Bozza libro di storia 2014

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Saverio Tribuzio, David Magagnotti, Paolo Molinari

Il racconto del Tempo

Luce e ombra Volume 1°

L’Età di Mezzo


Origine dell’Universo e del Tempo: il Big Bang

circa 15 miliardi di anni fa


PARTE DI RACCORDO

LE ORIGINI

Formazione della crosta terrestre

4750 milioni di anni fa circa

8.000 a.C. (prima di Cristo) Rivoluzione agricola; l’uomo inizia i commerci e la divisione del lavoro


1. Introduzione: nel Tempo Immagina di nascere adesso, con la coscienza che hai ora: appena apriresti gli occhi per la prima volta resteresti colpito, sorpreso da tutto quello che ti circonda. Nessuno di noi ha deciso di nascere, nessuno di noi ha pensato il mondo, non l’abbiamo fatto noi eppure c’è. Potrebbe non esserci niente, invece c’è tutto, ci sei anche tu e questo non può che riempirci di stupore. Dentro questa verità l’uomo, fin dalla sua origine, si è reso conto di appartenere ad una Storia che non ha fatto lui, ma di cui è misteriosamente parte, protagonista per un certo Tempo. L’uomo da sempre ha capito che la realtà che aveva davanti aveva un’origine lontana, doveva esistere una Storia del Mondo: da dove vengono le montagne? Da dove viene l’acqua? Chi ha fatto gli alberi? Chi ha fatto gli animali? Perché il cielo è azzurro? Che cos’è quel disco di fuoco in cielo? Cosa sono quella moltitudine di puntini nella notte? Non solo il mondo ha un’origine lontana, ma anch’io vengo da lontano. Io ci sono perché mio padre e mia madre ci sono, e loro esistono perché ci sono stati i nonni e così all’indietro per secoli. Quindi l’uomo si accorge di esistere perché esiste la Storia di un popolo: chi ha stabilito le leggi? Perché parliamo in Italiano mentre altri uomini parlano un’altra lingua? Chi ha fondato lo stato in cui viviamo? Chi ha costruito la città in cui viviamo? Chi ha scoperto le leggi di natura che hanno permesso di costruire le macchine, la televisione, le medicine, i computer? Tutto quello che ci circonda, noi compresi, viene da molto lontano, ha una storia; tutto quello che diciamo, compresi i nostri pensieri, vengono dal passato, hanno una storia. Per questo l’uomo ha capito che la cosa più importante è la memoria del proprio passato, perdere questa memoria significa perdere se stessi, perdere la strada per la propria felicità. Il 4 luglio 2010 papa Benedetto XVI rivolse queste parole ai giovani, quindi anche a voi che iniziate il percorso di questo libro: «La memoria storica è veramente una “marcia in più” nella vita, perché senza memoria non c’è futuro. Una volta si diceva che la storia è maestra di vita! La cultura Con l’espressione “cultura consumistica attuale tende invece ad appiattire l’uomo consumistica” si indica il fatto che sul presente, a fargli perdere il senso del passato, della oggi siamo portati a comprare, ad storia; ma così facendo lo priva anche della capacità di avere molte cose che crediamo possano colmare la nostra comprendere se stesso, di percepire i problemi, e di co- esigenza di felicità, qui ed ora, struire il domani. Quindi, cari giovani e care giovani, immediatamente, schiacciandoci voglio dirvi: il cristiano è uno che ha buona memoria, così “sul presente”. Invece è chiaro che occorre tutta una vita e molto che ama la storia e cerca di conoscerla». di più per soddisfare tutto ciò che il nostro cuore desidera, perchè desidera davvero l’infinito e l’eterno.


2. Le origini

Le origini

Quasi tutti gli scienziati ormai affermano che l’universo ha avuto origine dal Big Bang, la grande esplosione che ha generato tutta la materia, anche la nostra stella, il Sole, e la nostra Terra. L’Universo è nato ed ha incominciato ad espandersi grazie all’energia sprigionata da una grande esplosione, avvenuta circa 15 miliardi di anni fa, che gli scienziati chiamano Big-Bang, ma la scienza non è in grado di spiegare da dove questa abbia avuto origine. Ecco cosa afferma l’astrofisico M. Bersanelli: “Possiamo forse spiegare scientificamente da dove tragga origine quella massa iniziale da cui tutto è nato? Probabilmente no, in quanto la scienza si occupa di studiare ciò che è fisico e tangibile, lasciando l’ambito soprannaturale a filosofia e religione. Ma, forse, studiare sempre più a fondo la perfezione che muove l’universo, può essere il modo migliore per comprendere la grandezza di Colui che gli abbia dato origine”. Eppure certamente tutta la materia dell’Universo deriva da lì, tutte le stelle e anche la nostra stessa materia, il nostro corpo, potremmo dire che noi stessi siamo “polvere di stelle”. Inoltre il nostro pianeta sembra fatto proprio per ospitare l’uomo: se la nostra Terra fosse solo poco più vicina al Sole o poco più distante, non esisterebbe alcuna forma di vita; oppure pensate al gigante buono, il pianeta Giove che, con il suo intenso campo gravitazionale, collocato alla giusta distanza dal Sole, ci fa da guardiano contro i pericolosi asteroidi; inoltre noi dobbiamo la stabilità del nostro clima terrestre ad un evento eccezionale: la presenza della Luna. Grazie al suo campo gravitazionale l’inclinazione dell’asse terrestre è rimasta pressoché costante per oltre 3 miliardi di anni, assicurando così la necessaria stabilità climatica nell’enorme periodo necessario per il fiorire della vita. Ragazzi, provate a pensare: noi siamo entrati nel Tempo, nella storia, eppure non l’abbiamo deciso. Potrebbe non esserci niente, invece c’è tutto, ci sei anche tu. Apparteniamo alla storia, siamo dentro una storia misteriosa, che ci riempie di stupore. Gli scienziati riconoscono che molte sono le domande aperte, poiché i nostri lontani progenitori ci hanno lasciato tracce piuttosto tenui. Ma una cosa è certa: la specie umana non esiste da sempre, ha fatto il suo ingresso nel mondo in un certo tempo, relativamente recente, e in un certo ambiente. Ad un certo punto della storia, probabilmente circa 3 milioni di anni fa, è apparso sulla terra l’uomo, quello che la scienza definisce il genere Homo. L’uomo, prima non c’era e adesso c’è: questo è un dato di fatto per ciascuno di noi singolarmente, ma è vero anche per la nostra specie nel suo insieme.

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Fotografia della nebulosa dell’Aquila scattata dal telescopio Hubble.

astrofisico: scienziato che studia il cosmo, cioè l’universo e lo spazio.

gravitazionale: forza che possiedono i pianeti con la quale attraggono a sé altri oggetti presenti nello spazio; i più piccoli sono chiamati asteroidi.

Fotografia scattata dal telescopio Hubble ad una piccola porzione di Universo, ma con un’incredibile quantità di stelle e galassie.


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Parte di raccordo

3. La storia dell’uomo Che cos’è l’uomo? Indubbiamente è l’attore protagonista della Storia, perciò non si può studiare Storia senza comprendere che cos’è l’uomo. L’uomo è l’unione di due fattori: Corpo e Spirito. La vita umana, come ogni altra vita animale, nasce da un elemento maschile e un elemento femminile e appare nei suoi primi sviluppi identica ad ogni altra vita animale. La differenza che porta lo spirito umano si è vista solo col passare del tempo. Per cercare di spiegare questo concetto proviamo a fare un esempio: una sera in cui sei a cena con la tua famiglia, ti viene dato da mangiare; la cura con cui viene preparato il piatto è stavolta formidabile, non solo per la sua squisitezza, ma anche per come viene servito nel piatto, si tratta infatti di una ricetta tradizionale che proviene dai tuoi nonni e solo il vederla ti riempie il cuore; inoltre, molto probabilmente, per cucinare sono stati utilizzati molti sistemi tecnologici, come un forno a microonde o simili; ma non è tutto qua, chi ti ha dato da mangiare lo fa soltanto per soddisfare il tuo bisogno fisico di cibarti? No, certamente: è un atto di amore, di carità. E ancora, quando sei a tavola, pensi solo a sfamarti? Tutto qui? No di certo, si discute, ci si ascolta, ci si raccontano fatti, vicende, si tirano fuori domande, si cercano risposte, e poi si ride, si scherza e via dicendo. Ecco dunque, come te ciascun uomo non è come gli animali, e soprattutto non è solo materia: certo, abbiamo un corpo e il bisogno di cibo, ma l’uomo è anche spirito, cioè ha l’esigenza di condividere, di amare e di essere riamato, di conoscere la bellezza, la felicità, la verità, possiede poi delle conoscenze, delle tradizioni, una tecnologia, un’arte. É ragionevole quindi affermare che l’uomo è corpo e spirito, ma il corpo umano si è dovuto evolvere fino a permettere la geniale espressione dello spirito umano. Quindi la storia dell’uomo è costituita da una storia della materia che diviene vita, la quale, raggiunta una certa evoluzione, permette l’esprimersi dello spirito e perciò la nascita della storia dell’umanità. Homo habilis, capace di costruire una lancia e di scheggiare pietre.

Come dicevamo in precedenza, circa 3 milioni di anni fa appare il primo uomo, quello che la scienza definisce l’Homo habilis, cioè abile perché comincia a costruire degli strumenti, prima semplici pietre scheggiate, poi rudimentali lance. Per poter costruire una lancia o un qualsiasi strumento occorre prima di tutto un’idea. La realtà mi dà un ramo e un sasso. L’idea creativa dell’uomo vede nel sasso la punta e nel ramo l’asta. Il lavoro dell’uomo realizza quest’idea e crea una cosa nuova, mai esistita prima: una lancia, uno strumento nuovo per poter combattere, cacciare, difendersi. La lancia è molto di più di un ramo e un sasso. Un animale non è in grado di fare questa azione che all’uomo risulta naturale. Non è in grado di pensare e avere idee. Questa capacità creativa è propria solo dell’uomo, fatto di materia e spirito (a immagine e somiglianza di Dio, che “crea”…).


Le origini

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Dalla preistoria alla storia La preistoria (dal latino pre e historia, prima della storia) è la fase della storia dell’uomo antecedente alla comparsa di testimonianze scritte. L’età della pietra nella preistoria si può suddividere in tre parti fondamentali. Il primo è il periodo Paleolitico (dal greco palaios, “antico”, e lithos, “pietra”, ossia “età della pietra antica” - da 3 milioni di anni fa al 10.000 a.C.) durante il quale l’uomo vive nomade in piccoli gruppi, si nutre raccogliendo cibo e andando a caccia, crea utensili di pietra scheggiata ed utilizza il fuoco. Decora le pareti delle grotte e pratica un culto dei morti. Poi nel Mesolitico (dal 10.000 a.C. all’8.000 a.C.) l’uomo usa la lancia, l’arco e le frecce, addomestica animali, sa pescare ed allevare bovini e ovini. Raccoglie grano e altre piante selvatiche, costruisce i primi villaggi, il nomadismo lo caratterizza ancora, anche se molto di meno. Infine nel Neolitico (dal greco nèos, “nuovo”, e lithos, “pietra”, cioè ”età della nuova pietra” - dall’8.000 a.C. al 3.000 a.C. circa) l’uomo sa anche levigare la pietra, ma soprattutto scopre l’agricoltura e diviene sedentario. Scopre l’uso dei metalli e della ceramica (argilla cotta ad alta temperatura), iniziano la divisione dei lavori e le prime forme di commercio. Comincia la filatura e tessitura con utilizzo del telaio, compaiono i carri con ruota (3.500 a.C. circa), utilizzata inizialmente da vasai e tornitori. La scoperta dell’agricoltura è stata una rivoluzione: se con la caccia e la raccolta di quello che la natura offriva spontaneamente si sfamava 1 abitante con almeno 10 km2 di territorio, grazie all’agricoltura con 10 km2 si possono sfamare 50 abitanti! È poi disponibile un surplus (eccedenza) alimentare che sicuramente porta ad iniziare i commerci. Inoltre l’agricoltura porta alla nascita delle prime città e della vita sociale, gli agglomerati umani delle comunità agricole si ampliano sempre più, fino a diventare luoghi privilegiati di scambi e commerci. Sta terminando la Preistoria, e la scoperta della metallurgia (la fusione dei metalli - probabilmente il primo è stato il rame attorno al 6.000 a.C.) è un’altra tappa di svolta. I Sumeri inventano la scrittura; in Mesopotamia la Preistoria finisce, comincia così la Storia. Nella sumerica Mesopotamia, la terra tra i fiumi Tigri ed Eufrate, attorno al 3300 a.C. fu inventata la scrittura. L’importanza di questo evento è incalcolabile e tutti noi ne possiamo ancora oggi misurare gli effetti. Tra gli innumerevoli vantaggi che essa diede all’umanità vi è anche quello di aver permesso ai popoli che via via la usarono di lasciare tracce scritte delle loro azioni, del loro pensiero e delle loro leggi. Per questo motivo gli storici attribuiscono alla sua comparsa la fine della Preistoria e l’inizio della Storia. Un telaio del neolitico, secondo l’incisione rupestre presente in Valcamonica

La creazione dell’uomo. Così Michelangelo dipinge nella Cappella Sistina in Vaticano la creazione di Adamo, il primo uomo.

nomade: che non ha dimora stabile, ma cambia continuamente sede.

divisione dei lavori: ogni uomo comincia a specializzarsi in un particolare mestiere.


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Parte di raccordo

4. Fascino e mistero dell’arte

Sopra, Punte di lance decorate. Sotto, vasi, gioielli ed altri oggetti decorativi del periodo Neolitico.

Fin da quando l’uomo esiste sulla terra sua caratteristica propria è la cultura. L’uomo fin dall’inizio mostra una capacità creativa, di ragionare e di progettare, una capacità di conoscere e di scoprire, una capacità di comunicare e di esprimersi, di vivere con gli altri uomini, di allevare gli animali, di dominare la terra, di coltivarla, di interrogarsi su che cosa lo attende dopo la morte. Tutte capacità che gli animali non hanno che possiamo definire, appunto, “cultura”. Da dove nasce il bisogno di dipingere, di abbellire gli strumenti di uso comune? Normalmente gli scienziati definiscono questo desiderio un bisogno superiore, distinguendo tra la necessità immediata dell’utilizzo delle cose e questa necessità che non ha alcuna spiegazione se non nel fatto che l’uomo, per la sua natura particolare, desidera che siano belle. Il desiderio di bellezza, presente nell’uomo fin dalle sue origini, è una delle più chiare dimostrazioni dell’esistenza dello spirito Umano, che infatti possiede nel suo cuore un innato desiderio di eternità e di bellezza. L’uomo preistorico, scoprendo in sé questo desiderio di bellezza e questa capacità di fare arte, ha interpretato ciò come una testimonianza del suo legame con qualcosa al di sopra di lui a cui egli non sa dare un nome. Le sue opere divengono quindi una forma di comunicazione, cioè di preghiera con il Mistero. Per esempio, una punta di lancia decorata, essendo bella, aveva un legame più forte con Dio, con il Mistero, e per questo era molto più “potente” di una lancia normale. Perciò gli uomini preistorici ritenevano che avrebbe ucciso con più facilità un animale o avrebbe permesso di vincere un combattimento.Dipingere una mandria di bisonti che veniva uccisa avrebbe propiziato la caccia, cioè l’avrebbe resa più facile perché Dio avrebbe aiutato i cacciatori.

Pugnale con scene di caccia dipinte


Le origini

Grotte di Lascaux

É possibile una visita virtuale della grotta dal sito internet: www.lascaux.culture.fr

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Parte di raccordo

5. Il culto dei morti Abbiamo già detto che potremmo definire l’uomo composto da una parte materiale, cioè di corpo, e da una parte spirituale, cioè di cultura, di anima e cuore. È interessante notare che, per metterci in guardia contro le grandi tentazioni che ci assediano, nostro Signore cita le parole del Deuteronomio, con le quali si sottilinea la grandezza della nostra parte spirituale rispetto a quella materiale: “L’uomo non vive soltanto di pane, ma... vive di quanto esce dalla bocca del Signore” (8, 3; Mt 4, 4). L’uso di dare sepoltura ai morti ha lasciato tracce sin dai tempi più antichi della storia umana. Nelle tombe preistoriche infatti sono stati ritrovati cibo, ornamenti, utensili che dovevano servire al defunto per una nuova esistenza. Per quale motivo l’uomo preistorico sentiva il bisogno di fare tutte queste cose? Perché l’uomo ha sempre percepito dentro di sé l’esistenza di una parte spirituale che si manifesta in quei desideri che rendono uguale l’uomo di qualunque tempo e razza: desiderio di bellezza, giustizia, verità, eternità, libertà e amore, in una sola parola desiderio di felicità.

Sungir, in Russia, è un sito archeologico del Paleolitico, il cui ritrovamento ha portato alla luce una tomba di un uomo sessantenne e di due bambini (di 7 e 12 anni) con lui sepolti circa 28000 anni fa. Questi uomini ricevettero un’elaborata sepoltura, che implica complesse pratiche cerimoniali e particolari credenze. Vennero infatti seppelliti con ricche offerte funerarie, ornati di braccialetti, collane, pendenti e una tunica su cui erano cucite centinaia di perline in avorio di mammut.


Le origini

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Per questo l’uomo non potrà mai accettare passivamente la morte, perché in evidente contrasto con questo suo desiderio. Quello che gli animali subiscono come legge naturale per l’uomo diviene un problema. Ma c’è un altro motivo ancora più profondo. L’uomo ha compreso che la sua parte spirituale ha un legame con il mistero e l’eternità e quindi è superiore alla sua parte animale. Per questo la vita dello spirito non poteva finire con la morte del corpo. C’è in noi qualcosa di non-mortale, che non muore mai! Questa è la spiegazione di tutte le pratiche funerarie che abbiamo descritto: la morte non era la fine di tutto, ma la nascita ad una nuova forma di vita dello spirito.

La pratica della mummificazione, diffusasi tra gli Egizi proprio per evitare il disfacimento del corpo, senza il quale l’anima non potrebbe avere un luogo in cui vivere.

Sungir, qui sotto e a fianco alcuni disegni che cercano di ricostruire l’uomo della tomba di Sungir e il suo ritrovamento, a metà del XX secolo.


I Romani conquistano la Giudea

63 a.C.

6-7 a.C. Nasce Ges첫 di Nazareth


PARTE PRIMA

LA FINE DI UN MONDO LA CADUTA DELL’IMPERO ROMANO

Ottaviano Augusto è imperatore; inizio dell’età imperiale 27 a.C. 14 d.C.

27-28 d.C.

Condanna e crocifissione di Gesù

30 d.C.

Gesù inizia la sua predicazione in Palestina

Sacco di Roma da parte dei Visigoti

313 d.C.

410 d.C.

Editto di Costantino

476 d.C. Fine dell’Impero romano d’Occidente


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Parte prima

Unità 1

L’Impero Romano Unità 2

Il Cristianesimo

Unità 3

La fine dell’Impero


L’Impero romano

Unità 1

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1. La civiltà romana La potenza romana è sicuramente la più importante dell’antichità sia per la durata (più di mille anni), sia per l’estensione, infatti Roma arriva a conquistare tutto il mondo allora conosciuto: dalle Colonne d’Ercole alla Persia, dall’Inghilterra all’Egitto. Cerchiamo adesso di capire quali sono le caratteristiche che hanno reso unica ed importante la storia di Roma.

La legge romana

La base su cui Roma ha costruito la sua civiltà e il suo potere è stata la legge dello stato. Roma lungo la sua storia ha cambiato varie forme di governo: è stata prima una monarchia, poi una repubblica ed infine, in età imperiale, un sistema misto tra monarchia e repubblica. Ma la cosa che accomuna tutte queste fasi della storia politica di Roma è che la base del potere è sempre stata il rispetto delle leggi scritte. Queste leggi riunite insieme formavano il Diritto Romano. Per avere un esempio dell’importanza di quanto è stato fatto dai Romani, pensa che l’insieme delle leggi che noi oggi usiamo, ha la sua origine proprio nel Diritto Romano. Il fatto che Roma costruisca il suo potere sul diritto è molto importante perché delle leggi scritte permettono una maggior giustizia. Infatti il rapporto tra le persone non è regolato unicamente dalla forza e dalla violenza (ha ragione chi è più forte o s’impone agli altri), ma da regole scritte uguali per tutti. Vivere in questo modo corrisponde molto di più al desiderio di giustizia presente nella nostra natura spirituale. Il Diritto Romano si preoccupa, in modo particolare, di regolamentare e quindi proteggere la famiglia e la proprietà privata. Sono state tutelate soprattutto queste due istituzioni perché concretamente rappresentano gli aspetti fondamentali della persona. La famiglia infatti è il luogo che permette la nascita, l’accoglienza e la crescita della vita di ogni individuo; mentre la difesa di ciò che possediamo, garantisce la possibilità di vivere in modo dignitoso e sereno. Quindi la protezione del cittadino per i Romani passa concretamente attraverso le leggi che ne regolamentano gli aspetti più importanti della vita.

Gli schiavi

Nonostante il progresso portato dalle leggi scritte, Roma, come tutte le civiltà antiche, si fonda sullo sfruttamento degli schiavi. Questi non sono considerati una classe sociale perché per il diritto romano non sono nemmeno persone, ma semplici oggetti “parlanti” (instrumentum vocale). Gli schiavi sono principalmente prigionieri di guerra, i cui figli ereditano poi la medesima condizione. Questi uomini e donne vengono esposti e venduti al mercato come qualsiasi altra merce; le loro mansioni sono le più diverse: dal lavoro nei campi a quello di insegnanti per i figli dei padroni (soprattutto nel caso di schiavi greci). Si è calcolato che nel periodo di massima espansione dell’Impero, quasi un terzo

Monarchia: governo di una sola persona, generava una dinastia. Repubblica: deriva dal latino Res publica, che significa “la cosa pubblica”; si tratta di una forma di governo caratterizzata dalla elettività e dalla temporaneità delle cariche, oltre che da una limitazione del loro potere. Età imperiale: l’Impero Romano inizia proprio nel 27 a.C. con Ottaviano Augusto, l’imperatore sotto cui è nato Gesù Cristo.

Qui sotto: vendita di schiavi sotto l’acronimo SPQR (Senatus Populusque Romanus) in italiano “Il Senato e il popolo romano”, coloro che detenevano il potere nella Repubblica Romana.


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Parte prima La fine di un mondo

della popolazione era costituita da schiavi, questo dà la dimensione e l’importanza della schiavitù nella società romana. Il proprietario dello schiavo, se vuole, può decidere di liberarlo, ma questi sono casi non molto frequenti; la maggior parte degli schiavi vivono in condizioni misere e sottoposti a soprusi e violenze. Questa contraddizione (tra un civiltà fondata sulla legge e l’esistenza di persone trattate come oggetti) nell’antichità era normale perché non esisteva l’idea che un essere umano in quanto tale avesse una sua dignità. Il valore della persona dipendeva dalla classe sociale, dal potere, dalla ricchezza, dallo stato a cui si apparteneva. Urbanistico: progettazione e strutturazione delle città (“urbs” in latino significa appunto città). Amminstrativo: la gestione e l’organizzazione dei beni pubblici. Giuridico: il sistema delle leggi, del Diritto Romano.

Il ponte e acquedotto di Gard, in Francia: un disegno dei lavori di costruzione dell’acquedotto, in cui appare la gru vitruviana (Vitruvio è un architetto del I sec. a.C.), azionata dalla forza lavoro degli schiavi; inoltre è da notare l’utilizzo dell’arco a tutto sesto, appreso dagli Etruschi. Venne costruito nel I sec. a.C.

Un mondo unificato

Uno dei meriti più importanti della civiltà romana è stata la sua capacità di unificare il mondo antico. I Romani hanno creato un impero universale, nel senso che hanno unificato tutto il mondo dal punto di vista territoriale ed urbanistico, culturale e linguistico, amministrativo e giuridico. Hanno creato un mondo che ha reso più facile per tutti i suoi abitanti comunicare e viaggiare, incontrarsi e arricchirsi reciprocamente. Così tutti i luoghi dell’Impero hanno preso parte ad una storia comune, Roma prende tutto ciò che di buono trova nelle civiltà sottomesse e nello stesso tempo fornisce i modelli culturali e sociali che le province nel tempo assimilano e guardano con ammirazione. Le città conquistate, spiega uno storico romano, non vengono distrutte ma diventano province romane: tutte le regioni dell’Impero sono protagoniste di una storia unica. “Roma è colei che sola ricevette nel proprio grembo i vinti, che chiamò cittadini quelli che aveva sottomesso e che unì in pio (sacro) vincolo paesi lontani. Ai suoi pacifici costumi noi tutti dobbiamo che lo straniero si trovi nella terra patria ... che tutti siano un popolo solo.”

Opere pubbliche

I Romani dal punto di vista tecnologico non inventano quasi nulla, ma molto imparano dai popoli sottomessi; ciò che li contraddistingue è la realizzazione di opere pubbliche


L’Impero romano

Unità 1

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mai viste fino ad allora. Infatti l’Impero Romano rimane insuperato fino alla modernità per la costruzione di strade, ponti e acquedotti, opere che furono di grande utilità per tutti i popoli. Questa capacità di realizzare grandi opere è un’altra delle conseguenze della perfetta organizzazione dello stato romano ed uno degli esempi concreti degli effetti positivi della sua volontà di costruire un impero universale.

1. Ponti e acquedotti

I Romani si mostrano particolarmente abili nella tecnica di convogliare le acque. Tra le opere più impressionanti ci sono sicuramente gli acquedotti. La bravura degli ingegneri romani consiste nel mantenere in pendenza costante il percorso delle condutture, in modo che l’acqua scorra sempre verso la destinazione desiderata e non ristagni. Giunta in una grande cisterna ai margini della città, l’acqua defluisce in varie condutture e fontane che riforniscono i quartieri e le case. L’uomo riuscirà a costruire un sistema idrico migliore solo nel Basso Medioevo. La possibilità di poter convogliare le acque dei fiumi permette anche di rendere coltivabili zone aride e di migliorare notevolmente la produzione agricola. L’abilità nella realizzazione di archi a tutto sesto permette di costruire ponti a molte arcate di notevole solidità, oltre al risparmio di materiale, in grado di attraversare qualsiasi fiume, alcuni infatti sono utilizzabili anche oggi.

Acquedotto: spesso la costruzione di un acquedotto romano si rivelava molto complessa, a causa della difficoltà di mantenere la continua pendenza e far arrivare l’acqua alla città.

2. Strade

Per collegare tra loro le varie province, vengono costruite lunghe strade che, dalla capitale, si diramano verso ogni angolo dell’Impero. Ancora oggi, molte strade che attraversano l’Italia e l’Europa ricalcano i percorsi tracciati in epoca romana. Il motivo principale che spinge i Romani a costruire le strade è la necessità di spostare gli eserciti rapidamente per poter mantenere sotto controllo domini così vasti. In questo modo un numero tutto sommato ridotto di legioni può controllare l’Impero in quanto, in poco tempo, può raggiungere qualsiasi regione e fronteggiare un attacco o una rivolta. Un’altra necessità molto importante a cui le strade rispondevano è la comunicazione degli ordini imperiali. Per controllare un regno così vasto, le comunicazioni di notizie e ordini in tempi brevi è fondamentale; per questo ci sono stazioni di “posta” con possibilità di cambiare cavalli ogni 30-40 Km lungo le principali strade imperiali. Un buon corriere riusciva a percorrere anche 150 km al giorno e questo significa che nel giro di poche settimane si potevano raggiungere le più remote province imperiali. Anche il commercio e la circolazione della cultura si avvalgono dei vantaggi di questa perfetta rete di comunicazioni; viene così favorita la nascita di quel sentimento di appartenza comune di cui abbiamo già parlato. Strada: La parola “strada” deriva del termine latino stratum, che indicava lo strato di pietre lisce con cui i Romani ricoprivano il percorso stradale. Il materiale usato per costruirle era assai vario ma, generalmente, la strada era costituita da un solido basamento di pietrisco su cui erano collocate pesanti lastre di pietra. La superficie era leggermente incurvata per favorire lo scorrere della pioggia.


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Parte prima La fine di un mondo

Spesso ci si chiede: perché studiare storia o matematica? Due esempi dalla storia antica...

Il filosofo Pitagora Chi lo direbbe che in mezzo a tanto commercio del passato le scienze venissero coltivate col più vivo ardore? La storia ci assicura infatti che molte scuole venivano stabilite per l’istruzione perché venne sempre riconosciuto che senza la cultura delle belle arti il commercio illanguidisce e viene meno.

Pitagora di Crotone

Fra le scuole rinomate nell’antichità vi fu quella di Pitagora di Crotone (VI-V sec. a.C.), città dell’Italia meridionale. Egli stesso amava farsi chiamare “filosofo”, vale a dire “amante della sapienza”. Egli amava veramente la sapienza e, dopo essersi profondamente istruito in tutte le scienze degli Etruschi e degli altri popoli più eruditi d’Italia, spinto da desiderio di ulteriore sapere, viaggiò in Grecia, in Egitto, in Palestina e dappertutto trattò con i più dotti personaggi di quei tempi. Dopo essersi formato notevolmente, tornò in patria, dove aprì una scuola detta Itala che fu modello per tante altre. Così la sua conoscenza, da lui acquisita con grande fatica, tornava anche utile agli altri uomini. Nella sua scuola alunni e maestro vivevano assieme mettendo i loro beni in comune, la seria e continua occupazione agli studi li faceva meravigliosamente progredire nelle scienze. Voleva poi che tutti avessero la religione per guida. Chiunque avesse detto o fatto oltraggio a Dio o alla religione, veniva immediatamente cacciato dalla sua scuola. Chi veniva accolto nella sua scuola inizialmente poteva solo essere un “ascoltatore”, a cui era imposto il silenzio come prova e occasione per apprendere, mentre successivamente si otteneva la facoltà di porre domande e di esprimere opinioni personali. Soprattutto nella scuola piotagorica grande importanza veniva concessa alla musica, suprema armonia. La scuola pitagorica diede enorme importanza ai numeri, linguaggio in cui sono scritte tutte le cose perfette e l’armonia stessa della musica.

Il pavimento del tempio

“Sappiamo che il più sicuro - e più rapido - modo per stupirci è di fissare imperterriti sempre lo stesso oggetto. Un bel momento questo oggetto ci sembrerà - miracoloso - di non averlo visto mai” (Cesare Pavese). Si dice che il celebre “teorema di Pitagora” sia stato scoperto proprio vedendo e rivedendo nel pavimento di un tempio i disegni geometrici che si formavano attorno ad un triangolo e a quadrati formati dalle piastrelle.

Ma lo studio diventa inutile laddove si perda in minute sottigliezze e non vada unito all’operosità. Mentre Pitagora si occupava delle scienze e della scuola, amministrava anche alte cariche a pubblico vantaggio. Durante una guerra mossa contro i suoi concittadini, egli si rese molto meritevole. Infatti, grazie all’intervento e alla sollecitudine di Pitagora, venne impedito il saccheggio della città, e risparmiato molto sangue. Così il grande Pitagora poteva far emergere dalla sua coscienza quel divino comandamento per cui gli uomini devono amare la scienza e la virtù eroica, preoccupandosi al tempo stesso di impegnarsi in quelle cose che possono essere di aiuto ai nostri simili.

Gli alunni di Pitagora

Pitagora ebbe molti allievi degni di tanto maestro. Tra questi il celebre Archita di Taranto, divenuto grande studioso di geometria e famoso matematico. Egli fu anche al potere nella sua città per diversi anni e più volte guidò l’esercito con grande successo in tempo di guerra. Seguendo l’insegnamento del suo maestro, raccomandava a tutti, ma specialmente ai suoi allievi, l’onestà e la purezza dei costumi. Diceva loro, infatti, che nulla vi è nell’uomo più pericoloso e più micidiale della disonestà. Da questa i giovani vengono tratti in rovina; da questa derivano i tradimenti alla famiglia e alla patria, le guerre tra Stati, i sotterfugi segreti con i nemici; né è senza delitto chi è affetto da questo vizio. Quando l’uomo vi è immerso diviene incapace di far uso della ragione; e giunge a spegnere perfino il lume della mente.

Morte di Pitagora

Storicamente è difficile conoscere con precisione la vita di Pitagora, spesso infatti si mescola con la sua stessa scuola. Sta di fatto che da tutte le parti accorrevano per conoscere questo filosofo, e i più nobili personaggi ambivano a diventare suoi discepoli. Malgrado tante belle doti, Pitagora cadde nell’invidia di alcuni uomini malvagi, i quali mossero contro di lui una persecuzione tale che un giorno, fra gli urli, gli schiamazzi ed i tumulti fu ucciso. Fatto abominevole che ci dimostra come anche gli uomini più pii e benemeriti possono cadere vittima dei malvagi.

“Appassionarsi alla realtà significa intravedere la profondità del suo inesauribile Mistero. Lo studio diventa un’avventura magnifica. Si studia l’uomo, si studia il mondo, ma fin dove si arriva? Si arriva ad un punto veramente conclusivo e definitivo? No: si fanno scoperte sempre nuove e mirabili, e poi ancora altre scoperte, ed intanto si intravede la possibilità di procedere ulteriormente. Ma sempre rimane una zona d’ombra: è il mistero.... É il mistero dell’essere, è il mistero di Dio! In questo incessante variare di prospettiva sia il mondo esterno a noi, sia il mondo interno a noi ci indicano e, direi quasi, ci rivelano il Dio creatore.” Giovanni Paolo II (agli studenti di Ancona, Roma 5 aprile 1984)


L’Impero romano

Unità 1

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Archimede il matematico Nel III sec. a. C., mentre infieriva la seconda Guerra Punica, nella città di Siracusa avvenne un fatto incredibile: morto Gerone, re di quella città, alcuni siracusani avevano poi ucciso Geronimo, suo nipote. Così Siracusa era di nuovo caduta in potere dei Cartaginesi. I Romani mandarono Marcello per assediarla, e se ne sarebbero presto impadroniti se non vi fosse stato in quella città un intelligentissimo matematico e meccanico di nome Archimede, uomo famoso nell’antichità, soprattutto per i suoi studi in matematica.

Archimede da Siracusa

Quest’uomo di grande ingegno aveva inventato alcune terribili macchine che, calandosi in mare, simili ad un grande braccio, levavano in alto una nave e, rovesciandola come fosse un guscio di noce, la sommergevano. Aveva anche fabbricato certi specchi, chiamati ustori, cioè ardenti, con i quali raccogliendo i raggi del sole in un punto e facendoli riflettere sopra le navi degli assedianti, vi si poteva appiccare il fuoco anche a grande distanza. Inoltre aveva inventato una macchina di considerabile grandezza, con la quale si lanciavano pietre, giavellotti, travi, macigni con tanta forza e precisione che gli assedianti dovevano stare molto lontani dalle mura per non venire colpiti.

L’ingegno di uno solo, utile per tanti, stimato da tutti!

Si comprende così in quale modo l’ingegno di un solo uomo poteva impedire ad un numeroso esercito di entrare nella città di Siracusa. Archimede si distinse per i suoi studi non solo in campo bellico (militare), ma anche e soprattutto nella geometria,

nella matematica, nella fisica. Ad esempio, celeberrima sua invenzione è la Coclea, chiamata solitamente “vite di Archimede”, che serviva per sollevare l’acqua. Ma tutto ciò non poté impedire che Siracusa fosse presa dopo lungo ed ostinato assedio. I Romani trucidarono barbaramente molti Siracusani che caddero nelle loro mani. Marcello, che apprezzava le scienze, desiderava salvare Archimede e raccomandò ai suoi soldati che evitassero di fargli del male. Si narra che Archimede, durante il saccheggio, mentre la città era tutta a ferro e a fuoco, era intento con tutto l’animo a considerare alcune figure di geometria; quando all’improvviso gli si mostrò davanti un soldato che gli ordinò di seguirlo e di recarsi dal generale romano, Archimede lo pregò di attendere un istante finché non avesse risolto il suo problema. Ma il soldato che non si interessava né dei problemi né di figure geometriche, interpretò l’indugio dello studioso come un rifiuto, e lo trafisse con la spada. Un uomo di così tanta virtù meritava certamente una sorte migliore. Marcello rimase afflittissimo quando gli fu recata la notizia della morte di quel grande uomo, ed ordinò che gli si rendessero magnifici funerali e che gli fosse eretto un monumento. L’uomo virtuoso è stimato da tutti, anche dai nemici.

La Coclea

«Datemi un punto d’appoggio e vi solleverò il mondo»


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2. L’esercito romano L’Impero Romano non è costruito e difeso con la diplomazia, ma con l’uso della forza. La “pace romana” (in latino Pax romana) è imposta attraverso secoli di guerre, il motto dei romani è: “risparmiare chi si sottomette, distruggere chi si ribella”. I Romani, infatti, si dimostrano sempre generosi con i popoli vinti, con quelli che ne riconoscono l’autorità e si affidano alla loro protezione. Al contrario, sono spietati contro i popoli che, dopo essere stati sconfitti, si ribellano per riconquistare l’indipendenza. L’esercito romano è lo strumento attraverso cui Roma esercita il suo potere e quando incomincerà a disgregarsi anche l’Impero andrà in frantumi. I Romani stessi, con il motto “Si vis pacem, para bellum” (se vuoi la pace, prepara la guerra), affermavano che senza la forza non si può mantenere l’ordine e il potere.

La legione

Soldato romano

Legionario, ausiliare e cavaliere romani.

Castrum

Nessuna civiltà antica ha avuto un esercito efficiente e organizzato al pari dei Romani. La legione è il raggruppamento militare su cui si basa l’esercito: è composta da circa 120 cavalieri e 5500 fanti. Ogni legione è poi suddivisa in altri reparti più piccoli: 10 coorti per legione, 3 manipoli per ogni coorte e 2 centurie per ogni manipolo. Ogni formazione è guidata da un ufficiale che ubbidisce agli ordini di un superiore. Il comandante in capo è il console durante la Repubblica, il generale durante l’Impero. Questa organizzazione capillare dell’esercito garantisce una grande disciplina. Durante la battaglia i fanti si dispongono su tre linee: nella prima gli astati (in latino hastati, cioè dotati di asta) armati di lunghe lance, che dovono reggere l’urto nemico; in seconda fila quelli dotati di giavellotto (pilum) ed equipaggiamento pesante, detti principi; nella terza i legionari armati di spada per lo scontro corpo a corpo. C’è poi un reparto di fanti armati in modo leggero, detti veliti, composto dalle giovani reclute che hanno il compito di attaccare il nemico con un lancio di giavellotti per poi ritirarsi. Nei primi secoli il servizio militare è obbligatorio, poi diventa volontario e pagato come un lavoro. Ogni soldato riceve una paga e alla fine del servizio, che durava vent’anni, ottiene un piccolo appezzamento di terra da coltivare. Con l’espandersi dei possedimenti romani diventa necessario affiancare alle legioni eserciti di popolazioni straniere che ricevono denaro o la cittadinanza romana come premio per il loro aiuto.

Il Castrum

La grande forza della legione romana non consiste soltanto nella disciplina e nell’organizzazione militare, ma anche nell’autosufficienza. Il legionario infatti porta con sé tutto ciò di cui ha bisogno, poiché le missioni potevano durare anche anni. Egli deve sapersi adattare ad ogni clima e circostanza, marciando rapidamente lungo le strade imperiali con uno zaino pesante fino a 30-40 kilogrammi. Giunte in territorio nemico, le legioni si proteggono dagli attacchi costruendo accampamenti fortificati. Si scava un fossato difensivo intorno al luogo prescelto, si erge una palizzata di tronchi appuntiti e torri di avvistamento. All’interno si piantano le tende e si costruiscono piccoli edifici di legno e così l’accampamento diventa una specie di villaggio.


L’Impero romano

La legione dev’essere in grado di mantenersi anche per anni, quindi i legionari devono trasformarsi in contadini, allevatori e artigiani. Per questo spesso dai castrum militari nascono in seguito delle vere e proprie città.

Armi e macchine da guerra

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Balista o Scorpione: macchina da guerra usata per scagliare proiettili contro mura nemiche o all’interno di una città assediata.

L’armamento del soldato è pratico ed efficace. Il legionario è munito di un giavellotto da scagliare all’inizio di una battaglia e di una spada corta chiamata daga o gladio, per il combattimento corpo a corpo. Si protegge con un grande scudo, con l’elmo di bronzo, con corazza e parastinchi. Un settore in cui i Romani non hanno eguali è l’ingegneria militare. Gli ingegneri al seguito della legione applicano alla costruzione di macchine da guerra tutte le conoscenze raccolte in giro per il mondo. Per questo l’esercito romano è dotato di ogni tipo di arma, dalla balista alla catapulta, dall’ariete semovente alla torre di assedio; è in grado di costruire molto rapidamente ponti (anche in una settimana!) e se necessario navi per superare qualsiasi ostacolo naturale.

La testuggine: formazione di protezione dei soldati romani. L’esercito romano era organizzatissimo, la formazione sempre compatta, gli ordini precisi e indicati dai Signifer (colui che portava le insegne) e da strumenti musicali (come la tuba la buccina, ecc.); da questo modo di combattare si capisce il motto latino “Dìvide et ìmpera” (dividi e domina).


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La battaglia di Alesia La battaglia di Alesia è uno degli esempi più chiari di come la superiorità dell’esercito romano dipendesse dal suo livello tecnologico e organizzativo. Nel 53 a.C., nelle terre della Gallia che erano state conquistate da Giulio Cesare, scoppiò una rivolta. Il carismatico comandante dei Galli, Vercingetorige, aveva costituito un esercito che stava sfidando Cesare in una lotta armata senza quartiere. Lanciatosi all’inseguimento dell’avversario, il generale romano, dopo averlo localizzato nei pressi di una città gallica fortificata di nome Alesia, fece costruire dai suoi soldati un’imponente struttura difensiva intorno all’accampamento gallico per isolarne gli occupanti. I romani non ebbero il tempo di completare l’opera che i reparti di cavalleria gallica fecero una sortita per fuggire a chiedere aiuto. Cesare fece allora costruire una seconda linea di fortificazioni parallela alla prima, ma rivolta verso l’esterno. L’assedio durava ormai da tre mesi, quando, come previsto da Cesare, sopraggiunse un enorme esercito gallico di soccorso. I romani si trovarono quindi a combattere su due fronti. Riuscirono a resistere solo grazie all’efficacia del sistema difensivo costruito nonostante la forte inferiorità numerica. Il momento decisivo della battaglia fu quando Vercingetorige scatenò un contrattacco dei guerrieri rimasti all’interno di Alesia. L’attacco si concentrò nel punto in cui la fortificazione romana stava cedendo agli attacchi dei rinforzi, Cesare, però, accortosi di quanto stava accadendo, guidò personalmente la carica di alcuni reparti di legionari che riuscirono a resistere ed impedire lo sfondamento. Perduta ogni speranza i galli si dispersero e Vercingetorige si recò a cavallo nel campo romano, dove depose la spada ai piedi di Cesare e si arrese. A ciascun legionario fu concesso un gallo da vendere come schiavo. La dignitosa resa di Vercingetorige fu ripagata dai romani con l’umiliazione: lo costrinsero ad attraversare Roma in catene, in occasione della parata del trionfo di Cesare, poi gli inflissero sei anni di prigionia ed infine la morte. Ricostruzione della città fortificata di Alesia.

Statua di Vercingetorige.


L’Impero romano

Le fortificazioni Cesare non era in grado di prendere Alesia d’assalto, decise allora di stringerla d’assedio con un’opera dalle dimensioni colossali in grado di resistere all’attacco contemporaneo di numerose forze nemiche. Cesare fece prima di tutto scavare dai suoi legionari un fossato largo e profondo sei metri, affinché gli assediati non lo disturbassero con attacchi improvvisi mentre venivano costruite le uleriori fortificazioni. A cento metri di distanza fece preparare altri due fossati paralleli, profondi e larghi quattro metri e mezzo, nel più interno dei quali fu deviata l’acqua del vicino fiume. Dietro questa secondo linea di difesa furono innalzati terrapieni e palizzate di oltre tre metri e mezzo, con parapetti e merli; inoltre sul terrapieno, per rendere impossibile

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la scalata, vennero conficcati tronchi con rami dalla punta aguzza rivolta contro il nemico. Ogni venticinque metri vennero poi innalzate delle torri di legno che ospitavano macchine da guerra leggere, scorpioni e catapulte. Successivamente, tra l’anello dei due fossati interni e quello più esterno, Cesare fece scavare una triplice serie di trappole antiuomo: quindici file di tronchi con i rami intrecciati e pungenti come moderni reticolati, chiamati “cippi”; davanti a questi, otto file di pali aguzzi e mascherati con cespugli, detti “gigli”, disposti come il punto cinque di un dato; infine, una fascia di pioli muniti in uncini di ferro, denominati “stimoli”. Le opere di costruzione durarono due mesi, alla fine dei lavori il vallo interno aveva un perimetro interno di quindici chilometri, mentre la difesa esterna di estendeva per ventuno.


