitudini si rilevano anche nel normale funzionamento che ne regola le relazioni al suo interno e verso l’esterno. Nelle quattro palazzine occupate vige un sistema di regole stabilite dagli stessi occupanti per garantire quanto più possibile i principi di una buona convivenza molto spesso compromessa dalla compresenza di diversi gruppi etnici. Gli ospiti godono oltretutto del supporto di un comitato di solidarietà composto da un gruppo di attivisti per il diritto alla casa e da alcuni dei rifugiati stessi, creato per fornire loro beni e servizi di prima necessità e misure assistenziali nelle diverse pratiche sociali con cui devono confrontarsi. All’interno del complesso architettonico si sviluppano altresì alcune attività che muovono l’economia del centro - un ristorante, un barbiere, alcuni mini-market, un’officina, una sartoria – attraverso le quali, nonostante trovino posto in spazi adattati successivamente, si determina la condizione stanziale dell’insediamento. Il carattere urbano del centro che sembra venir meno dal mancato riconoscimento giuridico è invece fortemente presente al suo interno dove una scuola, spazi di formazione professionale, di assistenza sanitaria e legale producono, per quanto modesto, un sistema di welfare che fa del Moi una città al contempo dentro e fuori la città stessa.

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CITTÀ SEGRETE appartamenti Centro di Identificazione ed Esplulsione


Città segrete Il progressivo incremento della domanda di spazi abitativi per chi richiede protezione ha implicato una maggiore presenza dei luoghi di accoglienza nella città. Luoghi definiti da caratteristiche spaziali diverse, spesso risolti in adattamenti di edifici dismessi ad una nuova natura abitativa. Tra questi, un consistente numero di appartamenti sfitti diventa rifugio per i nuovi ospiti, svelando una modalità di accoglienza che si dà su numeri più contenuti e maggiormente integrata nel tessuto sociale e spaziale. Questa modalità si sviluppa parallelamente ai centri di accoglienza, quelli dai grandi numeri sopra analizzati. L’ambiente costruito diventa sede di piccole realtà di accoglienza ricavate all’interno di situazioni condominiali preesistenti ma che, proprio a causa della loro ubicazione, restano dei contesti nascosti e poco riconoscibili dall’esterno. In questo senso la città di Torino diviene luogo interessante: una ricca rete composta da 62 appartamenti di transizione per l’autonomia alloggiativa dei richiedenti asilo si diffonde su tutto il territorio comunale1 e si connette con l’apparato residenziale esistente sottostando alle medesime condizioni che regolano le normali pratiche relazionali fra residenti.Nella città di Torino si assiste così allo sviluppo di una città segreta composta da piccole cellule che si mimetizzano perfettamente nella struttura urbana in cui si inseriscono, pur rispondendo a situazioni abitative inedite. Segreta, seppure in termini radicalmente diversi, può essere considerata anche una porzione di città che, sebbene goda di una certa riconoscibilità nel contesto che la ospita, alla città stessa sembra non appartenere. È il caso del Centro di Identificazione ed Espulsione di Corso Brunelleschi. In esso si individuano alcuni dei caratteri che qualificano un campo – esclusione, marginalità, temporaneità, controllo – ma, anche se inserito nella trama dell’area metropolitana, perde la sua condizione di urbanità proprio perché dalla città si sottrae. L’alto muro che ne segna il perimetro rappresenta un limite fisico invalicabile, tanto dall’interno quanto dall’esterno. Di fatto il C.I.E. è un centro di detenzione, una città forse meno segreta, ma assolutamente impenetrabile, individuabile solo in relazione a una continuità visiva con il contesto circostante, che consolida una diversa, ma altrettanto nascosta, idea di abitare la città. 1 Le quantità indicate sono state ricavate mediante un’indagine effettuata sul campo nei primi mesi del 2016 presso gli uffici delle autorità di competenza. A LATO La mappa individua il C.I.E. e gli appartamenti diffusi su tutto il territorio

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APPARTAMENTI SPRAR C.A.S.


1.

Appartamenti

L’accoglienza all’interno di un appartamento prevede una quasi completa autogestione da parte degli occupanti i quali provvedono autonomamente a soddisfare i propri bisogni: essi preparano da mangiare, fanno la spesa, il bucato. Questo modello può essere infatti inteso come lo stadio ultimo dell’accoglienza, quello che precede la completa acquisizione di una totale autonomia. Tuttavia, ricopre ancora un ruolo fondamentale la figura dell’operatore sociale che con cadenza quasi giornaliera si confronta con i ragazzi accolti nelle piccole realtà abitative per raccogliere le singole questioni da loro mosse e fornire supporto nella risoluzione delle stesse. Il modello dell’accoglienza in un appartamento, la cosiddetta accoglienza diffusa, differisce dal modello dei centri precedentemente presi in analisi per una sua dimensione maggiormente privata dell’abitare: per quanto forzata, la convivenza è riservata ad un numero ristretto di persone, il che rende più facile le relazioni fra gli stessi inquilini, molto spesso accomunati dalla medesima nazionalità, e con i condomini con i quali si ritrovano a condividere alcuni spazi comuni quali, vani scala, ballatoi, cortili. Nessun limite fisico li separa dal contesto sociale circostante. La configurazione di un appartamento dell’accoglienza risponde alle tradizionali logiche distributive di un normale alloggio. L’unico elemento che lo contraddistingue è l’affissione di cartelli e indicazioni di sicurezza e pericolo sui muri della casa, così come se ne riscontrano nei locali pubblici, con i quali si danno istruzioni e suggerimenti a quanti vi abitano manifestando una natura temporanea dell’abitare unita a un palese senso di non appartenenza degli spazi. I richiedenti asilo si relazionano con i condomini, e con quanto gli sta attorno, in base al grado ed alla forza relazionale della comunità già insediata, superando comunque, in ognuna delle situazioni indagate, una condizione prettamente emergenziale dell’accoglienza.

A LATO

La mappa individua la rete degli appartamenti diffusi su tutto il territorio comunale

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0

100 m Edifici produttivi Edifici residenziali Edifici per servizi Edifici religiosi

Verde pubblico Verde privato

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Corso Regina Margherita, 140. L’appartamento fa parte di un comples-

so architettonico inserito all’interno di uno dei quartieri del centro storico torinese maggiormente vitali, la cosiddetta area di Porta Palazzo che ha come fulcro il mercato di piazza della Repubblica. Considerata sin dagli anni ’50 uno dei principali punti di incontro per coloro che giungono per la prima volta nella città, l’area di Porta Palazzo mostra uno dei più alti tassi di presenza immigrata: nel 2015 l’intera circoscrizione 7 conta infatti una percentuale di stranieri pari a circa il 22% del totale dei residenti.1 Nell’appartamento situato al terzo piano di uno dei palazzi ottocenteschi prossimi alla grande piazza del mercato il Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati dà ospitalità a 6 ragazzi. Nell’abitazione in esame si accede dal ballatoio che mette in diretta comunicazione con gli alloggi adiacenti. Nella cucina una piccola bacheca, comune a tutti gli appartamenti del circuito Sprar, espone i numeri di emergenza e informazioni di carattere generale per gli occupanti della casa. Avvisi come “tutte le sere prima di andare a dormire chiudere il gas per la vostra sicurezza” o “non usare”, “non toccare per nessun motivo …” si disseminano in tutti gli spazi. L’unità abitativa si compone ancora di un bagno e tre ampie stanze. Due letti, due comodini, due mensole e due armadi riempiono ciascuna camera. Le pareti sono spoglie, evidente segno di una condizione abitativa temporanea che fa dello spazio dell’accoglienza un mero contenitore che, pur prendendone concretamente le sembianze, non viene percepito come “casa”.

1 Archivio Anagrafico della Città di Torino. Servizio Statistica e Toponomastica della Città. Elaborazione a cura dell’Ufficio Pubblicazioni e Analisi statistiche

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100 m Edifici produttivi Edifici residenziali Edifici per servizi Edifici religiosi

Verde pubblico Verde privato

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Via Feletto, 50. Il condominio di via Feletto, sorge nel quartiere di Barriera

di Milano a nord della città di Torino, caratterizzato da un nucleo centrale fitto e densamente abitato, dove una ricca rete di edifici dismessi segna la vecchia vocazione industriale dell’area che originariamente ospitava la Fiat Grandi Motori, la Fiat Ferriere, il Gruppo Finanziario Tessile, la Manifattura Tabacchi e numerose botteghe e che oggi concentra alcune delle maggiori trasformazioni urbane in corso. Sin dalla prima industrializzazione della città di Torino, l’identità fortemente operaia dell’area in questione l’ha resa soggetta a notevoli ondate migratorie principalmente interregionali. Oggi il quartiere accoglie un importante quantitativo di residenti stranieri sempre più attratti dai bassi costi del mercato immobiliare (nel 2015 si contano 24.811 stranieri su 107.086 residenti totali nella circoscrizione 6).1 L’appartamento di Via Feletto si sviluppa sugli ultimi due piani di un condominio di circa metà Novecento. È una delle poche strutture femminili diffuse sul territorio torinese. Accoglie 8 ragazze di nazionalità differenti distribuite nelle 4 stanze presenti che in base alla loro ampiezza danno posto a 1, 2 o 3 letti. L’ampio appartamento si compone di cucina, un piccolo salotto dal quale si ha accesso al piano superiore, due bagni e un locale lavanderia. Sui muri si ritrovano cartelli di sicurezza e indicazioni di vario genere fissate all’ordinaria bacheca presente in ogni salotto Sprar. Una libreria in legno al fondo del corridoio e le mensole delle camere completamente vuote ancora una volta danno ragione a una natura transitoria dello spazio che in quanto tale sembra quasi non necessiti di essere riempito.

1 Archivio Anagrafico della Città di Torino. Servizio Statistica e Toponomastica della Città. Elaborazione a cura dell’Ufficio Pubblicazioni e Analisi statistiche

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1 Km

CIE

vibilitĂ principale vibilitĂ secondaria fermate dei mezzi pubblici in prossimitĂ della struttura


2.