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3. La religione romana La religione romana si fonda su due pilastri fondamentali: la famiglia e lo Stato. Per i Romani la religione è un tutt’uno con la normale vita della famiglia e dello Stato, infatti Cicerone scriveva: “Non abbiamo sconfitto gli Spagnoli grazie al nostro numero, né i Galli grazie alla nostra forza, né i Cartaginesi grazie all’astuzia, né i Greci grazie alle tecniche, ma grazie alla stretta osservanza della religione romana. Quella religione ereditata dagli antichi padri.” L’osservanza della religione significa obbedienza alle leggi, amore alla famiglia e alla patria.

Le divinità familiari

Nell’ambito familiare i riti sono svolti dal Pater familias, cioè il padre che comanda la casa ed ha diritto di vita e di morte su tutti i componenti di essa. Nel culto familiare sono particolarmente importanti le divinità domestiche: 1) i Lari sono le anime buone dei defunti. Proteggono il focolare domestico accanto al quale trova sempre posto nelle case romane il larium: il tabernacolo oggetto di culto da parte di tutta la famiglia, schiavi compresi. Oltre ai Lari domestici ci sono anche i Lari pubblici che proteggono le strade, gli incroci delle strade e le città; 2) i Mani, come i Lari, sono le anime dei defunti, né buoni né cattivi. Inizialmente indicano le anime dei morti che avevano precedentemente abitato la casa. In seguito rappresentano le anime dei morti in generale, che bisogna onorare; 3) i Penati sono gli dei protettori di ogni famiglia. In tutte le case viene eretto un piccolo altare riservato a loro. Anche ogni città e lo Stato stesso, considerati nel loro insieme come grandi famiglie, hanno i loro Penati. Quelli di Roma sono custoditi nel tempio di Vesta, la dea del fuoco e del focolare, e all’interno del suo tempio arde perennemente un grande fuoco custodito unicamente da sacerdotesse. Quel fuoco non doveva mai spegnersi perché rappresentava l’unità dello stato come valore religioso.

La religione dello Stato

Per i Romani la vita religiosa è legata a quella politica. Il compito della religione è quello di custodire la pace con gli dei, evitando che in qualunque modo vengano offesi. In pratica l’uomo romano intende la fede come un dovere politico che si esprime nel rispetto delle leggi e dei riti della religione. I sacerdoti quindi non sono una casta, come in molte civiltà che abbiamo visto, ma dei funzionari pubblici che hanno il compito di guidare le funzioni religiose del popolo. Come il padre di famiglia nella sua casa celebra i riti sacri, così il magistrato romano è il sacerdote pubblico, cioè colui che tiene i rapporti con gli dei. Infatti in sostanza la religione ufficiale romana è una religione di Stato che mira soprattutto a finalità pratiche. Gli dei sono invocati con riti e sacrifici organizzati dallo stato per ottenere in cambio dei benefici e rafforzare l’unità e il potere di Roma. A differenza di quella greca, la cultura romana non elabora una mitologia particolar-


L’Impero romano

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mente ricca. L’uomo romano, infatti, non è interessato alle vicende che riguardavano la vita degli dei, ma gli basta sapere come si deve comportare nella vita normale per non turbare la pace con loro, per non andare contro le leggi divine. In seguito, dopo i contatti con il mondo ellenico, i Romani adotteranno i miti greci, tanto da far corrispondere i propri dei a quelli greci cambiando semplicemente loro il nome: Giove/Zeus, Giunone/Era, Venere/Afrodite, Nettuno/Poseidone.

La crisi religiosa

Con il passare dei secoli e l’ingrandirsi dell’Impero la cultura romana viene a contatto con moltissime religioni. Con il corrompersi dei valori e dei costumi che hanno reso grande Roma, incominciano a decadere anche le religioni tradizionali che sempre più vengono affiancate da pratiche religiose orientali, che promettevano una vita dopo la morte (culto di Mitra, ecc.). Nascono così altre religioni tra cui quella del Sole Invitto che fu una delle più diffuse verso la fine dell’Impero. Tutte verranno poi sostituite dal Cristianesimo che diverrà la religione ufficiale dell’Impero.

L’Impero Romano alla sua massima espansione


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Parte prima

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L’Impero Romano

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Il Cristianesimo Unità 3

La fine dell’Impero


Il cristianesimo

1. Gesù di Nazaret Durante l’occupazione romana della Palestina, sotto l’imperatore Ottaviano Augusto e re della Giudea Erode, a Betlemme nasce Gesù Cristo. Dopo 30 anni di vita normale di cui non abbiamo praticamente quasi nessuna notizia, inizia la sua predicazione in cui annuncia la “buona notizia”. Cristo si circonda di 12 seguaci che chiama apostoli, i quali lo seguono per tutti i tre anni successivi di predicazione. Gesù afferma di essere il Messia, ossia colui che è mandato da Dio per compiere definitivamente l’alleanza fatta tra Dio e Abramo descritta nella Bibbia. Gli Ebrei attendevano un grande profeta, un uomo che liberasse Israele dalla dominazione romana, come era accaduto per esempio con Mosè e gli Egiziani. Invece Gesù parla di amore, perdono, libertà e di dignità della persona uguale per tutti: romani, ebrei, uomo, donna, schiavi e liberi. Inoltre Gesù pretende di essere non un profeta, ma Dio stesso fattosi uomo. I contenuti rivoluzionari della predicazione di Gesù e in particolare la sua affermazione di essere Dio suscitano malumori nel popolo e in chi detiene il potere religioso. Per questo, con l’accusa di bestemmiare, viene mandato a morte per mezzo della crocifissione.

2. La pretesa cristiana L’aspetto più incredibile dell’annuncio cristiano è la pretesa di Gesù Cristo di non essere semplicemente un uomo, ma Dio fatto carne. Questa è la rivoluzione più grande della storia: Dio comprendendo l’impossibilità dell’uomo di arrivare con le proprie forze a svelare il Mistero decide non solo di svelarsi, ma di condividere anche l’esperienza umana diventando Lui stesso uomo. Leggiamo insieme alcuni brani in cui l’apostolo Giovanni annuncia questo avvenimento assolutamente eccezionale: “In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il verbo era Dio. Tutto è stato fatto per mezzo di Lui, e senza di Lui niente è stato fatto di tutto ciò che esiste. In Lui era la vita e la vita era la luce degli uomini; la luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l’hanno accolta […]. E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi vedemmo la Sua gloria, gloria dell’unigenito dal Padre, pieno di grazia e verità [...] Perché la legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo. Dio nessuno l’ha mai visto: [...] il Figlio unigenito lo ha rivelato.” Il Cristianesimo annuncia che Dio si è fatto uomo. L’imprevedibile è divenuto avvenimento reale: Dio si è fatto compagno agli uomini, così che la vita possa avere un significato.

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Betlemme: Ottaviano Augusto imperatore, senza saperlo, concorse all’adempimento della volontà di Dio, poiché ordinò un censimento, ossia la numerazione di tutti i sudditi del vastissimo Impero Romano; questo fatto obbligò S. Maria e S. Giuseppe, genitori di Gesù, a spostarsi da Nazaret, in Galilea, a Betlemme, città della Giudea, una regione della Palestina (vedi cartina alla pagina precedente) governata dal re Erode, e qui, secondo le profezie, nacque Gesù Cristo, cioè l’unto, il Messia, il Salvatore del Mondo. Giuseppe dovette recarsi a Betlemme per il censimento in quanto discendente dalla famiglia di David che era proprio originario di Betlemme, nome che significa “casa del pane”. Bisogna poi dire che a causa di un errore di calcolo quando venne stabilito il calendario che ancora oggi utilizziamo, Gesù non nacque nell’anno zero, bensì nel 6-7 a.C. circa.

Buona notizia: la “buona novella”, il lieto annuncio; è la traduzione del greco euanghélion ossia di Vangelo, che è la notizia di verità portata da Gesù stesso nella sua persona, letteralmente significa infatti “ciò che si riferisce al buon messaggero”.

Caravaggio, La vocazione di Matteo


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Nell’incontro con questo fatto storico la ragione e la libertà umana devono prendere una posizione, cioè devono decidere se è vera o falsa questa pretesa. Dopo l’avvenimento di Cristo, a prescindere che uno abbia fede in lui, la storia dell’umanità non è più la stessa perché è accaduto che venga promesso il compimento del nostro desiderio di Giustizia, di Verità, di Amore, in una sola parola di Felicità.

Un fatto Tutte le religioni del passato hanno tentato di entrare in rapporto con il Mistero, con Dio, con questa “X” qui sopra raffigurata; le frecce indicano tutti i tentativi dell’uomo di raggiungere il Mistero, la freccia verso destra indica il Tempo. Con Gesù Cristo questa X ha deciso di scendere e di entrare nel Tempo.

É evidente che, nell’ipotesi cristiana, il rapporto tra l’uomo e il Mistero non è più basato sullo sforzo umano, sulla sua capacità di immaginazione o sulla sua creatività religiosa, non è più una ricerca verso una cosa lontana, enigmatica, misteriosa, una tensione verso un qualcuno di assente. L’esperienza religiosa nell’annuncio cristiano diventa invece l’incontro con un fatto presente; come dice molto bene Giovanni quando ribadisce “ciò che noi abbiamo udito, ciò che noi abbiamo veduto con i nostri occhi, ciò che noi abbiamo contemplato e ciò che le nostre mani hanno toccato [...] (poiché la vita si è fatta visibile, noi l’abbiamo veduta e di ciò rendiamo testimonianza [...]) perché anche voi siate in comunione con noi.” Nel Cristianesimo, avendo Dio deciso una sua strada per raggiungerlo, il problema centrale della religione non è più il tentativo di immaginarsi il Mistero: sta tutto nel gesto semplice della libertà di accogliere o rifiutare Cristo. Questo è il capovolgimento di metodo. L’unica cosa necessaria è la semplicità di un riconoscimento; un atteggiamento simile a chi vedendo arrivare un amico si ferma, lo guarda e lo saluta. L’incarnazione di Dio fa diventare centrale, nella religione cristiana, l’esperienza semplice e totalmente umana dell’incontro.

3. La Chiesa Cattolica Il Cristianesimo è quindi un fatto accaduto 2000 anni fa, ma un fatto particolare che continua a propagarsi nella storia attraverso il popolo di chi crede in Lui e che si chiama Chiesa: questa è la comunità delle persone che, a partire degli apostoli fino ad arrivare ai nostri giorni, ha incontrato il fatto di Cristo e lo ha riconosciuto come Dio. Proviamo a fare un esempio per capire bene: immagina che la storia sia come uno stagno. Cristo un grande sasso che ad un certo punto cade nell’acqua. Cosa succede? Il sasso provoca delle onde che si propagano per tutto lo stagno. Ecco, questo è il Cristianesimo. Cristo è questo sasso che ha mosso lo stagno della storia fino ad arrivare a noi. Tutta la storia nei suoi aspetti politici, economici, culturali e sociali è stata smossa, attraversata dall’onda di quel fatto. Per avere una dimostrazione concreta di questo, pensa all’importanza politica, culturale e sociale che hanno avuto per il mondo intero due cristiani come madre Teresa di Calcutta e Papa Giovanni Paolo II. Due persone che colpite dal fatto di Cristo 2000 anni dopo, a loro volta hanno portato milioni di persone ad incontrare quel fatto, attraverso le loro azioni e le loro parole. Questo è il Cristianesimo: un fatto che continua ad accadere nella storia attraverso il suo popolo. Un fatto che attraversa tutto il tempo e lo spazio della storia.

Il metodo di Cristo

Abbiamo già detto che la Chiesa è la comunità delle persone che credono in Gesù Cristo e questa è la definizione più semplice ed essenziale. Adesso vediamo di


Il cristianesimo

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comprendere alcuni suoi aspetti fondamentali, per capire più in profondità che cosa sia la Chiesa. La Chiesa non è qualche cosa che viene dopo Cristo, che hanno inventato gli apostoli; la Chiesa fa parte del metodo che Cristo stesso ha scelto quando era ancora in vita. Leggiamo questo brano del Vangelo: “Gesù percorreva i villaggi, insegnando. Allora chiamò i dodici, ed incominciò a mandarli a due a due e diede loro potere sugli spiriti immondi. E ordinò loro che, oltre al bastone, non prendessero nulla per il viaggio: né pane, né bisaccia, né denaro nella borsa … partiti, predicavano che la gente si convertisse, scacciavano molti demoni, ungevano di olio molti infermi e li guarivano.” (Marco 6,6) Cristo non potendo essere fisicamente ovunque, manda i discepoli a due a due a comunicare quello che loro avevano visto. Compiono loro stessi miracoli e la gente si converte a Cristo pur non avendolo conosciuto direttamente. Il Vangelo annota che i discepoli tornano pieni di stupore per quello che accadeva tramite loro. É esattamente il metodo della Chiesa per cui, oggi 2000 anni dopo, le persone incontrano Cristo attraverso altre persone che credono in Lui.

Spirito Santo

Ma come possono compiere prodigi gli apostoli se sono persone normalissime? E come si può incontrare Cristo, che pretende di essere Dio, attraverso degli uomini? Perché Cristo stesso ha detto: “In verità, in verità vi dico: anche chi crede in me, compirà le opere che io compio e ne farà di più grandi, perché io vado al Padre. Qualunque cosa chiederete nel nome mio, lo farò, perché il Padre sia glorificato nel Figlio. Se mi chiederete qualunque cosa nel mio nome, io lo farò … Io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Consolatore perché rimanga con voi per sempre, lo spirito di verità che il mondo non può ricevere … Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici.” (Giovanni 14,12) Cristo dice agli apostoli che lui sarà presente sempre attraverso lo Spirito Santo, per questo potranno fare grandi cose, anche più grandi di quelle che lui ha compiuto. La Chiesa pretende di essere fatta da uomini e dalla presenza misteriosa di Cristo attraverso lo Spirito Santo, che riesce a costruire anche sui fallimenti degli uomini. Per questo, persone normali, possono compiere miracoli e nella loro amicizia è possibile incontrare la presenza di Cristo e non semplicemente il suo ricordo. La Chiesa pretende quindi che sia possibile, attraverso lei, fare oggi la stessa esperienza che gli apostoli hanno fatto con Cristo 2000 anni fa.

Cattolica

Se la Chiesa è la continuazione del fatto di Cristo nella storia, suo compito principale è quello di portarlo a tutto il mondo. Per questo fin dal suo inizio, impegno fondamentale della comunità cristiana è stato la missione. La Chiesa è quindi chiamata ad essere Cattolica, cioè universale. I missionari cristiani vanno in tutto i luoghi più remoti del nostro pianeta, sacrificando la loro vita per annunciare il fatto di Cristo a tutti gli uomini. La Chiesa non è quindi riducibile ad una cultura o ad un popolo particolare, cioè la Chiesa non coincide con lo stato italiano o la cultura occidentale anche se la storia dell’Italia e dell’Europa si intreccia e a volte coincide con la storia della Chiesa.

Il volto dell’uomo dela Sindone. DIO É AMORE “Noi abbiamo riconosciuto e creduto all’amore che Dio ha per noi. Dio è amore; chi sta nell’amore dimora in Dio e Dio dimora in lui. Per questo l’amore ha raggiunto in noi la sua perfezione, perché abbiamo fiducia nel giorno del giudizio; perché come è lui, così siamo anche noi, in questo mondo. Nell’amore non c’è timore, al contrario l’amore perfetto scaccia il timore, perché il timore suppone un castigo e chi teme non è perfetto nell’amore. Noi amiamo, perché egli ci ha amati per primo. Se uno dicesse: “Io amo Dio”, e odiasse il suo fratello, è un mentitore. Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede. Questo è il comandamento che abbiamo da lui: chi ama Dio, ami anche il suo fratello”. (Vangelo di Giovanni 4, 16-21)


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Parte prima La fine di un mondo

Questa spinta ad abbracciare il mondo, lungo il proseguire della storia, avrà un peso importante nella storia d’Europa e, in vari modi, per l’intera umanià.

Gerarchica

Riunione durante il Concilio Vaticano II

La comunità cristiana, fin dalla sua origine, si mostra come una realtà di persone gerarchicamente organizzate. Tutti i credenti che appartengono alla chiesa si dividono in due grandi categorie: il clero e i laici. Il clero sono le persone che consacrano tutta la vita a Cristo e alla sua Chiesa, amministrano i sacramenti e conpongono la struttura organizzativa della Chiesa. I laici sono tutte le persone credenti che non fanno parte del clero. Potremmo dire che la Chiesa, al suo interno, è organizzata come una monarchia il cui re è il Papa che ha il compito di guidarla. Il primo Papa è stato Pietro, scelto direttamente da Cristo. Poi ci sono le guide delle comunità, che sono i vescovi e i sacerdoti che amministrano i sacramenti e guidano le parrocchie. Alla morte del Papa, colui che gli succede viene eletto dai cardinali che sono i vescovi che hanno ricevuto la responsabilità di eleggere il Papa e aiutarlo a guidare la Chiesa.

4. Rivoluzione culturale Papa Bendetto XVI

Il messaggio cristiano ha provocato una vera e propria rivoluzione nella cultura umana ponendosi come un punto fondamentale nel progresso della civiltà umana. Gli elementi principali di questa rivoluzione sono il concetto di libertà e di dignità universale della persona.

La libertà Sacramenti: I sacramenti sono istituiti da Cristo e sono sette, ossia: il Battesimo, la Confermazione o Cresima, l’Eucaristia, la Penitenza, l’Unzione degli infermi, l’Ordine e il Matrimonio. I sette sacramenti toccano tutte le tappe e tutti i momenti importanti della vita del cristiano: grazie ad essi, la vita di fede dei cristiani nasce e cresce, riceve la guarigione e il dono della missione.

Mentre nella religione greco-romana e in generale nella religiosità antica è dominante l’aspetto del destino, cioè dell’impossibilità dell’uomo di decidere attivamente lo svolgersi della propria vita, nel Cristianesimo la libertà è l’aspetto fondamentale su cui ruota tutto il rapporto con Dio. La libertà è l’aspetto centrale della persona. Il destino di ciascuno, l’essere salvati o l’essere dannati, dipende dalle proprie decisioni, la salvezza avviene per la grazia di Dio e la libertà dell’individuo che può accoglierla o rifiutarla.

La dignità dell’individuo In tutte le civiltà antiche non si è mai riuscito ad arrivare all’affermazione del valore della persona in quanto puro e semplice essere umano. Nonostante i grandi progressi portati dalla filosofia greca e dal Diritto Romano, il valore della persona era sempre per pochi. Nelle varie civiltà esistevano sempre gli schiavi, esseri umani che erano considerati come oggetti, che potevano essere venduti, comprati e uccisi senza alcun problema. In passato il valore dell’individuo dipendeva dall’appartenenza ad una classe sociale o ad una razza particolare, dal potere o dal denaro che si possedevano.


Il cristianesimo

Con Cristo, per la prima volta, viene annunciato senza alcuna ambiguità che la dignità dell’uomo dipende da un legame diretto con Dio, al di sopra di qualsiasi realtà storica o sociale. Con Cristo si ha la più grande esaltazione dell’io, come documentano queste parole scritte nel Vangelo: “Quale vantaggio infatti avrà l’uomo se guadagnerà il mondo intero e perderà la propria anima? Che cosa l’uomo potrà dare in cambio di se stesso?” (Matteo 16,26). Tutto il mondo non vale la più piccola persona umana; l’io dell’uomo non ha nulla di paragonabile nell’intero universo. Non c’è niente che può valere più di un uomo. Dal primo istante della suo esistere fino all’ultimo respiro nella sua decrepita vecchiaia, l’uomo possiede un principio per cui non dipende da nessun potere umano, la persona gode di un valore e di un diritto in sé che nessuno può toglierle. Mai è stata descritta con tanta chiarezza e passione la grandezza dell’uomo come in queste poche parole di Cristo. Questa concezione dell’uomo cancella qualsiasi differenza sociale o razziale, tutti siamo fratelli in Cristo come dice chiaramente uno dei discepoli nella sua predicazione: “Tutti voi infatti siete figli di Dio per la fede in Cristo Gesù, poichè quando siete stati battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo. Non c’è più giudeo nè greco; non c’è più schiavo nè libero; non c’è più uomo nè donna, poichè tutti voi siete uno in Cristo Gesù.” (Lettera ai Galati 3,26)

5. La conversione del mondo antico Immediatamente dopo la morte di Cristo, gli apostoli, incominciano ad obbedire al compito missionario affidato loro e dividendosi, ognuno si dirige in una regione diversa del mondo per predicare quella che loro definiscono la “lieta novella”, cioè l’avvenimento di Gesù Cristo come Dio fatto uomo, morto e risorto per la salvezza di tutti. Parte di questa storia dell’evangelizzazione è raccontata negli Atti degli Apostoli.

Rapidamente e ovunque La diffusione del Cristianesimo è uno degli eventi storici più straordinari dell’antichità. Infatti, nel breve periodo di tre secoli, si diffonde in tutto il mondo fino a diventare la religione dell’Impero Romano. Questo tempo è molto breve, considerando il periodo storico, infatti non esistono mezzi di comunicazione rapidi e globali come i nostri ed anche la scrittura non è molto diffusa tra il popolo ed i libri sono molto rari: l’unico mezzo di trasmissione del Cristianesimo è l’incontro tra persona e persona. Eppure, nonostante questo, il Cristianesimo si diffonde in modo molto rapido fino ad imporsi come religione dominante in tutto il bacino del Mediterraneo. Certamente l’unità del mondo antico sotto un unico stato, ha favorito questa velocità di comunicazione e la possibilità di spostamento dei discepoli in tutto il mondo. I cristiani stessi, infatti, nell’antichità hanno interpretato come provvidenziale l’esistenza di Roma, cioè come un avvenimento preparato da Dio per favorire l’incontro del mondo con suo figlio.

Per tutti Ma ancora più incredibile della velocità di diffusione è la trasversalità delle classi sociali e dei popoli in cui il Cristianesimo si diffonde. Diventano infatti cristiani contemporaneamente sia nobili che soldati, commercianti, schiavi, donne e uomini di qualsiasi popolazione. Un simile evento è spiegabile solo con l’eccezionalità del messaggio cristiano che, ponendo una totale rivoluzione del concetto di persona, diventa affascinante per

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chiunque. Possiamo trovare già nel Vangelo questa caratteristica del messaggio cristiano: “Entrato in Cafarnao, gli venne incontro un centurione che lo scongiurava: «Signore, il mio servo giace in casa paralizzato e soffre terribilmente». Gesù rispose: «Io verrò e lo curerò». Ma il centurione riprese: «Signore, io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto, di’ soltanto una parola e il mio servo sarà guarito. Perché anch’io, che sono un subalterno, ho soldati sotto di me e dico a uno: Va’, ed egli va; e a un altro: Vieni, ed egli viene, e al mio servo: Fa’ questo, ed egli lo fa». All’udire ciò, Gesù ne fu ammirato e disse a quelli che lo seguivano: «In verità vi dico, in Israele non ho trovato nessuno con una fede così grande … ed ora torna a casa e sia fatto secondo la tua fede». (Matteo 8,5) É importante ricordare che la Palestina è occupata militarmente perchè è una delle regioni più turbolente dell’Impero, in quanto gli Ebrei odiano i Romani. É assolutamente incredibile, quindi, che il centurione si rivolga all’ebreo Gesù nel modo in cui viene descritto. Come lo è anche la risposta di Cristo che, elogiando la fede del soldato romano, mostra come la sua venuta non è solo per gli Ebrei, ma per tutti gli uomini. Caravaggio, la vocazione di Saulo (san Paolo)

San Paolo fuori le mura a Roma

San Paolo Nella storia della diffusione del Cristianesimo ha sicuramente una parte importante Saulo di Tarso, chiamato poi Paolo (Paulus, che in latino significa “piccolo”). Paolo è nato a Tarso negli stessi anni in cui nasce Gesù. La sua famiglia è ebrea e molto osservante della religione e della tradizione. Il padre di Paolo probabilmente era ricco perché compra la cittadinanza romana che permette privilegi ed è segno di grande distinzione. Paolo, a 16 anni, viene mandato a Gerusalemme dove studia in una famosa scuola di un grande rabbino del tempo. A 20 anni ritorna a Tarso senza aver avuto modo di incontrare Gesù. Passati gli anni cominciano ad arrivare le prime notizie dell’insegnamento di Gesù e Paolo ne ha un giudizio profondamente negativo: chi è questo maestro che si permette di criticare la grande religione degli Ebrei e che addirittura dice di essere figlio di Dio? É vero che i profeti avevano parlato del Messia, ma come poteva essere lui? Gesù non solo non invita alla lotta contro i Romani, ma addirittura ordina di amarli e poi è sempre in giro con persone poco raccomandabili, poveracci e fannulloni. Per questi motivi Paolo accoglie con grande sollievo la notizia della morte di Gesù. Ma qualche tempo dopo, arrivano a Tarso voci su nuovi fatti. Non solo la vicenda di questo Gesù di Nazareth non è finita con la sua morte, ma ora i suoi discepoli vanno dicendo che egli è di nuovo vivo e molti credono loro per i fatti straordinari che si verificano a Gerusalemme. A questa notizia, Paolo decide di partire per Gerusalemme per combattere e perseguitare i cristiani che, con le loro credenze, offendono Dio. Paolo assiste o forse addirittura partecipa all’uccisione del primo martire cristiano Stefano, che viene lapidato perché accusato di bestemmiare Dio. Paolo è disposto a correre ovunque ci sia da combattere con qualsiasi mezzo il dilagare dei cristiani, per questo decide di andare a Damasco, in Siria, per combattere la nascente comunità cristiana.


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La conversione di San Paolo Durante il viaggio per arrivare a Damasco, si verifica un fatto che cambia la sua vita. Lui stesso racconta di essere stato investito da una luce che lo fa cadere da cavallo, mentre una voce gli dice: “Saulo, Saulo perché mi perseguiti?”. Egli risponde: “Chi sei, o Signore?”. E la voce: “Io sono Gesù, che tu perseguiti!”. Paolo dopo questo fatto si converte, ma all’inizio i suoi rapporti con i cristiani non sono facili. A Damasco infatti hanno paura di lui perché sanno che era venuto per arrestarli o addirittura per ucciderli e quindi temono che la conversione sia tutto un inganno contro di loro. Superato questo momento di difficoltà, Paolo diventa uno dei più grandi missionari della Chiesa antica e per questo è chiamato “l’apostolo delle genti”, in quanto la sua preoccupazione principale è quella di portare l’annuncio cristiano fuori dai confini della Palestina. Lui stesso si descrive dicendo: “Mi sono dato tutto a tutti pur di salvarne uno”. Con questa frese Paolo mostra l’impeto con cui spese tutta la sua vita per annunciare il Vangelo, dove “salvarli” significa convertirli alla verità che dona la vita eterna. É lui infatti che diffonde il Cristianesimo in Grecia e che insiste per fondare una comunità cristiana a Roma, nel cuore dell’Impero. Questo fatto è molto importante perché all’interno della nascente Chiesa era sorta una discussione. In quanto alcuni apostoli, tra cui anche Pietro, all’inizio credono che il messaggio cristiano si deve diffondere solo all’interno dell’Ebraismo. Paolo invece è il più grande sostenitore del fatto che il Cristianesimo è per il mondo intero come aveva detto chiaramente Gesù. Pietro, nel tempo, riconosce come giusta la posizione di Paolo ed infatti parte anche lui per Roma. Ad un certo punto Paolo viene arrestato dagli Ebrei, ma essendo un cittadino romano chiede di essere giudicato a Roma, appellandosi a Cesare. Per questo viene liberato e trasferito nella capitale. All’inizio lo stato romano è sostanzialmente indifferente alla religione cristiana considerandola una delle tante presenti nel suo vasto Impero. Per questo la prigionia di Paolo a Roma è solo formale (come degli arresti domiciliari) e gli permette di annunciare e fondare la comunità cristiana. Al processo viene riconosciuto innocente e libero di andare dove voleva. Paolo allora parte per altri viaggi che lo portano in molti paesi del Mediterraneo. Trascorsi alcuni anni la sua opera missionaria è interrotta da un editto imperiale che proclama la persecuzione dei cristiani. Paolo viene arrestato e condotto nuovamente a Roma dove nel frattempo è arrivato anche Pietro. Stavolta la prigionia è molto più dura e alla fine sia Pietro che Paolo vengono condannati a morte. Pietro è crocifisso mentre Paolo, essendo un cittadino romano, non può essere ucciso in quel modo che è considerato disonorevole e per questo, nel 67 d.C., viene decapitato nel luogo chiamato le Tre Fontane a Roma.

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6. I Romani perseguitano i Cristiani Sudditi: sottoposti a una sovranità politica. Monoteiste: le religioni che credono in un Dio unico (al tempo erano solo Ebraismo e Cristianesimo). Qui sotto: due icone che rappresentano S. Ignazio di Antiochia (I-II sec. d.C.), secondo successore dell’Apostolo Pietro sulla cattedra episcopale: nostro Padre nella fede e della nostra Chiesa Madre icona che lo ritrae nel martirio divorato dai leoni : simbolo della Chiesa perseguitata.

Abbiamo visto come Pietro e Paolo muoiono condannati da un tribunale romano: ora queste persecuzioni da parte dell’Impero Romano sono un fatto particolare che merita di essere compreso chiaramente. Abbiamo studiato infatti come Roma tenga sotto il suo dominio una moltitudine di popoli di lingua e tradizioni molto diverse tra loro. Roma riesce a governarli perché si mostra sempre tollerante nei loro confronti. Infatti, i Romani pretendono dalle popolazioni sottomesse il loro riconoscimento di essere sudditi di Roma e il pagamento delle tasse, lasciando su tutto il resto assoluta libertà di culto e di leggi. Per questo, accanto alla religione ufficiale romana, esistevano e si fondevano con essa, pratiche religiose diverse e una libera circolazione di idee e cultura. Quindi, che i cristiani vengano perseguitati è un fatto molto strano. Cosa spinge un impero tanto potente a temere un piccolo gruppo di persone praticanti una nuova religione tra le molte esistenti? Una risposta precisa è difficile da dare, ma tre sono principalmente i motivi che spingono Roma a perseguitare e tentare di cancellare il Cristianesimo.

1. Uno stato nello stato Il fatto che il Cristianesimo si fonda sul concetto di Chiesa, cioè di una comunità di persone socialmente identificabile e gerarchicamente guidata, si mostra come una specie di Stato nello Stato. Questa impressione viene rafforzata dal fatto che, in quel periodo, gli imperatori si fanno adorare come divinità e questa è l’unica cosa che i cristiani non possono in alcun modo fare né riconoscere, in quanto l’unico Dio per loro è Gesù Cristo e la Trinità. Questa posizione così intransigente, è solo della religione cristiana ed ebraica in quanto erano le uniche due monoteiste. Tutte le altre, essendo politeiste, non hanno nessuna difficoltà ad aggiungere ai vari dèi anche l’adorazione dell’imperatore-dio. Per questo il rifiuto categorico dei cristiani nell’adorare l’imperatore viene interpretato come una conferma della loro volontà di rivolta contro lo Stato romano e pone la religione cristiana su un piano diverso rispetto alla norma di tolleranza religiosa normalmente in uso.

2. Travisamento della dottrina cristiana Il contenuto rivoluzionario dell’annuncio cristiano è spesso distorto e non compreso. Infatti agli occhi di molti questa nuova religione, che predica di amare i nemici e che uno schiavo vale quanto un nobile, sembra folle e tesa a rovesciare l’ordine sociale. Inoltre, alcune pratiche come per esempio l’Eucarestia, vengono completamente travisate. La Chiesa afferma che la particola nel momento in cui viene consacrata dal sacerdote diventa il corpo di Cristo e il vino nel calice il Suo sangue, non per modo di dire, ma realmente. Questa insistenza sul fatto che sono veramente carne e sangue, porta al diffondersi della credenza che i cristiani non solo praticano sacrifici umani al loro Dio ma, ancora più grave e inaudito, che mangiano i cadaveri.

3. Ingiustamente accusati La stranezza della religione cristiana e le voci diffamatorie sulle sue pratiche crudeli fanno in modo che alcuni imperatori sfruttino i cristiani per cercare di calmare il mal contento popolare e deviare l’odio e il rancore verso lo Stato. Un esempio di questo è l’imperatore Nerone che, dopo un incendio che devastò interi quartieri di Roma, per calmare la rabbia del popolo, dà la colpa ai cristiani i quali vengono arrestati e uccisi, alcuni rivestiti di tuniche intonacate di pece e zolfo vengono accesi come fossero torce per far luce durante la notte.


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Le persecuzioni non sono continue ma si alternano momenti di forte repressione a momenti di condanna ufficiale ma non di violenza. I mezzi con cui lo stato romano cerca di reprimere i cristiani vanno dall’arresto alla crocifissione, fino all’essere usati come spettacolo nelle arene dove vengono dati in pasto alle belve feroci o massacrati dai gladiatori.

Il martirio I documenti scritti, lasciati dai tribunali riguardanti i processi contro i cristiani, sono risultati delle preziose documentazioni storiche che mostrano e raccontano la storia della conversione di Roma e della diffusione del Cristianesimo. Dallo studio di questi ed altre fonti si può trarre la conclusione che Roma si è convertita grazie al sangue dei martiri. La parola martire significa “testimone” ed è quello che hanno fatto le migliaia di cristiani uccisi nelle piazze e nelle arene romane. Infatti è vedendo la dignità e la serenità con cui i cristiani affrontano il loro supplizio che il popolo romano si converte. Proviamo ad immaginare cosa poteva provare un romano che andava ad assistere ad uno “spettacolo” di morte e invece di vedere persone terrorizzate che piangono e si disperano, vede la “testimonianza” di uomini e donne che affrontano la morte cantando le lodi a Dio, certi della propria fede e che Dio non li abbandona. Molti davanti a questi fatti si convertono. Quindi le persecuzioni, anziché cancellare il Cristianesimo, lo glorificano e diffondono in tutto l’Impero. Per avere un esempio del modo con cui i cristiani affrontano la morte divenendo così martiri, leggiamo alcuni verbali dei processi o delle lettere di saluto dei condannati:

Icona del martirio di San Paolo a Le Tre Fontane (avvenuto nella zona di Roma EUR chiamata delle Acque Salvie).

“Io sono condotto al martirio ma non ho alcun rimpianto, anzi sono felice perchè così posso raggiungere più presto il maestro Gesù[...] come il grano viene macinato per poter fare il pane, così io desidero essere sacrificato per divenire una particola gradita a Dio”. “L’Imperatore ordina che quelli che si dichiarano cristiani devono sacrificare doni agli dei eterni ed immortali. Chiunque si rifiuterà sarà sottoposto a numerose torture e alla fine sarà condannato alla più terribile morte”. Sapricio, che era davanti al governatore, gli rispose: “Noi cristiani abbiamo come re Cristo, il solo vero Dio, creatore del cielo e della terra, del mare e di tutto ciò che in essi vi è; tutti i vostri dei non sono nulla. Scompaiano, dunque, dalla faccia della terra questi dei che non possono né aiutare, né danneggiare alcuno perchè sono opera della mano dell’uomo”. La vedova di un tribuno si converte con i suoi sette figli al cristianesimo, allora l’imperatore Adriano, adirato per il fatto che una donna così importante appartenesse a quella setta, fa convocare la donna e le dice: “Scegli una di queste due cose: o sacrificare ai miei dei doni, o fare una morte atroce”. Sinforosa (la vedova del tribuno) replica: “Tu credi che io per paura possa cambiare idea, io invece desidero riposare accanto a mio marito nella gloria di Cristo”. Allora Adriano ordina che venga condotta presso il tempio di Ercole. Lì, prima la fa schiaffeggiare e poi appendere per i capelli. Vedendo però che in nussun modo e con nessuna minaccia riesce a distoglierla dal suo proposito, ordina di legarle una grossa pietra al collo e così affogarla nel fiume.

Caravaggio, la crocifissione di San Pietro


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Il giorno dopo Adriano convoca alla sua presenza i sette figli della donna. Quando si accorge che né con le buone, né con le minacce consentono a compiere sacrifici agli dèi, ordina di legare i figli presso il tempio di Ercole e traffigerli con la lancia. Crescente ed Eugenio vengono trafitti alla gola, Giuliano al petto; Nemesio al cuore; Primitivo all’ombelico; Giustino alle spalle; Stracteo al costato.

Catacombe Durante le persecuzioni, durate fino ai primi anni del IV secolo, i cristiani non possono costruire chiese in cui riunirsi per le loro celebrazioni, quindi si riuniscono in apposite case o nelle catacombe, cioè cimiteri sotterranei tipici dell’antichità. Per questo l’arte cristiana inizia a svilupparsi con iscrizioni e simboli che compaiono sulle pareti delle tombe e sui sarcofagi dei defunti. Queste immagini e iscrizioni sono un importante mezzo di comunicazione della fede e di lode a Dio. Ecco due esempi:

Qui sopra: alcune catacombe sotto la città di Roma.

Già dal primo secolo i Cristiani fecero un acrostico della parola per pesce in Greco “ictys”: Iesous Christos Theou Yios Soter, (ICTYS) che tradotto è: Gesù Cristo Figlio di Dio Salvatore.

Lapide di un sarcofago con i simboli della nave, che rappresenta la comunità, la Chiesa, e del faro che rappresenta l’approdo, la salvezza per ogni cristiano.

Lato di un sarcofago con due pesci e un’ancora. Il pesce era il simbolo di Cristo per eccellenza, perché le lettere della parola “pesce” in greco si leggevano come le iniziali della frase: Gesù Cristo, Figlio di Dio, Salvatore. L’ancora, capace di trattenere l’imbarcazione, indicava la fermezza della fede e la speranza.

Fare la volontà del Padre nostro che è nei cieli É interessante chiedersi quale sia dunque la volontà del Dio dei cristiani. Dio si è rivelato e anche Gesù, Suo Figlio, ha confermato che la Sua Volontà è sostanzialmente semplice: «Maestro, che cosa devo fare di buono per ottenere la vita eterna?». Al giovane che gli rivolge questa domanda, Gesù risponde innanzi tutto richiamando la necessità di riconoscere Dio come «il solo Buono», come il Bene per eccellenza e come la sorgente di ogni bene. Poi Gesù gli dice: «Se vuoi entrare nella vita, osserva i comandamenti». Ed elenca al suo interlocutore i comandamenti che riguardano l’amore del prossimo: «Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare


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il falso, onora tuo padre e tua madre». Infine Gesù riassume questi comandamenti in una formulazione positiva: «Ama il prossimo tuo come te stesso» (Mt 19,16-19). A questa prima risposta se ne aggiunge subito una seconda: «Se vuoi essere perfetto, va’, vendi quello che possiedi, dallo ai poveri, e avrai un tesoro nel cielo; poi vieni e seguimi» (Mt 19,21). Essa non annulla la prima. La sequela di Gesù, cioè il seguirLo, implica l’osservanza dei comandamenti. La Legge non è abolita, ma l’uomo è invitato a ritrovarla nella persona del suo Maestro, che ne è il compimento perfetto. «Avete inteso che fu detto agli antichi: Non uccidere [...]. Ma io vi dico: chiunque si adira contro il proprio fratello, sarà sottoposto a giudizio» (Mt 5,21-22). Quando gli si pone la domanda: «Qual è il più grande comandamento della Legge?» (Mt 22,36), Gesù risponde: «Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. Questo è il più grande e il primo dei comandamenti. E il secondo è simile al primo: Amerai il prossimo tuo come te stesso. Da questi due comandamenti dipende tutta la Legge e i Profeti» (Mt 22,37-40). Il Decalogo, cioè i Dieci Comandamenti, va interpretato alla luce di questo duplice ed unico comandamento della carità, pienezza della Legge, come afferma San Paolo: «Il precetto: Non commettere adulterio, Non uccidere, Non rubare, Non desiderare e qualsiasi altro comandamento, si riassume in queste parole: Amerai il prossimo tuo come te stesso. L’amore non fa nessun male al prossimo: pieno compimento della legge è l’amore» (Rm 13,9-10). La parola «Decalogo» significa alla lettera «dieci parole» (Es 34,28; Dt 4,13; 10,4). Queste «dieci parole» Dio le ha rivelate al suo popolo sulla santa montagna. Le ha scritte con il «suo dito».

Senza di me non potete far nulla I dieci comandamenti sono incisi da Dio nel cuore dell’essere umano, tuttavia non è semplice rispettarli, infatti Gesù poi dice: «Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla» (Gv 15,5). Il frutto indicato in questa parola è la santità, ossia la felicità, di una vita fecondata dall’unione con Cristo. Quando crediamo in Gesù Cristo, comunichiamo ai suoi misteri e osserviamo i suoi comandamenti, il Salvatore stesso viene ad amare in noi il Padre suo ed i suoi fratelli, Padre nostro e nostri fratelli. La sua persona diventa, grazie allo Spirito, la regola vivente ed interiore della nostra condotta. «Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati» (Gv 15,12). “AMERAI IL SIGNORE DIO TUO CON TUTTO IL CUORE, CON TUTTA L’ANIMA, CON TUTTE LE FORZE” I. Non avrai altro Dio fuori di me II. Non nominare il nome di Dio invano III. Ricordati di santificare le feste “AMERAI IL PROSSIMO TUO COME TE STESSO” IV. Onora il padre e la madre V. Non uccidere VI. Non commettere atti impuri VII. Non rubare VIII. Non dire falsa testimonianza IX. Non desiderare la donna d’altri X. Non desiderare la roba d’altri

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L’uomo della Sindone

La Sacra Sindone è un tessuto in lino, di metri 4,42 per 1,13, “a spina di pesce”, torcitura Z. Sul tessuto è impressa un’immagine, l’impronta frontale e dorsale di un uomo crocifisso. L’impronta presenta la singolare caratteristica di comportarsi come un negativo fotografico. È un lenzuolo che ha certamente avvolto il cadavere di un uomo flagellato, coronato di spine, crocifisso con chiodi, trapassato da una lancia al costato. Quello sulla Sindone è sangue coagulatosi sulla pelle di un uomo ferito e ridiscioltosi a contatto con la stoffa umida. Si tratta di sangue umano maschile di gruppo AB.

Allo stato attuale, cosa dice la scienza? Al momento i ricercatori scientifici possono affermare certamente che: • non c’è colore (non si tratta di un dipinto, infatti non sono state trovate sostanze coloranti o pigmenti applicati dall’esterno al tessuto. É un’immagine che non si riesce ad alterare); • i vapori di aloe, mirra, sudorazione non bastano ad imprimere un’immagine come questa; • c’è immagine anche dove non c’era contatto; • probabilmente solo un’irradiazione proveniente dal corpo avrebbe potuto imprimere un’immagine come quella della Sindone, che è appena superficiale, stranamente, ma ben impressa: - ultravioletta (solo così si ferma in superficie), - istantanea (o avrebbe bruciato il tessuto), - potentissima (circa 50 milioni di volt), - non riproducibile nei laboratori attuali. L’immagine si è formata per irradiazione e non per contatto, infatti ha una luminosità non omogenea, ma direttamente proporzionale alla prossimità tra corpo e tessuto. Le parti del corpo che erano più vicine al tessuto, come il volto, le mani, le ginocchia, risultano molto più luminose rispetto a quelle più lontane. Questo significa che l’irradiazione ha disidratato maggiormente le parti più vicine del tessuto.


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L’Uomo della Sindone è risorto? L’immagine sindonica risulta ancora oggi, dopo più di cento anni di sperimentazioni, non riproducibile in nessun laboratorio al mondo. Dal punto di vista della scienza l’immagine corporea non è spiegabile quindi non potrebbe esistere, ma esiste. Dal punto di vista religioso tutti i risultati scientifici sono coerenti con i Vangeli; infatti si afferma inoltre che la mattina di Pasqua avvenne un fenomeno non spiegabile scientificamente: la Risurrezione. Dal punto di vista più generale non si arriva ad una dimostrazione scientifica, ma dato che gli indizi sono chiari, l’ipotesi della Risurrezione sembra la più plausibile per spiegare la formazione dell’immagine corporea. “La Sindone è provocazione all’intelligenza. Essa richiede di cogliere con umiltà il messaggio profondo inviato alla ragione del ricercatore ed alla sua vita. La sindone è lo specchio del Vangelo. La Chiesa affida agli scienziati il compito di continuare ad indagare. La Sindone è anche immagine di impotenza della morte. Ognuno di noi è scosso dal pensiero che nemmeno il Figlio di Dio abbia resistito alla forza della morte, ma tutti ci commuoviamo al pensiero che egli ha talmente partecipato alla nostra condizione umana da volersi sottoporre all’impotenza totale del momento in cui la vita si spegne. La fede, ricordandoci la vittoria di Cristo, ci comunica la certezza che il sepolcro non è traguardo ultimo dell’esistenza. Dio ci chiama alla risurrezione ed alla vita immortale. Lo spirito di Dio, che abita nei nostri cuori, susciti in ciascuno il desiderio e la generosità necessari per accogliere il messaggio della Sindone e per farne il criterio ispiratore dell’esistenza.” (Giovanni Paolo II, 24 maggio 1998) Per secoli la Sindone è stata venerata da milioni di fedeli come la reliquia più preziosa della cristianità. Eppure solo l’uomo del nostro tempo, grazie alle prove scientifiche degli ultimi anni, può valutare l’attendibilità di questo telo con una ragionevole sicurezza. Perchè se lungo i secoli i milioni di pellegrini che l’hanno venerata potevano avere molti legittimi dubbi, oggi le ricerche più recenti rassicurano sempre più che questo telo ha avvolto veramente il corpo di Gesù di Nazaret, con una probabilità vicina al 100%.