CIE

Un Centro di Identificazione ed Espulsione rappresenta un luogo in cui la sfera amministrativa sostituisce quella penale in relazione alla condizione dei migranti, la cui reclusione non è stabilita tramite sentenze emanate da un giudice ma viene disposta dal questore. Tuttavia esso si comporta come un effettivo luogo di detenzione, generalmente posto a una certa distanza dai centri abitati. In questo senso il CIE di Torino rappresenta un’eccezione. Esso occupa un intero isolato tra piazze, parchi, negozi, edifici residenziali prospicienti una delle maggiori infrastrutture della città – Corso Brunelleschi – con affaccio diretto sulla struttura. L’ingresso principale del centro è posto sulla via Santa Maria Mazzarello, ritagliato nell’alto muro che contorna l’intero isolato e che fa del CIE uno spazio avulso dal contesto urbano. All’interno si sviluppano 6 aree, ciascuna delle quali denominata con colori diversi - blu, bianca, rossa, gialla, verde, viola – e un’area di isolamento. Ogni area, a sua volta circondata da una ulteriore alta recinzione, dispone di due fabbricati. Uno, più grande, adibito ad accogliere 5 camere da 6-7 letti, armadi, un bagno, una doccia e un telefono. L’altro utilizzato come refettorio o riadattato come spazio religioso per coloro che intendono pregare. Gli utenti delle diverse aree, spesso suddivisi per nazionalità, non hanno possibilità di interazione con quelli delle aree limitrofe se non per godere di un’ora di svago, concessa quotidianamente, nel campo sportivo ricavato nel mezzo dell’intero complesso.1 Il centro di detenzione diventa contenitore di una popolazione in eccesso la cui composizione è sempre più variegata, con un numero in continua crescita anche di stranieri che hanno alle loro spalle un 1 Le informazioni inerenti l’organizzazione del centro sono state ricavate da testimonianze da parte di alcuni ragazzi che hanno vissuto l’esperienza della detenzione nella struttura e da altri lavori di ricerca che si sono interessati dello studio desulle condizioni di detenzione degli stranieri nel C.I.E. di Torino tra cui, Betwixt and between: Turin’s CIE, condotto dall’International University College di Torino in coollaborazione con l’Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione (ASGI) e le Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Torino e dell’Università del Piemonte Orientale A LATO La mappa individua il Centro di Identificazione ed Espulsione della città di Torino

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100 m Edifici di interesse militare Edifici residenziali Edifici per servizi

Verde pubblico Verde privato

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percorso di regolarità e che oggi, magari per la sola impossibilità di rinnovare il titolo di soggiorno o per lo sfortunato caso di essere subentrati in Italia come migranti economici in un periodo poco favorevole, risultano irregolari sul territorio e, pertanto, soggetti all’espulsione. Essi, al pari dei detenuti per reati gravi, vivono lontani da qualsiasi logica di inclusione sociale e in una condizione di extraterritorialità nell’attesa di essere allontanati dal paese. L’alto muro perimetrale che circonda la struttura di corso Brunelleschi ritaglia e sottrae alla città una parte di territorio sottoposta a una costante sorveglianza. Esso si pone come limite fisico tra un dentro e un fuori che preclude qualsiasi scambio sociale. Si rafforzano così i caratteri di estraneità di una struttura che contribuisce a definire la trama della città ma dalla quale, allo stesso tempo, si esclude facendo della sola condizione spaziale di adiacenza e continuità l’unica relazione possibile con quanto è attorno.

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III. QUESTIONI DI SPAZIO



Dare casa Il fenomeno migratorio in corso e il suo forte impatto sul territorio europeo hanno aperto molteplici dibattiti attorno a questioni legate a problemi di coesione e sicurezza, incidendo profondamente sul clima di incertezza generato dallo stato di crisi globale degli ultimi anni. L’emergenza di una nuova questione abitativa è uno dei prodotti di questa inedita condizione. Una nuova dimensione del disagio abitativo si sviluppa infatti in rapporto ai processi di impoverimento legati alle nuove figure sociali insediatesi nel territorio, sommandosi a una condizione di disagio che in questo particolare momento storico è già fortemente avvertita anche da altre fasce della popolazione, giovani, anziani, famiglie. L’intensificazione del fenomeno migratorio alimenta la necessità di produrre nuovi spazi che possano dare casa e favorire la formazione di comunità sostenibili attraverso l’integrazione di soggetti posti ai margini della società. Merita in tal senso una particolare attenzione la ricerca di una nuova produzione architettonica in risposta all’emergenza abitativa venutasi a creare. Dagli insediamenti provvisori alle soluzioni a lungo termine, numerose sono le sperimentazioni di nuove forme spaziali o di riadattamento di fabbricati preesistenti mosse dal tentativo di creare una nuova offerta abitativa funzionale, flessibile e da produrre nel più breve tempo possibile, utilizzando un approccio bottom up che miri a delle strategie partecipative da parte delle nuove comunità e che si sviluppi parallelamente alle politiche top down previste dal sistema di accoglienza dei singoli paesi coinvolti. Il programma della Triennale di Architettura di Oslo 2016, ad esempio, dà spazio al progetto OPENtransformation che apre una discussione sull’ospitalità dei rifugiati nella città di Torshov promuovendo nuove pratiche di condivisione degli spazi entro tre strategie progettuali differenti - rispettivamente bnbOPEN, OPENhouse e OPENhousing - che portano a ridiscutere le politiche sull’accoglienza in Norvegia con azioni di contrasto al mercato immobiliare A LATO Portone di una delle vecchie case abbandonate di Riace, ora abitate dai rifugiati - photo credits © 2016 Rubbettino News

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esistente.1 Allo stesso modo, la Biennale di Architettura 2016 a Venezia si interroga sul ruolo dell’architettura rispetto ai rifugiati nelle città europee, al cui tema sono dedicati i padiglioni di Austria, Grecia, Germania e Finlandia, promotori di possibili soluzioni alle esigenze abitative dei rifugiati come quelle scaturite dal concorso finlandese From borders to home2 per le quali si auspicano modelli di accoglienza basati sul recupero di spazi in disuso o sull’ospitalità fornita all’interno delle abitazioni dagli stessi residenti. Molteplici sono le pratiche abitative anomale3 che vengono create entro specifiche modalità e che rientrano nei temi di densificazione, sostituzione e riciclo, di cui in seguito saranno illustrati alcuni esempi. In particolar modo si farà riferimento a un’altra ricerca architettonica - Refugees Welcome - effettuata nel 2015 da alcuni studenti dell’Università Lebniz di Hannover e finalizzata alla costruzione di spazi di accoglienza per i rifugiati come parte integrante del tessuto urbano consolidato senza, tuttavia, perdere la qualità abitativa. 1.

Densificazione

Una delle più comuni forme entro cui si prova a dare risposta alla domanda abitativa dei rifugiati è la nuova costruzione di apparati architettonici, realizzazioni fatte in tempi ristretti e con materiali semplici che vanno dalle grandi 1 2

http://oslotriennale.no/en/torshov http://www.mfa.fi/rajaltakotiin_eng

3 “Vi sono nelle nostre città innumerevoli pratiche abitative che in modi e gradi diversi si scostano dai modelli prevalenti. In alcuni casi è il ricorso a risorse non previste nella produzione convenzionale, in altri è l’operare di regole diverse da quelle dominanti nello strutturare i comportamenti abitativi. […] Poiché si scostano dai modelli dominanti nella cultura abitativa queste pratiche possono essere definite “anomale”. Possono inoltre essere definite “informali”, poiché utilizzano risorse ed esprimono regole che non corrispondono a quelle della produzione “formale” dello stato del mercato” Antonio Tosi in Abitanti. Le nuove strategie dell’azione abitativa, Il Mulino, Bologna, 1994 A LATO Le immagini riproducono il “prima” e il “dopo” di uno degli esempi di densificazione individuati nella ricerca architettonica Refugees Welcome effettuata nel 2015 nell’Università Lebniz di Hannover. In particolare, il progetto prevede il riempimento degli spazi interposti tra le abitazioni esistenti mediante la costruzione di nuove abitazioni per le popolazioni immigrate, così creando una cortina continua

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installazioni di moduli prefabbricati a una progettazione architettonica di maggior prestigio e di sviluppo ecosostenibile, di cui può essere esempio l’Abitazione per la Pace in legno e canapa di Mario Cucinella in in Basilicata.4 Spesso la ricerca architettonica si concentra su una produzione di maggiore densità edilizia all’interno di alcune aree della città, attraverso il riempimento dei vuoti urbani. In particolare, la ricerca Welcome Refugees dell’Università di Hannover riporta dei progetti, di cui alcuni illustrati nelle pagine precedenti, che esemplificano le pratiche di densificazione all’interno di spazi interstiziali presenti nel tessuto urbano o che si attua tramite processi di demolizione di fabbricati dismessi e ricostruzione di nuova offerta abitativa.

2.

Sostituzione

Alcune nuove pratiche abitative rientrano nel tema della sostituzione. Il progressivo incremento della domanda di spazi abitativi per chi richiede protezione conduce all’individuazione di alcuni spazi che assolvono ancora a delle funzioni specifiche, le quali, però, risultano essere facilmente surrogabili (parcheggi, depositi, ambienti sottoutilizzati). Dall’eccedenza ad uno scarso utilizzo degli ambienti, le ragioni di sostituzione sono molteplici, ma tutte dettate dalla necessità di rispondere al bisogno primario di fornire rifugio a una popolazione in eccesso.