© Giulio Fanti


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L’Impero Romano

Unità 2

Il Cristianesimo

Unità 3

La fine dell’Impero


La fine dell’Impero Romano Unità 3

1. La crisi dell’Impero Romano

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Nonostante la grandezza e il potere di Roma, l’Impero incomincia a dare segni di gravi problemi che lo stanno portando alla rovina. Vediamone dunque i principali.

Le tasse Il primo problema sono i costi di mantenimento. Per far funzionare lo stato, che deve gestire ed organizzare un regno tanto vasto, c’è bisogno di tantissimi funzionari e persone competenti a vario titolo che devono essere pagate. L’amministrazione pubblica, i funzionari statali, l’esercito, le navi, la manutenzione delle strade e delle città costano moltissimo denaro. Per raccogliere i soldi necessari, Roma deve imporre tasse molto alte e allargare i suoi territori ma, per fare questo, ha bisogno di funzionari ed eserciti e quindi è una situazione senza via d’uscita. Per ottenere le ricchezze, l’Impero è costretto ad allargarsi, ma più si espande, più i costi di mantenimento aumentano. Quando l’espansione si arresta questo problema si mostra in tutta la sua gravità, non resta che tassare sempre più i cittadini.

L’esercito Un secondo problema è l’eccessivo potere dell’esercito. Per difendere e governare un impero tanto grande, c’è bisogno di un numero enorme di soldati sempre in servizio. Questo significa che i generali hanno un grandissimo potere e iniziano ad usarlo per influenzare la politica. Incominciano da prima a fare pressione sull’elezione dell’Imperatore e finiscono poi per lottare tra di loro, in guerre tra eserciti romani, per diventare essi stessi imperatori.

La crisi economica Un terzo problema è la crisi della società. Con la fine delle guerre di espansione, ha termine anche l’arrivo di nuovi schiavi e le grandi aziende, che sfruttano il loro lavoro, vanno in crisi. I prezzi del cibo incominciano ad alzarsi e i cittadini poveri aumentano sempre di più. Il malcontento si diffonde a tal punto che scoppiano delle rivolte popolari. La crisi economica è talmente grande che ad un certo punto il denaro perde praticamente valore e si ritorna al baratto delle merci.

I barbari I confini, molto estesi, sono difficili da difendere. Alcune popolazioni “barbare”, provenienti dall’Asia, incominciano a “premere” sull’Impero. Tra queste popolazioni in particolare ci sono i Germani che esercitano una pressione costante sui confini settentrionali.

2. Diocleziano, la tetrarchia e Costantino Nel 284 d.C. l’imperatore Diocleziano, per cercare di risolvere questi problemi, pensa di dividere i territori imperiali in quattro grandi regioni per rendere più facile il loro governo, introducendo la tetrarchia (“governo dei quattro”). I territori d’Occidente vengono affidati all’Augusto d’Occidente, l’Oriente all’Augusto d’Oriente. Ciascuno dei due Augusti sceglie poi un Cesare a cui assegnare i restanti territori. In questo modo Diocleziano cerca di controllare meglio il territorio ma anche di impedire la lotta per il potere. Infatti alla morte di un Augusto doveva succedere il suo Cesare che nominava a sua volta un nuovo successore. Diocleziano inoltre decreta che il potere imperiale ha origine divina, cioè proviene

Augusto: appellativo conferito dal senato a Cesare Ottaviano nel 27 a.C., con il quale inizò l’Impero Romano; poi divenne cognome degli imperatori romani.


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Parte prima La fine di un mondo

Tetrarchia Editto: fondamentale legge imperiale.

dagli dèi, in questo modo cerca di ristabilire l’autorità del sovrano. Sistemato il problema della successione si dedica alla riforma dell’amministrazione delle diverse regioni dell’Impero. Per rafforzare e facilitare il controllo dello Stato, aumenta il numero delle province, rendendole così più piccole e più facilmente amministrabili; separa poi il potere civile da quello militare, limitando l’autorità dei governatori per cercare di evitare eventuali rivolte. Per completare l’opera di rafforzamento dello Stato, Diocleziano riorganizza l’esercito e lo porta da 300.000 uomini a quasi mezzo milione. Inoltre incomincia ad arruolare anche i barbari, dato che i cittadini romani sono sempre più contrari all’arruolamento. Diocleziano inizia a ritenere che i cristiani siano divenuti una vera e propria minaccia per l’Impero, dal momento che si rifiutano di sacrificare in onore dell’imperatore; i fedeli cristiani infatti non accettano di riconoscere e osannare l’imperatore come u Dio vivente. Perciò nel 303 comincia un’altra terribile persecuzione dei cristiani; viene emanato un primo editto con sanzioni piuttosto severe: la perdita dei diritti civili per i liberi, l’incapacità di conseguire la libertà per gli schiavi, la distruzione delle chiese, dei libri e degli oggetti di culto, l’imprigionamento dei capi del clero. La libertà ai cristiani è concessa solo se accettano di rendere culto all’imperatore e viene stabilito per tutti i sudditi l’obbligo di sacrificare agli dei dell’impero: sistema ritenuto infallibile per individuare i cristiani e reprimerli con maggiore forza.

Costantino riunisce l’Impero

Costantino

Fonte storica: abbiamo studiato che il passaggio dalla preistoria alla storia avviene per l’avvento della scrittura. Le fonti sono documenti di quel periodo che ci testimoniano il passato; possono essere “mute”, come i reperti preistorici, o “scritte”.

Le riforme di Diocleziano, però, non hanno avuto l’efficacia da lui sperata, in particolare la divisione dell’Impero non solo non si rivela utile, ma invece di impedire la lotta per il potere ne scatena una ancora più grande dopo la morte dell’imperatore stesso. Scoppia, infatti, una terribile guerra civile per il potere tra Augusti e Cesari: Costantino, Massenzio, Licinio e Massimino. La lotta dura parecchi anni e alla fine trionfa Costantino. Costantino è un uomo molto forte, che ama e cerca il potere, è un grande generale e anche un buon amministratore e legislatore. É un uomo religioso ed adora la divinità solare del Sole Invitto, un culto molto diffuso in tutto l’Impero. Mentre i suoi consiglieri cercano di dissuaderlo, egli decide di scendere in Italia e dare battaglia a Massenzio, che governa l’Italia e l’Africa, ed è molto più potente di lui. Attaccando di sorpresa, riesce a conquistare tutta l’Italia settentrionale e si dirige verso Roma dove Massenzio lo attende per la battaglia decisiva. Costantino, la notte prima della battaglia, ha una visione che gli dice di mettere sui soldati il segno di Cristo e poi di avere il coraggio di affrontare il nemico, perché con quel segno avrebbe vinto. Al mattino nel cielo splende una croce con la scritta “In hoc signo vinces” (in questo segno vincerai), così Costantino si decide e ordina di mettere su tutti gli scudi e gli elmi le prime due lettere del nome di Cristo in greco. É la prima volta che un esercito romano combatte con insegne diverse da quelle dello Stato. Il 28 ottobre del 312 si combatte sul ponte Milvio, alle porte di Roma. Costantino, nonostante la grande inferiorità numerica, vince Massenzio ed è convinto di dover la vittoria a Gesù. Da allora in poi il nome di Cristo sarà sempre sulle insegne e il suo esercito marcerà sotto la protezione del Dio dei cristiani.

La fonte storica

Grazie al racconto fatto da Costantino stesso qualche anno dopo la battaglia di ponte Milvio, possiamo sapere come andarono i fatti, raccolti dallo storico Eusebio di Cesarea nella “Vita di Costantino”: «É ormai il tramonto, e sopra il sole declinante si disegna in cielo un segno di luce.


La fine dell’Impero Romano Unità 3

Grida di stupore corrono fra le truppe, mentre il segno si svela: sembra una croce, sopra la quale campeggiano queste parole: “Con questo vinci”. La divinità ha parlato, ma cosa vuol dire? Scosso e pensieroso, Costantino si ritira nella sua tenda per riposare. Ed è nel sonno - così almeno gli pare - che Dio torna a visitarlo: è quel Dio di cui si parla da tempo, nell’impero, quel Dio che ha preso forma umana con il nome di Cristo. E Cristo lo incita ad usare il segno della croce come scudo contro i nemici. Il mattino seguente, 28 ottobre 312, Costantino chiama i cristiani presenti nel suo esercito perché gli spieghino la duplice visione. E ne trae una nuova convinzione: è il Dio dei cristiani che può dargli la vittoria. Ordina quindi di dipingere sugli scudi dei legionari il simbolo visto in cielo e si prepara alla battaglia, perché l’esercito di Massenzio ha attraversato il Tevere e fra poco scorrerà sangue romano. Nel frattempo, a Roma, il suo rivale assiste ai giochi del circo; forse vuole mostrare sicurezza. Ma tra la folla si levano con insistenza delle voci: per caso Massenzio si disinteressa della salvezza pubblica? Sino a quando qualcuno grida: “Costantino non può essere vinto!” Costernato, Massenzio fa subito consultare i Libri sibillini, che sentenziano: “Oggi il nemico dei romani perirà”. E chi può essere quel nemico se non il suo rivale? É così che Massenzio si precipita verso il luogo della battaglia. [...] Raggiunto il luogo, Massenzio non può fare altro che contemplare la disfatta del suo esercito. Solo i pretoriani, con i loro mantelli rossi e le insegne dello scorpione, resistono, mentre tutti gli altri cerano scampo presso un ponte di barche alle loro spalle, sul quale sono passati quella mattina. Massenzio si precipita in avanti, ma viene travolto dalla calca, talmente forte che lo stesso ponte finisce distrutto: il giovane imperatore e i suoi uomini annegano nelle acque del Tevere, mentre gli avversari li incalzano da ogni lato.»

Nuovi simboli del potere imperiale La lancia di Longino

Un esempio della cristianizzazione dei simboli del potere imperiale è la lancia di Longino. Nel Vangelo è descritto come uno dei legionari romani a guardia della croce che trafisse con la sua lancia Gesù. La tradizione diede il nome di Longino a quel soldato. Il ritrovamento della lancia è attribuito a Costantino, che la fece diventare uno dei nuovi simboli del potere imperiale. La lancia fu tramandata da imperatore a imperatore e quando cadde l’Impero Romano venne conservata come una reliquia fino ai giorni nostri. Un esame radiografico della lancia ha mostrato, all’interno dell’involucro d’oro, un pezzo di legno. É probabile quindi che in realtà non si tratti della vera lancia di Longino, ma di una lancia romana su cui venne incastonato un pezzo della vera croce su cui fu crocifisso Cristo. Infatti, S. Elena, che era la madre di Costantino, ritrovò il luogo in cui era stato crocifisso Cristo con i resti della croce e fu lei, secondo la tradizione, a donare la lancia al figlio.

Il Cristogramma

Il Cristogramma è il simbolo che Costantino fece mettere sugli scudi nella battaglia contro Massenzio ed è la sovrapposizione delle iniziali greche del nome di Gesù Cristo. Spesso era accompagnato anche dall’ Alfa e dall’Omega, che sono la prima e l’ultima lettera dell’alfabeto Greco, per significare Gesù Cristo inizio e fine di tutte le cose. Dopo la vittoria di Costantino, il Cristogramma comparve su tutti gli emblemi imperiali e divenne il simbolo che accompagnò sempre la figura dell’Imperatore in tutte le sue rappresentazioni.

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Il Chi Rho, il segno apparso a Costantino. La X e la P sono le lettere greche “chi” e “rho”, ossia le due iniziali della parola Khristòs, l’appellativo di Gesù. Spesso nel simbolo sono presenti la prima e l’ultima lettera dell’alfabeto greco, l’alfa e l’omega, cioè Cristo l’inizio e la fine di tutto, anche della storia.


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Parte prima La fine di un mondo

La fine delle persecuzioni Con questa vittoria, Costantino diventa padrone di tutto l’Occidente. Nel 313 viene emanato l’Editto di Milano, chiamato anche Editto di Costantino, che riconosce il Cristianesimo come religione legittima e lascia quindi liberi i cristiani di professarla: sono restituiti anche tutti i beni confiscati, comprese chiese e cimiteri, che vengono dati in proprietà alla Chiesa. L’Editto di Milano è molto importante, non solo perché pone fine alle persecuzioni dei cristiani, ma anche perché di fatto la religione cristiana diventa la religione degli imperatori. Infatti, anche dopo Costantino, gli imperatori porranno sempre il Cristogramma insieme alle insegne imperiali e nel giro di pochi decenni la religione cristiana diverrà la religione ufficiale di Roma. L’arco di Costantino a Roma. Sullo sfondo, il Colosseo.

Costantinopoli Sotto Costantino, per l’ultima volta, tutto l’Impero è riunificato sotto un’unica guida. Nella sua legislazione si trovano tracce evidenti della nuova concezione della persona portata dal cristianesimo: vieta che i condannati ai lavori forzati e ai giochi nel circo vengano marchiati a fuoco in faccia, riconosce ai cristiani la possibilità di rendere uomini liberi gli schiavi. Costantino rifiuta inoltre che vengano compiuti sacrifici in suo onore, l’imperatore non è più un Dio, ma un uomo eletto guidato da Dio che deve essere onorato ma non adorato. Per concludere la ricostruzione dell’Impero, Costantino fa costruire una nuova città, edificata sull’antica Bisanzio, che si trovava al centro di eccellenti vie di comunicazione sia terrestri che marine verso i principali centri dell’Impero, che dominava gli stretti strategici del Bosforo e dei Dardanelli, e che, nel progetto di Costantino, servirà da capitale per l’Impero d’Oriente. Nasce così una nuova Roma tutta cristiana, libera dalle tradizioni pagane, una città ricca e potente, piena di palazzi, chiese e basiliche. É la città di Costantinopoli che diverrà importantissima sia nella storia d’Oriente, sia in quella d’Occidente e che tutt’oggi esiste con il nome di Istanbul, capitale della Turchia.

3. La divisione dell’Impero Nonostante le capacità politiche ed organizzative di Costantino, l’Impero non riesce a risollevarsi dalla sua crisi, anzi, la situazione va sempre più peggiorando. Per questo Teodosio, l’ultimo grande imperatore romano, decide nel 395 d.C. di dividere l’Impero in due mettendone alla guida i suoi due figli. Nasce così l’Impero Romano d’Occidente, con capitale Milano e in seguito Ravenna e l’Impero Romano d’Oriente, con capitale Costantinopoli. I due regni non si riuniranno mai più ed avranno una storia molto diversa, infatti l’impero d’Occidente poco dopo crollerà mentre quello d’Oriente vivrà per altri 1000 anni circa. Un’altra riforma molto importante apportata da Teodosio è il riconoscimento del Cristianesimo come religione dello stato romano con l’Editto di Tessalonica (del 380) e, con una successivo editto, la proibizione del culto pagano.


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La fede cristiana diventa così l’unica religione di Stato.

Paganesimo Il termine pagano nasce con intento dispregiativo quando il Cristianesimo è ormai diventato la religione più diffusa ed ha soppiantato tutte quelle che sono le tradizioni religiose romane. Pagano deriva dal latino “pagus”, che significa “villaggio”. Il pagano è l’abitante delle campagne e dei villaggi che continua a praticare le antiche religioni a differenza del cittadino che si è convertito al Cristianesimo. Infatti la città, oltre che luogo di scambi materiali, è anche luogo di circolazione di idee ed è qui che il Cristianesimo si è principalmente diffuso e sviluppato, mentre nelle campagne isolate e lontane dai luoghi di comunicazione continuano per molto tempo i culti delle antiche divinità, oppure un misto tra queste e il Cristianesimo.

4. I Germani Da secoli i Romani devono affrontare la minaccia dei barbari che tentano di entrare nell’impero. Barbaro è una parola dispregiativa che indica tutti i popoli nomadi o semi nomadi che vivono fuori dai confini dell’Impero e che periodicamente cercano di entrarvi attirati dalle ricchezze e dalla prosperità delle città romane. Per semi nomadi si intendono quelle popolazioni dedite all’allevamento o all’agricoltura primitiva che, esaurite rapidamente le risorse del terreno, sono costrette a spostarsi. Tra queste popolazioni barbariche, una delle più numerose è quella dei Germani che fin dai tempi di Cesare hanno minacciato l’Impero. I Germani, come tutte le genti barbare, non hanno il concetto dello Stato. Sono divisi in tribù fondate sul legame di sangue, cioè sull’unione di più famiglie; inoltre la società germanica è di carattere patriarcale, ossia le famiglie sono guidate dall’autorità del più anziano dei discendenti maschili. L’unica forma di politica organizzata è un’assemblea degli uomini liberi ed in armi che si tiene in primavera per discutere della guerra, della pace e di questioni di comune interesse. Ogni capo tribù ha al suo seguito un gruppo di giovani guerrieri che devono essergli fedeli fino alla morte. É il principio della fedeltà personale che per i Germani è sacro: infatti è particolarmente disonorevole il tradimento della parola data, come disonorevole è la codardia.

Barbaro: il termine veniva utilizzato in passato dai Greci, per indicare coloro che non sapevano parlare in lingua greca, e dunque “balbettavano”. La parola ha quindi un’origine onomatopeica, ma che nel suo significato poco si presta per i “barbari” a contatto con i Romani, dato che spesso conoscevano molto bene la lingua latina, almeno i loro capi.

Questa è la descrizione di Giulio Cesare delle popolazioni germaniche incontrate durante le sue campagne militari: “Tra di loro non esiste assolutamente proprietà privata e la terra è spartita equamente, né è permesso ad alcuno di rimanere più di un anno ad esercitare l'agricoltura. Si cibano poco di frumento, ma soprattutto di latte e carne. Esercitano la caccia che serve loro sia per l'alimentazione sia per l'addestramento quotidiano, sia per la libertà di vita, poiché fin da ragazzi sono abituati a non rispettare alcuna disciplina, ...sia aumenta le loro forze sia fa crescere le loro corporature in modo smisurato... Concedono ai mercanti di entrare nei loro territori per avere qualcuno a cui vendere i loro bottini di guerra, più che per importare beni. Essi non importano nemmeno i cavalli... Nei loro combattimenti tra cavallerie, spesso scendono da cavallo e combattono a piedi. Hanno infatti addestrato i cavalli a rimanere sul posto, e quando ne hanno bisogno ritornano rapidamente a cavalcarli... e non adoperano la sella... Non permettono che sia importato nel loro paese il vino, perché credono che renda gli uomini effemminati e troppo deboli per resistere alla fatica.”

La giustizia La giustizia si regge su leggi semplici e dure: pene di morte per i ladri, per gli assassini e le donne che tradiscono gli uomini, ma non c’è un tribunale per farle rispettare. Le offese vengono infatti vendicate privatamente attraverso la faida, cioè la vendetta privata, o il guidrigildo, ossia un compenso in denaro. Un’altra pratica molto diffusa nella legge germanica è l’ordalìa o “giudizio di Dio”. É una procedura giudiziaria per decidere in caso di gravi reati se l’imputato sia colpevole o innocente. L’accusato

tratto dal De Bello Gallico


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viene sottoposto a dure prove nelle quali deve sopportare il dolore o battersi in duello con un campione della parte che lo accusa. Se riesce a vincere il dolore o l’avversario, l’accusato è considerato innocente. L’ordalìa si basa sulla convinzione che Dio assista l’accusato impedendo che venga sopraffatto: per questo viene chiamata anche “giudizio di Dio”. La Chiesa condannerà in seguito questa pratica, ma rimarrà in uso nel diritto germanico fino al XVI secolo.

La società

Adalingi è la classe sociale più elevata. ne fanno parte i germani nobili per nascita o che si sono dimostrati più valorosi in battaglia.

La società germanica è composta dagli Arimanni che sono gli uomini liberi, principalmente cacciatori-guerrieri; esistono poi i nobili per nascita o perchè si dimostrano valorosi guerrieri (gli Adalingi); poi ci sono coloro che devono compiere la maggior parte dei lavori pesanti o legati alla coltivazione della terra, gli Aldii, cioè la popolazione più umile ed infine gli schiavi, quasi sempre prigionieri di guerra o civili catturati durante le razzie. Le continue guerre o saccheggi servono quindi non solo per depredare ricchezze, ma anche per aumentare o reintegrare la forza lavoro.

Abili artigiani Nonostante l’organizzazione sociale piuttosto arretrata e la vocazione spiccatamente guerriera, alcune tribù germaniche sviluppano una notevole abilità artigianale, in particolare nell’uso dei metalli. La qualità delle loro armi è infatti assolutamente eccezionale, addirittura superiore a quella dei Romani. Anche il ritrovamento di diversi gioelli e utensili di ferro documenta questa loro abilità.

La religione Arimanni sono gli uomini liberi. Godono di molti privilegi e sono i soli a portare le armi.

Aldii sono semiliberi. Coltivano la terra e lavorano alle dipendenze di un arimanno. Hanno alcuni diritti, anche se meno degli arimanni. Possono sposarsi.

Antropomorfe: di forma umana (deriva dal greco ànthropos - uomo - e morphé - forma o figura -).

La carenza di fonti impedisce di conoscere a fondo la mitologia e la religione dei germani: le loro fonti (archeologiche, rune e poemi) sono spesso di difficile interpretazione, mentre le fonti latine e greche sono tardive e scarsamente obiettive per l’evidente difficoltà di capire culture estranee a quelle del loro mondo. Un altro elemento che rende complicato comprendere la loro religione è la grande quantità di tribù germaniche, ognuna con contenuti mitologici e religiosi leggermente diversi dalle altre. Comunque, nonostante le differenze e le difficoltà di interpretazione storica, sono rintracciabili elementi comuni che costituiscono l’ossatura della religione e della mitologia germanica giunta a noi grazie soprattutto alle fonti scandinave. Tacito (storico romano) scrive che i Germani non hanno una casta sacerdotale, nè effigi religiose, né santuari, né luoghi sacri; queste sono indicazioni importanti anche se non del tutto corrette, perché sono state trovate rappresentazioni religiose antropomorfe. Sono inoltre politeisti ed è accertato che un ruolo importante nella società e nel culto religioso viene riservato agli sciamani, stregoni ritenuti dotati di particolari poteri che permettono loro di mediare tra il mondo dei vivi e quello degli spiriti, intesi sia come entità divine che demoniache.

Fieri e violenti guerrieri La comprensione della religione germanica è utile per cercare di entrare nella mentalità di queste popolazioni caratterizzate da una notevole abilità e violenza nel combattimento, unite ad uno spirito di indipendenza e senso dell’onore che le hanno rese impossibili da domare durante il lungo periodo del dominio romano. In particolare la durezza dei contenuti della loro religione fa emergere una società fortemente votata alla guerra, in cui la violenza e il combattimento sono le leggi che regolano l’Universo. É importante prendere coscienza di questo aspetto della cultura germanica, perché questi popoli non sono solo protagonisti della caduta di Roma, ma anche, come vedremo, della nascita dell’Europa durante il medioevo, in quanto proprio dalla fusione


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e mescolamento con questi popoli hanno origine quasi tutte le nazioni europee.

5. Le invasioni barbariche Chi innesca gli avvenimenti che portano all’invasione di massa dell’Impero è una popolazione asiatica: gli Unni. Questi decidono di migrare verso ovest, spinti dal rafforzamento dell’Impero Cinese. Per compiere questa impresa le tribù unne eleggono un’orda. Questa parola significa “tenda del capo” ed proprio a causa I popoli barbarici delle invasioni che nella nostra tradizione prende il significato di un gruppo di genti nomadi dedite alla razzia, alla rapina e alla distruzione. I Germani erano composti da nuPer gli Unni significa invece porsi sotto la guida di un capo per compiere merose tribù, spesso in lotta tra un’impresa difficile e pericolosa che richiede l’unità di tutti i clan. loro. Riportiamo l’elenco di quelLa migrazione dell’orda inizia nel primo secolo dopo Cristo ed arriva ai le più importanti: confini dell’Impero dopo 300 anni. Angli Sassoni Un popolo nomade dell’Asia Goti Gli Unni sono una popolazione nomade di origine mongola, che vive Gepidi nelle steppe asiatiche. Hanno capelli neri e occhi scuri di taglio obliquo. Éruli Sono abilissimi nell’uso del cavallo, ogni guerriero ne possiede sette. Marcomanni Le loro abitazioni sono case su ruote, cioè carri chiusi da tende molto Quadi grandi e confortevoli. L’orda arriva in occidente, seguendo la direzione Vandali del sole, intorno alla metà del IV secolo. Arrivati in Ucraina incontrano Burgundi i primi Germani: le tribù degli Ostrogoti. Alemanni I cavalieri mongoli si lanciano contro di loro al galoppo e poi, prima di Franchi essere a portata di tiro, frenano bruscamente e fanno finta di ritirarsi a Juti tutta velocità; invece si voltano e scoccano le loro frecce micidiali. Ostrogoti Gli Ostrogoti, che tirano pesanti lance di legno, non riescono neanche Visigoti a sfiorarli. In breve tempo gli Ostrogoti vengono travolti e in preda al Suebi terrore cominciano a fuggire verso i confini dell’Impero. Longobardi

Un effetto a catena Incalzati dagli Unni, gli Ostrogoti si spostano precipitosamente verso occidente sospingendo a loro volta i Visigoti. Questi, in preda al terrore, guadano il fiume Danubio, che rappresentava il confine dell’Impero Romano, e tentano di entrare


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in Grecia. L’imperatore romano d’Oriente invia l’esercito a fermarli, ma intanto i Visigoti si sono accordati con gli Unni e, insieme, sbaragliano le sue legioni. La vittoria rende audaci i Visigoti, trasformando quella tribù di uomini, donne e bambini disperati in un’orda assetata di bottino. Guidati dal re Alarico entrano in Italia e devastano Aquileia. Alcuni degli abitanti fuggono nella laguna veneta e, sui suoi isolotti, fondano il primo nucleo della futura Venezia.

Il primo saccheggio di Roma Intanto i Visigoti proseguono verso sud e arrivano a Roma, la saccheggiano per tre giorni, mettendola a ferro e fuoco. É l’anno 410. La notizia di questo evento, passato alla storia come “Sacco di Roma”, suscita ovunque una forte impressione e senso di terrore. I pagani piangono la violazione della città dei Cesari, i cristiani quella del Diplomazia: condotta di luogo dove è avvenuto il martirio dei santi Pietro e Paolo. negoziazioni o trattative tra Molti tra i cristiani inoltre pensano che quell’evento terribile preannunci il Giorno persone, gruppi o stati. del Giudizio e la fine del mondo. San Girolamo, tra i più colti uomini del V sec., sentenziava: «É caduto il principio di unificazione del mondo. Siamo distrutti». Attila ha sempre suscitato l’idea di uno spietato condottiero, stimolando la fantasia di molti artisti; ad esempio qui sotto, in un medaglione del XVI sec. viene raffigurato con le fattezze del demonio. Più sotto, una miniatura che raffigura l’incontro tra papa Leone Magno e il re degli Unni.

6. La fine dell’Impero Romano Nel 445 d.C. gli Unni sotto la guida di Attila invadono l’Impero, tale è la ferocia e la violenza dell’Orda che il loro capo viene soprannominato “il flagello di Dio”. Nel 452 Attila attacca l’Italia. Una dopo l’altra cadono Aquileia, Pavia e Milano, saccheggiate e in parte distrutte. Molti veneti si difendono nelle isolette che diverranno poi la città di Venezia. Poco dopo, sul fiume Mincio, nelle vicinanze di Mantova, un’ambasceria lo raggiunge. É comandata da tre uomini, due politici ed un ecclesiastico, papa Leone I. Tutti e tre erano accomunati al generale Ezio, che già aveva combattuto contro Attila, rendendosi però conto di non avere sufficienti forze per annientarlo. Così Ezio, che non può fermare di nuovo Attila con le armi, tenta di arginarlo con questa delegazione, tramite la diplomazia. Forse a causa di una malattia contagiosa (probabilmente malaria) che ha colpito l’esercito unno, unita ad un tributo in oro e,


La fine dell’Impero Romano Unità 3

infine, alla minaccia dell’esercito Imperiale d’Oriente che si radunava alle sue spalle, sta di fatto che il re unno si ritirò. Per questo motivo Papa San Leone Magno è entrato nella storia come l’intermediario che ha fermato Attila.

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Raffaello, l’incontro tra papa Leone Magno e il re degli Unni, Attila.


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Parte prima La fine di un mondo

Le invasioni dei popoli barbari Già a partire dal III sec. d.C. i popoli barbarici premono sui confini dell’Impero, come possiamo vedere dalla cartina: sul fiume Reno spingevano Franchi ed Alamanni, sul Danubio Vandali, Burgundi e Goti, suddivisi in Ostrogoti e Visigoti; a est, fra il Don e il Volga Sassoni, Svevi, Longobardi, Alani e gli Éruli in Crimea, che premevano a loro volta sui popoli che li avevano preceduti nell’invasione dell’Impero. La debolezza dell’Impero Romano d’Occidente è ormai evidente a tutti e quindi le tribù germaniche si lanciano sui confini fortificati, superano il fiume Reno e dilagano verso occidente con donne, bambini, carriaggi e animali, saccheggiando città e campagne. In poche decine di anni l’Impero perde la Gallia, la Spagna, la Britannia e l’Africa settentrionale al posto dei quali si formano regni romano-barbarici. Nel 455, i Vandali, una tribù germanica tra le più feroci, sbarcano nel porto di Ostia e saccheggiano nuovamente Roma: questa volta la città subisce il sacco per ben 15 giorni. Roma diviene sempre più irriconoscibile e devastata, anche se massacri e incendi questa volta sono stati ridotti, soprattutto per merito del vescovo della città, quel papa Leone I che già aveva incontrato Attila. Durante la confusione generale, Leone è l’unico che cerca di trattare con i Vandali, a quanto sembra riuscendo a patteggiare una certa moderazione da parte del popolo barbaro: ottiene dai Vandali il rispetto della vita degli abitanti, ma non riesce ad impedire l’atroce saccheggio. Ormai è la Chiesa che deve sempre più assumersi incarichi politici: le strutture istituzionali dell’impero sono fragili se non addirittura crollate in molti casi e gli unici in grado di sopperirvi sono gli uomini di Chiesa. Ormai il crollo dell’Impero è vicino. Gli imperatori che si pongono sul trono in questo periodo sono deboli e inetti, la fine è ormai inevitabile: sale al trono un ragazzo di 13 anni che, per ironia della sorte, si chiama Romolo, come il mitico fondatore di Roma, e che per disprezzo, viene soprannominato Augustolo (“piccolo Augusto”).


La fine dell’Impero Romano Unità 3

Dopo un solo anno di regnanza, il capo della guardia imperiale Odoacre, re degli Éruli, depone l’ultimo imperatore e ne prende il posto. Tuttavia il re barbaro non assume il titolo di imperatore, ma semplicemente quello di patrizio: invia infatti le insegne imperiali all’Imperatore d’Oriente Zenone e si proclama praticamente re con il solo titolo di Patricius (patrizio, signore) a nome dell’imperatore d’Oriente; siamo nel 476 d.C. e questo avvenimento segna la fine dell’Impero Romano d’Occidente.

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Parte prima La fine di un mondo


La fine dell’Impero Romano Unità 3

Impero Romano nel IV secolo

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San Benedetto da Norcia

476 d.C.

480 d.C. 553 d.C.

Fine dell’Impero romano d’Occidente

Clodoveo re dei Franchi si converte al Cristianesimo

496 d.C.

530 d.C. circa San Benedetto fonda il monastero di Montecassino

553 d.C. Fine della guerra Greco-Gotica


PARTE SECONDA

NUOVI IMPERI

L’ALTO MEDIOEVO - la lontana Età di Mezzo

Muore Giustiniano imperatore

565 d.C. 568 d.C.

Carlo Martello vince gli Arabi a Poitiers

Sacco di Roma da parte dei Longobardi

590 d.C.

I Longobardi invadono l’Italia

643 d.C.

732 d.C.

Editto di Rotari

800 d.C. Carlo Magno imperatore del Sacro Romano Impero


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Parte seconda

Unità 4

I regni romano-germanici Unità 5

La civiltà medievale

Unità 6

L’Islam Unità 7

Carlo Magno e il Sacro Romano Impero Unità 8

Decadenza del Sacro Romano Impero


I regni romano-barbarici Unità 4

1. I regni romano-germanici Le invasioni barbariche si abbattono come un uragano sull’Impero Romano d’Occidente e demoliscono tutte le sue strutture: crolla lo stato, si disgrega l’esercito, sparisce la rete di commerci che va dalla Spagna alla Turchia, dall’Inghilterra all’Africa settentrionale, vanno in rovina i ponti, le strade, gli acquedotti e tramonta la vita cittadina. I Romani di tutte le regioni smettono di ritrovarsi nelle piazze, di andare a teatro e agli spettacoli del circo. La popolazione si riduce a vagare tra edifici in rovina o a tentare di strappare quantità ormai insufficienti di cibo alla terra che i loro antenati avevano fatto coltivare da milioni di schiavi. Sul piano della vita civile le invasioni rappresentano dunque una grande frattura tra la vita prima della caduta dell’impero e il dopo. Al di sotto di questa spaccatura corre un filo che non si è mai spezzato e che, con un lavoro di secoli, ha reso possibile trasformare il crollo di un Impero in una civiltà nuova: la civiltà europea. Questo filo è il cristianesimo. La religione cristiana porta con sé un nuovo modo di concepire i rapporti umani, le regole morali e i rapporti con il potere civile. É dunque il cristianesimo, grazie ad una paziente ed instancabile opera di conversione svolta tra i barbari, a fare da collante tra il grande patrimonio classico delle terre mediterranee e i nuovi popoli venuti dal Nord e dall’Asia. É il cristianesimo la continuità che percorre la civiltà europea. E, come tutte le continuità, anche questa si misura nei secoli e nei millenni, non nei giorni, negli anni o nei decenni.

Incontro tra popoli Dalla disgregazione dell’Impero, ad opera dei Germani, si formano i regni romanogermanici, chiamati così perché nascono dall’incontro e dalla parziale fusione tra la società germanica e quella romana. Ovunque i sovrani germanici impongono il loro potere militare e si impadroniscono delle terre, poi lentamente e in modo diverso da regno a regno, inizia una fusione con le popolazioni locali. Per esempio i Visigoti e i Burgundi mantengono gran parte delle

Tolbiac

REGNI ROMANO-GERMANICI DOPO LE PRIME INVASIONI

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Parte seconda Nuovi imperi

leggi romane e favoriscono la fusione del loro popolo con la gente del luogo. Al contrario, i Vandali sottomettono violentemente le varie popolazioni ed impongono le proprie leggi o, meglio, usanze. Gli Ostrogoti in Italia e i Franchi in Gallia adottano una via intermedia. Questi ultimi, in particolare, possono rappresentare un esempio importante sia per comprendere il modo in cui queste popolazioni barbare si convertono sia perché diventeranno il popolo più importante nella storia del medioevo. Clodoveo, re dei Franchi

Bellicosi: questo aggettivo deriva dalla lingua latina; bellum significava infatti “guerra”, quindi l’aggettivo indica un popolo violento e guerrafondaio.

La regina Clotilde, moglie di Clodoveo, re dei Franchi

Re Clodoveo Clotilde.

e

Santa

La conversione dei Franchi

Durante le invasioni barbariche i Franchi si spostano dalla zona germanica ad est del fiume Reno al nord della Gallia, l’attuale Francia, ad ovest del Reno. É il popolo barbaro più fieramente attaccato alle tradizioni germaniche e al paganesimo oltre che uno dei più bellicosi; infatti il loro re Clodoveo (466-511) riesce, attraverso numerose battaglie, ad allargare il regno del suo popolo a tutta la Gallia, riunificando tutte le tribù dei Franchi. Indubbiamente l’evento decisivo della vita di Clodoveo è la sua conversione al cattolicesimo. Questo re dei Franchi è discendente di Meroveo, perciò appartiene alla dinastia dei Merovingi; Clodoveo prende in sposa la principessa burgunda Clotilde, cattolica e fortemente religiosa, che cerca in ogni modo di convertire il marito con la sua dolcezza e devozione, anche a prezzo di grandi difficoltà. Infatti Clotilde riesce a convincere il marito a far battezzare il loro primogenito; questi però muore subito e il marito accusa il Dio cristiano della moglie per la morte del figlioletto. Quando nasce il secondo figlio, Clotilde riesce di nuovo a farlo battezzare, ma anche questo cade malato in modo gravissimo: allora Clodoveo diviene furioso verso i cristiani. Il bimbo però guarisce, si dice miracolosamente, e ciò inizia a cambiare l’animo del re. Durante la guerra con gli Alemanni, in una battaglia decisiva a Tolbiac, vicino a Colonia, l’esercito franco sta per essere sbaragliato; Clodoveo decide allora di rivolgersi al Dio della moglie, facendo voto di battezzarsi in cambio del rovesciamento dell’esito della battaglia, gridando: “Dio di Clotilde, dammi la vittoria e non avrò altro Dio all’infuori di te!”. Cosa sia successo non è possibile determinarlo, fatto sta che gli Alemanni fuggono disordinatamente, come presi dal terrore. La vittoria franca è totale. Dopo l’incredibile e inaspettato successo della battaglia di Tolbiac, Clodoveo si fa battezzare a Reims (e con lui circa tremila suoi ufficiali e soldati) la vigilia di Natale del 496, dal vescovo san Remigio, che pronuncia la celebre frase: “Abbassa il capo, condottiero; adora quel che bruciasti e brucia quel che adorasti!”. Inoltre, Remigio lo unge Re con l’olio santo: è la prima incoronazione cristiana, rito sacro che verrà perpetuato per più di mille anni dai Re di Francia e da tutti i sovrani d’Europa. La conversione di Clodoveo e dei Franchi al cattolicesimo ha un’importanza eccezionale nella storia dell’Europa. Negli anni successivi Clodoveo estende ulteriormente i suoi domini e riunisce molti popoli barbari sotto un’unica monarchia da lui guidata. Il regno dei Franchi, che diverrà il regno di Francia, svolgerà un ruolo di primaria importanza nella storia della Chiesa e nella nascita dell’Europa. La Francia sarà sempre considerata dai Papi la figlia primogenita della Chiesa. É interessante notare come continuamente in storia si narri di grandi personaggi come re e imperatori, ma spesso si dimentica che dietro di loro ci sono un popolo e grandi persone, spesso donne, di cui non si parla, come ad esempio la regina Clotilde.


I regni romano-barbarici Unità 4

La fonte storica

Leggiamo una cronaca del tempo che descrive la carestia che seguì alla devastazione delle invasioni: Si avvicinava l’estate e il grano cresceva spontaneamente, ma in quantità assai inferiore al solito, perché non era stato deposto con l’aratro nei solchi, ma era rimasto in superficie e poiché non c’era nessuno che lo mietesse, cadeva giù una volta maturo e non nasceva più nient’altro … la maggioranza delle persone era colpita da ogni sorta di malattie ed erano in pochi a salvarsi … più di cinquantamila contadini morirono di fame, molti di più morirono nella regione bagnata dal mare Ionio. Tutti diventavano magri e pallidi, sino a ridursi a pelle ed ossa e la bile aumentava nel corpo fino a farlo diventare di un colorito giallo.… molti morirono di fame e altri spinti dalla fame, se vedevano un po’ d’erba sui campi, vi si buttavano sopra e in ginocchio, cercavano di strapparla, ma erano tanto deboli da non riuscire neanche a far questo, e stramazzavano a terra morti. E non c’era nessuno che pensasse a seppellirli e neppure gli uccelli rapaci si gettavano sui loro cadaveri, perché non c’era più un filo di carne da portar via. In questo brano viene descritto il difficile rapporto tra i nuovi padroni barbari e la società romana: Da un lato vivono gli eredi dell’antica aristocrazia, chiusi nelle loro ville, ancora ricche di biblioteche e di terme: testimoni rassegnati e indifferenti della rovina dell’Impero. Dall’altro comandano i Burgundi e i Visigoti, alti e biondi, vestiti di pelli, cacciatori e guerrieri, avidi e sopraffattori, dediti alla rapina e alla conquista. Quando i nobili romani si imbattono in un capo barbaro a cavallo seguito dalla sua scorta, smettono di fare battute sulla rozzezza dei nuovi padroni e abbassano la testa in segno di rispetto. Poi ci sono i vescovi, che rappresentano la dignità di Roma nelle città e, a differenza dei proprietari terrieri aristocratici, tengono le relazioni con il barbaro dominatore; ci sono i monaci, immersi nella preghiera e nello studio e infine c’è il popolo più umile.

La battaglia di Tolbiac

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Parte seconda

Nuovi imperi

La regina è sempre rimasta con pazienza al fianco del marito, fino a condurlo alla conversione al cristianesimo. Alla morte di Clodoveo scoppiano le lotte tra i figli, così Clotilde, per sanare la guerra fratricida, si affida con la preghiera a san Martino di Tours: infatti, dopo la morte del coniuge, si ritira presso la basilica di san Martino, per non essere più ritenuta una regina, ma una vera serva del Signore, e morirà nel 545 proprio nella città del vescovo santo. In seguito lei stessa verrà proclamata santa a furor di popolo.

I re fannulloni

I figli di Clodoveo non hanno però la sua stessa forte personalità e abilità di governo: descritti dai documenti del tempo come re incapaci di governare, passeranno alla storia come “re fannulloni”. Essi si spartiscono il regno del padre e ciò causa una lunga serie di lotte fra gli eredi, indebolendo il loro potere. Il regno verrà gestito dai ministri del re, i cosiddetti “maggiordomi” o “maestri di palazzo”.

2. Teodorico e gli Ostrogoti Nel 476 Odoacre, re degli Éruli, depone l’ultimo imperatore d’Occidente, come abbiamo già visto. L’imperatore d’Oriente, Zenone, inizialmente lascia la penisola italica in mano ad Odoacre, che però presto si espande: conquista infatti l’Illiria e la Sicilia, quest’ultima strappata ai Vandali. L’imperatore è preoccupato, così inizia ad organizzarsi per fermare Odoacre, pensando di spingergli contro Teodorico, il re degli Ostrogoti, popolo germanico federato all’Impero Romano d’Oriente e stanziato in Pannonia, l’attuale Ungheria. Questo re è addirittura figlio adottivo dell’imperatore Zenone. La proposta fatta a Teodorico viene accettata volentieri dal suo popolo: gli

La città e il porto di Bisanzio.


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Ostrogoti si muovono in circa 250.000 contro gli Éruli in Italia; se Teodorico vincerà in cambio diverrà Patricius al posto di Odoacre. Quest’ultimo si rinchiude nella città di Ravenna, ben protetto dalle paludi e dalle mura cittadine; resiste per tre anni, ma poi cede e si arriva ad una tregua: decidono di spartirsi il governo dell’Italia. Poco tempo dopo, Tedorico invita Odoacre ad un banchetto in cui viene poi assassinato. Teodorico diviene così il signore d’Italia: cerca di stabilire un’equilibrata convivenza tra il suo popolo e i romani. Conserva il sistema amministrativo dell’impero e si serve di esponenti dell’aristocrazia e della cultura romana come consiglieri (ad esempio i celeberrimi Cassiodoro, Simmaco e Boezio, quest’ultimo aiutante particolare di Teodorico, ma che verrà proprio dal re messo in carcere e poi condannato a morte). Tuttavia, verso la fine del suo regno, questo progetto di pacifica convivenza entra in crisi. Infatti gli Ostrogoti, come altri popoli germanici, si erano convertiti al cristianesimo, ma in una forma eretica chiamata arianesimo, eresia (dal greco airesis, signfica “errore”) diffusa nel IV secolo da Ario; come tutti gli eretici, anche Ario fornisce un’interpretazione del Vangelo non condivisa dal Papa e dalla Chiesa Cattolica fondata sui primi apostoli. In particolare Ario pensa che l’unità di Dio sia incompatibile con la pluralità delle persone divine, pertanto l’incarnazione e la resurrezione di Cristo non sono eventi divini; Gesù Cristo quindi, secondo questa eresia, non può avere natura divina, ma solo umana. Così dal 518 l’imperatore d’Oriente comincia a perseguitare gli eretici nei propri territori. Ciò determina forti contrasti tra gli Ostrogoti e l’impero d’Oriente, tanto che Teodorico si accanisce sui cattolici, perseguitandoli (in questa occasione trova la morte anche il filosofo Boezio). La situazione si aggrava dopo la morte di Teodorico.

3. Giustiniano e la guerra greco-gotica Proprio mentre il regno creato da Teodorico subisce una crisi dovuta alla morte del suo fondatore, l’Impero romano d’Oriente inizia a vivere il suo momento di massimo prestigio: l’età di Giustiniano, compresa tra il 527 e il 565. Il nuovo imperatore, dotato di una forte personalità, considera l’Impero bizantino come legittimo erede di quello romano e in breve tempo riesce a riunire nelle proprie mani tutti i poteri dello stato, imponendosi come sovrano assoluto. Per aumentare la stabilità politica dell’impero, Giustiniano decide di riformare il sistema legislativo. Egli, dunque, lega per

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eresia: molte sono state le interpretazioni errate del cristianesimo rispetto a quanto Gesù ha consegnato alla Chiesa; tuttavia quest’ultima ha provato più volte a fare chiarezza e a riconciliarsi nella verità con questi eretici, tramite la lunga azione di Concili, come quello di Nicea del 325 o quello di Costantinopoli del 381, dai quali uscirono le prime formulazioni del Credo, come oggi viene professato dai Cattolici, dagli Ortodossi e dai Protestanti.