4 http://www.mcarchitects.it/project/abitazione-per-la-pac NELLE DUE PAGINE PRECEDENTI Le immagini riproducono il “prima” e il “dopo” di alcuni esempi di densificazione individuati nella ricerca architettonica Refugees Welcome effettuata nel 2015 da alcuni studenti dell’Università Lebniz di Hannover. In particolare il progetto prevede la realizzazione di nuova densità abitativa all’interno del tessuto urbano attraverso la demolizione di un vecchio capannone in disuso e la realizzazione di nuovi blocchi residenziali per le popolazioni immigrate A LATO Le immagini riproducono il “prima” e il “dopo” di alcuni esempi di sostituzione individuati nella ricerca architettonica Refugees Welcome effettuata nel 2015 da alcuni studenti dell’Università Lebniz di Hannover. In particolare il progetto prevede in alcune porzioni della struttura la sostituzione dell’attuale funzione di parcheggio con la funzione residenziale per le nuove popolazione immigrate

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3.

Riciclo

La questione abitativa mossa dai migranti forzati mette subito in campo l’arma del riciclo di un patrimonio in disuso. Come nella sostituzione, poiché le strutture nascono in risposta a funzioni differenti, gli spazi che le compongono non sempre sono adeguati ad accogliere la funzione residenziale chiamati ad assolvere, ma vengono adattati alle nuove esigenze della nuova categoria sociale. La riqualificazione e la successiva rifunzionalizzazione di un ambiente dismesso offre la possibilità di fornire non solo rifugio alle nuove popolazioni, ma anche un nuovo senso e significato ad un patrimonio che a prima vista appare inutilizzabile e obsoleto, rivelando anche un potenziale che si estende nella dimensione ambientale della trasformazione della città. I processi di riuso della città esistente, infatti, rappresentano il modo in cui è possibile estrarre l’embodied energy ancora presente nel capitale edilizio esistente che in altre fasi della storia economica delle nostre città avremmo considerato inevitabilmente esaurito.1 Capannoni industriali, stazioni, vecchi depositi di armi oggi danno spazio a salotti, camere da letto, cucine per le popolazioni migranti, diventando opportunità di trasformazione e di sviluppo per la città contemporanea.

1 L. Fabian, E. Giannotti, P. Viganò, Recycling City, Lifecycles, embodied energy, inclusion, Giavedoni Editore, Pordenone, 2012 NELLE PAGINE SUCCESSIVE Le immagini riproducono il “prima” e il “dopo” di alcuni esempi di riciclo individuati nella ricerca architettonica Refugees Welcome effettuata nel 2015 da alcuni studenti dell’Università Lebniz di Hannover. In ordine, una vecchia stazione dismessa e il padiglione olandese dell’Expo 2000 dello studio MVRDV. In entrambe le strutture, attualmente in disuso, il progetto prevede una riconversione in polo abitativo per le nuove popolazioni immigrate.

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Fare città “Dalle sue origini nella notte dei tempi fino a poco tempo fa, la forma urbana sembrava un uovo sodo. La città era un denso, compatto centro, protetto da mura difensive dai mali del mondo. La potenza dei cannoni infine rese le mura obsolete, e la maggior parte fu razziata dal 17 al 19 ° secolo. Questo, insieme alla rapida crescita della popolazione e dell’industria in quel periodo, ha causato all’ interno delle città la tendenza ad espandersi rapidamente. Questo è il modello “uovo in camicia”: il nucleo conserva la sua antica funzione di luogo di riferimento e la sede del potere, ma è circondato attraverso l’ampliamento da anelli di aree residenziali e industriali che con le reti infrastrutturali forniscono servizi pubblici e trasporti. Ma il centro non può reggere. Come una stella al termine della sua vita, il cuore della città crolla sotto il peso della sua stessa espansione. L’automobile ha reso molto più semplice (e meno costoso) il modo di vivere, lavorare e fare acquisti nei pressi della tangenziale rispetto al centro della città ormai soffocata. Questo, il modello di uova strapazzate, è anche il tipo più rilevante dello sviluppo urbano di oggi. E che tipo di uovo sarà la città del futuro? Quali le ricette per nuovi scenari?” Attraverso queste semplici immagini Cedric Price condensa millenni di vita della città, la quale, a seguito della modificazione di importanti aspetti della sua struttura economica e sociale, cambia i suoi connotati. Dapprima unità compatta, poi soggetta a una graduale espansione sino alla sua completa destrutturazione, la città si evolve in risposta alle nuove esigenze del tempo. Oggi, come in passato, la città europea attraversa un periodo di crisi che lentamente ne modifica l’immagine, la struttura spaziale, il modo di funzionare e le relazioni tra vecchi e nuovi attori e dalla quale uscirà, dunque, diversa. La crisi dei rifugiati porta in primo piano l’affermazione di una nuova categoria sociale la quale muove esigenze diverse rispetto a quelle delle popolazioni presenti. La condizione di sospensione temporanea obbliga il nuovo migrante a confrontarsi con forme spaziali e pratiche abitative inedite che, sebbene lo pongano al di fuori di una società iniqua, su quest’ultima hanno una forte influenza. I campi urbani e gli alloggi dell’accoglienza occupano uno spazio A LATO

The city as an egg, Cedric Price

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all’interno della città e con essa stabiliscono nuove relazioni: si chiudono, si aprono o si nascondono ad essa mediante una continua acquisizione o sottrazione degli spazi che produce nuovi modi di utilizzare la città. A seconda delle relazioni che scaturiscono tra le diverse strutture dell’accoglienza e l’intorno, è possibile dare una lettura in riferimento alle tre immagini di Price. Gli edifici occupati rappresentano ciò che egli definirebbe un “uovo sodo” (boiled egg). Essi si insinuano nel tessuto urbano, ma il loro mancato riconoscimento entro una forma giuridica ne fa delle zone franche mediante la definizione di un limite che, pur non essendo tangibile, li rende intoccabili. Come “uovo sodo” si comportano anche i C.I.E. per i quali, contrariamente a quanto accade per le occupazioni, è proprio il forte determinismo giuridico a creare una barriera, in questo caso tangibile, e a renderlo avulso dal contesto. Entrambi i modelli si ritraggono all’interno dei propri limiti sottraendosi alla città. Creano invece un riverbero sul contesto circostante i campi urbani che godono di un riconoscimento istituzionale. Essi si comportano come un “uovo in camicia” (fried egg): in virtù dei loro vincoli giuridici mantengono il loro nucleo centrale, ma tendono ad espandersi e a connettersi con quanto di pubblico vi si sviluppa nelle dirette vicinanze. L’ “uovo strapazzato” (scrambled egg) è la più chiara esemplificazione delle singole unità abitative dell’accoglienza le quali, prive di un qualsiasi ordine gerarchico, si disseminano sul territorio mimetizzandosi con il contesto che le assorbe. Le tre immagini, associate ai tipi di accoglienza esaminati a Torino, rispondono a tre modelli di città che, a differenza di come narrato nella teoria di Cedric Price, per il quale essi sono consecutivi, oggi coesistono. In questo senso la nuova crisi migratoria non dà adito solo a una questione abitativa di carattere prettamente architettonico, ma ci mette davanti all’affermazione di una «nuova questione urbana» che, oggi come in passato, porta a riflettere sulla struttura spaziale della città e sui suoi modi di trasformarsi. A LATO Lettura delle strutture di accoglienza in relazione con il contesto circostante elaborata in riferimento alle tre immagini - The city as an egg - di Cedric Price. Da sinistra: le strutture occupate e il C.I.E. come un boiled egg, i campi urbani istituzionali come un fried egg e gli appartamenti come uno scrambled egg.

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1.

Sottrazioni

Le strutture dell’occupazione e della detenzione dei migranti ritagliano delle porzioni di città che, come nell’immagine del boiled egg di Price, assumono la configurazione di uno spazio introverso, denso e compatto, segnato da confini fisici o giuridici. La costruzione di un muro o la definizione di uno status giuridico, infatti, delimitano dei territori producendo una frattura fra chi è dentro e chi è fuori dalla città, resa ancora più visibile dalla costante sorveglianza esercitata su questi luoghi. Entrambi i modelli, che nella loro estensione creano maggiore densità abitativa e in alcuni casi anche situazioni di sovraffollamento, possono essere ricondotti a una forma di antiurbanesimo poiché, in relazione alla loro natura, si comportano come sistemi di «esclusione dall’intensità e dalla complessità di relazioni proprie della vita urbana, dai diritti che la città garantisce, dall’impegno, dalla responsabilità e partecipazione alla vita pubblica»1. Il forte determinismo che contrassegna il C.I.E. e, al contrario, la quasi totale anarchia riscontrata nelle realtà occupate, fanno di questi spazi delle bolle nella città, dei luoghi che per la loro essenza fisica e giuridica si rendono particolarmente distinguibili nel contesto ospitante ma ad esso estranei. La struttura spaziale della città si trasforma annullandosi in specifici punti. La trama urbana si interrompe dando forza a un modello che rinnova per sottrazioni.

1 A. Sampieri, Fare case disfare città. Le nuove forme dell’abitare condiviso nel solco di una tradizione antiurbana, in Planum. The Journal of Urbanism, n. 27, vol. 2/2013 A LATO Sottrazioni. La mappa indivudua gli spazi che le occupazioni e il C.I.E. (Centro di Identificazione ed Espulsione) sottraggono alla città

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Ex-Moi

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Ex-Moi, sottrazioni nella cittĂ

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C.I.E.

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C.I.E., sottrazioni nella cittĂ

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2.

Polarizzazioni

L’accoglienza delle comunità rifugiate nelle strutture che si prefigurano come campi produce fenomeni di alta densità sociale all’interno della trama urbana promuovendo relazioni di scambio, seppure problematiche e conflittuali, tra nuovi e vecchi abitanti. In riferimento alla metafora di Cedric Price, i campi urbani, nella forma che gode di un’approvazione istituzionale, si associano all’immagine del fried egg: la struttura di accoglienza rappresenta il nucleo di concentrazione dei richiedenti asilo, uno spazio dedicato alla dimensione privata della vita e che preserva, quindi, una condizione di riservatezza, al contempo soggetto ad aperture verso l’esterno, laddove subentra la dimensione pubblica. L’afflusso di presenze immigrate produce una crescita di bisogni indispensabili che inevitabilmente si confrontano, e molto spesso coincidono, con i bisogni della comunità insediata. Strade, piazze, parchi, spazi commerciali si animano in forza di una nuova popolazione che tende ad utilizzare lo spazio pubblico in modo molto più frequente, e in maniera diversa, rispetto a quanto facciano le comunità insediate. I centri che si inseriscono all’interno dell’infrastruttura pubblica costruiscono un sistema di polarizzazioni che si compone di realtà insediative puntuali generatrici di nuove reti di connessione spaziale e sociale. La città si riscrive e rigenera attraverso episodi di spazi densi, relazioni, scambi, interventi di appropriazione spontanea dei luoghi, per cui diventa fondamentale la mediazione pubblica nel garantire accessibilità allo spazio collettivo da parte dei diversi, nuovi e vecchi, abitanti. A LATO Polarizzazioni. La mappa indivudua le strutture che creano maggiore densità abitativa all’interno della città