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Parte seconda

Nuovi imperi

Codice: raccolta ordinata di leggi.

sempre il proprio nome a un’impresa colossale, portata a termine grazie a un vero e proprio esercito di tecnici, di esperti in diritto e di scrivani, che lavorano per anni fino a realizzare il Corpus Iuris Civilis: un grande codice consistente in una raccolta ordinata di leggi e giurisprudenza dell’intera tradizione romana, ricordata ancora oggi per il suo straordinario valore; questo codice è considerato il fondamento del diritto e costituisce il modello per l’ordinamento giuridico di quasi tutte le nazioni europee.

La riconquista bizantina Giustiniano vuole far rinascere l’impero romano riconquistando tutti i regni romanobarbarici nel Mediterraneo. Inizia quindi una serie di campagne militari nel Nord Africa contro i Vandali e in Italia contro gli Ostrogoti. Nel 532 l’esercito bizantino pone fine al regno dei Vandali in Africa. Particolarmente difficile si dimostra la guerra in Italia contro i Goti che prende il nome di guerra gotico-bizantina o greco-gotica. Contro tutte le previsioni di Giustiniano, infatti, le operazioni militari durano ben 18 anni (535-553), durante i quali la penisola è continuamente saccheggiata e devastata dagli Regina Teodora a corte eserciti avversari, le città italiane sono distrutte e depredate, gli abitanti costretti alla Mosaico -VI secolo - Chiesa fuga e alla miseria. di S.Vitale - Ravenna I successori di Teodorico non riescono a difendere l’Italia dagli eserciti greci, inviati da Giustiniano. In cinque anni (535-540) i Bizantini s’impadroniscono della penisola, pur contando su di un esercito di soli 10.000 uomini, comandati dal generale Belisario. Ma ben presto i Goti insorgono e, guidati dal re Totila, che in Verona consegue una grande vittoria (542), ricacciano i Bizantini. Giustiniano invia allora un esercito di 20.000 uomini, al comando del generale Narsete, e riesce a riconquistare l’Italia (551-553). Verona e Brescia sono le sole città che oppongono resistenza anche dopo la sconfitta degli Ostrogoti; vengono espugnate solo nel 555. Alla fine dunque, nel 553, Giustiniano vince, grazie ai suoi valorosi generali Narsete e Belisario, e organizza l’Italia come provincia del suo Impero, posta sotto il controllo di un funzionario bizantino, l’esarca. La Ecco le parole della regina città di Ravenna diviene capitale ed è l’unica città italiana a trarre vantaggio Teodora rivolte al marito dal dominio bizantino: in quanto sede del governo, essa è al centro dei traffici Giustiniano: commerciali e quindi viene arricchita e abbellita dagli splendidi mosaici di San Vitale e Sant’Apollinare. “...coloro che hanno portato una corona non possono La regina Teodora, la danzatrice sopravvivere alla sua perdita La grandezza di Giustiniano è certamente legata al fatto che questo imperatore [...] Salvati tu, o Cesare, se ha saputo circondarsi di validissimi collaboratori, come i celebri giuristi del lo desideri. Codice o come i generali Narsete e Belisario; tuttavia non possiamo dimenticare Hai tesori, delle navi ti che un ruolo determinante è stato svolto anche dalla regina Teodora. Prima di attendono, la via del mare è diventare moglie dell’imperatore, questa donna si dedicava al lavoro in teatro, libera. Quanto a me, io resto. come danzatrice, lavoro considerato poco rispettoso al tempo, tanto che lo zio di Approvo anch’io l’opinione Giustiniano, l’imperatore Giustino, dovette modificare la legge che impediva ai comune che ritiene essere la membri del senato di sposare attrici ed ex attrici, pur di permettere il matrimonio porpora il più bel lenzuolo al nipote. Teodora ebbe un ruolo determinante all’epoca di una rivolta contro il funebre.” potere imperiale, nel 532; Giustiniano avrebbe voluto darsi alla fuga, ma Teodora Procopio di Cesarea lo convinse a restare e a dare ordine di sedare la sommossa al giovane generale Belisario, il quale massacrò i ribelli: rimasero uccise circa 30.000 persone in un solo giorno, ma Teodora salvò il trono imperiale. Questa regina era cristiana, L’eresia monofisita, a diffeanche se appartenente all’eresia monofisita. renza di quella ariana, sostiene che Gesù abbia una sola natura (deriva infatti dal greco monos, «unico», e physis, «natura»), quella divina.


4. I Longobardi

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L’egemonia bizantina non dura molto, morto Giustiniano nel 565, l’impero d’Oriente inasprisce sempre più le tasse per coprire le enormi spese delle guerre. Perciò gli italici non oppongono grande resistenza quando, nel 568, i Longobardi con circa 150.000 uomini, un intero popolo, invadono l’Italia. Questi sono germani che si trovavano in Pannonia, l’odierna Ungheria, e che vengono spinti verso l’Italia dell’avanzata di un’altra popolazione barbarica, gli Avari. I Longobardi, guidati da Re Alboino, occupano parte delle regioni italiche centro-settentrionali (ancora una volta i veneti trovano riparo nella città di Venezia), infatti da loro deriva il nome dell’attuale regione Lombardia (Langobardia) in cui pongono la loro capitale: Pavia. Nei decenni successivi gruppi di questa popolazione si spingono a sud della Penisola, costituendo i ducati di Spoleto e di Benevento (v. cartina). L’invasione pone fine al sogno bizantino di riunificare l’Italia sotto il proprio dominio e porta nuove gravi devastazioni. I Longobardi, orribili nell’aspetto e molto più incivili dei precedenti invasori, compiono infinite prepotenze e crudeltà: infieriscono con uccisioni e rapine, impongono forti tributi, distruggono chiese e vescovadi. Questi barbari nel primo periodo si dedicano esclusivamente al saccheggio, solo più tardi incominciano a interessarsi alla coltivazione dei campi e alla creazione di un regno permanente. Tuttavia, più si allarga il dominio longobardo, più il ruolo della Chiesa cresce, diventando l’unico potere saldamente organizzato in Italia. Solo l’intervento e l’opera di assistenza della Chiesa riescono ad alleviare le condizioni disperate della popolazione. I Longobardi sono divisi in tribù ciascuna guidata da un duca; eleggono un re soltanto in caso di guerre o migrazioni. Solo verso la fine del VI secolo cominciano ad eleggere un sovrano in forma stabile, ma i duchi mantengono una larga autonomia. Per limitare i poteri dei duchi, dal VII secolo i re iniziano a nominare propri funzionari controllori, i gastaldi.

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Longobardi, deriva probabilmente dal tedesco Langbaerte, lunghe barbe. Fa riferimento all’uso dei Longobardi di portare la barba lunga in onore di Wotan, il dio della guerra; la loro divinità più temuta e venerata. Occorre poi sapere che questo popolo adora il dio Odino e sono convinti che la ricompensa dei guerrieri in paradiso sia quella di bere uno squisito liquore nei crani dei loro nemici; perciò nei grandi conviti erano soliti servirsi di questi orrendi calici!

Il cambiamento dei Longobardi I Longobardi tornano alla monarchia solo quando i Bizantini tentano di estendere i loro domini in Italia; allora eleggono re Autari, uomo notevole per valore e nobiltà d’animo (585-590). É Autari che stabilisce la capitale in Pavia, ma nei pressi di Verona il 15 maggio 589 si unisce in matrimonio con la principessa cattolica Teodolinda ed è testimone oculare del noto miracolo di san Zeno, avvenuto nell’ottobre dello stesso anno, durante la cerimonia religiosa nella cattedrale veronese. É proprio questa la leggenda più straordinaria del santo veronese, riferita da papa Gregorio I (“Gregorio Magno”), che narra di un improvviso straripamento delle acque dell’Adige che sommerge tutta la città fino ai tetti delle chiese. Le acque arrivano alla cattedrale, ma si arrestatano improvvisamente, in sospensione, sulla porta, ma senza invadere l’interno, tanto da poter essere bevute. Ciò avrebbe determinato la salvezza dei veronesi che, pur non potendo uscire, riescono a resistere finché la piena non cala. Questo miracolo di san Zeno si diffonde, e i pistoiesi, invasi ogni anno dagli straripamenti del fiume Ombrone, quando vedono il corso d’acqua aprirsi un varco riversandosi nell’Arno, attribuiscono il miracolo a san Zeno, elevandolo a patrono della loro cattedrale. Il fatto che Autari partecipi ad una cerimonia religiosa, fa ritenere

L’Italia nel periodo della dominazione longobarda. San Zeno: è il Santo Patrono della città di Verona. Dal nome della sua patria di origine, la Mauretania (tra gli attuali Algeria e Marocco) deriva il soprannome di “vescovo moro”; fu il primo vero evangelizzatore della città scaligera, di cui fu anche l’ottavo vescovo, dal 362 fino al 380, anno della sua morte.


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Nuovi imperi

che sia già convertito al Cattolicesimo. Venti anni di convivenza con gli Italiani mutano notevolmente i sentimenti e i costumi dei Longobardi, che infine si conciliano con i vinti e si convertono in gran parte al Cattolicesimo, per opera del pontefice Gregorio Magno e della Regina Teodolinda. Anche per i Longobardi l’evoluzione della propria civiltà dipende molto dalla conversione al Cattolicesimo. La comune fede cattolica contribuisce a migliorare i rapporti con la popolazione italo-romanica e facilita l’abbandono dei costumi più rozzi e violenti. Insieme con l’organizzazione politica, progrediscono anche le leggi dei Longobardi: nel 643 il re Rotari emana un editto, un complesso insieme di leggi scritte. Queste leggi si ispirano ancora agli usi germanici (faida e ordalia), ma ne eliminano o attenuano gli aspetti più violenti.

Papa Gregorio Magno e la regina Teodolinda Sant’Agostino di Canterbury: monaco romano, primo arcivescovo di Canterbury. Venerato come santo da cattolici e anglicani, è conosciuto anche come l’Apostolo d’Inghilterra (da non confondere con Sant’Agostino d’Ippona del IV-V secolo).

La croce donata a Teodolinda dal Papa Gregorio Magno alla regina nel 603 in occasione del battesimo del figlio Adaloaldo.

Conviene soffermarsi un momento su queste due grandi figure della storia. Gregorio è il primo monaco della storia che diventa papa. Per la sua grandezza la Chiesa lo proclamerà “magno” (grande) “dottore e padre della Chiesa”. Durante la latitanza di ogni altra autorità, è proprio papa Gregorio I, uomo colto e abile, che organizza la difesa e l’approvigionamento di Roma e del territorio circostante, affrontando nel 590 una grave epidemia che sta uccidendo molti cittadini, e trattando con il re longobardo Agilulfo, il quale, sempre nello stesso anno, giunge fino alle porte di Roma per saccheggiarla. Gregorio Magno tratta con Agilulfo per evitare saccheggi, incendi e soprusi sulla popolazione romana, in cambio gli offre un’ingente somma di denaro. Il re longobardo, vedendo che i romani sono ben organizzati per la difesa, accetta il tributo in denaro in cambio della salvezza di Roma. Inoltre questo papa promuove l’evangelizzazione tra gli anglosassoni, inviando Sant’Agostino in Inghilterra, che diviene nel 601 arcivescovo di Canterbury, primate d’Inghilterra. San Gregorio favorisce anche la conversione dei Longobardi al cattolicesimo, grazie ad un intenso scambio di lettere con la regina Teodolinda, incoraggiandola nella conversione al Cattolicesimo dei re longobardi. Infatti la regina, figlia del re di Baviera, è cattolica, mentre i Longobardi di eresia ariana. Agilulfo, secondo marito di Teodolinda, si converte grazie alla scoperta della bellezza del Cattolicesimo per mezzo di Gregorio e della regina. Così anche il popolo longobardo rinuncia poco alla volta all’errore, abbracciando la religione degli italiani, cominciando nello stesso tempo anche ad imitarne i loro modi di vivere, abbandonando poco alla volta la barbarie. Inoltre questi uomini favoriscono San Colombano, di origine irlandese e fondatore di un nuovo ordine monastico; dopo aver aperto molti monasteri nella sua patria e in Francia, si reca in Italia. Qui viene accolto favorevolmente da Teodolinda ed Agilulfo, offrendo al monaco un terreno nella zona di Bobbio, dove il santo uomo, anche con lo scopo di istruire i Longobardi, fonda un monastero, in cui i monaci si dedicano alla pietà, alla carità, allo studio e a dissodare i terreni incolti della valle del Trebbia. Papa Gregorio Magno, “grande” e molto colto, è stato invece un monaco molto umile: durante l’epidemia si adoperò per proteggere la città di Roma, incoraggiando anche pubbliche processioni penitenziali, visitava ospedali e poveri, addirittura si prendeva personalmente cura di loro: perciò l’unico titolo scelto da Gregorio stesso per sé, di cui ancora oggi tutti i papi si rivestono, è quello di Servus servorum Dei, che significa “servo dei servi di Dio”. Così «chi si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato» (Luca 14,1.7-14).


I regni romano-barbarici Unità 4

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496 Clodoveo, re dei Franchi, si converte al cristianesimo

476-493 Regna in Italia Odoacre, re degli Éruli

Impero Bizantino

Italia

Regno dei Franchi

Cronologia degli eventi

V secolo

545 Muore Santa Clotilde, regina dei Franchi

568 Dominio longobardo in Italia

493-526 Regna in Italia Teodorico, re degli Ostrogoti

dal 518 Persecuzione bizantina nei confronti degli eretici ariani

Re fannulloni

535-553 Le guerre Grecogotiche: l’Impero Bizantino contro gli Ostrogoti in Italia

532 Bisanzio pone fine al regno dei Vandali

590 Longobardi sacco di Roma

616-627 Teodolinda regina dei Longobardi e d’Italia

643 Editto di Rotari

565 Muore Giustiniano imperatore

527-565 Età di Giustiniano

VI secolo

VII secolo


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Parte seconda

Unità 4

I regni romano-barbarici

Unità 5

La civiltà medievale

Unità 6

L’Islam Unità 7

Carlo Magno e il Sacro Romano Impero Unità 8

Decadenza del Sacro Romano Impero


La civiltà medievale

L’alto medioevo rappresenta il punto in cui maggiormente emerge l’energia costruttiva dell’avvenimento cristiano. In questi secoli, infatti, il cristianesimo non ha soltanto animato un mondo che già esisteva; ne ha creato uno nuovo, la cosiddetta civiltà medievale che raggiungerà il suo apice nel XIII secolo. All’origini del medioevo si trova un mutamento di proporzioni inaspettate, la definitiva caduta di Roma. In una delle sue lettere san Girolamo scriveva: “É caduto il principio di unificazione del mondo: noi siamo distrutti”. La frase di san Girolamo dice che cosa hanno significato le invasioni barbariche: la fine di un ordine culturale, sociale e politico che costituiva un certo modo di concepire l’uomo, una visione del mondo che esisteva da mille anni. Il senso di bellezza e di equilibrio proprio della grecità, la capacità della civiltà romana di coinvolgere tutti i popoli in un ideale comune vengono improvvisamente distrutti. Dalla seconda metà del V secolo fino al VII, l’Europa è un campo di battaglia prima a causa dei barbari, in seguito per l’invasione islamica. Popoli nuovi, perché questa è la legge della storia, contro popoli in declino. Il crollo dell’impero romano è una tragedia che ha proporzioni spaventose e dalla quale sembra impossibile risorgere. La tentazione della disperazione che emerge nella frase di san Girolamo è ampiamente condivisa dal mondo di allora. Eppure i cristiani non hanno nessuna nostalgia: forti della loro fede, speranza e carità, cominciano lietamente a costruire un mondo nuovo. La comunità ecclesiale non fu annientata dalla distruzione del vecchio ordine imperiale fondato sulla cultura greco-romana e sulla concezione dello Stato. Il fondamento della comunità cristiana è la presenza di Cristo che salva l’uomo, per questo la Chiesa non solo supera indenne la rovina, ma dimostra la sua capacità di aggregazione ponendosi come l’unico punto di riferimento in una società precipitata nel caos. Nel momento di massima violenza la Chiesa fa emergere la sua capacità, come realtà storica e sociale, di unificare i vincitori e i vinti, ponendosi come un elemento costruttivo, dinamico e positivo. Per comprendere come la Chiesa ha potuto compiere tutto questo, bisogna guardare l’esperienza del monachesimo nata con San Benedetto.

Unità 5

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La cavalletta, simbolo dei

San Colombano, raffigurato in una vetrata a Bobbio; la scritta “Christus simus, non nostri” significa «siamo di Cristo, non di noi stessi».

In questa cartina sono evidenziati con un puntino tutti i monasteri più importanti costruiti durante tutto il medioevo. Sono riportati i nomi solo di quelli più famosi.


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Parte seconda

Nuovi imperi

1. San Benedetto da Norcia Questo è il giudizio dato da papa Giovanni Paolo II sull’opera di San Bendetto, durante un incontro con i giovani dove ha posto il santo come esempio da seguire anche per i nostri giorni. Benedetto, leggendo i segni dei tempi, vide che era necessario realizzare il programma radicale della santità evangelica in una forma ordinaria, nella dimensione della vita quotidiana di tutti gli uomini. Era necessario che l’eroico diventasse normale, quotidiano, e che il normale, il quotidiano, diventasse eroico. In questo modo egli, padre dei monaci, legislatore della vita monastica in Occidente, divenne anche indirettamente il pioniere di una nuova civiltà... A Bendetto non sta tanto a cuore di parlare delle verità di Cristo, quanto di vivere con piena verità il mistero di Cristo.

La nascita dei monasteri è un fatto inaspettato e sorprendente, che parte da un uomo di nome Benedetto che decide di abbandonare gli studi letterari e vivere per tre anni in una grotta come eremita nei pressi di Subiaco, non volendo come scrive lui stesso “anteporre nulla all’amore di Cristo”. L’esperienza di quegli anni rende Benedetto certo che Cristo è l’unica cosa in grado di rispondere al desiderio di felicità presente nel nostro cuore e della verità del destino buono che lui ha preparato per noi. Certo di queste poche grandi cose decide di tornare nel mondo perchè la situazione terribile che attraversa il suo tempo non lo spaventa né lo intimorisce. Durante le invasioni barbariche la gente non riusciva a vivere in modo stabile e costruttivo: da un momento all’altro arrivavano orde che distruggevano i loro raccolti faticosamente seminati, abbattevano le loro case, uccidevano, rapivano. Non c’era ordine costituito e qualunque uomo prepotente e violento poteva distruggere vite e depredare i beni, così spesso molte persone vagavano qua e là per sottrarsi alle continue minacce. Benedetto, invece, forte della fede in Cristo decide di non scappare più ma di ricominciare a vivere insieme ad alcuni amici legati tra loro dallo stesso amore per Cristo: nasce l’esperienza monastica e l’inizio della rinascita della civiltà occidentale e dell’Europa.

I monaci benedettini

Monaci che tagliano un tronco, capolettera Q in un codice miniato.

Il cuore dell’esperienza monastica è questa unità tra un gruppo di persone che creano tra loro una familiarità impensabile, più forte di qualsiasi legame naturale di sangue, e una passione creativa instancabile, perché fondate sulla fede. È talmente affascinante e bella l’esperienza che vivono Benedetto e i suoi amici che in pochi anni sorgono decine di monasteri in tutta Europa che vogliono imitare il loro stile di vita. Non potendo seguire direttamente tutte queste nuove esperienze monastiche, Benedetto decide di scrivere una Regola, ossia un testo in cui spiega in ogni dettaglio come deve essere la vita nel monastero, in modo che chiunque voglia possa vivere la stessa esperienza di fede. Significativo per comprendere l’esperienza benedettina è il rito dell’accoglienza dei novizi che vogliono entrare a fare parte del monastero. Vengono recitate queste parole“Il signore, cercando tra la folla, chiama il suo operaio con queste parole: “chi vuole la vita e desidera giorni felici?” Se il novizio risponde “io” viene accolto nella comunità con la formula: “Fa’ che la tua lingua non proferisca menzogna, fuggi il male e fa il bene, cerca la pace e seguila”. Il premio per questo lavoro è l’amore di Cristo e queste sono le parole con cui Benedetto lo descrive: “Che cosa vi è di più dolce per noi, fratelli carissimi, di questa voce del Signore che ci chiama alla vita? Ecco, nella sua pietà Egli ci mostra la via della vita”. Ma per comprendere e vedere concretamente come la rivoluzione che questa esperienza di vita porta nel suo tempo studiamo come si organizza la vita di un monastero benedettino.


Unità 5

2. Il lavoro La prima grande rivoluzione culturale portata dai monaci benedettini è che ogni azione, anche la più banale, assume un valore infinito perché fatta per amore di Cristo. Da qui nasce il famoso motto “ora et labora”, dove per la prima volta nella storia il lavoro non è qualche cosa da evitare, riservato agli schiavi o alle persone povere, ma un mezzo per comunicare con Dio. Il lavoro diventa uno strumento per esprimere la bellezza del rapporto con Dio, così tutto, dal lavoro della terra alla costruzione delle mura, deve essere fatto nel migliore dei modi e con la massima cura. Come alcuni grandi storici hanno notato, questa nuova visione del lavoro è una delle più grandi rivoluzioni culturali e sociali della storia Europea.

Il lavoro nei campi In una civiltà distrutta dalle invasioni barbariche, i campi non erano più coltivati. I monaci recuperano, allora, gli antichi manuali romani sull’agricoltura, introducendo nuovi metodi agricoli che avranno la loro massima diffusione intorno al x secolo. I monaci, dovendo celebrare la Messa, coltivano vigneti ovunque il clima lo peremetta. Il loro ruolo nel perfezionamento della vinificazione resterà dominante fino al XVIII secolo: fu Dom Perignon, dei benedettini di Saint-Vanne, a inventare lo champagne. I monaci inoltre diffusero la birra in tutti i paesi del nord Europa. La parola luppolo (la pianta che conferisce l’amaro alla birra) compare per la prima volta in una carta dell’abbazia di Saint-Denis del 768. Le abbazie più grandi come Montecassino o Saint-Denis arrivano a coltivare dai 10.000 ai 40.000 ettari di terreno. E’ ovvio che per gestire coltivazioni così estese i monasteri cominciano ad utilizzare il lavoro di centinaia di contadini salariati. Nell’economia monastica anche i frutteti e gli orti hanno grande importanza, si sono ritrovate tracce già dal 1273 di serre sperimentali per provare culture e per praticare la selezione delle piante.

L’allevamento Oltre all’agricoltura, l’attività principale dei monaci è l’allevamento del bestiame, che fornisce carne, latte, cuoio e soprattutto lana. Le greggi in Inghilterra raggiungono dimensioni considerevoli, fino a 20.000 montoni. I Longobardi, nell’invasione dell’Italia, portarono con loro anche il bestiame. Così si diffonde nella pianura padana una nuova razzza bovina molto robusta, detta “vacca fromentina”. Essa è apprezzata per la resistenza al duro lavoro dell’aratura, per la carne saporita e per la qualità del latte. Proprio questo latte dà origine nel XIII secolo alla produzione del formaggio parmigiano nelle abbazie benedettine della zona parmense.

L’apicoltura Il principale prodotto zuccherino che si conosceva nel Medioevo è il miele, per questo è molto ricercato da tutti. I monaci tuttavia si impegnano presto a praticare l’apicoltura soprattutto perché hanno bisogno di cera per le loro chiese e inoltre bisogna pensare a illuminare il refettorio, lo scriptorium, il dormitorio e la foresteria.

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Parte seconda

Nuovi imperi

L’artigianato La presenza di laboratori artigianali all’interno del monastero è già prevista nella Regola; “Se in monastero vi sono artigiani, esercitino il loro mestiere con grande umiltà…”(RB 57,1). Anche il grande sviluppo agricolo dà impulso all’industria artigianale: servono attrezzi, carri per il trasporto, utensili, ecc. Inoltre per gli scriptoria è necessario lavorare le pelli e rilegare i libri. Servono poi laboratori di tessitura per i vestiti, di gioielleria e di scultura per le necessità del culto e della liturgia, fucine per lavorare il ferro. Per esempio in Francia un monastero si specializza, divenendo un centro industriale, nella conceria, nella tessitura e nella realizzazione di vetro e vetrate. I monaci diventano anche pionieri nell’industria mineraria. L’abbazia di Newbattle in Scozia apre nel 1140 una delle prime miniere di carbone della regione, mentre l’estrazione del ferro diventa l’attività principale di alcuni monasteri. Tipico esempio di un libro medievale.

3. La cultura Lo scriptorium Il libro è al centro della cultura medievale. Sulle sue pagine di pergamena sono fissati i testi della liturgia, si impara a leggere, a scrivere, a meditare, a cantare… I monaci si dedicano quindi all’attività dello scriptorium, cioè alla ricopiatura di tutti i testi antichi su pergamena in nuovi libri. Grazie a questo lavoro nascosto dei monaci viene salvata la cultura antica fino ai nostri giorni: di molte opere d’arte antica abbiano conoscenza soltanto grazie ai codici medievali.

Le miniature Nel mondo antico testo e immagini rimanevano ben separati, possedendo ciascuno caratteristiche e finalità proprie. Con i monaci invece i due ambiti si avvicinano moltissimo attraverso l’arte della miniatura, arrivando alla creazione di quello che potremmo definire il primo libro illustrato. Lo scopo principale è quello di approfondire il contenuto del testo scritto attraverso le immagini e rendere possibile in parte la comprensione del libro anche per le persone analfabete come ricorda San Gregorio Magno: “La pittura è adoperata perché gli analfabeti, almeno guardando, leggano ciò che non sono capaci di decifrare sui codici”.

Lo studio dei classici Nei monasteri lo studio delle lettere non è indirizzato ad acquisire una cultura fine a se stessa. Nei classici i monaci vedono non soltanto il miglior modello per lo stile, ma anche una anticipazione, benché imperfetta e incompiuta, della pienezza di vita portata da Cristo. Ma questa tensione come si può conciliare con frati che passano la vita a copiare le commedie di Plauto, che spesso riportano oscenità o testi pagani che parlavano di altre divinità ? I monaci sono certi che tutto può essere illuminato e salvato nell’abbraccio di Cristo. Il lavoro dello scriptorium è la documentazione storica di un amore così gratuito alla verità, che fa affrontare positivamente tutti gli autori Le metamorfosi di Ovidio in un manoscritto dell’XI sec.


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classici, perché convinti che in essi si trova sempre qualche riverbero di Cristo, cioè della verità. Facendo diventare centrale nel loro lavoro l’esortazione di San Paolo “Vagliate tutto e trattenete ciò che è bene”.

Il canto La parola di Dio nella liturgia monastica viene pregata cantando, San Bendetto scrive nella regola “nel pregare la nostra mente si accordi con la nostra voce”. Il canto gregoriano, nato nel VII secolo, si afferma ben presto in tutta Europa, poiché favorisce la meditazione e l’assimilazione del testo sacro. E’ difficile trovare una corrispondenza così aderente ed espressiva tra parola e musica come nel gregoriano. Il canto gregoriano inoltre è una mirabile espressione della comunione: per la sua particolare struttura ritmica e melodica richiede da parte di chi canta una costante tensione all’unità. Fra i molti monaci musicisti, chi ha influenzato profondamente la storia della musica è Guido d’Arezzo. Il suo merito principale è l’avere proposto un metodo d i scrittura musicale che dispone le note in un sistema di righe e di spazi: l’origine del mostro pentagramma. Da lui derivano, con qualche adattamento, anche i nomi delle note ancora oggi in uso.

La scuola Con il passare del tempo in tutte le abbazie si formarono delle scuole, dove si impartivano lezioni ai poveri. In Francia nel 1031 l’abate Guglielmo da Volpino ha così pietà dei laici che non sanno leggere o contare i salmi che vuole reagire e combattere questa ignoranza del popolo. Per questo dispone che in tutti i monasteri della Normandia i fratelli istruiti diano gratuitamente l’istruzione a tutti coloro che si presentino nelle loro scuole: ricchi o poveri non importa. Le abbazie diventano importanti centri di diffusione della cultura, ma anche luoghi in cui tutte le arti e le scienze vengono approfondite. Un esempio mirabile di questo è Ermanno lo storpio, un monaco ritenuto “la meraviglia del suo tempo”. Paralitico dalla nascita, quasi muto, stupisce i contemporanei per la sua scienza.

Lo Scriptorium

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Scrive un trattato sull’astrolabio, si interessa di aritmetica, elabora un corso di apprendimento della musica per i principianti. Compone vari trattati sulla poesie, grammatica, astronomia, musica e diritto canonico. Compone probabilmente l’inno Salve regina.

4. La carità La cura dei malati San Benedetto non vuole che il monastero sia una cerchia di uomini chiusi al mondo, ma un’infermeria dove Dio si china con amore su dei feriti. Questo sia nell’aspetto spirituale, ma anche in quello materiale soccorrendo l’uomo nella malattia e nella sofferenza. Grazie al monachesimo benedettino, la medicina si approfondisce e si sviluppa per la pratica medica quotidiana che viene svolta. Per esempio a Montecassino non solo si pratica l’assistenza ai malati, ma vengono sviluppate conoscenze mediche e terapeutiche che poi si diffondono in tutti gli altri monasteri e quindi in tutta Europa. Vengono tradotti numerosi testi antichi sulle proprietà delle piante, sulla cura delle malattie, sui veleni dei serpenti, ecc. Nella biblioteca di un’abbazia sono state trovate più di trenta opere di medicina, compreso un trattato di chirurgia illustrato.

I poveri San Bendetto vuole che: “L’economo del monastero si prenda cura con ogni sollecitudine degli infermi, dei fanciulli, degli ospiti e dei poveri, ben sapendo che di tutti questi dovrà rendere conto nel giorno del giudizio”. I monasteri diventano quindi un importante centro di aiuto per la popolazione dove chiunque può trovare aiuto e sostegno. Per esempio durante una terribile carestia l’abate di Cluny fa fondere gli oggetti preziosi dell’abbazia per acquistare viveri e così migliaia di poveri sono salvati dalla morte per fame. Sempre nel monastero di Cluny, durante il periodo di massima espansione, arriva ad assistere stabilmente 17.000 poveri all’anno.

Gli ospiti Ma il monastero deve essere pronto ad accogliere non solo i poveri, ma chiunque bussi alla porta come è ben definito dalla regola benedettina: “Tutti gli ospiti che arrivano siano accolti come Cristo, perché egli stesso dirà: “Ero forestiero e mi avete ospitato”. Appena dunque sarà annunziato un ospite, il supeiroe o i fratelli gli vadano incontro con ogni attenzione di carità; preghino insieme, poi si scambino l’abbraccio di pace. L’ospite sia quindi condotto nell’oratorio per l’orazione, si legga dinanzi a lui la Legge divina per edificarlo e poi gli si offra ogni segno di benevolenza” (RB 53)


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5. Una nuova società Grazie al tipo di vita e al lavoro dei monaci che abbiano visto in queste pagine, intorno alle abbazie cominciano a sorgere delle aggregazioni di uomini che formano “il popolo dell’abbazia”. Questi, all’ombra delle mura monastiche, ricevono protezione, assistenza religiosa, educazione e imparano diversi mestieri. Spesso da questo “popolo” nascono i nuclei di nuove città oppure si ampliano e si sviluppano quelle già esistenti. Queste popolazioni contribuiscono in modo decisivo a trasformare e plasmare il volto e la vita sociale di intere regioni e con la loro testimonianza lungo i secoli convertono le popolazioni germaniche. Sono stati necessari secoli, è stato un processo educativo necessariamente lento e paziente, ma fu questa esperienza dei monasteri che ha permesso alla società di origine germanica di fondersi con quella di origine romana, creandone una nuova.

I monaci in una cronaca del tempo. Date ai monaci delle spoglie brughiere o dei boschi selvaggi, lasciate poi che trascorrano degli anni e troverete allora non solo delle splendide chiese, ma centri abitati costruiti attorno a esse. Geraldo di Galles

La missione I monasteri non furono costruiti per convertire le popolazioni germaniche, ma l’esistenza stessa del monastero è missionaria in quanto tale. Infatti la comunione vissuta, mostrando la bellezza del cristianesimo, diventa segno Giudizio dello storico della presenza di Cristo nel mondo e, nel tempo, permette l’unità di popoli Questo è il giudizio del grande e culture. Di particolare importanza in questo processo è stato il legame tra storico Leo Moulin sull’opera i monasteri e il Papa. Infatti le abbazie sono svincolate dall’obbedienza alle dei monaci benedettini: autorità locali, vescovi e conti, ma dipendono direttamente dal Papa. Questo I monaci sono all’origine, inconpermette ai monaci di essere liberi dai condizionamenti dei poteri feudali e sapevole e involontaria, di un movimento economico e sociale di potersi muovere con grande libertà per la costruzione delle proprie opere così profondo, così diversificaa servizio della Chiesa e del popolo.

to e vasto che l’evoluzione del Medioevo sarebbe diffcilmente spiegabile senza la loro presenza e la loro azione.

Veduta della cittadina di Vézelay (Francia) nata attorno all’abbazia. Sotto alcune mappe di città che mostrano come si siano sviluppato a partire dal monastero.


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Il monastero

Il Chiostro Il chiostro è il punto d’incontro più caratteristico che collega in unità le varie espressioni della vita quotidiana. Generalmente di forma quadrata, vi si svolgono attività sia liturgiche che domestiche. Il corridoio a nord, per esempio, addossato alla parete della chiesa, prende il nome di Collatio (Conferenza) poichè in quel luogo i monaci si radunano al termine della giornata per ascoltare una lettura della Bibbia o della vita dei santi. Intorno al chiostro si trovano, oltre la chiesa: la sala del capitolo,il dormitorio, il refettorio, la cucina ei magazzini.

il monachesimo orientale esauriva “Mentre il compito del monaco nella preghiera e

nella contemplazione, la regola benedettina imponeva, sì, la rinuncia ai beni, ma prescriveva anche l’esercizio delle più alte attività civili dell’uomo, con un senso di moderazione ed umanità che ne fanno uno dei momenti più grandi della civiltà cristiana e dell’intera umanità. (H. Taine, storico)

“n

Il Capitolo La sala del capitolo è il luogo dove la comunità si raduna quotidiniamente per ascoltare la lettura e il commento dell’abate a un capitolo della Regola. Qui si ammettono i nuovi aspiranti al monastero, si dà l’estremo saluto ai monaci defunti, si elegge l’abate, ci si accusa delle proprie colpe, si domanda e ci si scambia il perdono.


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I monasteri non erano un rifugio, “ ma il mondo stesso. I monasteri e le loro chiese rendevano visibile la città di Dio, custodivano le manifestazioni divine e le facevano entrare nella storia. (C. Norberg-Schulz, storico)

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La Chiesa “La Chiesa sia quello che si dice e non vi si faccia o riponga nulla di estraneo. Terminata l’Opera di Dio, tutti escano con gran silenzio e rispetto di Dio... Quando qualcuno vorrà pregare in segreto, semplicemente entri e preghi, non ad alta voce, ma con le lacrime e il fervore del cuore”. (RB 52)

Queste parole della regola sono la chiave di lettura dell’architettura di quest’edificio. Nel silenzio, nella mendicanza, l’uomo riprende coscienza di sé, permettendo a Cristo di riemergere come significato e come sorgente di tutta l’esperienza comunitaria.


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I regni

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Carlo Magno e il Sacro Romano Impero

Decadenza del Sacro Romano Impero


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1. L’Arabia prima dell’Islam L’Arabia prende il suo nome dalle popolazioni nomadi che l’abitano. É una delle regioni più calde e aride del mondo quasi completamente coperta da deserti o dalle steppe. La parte fertile è concentrata nelle oasi, le zone verdi per la presenza di sorgenti d’acqua sotterranee in pieno deserto, e nel Sud, lungo le coste dell’Oceano Indiano rese umide dalle pioggie portate dai monsoni. La maggior parte della popolazione sono beduini nomadi che percorrono il deserto in ogni direzione, esercitando l’al-levamento e il commercio. A quest’ultimo si accompagnano la rapina e il saccheggio. Vivono divisi in tribù, spesso in aspra lotta tra loro; a capo di ogni tribù vi è uno sceicco. Gli unici elementi che uniscono le varie tribù tra loro sono la lingua e la religione di tipo politeista molto legata agli astri ed al loro influsso sulla vita degli uomini e la natura.

La Mecca Una delle tre oasi maggiori della penisola araba, all’incrocio delle piste carovaniere dirette ai porti del Mar Rosso, è la Mecca. Alla Mecca era caduto in tempi antichissimi, un meteorite chiamato “pietra nera”. Per proteggerla era stata incastonata nel muro di una costruzione di pietra che chiamavano Kaaba, “cubo”. Fedeli provenienti da ogni luogo si recano in pellegrinaggio per adorare la pietra perché credono che abbia poteri straordinari. Questa tradizione, nel corso dei secoli, ha trasformato la Mecca in un ricchissimo mercato ed è diventata la più potente delle città arabe.

Beduini del deserto

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Parte seconda

Mentre l’Europa viene travolta dalle invasioni barbariche in Arabia nasce un uomo di nome Muhammad (570 d.C.), che noi traduciamo con Maometto. In gioventù era stato un mercante, figlio di carovanieri, e durante i suoi viaggi aveva avuto contatti con ebrei e cristiani di cui aveva ammirato le religioni monoteiste che tanto contrastavano con il disordinato politeismo arabo. Intorno ai 30 anni Maometto abbandona il commercio, sposa una ricca vedova e comincia a ritirarsi sempre più spesso tra le montagne a meditare. Un giorno di ritorno da un periodo di ritiro spirituale trascorso in una caverna, annuncia di avere avuto una apparizione dell’arcangelo Gabriele, che gli aveva ordinato di predicare una nuova religione a lui rivelata. I primi suoi seguaci sono la moglie e i parenti stretti. La sua predicazione, che annuncia l’uguaglianza sociale di tutti i credenti, trova ben presto largo seguito nelle classi più umili. Per la paura che la nuova religione possa destabilizzare l’assetto sociale della Mecca, i nobili della città nel 622 d.C. lo cacciano in esilio. Questa fuga, che i musulmani chiamano l’Egira, verrà poi considerata come l’episodio iniziale della nuova fede, tanto è vero che è da quel giorno che si contano gli anni del calendario islamico.

La guerra santa

L’annunciazione islamica. L’arcangelo Gabriele annuncia a Maometto che Allah lo ha scelto come suo ultimo profeta.

Rifugiatosi a Medina, Maometto riesce a raccogliere e organizzare attorno a sé le tribù beduine fino a creare un esercito con il quale parte alla conquista della Mecca, che cade nelle sue mani nel 630 d.C.. Maometto chiama questa offensiva jahad, “guerra santa”, che diviene uno dei doveri fondamentali del credente islamico. Conquistata la città tutti gli idoli vengono distrutti e l’intera popolazione sfila davanti al profeta giurando fedeltà al Maometto e alla nuova religione. Il vero e unico Dio di tutti gli arabi è ora Allah (Dio onnipotente), di cui Maometto si proclama il profeta. La sua religione si chiama Islam, che vuol dire “sottomissione a Dio”. In questa occasione Maometto inizia a definire “infedeli” tutti coloro che non accettano la sua nuova religione. In linea di principio riconosce agli ebrei e ai cristiani il diritto di conservare le loro fedi, anche se ciò li pone in condizioni di inferiorità sociale, mentre non dà scampo ai pagani: “Uccidete gli idolatri dovunque li troviate, fateli prigionieri, assediateli e combatteteli con ogni genere di tranelli” (Corano, 9,5). Conquistata la città santa degli arabi, Maometto si lancia quindi alla conquista di tutta l’Arabia.

La religione islamica La legge islamica, che unisce tutti i musulmani nell’identità di usanze e azioni, si chiama Sharìa ed è ricavata dal Corano, il libro che Maometto disse di aver composto sotto diretta dettatura di Dio tramite l’arcangelo Gabriele. Maometto nel Corano non solo definisce ciò in cui i musulmani devono credere, ma detta anche le regole e la vita quotidiana individuale e sociale, stabilendo le norme, per esempio, sull’astinenza totale dagli alcolici e dalla carne di maiale. Secondo la religione musulmana, esiste un solo Dio. Maometto è il profeta più importante di tutti che completa la rivelazione di Dio


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agli uomini. I profeti ebrei sono riconosciuti come suoi precursori, compreso Gesù Cristo. I “pilastri della fede” islamica sono cinque. Essi riassumono le azioni fondamentali che il credente deve compiere per rimanere sul “giusto sentiero” indicato dal corano. 1) La professione di fede consiste nella frase: “Piena sottomissione a Dio, che è Allah, e Maometto è il suo messaggero”. 2) La preghiera, da recitare cinque volte al giorno inginocchiati in direzione della Mecca. Prima di pregare bisogna lavarsi accuratamente le mani, i piedi e il viso per presentarsi puri davanti a Dio. 3) Il digiuno, dall’alba al tramonto, durante l’intero mese del Ramadan. Digiunare serve a purificarsi e a comprendere le privazioni di chi è povero. 4) L’elemosina è imposta dal Corano. 5) Il pellegrinaggio alla Mecca almeno una volta nel corso della vita.

Nonostante l’Islam si definisca in continuità con la religione cristiana, ponendosi come il compimento della rivelazione divina, tra le due religioni vi è una profonda differenza. Infatti per Maometto Cristo è un profeta, mentre la rivoluzione del Cristianesimo sta proprio nella pretesa di Cristo di essere Dio e non un semplice uomo; inoltre proprio questa pretesa per l’Islam è una bestemmia perché Allah è puro mistero e non può nemmeno essere rappresentato con immagini. Il punto d’incontro quindi tra Cristianesimo e Islam, come per qualsiasi altra religione, non può essere il contenuto della fede, ma il desiderio di Giustizia, Bellezza, Verità e Amore presente nella natura spirituale dell’uomo. Qualsiasi esperienza religiosa vera ha le sue radici in questo insieme di desideri che costituiscono il cuore dell’uomo e da lì si può partire come punto di rispetto e dialogo reciproco.

La Chiesa e la Comunità Islamica Un’altra grande differenza tra Cristianesimo e Islam che ha segnato in modo importante la storia delle due religioni è il fatto che nel Cattolicesimo esiste la Chiesa. La Chiesa è una struttura gerarchica con a capo il Papa che definisce in modo preciso il contenuto e le pratiche della fede, legata fedelmente alla tradizione apostolica; questo ha permesso nei 2000 anni di storia una continuità coerente dell’esperienza religiosa cristiana. L’Islam invece non possiede questa struttura gerarchica e quindi l’interpretazione dei testi sacri è lasciata al fedele. Un esempio semplice per capire può essere il precetto per le donne islamiche di portare il velo. In alcune comunità islamiche non è un obbligo, in altre basta un semplice velo sulla testa, in altre ancora si deve portare il Burqa che ricopre totalmente la donna lasciando liberi solo gli occhi; infine ci sono tradizioni dove anche gli occhi sono velati con una fitta rete. Ecco come una semplice indicazione viene interpretata in modo radicalmente diverso e tutte sono legittime all’interno della comunità islamica. Il mondo islamico, quindi, pur partendo dai principi che abbiamo descritto porta dentro di sé profonde differenze tra varie tradizioni e comunità islamiche.

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Potere religioso e potere politico Un altro punto importante per lo sviluppo storico del Cristianesimo e dell’Islam è il rapporto tra fede e politica. Dopo le parole di Cristo “Date a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio”, la divisione tra il potere religioso e il potere politico è diventato un principio fondamentale nella tradizione cattolica, divenendo un valore fondamentale nella cultura occidentale. Nell’Islam invece questa distinzione è molto più sfumata. Sia per la storia di Maometto che era capo religioso e politico sia per la libertà di interpretazione che abbiamo appena descritto. Quindi all’interno dell’Islam abbiamo nazioni che si governano distinguendo in parte questi due poteri e altre che li uniscono totalmente. Questo è l’aspetto più critico oggi nel rapporto tra gli stati occidentali e quelli di tradizione islamica.

La spaccatura tra sunniti e sciiti Maometto non lascia precise indicazioni sulla sua successione e pertanto alla sua morte si apre una disputa su chi debba assumere il ruolo di guida della comunità mussulmana. Per alcuni il potere dove essere affidato a un discendente del profeta. I sostenitori di questa idea sono quelli del partito di Alì (la shi’a, da cui deriva il nome sciiti), lo sposo della figlia di Maometto, Fatima. Per altri, i sunniti, quelli della sunna (la tradizione), il califfo deve essere scelto con regolari elezioni. Prevalgono i sunniti che uccidono in modo cruento Alì. Da allora gli sciiti hanno sempre giudicato illegittimo il potere dei califfi e hanno letto la propria storia come una prova di passione e martirio. Grande importanza ha nelle comunità sciite la suprema autorità religiosa, l’imam. Oggi i sunniti costituiscono la maggioranza, mentre gli sciiti rappresentano il 15% dei musulmani nel mondo, 180 milioni in un centinaio di paesi. Essi hanno tuttavia la maggioranza in Iran e in Iraq.