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Casa del Mondo

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Casa del Mondo, polarizzazioni nella cittĂ

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Ozanam House - Fonderie

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Ozanam House - Fonderie, polarizzazioni nella cittĂ

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3.

Una disseminazione

Nella struttura urbana della città di Torino gli alloggi dell’accoglienza dei rifugiati determinano un sistema di piccole realtà autogestite che nella configurazione evolutiva della città di Cedric Price si esprimono attraverso l’immagine dello scrambled egg. Si tratta di situazioni che nel loro insieme appaiono poco soggette a un ordine gerarchico. Il sistema dell’accoglienza pare difatti esplodere in un pulviscolo di piccole unità che si disseminano su tutta l’estensione della città collocandosi in una varietà di contesti urbani, con i quali, in virtù della mancanza di specifici vincoli di separazione, stipulano delle relazioni dirette, quotidiane, continuative. Gli appartamenti si sviluppano in autonomia gli uni dagli altri facendo del sistema della mobilità e delle connessioni pubbliche della città la rete di collegamento. Costruiscono un modello abitativo integrato nelle realtà condominiali tanto da risultare impercepibile al contesto, seppure in forte relazione con esso. Il profilo dell’accoglienza diffusa si manifesta pertanto come un pullulare di situazioni nascoste nella città e, se appoggiate da buone politiche pubbliche, con essa integrate. Come parte di un sistema più ampio, le singole unità abitative tessono una rete di relazioni diffuse che trovano la maggiore polarizzazione entro i confini del contesto condominiale.

A LATO

Una disseminazione. La mappa indivudua gli alloggi dell’accoglienza disseminati nella città

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Appartamenti

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Appartamenti, disseminazione nella cittĂ

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Conclusioni I grandi fenomeni migratori, limitati nel tempo, o estesi entro periodi più ampi, hanno segnato la storia economica, sociale e politica della città europea, determinando importanti conseguenze sul suo territorio. La città ha cambiato i suoi connotati, ne è uscita diversa. A seguito della recente spinta migratoria la città di Torino, ancora una volta, si sta modificando. Cambiano le ragioni, le forme, i soggetti e la loro condizione sociale. Tutto in qualche modo cambia. Non cambia però la forza di una trasformazione determinata dalla presenza di nuove popolazioni nella città, con le loro domande, bisogni, con la loro proposta di affermazione di una città nuova e diversa. Questa tesi prova a tracciare alcuni segni del cambiamento in corso. Lo fa dapprima in ragione di un’osservazione indiziaria, tenta poi di avvalersi di dati e censimenti per elaborare un’inedita mappatura della territorializzazione del fenomeno, seppure mobile e transitoria, propone infine di ragionare attorno all’emergenza di nuove possibili configurazioni. Dai campi urbani alle città segrete, le numerose realtà dell’accoglienza dei rifugiati a Torino riscrivono i suoli, i loro usi, cambiano i funzionamenti e le forme della città accanto alle politiche ed ai progetti attivati in risposta ai nuovi problemi sollevati dall’affermazione di questa «nuova questione urbana». In relazione alla condizione strutturale del mutamento entro il quale il fenomeno migratorio costringe i suoi spazi, la città necessita di essere nuovamente attrezzata. Sottrazioni, polarizzazioni e disseminazioni sono le azioni che questo lavoro di tesi pone in evidenza per descrivere la produzione dei nuovi assetti spaziali determinati dal rapporto tra le forme di accoglienza e la città. Se nel caso delle sottrazioni e delle polarizzazioni la struttura spaziale urbana tende ad essere in parte erosa e gli ambiti di accoglienza come espulsi da essa, nel caso di una

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disseminazione di interventi puntuali la città sembra maggiormente prestarsi alla produzione di nuove forme di urbanità in grado di rispondere alle esigenze di una nuova società disomogenea. L’incremento delle soluzioni abitative, nella forma degli alloggi diffusi, sembra infatti dare avvio ad un intensificarsi di relazioni sociali entro due distinte condizioni: quella del condominio, o comunque della comunità coinvolta nella gestione di un bene ‘privato’, quella pubblica. Questa soluzione sembra molto spesso determinare forme inedite di rigenerazione di spazi sottoutilizzati, che diventano nuovi luoghi in cui trovarsi ed attivare iniziative collettive. Tale fenomeno è particolarmente osservabile all’interno dei contesti condominiali. Esperienze virtuose raccontano, a Torino come altrove, di un progressivo ispessirsi delle relazioni tra nuovi e vecchi abitanti, il riutilizzo comune di spazi di risulta, la riqualificazione di alcune parti degli immobili (quasi nella forma di una compensazione), l’invenzione di nuove attività e nuovi usi. In tale direzione, ‘buone politiche’ potranno certamente aiutare ad attivare ‘buone pratiche’, ad esempio attraverso la realizzazione di lavanderie e cucine comuni, biblioteche e spazi per lo studio e per il lavoro, oltre a forme di assistenza reciproca tra abitanti. Tutto questo mette in evidenza una questione: occuparsi della città dei migranti, oggi, entro lo stato strutturale di crisi economica europea che non consente immediata offerta occupazionale, significa impegnarsi in primo luogo nel fornire ospitalità. Per quel che compete il sapere tecnico dell’architetto significa disporre la città di spazi pertinenti rispetto questa azione, quella di ospitare. Significa dotare la città di attrezzature capaci di dare ospitalità. Un po’ come quando si ha un ospite in casa: vorremmo potergli offrire il massimo comfort, avere una camera in più, un letto anziché un divano: per il comfort nostro oltre che suo. Il fenomeno in corso è più complesso perché va riportato entro un contesto più ampio, non limitato da qualche muro domestico. Ed in questo senso anche il condominio può apparire come una scorciatoia. Ma è certamente attraverso la sinergia perseguibile attraverso specifiche azioni incidenti entro una molteplicità di spazi diversi che possiamo immaginare di dare un contributo al cambiamento in corso. Ed essere ospitali.

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Bibliografia AA. VV., Refugees Welcome. Konzepte für eine menschenwürdige Architektur, Jovis, 2015 Agamben G., Homo Sacer. Il potere sovrano e la nuda vita, Einaudi, Torino, 1995 Agamben G, “Che cos’è un campo?” in Mezzi senza fine, Bollati Boringhieri, Torino, 1996 Agamben G., Stato di eccezione, Bollati Boringhieri, Torino, 2003 Ambrosini M., Richiesti e respinti: l’immigrazione i Italia, come e perché, Il Saggiatore, Milano, 2010 Ambrosini M., Sociologia delle migrazioni, Il Mulino, Bologna, 2005. Ambrosini M., Un’altra globalizzazione. La sfida delle migrazioni transnazionali, Il Mulino, Bologna, 2008 Bauman Z., La società dell’incertezza, Il Mulino, Bologna, 1999 Boeri S., L’anticittà, Editori Laterza, Bari, 2011 Boeri S., “Multiplicity” in Boeri S., Koolhaas R., Kwinter S., Obrist H. U., Tazi N., Mutations, Actar, Barcellona, 2000 Briata P., Spazio urbano e immigrazione in Italia, Franco Angeli, Milano, 2014 Calvino I., “Un letto di passaggio” in I racconti, Einaudi, Torino, 1958 Camerana B., “Villaggio Olimpico Torino 2006”, in L’Architettura naturale, 2006 Carbone A., Miele R., Immigrazione, asilo e cittadinanza. Guida al Testo Unico del 1998. Modificato dalla L. n. 189 del 2002, e le altre disposizioni in materia, Sinnos Editrice, Roma, 2002 Heidelberg Institute for International Conflict Research, Conflict Barometer, 2015 Flaubert Gustave, Attraverso i campi e lungo i greti, Mondadori, Milano, 1995

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Ringraziamenti

Primo fra tutti vorrei ringraziare Angelo Sampieri per la piena disponibilità, la fiducia e l’entusiasmo nel condividere la sua preziosa esperienza. Aver avuto la possibilità di confrontarmi con un tema tanto intricato quanto stimolante è stato per me motivo di crescita e arricchimento, per questo grazie! Ringrazio Quirino Spinelli per la costante guida, i numerosi e (devo ammetterlo) fondamentali consigli e, soprattutto, per l’incessante tentativo di inculcarmi quello spirito critico necessario a condurre una buona e quantomeno “attendibile” ricerca. Grazie ad Alessandro Oppi, Nicolò Vasile e Mina Lo Bianco per la pazienza con la quale hanno assecondato le mie interminabili richieste dandomi l’opportunità di avvicinarmi a delle realtà ancora fin troppo nascoste che hanno invece l’assoluto bisogno di emergere e di farsi conoscere. Ovviamente grazie a Shabbir, Hameed, Ansumana, Mori e Mohamed, solo alcuni dei veri protagonisti di questo lavoro, grandi esempi di umiltà, di dignità e di coraggio. Vorrei inoltre ringraziare Laura Campeotto e Donatella Giunti per le informazioni e il materiale fornitomi, essenziale nella costruzione dell’indagine. Grazie a Mamma e Papà per l’inesauribile supporto e incoraggiamento, ma anche per i pacchi ricolmi di cibo grazie ai quali potevo non fare la spesa per settimane. A voi dedico la mia tesi.

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