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L’espansione islamica Una volta preso il potere, i Califfi perseguono la guerra santa contro gli infedeli portando l’Islam alla fulminea conquista di uno dei più grandi imperi della storia umana. Questa rapida espansione è sorprendente, basti pensare che gli arabi erano solo due – tre milioni, mentre l’impero bizantino ne contava venti e quello persiano dodici. Le cause di questo successo sono molte. In primo luogo occorre tenere presenti i motivi che spingevano gli arabi alla conquista: essi non solo hanno “fame” di terre, ma sono convinti di combattere per la gloria di Allah. Ciò da loro una forza straordinaria. In secondo luogo le invasioni sono state precedute da un’emigrazione araba che durava da secoli, perciò le truppe musulmane trovano il sostegno delle numerose comunità arabe locali. Inoltre sia i bizantini sia i persiani nei loro imperi opprimono la popolazione: così non solo gli arabi, ma anche altre genti si schierano con gli invasori accolti come liberatori. Infine, quando inizia la conquista araba, l’impero bizantino e quello persiano hanno appena terminato una guerra molto dura tra loro. In quel conflitto esauriscono gran parte delle loro risorse militari ed economiche. Agli inizi del 700 il dominio arabo si estende dalla Spagna alla valle dell’Indo. Nei due secoli successivi vengono conquistate la Sicilia, Creta e alcune zone costiere della Sardegna e della Corsica.

I califfati La forza dell’Islam è stata di riuscire ad unire una moltitudine di tribù da sempre divise tra loro. Questa unità cementata dalla fede e guidata dalla “guerra santa” ha edificato un Impero immenso, ma con il passare del tempo la forza di espansione mussulmana si arresta. Prendono di nuovo il sopravvento le divisioni ed i contrasti interni, agevolati dall’enormità dell’Impero di fatto impossibile da governare. Nel 750 inizia dunque la sua disgregazione in una serie di stati detti califfati, uniti dalla comune fede religiosa ma indipendenti nella gestione politica. Tra i più importanti ricordiamo il califfato di Spagna, Marocco, Tunisia ed Egitto.

La guardia del califfo festeg-


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Carlo Magno e

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Carlo Martello e la vittoria di Poitiers L’importanza dei Franchi nella storia europea incomincia a mostrarsi con il Maestro di Palazzo Carlo Martello, chiamato a governare alcuni territori in vece del Re. Carlo è un abile soldato che riesce a formare un corpo di cavalleria professionale abilissimo e fedele: tutti i cavalieri, appartenenti all’aristocrazia franca, sono legati a lui da un solenne giuramento di fedeltà. Prova della forza di questi soldati viene data nel 732 quando Carlo Martello sconfigge le truppe arabe a Poitiers. Questa vittoria ha un eco incredibile perché dopo un secolo di continue vittorie, per la prima volta i mussulmani vengono sconfitti da un esercito occidentale. Per la prima volta nelle cronache degli storici che descrivono l’evento vediamo apparire il termine di Europa riferito ai territori abitati dai cristiani. Oltre a fermare l’avanzata degli arabi spagnoli che vogliono spingere il loro dominio nel resto d’Europa, la vittoria fa acquistare a Carlo meriti e gloria davanti a tutta la cristianità e al Papa che lo dichiara difensore della Chiesa.

Pipino il Breve e la dinastia Carolingia Chi sa, però, approfittare di tutti questi onori è il figlio Pipino (detto il Breve per la sua bassa statura) il quale viene nominato anche lui Maestro di Palazzo. Forte del prestigio ereditato dal padre decide di usurpare il trono imprigionando il re e dichiarando davanti all’assemblea dei nobili che la dinastia Merovingia, fondata da Clodoveo, è “debole e imbelle”. I nobili senza esitazione lo proclamano re istaurando la dinastia Carolingia, chiamata così in onore del padre Carlo Martello. Anche il Papa non esita a riconoscerlo come legittimo sovrano iniziando un legame profondo tra la monarchia francese e la Chiesa, unione che si mostrerà decisiva per la storia futura d’Europa. Il riconoscimento ufficiale di questo legame tra dinastia Carolingia e Chiesa avviene con la consacrazione a re di Pipino attraverso l’olio santo, celebrata da Papa Stefano II, come era avvenuto con Clodoveo alcuni secoli prima.

La nascita dello Stato della Chiesa Con il rafforzarsi del Regno Longobardo i suoi sovrani maturano il sogno di conquistare tutta la penisola in parte in mano ancora ai bizantini. Chi teme di più questo progetto è però il Papa che vede minacciata l’autonomia della Chiesa sia dal dominio bizantino sia da quello longobardo. Per uscire da questa situazione Papa Stefano II chiede e ottiene l’intervento della monarchia Carolingia che aveva giurato di difendere la Chiesa. Dapprima Pipino il Breve e poi suo figlio Carlo Magno, scendono in Italia alla testa dei loro eserciti e sconfiggono ripetutamente i Longobardi. I Franchi conquistarono il Regno Longobardo, ma riconoscono l’autorità del Papa su buona parte dei vecchi domini bizantini in Italia centrale: nasce così lo Stato della Chiesa. Solo nell’edificazione di un regno autonomo la Chiesa vede la possibilità di salvaguardare la propria autonomia anche nella guida spirituale della Chiesa, infatti l’esperienza bizantina mostra come la religione inglobata nello Stato diventa di fatto sottomessa all’autorità del Re.

cartina percorso arabi


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La battaglia di Poitiers La battaglia di Poitiers fu importante non solo perché fermò l’avanzata araba, ma anche per l’impiego per la prima volta della cavalleria come arma decisiva nelle battaglia, portando profondi mutamenti nell’arte della guerra in tutta Europa. Gli eserciti germanici fino ad allora erano basati principalmente sulla fanteria, il cavallo serviva semplicemente per portare il nobile sul campo di battaglia dove poi avrebbe combattuto appiedato. Anche a Poitiers il grosso dell’esercito, composto da circa 70.000 combattenti tenaci e feroci, era costituito principalmente da fanteria di varia provenienza. I Franchi erano protetti da grandi e pesanti scudi dalla caratteristica forma a goccia e armati per lo più con la tradizionale ascia da lancio, la “francisca”, che dopo essere stata lanciata doveva essere recuperata perché perderla in battaglia era considerato un disonore. Dal Nord della Franconia venivano guerrieri ricoperti di pelli d’orso e armati in vario modo. Alemanni e Bavari brandivano lunghe lance; i Sassoni usavano enormi spadoni tenuti a due mani e, infine, i Germani delle foreste dell’Europa centrale combattevano con il corpo completamente dipinto di nero e armati di grosse mazze. La novità di questo esercito erano alcuni reparti di cavalleria che Carlo Martello aveva addestrato e organizzato per il combattimento. Non erano ancora equipaggiati con armature pesanti e lancia lunga come nei secoli successivi, ma con spade lunghe e lancia. La novità di questi nuovi reparti consisteva nell’uso della staffa che permetteva al cavaliere di rimanere stabile sulla groppa senza dover usare le mani che quindi potevano essere usate per caricare con forza impugnando la lancia e lo scudo per poi continuare il combattimento usando agevolmente la spada. Il modo di combattere degli Arabi si basava soprattutto sull’impeto della fanteria e sull’abilità degli arcieri. La tattica preferita era quella dell’attacco immediato seguito da un’altrettanto rapida ritirata che traeva in inganno il nemico, attirato in un inseguimento che scompigliava le file del nemico rendendole facile preda del contrattacco della cavalleria. Proprio la cavalleria era stata trasformata in un’arma micidiale dai mussulmani con l’introduzione del “cavallo arabo”, una razza equina particolarmente robusta e veloce.

Punta


La Spagna era stata occupata ed amministrata dalle tribù berbere africane e nel 729 ne fu nominato governatore un grande capo militare Abd al-Rahman. Questi decise dopo alcuni anni di organizzare una grande spedizione nei territori franchi per saccheggiarli, ma dato il considerevole numero di uomini impiegati (circa 130.000) non era da escludere la volontà di espandere in modo stabile i propri territori. All’inizio la spedizione ebbe un grosso successo e tutta l’Aquitania fu saccheggiata e devastata tanto che l’esercito di Abd al-Rahman penetrò in profondità nel territorio franco. Carlo Martello organizzò un esercito e si mise in marcia per fermare l’incursione araba. Dopo alcuni giorni di piccoli scontri e inseguimenti la battaglia decisiva si svolse sulla strada romana che portava alla cittadina di Poitiers. Lo scontro durò un giorno intero dall’alba fino al tramonto. I due eserciti si schierarono uno di fronte all’altro tranne i reparti di cavalleria che Carlo Martello nascose in un bosco vicino al campo di battaglia. Gli Arabi andarono all’attacco per primi al grido di Allah Akbar (“Dio è grande”) e investirono l’esercito franco con le cavallerie. I cavalieri berberi si alternavano davanti alle linee dei fanti sommergendole con una continua pioggia di giavellotti e con brevi e rapidi assalti dove vedevano indebolirsi le formazioni franche. I fanti cristiani appesantiti dalle cotte di maglia e dagli enormi scudi non potevano inseguire o cercare di dare battaglia alla cavalleria e quindi non potevano che restare fermi immobili ed aspettare. Un cronista del tempo così descrive questa prima fase della battaglia “le genti del Nord restarono immobili, compatte come un muro di ghiaccio delle regioni fredde sotto la pioggia delle armi mussulmane”. La battaglia continuò così per ore. Inutile si dimostrò anche il tentativo di attuare la consueta tattica dell’improvvisa fuga seguita da un contrattacco: Carlo Martello non cadde nell’inganno e non Quando, nel pomeriggio, gran parte della cavalleria mussulmana si era ormai sfinita Carlo diede un segnale facendo accendere un gran fuoco. La cavalleria nascosta nel bosco, allora, uscì e caricò il fianco destro degli Arabi travolgendo prima la cavalleria e poi i fanti che iniziarono a rompere lo schieramento dandosi alla fuga. A quel punto l’esercito franco avanzò compatto travolgendo quello nemico e tutto ciò che incontrava sul suo cammino. I fanti africani, con armatura leggera, non potevano competere corpo a corpo con i giganti germani. La battaglia si trasformò in un massacro e lo stesso Abd al-Rahman venne ucciso da un colpo di scure inferto dallo stesso Carlo Martello. Difficile quantificare le perdite di entrambi gli schieramenti, in quanto le cronache del tempo furono sicuramente influenzate dal significato simbolico che questa vittoria fin da subito prese agli occhi dei contemporanei. Tuttavia le perdite mussulmane dovettero essere terribili, dal momento che lo scontro è ricordato dagli Arabi come “il lastricato dei martiri della fede”.


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Parte seconda

Alla formazione dell’Europa contribuisce in maniera determinante l’azione di Carlo, figlio di Pipino che gli succede al trono. Carlo per la prima volta dalla caduta dell’Impero Romano d’Occidente, riesce a riunificare sotto un unico potere e un’unica religione molte popolazioni diverse tra loro e a dare vita al primo nucleo dell’Europa medioevale unita politicamente. Nei suoi 46 anni di regno, grazie a 56 campagne militari, tutte vittoriose, Carlo conquista il regno dei Longobardi in Italia, ma anche quello dei Sassoni e degli Avari nell’Europa orientale e alcune terre possedute dagli Arabi in Spagna. Per le continue vittorie e la sua fama di protettore della Cristianità, Carlo viene chiamato Magno, che significa grande, e considerato una leggenda vivente. Tutti i popoli in pericolo cominciano a rivolgersi a lui per chiedergli soccorso. Il patriarca ortodosso di Gerusalemme lo nomina addirittura “Custode dei luoghi Santi” e gli invia le chiavi del Santo Sepolcro. Il Califfo di Bagdad scambia lettere amichevoli con lui e gli manda splendidi doni tra cui un elefante, che Carlo accudirà sempre personalmente. Era dai tempi di Roma che l’Occidente non conosceva un tale potere nelle mani di una sola persona. L’Impero Romano non esiste più ormai da secoli, ma ha lasciato il ricordo della sicurezza, del rispetto delle leggi, del senso di appartenenza ad un’identità comune. Ora che Carlo ha esteso il proprio dominio su tanti Paesi diversi e mostra di volerli governare con saggezza e giustizia, l’antico Impero pare risorto. D’altra parte, non è soltanto un abile sovrano a garantire la riuscita di quest’impresa, ma anche l’esplicita volontà del Papa, che si è schierato dalla parte di Carlo. Ecco perché il nuovo Impero venne detto Sacro e Romano: sacro, perché è costituito in nome di Dio e consacrato mediante una solenne cerimonia religiosa nella basilica di San Pietro la notte di Natale dell’800; Romano, perché il nuovo sovrano si presenta come successore dei Cesari ed erede dello splendore e della tradizione dell’antica Roma.


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Organizzazione dell’Impero di Carlo Magno Nonostante la definizione di Romano, i domini di Carlo Magno presentano molte differenze rispetto a quelli della Roma antica. L’Impero Romano aveva avuto il proprio centro nel mediterraneo, mentre il nucleo principale dell’impero carolingio è situato tra la Francia e la Germania, con capitale ad Aquisgrana. L’agricoltura, l’artigianato, i commerci e le città erano molto sviluppati nell’impero romano; nell’alto medioevo invece sono in decadenza a cause delle invasioni barbariche. Infine Roma governava le sue province attraverso una rete burocratica fatta di funzionari; Carlo Magno invece non può costruire un sistema altrettanto efficiente. Il Sacro Romano Impero è suddiviso in territori grandi come una nostra provincia e chiamati contee, in quanto sono affidate ad un conte. Il conte è nominato dal sovrano, ed è possibile sostituirlo se non si comporta con lealtà ed efficienza. I principali compiti del conte sono: riscuotere i tributi, mantenere l’ordine, amministrare la giustizia, far applicare i decreti imperiali, radunare gli uomini per l’esercito. C’è il rischio che i conti agiscano in modo autonomo, commettendo abusi e sfruttando la loro carica a proprio vantaggio. L’Imperatore deve perciò controllarli. In parte lo fa personalmente viaggiando nei propri domini, ma soprattutto si serve dei Missi Dominici (inviati dall’Imperatore). A volte questo incarico è affidato al vescovo della città principale della contea. Ricordiamo che, nei centri urbani, i vescovi continuano ad esercitare una funzione non solo spirituale ma anche di gestione del potere statale.

Il sistema feudale Per assicurarsi la fedeltà dei conti e dei missi dominici, Carlo Magno si serve soprattutto dei rapporti di vassallaggio. Per la dinastia carolingia diventa sempre più frequente circondarsi di uomini di fiducia: i vassalli. Questi giurano al loro signore fedeltà personale e garantiscono la prestazione di un servizio, che quasi sempre consiste nel combattere a cavallo. Perciò i vassalli devono essere in grado di procurarsi a loro spese le armi e un cavallo. In compenso il signore all’atto dell’investitura concede al vassallo la sua protezione. Inoltre, per compensarlo del servizio, gli assegna un terreno che egli può sfruttare economicamente. Questo terreno si chiama beneficio o feudo. Il feudo viene assegnato per la durata del servizio o a vita, ma non può essere lasciato in eredità. Carlo Magno organizza l’Impero sulla base di rapporti di vassallaggio. Sono suoi vassalli i conti, i missi dominici e i marchesi: a questi ultimi è affidato il comando militare nelle terre di confine (le Marche), cioè i territori più difficile da difendere. Spesso anche i vescovi sono legati in parte da rapporti di vassallaggio. Anche i vassalli, a loro volta, si assicurano la fedeltà dei cavalieri alle loro dipendenze con lo stesso sistema.

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Noi viviamo in un tempo storico che ha come sua caratteristica principale la velocità. Grazie alla tecnologia le persone, le idee, le immagini si spostano ad un ritmo impressionante e per questo i cambiamenti culturali e sociali si misurano con il tempo degli anni. Ma questa è una caratteristica del nostro secolo, in passato il ritmo della storia era molto più lento. Per fare un passo in avanti la tecnologia impiegava secoli. A noi risulta difficile comprendere che la fusione tra Germani e Romani ha richiesto secoli interi, lo leggiamo ma non riusciamo veramente a farci un’immagine di cosa abbia voluto dire. Per avere un esempio concreto di questo cammino prendiamo uno dei personaggi più importanti dell’alto medioevo: Carlo Magno.

Un autentico germano Carlo è un autentico germano sia nel fisico che nel comportamento. É alto un metro e novanta, di taglia grossa e robusta. Ama mangiare carne e bere molto vino e come tutti i germani adora le feste, tanto che nei luoghi dove si fermava veniva sempre organizzato un banchetto con molto chiasso e canti. É un abile guerriero addestrato fin da giovane al combattimento ed educato ai principi dell’onore e del rispetto alla parola data. Anche quando diventa imperatore il suo modo di vestire rimane quello tipico dei germani, tanto che un suo biografo scrive che normalmente non si sarebbe potuto distinguerlo da una qualsiasi persona del popolo. Carlo ha anche molte donne, quattro mogli legittime e sei mogli private. Una è stata ripudiata mentre le altre sono morte di parto.

Sinceramente cristiano Ma Carlo oltre ad essere un germano è anche un figlio devoto del Cristianesimo che da due secoli il suo popolo ha riconosciuto come unica e vera fede. Questi due uomini, il Carlo germanico e quello cristiano, si fondono insieme in un modo che a noi sembra contraddittorio e generando azioni apparentemente incomprensibili. Nella lotta durata più di vent’anni contro i Sassoni Carlo dà prova di tutta la sua abilità di soldato e della sua spietatezza. Ne uccide a migliaia e non risparmia ogni tipo di tortura e violenza per costringerli alla conversione. Dato che resistono e continuano a ribellarsi rade al suolo villaggi e città, facendo deportare la popolazione. La violenza raggiunge un tale livello che il Papa è costretto a richiamarlo per chiedere che ad accompagnare le sue conquiste ci siano anche i monaci, perché la fede non venga imposta con la forza ma attraverso la testimonianza della vita cristiana. Carlo acconsente che i monaci seguano le sue spedizioni, ma non diminuisce la sua violenza. In compenso fa costruire centinaia di monasteri dove si deve pregare ogni giorno per il perdono dei suoi peccati e per il bene della Chiesa. Non sa scrivere e riesce a stento a tracciare le iniziali del suo nome nei documenti reali, tuttavia ama le arti e la cultura. Ogni giorno si fa leggere dei libri ed ama in particolare quelli che parlano del passato. Fa costruire delle scuole, gli studium, nei monasteri e nelle cattedrali perché chiunque possa imparare a leggere, come documenta questo decreto reale: “Che ci siano scuole, dove i ragazzi possano leggere. Noi abbiamo ritenuto vantaggioso che i monasteri affidati dal favore di Cristo al nostro governo, oltre all’osservanza della vita religiosa, concedano istruzione a coloro che, con la grazia di Dio, sono in grado di apprendere.” Durante il regno di Carlo, non solo vengono scritti e copiati moltissimi libri, ma vengono anche realizzate splendide opere di architettura e


di arte: sono costruite 27 cattedrali, 232 monasteri e 65 palazzi.

Fusione tra due civiltà Dal punto di vista politico e culturale Carlo Magno rappresenta il passaggio definitivo delle popolazioni germaniche da invasori a genti civili che si pongono alla guida dello stato per creare una nuova civiltà dopo aver distrutto quella romana. La persona di Carlo è la testimonianza più evidente di questo lento passaggio che questi popoli e la Chiesa sono riusciti a compiere lungo i secoli, ma proprio perché questa trasformazione di costumi e cultura ha richiesto secoli spesso nel Medioevo le persone vivevano contemporaneamente entrambe le nature, quella della violenza barbara e quella del cristianesimo, non per ipocrisia ma perché figli del loro tempo e di questo lento cammino che in mille anni ha fondato l’Europa e molte delle nazioni che ora la costituiscono. Se non teniamo presente questo aspetto di lentezza e gradualità nei cambiamenti della storia passata non possiamo comprendere la complessità del periodo storico che stiamo

Molto importante, per comprendere la complessa figura di Carlo, è l’esame dei suoi atti legislativi. Il nuovo imperatore si propone di mantenere la pace dopo le interminabili guerre sassoni e intende dedicare le sue energie allo sviluppo del tenore di vita dei sudditi. Dai suoi capitolari (leggi da osservare in tutto l’impero) emerge la cura per lo sviluppo del commercio, per la sicurezza dei traffici, per la viabilità. Si occupa di pedaggi e di dogane, promuove la navigazione dei fiumi, dato lo stato di degrado delle strade romane. Cerca di uniformare il sistema dei pesi e delle misure per rendere più agevoli i rapporti commerciali, fa coniare una moneta d’argento che pesava 1/240 di libbra, ossia quasi due grammi di metallo nobile. La libbra era divisa in venti solidi, da cui deriva il termine “soldi”.

Tentativi di difesa dei poveri Sono numerosi i decreti che regolano il commercio: il grano non può venir esportato da una regione se il raccolto è risultato scarso. Carlo cerca di fissare anche il prezzo dei principali prodotti tentando di alleviare le sofferenze dei più poveri: alla loro assistenza devono provvedere i monasteri. È lecito supporre che questi programmi d’assistenza siano falliti perché le rendite dei monasteri non potevano far fronte alla massa dei poveri.

Tribunale e cancelleria Tra gli organi di governo c’è il tribunale di palazzo che funge da corte d’appello di suprema istanza, e la cancelleria che si occupa della redazione dei documenti ufficiali, presieduta da un ecclesiastico perché a quell’epoca solo gli ecclesiastici sicuramente sanno leggere e scrivere.

Proprietà della corona Le entrate per mantenere la corte sono fornite dai poderi personali dell’imperatore che fanno di lui il più grande proprietario terriero d’Europa. Per far fronte alle crescenti spese d’amministrazione Carlo emana una famosa ordinanza, il Capitulare de villis in cui si trovano istruzioni per la coltivazione dei poderi.


I giudici capitolari, campi di Maggio

Carlo crea un corpo di giudici chiamati scabini, che i suoi funzionari devono reclutare in numero piuttosto ampio tra le persone più rispettabili di ogni contea: costoro sono responsabili dell’amministrazione della giustizia e devono assistere i conti quando fungono da giudici. Le vive preoccupazioni di Carlo per la giustizia fanno comprendere che sta avvenendo una grande evoluzione sociale in forza della quale le persone libere ma povere sono escluse dal potere posseduto un tempo in seno all’assemblea generale degli uomini liberi (arimanni). L’estensione dell’impero impedisce di fatto che si possano tenere assemblee generali di tutti gli uomini liberi: esse vengono sostituite dai Campi di Maggio convocati a maggio per permettere le operazioni agricole primaverili. Al Campo di Maggio partecipano i nobili, gli ecclesiastici e i laici importanti: questa assemblea ha un carattere spiccatamente militare. Ogni anno si tiene un’assemblea più ristretta, in autunno, per fissare le linee generali della politica dell’anno seguente. A tale assemblea partecipano solo i nobili di rango più elevato, in particolare i conti e i marchesi, ed ha un carattere più politico: la partecipazione popolare col passare del tempo cessa del tutto. Anche il Campo di Maggio decade e viene sostituito dal raduno dei nobili di una provincia per ascoltare gli ordini dei missi dominici inviati dall’imperatore.

QUI SI ATTACCA AL CAP. EX MONASTERO CIVILTA’ MEDIEVALE...


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Parte seconda

Dopo aver letto la storia di San Benedetto e del monachesimo da lui fondato, dovrebbe essere più facile capire chi è il Santo, cioè una persona che vive ogni particolare della vita e della realtà come segno di Cristo. La santità concepisce l’uomo, la realta e la storia come dimensioni piene di significato perchè Dio esiste e si è rivelato. Questo è l’ideale a cui tutti i cristiani sono chiamati. Il procedimento per il processo Per questo il Medioevo pone la figura del di beatificazione Santo come esempio ideale da seguire ed imitare nella sua unità tra sè e il significato ul1) Un gruppo di fedeli o una Congregazione religiosa formula timo dell’esistenza. In sostanza la santità conla domanda al Vescovo perché apra l’Inchiesta Diocesana su una cepisce l’uomo in totale unità con Dio, in un possibile Beatificazione. Questa domanda non può essere presentata prima di cinque anni rapporto di amore e obbedienza verso Cristo. dalla morte di colui (o colei) che dopo l’apertura dell’Inchiesta viene chiamato “Servo di Dio”. 2) La responsabilità di aprire l’Inchiesta Diocesana è del Vescovo della Diocesi in cui è avvenuta la morte del futuro Beato. Il Vescovo decide con il Nulla Osta della Congregazione dei Santi, e dopo aver verificato che esistono gli elementi sufficienti, soprattutto una consistente Fama di santità tra i fedeli. L’Inchiesta procede attraverso l’ascolto di Testimonianze e la raccolta di Documenti ed è presieduta dal Giudice Delegato del Vescovo. 3) La Congregazione dei Santi, ricevuti in consegna gli Atti, dopo aver verificato la Validità dell’Inchiesta compiuta in Diocesi, nomina un Relatore della Causa che compie a sua volta un’indagine sulla base dei documenti raccolti. 4) Dopo il voto favorevole di 9 Teologi (Congresso dei Teologi) e dopo una Riunione di Cardinali e Vescovi della Congregazione dei Santi, il Santo Padre autorizza la lettura del Decreto sull’eroicità delle virtù del Servo di Dio, che d’ora in poi viene chiamato “Venerabile”. 5) Per la Beatificazione, è richiesto un miracolo ottenuto per intercessione del Servo di Dio. Perché venga preso in considerazione dalla Congregazione dei Santi, occorre una Inchiesta Diocesana, con lo stesso iter indicato sopra: Testimonianze, documenti Medici, ecc. Tutto viene consegnato alla Congregazione dei Santi. 6) La documentazione presentata a Roma, viene esaminata da 5 Medici, che sono chiamati ad esprimere il loro parere sulla straordinarietà della guarigione, che si dovrà dimostrare essere stata istantanea, senza spiegazioni mediche plausibili, definitiva e totale. Se il parere dei Medici è favorevole viene riconosciuto come miracolo. Anche per il Miracolo, come per l’eroicità delle virtù, è prevista una Riunione dei Vescovi e dei Cardinali, prima che il Papa autorizzi la lettura del Decreto. 7) Con la Beatificazione il Papa stabilisce la data della memoria nel calendario liturgico locale della diocesi che ha promosso la causa di beatificazione. 8) Un altro Miracolo, che sia avvenuto dopo la Beatificazione e approvato con la stessa procedura detta sopra, è necessario perché il Beato venga proclamato Santo con la Canonizzazione. 9) Una volta riconosciuto questo secondo miracolo il S. Padre consulta i Cardinali e stabilisce la data della Canonizzazione. La Canonizzazione implica che il culto venga esteso e permesso a tutta la Chiesa.

La beatificazione Questo ideale a cui tutti gli uomini sono chiamati, viene vissuto in modo esemplare da alcune persone che la Chiesa, dopo attenta valutazione, pone come santi beatificati. Una volta che queste persone sono ufficialmente riconosciute dalla Chiesa come Santi, i fedeli possono pregarli per chiedere di intercedere presso Dio. Questo spiega il loro culto ampiamente diffuso nel Medioevo e del perchè fosse uno degli aspetti portanti della società. Ogni chiesa, cattedrale o monastero conservava, infatti, delle reliquie (parti di corpo, vestiti, oggetti) appertenute a qualche santo. La gente di qualsiasi estrazione sociale, dai più poveri ai più ricchi, per pregare il santo sono disposte a fare lunghi pellegrinaggi fino al luogo sacro che conserva una sua reliquia. Il pellegrinaggio è così diffuso nel Medioevo che alcuni storici hanno scritto che l’Europa è nata pellegrinando. I luoghi più famosi e importanti del periodo medievale sono Santiago di Compostella in Spagna (dove risiede il corpo di S. Giacomo) e Roma dove si trovano le tombe dei santi Pietro e Paolo.


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Il sistema di potere che caratterizza tutto il medievo è il feudalesimo. Questo sistema, con cui Carlo Magno organizza il suo impero, proviene dalla società germanica, dove il capo si circondava di uomini scelti a lui fedeli. Questi erano i guerrieri che occupavano il gradino più alto della scala sociale in quanto “amici” del capo: gli facevano scudo in battaglia, lo sostenevano contro i suoi rivali, lo servivano con lealtà e devozione. In cambio ottenevano la sua protezione. La differenza non trascurabile con la società germanica è che questo sistema di potere adesso viene utilizzato non per organizzare delle tribù, ma interi regni o addirittura imperi.

Popoli non nazioni La conseguenza più importante del feudalesimo è che non esiste il concetto di nazione o stato, il popolo non si sente francese o tedesco, ma legato da un giuramento di fedeltà al suo duca. La frantumazione inevitabile di questo sistema di potere viene superata con l’azione della Chiesa che è il vero collante della società feudale. Il cristianesimo è l’alveo della società in cui il popolo ritrova la propria identità e unità in uno scopo comune.

L’organizzazione feudale Vediamo adesso come si struttura il feudalesimo durante l’Alto medioevo. Al tempo dei re franchi merovingi il VASSALLAGGIO è un legame in cui un UOMO LIBERO si mette al servizio di un altro uomo libero più benestante in cambio di protezione e aiuto economico. Il Vassallo (DA VASSUS= servo, garzone) serve il suo Signore, lavora per lui e combatte per lui in cambio il signore lo protegge. Tutte le classi sociali possono stringere rapporti vassallatici (re, ricchi, poveri ecc…). Al tempo dei re carolingi (C. Magno) il rapporto vassallatico assume una funzione prevalentemente militare: il Re dona in beneficio-feudo (significa stipendio, ricompensa) delle terre ai suoi guerrieri e questi in cambio gli devono garantire fedeltà e aiuto in guerra ( i più importanti tra i suoi vassalli diventavano conti o marchesi). In questo perido il feudo è solo un prestito, infatti alla morte o nel momento in cui i vassalli si dimostrassero infedeli, il Re poteva riprendersi la terra. A loro volta i vassalli del re potevano avere altri vassalli minori a loro sottomessi (valvassori, valvassini).

L’investitura La cerimonia con cui una persona diventava VASSALLO di un’altra veniva chiamata cerimonia di investitura e consisteva in questi gesti: 1) Il vassallo rende omaggio al signore inginocchiandosi davanti a lui a capo scoperto (simbolo di sottomissione); 2) Il vassallo mette le sue mani in quelle del signore (simbolo di protezione); 3) Il signore dona una terra in beneficio/feudo consegnando al vassallo un simbolo del suo potere (spiga, stendardo ecc…); 4) Vassallo e Signore si scambiano un bacio che indica l’accordo avvenuto.

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Parte seconda

Nell’Alto Medioevo la grande azienda agricola del ricco e nobile signore era chiamata curtis. Questa era formata dalle proprietà personali del Signore ( Allodi) e dai territori ricevuti in Feudo (o Beneficio) dal Re o da altri Signori. La curtis essendo legata al sistema feudale non è un territorio compatto, ma molto frammentato: vicino al territorio di una curtis ci possono essere dei terreni di un’altra curtis. Il sistema curtense si divideva sostanzialmente in due parti: la parte dominica e la parte massaricia.

La parte dominica É il territorio che il feudatario gestisce direttamente attraverso i servi personali del Signore. Questa parte comprendeva la residenza del signore, i boschi, i pascoli, le attrezzature agricole più importanti (il frantoio, il torchio, i forni, ecc.), i laboratori artigianali e una parte dei campi coltivati.

La parte massaricia É il territorio gestito dal signore indirettamente affittandolo ai massari o contadini liberi in cambio di un affitto da pagare in natura ed è costituito dai mansi, i campi esterni alla parte dominica. Oltre all’affitto, i massari devono al signore la corveé. Quest’ultima consiste in una prestazione gratuita da dedicare ai lavori nella parte dominica, sia per la costruzione o riparazione di edifici sia per aiutare i servi della gleba nei momenti più impegnativi della stagione, come quello della semina o della raccolta.

L’autoconsumo Il sistema curtense è un’economia basta principalmente sull’autoconsumo, cioè la capacità di sopravvivere consumando ciò che si riesce a produrre da soli. Questa è stata evidentemente una necessità imposta dal periodo di violenza in cui questo sistema si sviluppa, dove il commercio e le vie di comunicazione sono praticamente impossibili da praticare. Le corveé prestate dai massari servono proprio a supplire questa condizione. Se al signore si rompe un aratro, la riparazione viene affidata al massaro più abile come fabbro o falegname; se occorrono vestiti, coperte, tende, le massare aiutano le serve di casa a tessere la lana, tagliarla, cucirla e così via. Inoltre in un epoca in cui sostanzialmente non circola denaro, non si sarebbe potuto pagare i lavoratori. Il sistema curtense, invece, fornisce un lavoro a costo zero o pagato in natura che consente all’economia di sopravvivere.


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La falconeria era uno dei passatempi piĂš diffusi nel medioevo. I falconi venivano addestrati a volare dal polso del falconiere per catturare le prede, di solito uccelli che volavano troppo alti per le frecce, ma anche conigli e lepri.

Un rigida gerarchia Come la vita sociale era regolata da un preciso ordine gerarchico, cosĂŹ anche questa pratica obbediva alle stesse leggi. Per esempio cacciare col girifalco, se si era dei semplici signori, non sarebbe stato ben accetto al re, I signori dovevano infatti limitarsi a cacciare col falco pellegrino, mentre le loro dame lo facevano con lo smeriglio. Guardiamo lo schema che riproduce il tipo di falco che in base alla proprio titolo sociale si poteva usare.


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Parte seconda

I regni

La civiltà medievale

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Carlo Magno e il Sacro Romano Impero

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Decadenza del Sacro Romano Impero


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Allo morte di Carlo Magno, secondo la tradizione franca, il regno viene diviso tra i figli. Lotario, il maggiore dei tre fratelli, eredita anche il titolo imperiale, ma si tratta di una carica priva di potere effettivo. Ormai coloro che governavano concretamente il territorio sono soprattutto i grandi feudatari. L’autonomia dei grandi feudatari si rafforza ancora di più quando, nell’877, Carlo il Calvo con il capitolare di Quierzy riconosce a conti e marchesi il diritto di lasciare il loro incarico in eredità al figlio. Nell’887 proprio i grandi feudatari depongono l’ultimo imperatore della dinastia carolingia.

Il titolo imperiale Il titolo di Imperatore, tuttavia, non scompare. Nei decenni successivi continua ad essere assunto da alcuni sovrani. Si tratta però di un titolo onorifico, che non comporta alcuna supremazia. Lo stesso titolo di re garantisce ormai un potere limitato, infatti nessun sovrano riesce a consolidare il suo potere rispetto ai feudatari tanto da fondare una dinastia. Anche il regno franco occidentale è fragile ma i sovrani riuscono a mantenere un controllo saldo e duraturo almeno sull’area di Parigi.

Il titolo imperiale si sposta in Germania La più forte delle monarchie sorte dalla divisione dell’Impero carolingio è quella franco orientale o tedesca, soprattutto dopo che sale al trono Ottone I di Sassonia. Questo Re, approfittando anche della minor diffusione del sistema di vassallaggio in Germania, riesce a controllare abbastanza saldamente i suoi territori. Nel 962 egli ottiene anche il titolo imperiale, a cui restituesce un certo prestigio. La restaurazione dell’impero da parte di Ottone ha però limiti precisi. In primo luogo è esteso solo alla Germania e all’Italia centro settentrionale. In secondo luogo risente degli stessi motivi di fragilità che avevano caratterizzato il Sacro Romano Impero di Carlo Magno: la difficoltà nel controllo del territorio e la debolezza dell’economia cosiddetta curtense.

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Parte seconda

I territori di partenza e le zone interessante ai saccheggi delle nuove invasioni.

La decadenza e la frantumazione del potere imperiale viene favorita anche dalla nuova ondata di invasioni che tra il IX e il X secolo terrorizzano l’Europa. I protagonisti di questa nuova stagione di violenza e paura sono: i Vichinghi, gli Ungari e i Saraceni.

I Vichinghi soprannominati Normanni I Vichinghi, parola che nella loro lingua significa “guerrieri”, sono popolazioni di origine germanica, che abitano nell’area scandinava costituendo il ceppo originario di danesi, svedesi e norvegesi. 1- Vichinghi o Normanni Per la loro origine settentrionale 2- Ungari vengono chiamati anche Normanni (“Uomini del nord”). La religione e l’organizzazione sociale vichinga non sono diverse da quelle delle popolazioni germaniche che abbiamo già visto. Abilissimi naviganti ed esperti nella lavorazione del ferro, sono formidabili guerrieri. Spietati e violenti si dedicano al saccheggio colpendo paesi e città costiere, all’inizio l’obbiettivo principale delle loro incursioni è l’Inghilterra poi si spostano anche sulle coste francesi. Con le loro particolari navi riescono a risalire i fiumi e quindi colpire le città dell’entrotterra con rapidi e feroci attacchi, arrivando perfino ad assaltare la città di Parigi. Sempre risalendo i fiumi alcune tribù vichinghe si insediano nel cuore Un tipico castello diffuso nel X delle pianure russe arrivando fino al Mar Nero. In questi territori fondano secolo. alcuni regni, tra cui il principato di Kiev. Da questi insediamenti, in futuro, si svilupperà la Russia. Altre popolazioni vichinghe, guidate da Erik il rosso, raggiungono la Groenlandia e da lì si spingono, probabilmente, in alcuni regioni


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dell’America settentrionale che chiamavano Vinland.

La normandia Non riuscendo a fronteggiare militarmente le contiue incursioni normanne, il re di Francia Carlo il Semplice, cerca di scendere a patti con loro. Per questo cede al normanno Rollone un feudo nella regione del Nord della Francia che in seguito a questo prenderà il nome di Normandia. Anche altri sovrani seguono l’esempio francese con feudi o pagando forti somme di denaro.

Gli Ungari

Le prima incursione vichinga Queste sono le parole del duca di York alla notiza, nel 793, del primo monastero razziato dai Normanni. “Noi e i nostri antenati abbiamo abitato queste dolci terre per quasi 350 anni e mai prima d’ora si era presentato il terrore che ci è inflitto da questa stirpe pagana”

Gli Ungari sono, invece, una popolazione asiatica che calando da est si stanzia nei territori dell’attuale Ungheria, e da lì le tribù ungare colpiscono l’Europa centrale e l’Italia, arrivando a minacciare Roma. Come tutte le popolazioni delle steppe asiatiche, sono abili guerrieri a cavallo che fanno della rapidità la loro forza maggiore.

I Saraceni I Saraceni per gli europei erano dei pirati arabi, in realtà sono le popolazioni islamiche dell’Africa settentrionale, in particolare quelle stanziate in Tunisia. In genere i Saraceni non si propongono di conquistare territori, ma si limitano a saccheggiare, seminando morte e distruzione e dileguandosi subito dopo. Solo in alcuni casi organizzano vere e proprie campagne militari, come, per esempio, quella che si conclude con la conquista della Sicilia, punto strategico per in controllo del Meditterraneo. Ed è proprio dalla Sicilia che partiranno tutte le incursioni che per molto tempo terrorizzeranno tutte le coste d’Italia e del sud della Francia.

L’invasione ungara in una cronaca del tempo. “Una parte del cielo apparve in fuoco: fu da quel lato che di lì a poco si abbattè sulla Francia l’invasione degli ungari. Villaggi e campi furono devastati, case e chiese bruciate, una moltitudine di persone fatte prigioniere. Ci furono però delle chiese che non riuscirono a bruciare ... nella chiesa di Saint-Basle, un ungaro per salire sull’altare vi appoggiò la mano, ma questa mano si attaccò alle pietre dell’altare, senza che lui potesse far niente per liberarla. I suoi compagni dovettero tagliare con l’ascia la pietra tutt’intorno e il pagano fu costretto a portare così quel pezzo di pietra attaccato alla mano, mentre fuggiva con i suoi compagni pieni di stupore e sgo-

Tutti (Normanni, Ungari e Saraceni) uccidevano, razziavano, rapivano la gente per farla schiava o per chiedere un riscatto, bruciavano e distruggevano tutto ciò che non potevano portare con sé. Al loro avvicinarsi, le campane suonavano l’allarme, i contadini dei villaggi tentavano di rifugiarsi nelle foreste, i signori dei castelli alzavano i ponti levatoi e si chiudevano in difesa nelle loro roccaforti. Ma spesso le difese non erano sufficienti e le città, i castelli e i monasteri venivano depredati e distrutti. L’Europa, sotto l’incubo di queste continue incursioni, cambia il suo aspetto. Villaggi, chiese e monasteri si circondano di massicce fortificazioni; le città restaurano le antiche mura; dappertutto spuntano castelli dove, in caso di


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attacco, viene organizzata la difesa e si rifugia la popolazione terrorizzata. Questo fenomeno prende il nome di “incastellamento”. I sovrani dei Regni nati dalla divisione dell’Impero carolingio non riescono a fermare nemici tanto sfuggenti e veloci. Per questo sono quasi sempre i signori locali, vescovi compresi, a dover organizzare una resistenza realmente efficace contro gli invasori. Questa situazione aumenta il potere politico delle famiglie aristocratiche e la loro autonomia, favorendo una frantumazione del potere centrale del sovrano. Quando le invasioni finiscono, questo nuovo sistema politico è ormai ampiamente diffuso e radicato, ponendo fine al feudalismo instaurato da Carlo Magno per instaurarne un altro fondato sull’autonomia del feudatario e non sulla sua obbedianza al sovrano. Ma questo lo vedremo meglio nei capitoli siccessivi.

La prima documentazione di un assalto vichingo risale al 793, quando una banda pesantemente armata approdò con alcune “drakkar” a Lindisfarne, un’isola al largo dell’Inghilterra, sede di un monastero cristiano. I Normanni odiavano il cristianesimo perché la ritenevano una religione che indeboliva l’uomo, come aveva fatto, secondo loro, con molte delle popolazioni di origine germanica. Il monastero fu razziato, incendiato e i monaci massacrati. Questo evento segnò l’inizio del periodo di terrore che per quasi tre secoli avvolse l’Europa. All’inizio cominciarono con il colpire bersagli facili come villaggi, piccoli monasteri e altre navi. Razziavano bestiame, gli oggetti preziosi, il grano e le campane di bronzo delle Una nave normanna poteva risalire facilmente i fiumi e trasportare una

chiese, che poi fondevano per farne armi o attrezzi; il bottino veniva diviso tra i componenti dell’equipaggio di ogni nave. Inoltre rapivano donne e giovani per farne degli schiavi. In breve tempo passarono all’attacco delle più grandi e ricche città d’Europa. Nel 846 saccheggiarono Amburgo e Parigi e il re francese Carlo il Calvo dovette consegnare al condottiero Ragnar il Villoso più di tre tonnellate d’argento affinché se ne andasse. Anche i sovrani inglesi furono costretti a pagare grandi somme di denaro pur di non essere attaccati; tuttavia, non di rado i Normanni tornavano per esigere riscatti ogni volta più onerosi.

Nell’anno 878 un esercito di 30 mila Normanni risalì la Senna su 700 navi e giunse fino a Parigi, che assediò


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A diffondere il terrore tra tutte le popolazioni d’Europa, rivestendo di leggenda la violenza e la forza dei guerrieri normanni, furono sicuramente i guerrieribelva. Durante le battaglie tremende urla selvagge giumgevano da lontano, alle orecchie dei soldati terrorizzati ed intimoriti: esse annunciavano, con la loro bestialità, l'arrivo di indomite schiere di feroci guerrieri assetati di sangue. I soldati, intontiti ed dalla paura, sapevano che si sarebbero trovati di fronte ad esseri metà uomini e metà bestie feroci che, sprezzanti dei pericolo ed incuranti delle ferite, si precipitavano in battaglia senza armatura, mordendo i loro scudi, uccidendo chiunque si trovasse davanti a loro. Questi oscuri dispensatori di morte e di distruzione indossavano solo pelli d'orso o di lupo, che contribuivano ad accentuare il loro aspetto di sinistri ambasciatori del male. Gli animaleschi guerrieri, personificazioni della furia annientatrice, erano i mitici berserkir " vestiti di pelli d'orso", e gli ulfhednir, "uomini lupo” vestiti con pelli di lupo.

Adoratori di Odino Entrambi appartenevano a delle sette religiose guerriere votate ad Odino, nella sua valenza di dio della guerra. I membri di queste società si sottoponevano a crudeli riti di iniziazione, bevendo, a quanto sembra, anche sostanze inebrianti e facendo uso di droghe capaci di renderli insensibili al dolore fisico. Ed è in tali sostanze che va ricercata la fonte dell'eccezionale carica distruttiva che caratterizzava il loro stato mentale di furia, detto berserksgangr, che li rendeva particolarmente feroci e dotati di una forza eccezionale. Il soprannome che adottavano e la loro inaudita ferocia in battaglia generò una leggenda secondo la quale essi si trasformavano

letteralmente in enormi orsi mannari durante la battaglia e si diceva che non potessero essere sconfitti (in quanto ignoravano il dolore) senza ricorrere all'asportazione di parti vitali quali cuore o testa. La terribile reputazione di queste bande e la loro apparizione sul campo di battaglia aveva certamente un grande effetto demoralizzante sui nemici. Anche gli alleati tuttavia dovevano temere questi guerrieri, perché i berserkir, nella loro selvaggia furia, potevano decidere di saccheggiare un villaggio amico. Erano usati come unità di élite negli eserciti e talvolta come guardia personale del re.

Sacrifici umani Raramente, prima o dopo i combattimenti, si usava sacrificare prigionieri a Odino. Quando accadeva erano usate tecniche come l’impiccagione, l’impalamento su lance acuminate o la messa al rogo. In alcuni scritti si fa anche riferimento ad un oscuro rituale, la cosiddetta “aquila di sangue”, consistente nella separazione e successiva apertura delle costole dalla colonna vertebrale. Tra i berserkir e gli ulfhednir era usanza dipingersi il corpo con il sangue dei nemici finito il combattimento.

Banditi dalla società I berserkir scomparvero con la conversione dei re normanni al cristianesimo, i quali misero al bando queste sette e nel giro di pochi decenni scomparvero rimanendo solo nell’immaginario collettivo e nella tradizione letteraria come sinonimo di malvagità e possessione demoniaca. Come per esempio nelle leggende lapponi dove si parla di terribili “guerrieri d’acciaio” che uccidevano senza pietà e rapivano i bambini. Oppure nell’inglese moderno dove il detto “to go berserk” indica il perdere completamente il controllo, proprio come questi feroci guerrieri.

In alto un medaglione che simboleggia la magia di Odino, dio della guerra e della magia. Nel centro un alfiere per il gioco degli scacchi del X secolo fatto di avorio di tricheco, rappresenta un guerriero berserkir dal ghigno feroce che morde lo scudo. A lato una tipica coppa dei guerrieri normanni fatta di corno e riccamente decorata.

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Parte seconda

I Normanni dipendevano dal mare, che per loro era come una specie di autostrada. Le navi erano impiegate per i collegamenti tra i fiordi e le isole dove si trovavano i loro insediamenti. Pesci, foche e balene fornivano loro cibo, olio, pelli e ossa. I Normanni erano maestri nella navigazione ed erano tra i più abili costruttori di navi che il mondo avesse mai visto. L’imbarcazione normanna più famosa era la “lunganave”, che poteva raggiungere i 23 metri di lunghezza e che veleggiava scivolando veloce sulle onde degli oceani; questo tipo

di nave era inoltre adatta alla guerra. Il ponte della “lunga nave” era scoperto e del tutto privo di cabine o panche; i rematori sedevano su casse rivestite di cuoio, nelle quali tenevano tutti i loro averi, le armi e le razioni di cibo. I normanni costruivano molti altri tipi di imbarcazioni: avevano navi a ponte largo, utili per trasportare grossi carichi lungo le coste, così come piccole barche a remi e a vela che usavano per la pesca e i trasporti leggeri. Tutte erano caratterizzate da eleganti linee curve, insieme a prue e poppe molto alte.

Le “lunghe navi” erano conosciute da tutti con il nome “drakkar” per indicare le figure di draghi con cui Normanni erano soliti scolpire la loro prua per tenere lontani gli spiriti maligni e spaventare i nemici. Da un’unica trave di quercia i carpentieri normanni ricavavano la chiglia, cioè la “spina dorsale” della nave, che raggiungeva normalmente la lunghezza di 18 metri; per fissare il fasciame all’ossatura impiegavano chiodi ribattuti e rondelle di ferro. Le tavole erano a sezione triangolare e, quindi, nelle “drakkar” ogni fila del fasciame era sovrapposta a quella

sottostante. L’albero maestro era costituito da un unico tronco di pino e poteva essere smontato e reclinato. Questo per facilitare l’approdo e la navigazione nei fiordi dove soffia spesso un fortissimo vento. Per rendere la chiglia a perfetta tenuta d’acqua, tutte le fessure erano riempite con stoppa, lana o feltro e infine il fasciame veniva rivestito con uno strato di resina di pino o di pece. L’albero reggeva una grande vela quadrata o rettangolare, fatta di stoffa di lana o lino, spesso colorata a strisce.


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Il mondo dei Normanni

I Normanni presero il mare in cerca di ricchezze, fortuna e terre migliori da coltivare. Le zone più colpite dai loro attacchi erano l’Inghilterra, la Scozia, il Galles e l’Irlanda; più tardi si stabilirono in vaste aree delle Isole Britanniche, le Shetland e l’isola di Man. Le incursioni normanne arrivarono lungo le coste e i fiumi della Germania, dei Paesi Bassi e della Francia. Guerrieri vichinghi veleggiarono fino alle coste della Spagna, dove si incontrarono con gli Arabi scontrandosi con loro e conquistando stabilmente alcune regioni costiere.

Banderuola di bronzo che veniva posta in cima all’albero della nave per vedere la direzio-

Si spinsero anche verso ovest, attraversando l’Oceano Atlantico, arrivando a stabilirsi in Islanda, in Groelandia e perfino in America del Nord nell’isola di Terranova che loro chiamavano Vinland. I mercanti normanni fondarono stati in Ucraina e in Russia e discesero navigando i fiumi dell’Europa dell’Est. Arrivarono a Costantinopoli che loro chiamavano Miklagard, e si autonominarono guardie del corpo dell’imperatore bizantino.

Le navi normanne erano molto veloci, tanto da poter navigare dalla Scandinavia all’America del Nord in meno di un mese. La maggior parte dei viaggi era comunque lunga e difficile, spesso interrotta da tempeste o battaglie. A bordo delle navi erano caricate scorte di acqua potabile e cibi a lunga conservazione come mele, formaggi e carne secca. Il pesce veniva pescato di giorno in giorno e quindi sempre fresco. I Normanni conoscevano i venti, le maree e le correnti meglio di qualsiasi altro marinaio in Europa. Quando era possibile seguivano le coste, navigando a vista; quando invece attraversavano l’Oceano Atlantico, dovevano orientarsi con il sole e con le stelle. Avevano l’abitudine di tracciare semplici mappe delle coste, ove erano segnati i confini tra i vari regni. Spesso le navi erano portate fuori rotta dalle tempeste e così casualmente scoprivano nuove terre, come l’America Settentrionale. Un marinaio chiamato Gunnbjorn arrivò in vista della Groelandia attorno al 920. La costa canadese fu scoperta per caso nel 985 da un marinaio che si era perso e colonizzata nel 1002 da Leif Eriksson, conosciuto come Leif il Fortunato.


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Parte seconda

Nell’alto medioevo i castelli sono fatti principalmente di legno, con le nuove invasioni si assiste ad un sviluppo notevole dei castelli e della loro tecnica di costruzione. La prima evoluzione è la fortificazione del mastio, che diviene una solida torre di mattoni o pietra

I castelli del IX-XII secolo consistono essenzialmente in un fossato dietro a cui si innalzano dei terrapieni sormontati da una palizzata. Molti hanno al centro una “motta”, cioè un tumulo artificiale di terra coronato da una torre (il “mastio”), resisdenza del signore e postazione per l’ultima difesa. Nel recinto principale trovano posto le costruzione aisiliarie (stalle, fabbro, al-

Il cassero o dongione, cioè il grande mastio di pietra, diventa frequente nel corso del XII secolo. Quelli più grandi potevano ospitare comodamente il signore e il suo seguito. Anche le mura esterne sono ora frequentemente di pietra, rafforzate da torri (quadrate o tonde) disposte a intervalli.

I castelli concentrici, che cominciano ad apparire nel XIII secolo, presentano due cerchie successive di mura, l’una dentro l’altra. Le costruzioni più interne sono solitamente più alte di quelle esterne, così da poterle “comandare”, cioè batterle con il proprio fuoco. Spesso si utilizzano il corso dei fiumi per creare grandi

dove vive il signore del castello. Poco dopo anche la palizzata di legno viene sostituita da solide mura fino ad arrivare all’XII secolo dove il castello diviene quello che normalmente noi immaginiamo associato a questo termine.


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Parte seconda

vfgfdgsdfgIrtestiu resteri ssimili, esceris esilium, poptis.Sa re, quon ponsul vo, nonsisultum omaximis. Oltorsuam hala vid mo vivastra, qui pris, quemnicae vfgfdgsdfgIrtestiu resteri ssimili, esceris esilium, poptis.Sa re, quon ponsul vo, nonsisultum omaximis. Oltorsuam hala vid mo vivastra, qui pris, quemnicae quiderfir patum ia ilicae etes a nestrio halicae publis. Hocaelis.Ri sil ut de in se et vidit. Potilium dictus mensussentra quam sena auc fat condum iam intraelabul


Unità 1

Questa fotografia dal basso in alto mette bene in evidenza le cossiddette difese a “piombo”. Dalla parte alta delle murature si staccano le caditoie, cioè un insieme di mensole di pietra (beccatelli) e di fori (piombatoi) da cui si potevano gettare sul nemico acqua o sabbia

Questa fotografia dal basso in alto mette bene in evidenza le cossiddette difese a “piombo”. Dalla parte alta delle murature si staccano le caditoie, cioè un insieme di mensole di pietra (beccatelli) e di fori (piombatoi) da cui si potevano gettare sul nemico acqua o sabbia

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Parte seconda


Unità 1

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Parte seconda


Unità 1

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RINASCITA

IL BASSO MEDIOEVO - la vicina Età di Mezzo

Sacco di Roma da parte dei Visigoti

Fine dell’Impero romano d’Occidente


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Parte terza

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Lo sviluppo dell’XI secolo Unità 10

La cavalleria e la riforma della Chiesa Unità 11

Unità 12

Lo scontro tra Impero, Chiesa e Comuni Unità 13

Il medioevo in Oriente Unità 14

Pietra e Luce


Lo sviluppo dell’XI secolo

Unità 1

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Nell’XI secolo l’Europa è caratterizzata da un notevole sviluppo e trasformazione della società medievale. Questi cambiamenti sono dovuti ad un insieme di fattori che adesso proveremo ad analizzare.

Come era accaduto per le popolazioni che avevano distrutto l’Impero Romano, così nel X secolo si compie in gran parte il processo di integrazione degli Ungari e dei Normanni. Anche questa volta è decisiva la conversione di queste popolazioni al cristianesimo per trasformarle da violenti razziatori in popolazioni stabili che fondano nuovi regni, integrandosi nella cristianità.

I Normanni in Inghilterra Durante il periodo delle invasioni soltanto l’Inghilterra era riuscita ad organizzare un’efficace difesa contro i Normanni, costruendo moltisimi castelli, villaggi fortificati e un’imponente flotta. Ma nel 1014, sotto la guida de re danese Canuto II il grande, i Normanni riescono a conquistare l’Inghilterra e Canuto, dopo la sua conversione al cristianesimo, ne diventa il legittimo sovrano. Il Mare del Nord diventa così un “mare interno vichingo”, perchè Canuto il Grande riunisce nelle sue mani le corone d’Inghilterra, di Danimarca, di Svezia e di Norvegia. Alla morte di Canuto, sul trono inglese torna un re sassone. Ma il duca di Normandia Guglielmo, appoggiato dal Papa, rivendica il trono e invade nel 1066 nuovamente l’isola. Sconfigge definitivamente i Sassoni nell’epica battaglia di Hastings, una delle più grandi dell’Età di Mezzo. Guglielmo, che per questa impresa fu chiamato “il Conquistatore”, è incoronato re e nel giro di pochi anni si impadronirà di tutta l’isola, gettando le basi della futura nazione Inglese. Guglielmo trasferisce nell’Inghilterra il sistema feudale francese, ma adattato alle tradizioni politiche e sociali inglesi. Divide il territorio in contee, guidate da un giustiziere che dipende direttamente dal re e svolge la funzione di giudice. Questi ha alle sue dipendenze uno sceriffo, cioè un amministratore fedele al re, che riscuote le tasse e custodisce il castello.

I Normanni in Italia Altri Normanni, convertiti al cattolicesimo, giungono nel Meridione d’Italia intorno al 1025, attirati dalle lotte senza fine tra Bizantini, Longobardi e Saraceni. Organizzati in bande di mercenari (soldati che combattevano per soldi) si mettono al servizio dei vari signori; in questo modo, in poco tempo, accumulano enormi ricchezze e alcuni feudi. La svolta per i Normanni avviene sotto la guida di Roberto d’Altavilla, detto il Guiscardo (l’astuto). Nel 1059 Roberto giura fedeltà al Papa, si dichiara suo vassallo e promette di proteggerlo militarmente. In cambio, come beneficio, il papa Niccolò II lo nomina duca di Puglia e Calabria. In questo modo i Normanni conquistano tutta l’Italia meridionale, impadronendosi anche degli ultimi domini Longobardi. Nel frattempo Ruggero d’Altavilla, fratello di Roberto, sbarca in Sicilia dando inizio ad una lunga lotta contro gli arabi per la conquista dell’isola. La guerra durerà trent’anni è vedrà la vittoria dei Normanni. Nel 1130 Ruggero II, figlio di Ruggero d’Altavilla, unifica i due regni normanni divenendo re di Sicilia e duca di Puglia e Calabria. Il Regno normanno si distinse nel tempo da tutti gli altri per la sua solidità politica, la tollerenza dei suoi sovrani e la capacità di intrecciare le culture più diverse: latina, greca, bizantina, longobarda,

Una croce del X secolo in cui Gesù indossa i pantaloni tipici

Una chiesa cristiana del 1200 costruita in Norvegia, mostra chiaramente come la nuova religione si integri con la tradizione tipica di queste popo-


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Parte terza

La battaglia di Hastings

17 ottobre 1066

Guglielmo di Normandia attraversò la Manica con circa 700 navi per trasportare un esercito tra i 7.000 - 10.000 uomini. Ad aspettarlo c’era Aroldo re degli Anglosassoni con 9000 guerrieri. L’armamento dei due eserciti e la sua organizzazione erano molto simili perchè entrambi erano popoli di origine germanica. Le armi preferite erano l’ascia da battaglia o da lancio e la spada lunga. I Sassoni portavano i caratteristici scudi tondi, mentre i Normanni lo scudo a goccia copiato dai Franchi. Guglielmo da loro aveva preso anche l’uso della cavalleria e la costituzione di reparti di arcieri, entrambi praticamente inesistenti nell’esercito di Aroldo.

L’attacco Normanno I sassoni non disponendo della cavalleria decisero di attestarsi sulla cima di una collina ed aspettare l’attacco normanno. Guglielmo schierò l’esercito su tre file: la prima composta da arcieri, la seconda da fanti e la terza da cavalieri. Dopo un lungo ma infruttuoso lancio di frecce, a causa della posizione eleveta del nemico e della sua formazione compatta, i Normanni attaccarono con la fanteria e la cavalleria. I Sassoni risposero con un fitto lancio di giavellotti e ascie che sbaragliarono sia la fanteria che la cavalleria, entrambe rallentate nell’avanzata dalla pendenza del terreno. Per tutta la mattina gli attacchi normanni si infransero contro lo schieramento sassone fino a provocare la fuga di alcuni reparti e il diffondersi della notiza della morte dello stesso Guglielmo.


Lo sviluppo dell’XI secolo

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La finta ritirata di Guglielmo

Dopo la vittoria di Guglielmo, il vescovo di Bayeux comissiona un’enorme arazzo per narrare la conquista normanna. Si tratta di un ricamo ad ago, tracciato con fili di lana di otto colori su una fascia di lino grezzo lunga circa 70 metri e larga 50 centimetri. Vi sono rappresentati 626 personaggi, circa 250 tra cavalli e muli, 550 animali di ogni genere, oltre a castelli, chiese, navi ecc. per un totale di 1500 figure. Nell’arazzo viene descritto con ricchezza di particolari gli avvenimenti che precedettero lo scontro e la battaglia stessa, interrompendosi con la morte di Aroldo, ed è una fonte particolarmente preziosa agli storici per conoscere vesti, armamenti, equipaggiamenti, flotte, tecnologia, usi dei Normanni e della vita nel Medioevo.

Per evitare lo sbandamento dell’esercito Guglielmo dovette cavalcare per tutto lo schieramento facendosi ben vedere dai suoi uomini e gridando: “Guardatemi bene, sono ancora vivo e, per grazia di Dio, sarò vincitore”. Evitata la fuga dell’esercito rimaneva ancora da prendere la collina dove Aroldo rimaneva ancora ben saldo con i suoi uomini. Per evitare la sconfitta certa, Guglielmo finse una precipitosa ritirata. I Sassoni cadderò nell’inganno e si lanciarono giù dalla collina all’inseguimento rompendo l’unità della loro formazione, a quel punto la cavalleria normanna potè caricare e seminare morte tra le fila Sassoni. La battaglia si trasformò in un terribile corpo a corpo generale dove il valore dei guerrieri di entrambi gli schieramenti fece restare in bilico per parecchio tempo l’esito della battaglia. Infine Aroldo muore colpito ad un occhio da una freccia spiovente, anchi i suoi fratelli cadono nella mischia uno dopo l’altro. I Sassoni, senza più capi, si danno alla fuga disordinata e vengono annientati. Finita la battaglia il cadevere di Aroldo, denudato e così massacrato di colpi da essere quasi irriconoscibile, viene ritrovato da Guglielmo che lo porta nel suo accampamento e lo fa seppellire sulla spiaggia.


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Parte terza

Olaf il Santo, la conversione dei Normanni di Norvegia al cristianesimo. La storia dei regni vichinghi è un continuo di lotte interne per la riunificazione dei vari clan e la presa del potere. La svolta decisiva viene da un discendente di Harald Bellachioma, Olaf Haraldsson (noto come “il Grosso” prima, come “il Santo” dopo). Nato verso il 995, anch’egli veniva da una lunga esperienza di vichingo iniziata all’età di dodici anni. Stando alla tradizione, aveva preso parte a combattimenti e razzie in Finlandia, Svezia, Gotland, Estonia, Danimarca, Frisia, Francia, Inghilterra e, sembra, persino presso lo stretto di Gibilterra. Più tardi figurava al servizio del duca Riccardo II in Normandia, dove incontra il cristianesimo e si converte ad esso. Nel 1013 riceveva il battesimo nella cattedrale di Rouen.

La conquista della corona di Norvegia Proprio in quegli anni, Canuto stava mobilitando tutte le risorse militari per vibrare il colpo finale contro l’Inghilterra, e nella fase conclusiva dell’impresa era stato raggiunto anche da Erik di Lade, reggente della Norvegia. Olaf non si lasciò sfuggire l’occasione per conquistare il regno. Imbarcatosi con 120 uomini salpò verso le coste norvegesi intorno al 1015, scacciò il figlio di Erik, sconfisse e uccise vari nobili e alla fine venne accettato come re di Norvegia. All’inizio l’autorità di Olaf ebbe un riconoscimento piuttosto circoscritto, e uno dei suoi primi compiti fu di consolidarla e di estenderla a tutto il Paese. Scacciò gli Svedesi, mentre piegò con difficoltà ma duramente i popoli del nord, sostituendo i capi recalcitranti

con funzionari di fiducia. Promosse e perfezionò l’amministrazione giuridica, emanò codici elaborati attraverso le grandi assemblee regionali dei clan e s’impegnò a rendere effettivo in tutto il Paese il rispetto della legge.

L’evangelizzazione dei vichinghi Raggiunta una certa tranquillità politico-amministrativa, Olaf poté dedicarsi all’opera di evangelizzazione della Norvegia. Per raggiungere questo obiettivo non esitò ad usare violenza e crudeltà. Deciso a imporre il Vangelo anche nelle regioni più remote e ostinatamente pagane, vi intervenne con durezza spietata, imponendo la conversione con la minaccia delle armi. Del resto, questo era il modo di risolvere le controversie tipicamente vichingo, non se ne conoscevano altri. Basti pensare che l’80% delle cause civili era risolto con un duello mortale. L’opera di conversione, quant’anche ottenuta con metodi violenti, portò risultati profondi e duraturi, perché fu accompagnata da un’accurata riorganizzazione delle legge e delle strutture ecclesiastiche, e appoggiata dalla edificazione di numerose chiese che garantirono una presenza più concreta, stabile e diffusa dei centri cristiani. Vescovi e missionari poterono agire con un’autorità sconosciuta ai predecessori e sanzionata dalla continua, vigile presenza del potere regio. Furono tentati anche, per meglio gestire il “passaggio”, compromessi di culto: ad esempio, le “feste della birra” furono consentite


Unità 1

a patto che la bevanda venisse benedetta e che si brindasse in primo luogo «in onore di Cristo e della Beata Vergine».

La perdita del trono Politicamente, dopo dieci anni di regno tranquillo e libero dai Danesi e dopo aver sposato la figlia del re di Svezia, Olaf si alleò con il successore di Thorkel l’Alto nella reggenza di Danimarca, per minare l’autorità danese di Canuto, che si faceva troppo grande per via dei successi in Inghilterra e nel Baltico. Ma Canuto salpò contro i nemici e sbaragliò le loro forze. Nel 1028 le forze danesi cominciarono a risalire le coste norvegesi senza che Olaf fosse in grado di organizzare la resistenza. Abbandonato dai sudditi, lasciò il Paese rifugiandosi presso la corte del principe vichingo Jaroslav di Kiev. Canuto occupò la Norvegia e fu accettato come re, nominò inoltre suo figlio re di Danimarca. Canuto fu acclamato signore delle province meridionali. Nel 1030 Olaf abbandonò l’esilio russo e inaspettatamente ricomparve nel Baltico con un ridotto gruppo di seguaci. Il cognato svedese gli fornì un piccolo reparto di soldati, altri uomini vennero arruolati in Svezia tra i Vichinghi e i fuorilegge, e per ultimo le sue truppe furono ingrossate da un manipolo di guerrieri condotti dal fratellastro. Il 29 luglio 1030, nel Trondelag, a Stiklestad, al termine di una battaglia ricca di prodezze e di episodi eroici combattuta contro un esercito di forza almeno doppia, Olaf venne sopraffatto e rimase ucciso sul campo.

Olaf il Santo Poco tempo dopo, tuttavia, nasceva la sua leggenda. Il vichingo caduto a Stiklestad cominciò a operare miracoli e guarigioni; il suo corpo, dissepolto a un anno dalla morte, apparve incorrotto in tutta la sua bellezza. Il vescovo Grimkell ne fece trasferire la salma a Nidaros, e, consapevole del beneficio che ne avrebbe tratto la causa della Chiesa norvegese, proclamò la santità di Olaf e s’impegnò entusiasticamente nella diffusione del suo culto. Dieci anni più tardi il nome di Sant’Olaf operava prodigi in Russia, in Gran Bretagna e gli vennero dedicate numerose chiese (sei nella sola Londra) e fu l’ultimo santo cattolico ad essere riconosciuto dalla Chiesa Ortodossa. In patria, con l’apoteosi decretatagli dai sudditi che lo avevano avversato e sconfitto, Olaf il Santo entrava per sempre nel cuore del suo popolo quale perpetuus rex Norvegiae (eterno re di Norvegia). Nel luogo della sua morte venne costruita una chiesa esistente ancora oggi, oggetto di pellegrinaggi lungo i secoli è ricca di ex voto per le grazie e i miracoli ricevuti. Ancora oggi il 29 luglio, giorno di San Olaf, in Norvegia è festa nazionale perchè considerato il fondatore della nazione norvegese. Nella pagina accanto dipinto medievale che rappresenta San Olaf, tiene in mano l’ascia perchè è l’arma con cui è stato ucciso. A lato la vetrata di una chiesa normanna che rappresenta re Canuto.

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Parte terza

araba ed ebraica.

Gli Ungari I Normanni si trasformano dunque da spietati razziatori a sovrani di due importanti regni, difensori della cristianità e governanti saggi. La stessa dinamica accade con gli Ungari che grazie al loro re Stefano, che la Chiesa ha fatto Santo, si convertono in massa al cristianesimo fondando l’odierna Ungheria. Anche loro si trasformano da invasori a difensori della cristianità in particolare contro le future invasioni turche.

Con la pacificazione dei Normanni, degli Ungari e il ridimensionamento del pericolo saraceno grazie alle conquista normanna della Sicilia, l’Europa trova un periodo di relativa pace e sicurezza che ne favorisce lo sviluppo tecnologico e agricolo. Ed è proprio l’agricoltura uno degli elementi importanti da tenere presente per comprendere la rinnovata vitalità della società europea a partire dal X secolo.

La colonizzazione delle terre incolte La colonizzazione delle terre incolte e dei boschi è l’evento che determina lo sviluppo dell’agricoltura e trasforma radicalmente l’aspetto del paesaggio europeo. Migliaia di giovani contadini abbandonano le proprie case per andare alla conquista di nuovi terreni da coltivare stabilmente. É un lavoro gigantesco, fortemente voluto dai feudatari e dai monasteri. Si abbattono intere foreste per trasformarle in fertili campi coltivati e si costruiscono dighe per strappare la terra al mare. I signori espandono i loro possedimenti senza fare guerra con nessuno. A questi contadini, in cambio del loro duro lavoro, si concendono privilegi (le franchigie) come l’esenzione temporanea del pagamento delle tasse, l’uso gratuito di pascoli e boschi, protezione ecc.

L’agricoltura stabile Rotazione biennale

Rotazione triennale frumento

legumi o cereali in primavera

Un’altra novità importante è stata l’introduzione della rotazione biennale: il contadino, dopo aver diviso la terra in due campi, ne seminava uno solo; l’altro lo teneva a maggese, cioè incolto, per farlo riposare; spesso si facevano pascolare gli animali per concimarlo con i loro escrementi. L’anno successivo faceva riposare il primo campo e coltivava l’altro e così via. In questo modo, però, metà della terra resta improduttiva per un anno intero: perciò, in altre zone dell’Europa, si passa successivamente alla rotazione triennale: ogni anno si semina due campi su tre e il terzo si tiene a maggese. In questo modo la produzione aumenta di un terzo e i contadini riducono i rischi di un cattivo raccolto.


Lo sviluppo dell’XI secolo

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L’aratro viene migliorato Ma la razionalizzazione delle coltivazioni raggiunge la sua massima efficacia grazie al notevole miglioramento tecnologico di alcuni importanti strumenti agricoli. Il primo attrezzo a essere modificato è l’aratro semplice o leggero, completamente in legno: era in grado solo di rompere la crosta del terreno e, per rovesciare le zolle, richiedeva numerose arature. Verso il X secolo si comincia a utilizzare l’aratro pesante, detto anche aratro a ruota: è formato da un versoio, una specie di coltello laterale di metallo, che rivolta le zolle, e da un vomere, anch’esso di ferro, che traccia il solco in profondità. Inoltre, è dotato di ruote che ne facilitano il trasporto sui campi. Questo tipo di aratro deve essere trainato da un numero maggiore di animali: quattro o sei. Il collare da gola, che rischia di soffocare i buoi legati al traino, è sostituito dal giogo frontale; l’introduzione del collare da spalla permette, inoltre, di attaccare all’aratro pesante anche i fortissimi cavalli da tiro. La ferratura degli zoccoli, infine, rende più sicuro il passo degli animali sui terreni difficili.

Aumento della popolazione Il primo effetto dell’aumento della produzione agricola è il considerevole aumento della popolazione, perchè si mangia di più e meglio, la gente si ammala di meno e la vita media comincia ad allungarsi; nascono più bambini e diminuisce la mortalità infantile perché le madri, meglio nutrite, hanno più latte per i loro figli. Anche la resistenza del fisico più nutrito è superiore e quindi diminuiscono l’epidemie. La crescita demografica è favorita anche dalla fine delle invasioni e con esse le devastazioni dei campi, i saccheggi dei villaggi e delle città, i massacri della popolazione. All’inizio dell’XI secolo la popolazione europea è quasi raddoppiata rispetto a quello dell’VIII secolo, arrivando a 42 milioni di abitanti; nel XII secolo arriva a 61 milioni, forse a 73 all’inizio del trecento, la cifra più alta di tutto il Medioevo.

La bardatura

Al posto del collare adottato dai Romani (1), nel IX secolo si passa a una cintura che avvolge le spalle senza stringere il collo dell’animale (2) e quindi senza soffocarlo. Successivamente si passa ad una soluzione ancora più pratica

La bonifica delle paludi La crescita della popolazione esige la messa a coltura di nuove terre. Dopo il disboscamento, effettuato di preferenza nei terreni di collina e di montagna, l’altra possibilità è il recupero di terreni paludosi, ossia i terreni di pianura. Qui i problemi hanno dimensioni enormi perché i fiumi non erano arginati e spesso straripavano. Occorrevano conoscenze di idraulica che solo chi era in possesso di libri dell’antichità poteva applicare. Il nuovo ordine monastico dei cistercensi dà l’esempio: i nuovi monasteri non vengono costruiti in zone di collina o di mezza montagna, bensì in pianure paludose che sono poi bonificate. Spesso i monaci ricevono in dono un vasto terreno paludoso sul quale costruiscono la chiesa e il monastero. Poi vengono scavati alcuni canali di drenaggio e si produce foraggio per allevare bovini. Infine sopraggiungono Molto utile per l’agricoltura, il commercio e la cavalleria si rivela la ferratura degli zoccoli.


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Parte terza

nuclei di contadini che prendono in affitto una parte dei terreni bonificati, creando una parrocchia rurale unita al monastero.

Il mulino Un’altra importante evoluzione nell’Età di Mezzo sono i mulini ad acqua. Nel Medioevo la base dell’alimentazione è il pane di cereali che devono essere macinati. Questa operazione col mortaio a mano o con la macina girata dalla forza umana o animale è lenta, faticosa e produce poca farina. Col mulino ad acqua in cui la macina è girata da una grande ruota a pale azionata dalla corrente di un fiume o da una piccola cascata artificiale, permette invece di disporre di una forza motrice praticamente gratuita e soprattutto ininterrotta. Nelle regioni ventose si ricorre anche ai mulini a vento che azionano una macina cilindrica la quale ruotando in contrasto con un’altra macina frantuma i grani di frumento col suo peso.

Progresso tecnologico e umano Il mulino è un passo fondamentale nella storia della tecnologia perchè per la prima volta viene usata energia inanimata, invece che quella degli schiavi o degli animali. Anche nell’antichità si avevano le conoscenze tecnologiche per poterlo costruire, ma essendo la società antica fondata principalmente sullo sfruttamento degli schiavi era molto più semplice sfruttare la forza umana che non costruire una macchina. Il Medioevo, invece, avendo abolito la schiavitù, ha reso necessario lo sfruttamento di nuove fonti di energia, per questo la diffusione massiccia del mulino avviene solo in questo periodo, segnando un punto di non ritorno dello sviluppo tecnologico occidentale. Il mulino è anche la prima macchina che permette di essere usata per diverse applicazioni, come frantoio, gualchiera per infeltrire i tessuti di lana, martello idraulico per forgiare il ferro ecc. La ruota idraulica poteva servire come elevatore d’acqua, così come il mulino a vento diventa una pompa idraulica per drenare terreni eccessivamente impregnati d’acqua. Per avere un’idea dell’importanza del mulino nella vita dell’epoca, basta guardare i documenti storici: mediamente un mulino serve cinquanta famiglie, ma in certe contee ricche di cereali e di corsi d’acqua, si raggiunge il rapporto di un mulino ogni ventisei (In alto) Attraverso l’uso di vari ingranaggi il moto della ruota del mulino viene trasformato in un movimento in grado di azionare un martello utilissimo per la lavorazione del metallo. Questa soluzione tecnologica porta un notevole miglioramento della qualità e della velocità di lavorazione del metallo. (A lato) I mulini a vento usano lo stesso principio del mulino, ma invece dell’acqua sfruttano la forza del vento. Sono costruiti su un asse mobile rotante, in modo da poter spostare l’intero edificio nella direzione in cui soffia il vento. Molto efficienti anche con vento di bassa intensità, risultano però fragili durante i temporali con venti


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Mulino ad acqua Il mulino ad acqua poteva sfruttare la corrente del fiume (1) oppure una cascata artificiale (2).

Il mulino è composto da una grande ruota munita di tante assi a forma di pale, collegate alla macina attraverso delle ruote dentate. Una volta immersa nell’acqua, la ruota è messa in movimento e fa girare le ruote dentate, che a loro volta determinano il movimento della macina, trasformando un moto

Gualchiera La gualchiera è un mulino che aziona dei potenti magli usati per battere i panni.

Il principio alla base della gualchiera è quello dell’albero a canne: l’albero, girando, solleva i magli tramite le palmole; quando la palmola è passata, il maglio ricade per gravità.


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Trabucco

Sistema di argani per abbassare il braccio dell’arma, questo era usato sono

Il trabucco (o trabocco) è una macchina d’assedio di grandissime dimensioni che sfrutta la forza della leva in combinazione all’energia sprigionata da una fionda. È costituito da un enorme braccio di legno posto in posizione molto elevata, su di una struttura di sostegno abbastanza grande e robusta da sostenere lo sforzo e la tensione a cui la macchina viene sottoposta durante il suo impiego. Questa eccezionale macchina d’assedio può scagliare macigni di 200 chili fino alla considerevole distanza di 300 metri. Le munizioni utilizzate erano varie: si poteva far uso di pietre levigate, semplici massi o bombe incendiarie. Per scatenare epidemie nelle città assediate venivano lanciate carcasse infette di animali. Pur essendo l’arma di “artiglieria” medievale più potente dell’epoca, il suo unico difetto è la scarsità di precisione, compensato però dall’enorme potenziale distruttivo che permetteva, nel giro di poche ore, di distruggere perfino una piccola fortezza.

Mangano Il mangano è un’arma simile ad un trabucco, la differenza sta nella trazione: il mangano sfrutta la forza umana (attraverso le corde) mentre il trabucco sfrutta un peso basculante. Il mangano risulta meno potente del trabucco, ma molto più facile da costruire. Queste armi costituiscono un notevole sviluppo sia teorico e che meccanico della catapulta antica. Queste conoscenze vengono sfruttate anche per la costruzione di gru da utilizzare a scopo civile.

Contrappeso che sostituisce le funi per lo strap-

Fune per abbassare il braccio dell’arma Funi per lo strap-


Lo sviluppo dell’XI secolo

L’aumento demografico e la crescita della produzione agricola permettono la rinascita della città e delle attività tipicamente urbane, come l’artigianato e i commerci. Il sistema di auto sussistenza tipico della corte è ormai superato. I prodotti delle campagne, ormai abbandonanti, ricominciano a essere in gran parte venduti nei mercati cittadini. Si possono così soddisfare le esigenze alimentari di numerosi nuclei di popolazione che non si dedica all’agricoltura. In questo modo l’artigianato e il commercio di beni di lusso che arrivano da lontano, come le spezie e i tessuti, si sviluppano velocemente.

Com’è fatta la città medievale? È una foresta di case di mattoni, raggruppate attorno a una chiesa, sede del vescovo, e a una fortezza, dove vive il signore locale. Vi abitano famiglie di mercanti, artigiani, muratori, ecc. Tutti insieme formano la comunità cittadina, che gode di leggi proprie e organizza il lavoro delle campagne vicine. Le case si affacciano su stretti vicoli che servono anche da fogne a cielo aperto; dietro di esse ci sono orti, pollai e porcili, che ricordano l’aspetto dei villaggi; nei quartieri periferici si stendono piccoli campi, sui quali pascolano gli animali. Infine non manca mai una cerchia di possenti mura. Di notte, le porte della città vengono chiuse, all’alba vengono riaperte e comincia un traffico rumoroso di uomini, donne, carri e animali che dura fino a sera.

I borghi e la nuova classe borghese Ben presto viene a mancare lo spazio all’interno delle mura e allora si incomincia a costruire case ai lati delle strade che portano in città e lì si aprono botteghe: nascono così i borghi, cioè quartieri periferici. Nel tempo, per proteggere anche i borghi esterni, le città devono allargare la cinta delle mura. Gli abitanti dei borghi sono chiamati borghesi, la loro importanza cresce rapidamente perché con l’ingrandirsi della città e lo sviluppo di una nuova società di tipo urbano, c’è sempre più bisogno di artigiani, muratori, contabili, commercianti ecc. La nascita della borghesia indica che la società medievale si sta trasformando, infatti non esiste più solo chi prega, chi combatte e chi coltiva. Esiste una nuova classe molto intraprendente, dinamica e ricca che si dedica alla specializzazione del lavoro artigianale e al commercio.

Le corporazioni Nelle città gli artigiani e i commercianti, tra il 1000 e il 1100, cominciano a riunirsi in associazioni: le cosiddette Arti o Gilde. Esse riuniscono i maestri di uno stesso mestiere o di mestieri simili e hanno lo scopo di difendere i comuni interessi professionali: fissano i prezzi, i salari e gli orari di lavoro, controllano la qualità dei prodotti, aiutano le famiglie degli associati nei momenti di maggiore bisogno, ecc. Insomma una specie di sindacato come abbiamo oggi, solo molto più articolato e legato alla vita in tutte le sue dimensioni anche quella religiosa e politica. Infatti le corporazioni dei mestieri avevano una funzione attiva nella vita politica della città e contribuivano alla costruzione di chiese e monasteri con il loro lavoro e con denaro. A quel tempo non esistevano fabbriche, ma il lavoro

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è organizzato in botteghe dove il maestro è il padrone e ha alle sue dipendenze alcuni operai e gli apprendisti che cominciano a imparare il mestiere verso i dieci anni. I maestri eleggevano i priori, cioè i rappresentanti delle Arti.

I mercanti La Corporazione più potente è quella dei mercanti che molto presto cercarono di diventare più potenti dei nobili. La loro scalata al potere è favorita dalla straordinaria fioritura dei commerci che riprendono non solo all’interno dell’Europa, ma anche tra questa e l’Impero bizantino, il mondo arabo, l’India e la Cina. In pochi decenni i mercanti più intraprendenti diventano ricchissimi, spesso molto più dei nobili.

La moneta

Una pergamena con i simboli delle gilde della città di Orvieto.

Lo sviluppo enorme del commercio rende indispensabile l’uso sempre più ampio della moneta. Verso la metà del 1200, numerose città francesi e italiane coniano monete d’oro, il simbolo per eccellenza della nuova ricchezza è il fiorino, emesso a Firenze nel 1252. Per commerciare tra città che usavano monete diverse, nascono gli agenti di cambio: erano essi stessi mercanti che presso i mercati tenevano un banco dove contrattavano il valore delle varie monete e le scambiavano le une con le altre. Lo sviluppo delle monete porta in breve tempo l’invenzione delle banche e di tutta una serie di strumenti bancari come assicurazioni sulle merci, cambiali e carte di credito. La nuova Gilda dei banchieri divenne in breve tempo ancora più potente dei mercanti, basta pensare che alcune famiglie di banchieri prestavano soldi ai re per fare guerre o costruire flotte.

Ma in questo secolo di fermento non è progredita solo l’agricoltura e il commercio, ma anche il sapere. Infatti nel XII secolo si sviluppano in particolare la logica, la matematica, l’astronomia, il diritto, la medicina e la teologia. Giunti a questo punto, il sapere si è tanto esteso da esigere una istituzione in grado di conservare e accrescere il sapere stesso, nascono così le Università. L’università come la conosciamo noi è creazione del medioevo ed è un frutto specifico del XII secolo. Il termine “università” deriva dalla dizione universitas societas magistrorum discipulorumque, nel significato di corporazione generale dei maestri e degli studenti. Le università sono nate, quindi, da corporazioni di studenti che si riunivano dandosi uno statuto in forza del quale chiamavano a far parte della corporazione maestri idonei a insegnare una disciplina, e che il rettore, il capo della corporazione, venisse nominato dagli studenti. Le università diventano una risposta concreta dei giovani borghesi e nobili all’esigenza di prepararsi in modo sempre più specifico agli affari, al commercio, all’amministrazione e alla conoscenza delle leggi, in una società che si trasforma in fretta e appare molto più complessa della precedente.

La vita universitaria Gli studenti avevano un abbigliamento ben definito e uno status giuridico riconosciuto dalle autorità civili ed ecclesiastiche. Quando superavano le prove previste dalla corporazione e desideravano continuare a studiare perché avevano talento, ricevevano un attestato, la venia docendi, continuando a rimanere nella corporazione come


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Questa è una tipica casa mercantile di un ricco borghese. A livello della strada si trova la bottega (1). Sopra l’abitazione della famiglia (2). Nel solaio si trova il magazzino con un’pertura che dà sulla strada per issare le merci. (3)

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La bardatura

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Al posto del collare adottato dai Romani (1), nel IX secolo si passa a una cintura che avvolge le spalle senza stringere il collo dell’animale (2) e quindi senza soffocarlo. Successivamente si passa ad una soluzione ancora piùpra-


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maestri, proprio allo stesso modo degli altri artigiani che entravano in una corporazione come garzoni e poi, se apprendevano l’arte in modo adeguato, rimanevano nella corporazione col grado di maestri e col diritto di aprire una bottega propria. L’origine dei titoli accademici, la laurea, fu perciò la licenza di insegnare, ancora adombrata nel titolo di “dottore” che conclude ancor oggi i corsi universitari. La prova conclusiva dei candidati al titolo di dottore era una lezione tipo o inceptio, tenuta davanti ai maestri della corporazione, proprio come si fa ai giorni nostri con la dissertazione di laurea, al termine della quale il preside della facoltà proclama il candidato uguale ai maestri, capace di insegnare ciò che ha dimostrato di conoscere quanto loro.

Le prime università All’inizio la corporazione degli studenti non aveva edifici propri e perciò doveva chiedere alloggio a un monastero o a una scuola cattedrale che avevano sempre locali destinati all’insegnamento, ma quando il numero degli studenti crebbe, fu necessario provvedere a nuovi edifici. La Sorbona di Parigi, per esempio, nacque per iniziativa di Robert de Sorbon che lasciò una somma di denaro per costruire un collegio in grado di ospitare numerosi studenti di teologia. La prima università riconosciuta al mondo è quella di Bologna (1158), poi Parigi (1215) e Oxford (1229).

Chiesa e Stato di fronte alle università Verso l’anno 1200 il re di Francia Filippo Augusto, e più ancora il papa, presero sotto la loro protezione l’interessante movimento universitario. In quell’anno Filippo Augusto riconobbe con decreto la corporazione degli studenti di Parigi e dei loro maestri, rimproverando il prevosto (il capo della polizia) per aver attaccato un albergo di studenti tedeschi, causando la morte di alcuni di loro: il re stabilì che gli studenti stranieri dovevano ricevere giustizia e protezione per i loro averi sottraendoli alle corti giudiziarie ordinarie. Nel 1215 il legato pontificio pubblicò a Parigi un’ordinanza che stabiliva il curriculum delle facoltà delle arti e di teologia; nel 1231 il papa estese all’università di Parigi il privilegio di riconoscere la validità legale dei diplomi che essa erogava.

Con l’aumento della ricchezza si forma nei cittadini la coscienza di difendere questo bene comune che è la propria città e il desiderio di avere la libertà di auto governarsi. Nascono così i liberi Comuni, cioè un’associazione armata di reciproca solidarietà tra i cittadini, nella quale si entrava con un giuramento solenne. I cittadini sono decisi a battersi fino alla morte per il “comune” obiettivo di una maggiore autonomia dai poteri feudali. Attraverso lotte armate, ma anche con abili trattative e massicci versamenti di denaro, i Comuni di tutta Europa si liberano di molti vincoli feudali ottenendo numerose “libertà” o “regalie”. Le più importanti sono: libertà dalle “tasse” signorili; libertà di amministrare in proprio la giustizia, senza sottostare a quella


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feudale; libertà di battere moneta; libertà di ampliare le mura cittadine per includere i nuovi borghi e difenderli. I Comuni, nonostante formalmente siano ancora legati da un giuramento di fedeltà al sovrano, di fatto diventano un’entità politica autonoma, una città-stato indipendente che stipula trattati di pace con altri Comuni o combatte guerre per espandere il proprio territorio o la propria influenza su altre città.

Il governo comunale All’inizio per governarsi i Comuni scelgono un sistema democratico che, ispirandosi ad Atene e Roma, ha la forma della repubblica e si basa sul potere dell’Assemblea dei cittadini. La democrazia comunale ha anche gli stessi limiti delle democrazie antiche a cui si ispira, cioè non tutti gli abitanti della città sono considerati cittadini con pieni diritti. Gli esclusi sono le donne, gli apprendisti delle botteghe e i salariati precari. L’Assemblea cittadina è composta quindi da una ristretta parte della popolazione cittadina. Un’altra somiglianza con il mondo antico è costituita dalla composizione dell’esercito. Le milizie cittadine, infatti, sono formate solo dai cittadini con diritti politici e si armano a proprie spese. Ben presto però le repubbliche comunali diventano oligarchie, dove a dominare sono i rappresentanti delle arti più potenti. In sostanza chi governa è un’aristocrazia basata non sul titolo nobiliare, ma sulla ricchezza.

Con l’espandersi dei commerci si rende necessario rinnovare la rete stradale, che nei secoli difficili dell’Alto medioevo si era deteriorata fino a scomparire. Si riprendono gli antichi tracciati romani oppure sorgono nuove vie per collegare i maggiori centri di commercio. Tra questi si distinguono le città sedi di fiere. Queste importanti occasioni di incontro tra produttori, commercianti e compratori provenienti da tutta Europa durano per mesi interi e sono anche questa un’invenzione tipicamente medievale. Nonostante la sistemazione della rete stradale e la diffusione di città piccole e grandi, spostarsi via terra rimane molto difficile e rischioso. Molte strade rimangono di difficile percorrenza, specialmente durante il periodo delle piogge, in particolare con i grandi e pesanti carri di trasporto. Inoltre il pericolo d’incontrare briganti è molto alto e il passaggio via terra costringe l’attraversamento di una serie continua di confini e quindi di dogane dove pagare la tassa di passaggio. La percorrenza massima di un giorno di viaggio in terreni pianeggianti non superava i quaranta chilometri. I viaggi via terra risultano quindi difficili e lunghi. Per questo riprende vigore il trasporto fluviale e marittimo, molto più sicuro e soprattutto più veloce e in grado di trasportare grandi quantità di merci.

Le città marinare L’importanza dei trasporti marittimi per la nuova economia favorisce la rapidissima crescita delle città marinare italiane (Amalfi, Pisa, Genova e Venezia) che, grazie alla

Il trasporto via terra è molto probelmatico e lento, al contrario quello sull’acqua risulta più veloce e in grado di trasportare molte più merci


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posizione geografica della penisola italiana nel Mediterraneo, si trovano nel cuore delle vie di traffico del mondo islamico e di quello bizantino. Ben presto, però, anche le città portuali delle Fiandre e poi della Germania settentrionale allestiscono flotte mercantili che percorrono il Mar Baltico e il Mare del Nord. Si vengono a creare così due vie marittime solcate da navi cariche di merci che si mettono in comunicazione tra loro attraverso le più faticose vie di terra che attraversano l’Europa centrale, creando un eccezionale circuito di scambi che in poco tempo diventa più grande e dinamico di quello di epoca romana.

Da quando i Romani, per la prima volta durante i loro viaggi e le loro spedizioni militari, gustarono i condimenti brucianti, eccitanti, aromatici e inebrianti del lontano Oriente, l’Occidente non seppe più rinunciare né in cucina né nelle bevande alle spezie indiane. I cibi occidentali erano incredibilmente privi di gusto e monotoni. Doveva passare molto tempo ancora prima che i frutti più comuni della terra, come la patata, il granoturco e il pomodoro, si acclimatassero durevolmente in Europa; era ancora ignoto il limone per dare acidità, lo zucchero per addolcire, non s’erano scoperti il caffè e il tè. Ma ecco il miracolo: basta un granello di spezie indiane, un pizzico di pepe, un chiodo di garofano, una puntina di cannella o di zenzero aggiunto alle vivande più usuali per far provare al palato un eccitamento esotico e squisito. Un piatto non è più perfetto se non è pepato e drogato; si mette lo zenzero perfino nella birra. Ma non soltanto per la cucina sono richieste le spezie; anche la vanità femminile reclama insaziabile i profumi d’Arabia, sempre nuovi: il muschio, la greve ambra, le dolci essenze di fiori esotici; tintori e tessitori devono preparare sete e stoffe indiane, gli orafi procurarsi le perle bianche di Celyon e i diamanti azzurri

dell’Asia. Per comprendere concretamente l’importanza delle spezie nella civiltà Europea di quel periodo, pensiamo al pepe. Quello stesso pepe che oggi è a disposizione di tutti su ogni tavola, e viene sciupato come la sabbia, veniva, allora, contato granello per granello e valeva come l’argento. Anzi, il suo valore era così sicuro che molti stati e molte città facevano i loro calcoli in base al pepe, come se si trattasse di un metallo nobile. Col pepe si potevano comprare case e terreni, costituire doti per i figli, ottenere una cittadinanza; principi e città stabilivano le loro tasse doganali partendo da misure di pepe: nel Medioevo, per indicare una persona ricca, si diceva che era “un sacco di pepe”. Lo zenzero e la cannella venivano pesate su bilance di precisione, chiudendo accuratamente porte e finestre perché un soffio d’aria non portasse via neppure un briciolo di quelle preziose polverine. Per quanto appaia assurda a noi moderni questa esagerata valutazione delle spezie, essa diventa spiegabile appena si pensa alle difficoltà e al rischio dei trasporti. In quei tempi l’Oriente è incommensurabilmente lontano dall’Occidente, e a quali pericoli sono esposte le navi, le carovane, i carri prima di


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giungere! Quale odissea doveva superare ogni il deserto sono antichissime, note ai mercanti granello, ogni fiore, prima di giungere sul sin dai tempi dei faraoni; ma anche i beduini, i pirati del deserto, le conoscono altrettanto banco del venditore europeo! bene, e spesso un attacco improvviso distrugge Un lungo viaggio di colpo il carico e il profitto di innumerevoli In sé nessuna di queste spezie sarebbe stata una mesi di lavoro. rarità, perché crescevano abbondanti nei loro Ciò che è sfuggito felicemente alle tempeste di paesi, ma per giungere da noi dovevano passare sabbia e ai beduini può allettare ancora altri per molte mani. briganti; per ogni carico di cammello, per ogni La prima mano è sempre la meno compensata: sacco di merce gli emiri dei vari regni esigono lo schiavo malese, che coglie le spezie e le porta un tributo assai alto. Le spezie, giunte quindi sulla sua schiena segnata dalla frusta al mercato, alle città sul mare, vengono prese dalla flotta non ha compenso se non il proprio sudore. di Venezia da dove poi saranno vendute a Ma il suo padrone ci guadagna: lo rivende ad compratori provenienti da tutta Europa. un altro mercante che con esso navigherà su Solo allora, su carri dalle solide ruote, una piccola canoa, sotto il sole ardente, per otto supereranno le nevi e i ghiacci dei passi o dieci giorni fino a Singapore. alpini, raggiungeranno il mercato europeo e, Qui l’aspetta il primo grosso “ragno” appostato finalmente, il consumatore. nel centro della ragnatela: il sovrano del porto Il viaggio delle spezie avrà così finalmente fine, che esige un tributo per lo scarico delle merci. dopo due anni e infinite peripezie. Pagato questo dazio, il frutto odoroso potrà essere ricaricato sopra una giunca più grande e sicura, e così procederà, spinto lentamente da larghi remi o da una vela quadrata. Passano così i mesi nella monotonia di una navigazione interrotta da infinite attese nella bonaccia, sotto un cielo ardente senza nubi, o da improvvise fughe di fronte ai tifoni e ai corsari. Con indicibile pena, con incredibili pericoli il trasporto continua attraverso i due o tre mari tropicali: di cinque imbarcazioni ce n’è sempre almeno una che perisce vittima delle bufere o dei pirati, e il mercante ringrazia Dio quando finalmente raggiunge i porti dell’impero arabo. Ma qui inizia un nuovo cammino non meno pericoloso. A migliaia, disposti in lunghe file, attendono impazienti negli scali i cammelli; si inginocchiano docili a un cenno del padrone e l’uno dopo l’altro vengono caricati e legati sulle loro groppe i sacchi di pepe e altre spezie, che essi porteranno, grandi navi a quattro zampe, dondolando lentamente sull’immenso mare di sabbia. Le carovane arabe viaggiano per mesi e mesi e giungono nelle città che si affacciano sul Mediterraneo. Queste lunghe vie carovaniere che attraversano

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Unità 10 La cavalleria e la

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Lo scontro tra Impero, Chiesa e Comuni Unità 13

Il medioevo in Oriente Unità 14

Pietra e Luce


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Durante il X-XI secolo avviene una mutazione radicale del sistema feudale che si trasforma nelle signorie locali: territori nei quali il signore del luogo, resosi quasi del tutto indipendente dal re, governa da solo come un piccolo sovrano. Le signorie locali nascono grazie a una serie di motivi.

Frantumazione dell’impero carolingio L’impero carolingio è finito e i vari re non riescono più a controllare il loro territorio come, invece, era riuscito a fare Carlo Magno.

I feudi diventano ereditari Nel corso degli anni i vassalli cominciano a considerare la terra una loro propietà e a trasmetterla in eredità ai propri figli maggiori, senza più aspettare l’investitura del sovrano. L’imperatore Carlo il Calvo trasforma questa abitudine nei feudi maggiori in legge nel 877 con il capitolare di Quierzy, dal nome della località vicino a Parigi nella quale fu emanato. In seguito Corrado II rende ereditari tutti i feudi con la constitutio de feudis emanata nel 1037. Così il signore locale può formarsi delle grandi proprietà unendo ai suoi territori personali i feudi che sono diventati ereditari.

L’incastellamento Con le ultime invasioni i vari signori locali hanno iniziato a costruire numerosi castelli che servono per difendersi dalle invasioni, ma nello stesso tempo aumentano il potere e il prestigio del feudatario nei confronti della popolazione del luogo e dei signori vicini.

I cavalieri al servizio delle signorie locali I vari signori si circondano di gruppi di uomini armati (i cavalieri) che combattono o riscuotono le tasse per loro: in cambio questi cavalieri diventano vassalli del signore ricevendo terre e favori. I cavalieri sono spesso i figli non primogeniti (cadetti) di qualche signore che, non ereditando nulla, si mettono al servizio dei nobili e commettono spesso violenze e soprusi.

Frantumazione del potere centrale Questa trasformazione del sistema feudale ha gravi conseguenze sulla stabilità politica, infatti il potere centrale ormai non esiste più, l’imperatore e i vari re sono dei nobili alla pari degli altri, anzi spesso più deboli di alcuni grandi feudatari. Questa frantumazione del potere porta con sé aspetti positivi e negativi insieme. Da una parte favorisce una grande libertà e l’affermarsi di energie creative e imprenditoriali che portano nel breve periodo ad uno sviluppo considerevole della ricchezza e del commercio. Dall’altra conduce ad un’esasperazione dei localismi, innescando una conflittualità costante tra i vari feudatari per la supremazia nei confronti delle signorie vicine. Manca uno scopo comune e nel tempo, specialmente in Italia, si verrà a creare una situazione simile a un tutti contro tutti, dove a prevalere è l’egoismo e l’imposizione della forza.

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Il modo di combattere di un popolo o di una civiltà rispecchia sempre le condizioni storiche in cui questo si sviluppa e la struttura sociale che si è dato per organizzare la vita delle persone. Ora, brevemente, cerchiamo di ricostruire i passaggi che hanno portato la cavalleria ad essere la protagonista della vita militare durante il periodo medioevale. Con la caduta dell’Impero romano e del relativo apparato statale diventa impossibile l’addestramento e la costruzione di un esercito permanente, non esiste nulla di simile alle legioni romane, con la loro perfetta catena di comando e la ferrea disciplina tra i ranghi. Questa situazione si protrae per tutta l’Età di Mezzo, per questo il re è costretto a concedere benefici ai suoi nobili in cambio della loro disponibilità a combattere in caso di chiamata. Gli eserciti, in questo periodo, sono costituiti per la maggior parte da soldati poco addestrati e la tecnica militare è piuttosto rudimentale rendendo impossibile eseguire complicate manovre con le truppe. In un contesto del genere, alcune centinaia di uomini ben addestrati e armati possono fare la differenza fra vittoria e sconfitta durante uno scontro, per questo i cavalieri diventano l’elemento più importante di un esercito medievale.

Un guerriero invincibile Nell’alto medioevo il cavaliere non è altro che un “guerriero a cavallo”, tra l’altro non molto diffuso perché i Germani erano abituati a combattere a piedi. Con la battaglia di Poitiers, come abbiamo visto, le cose cambiano. Si incomincia a comprendere la forza che la cavalleria, dopo aver imparato l’uso della staffa, poteva avere in battaglia. Adesso che il cavaliere può stare ben saldo sul cavallo anche il suo equipaggiamento migliora, in particolare l’armatura diventa sempre più pesante per proteggere meglio dai colpi di spada e dalle frecce. In poco tempo il cavaliere si trasforma in un temibile guerriero ben addestrato al combattimento e rivestito di metallo rendendolo quasi invulnerabile. L’importanza dei cavalieri negli eserciti è sempre più grande fino a diventare l’elemento d’élite all’interno di qualsiasi esercito medioevale.

Cavalieri e nobiltà La difficoltà nel formare corpi di cavalleria numerosi è l’alto costo dell’equipaggiamento (cavallo e armatura), per cui soltanto le persone ricche possono aspirare a questo ruolo. Risulta evidente, allora, che la cavalleria si lega alla nobiltà, in particolare diventa la carriera obbligata (l’unica alternativa è la vita consacrata) per tutti i figli non primogeniti dei nobili, in quanto non possono godere dell’eredità paterna (feudo e titolo) che spetta soltanto al primogenito.

Pericolosi e violenti Questi nobili decaduti al servizio di altri signori sono guerrieri la cui unica ragione di vita diventano la violenza e il combattimento. Finite le invasioni, quando non c’erano più nemici esterni da affrontare, incominciano a combattersi tra loro, qualsiasi pretesto è buono: la lite fra due signori, una promessa di matrimonio non mantenuta, un furto, un’offesa


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La carica della cavalleria pesante Nel Medioevo la tattica di combattimento più devastante è la carica della cavalleria. Se utilizzata corettamente determinava spesso l’esito dell’intera battaglia. I cavalieri dispongono i cavalli in linea e galoppano verso il nemico con le lance in resta (come in figura). L’impatto con le linee nemiche è tremendo e in grado di travolgere le formazioni di fanteria o disperdere quelle di cavalleria.

Perchè una carica sia davvero efficace è necessario avere condizioni perfette: l’ideale sono spazi aperti e terreni pianeggianti, in quanto i terreni accidentati rallentano i cavalli. Se poi il terreno è leggermente in discesa verso il nemico è ancora meglio, perchè permette di accelerare la carica. É fondamentale che tutti i cavalieri partano insieme per formare un fronte compatto. Durante la carica il terreno trema per la forza del galoppo, inoltre lo spettacolo dei cavalieri che avanzano nelle loro splendide armature assieme al frastuono degli zoccoli e del metallo provocavano un tale terrore nella fanteria nemica, che spesso si dava alla fuga prima ancora dell’impatto. Solo soldati addestrati

Senza il cavallo, il cavaliere è praticamente inerme per questo diventa fondamentale proteggerlo. Si creano allora delle armature per il cavallo

Particolari dell’armatura del cavaliere

1) FIBBIA Alcune parti dell’armatura sono allacciate o legate da una fibbia a uno sottoveste imbottita. 2) ROTELLINE Questi piccoli scudi circolari venivano attaccati alla maglia di ferro per proteggere l’ascella. 3) CERNIERA Congiungeva varie parti mobili dell’armatura. 4) GUANTO Usato a protezione della mano, da semplice guanto in maglia di ferro è diventato, nel XIV secolo, un intricato insieme di piastre ben articolate, con dita separate per consentire libertà di movimento.


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personale ecc. Spesso i cavalieri non disdegnano di fare i mercenari e nemmeno il saccheggio e la razzia verso villaggi indifesi. Ben presto i cavalieri diventano un grave problema per la società medievale.

La tregua di Dio Nell’XI secolo si diffonde, soprattutto in Francia, il fenomeno “della tregua di Dio”. Numerosi vescovi, preoccupati della violenza dei giovani nobili verso il popolo, radunano grandi assemblee a cui partecipano monaci, signori, cavalieri e popolo. In queste assemblee si chiede in particolare ai nobili guerrieri di impegnarsi con solenne giuramento davanti alle reliquie dei santi, di assumere atteggiamenti pacifici, limitare la loro agressività, rispettare i poveri, i contadini, le donne e i fanciulli. Si stabilisce di astenersi dal combattimento in occasione delle festività religiose (molto numerose) o durante la Quaresima, di combattere sempre rispettando le regole della correttezza e della lealtà. Si tratta, in pratica, del primo passo verso l’istituzione da parte della Chiesa dell’ordine cavalleresco, cioè il tentativo di limitare la violenza diffusa in quei tempi attraverso l’educazione dei cavalieri ad un ideale di giustizia e onore.

L’ordine cavalleresco Il passo successivo alla “tregua di Dio” è l’istituzione da parte della Chiesa dell’Ordine cavalleresco, d’ora in poi per essere cavaliere bisogna essere “ordinati” cavalieri in una solenne cerimonia di investitura che culmina nella benedizione da parte del vescovo. Nell’Ordine si chiede al cavaliere di distinguersi da ogni altro membro della società per la vita che conduce e per il suo comportamento: ha il dovere di essere generoso, disposto all’elemosina verso i poveri, leale e fedele nei confronti del suo signore e dei compagni. Come cristiano deve proteggere i deboli, le vedove, gli orfani e difendere la Chiesa. Dall’ordine di cavaliere si può essere espulsi se si commette atti disonorevoli (fellonia), di codardia o tradimento. Molti giovani aderiscono con fede ed entusiasmo all’ideale cavalleresco, ma il tentativo della Chiesa non riuscirà a risolvere il problema della violenza legata a questa classe sociale fatta di temibili guerrieri. Infatti il cristianesimo di molti cavalieri è sempre mescolato alla profonda natura barbarica ancora presente in questi uomini che hanno sinceramente accettato il battesimo, ma senza mai dimenticare del tutto i loro dèi antichi, signori delle battaglie e delle tempeste. Uomini in cui la violenza e il sangue fanno parte della normalità della loro vita, sono la ragione del loro essere guerrieri in un’epoca in cui la guerra è, per motivi storici, una condizione permanente.

Diventare cavaliere La strada per diventare cavaliere è lunga e spesso inizia in giovanissima età. Gli apprendisti cavalieri vengono mandati giovanissimi a servire come paggi nel castello di un altro signore. I primi anni imparano le tecniche di combattimento di base e come comportarsi in società. Quando il paggio è abbastanza grande e addestrato diventa scudiero. Spesso gli scudieri vivono e si allenano insieme, in piccoli gruppi. Imparano a cacciare, continuano ad allenarsi con la spada, imparano a cavalcare e caricare con la lancia. Lo scudiero lavora presso un cavaliere come apprendista e deve servirlo e imparare a comportarsi come lui. Ha il compito di aiutarlo a prepararsi per battaglie e tornei, oltre


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L’araldica

L’armatura completa offre un’ottima protezione al cavaliere, ma non consente di riconoscere chi la indossa, al punto che in battaglia si rischia di scambiare un compagno per un nemico. Per questo dal

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XII secolo i cavalieri cominciano a usare scudi come simboli e motivi dai colori brillanti, che consentono di identificarsi a vicenda. Questi prendono il nome di stemmi araldici e il loro studio si chiama araldica.

Se un cavaliere veniva ferito gravemente o ucciso in battaglia l’unico modo per riconoscerlo era consultare un araldo, perchè ne identificasse lo stemma.

Gli stemmi diventano sempre più complicati, perchè ogni famiglia nobile ne vuole uno. Per questo vengono create delle regole sulla combinazioni di colori e motivi, in modo che ogni stemma sia diverso da un altro. Inoltre viene creata la figura dell’araldo, il cui compito è quello di ricordare queste regole. All’inizio gli araldi dovevano solo riconoscere i partecipanti di un torneo, ma presto i cavalieri richiedono il loro intervento anche sul campo di battaglia, perchè sono gli unici in grado di identificare i vari cavalieri e, sopratutto, i nemici. Ogni cavaliere quindi chiede di avere un araldo privato.

Il carico è un disegno sopra il campo è può essere costituito da un’immagine o da un motivo. Capo

Fascia centrale

Le pezze sono strisce di colore, che possono avere forme diverse. Il campo è lo sfondo dello stemma.

Base


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a quello di trasportare e prendersi cura di tutta l’attrezzatura. Uno scudiero normalmente sta nei pressi del luogo di combattimento, pronto a rifornire il cavaliere con armi e cavalli. Inoltre è fondamentale se il cavaliere viene ferito, perchè suo compito è soccorerlo e portarlo fuori dalla battaglia. Quando uno scudiero viene giudicato pronto a combattere arriva per lui il momento dell’investitura vera e propria. Lo scudiero viene nominato cavaliere direttamente dal re o da un cavaliere anziano. Spesso uno scudiero viene nominato durante una campagna militare o addirittura sul campo di battaglia, se c’era bisogno velocemente di nuovi cavalieri. Non tutti gli scudieri diventano cavalieri: molti, infatti, non possono permettersi nè cavallo nè armatura. Il lavoro dello scudiero è comunque molto rispettato e uno bravo può fare una brillante carriera nell’esercito.

San Pietro concede al Papa il potere spirituale (a sinistra) e all’Imperatore quello temporale (a destra). Nella tradizione cristiana è sempre stato ben chiaro la distinzione dei due poteri, pur dentro un profondo legame perchè il potere temporale deve rispondere moralmente

Ma il potere dei nobili e la violenza dei cavalieri non erano gli unici problemi dei primi anni del nuovo millennio, anche la Chiesa vive un momento difficile. I mali che la tormentano sono molti, ma il principale è l’ingerenza dell’imperatore nell’elezione del Papa e in particolare dei vescovi. I sovrani non avevano certo come criterio la fede delle persone, ma la loro fedeltà alla corona, in questo modo spesso i vescovi si dimenticano del loro compito religioso e diventano principalmente potenti uomini politici; la simonia, cioè il commercio illegale delle cariche ecclesiastiche, è una pratica normale e diffusa. Con un simile esempio anche il clero normale è allo sbando, la condotta morale di molti preti è scandalosa. Anche il popolo, stanco di questa situazione, comincia a dare segni di insofferenza e, in alcuni casi, di rivolta contro il clero. Questa situazione favorisce la nascita di nuove eresie, infatti capita spesso che il desiderio di rinnovamento della cristianità si trasformi nel tentativo di creare una nuova Chiesa o venga usato da predicatori fanatici per crearsi un seguito.

Lo Scisma d’Oriente Un altro duro colpo per la Chiesa in questo periodo è lo Scisma d’Oriente. Dopo un lungo contrasto che durava da secoli con Bisanzio a causa del cesaro-papismo praticato dagli imperatori d’Oriente, nel 1054 il Patriarca di Costantinopoli accusa il Papa di eresia e lo definisce un vescovo come tutti gli altri, non riconoscendolo più come capo della Chiesa universale. É l’inizio dello scisma (“divisione”) della Chiesa cosiddetta Ortodossa, ancora


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oggi in vigore. La cristianità, per la prima volta dalla sua nascita, si trova spaccata in due: Chiesa Cattolica Romana che riconosce il Papa come sua guida e continuatore della tradizione apostolica di Pietro; Chiesa d’Oriente che non riconosce il Papa come guida, ma il Patriarca ortodosso.

Il monastero di Cluny Il movimento di riforma della Chiesa parte nel monastero francese di Cluny, fondato nel 910. Quindi, ancora una volta, il motore per una nuova evangelizzazione sono i monaci benedettini che cominciano con il riorganizzare la vita nei loro conventi. I monaci cluniacensi non cambiano radicalmente la regola di san Benedetto, ma la modificano per renderla adeguata alle nuove esigenze dei tempi: aumentano le ore di preghiera e lo studio perchè la fede di ogni monaco si fortifichi nella grazia di Dio e nella consapevolezza della propria missione, mentre il lavoro manuale viene per la maggior parte affidato ai servi. Il movimento si diffonde a macchia d’olio e in pochi anni centinaia di monasteri vengono costruiti in tutta Europa, tutti direttamente dipendenti dall’abate di Cluny. Questa rete di monasteri diventa una guida esemplare e sicura per il popolo e la possibilità per molti preti di riscoprire la propria fede e il significato del proprio compito. Altri monaci benedettini continuano, invece, la pratica della Regola originale di san Benedetto dedita al lavoro manuale. Questi fondano un nuovo monastero a Citeaux, in Francia, da cui deriva il nome del loro Ordine detto dei cistercensi. I monaci cistercensi hanno avuto un ruolo molto importante nella colonizzazione delle terre incolte e nell’introduzione delle nuove tecniche agricole che abbiamo studiato nel capitolo precedente.

La riforma gregoriana Questa riforma arriva al cuore della Chiesa con l’azione di Papa Gregorio VII, ex monaco di Cluny. La riforma gregoriana inizia ancora prima della sua elezione alla guida della Chiesa, quando Papa Niccolò II chiede agli esponenti più importanti del movimento cluniacense di aiutarlo nella scrittura di nuove regole per il comportamento del clero. Il prodotto di questo lavoro viene sancito in modo defintivo da Niccolò II durante il Sinodo svoltosi nel 1059 nella basilica di San Giovanni in Laterano a Roma. In questa circostanza vengono stabilite tre nuove regole fondamentali per la vita della Chiesa: la prima è che l’elezione del Papa spetta esclusivamente a un collegio di cardinali; la seconda, che l’elezione dei vescovi spetta eslusivamente ai membri del clero; infine, che i sacerdoti hanno l’obbligo del celibato, cioè non possono sposarsi. I decreti di Niccolo II sono un duro colpo per l’imperatore, per i re europei e per gli aristocratici, perchè affermano in modo definitivo

Il Papa incorona il Re di Francia.


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ed inequivocabile l’indipendenza della Chiesa dal potere temporale (rappresentato dall’imperatore e dai sovrani).

Il Dicatus papae di Gregorio VII É Papa Gregorio VII a completare il processo di riforma nel 1075, quando emana il Dictatus papae (“Sentenze del Papa”), un decreto che contiene 27 sentenze. In esse il pontefice sostiene, tra le molte altre cose, che la Chiesa di Roma è infallibile in materia di fede e che la sua autorità in materia spirituale e di governo della Chiesa è superiore a quella di qualunque altro sovrano, imperatore compreso. Il Dictatus papae fa esplodere tra il Papato e l’Impero un conflitto violentissimo che si trasforma nella lotta per le investiture, chiamata così perchè nasce dalla contesa sul diritto di eleggere i vescovi-conti.

Perchè è così importante l’elezione dei vescovi?

In questa miniatura si vede chiaramente un soldato normanno (la cotta di maglia e l’elmo) che salva il Papa facendolo fuggire dall’assedio di Enrico IV con l’anti Papa. Poi è rappresentata la morte

Per l’imperatore l’elezione dei vescovi-conti era una questione fondamentale, infatti, da quando i feudi erano diventati ereditari, ogni volta che il sovrano ne concedeva uno si spogliava di una parte del suo potere e dei suoi territori. Con i vescovi, invece, che non possono avere figli legittimi, alla loro morte il feudo tornava di proprietà dell’imperatore. Ma anche per la Chiesa questo incarico è altrettando fondamentale, infatti i vescovi sono coloro che guidano la Chiesa locale e con il loro esempio e il loro lavoro devono aiutare il popolo cristiano nel cammino della fede. Non può quindi accettare che uomini animati da altri scopi vengano eletti a questo delicato compito.

La scomunica di Enrico IV Enrico IV di Franconia, senza pensarci due volte, raduna i Vescoviconti, da lui nominati prima della riforma e ancora in carica, e proclama la destituzione di Gregorio VII. Il Papa, come risposta, lo scomunica e dato che il giuramento di fedeltà al sovrano veniva sancito davanti a Dio con una cerimonia religiosa, libera tutti i sudditi dal dovere di rispettarlo. Molti feudatari e cavalieri si ribellano a Enrico il quale, per non perdere la corona, è costretto a tornare indietro sui suoi passi implorando il perdono


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di Gregorio VII. Per questo scende in Italia nel 1077 e si reca al Castello di Canossa, dove la contessa Matilde ospita il Papa per proteggerlo da eventuali violenze di sostenitori dell’imperatore. Enrico viene lasciato attendere per tre giorni e tre notti ai piedi del castello, esposto al freddo e alla neve. Poi Papa Gregorio lo riceve e lo perdona restituendogli così la piena autorità sui suoi sudditi e nobili. Ma Enrico non si è dato per vinto, eliminati in Germania tutti i nobili che sostenevano il Papa, riapre il conflitto con la Chiesa: fa deporre nuovamente Gregorio dai suoi vescovi-conti e nuovamente il Papa lo scomunica. Questa volta però scende in Italia con un forte esercito, occupa Roma e minaccia di far prigioniero il pontefice assediato in Castel Sant’Angelo. Gregorio chiede aiuto ai Normanni che lo liberano da Enrico, ma saccheggiano Roma. Rifugiato a Salerno muore nel 1085 pronunciando la celebre frase: “Amai la giustizia, odiai l’iniquità, perciò muoio in esilio”.

La tregua del concordato di Worms La lotta per le investiture continua tra i successori dell’uno e dell’altro contendente fino al 1122, quando l’imperatore Enrico V e il Papa Callisto II firmano un concordato nella cittadina tedesca di Worms. Esso stabilisce una doppia investitura: in Italia la consacrazione del vescovo da parte del Papa avrebbe preceduto quella dell’imperatore; in Germania sarebbe avvenuta il contrario. Il concordato di Worms in realtà è soltanto una tregua perchè, come vedremo in seguito, la lotta per le investiture continuerà con sempre maggiore violenza.

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Lo sviluppo dell’XI secolo Unità 10

La cavalleria e la riforma della Chiesa

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Lo scontro tra Impero, Chiesa e Comuni Unità 13

Il medioevo in Oriente Unità 14

Pietra e Luce


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Le crociate sono un fenomeno storico affascinante e complesso, reso ancora più difficile da comprendere per la sua durata di alcuni secoli lungo i quali accade tutto e il contrario di tutto. Trovare quindi un punto di sintesi tra le nove crociate ufficiali che storicamente si sono combattute e quello che ha significato la parola “crociata “ nell’immaginario del tempo e nei secoli successivi è molto difficile. Quello che possiamo cercare di fare, nel breve spazio di questo libro, è dare almeno una visione dei vari fattori che portarono alla nascita delle crociate.

Un secolo in fermento Al principio c’è, prima di tutto, il grande e rapido sviluppo demografico, agricolo, sociale, economico che abbiamo studiato nei capitoli precedenti. Grande protagonista di questo peridodo è la strada, sulla quale s’incontrano i contadini in cerca di terra, i mendicanti, i pellegrini, i cavalieri, i predicatori itineranti, i primi mercanti, i girovaghi più vari per ceto e per vocazione, da chi vive d’espedienti a chi cerca l’avventura cavalleresca. In un certo senso, in questi anni, tutti sono un po’ dei pellegrini: nessuno strada facendo, qualunque sia la ragione principale per cui viaggia, trascura di fermarsi nei santuari più o meno famosi che costellano l’Europa, da Santiago de Compostela a Mont-Saint-Michel, da Roma fino a Gerusalemme. I luoghi di pellegrinaggio sono collegati da un fitto reticolato di strade sul quale si dispongono chiese e abbazie all’ombra delle quali si aprono ospizi che offrono quotidianamente cibo e riparo; nelle città e nei paesi lungo la strada si organizzano periodicamente giorni di mercato in coincidenza con le grandi feste del santo locale (le “fiere”). Per dare un’immagine dell’importanza che hanno avuto questi viaggi per la società del tempo, alcuni storici hanno scritto che l’Europa è nata pellegrinando. Questa vitalità che caratterizza il basso medievo, dopo secoli di distruzioni e isolamento, è la pentola in cui tutto ribolle e si mescola e da cui nasce, tra le molte cose, anche la crociata.

La Riconquista Mentre il resto d’Europa intravede un periodo di relativa tranquillità, la Spagna occupata da secoli si vede animata dal desiderio di intraprendere una lotta di liberazione che viene chiamata “la Reconquista” (“La riconquista”). Fin dal 700 un gruppo di cavalieri era riuscito a resistere all’invasione araba formando il Regno delle asturie. Questi cavalieri istituirono un vero Ordine cavalleresco giurando di combattere fino alla liberazione completa della Spagna. Ora questo spirito di liberazione soffia di nuovo potentemente e molti cavalieri vanno a combattere in Spagna per contribuire alla sua liberazione, riportando significative vittorie. Questo movimento di liberazione ha un suo eroe che diviene un mito vivente: Rodrigo Diaz de Bivar divenuto leggenda con il soprannome di El Cid Campeador (“Signore guerriero”). La vicenda spagnola è molto importante per le crociate, perchè è l’esempio per tutta Europa (Papa compreso) di come lo spirito bellicoso dei cavalieri poteva essere messo a servizio di uno scopo nobile e utile per i regni cristiani.

I Turchi e la nuova “guerra santa” Il mondo islamico, dopo i primi secoli della guerra santa, ha raggiunto

Una mappa di Gerusalemme del XI secolo.


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una sua stabilità fatta anche di proficue relazioni con il mondo cristiano. I numerosi pellegrini che giungono in Terra Santa dall’Europa vengono rispettati e anche aiutati, non sempre per il rispetto di una fede diversa, ma sicuramente per la ricchezza che portano con i loro viaggi. Ma anche qui arrivano cambiamenti che rovesciano gli equilibri raggiunti. Arabi e Bizantini devono fronteggiare i Turchi, un popolo di origine mongola che abitava la regione del Turkestan e che da tempo sono usati come schiavi addestrati al combattimento per sostituire gli arabi nel servizio militare. A metà dell’XI secolo, i Turchi Selgiuchidi, convertiti all’Islam, invadono la Mesopotamia e nel 1055 occupano Baghdad, proclamandosi sultani. Poi scatenano la “guerra santa” contro l’Impero di Bisanzio proprio mentre questo è sconfitto dai Normanni nel Meridione d’Italia. I Turchi vincono con grande facilità e conquistano anche la Siria e la Palestina, impadronendosi di Gerusalemme (1079). I Turchi, animati dal fanatismo della guerra santa, derubano e a volte massacrano i pellegrini cristiani rendendo molto più difficile e pericolosa la visita di Gerusalemme e della Terra Santa. La situazione per i Bizantini è talmente grave che, nonostante lo Scisma del 1054, l’imperatore chiede aiuto al Papa per combattere i Turchi.

Quasi certamente la nascita della crociata non è nelle intezioni nè dell’imperatore di Bisanzio nè tantomeno in quelle del Papa. Il primo intende semplicemente reclutare come mercenari alcune centinaia di quei cavalieri pesantemente armati che lo aiuterebbero contro i Turchi. Il Papa, forse ispirato da quanto avviene in Spagna, vuole allontanare un pò dei turbolenti guerrieri che turbano l’Occidente e nello stesso tempo aiutare i fratelli cristiani d’Oriente contro il nemico islamico. Qualsiasi cosa Urbano II pensi quando nel 1095 fa il suo appello ai cavalieri cristiani di mettere fine alle guerre private tra le famiglie feudali e di andare uniti a combattere gli “infedeli” che minacciano Bisanzio e i Luoghi Santi, la risposta non si fa attendere. Il seme gettato nella tumultuosa società medioevale dell’XI secolo dà frutti inaspettati e di gran lunga superiori a quanto probabilmente desiderato.

La crociata dei poveri Una prima risposta è quella di una massa popolare fatta di straccioni, disperati, poveri e contadini che vede nella crociata una sorta di pellegrinaggio di massa in cui rinnovare la propria vita e quella della Chiesa. I nomi dei predicatori fanatici che la guidano restano sospesi fra cronaca e leggenda come quello di “Pietro l’eremita” che predica la conquista di Gerusalemme perchè dopo sarebbe giunta la fine del mondo e il Giudizio universale. Oppure come il racconto di una misteriosa confraternità di poveri che partecipa alla crociata e si fa chiamare “Tafuri”, strani poveri che della povertà hanno fatto il loro distintivo, ferocissimi in battaglia, temuti dai cavalieri stessi quanto dai Turchi, delle carni dei quali essi si sfamano dopo il combattimento. Questo strano esercito fatto da migliaia di uomini, donne e bambini si abbatte sulle campagne tedesche come una tempesta, dandosi alla razzia e al massacro di ebrei nelle città di Colonia, Magonza,Worms e Ratisbona. Questa violenza contro gli ebrei non è mai stata nelle intenzioni della Chiesa come dimostrano le cronache che raccontano del vescovo di Colonia che nasconde decine di ebrei superstiti nella sua casa per salvarli dal massacro. Ma alcuni mercanti, per eliminare la concorrenza, guidano “l’esercito dei poveri” alla casa del vescovo che viene saccheggiata e gli ebrei trucidati, lo stesso vescovo deve fuggire per non seguirne la sorte. Questo esercito che prega e distrugge quanto incontra lungo la sua strada arriva, dopo


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indicibili sofferenze, a Costantinopoli. Accampati nella periferia della città, come un gigantesco esercito di accattoni, spaventano i Bizantini più dei mussulmani. I funzionari imperiali si danno immediatamente da fare per spingerli nel cuore dell’Asia Minore dove moriranno tutti di stenti o massacrati dai Turchi.

Il fiore della crisitanità Ma anche tra i cavalieri e i nobili d’Europa il sassolino gettato da Urbano II sta diventando una valanga. Non solo cavalieri in cerca di fortuna, ma anche il meglio della nobiltà europea lascia tutto per partire con la crociata; addirittura i novizi di interi monasteri chiedono di partire, mentre c’è chi abbandona la famiglia e i beni. Alla guida di questo esercito si pone il francese Goffredo di Buglione. Totalmente disorganizzati, senza un piano preciso, dopo un viaggio allucinante 10.000 cavalieri crociati arrivano a Costantinopoli, ma anche stavolta l’imperatore di Bisanzio non sa cosa farsene di questo esercito disorganizzato e turbolento. Per questo cerca di farli uscire velocemente dai propri possedimenti dirigendoli verso la Terra Santa. L’avvio della campagna militare vera e propria è un disastro, l’attraversamento dell’Anatolia in piena estate una pazzia: non ci sono né programmi, né unità di comando, né infrastrutture logistiche, né piani di marcia. Più di 5000 cavalieri e un numero imprecisato di soldati perdono la vita, ma, nonostante tutto, attraverso inenarrabili sofferenze e prove di coraggio paragonabili solo ad altrettanto grandi prove di ferocia, questo strano esercito arriva a conquistare una quantità di fiorenti città della Cilicia e della Siria come Antiochia ed Edessa.

La presa di Gerusalemme Dopo un viaggio che dura da tre anni i crociati si avvicinano a Gerusalemme, più si sentono vicini alla meta tanto desiderata, più sono spinti da una forza interiore che come una febbre li anima e li sprona a sopportare qualsiasi fatica. Dopo un mese di assedio la Città Santa viene conquistata, ne segue un’inutile massacro degli abitanti ebrei e musulmani. Giunta la sera Goffredo di Buglione sosta davanti al Santo Sepolcro che è stato riconquistato, veglia in preghiera piangendo tutta la notte per chiedere perdono dei peccati compiuti e perché il Signore lo ha reso degno di questa impresa: restituire alla Chiesa i luoghi della vita di Gesù Cristo sulla terra. Costituito il Regno di Gerusalemme Goffredo rifiuta il titolo di Re non volendo portare una corona d’oro nella città in cui Cristo aveva portato quella di spine; decide quindi di governare con il titolo di “Difensore del Santo Sepolcro”. Quella di Goffredo di Buglione è forse l’immagine più chiara di questi cavalieri sinceramente cristiani, ma capaci, con una naturalezza a noi sconcertante, di parlare anche il linguaggio della violenza ereditato dalle proprie origini germaniche e dal contesto storico in cui vivono.

Crociata dei poveri. Crociata dei cavalieri Crociata dei cavalieri


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Liberata la Terra Santa e creati nuovi regni cristiani resta comunque il problema della difesa. I conquistatori della Terrasanta sono poche migliaia e molti, sciolto il voto, tornano in Europa. Ma il paese ha bisogno di essere presidiato continuamente: infatti, passato il primo istante di disorientamento, l’Islam dei califfati arabi comincia a passare al contrattacco, mentre le strade interne del paese e le aree suburbane non sono affatto sicure. Per il presidio delle frontiere e la difesa dei pellegrini inermi si organizzano liberi gruppi di cavalieri che, a titolo penitenziale, scelgono di rimanere in Terra Santa per vivere in comunità e in povertà nei luoghi che avevano veduto il Salvatore. Nasce così una singolare, quasi paradossale - in quanto guerriera - applicazione della vita monastica, uno dei principi che in Occidente ha costituito il lievito della Cristianità. Col tempo, quelle “fraternità” si trasformano in veri e propri ordini religiosi, acquartierati in caserme-abbazie disposte lungo i confini e nei punti strategici del deserto a guardia delle piste carovaniere. Le loro regole si ispirano alla matrice benedettina con la variante che invece del lavoro il loro compito è l’uso della spada. Queste nuove comunità trovano grandi estimatori in Europa, il più famoso è Bernardo di Clairvaux, un breve ma famoso scritto - il De laude novae militae (“In lode della nuova cavalleria”) - propone la loro vocazione militare come simbolo esteriore della lotta spirituale da combattersi contro il peccato.

Tra leggenda e verità

Krak dei cavalieri, un’imponente fortezza costruita dagli Ospitalieri. Sarà l’ultima difesa a cadere nell’inesorabile riconquista islamica dei regni cristiani in oriente.

Nascono così gli ordini religiosi-militari dei “Poveri Cavalieri del Cristo” (più tardi detti “Templari” perchè il loro quartier generale era nella zona del Tempio di Gerusalemme), dei “Cavalieri di San Giovanni”, (detti “Ospitalieri” perchè all’inizio si occupavano della gestione degli ospedali per i pellegrini), poi dei “Cavalieri di Santa Maria” (detti “Teutonici” perchè ne facevano parte solo cavalieri tedeschi). Su questi ordini, in particolare a riguardo dei Templari, sono nate leggende e racconti infamanti che li hanno accusati di ogni tipo di vizi e peccati. Ben diversa, e probabilmente più attendibile, la descrizione fatta dai loro nemici arabi, i quali ce ne hanno lasciato spesso una descrizione improntata a simpatia, ammirazione e amicizia. Leggiamo quanto ha scritto su di loro l’emiro Usama: “Quando visitai Gerusalemme io solevo entrare nella moschea al-Aqsa, al cui fianco c’era un piccolo oratorio, di cui i Franchi avevan fatto una chiesa. Quando dunque entravo nella moschea al-Aqsa, dov’erano insediati i miei amici Templari, essi mi mettevano a disposizione quel piccolo oratorio per compiervi le mie preghiere”. Questi ordini nati spontaneamente sono, a ben vedere, il naturale e inaspettato compimento del tentativo, iniziato con “la tregua di Dio” e proseguito con l’ordine cavalleresco, di creare dei cavalieri cristiani.


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Riportiamo un brano, riadattato nella traduzione, di uno dei tanti racconti cavallereschi ispirati alle crociate. La storia parla di un cavaliere templare che incontra l’angelo della morte e possiamo sentire nella narrazione tutta la forza con cui l’immaginario degli uomini di quel periodo viveva il rapporto tra la crociata e Dio, tra quella terra e le forze che reggono l’Universo. Credo sia impossibile, per noi oggi, immedesimarci in quegli uomini. Possiamo studiare le azioni che hanno compiuto, ma non vedere il mondo con i loro occhi, percepire i fatti e la storia come loro li percepivano. C’era la luna nel cielo sopra un campo di battaglia in Terrasanta, a mascherare di bianco i vivi come i morti. Ormai era finita la danza delle spade e sola vincitrice era la notte. Lontano, verso San Giovanni d’Acri, luccicavano gli ultimi fuochi dei crociati, mentre a Gerusalemme splendeva la lampada del Saladino. I corpi dei caduti sul campo del martirio giacevano abbandonati alla pietà dei ladri e dei cani. Già li stavano spogliando: gli anelli, le vesti, le carni, senza fare differenza tra bianchi e mori. Nemmeno le loro anime riposavano in pace e andavano vagando sull’arena, senza lasciare impronte. Ma a strapparle dalla nostalgia della carne venne un suono dall’altro mondo. Era l’angelo della morte che suonava il corno. Se ne stava sospeso nel cielo sopra il campo del sangue. Al suo richiamo tutte le anime andarono a porsi sotto la sua ala.

Sul campo di battaglia passava un cavaliere senza elmo e senza lancia. Aveva il cranio rasato e la barba, portava le vesti dei templari, la veste d’armi segnata dalla croce vermiglia. L’uomo aveva abbandonato la battaglia quando il gonfalone Baussant era caduto nella polvere. Allora aveva errato sino al fiume Giordano. Ma sulla riva anche lui sentì il richiamo della morte, malgrado fosse ancora anima e corpo. E anche il cavallo sentì suonare il corno e dallo spavento si imbizzarrì, e il suo carico di nobiltà rovinò al suolo. Quando il templare si riprese dalla caduta vide l’angelo scendere dal cielo. Poi l’angelo gli si mise a un passo, il corno a tracolla, ansimante dalle fatiche del mestiere, grondante di cera, le ali incartapecorite, irremovibile come i cherubini che Dio pose a custodire la via all’albero della vita. Con grande sforzo il cavaliere si alzò dicendo: “Ma come, Signore delle ossa, vieni a darmi il bacio della pace e subito mi sbarri il cammino?” Allora voltò le spalle e andando verso l’acqua santa incominciò la svestizione. E mentre finiva di liberarsi dalla prigione a maglie di ferro pensava: “Nudo sono venuto al mondo, nudo me ne vado; macchiato di sangue sono nato, macchiato di sangue muoio; stremato sono venuto dal viaggio dall’inesistenza alla vita; stremato ritorno a Dio”. Così il monaco guerriero si abbandonò al fiume dei profeti, scendendo crocifisso alla corrente, il viso alle stelle. Poi il templare esalò queste parole: “… preparate la via a Colui che

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Ritratto del Saladino

L’islam dilaniato dalle lotte interne impiega quasi un secolo per riprendersi, poi sotto la guida del Saladino ha la sua rivincita. Il suo vero nome è Yusuf ibn Ayyub Salah al-Din (abbreviato in “Saladino” dai cristiani - 1138-1193) sultano d’Egitto e di Siria. Abile uomo politico, è in grado di guidare abilmente le truppe in guerra come governare pacificamente con le armi della diplomazia. Il Saladino si distingue per la sua condotta saggia, virtuosa e generosa incarnando perfettamente il modello del cavaliere tanto caro ai cristiani; lo dimostra il fatto che Dante lo colloca nel Limbo, insieme ai grandi del passato che, pur non essendo cristiani, si distinsero per aver incarnato i grandi valori dell’umanità. Da giovane pratica gli studi di filosofia ed è molto dedito alla pratica religiosa, partecipa ai combattimenti contro i crociati dove si distingue per valore e coraggio iniziando così la sua carriera politica che lo porta prima a diventare Gran Visir e poi Sultano d’Egitto. Tollerante in materia religiosa cerca di avere rapporti di buon vicinato con i signori feudali cristiani, ma alla fine ripetuti scontri con i templari portano allo scatenarsi della guerra. Ottiene una clamorosa vittoria nella battaglia di Hattin dove stermina l’esercito del Regno di Gerusalemme, disfatta in gran parte dovuta alla follia dei comandanti cristiani. Senza più un esercito a difenderle molte fortezze e città cadono sotto l’avanzata del Saladino che alla fine si dirige a Gerusalemme.

La presa di Gerusalemme Baliano, uno dei pochi nobili sopravvissuti al massacro di Hattin, chiede al Saladino un corridoio di sicurezza per poter raggiungere Gerusalemme e recuperare la moglie oltre al resto della famiglia. Saladino acconsente, promettendo a Baliano l’accesso alla capitale per un solo giorno. All’arrivo nella città santa, il patriarca Eraclio, la regina Sibilla ed il resto degli abitanti lo pregano di prendersi in carico la difesa della città e Baliano accetta. Dopo un’eroica resistenza Gerusalemme si arrende, ma anche in questa occasione il


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Saladino dà prova della sua virtù. Invece di abbandonarsi al massacro, come fecero un secolo prima i crociati, accetta un riscatto in denaro per ogni persona che voglia abbandonare la città. Le persone povere che non sono in grado di pagarsi la vita vengono aiutate da Baliano e dallo stesso Saladino che dona una considerevole quantità di denaro perchè possano andarsene liberamente. In seguito il Saladino lascia ai pellegrini il libero accesso a Gerusalemme e dona la chiesa del Santo Sepolcro ai cristiani. Contro di lui viene indetta la Terza crociata nella quale subisce alcune sconfitte, ma alla fine la pace del 1192 lo lascia padrone di quasi tutta la Terra Santa. Muore in miseria nel 1193, dopo aver donato tutti i suoi averi in elemosina.

Dopo il Saladino i cristiani non riesciranno mai più a riprendere Gerusalemme e i loro regni in Terra Santa lentamente e inesorabilmente scompaiono, malgrado le numerose crociate indette e tutte fallite. In particolare la Quarta è una crociata assolutamente anomala. I mercanti veneziani, che avevano trasportato i crociati per mare, convincono infatti i cavalieri cattolici ad attaccare l’ortodossa Costantinopoli e saccheggiarla: un episodio vergognoso frutto dell’avidità dei mercanti veneziani che volevano eliminare un forte concorrente. Il Papa non manca di condannare questo orribile episodio, ma ormai il danno è stato compiuto e l’Impero Bizantino è prossimo alla sua caduta definitiva.

Non solo massacri Le crociate rappresentano un fallimento sotto il profilo militare ma, secondo una più attenta lettura degli storici più recenti, si concludono con un bilancio positivo sotto vari aspetti. I documenti del tempo dimostrano che le crociate in realtà non furono un “urto” devastante, ma un proficuo incontro di civiltà. Prima gli Arabi, poi i Turchi - due popoli guerrieri, a loro volta sempre alla conquista di nuovi popoli e nuovi territori - non hanno vissuto gli attacchi dei cristiani come atti di sopraffazione, ma come normali operazioni di guerra. Al contrario, al di là dei reciproci massacri in battaglia, tra i cavalieri e i sovrani delle due parti si stringono spesso grandi amicizie. Inoltre centinaia di cristiani si stabiliscono in Terra Santa dove, pur mantenendo la propria religione, impiantano basi commerciali e scambiano preziose nozioni scientifiche e tecniche con i loro ex nemici. Sul piano commerciale le crociate segnano il decollo economico delle città marinare italiane che diventeranno un punto di riferimento importante per tutti i traffici marittimi nel Mediterraneo, rafforzando la comunicazione e lo scambio di merci tra Occidente e Oriente.

Un cristiano e un mussulmano giocano pacificamente a scac-


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Parte terza

S. Luigi re di Francia, un grande cavaliere cristiano. Quando, nel 1245, Luigi IX iniziò i preparativi per la crociata aveva 32 anni ed era re di Francia da venti. Luigi voleva essere un perfetto cavaliere cristiano e combattere per difendere i luoghi santi gli sembrava l’azione più gloriosa che avrebbe potuto compiere. La crociata, d’altronde, non nasce per Luigi dall’odio nei confronti degli infedeli, la crociata non ha lo scopo né di sterminarli, né di convertirli. Essa deve solo servire a recuperare alla cristianità Gerusalemme, “il più Santo dei luoghi sulla Terra.”

partenza della flotta avvenne nell’agosto del 1248, dal porto di Aigues-Mortes, costruito per l’occasione.

Il fallimento

La spedizione non ebbe il successo sperato. Dopo aver conquistato una fortezza sul delta del Nilo, i crociati di Luigi IX, indeboliti dal caldo e dalla mancanza di acqua, non furono più in grado di avanzare verso il Cairo, come era nei piani del re. I mussulmani li impegnarono sulle rive del Nilo in una lunga battaglia, durante la quale perse la vita il fratello di Luigi. Durante la battaglia una cronaca ci descrive Luigi in battaglia circondato da sei mussulmani che lo stavano per far prigioniero, se ne liberò da solo a vigorosi colpi di spada, La settima crociata che brandiva con ambe le mani. Gli infedeli Per tre anni e mezzo il sovrano si impegnò furono messi in fuga, ma la situazione per nell’organizzazione dell’impresa. Si i crociati rimaneva critica. Ad aggravarla, preoccupò di rendersi degno di guidare la si diffuse un’epidemia, portata dall’acqua crociata, purificando sia la sua anima sia il malsana bevuta per dissetarsi, che colpì suo regno. A tale scopo vietò le guerre tra le quasi tutto l’esercito; Re Luigi stesso ne fu famiglie nobiliari per un periodo di tre anni, uno dei più colpiti, al punto che a malapena proibì ai sudditi di indossare ricchi abiti e poteva stare a cavallo. Iniziarono allora, belle pellicce, rinunciandovi egli stesso, attraverso Filippo di Montfort, dei negoziati ottenne dalla Chiesa una serie di preghiere col sultano mussulmano per stabilire una specifiche per i crociati. Ma soprattutto inviò tregua. ispettori in ogni parte del regno a scoprire La prigionia e correggere le ingiustizie commesse dai funzionari regi, sostituendo quelli poco Luigi, fatto prigioniero, fu portato a Mansurah. Durante la sua prigionia, onesti. Per finanziare la crociata Luigi IX richiese dimostrò tanta serenità d’animo ed era tale forti prestiti alle città, aumentò i tributi la maestà della sua figura, che gli stessi arabi pagati dagli ecclesiastici e confiscò i beni ne restarono grandemente impressionati. degli usurai. Quindi ordinò 36 navi alle città Un emiro voleva costringere il Re ad di Genova e Marsiglia e radunò un esercito armarlo cavaliere per mezzo di minacce: con più di 2500 cavalieri, 5000 arcieri e “Fatti cristiano”, ribattè senza timore il re 10.000 fanti. Il tutto costò l’equivalente di francese. Gli infedeli lo minacciarono delle 6 anni di entrate del regno di Francia. La più terribili torture al fine di ottenere da


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lui la consegna delle fortezze degli Ordini Militari in Siria, su cui, peraltro, non aveva alcuna giurisdizione. Luigi rispose che era prigioniero e che perciò potevano fare di lui quello che volevano, ma non avrebbe mai concesso quel che pretendevano. Impressionato da tanta fierezza e fermezza, il sultano desistette dal suo intento e decise di chiedere la resa di Damietta e una forte somma per il riscatto dei preziosi ostaggi. Pagato il riscatto e consegnata Damietta, S. Luigi fu liberato e si diresse verso S. Giovanni d’Acri, capitale del regno franco in Siria, ove rimase 4 anni a fortificare la città e i castelli che difendevano la regione e tentando di liberare i crociati rimasti nelle mani dei mussulmani. Con l’abilità diplomatica e sfruttando le rivalità esistenti fra siriani ed egiziani, riuscì ad ottenere la liberazione dei suoi compagni di spedizione; nel contempo avviò una vantaggiosa politica di alleanze con diversi principi mussulmani. S. Luigi dovette ritornare in Francia dopo 6 anni di assenza per la morte di sua madre, lasciata come reggente nel 1253, e fu accolto trionfalmente dalla popolazione. Il suo prestigio, nonostante il fallimento della spedizione, non soltanto era cresciuto in tutta Europa, ma si era ampiamente diffuso in tutto l’Oriente cristiano e mussulmano, specialmente a causa dell’eroismo, abnegazione e prudenza militare, diplomatica e politica di cui aveva dato prova.

Il ritorno in patria Al suo rientro in Francia il re era molto turbato: perché – si chiedeva – Dio non aveva aiutato il suo esercito? Finì per attribuire la causa del fallimento della crociata ai peccati suoi, dei suoi soldati e del suo popolo.

Decise perciò che era necessaria un’opera di purificazione molto ampia. Iniziò quindi a riorganizzare in profondità il suo governo. Per esempio prendendo provvedimenti contro le riscossioni ingiuste di tributi. Vietò le bestemmie, il gioco d’azzardo e l’ubriachezza.

L’ultima crociata Decise infine di ritornare in Terra Santa e organizzò una nuova spedizione che partì nel 1270. Anche questa volta i preparativi furono accurati, però nuovamente il re non ebbe fortuna. Anzi, il suo viaggio fu assai breve. Colpito da una malattia (forse malaria), Luigi morì nell’agosto del 1270, presso Tunisi. Morendo mormorò: “Tu sei polvere e tu ridiventerai polvere”. Nel 1297 Luigi IX fu proclamato santo dalla Chiesa. Il grande storico Jacque le Goff, scrive a conclusione della sua biografia: “Nella religione di san Luigi c’è, al fondo, la fede, una fede incrollabile, una fede che è, prima di tutto, amor di Dio. La dice a Filippo nei suoi Insegnamenti. “Caro figlio, ti insegno anzitutto ad amare Dio con tutto il cuore e con tutta la tua forza, perché, senza questo amore, nessuno vale nulla”. Questo Dio da amare e in cui credere senza il minimo dubbio è soprattutto il Figlio, centro della religione dl san Luigi. La sua fede è “la fede in Gesù Cristo”. È anche la fede della tradizione e degli insegnamenti della Chiesa...”.

S. Luigi parte per la crociata.

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Parte terza

La Crociate “Questo grido si alzi da tutti i soldati del Signore: è la volontà di Dio!” Urbano II

La seconda crociata è la diretta conseguenza della caduta della contea di Edessa nel dicembre del 1144 ad opera degli Arabi. L’unica sua azione bellica fu costituita dal fallito assedio crociato di Damasco, a lungo sostenuto da Bernardo La prima crociata fu lanciata il 27 novembre 1095 dal papa Urbano II in Francia. Durò tre anni e riuscì a liberare Gerusalemme e molte città costiere fino alla Siria. Da queste vittorie nasceranno i regni

II

La terza crociata (1189-1192), detta anche la “crociata dei Re”, viene organizzata dai sovrani europei per riconquistare i regni perduti ad opera del Saladino. Vi parteciparono: Filippo di Francia, Federico Barbarossa e Riccardo d’Inghilterra. I crociati riuscirono a sconfiggere il Saladino liberando alcune importanti città, ma non Gerusalemme.

III 1147

La quarta crociata fu indetta da Papa Innocenzo III all’indomani della propria elezione al soglio pontificio nel 1198, e fu diretta contro i musulmani in Terrasanta. In realtà, sotto istigazione dei veneziani, si fermò a Costantinopoli che verrà saccheggiata e destituito per breve tempo l’imperatore bizantino. Il Papa condannò il comportamento dei crociati.

IV

1198

1189

1187 Gerusalemme è riconquistata dal Saladino.

“Cumuli di teste, mani e piedi erano visibili nelle strade della città. Fu necessario aprirsi la strada sopra i corpi degli uomini e dei cavalli.” Raimondo d’Aguilliers


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“Da una parte ci incalzavano i Turchi... dall’altra una fame disperata.” Fulcherio di Chartres

VI V

VII 1228

1217

Papa Innocenzo III decise l’indizione di una nuova crociata. Federico II, in occasione della sua incoronazione a Rex romanorum, nel 1215, giurò solennemente di prendervi parte, ma poi rimandò più volte, il che provocò tensioni con il Papa. Alla fine papa Onorio III stabilì che la crociata dovesse aver inizio il 1 giugno 1217. Si concluse con un fallimento.

Dopo il fallimento della quinta crociata, l’imperatore Federico II si era impegnato a guidare una crociata in Terrasanta, ma, per motivi politici, ne aveva più volte ritardato l’inizio. Quando nel 1227 rifiutò di nuovo di partire venne scomunicato da papa Gregorio IX. L’anno successivo, Federico si recò a Gerusalemme e riescì a stipulare un trattato di pace con gli Arabi senza nemmeno combattere, ottenendo il controllo di Gerusalemme. Il Papa lo scomunicò perchè invece di combattere gli Arabi si era alleato con loro.

La presa di Gerusalemme da parte dei crociati

VIII

1270

1248

La settima crociata si svolse fra il 1249 e il 1250. Fu diretta contro l’Egitto e guidata dal re di Francia Luigi IX il Santo. Nonostante l’accurata preparazione si concluse con un completo disastro e con la cattura dello

L’ottava crociata fu diretta anch’essa contro i domini musulmani in Africa settentrionale e fu sempre guidata da Luigi IX, il quale morì di malattia appena sbarcato in Africa. La crociata si interruppe ancora prima di iniziare. Riprenderà alcuni anni dopo, alcuni storici la definiscono la IX crociata, senza ottenere nessun risultato. E’ l’ultima crociata medioevale.

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Parte terza

Lo sviluppo dell’XI secolo Unità 10

La cavalleria e la riforma della Chiesa Unità 11

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Lo scontro tra Impero, Chiesa e Comuni Unità 13

Il medioevo in Oriente Unità 14

Pietra e Luce


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La morte senza eredi dell’imperatore Enrico V di Franconia aveva aperto in Germania una grave crisi per la successione al trono. Questa situazione aveva finito per indebolire il prestigio dell’impero, già scosso dalla lotta per le investiture. I contendenti alla corona erano i ghibellini sostenitori della famiglia Sveva degli Hohenstaufen, e i guelfi, fautori dei duchi di Baviera che avevano anche l’appoggio del Papa. In Italia i Comuni si scagliarono contro quelli ghibellini e viceversa, mentre il sangue scorreva ormai anche all’interno delle singole città. In tutti i grandi Comuni le due fazioni si combattono per il controllo del potere a colpi di condanne a morte, esilio, confische e altre violenze che lasciano uno strascico di odio che segnerà per molto tempo la convivenza civile. Alla fine, dopo aspre lotte, prevale la fazione ghibellina con l’elezione nel 1152 di Federico I di Svevia, detto Barbarossa per il colore della sua barba. Federico è un uomo energico e pone come scopo del suo governo la restaurazione del potere imperiale attraverso tre obbiettivi: imporre l’autorità imperiale nei propri territori rispetto allo strapotere dei nobili feudatari; riaffermare la supremazia dell’Impero sul Papato; porre fine all’autonomia dei Comuni italiani.

L’indipendenza dei Comuni Tra i Comuni medievali, quelli lombardi hanno ottenuto dai feudatari molte libertà ma sono rimasti ufficialmente sudditi dell’Impero germanico, che considera la Lombardia parte del Regno d’Italia. Da molto tempo, tuttavia, gli imperatori germanici non si occupano del regno, impegnati nelle lotte contro i feudatari tedeschi e contro il Papa. I Comuni sono molto attenti nel manifestare a parole la loro devozione verso l’imperatore e curano di accogliere i cortei in viaggio per Roma con tutti gli onori. Però battono moneta per conto proprio, espandono i propri territori, si fanno la guerra tra loro quando e come vogliono. Il problema emerge davanti all’energico e determinato imperatore quando i rappresentanti del Comune di Lodi esprimono, in perfetto tedesco, le loro lagnanze per la prepotenza della città di Milano. Essi accusano i milanesi di soffocare con la violenza i commerci di tutti i Comuni vicino e implorano l’imperatore di difenderli.

Lodi si appella all’imperatore Federico invia subito a Milano un suo ambasciatore ordinando al Comune di prestargli obbedienza, ma i Milanesi stracciano le lettere imperiali e costringono l’inviato a una fuga precipitosa. La posta in gioco è molto alta perché le libertà comunali hanno reso Milano una città ricchissima. Inoltre, a riprova del grande spirito di intrapresa che anima la città, proprio in quel periodo sono incominciati i lavori di scavo dei navigli, sia per rafforzare le opere di difesa sia per bonificare le aree paludose sia, infine, per collegare Milano con il Ticino e con l’Adda facilitando così il trasporto delle merci. Le fortune di Milano sono fondate, però, sull’abbattimento dei concorrenti e molti altri Comuni ne hanno fatto le spese. Tra i nemici giurati

Sigilli medievali con gli stemmi dei guelfi (in alto) e dei ghibellini (in basso).


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Parte terza

della città, oltre a Lodi, ci sonno Pavia, Novara, Como, Cremona e diverse comunità minori.

La Dieta di Roncaglia Quando l’ambasciatore scacciato da Milano torna a riferire l’accaduto: “il re e principi (scrive un cronista dell’epoca) furono morsi da grandissima ira e dolore. Come una scintilla di fuoco incendia l’intera casa, così le sue parole accesero il cuore del re e di tutta la corte, e subito decisero di scendere in Lombardia con un grande esercito”. Nell’autunno del 1158 l’imperatore scende in Lombardia e, tentando di risolvere pacificamente la questione, convoca la Dieta di Roncaglia e sottopone ai rappresentanti di 14 Comuni italiani una lista di regalie, cioè di diritti regali. Tra esse vi sono la nomina dei magistrati cittadini, la riscossione delle imposte imperiali (che da più di cinquant’anni non venivano pagate) e la funzione del tribunale supremo, abilitato a punire le città colpevoli di sopraffare le altre.

Barbarossa scende in Italia I delegati giurano obbedienza, ma una volta tornati ai loro Comuni nessuno rispetta gli impegni presi. Allora Federico I scatena la sua ira sulla Lombardia. Scende in Italia con un potente esercito e per quattro anni i castelli vengono assediati e dati alle fiamme, i prigionieri vengono impiccati a centinaia ai rami degli alberi o mutilati di una mano o di un piede, la città di Crema viene rasa al suolo, le strade si riempiono di profughi; donne, vecchi e bambini sono scacciati dalle loro case e si mettono in cammino in cerca di un rifugio dalla guerra. L’ultimo a cedere è il comune di Milano. Si arrende dopo avere resistito eroicamente a un anno di assedio. Barbarossa dà otto giorni ai Milanesi per abbandonare la città ed essi si accampano fuori dalle mura. Vedono con i propri occhi le loro case bruciare e poi squadre di picconatori dei Comuni nemici demolire le mura pietra dopo pietra.

La Lega lombarda e il Papa contro Barbarossa Nel 1167, 21 Comuni costituiscono la Lega lombarda con il giuramento previsto dalle regole feudali, chiamato giuramento di Pontida della città in cui viene pronunciato. Ne fanno parte Comuni lombardi, veneti ed emiliani, più i Milanesi, privati della città ma


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tutt’altro che domati, nonché i Comuni nemici, obbligati con le minacce a partecipare; Venezia non partecipa formalmente alla Lega ma la finanzia. Nel frattempo l’Imperatore credendo di avere sistemato i Comuni lombardi è deciso a imporre la sua autorità sulla Chiesa. Papa Alessandro III, per difendere ancora una volta l’autonomia della Chiesa dal tentativo di sopraffazione del potere temporale, decide di unirsi alla Lega. Il Barbarossa torna in Italia, deciso a sottomettere con la forza il pontefice; arriva a Roma e lo assedia nel Colosseo attrezzato a fortezza, ma un’epidemia decima l’esercito imperiale e lo costringe a ritirarsi. Federico I è vicino alle Alpi con quello che resta dell’esercito, quando viene sorpreso dalle milizie della Lega che lo affrontano nella battaglia di Legnano e lo sbaragliano; nella mischia rischia di morire lo stesso imperatore. La Pace di Costanza, stipulata nel 1183, mette fine alla lotta tra i Comuni Lombardi e Federico I: i primi riconoscono l’autorità imperiale ufficialmente; il secondo concede ai comuni di eleggere i propri rappresentanti, di tenere un esercito e di tornare a godere quasi interamente delle vecchie regalie. Pochi anni dopo, il grande e ambizioso Barbarossa muore sulle montagne dell’Asia Minore, annegando in un torrente. Si stava recando in Terra Santa per combattere nella Terza Crociata e aveva sessantasette anni.

Enrico VI, figlio di Federico Barbarossa, sposa Costanza d’Altavilla, unica erede dell’ultimo re Normanno dell’Italia Meridionale. Perciò quando questi muore, Enrico VI eredita anche il suo trono realizzando, senza nessuna guerra, l’antico progetto del padre: l’unione del Regno di Sicilia al Sacro Romano Impero germanico. Questa situazione mette in difficoltà lo Stato della Chiesa, ormai stretto tra nord e sud in una morsa e solo nella lotta perchè i Comuni sono tornati amici dell’Impero con la Pace di Costanza. Questa difficile e pericolosa situazione viene improvvisamente rovesciata con la morte di Enrico VI che lascia come erede un bambino di pochi anni, il futuro Federico II. L’impossibilità di incoronare subito il nuovo imperatore scatena il caos: in Germania, i guelfi e i ghibellini riprendono a combattersi per la successione al trono; nell’Italia settentrionale i Comuni cacciano i funzionari imperiali riacquistando la loro autonomia e immediatamente ricominciano anche a litigare fra loro; in Sicilia una rivolta di nobili feudatari cerca di prendere il controllo del Regno. In questa difficile situazione Costanza d’Altavilla, per mettere al sicuro la vita del figlio e i suoi diritti di successione, lo affida alla tutela del Papa Innocenzo III.

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Parte Parte seconda terza

La battaglia di Legnano Barbarossa si stava ritirando dall’Italia con quello che restava del suo esercito, circa 3000 cavalieri, quando viene intercettato dalle forze milanesi e dai loro alleati. Quello milanese è un esercito di civili prestati alla guerra, dove i più ricchi combattono come cavalieri mentre gli altri formano la fanteria. Ogni soldato è armato ed equipaggiato di tutto punto, dato che alla città non mancano i soldi. Rispetto ai cavalieri imperiali la cavalleria milanese è certo meno abile, ma in compenso i fanti cittadini sono molto disciplinati e pieni di determinazione. Nonostante la forte inferiorità numerica, Barbarossa decide di dare battaglia lo stesso non ascoltando i consigli dei suoi nobili. La tradizione vuole che Federico I decide di dare battaglia perché ritiene indegno di un imperatore fuggire, più probabile è la sua fiducia nei cavalieri germanici: eccezionali soldati addestrati al combattimento e ricoperti di ferro, delle vere e proprie “fortezze umane”.

La battaglia L’andamento della battaglia è in sé molto semplice. L’imperatore schiera la sua cavalleria e carica quella della Lega annientandola, quindi sferra un attacco incontenibile al centro

Il Carroccio Il Carroccio (dal latino “quattro ruote”), simbolo dell’esercito dei Comuni , è un carro di legno, trainato da tre coppie di buoi bianchi ricoperti con i paramenti che riprendono i colori del Comune. Al centro del carro è posta la croce donata ai Milanesi dal vescovo e lo stendardo del Comune: la prima era il simbolo della fede e il secondo testimonia l’unità e l’indipendenza dei liberi cittadini. Sul carro è collocata anche una campana, la “Martinella”, che viene usata per incitare a combattere eroicamente e a rispettare il giuramento prestato dai soldati. Al termine della battaglia, il suono della Martinella annuncia il ritorno dell’esercito, ma con la conclusione della battaglia è chiaro anche che vi sono stati dei morti e anche molti figli hanno perso il padre. Da allora a Milano chi è rimasto senza padre viene chiamato “martinìt”. In tempo di pace il Carroccio è custodito nella chiesa maggiore di Milano.

Prima di scendere in battaglia viene benedetto insieme a quanti si preparano a combattere per difendere il Comune. Durante lo scontro il carro ospita i comandanti, che in questo modo possono osservare dall’alto lo sviluppo della battaglia. Al termine degli scontri invece si trasportano i feriti. Il Carroccio rappresenta il centro dello schieramento delle forze cittadine e attorno a esso si raccolgono le truppe scelte, che preferiscono morire piuttosto che far cadere il loro simbolo in mano ai nemici. Quello che non riesce a Federico I Barbarossa, riesce al nipote Federico II: nella battaglia presso Cortenuova conquista il Carroccio e lo manda a Roma come bottino di guerra e insieme come ammonimento al Papa. Cortenuova è la più brillante, ma anche l’ultima, vittoria dell’Imperatore sui Comuni.


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Fante medievale Nel Basso Medioevo, per proteggersi, il fante indossa un giubbotto imbottito e tiene in mano un piccolo scudo rotondo con cui colpire il nemico. L’arma poù usata è l’asta lunga chiodata, prende il suo nome dalla punta con cui termina è serve per poter piantare l’asta nel terreno in modo da essere più efficace contro la carica di un cavaliere.

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travolgendo la fanteria e disperdendola. Fino a qui la superiorità dei cavalieri imperiali sui soldati cittadini è indiscutibile e l’esito della battaglia sembra ormai scontato. La svolta avviene grazie ai fanti milanesi che, invece di fuggire, si radunano attorno al Carroccio e decidono di difenderlo ad ogni costo. Determinati a non cedere formano un muro di scudi e con le lance a punta piantate a terra aspettano la micidiale carica nemica. Barbarossa schiera la cavalleria e ordina la carica per spazzare via quello che resta dell’esercito lombardo, ma come il mare sugli scogli così i suoi cavalieri si schiantano contro i fanti. Rompendo le file i Milanesi sarebbero andati incontro al massacro ma, restando compatti e fermi, resistono ad ogni assalto massacrando i cavalieri imperiali che nulla possono contro quel muro impenetrabile di lance e bersagliati dalle micidiali balestre. Lo stesso Federico viene disarcionato e dato per morto proprio mentre quello che resta della cavalleria della Lega si riorganizza ed attacca ai fianchi gli sfiniti cavalieri imperiali. L’esercito tedesco rompe la formazione e fugge inseguito dai Milanesi che fanno numerosi prigionieri, si impossessano dello stendardo di Federico Barbarossa, ma anche della sua lancia e del suo scudo.

Fanti contro cavalieri

Questo scontro mostra chiaramente come un esercito di fanteria disciplinato e organizzato sia superiore a qualsiasi cavalleria, ma nel Medioevo e proprio quello che manca. La situazione incomincerà a cambierà tra poco con la nascita delle monarchie nazionali e dei relativi eserciti, segnando il declino lento ma inesorabile della cavalleria e del sistema feudale.


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Parte terza

Innocenzo III è eletto Papa nel 1198 a soli 37 anni e guiderà la Chiesa per diciotto anni, lasciando un impronta profonda in tutta la cristianità europea. La Chiesa che Innocenzo si trova a guidare, nonostante le precedenti riforme, è ancora profondamente in crisi. L’elezione pontificia è in mano alle famiglie nobili romane, che se l’aggiudicano col denaro o con le armi; la condizione morale del clero, in particolare dei preti e dei vescovi, è ancora molto spesso scandalosa; l’intera gerarchia eclesiale riproduce la stessa “frammentazione feudale” della società laica: i vescovi troppe volte non obbediscono al Papa e i preti non obbediscono ai loro vescovi; uno dipende da un re, l’altro da un feudatario locale, l’altro ancora da un Comune. Innocenzo III è determinato a sanare questa situazione con una nuova profonda riforma della Chiesa, tesa a rendere la struttura del clero un corpo compatto sottoposto a un’autorità centrale guidata dal pontefice. Per riportare il clero all’ordine il nuovo Papa agisce con grande decisione Il Papa è il sole e severità. La riforma si conclude con la proclamazione dell’autorità assoluta del Papa sul governo della Chiesa in quanto “vicario di Cristo in terra”. Leggiamo un brano della lettera La lotta contro le eresie in cui Innocenzo III ribadisce la Innocenzo III usa la stessa determinazione con cui combatte supremazia dell’autorità papale su i mali della Chiesa per combattere le eresie che si diffondono quella imperiale. in questo periodo in tutta Europa. Per raggiungere il suo Il Papa è stato posto da Dio al di obbiettivo proclama una “crociata”, chiamando a raccolta i sopra dei popoli e dei regni. Nulla di principi del Nord della Francia, contro i Comuni francesi che ciò che avviene nell’universo deve avevano aderito all’eresia catara. Dato che i catari avevano sfuggire all’attenzione e alla potestà come loro centro di riferimento la città di Albi, quest’impresa del sovrano pontefice. è nota come Crociata contro gli Albigesi. Questi opposero Come Dio creatore di tutte le cose una strenua resistenza, ma alla fine furono sopraffatti. Tutti ha sistemato nel cielo due astri, uno i movimenti eretici del tempo sono perseguitati, di essi maggiore che illumini il giorno e uno sopravvivono oggi soltanto i Valdesi. minore che illumini di notte; così nel cielo della Chiesa universale, ha Innocenzo III tutore del futuro imperatore posto due grandi dignità, la maggiore Innocenzo III come tutore del piccolo Federico II, prende in che presiede alle anime e la minore mano la politica europea e la guida come un grande uomo di che presiede ai corpi; e tali dignità Stato. La sua situazione è comunque particolare, infatti dopo sono l’autorità del Papa e quella del secoli di ingerenze imperiali nella vita della Chiesa, ora è il re. E certamente, come la Luna riceve Papa che detiene il controllo dell’Impero. Questo enorme dal Sole la luce, essendo minore del potere è però un pericolo per la Chiesa stessa, infatti è proprio medesimo, così l’autorità del re deriva il problema dei vescovi-conti che ha lacerato in profondità la lo splendore della propria dignità moralità e la stabilità della gerarchia ecclesiale. Innocenzo è dall’autorità del Papa. ben consapevole di questo e quindi, mantenendo ben distinti (dalla lettera Come il creatore dell’universo) il potere temporale da quello spirituale, vuole porre, però, l’autorità della Chiesa al di sopra di quella Imperiale, come un Padre rispetto al figlio. Infatti è profondamente convinto che Cristo abbia lasciato a Pietro “il governo non solo della Chiesa ma anche del mondo intero”. Per realizzare questo cerca di equilibrare il potere dei vari regni europei ed educare il giovane futuro imperatore agli ideali dell’Ordine cavalleresco di obbedienza e difesa della Chiesa. Raggiunta l’età giusta, Innocenzo procura a Federico II il trono imperiale (1215) facendogli giurare solennemente di non unificarlo al Regno di Sicilia, perché questo avrebbe potuto indurlo a conquistare lo Stato della Chiesa. Un anno dopo Innocenzo


Unità 1

Nonostante l’energica dedizione di Innocenzo III, veri motori della riforma della Chiesa sono stati gli ordini mendicanti dei Francescani e dei Domenicani nati sotto il suo pontificato, fondati da san Francesco d’Assisi e san Domenico di Guzman. Si chiamano mendicanti perché entrambi fanno della povertà e della predicazione itinerante nelle città la regola fondamentale. A Innocenzo III, dotato di una fede severa ma profonda, non sfugge la novità e l’importanza del messaggio che portano per la società del tempo e, nonostante le obiezioni di molti uomini importanti della Chiesa, riconosce entrambi gli ordini e dà loro la sua protezione.

I Domenicani Domenico si rende conto che spesso molti uomini del suo tempo abbandonano la Chiesa per ignoranza o perché abbagliati da false promesse che nuove idee o predicatori vanno diffondendo nelle città. Per questo fonda il suo ordine sullo studio e sulla preparazione teologica, perché la fede non è in contraddizione con la ragione, anzi esattamente il contrario: un buon uso della ragione aiuta ad incontrare la vera fede. I Domenicani vanno nelle grandi città a predicare e spesso, i più dotti fa loro, finiscono per insegnare nelle grandi università, dando un contributo notevole alla cultura e allo studio delle scienze. Entrambi gli ordini diffondono pratiche come la confessione auricolare (cioè non pubblica e ad alta voce, ma diretta solo all’orecchio del confessore) che è un delle grandi rivoluzioni della nuova riforma della Chiesa, perché crea un dialogo privato tra chierici e laici influenzando profondamente la vita civile e politica non solo del suo tempo, ma anche dei secoli che seguirono. Si occupano della predicazione alle donne (spesso temute dai preti normali come fonte di tentazione) e della diffusione del culto mariano favorito in particolare dal rosario, una pratica religiosa introdotta dai domenicani. Ben presto i Domenicani diventano un ordine diffuso e influente con centinaia di opere dalle scuole agli ospedali, diventando uno dei soggetti più vitali e importanti nella vita dei Comuni e della società europea non solo del XIII secolo. Basti solo ricordare che il più grande filosofo della Chiesa Cattolica san Tommaso D’Aquino appartiene al loro ordine, ed ancora oggi parte della sua filosofia e della sua teologia sono considerate come dottrina ufficiale della Chiesa.

Francesco cuore della riforma della Chiesa Ma chi ha segnato più di tutti il popolo, la gente comune del suo tempo è san Francesco. In uno dei momenti più difficili della storia della Chiesa, dove la lotta per le investiture e la corruzione di molti vescovi e cardinali l’avevano allontanata dal popolo, ed è per questo senso di abbandono che molti uomini aderiscono con facilità all’eresia o ai vaneggiamenti dei predicatori che si aggirano per le piazze delle città o lungo le vie di pellegrinaggio. Francesco è seguito e venerato già in vita come “un novello Cristo”, è tale la grandezza della sua testimonianza che molti parlano di lui come di Cristo tornato sulla terra. Ha nelle sue mani un potere immenso, avrebbe potuto fare qualunque cosa e la gente lo avrebbe seguito, ma lui invece si preoccupa solo di Cristo e di sostenere la sua Chiesa. A questo proposito papa Innocenzo racconta di aver avuto una notte una visione in cui la basilica di San Pietro crollava e che Francesco la sosteneva

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Parte terza

sulle spalle, questa immagine è la sintesi più semplice della vera opera storica di questo santo. Il suo primo biografo scrive: “Era davvero molto occupato con Gesù. Gesù portava sempre nel suo cuore, Gesù sulle labbra, Gesù nelle orecchie, Gesù negli occhi, Gesù nelle mani, Gesù in tutte le membra” (Vita prima n.115) Ciò che anima Francesco è l’amore per il corpo di Cristo e per la Chiesa come suo segno tangibile. Ci sono raccontati molti episodi in cui Francesco incontra degli eretici che contestano la Chiesa e vogliono approfittare della sua venuta e lo portano di fronte al prete del paese che vive con una donna e che quindi è di scandalo a tutti, e gli chiedono: “allora cosa bisogna fare con questo prete?” e Francesco gli va incontro e gli dice: “se tu sei peccatore io non lo so, ma so che le tue mani possono toccare il Verbo di Dio”, e si inginocchia a baciare le mani del prete. Diceva spesso: “Se mi capitasse di incontrare un santo che viene dal cielo e un sacerdote poverello, saluterei prima il prete e vorrei baciargli le mani. Direi; ohi, aspetta S. Lorenzo, perché le mani di costui toccano il Verbo della vita e possiedono un potere sovrumano!”. Francesco è stato il ponte tra la Chiesa e l’uomo del suo tempo e per questo il vero cuore della riforma.

Della vera e perfetta letizia Un giorno il beato Francesco, presso Santa Maria degli Angeli, chiamò frate Leone e gli disse: «Frate Leone, scrivi». Questi rispose: «Eccomi, sono pronto». «Scrivi — disse — cosa è la vera letizia». «Viene un messo e dice che tutti i maestri di Parigi sono entrati nell’Ordine; scrivi: non è vera letizia. Così pure che sono entrati nell’Ordine tutti i prelati d’Oltr’Alpe, arcivescovi e vescovi, non solo, ma perfino il Re di Francia e il Re d’Inghilterra; scrivi: non è vera letizia. E se ti giunge ancora notizia che i miei frati sono andati tra gli infedeli e li hanno convertiti tutti alla fede, oppure che io abbia ricevuto da Dìo tanta grazia da sanar gli intermi e da far molti miracoli; ebbene io ti dico: neppure qui è vera letizia». «Ma cosa è la vera letizia?». «Ecco, tornando io da Perugia nel mezzo della notte, giungo qui, ed è un inverno fangoso e così rigido che, all’estremità della tonaca, sì formano dei ghiacciuoli d’acqua congelata, che mi percuotono continuamente le gambe fino a far uscire il sangue da siffatte ferite. E io tutto nel fango, nel freddo e nel ghiaccio, giungo alla porta e dopo aver a lungo picchiato e chiamato, viene un frate e chiede: “Chi sei?”. Io rispondo: “Frate Francesco”. E quegli dice: “Vattene, non è ora decente questa di arrivare, non entrerai”. E mentre io insisto, l’altro risponde: “Vattene, tu sei un semplice ed un idiota, qui non ci puoi venire ormai; noi siamo tanti e tali che non abbiamo bisogno di te”. E io sempre resto davanti alla porta e dico: “Per amor di Dìo, accoglietemi per questa notte”. E quegli risponde: “Non lo farò. Vattene dai Crociferi e chiedi là”. Ebbene, se io avrò avuto pazienza e non mi sarò conturbato, io ti dico che qui è la vera letizia e qui è la vera virtù e la salvezza dell’anima».


Unità 1

Federico II è l’ultimo grande imperatore del Medioevo, uno degli uomini più straordinari del suo tempo: è un abile statista che parla sei lingue, oltre che un esperto soldato; ma al tempo stesso scrive poesie e studia le scienze della natura. Ammirati, i suoi contemporanei lo definiscono stupor mundi, “meraviglia del mondo”. Il giovane sovrano, come suo padre e il nonno, ha un progetto politico ben chiaro: aspira a creare un Impero universale, che deve fondarsi sui singoli Regni ben organizzati e avere Roma come sua capitale. Appena sale al trono imperiale inizia la realizzazione del suo sogno, mandando in frantumi il progetto di Innocenzo III di un Impero sottomesso all’autorità papale.

Federico impone il suo dominio sul Regno di Sicilia Per prima cosa unifica le corone di Germania e di Sicilia e pone fine alle lotte tra guelfi e ghibellini tedeschi. Poi si dedica alla riorganizzazione politica e amministrativa dell’Italia meridionale che, sotto il suo regno, diventa lo Stato europeo più progredito del XIII secolo. Abolisce le regalie dei Comuni e riduce i baroni all’obbedienza; abbatte i loro castelli e li sostituisce con fortezze imperiali costruite in punti strategici; crea una pubblica amministrazione molto efficiente; forma un esercito costituito prevalentemente da mercenari; fonda l’Università di Napoli e trasforma la sua corte di Palermo in un centro di cultura cosmopolita. Il compimento della suo lavoro è la riforma dello Stato, basata sulla Costituzione di Melfi, una raccolta di leggi che stabilisce la supremazia del potere monarchico su quello dei baroni, dei Comuni e della Chiesa.

Nuovo scontro Impero,Comuni e Chiesa Federico II, dopo aver rafforzato il proprio potere sull’Italia meridionale, si dedica all’unificazione della penisola italiana e riaffermando i diritti imperiali sui comuni del Nord e invadendo i territori della Chiesa. Ma, ne i primi, ne la seconda intendono rinunciare all’autonomia che hanno conquistato. Perciò, quando l’Imperatore ordina ai Comuni di sottomettersi alla sua autorità, rinasce la Lega Lombarda e il Pontefice Gregorio IX dona il suo pieno appoggio. Il conflitto tra il papato e l’Impero riaccende in Italia la lotta tra guelfi e ghibellini. I Comuni si schierano con l’uno o con l’altro dilaniando al proprio interno anche le singole città. L’esercito imperiale, nel 1237, riporta una grande vittoria sulla Lega Lombarda a Cortenova, invade i territori della Chiesa e assedia Roma. Ma il nuovo papa Innocenzo IV depone l’Imperatore dopo averlo scomunicato, in seguito la fazione guelfa sconfigge Federico II nella battaglia di Parma nel 1248. La morte raggiunge improvvisamente l’Imperatore nel 1250, mentre si stava preparando per una nuova guerra. La fine di Federico II segna il declino del Sacro Romano Impero Germanico, la casa degli Svevi sarà travolta dalle lotte di successione e segna la fine di uno dei grandi protagonisti della storia medioevale: l’Impero. Il titolo imperiale, tuttavia, non scomparirà ma rimarrà una carica puramente onorifica nelle casate nobili tedesche.

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Mentre la scena politca europea è dominata dallo scontro tra i due grandi poteri medievali della Chiesa e dell’Impero, i regni europei svolgono un’opera di riunificazione dei loro territori. L’Inghilterra governata dalla dinastia normanna che discende da Gueglielmo il Conquistatore ha esteso il controllo su quasi tutta l’Isola britannica fino ad includere anche una parte d’Irlanda, grazie all’opera di un forte quanto crudele re: Enrico II Plantageneto che regna dal 1154 al 1189.

La Magna Charta Libertatum

Lord

Un improvviso indebolimento della corona inglese avviene con re Giovanni, chiamato ironicamente “Senzaterra”, dopo la sua sconfitta contro i francesi costatagli tutti i numerosi possedimenti normanni nel nord della Francia. Proprio questo evento, tuttavia, è alla base della fortuna del regno inglese. Infatti nel 1215 i baroni, sfruttando la debolezza del re dopo la sconfitta, lo obbligano a firmare un documento chiamato Magna Charta Libertatum (”Grande carta delle libertà”), con cui la monarchia cede molti suoi poteri e garantisce agli “uomini liberi” una serie di diritti fondamentali. Tra questi quello che impegna il re a non imporre tasse senza il consenso del Consiglio comune del Regno, composto dai feudatari laici ed ecclesiastici. Questa norma stabilisce un principio inaudito per il tempo, perchè normalmente i sovrani per sostenere il proprio potere cercano in tutti i modi di costringere i sudditi a pagare senza discutere le tasse che di volta in volta servono a finanziare i loro progetti. Un altro diritto molto importante che viene affermato in questo accordo è quello chiamato Habeas corpus (“Sii padrone del tuo corpo”), per cui nessun “uomo libero” può essere incarcerato o condannato senza il giudizio di un tribunale composto di suoi pari. Questo è un fondamentale diritto civile, che impedisce al re di gettare chiunque in prigione senza prima aver fatto un processo.

Il Parlamento inglese All’inizio la Magna Charta non è altro che una tappa della lotta tra l’aristocrazia feudale e la monarchia, ma a distanza di qualche decina di anni, mentre il Consiglio assume il nome di Camera dei Lord (“Camera dei signori”), i re, per limitare il potere dei baroni, creano la Camera dei Comuni, concedendo uguali diritti ai borghesi. Insieme le due Camere formano il Parlamento. In questo modo la Magna Charta diventa il primo elemento di una vera e propria Costituzione che impedisce la formazione di una monarchia assoluta, cioè priva del controllo dei sudditi.

La miniatura medievale mostra la composizione del Parlamento, sede della collaborazione per la


Unità 1

Il re che ha strappato a Giovanni Senzaterra i suoi feudi francesi e che lo ha sconfitto a Bouvines si chiama Filippo II Augusto (1180-1223). Nella battaglia di Bouvines la cavalleria francese mostra di essere la più forte d’Europa e permette a Fillippo II di realizzare il proprio progetto di espansione e consolidamento del territorio francese. É stato lui, di fatto, a costruire il Regno di Francia, allargando i suoi confini e imponendo la propria supremazia sui feudatari e sui ricchi territori delle Fiandre. Sempre merito suo è stata la conquista della Francia meridionale durante la Crociata contro gli Albigesi, assicurandosi così uno sbocco sul Mar Mediterraneo.

L’organizzazione del regno Filippo Augusto si occupa di dare al Regno un’efficiente organizzazione amministrativa e giudiziaria,circondandosi di funzionari regi (i balivi) fedeli e competenti. Fa larghe concessioni alle città, ottenendo in tal modo il sostegno dei borghesi; contemporaneamente si impone come arbitro nei conflitti tra i nobili per meglio controllarli. Per aumentare la stabilita del potere reale rende ereditaria la successione al trono, facendo finire le crisi che si aprivano a ogni morte di re. Infine ottiene dal Papa il riconoscimento dell’indipendenza del Regno di Francia dall’Impero, rafforzando l’orgoglio nazionale dei Francesi.

Luigi IX il santo L’unificazione territoriale del regno è portata a termine da Luigi IX il santo (1226-1270), un re profondamente religioso e giusto che completa l’organizzazione burocratica del paese, riforma la giustizia e dona alla Francia lunghi anni di tranquillità e prosperità. Con lui la monarchia francese raggiunge il massimo prestigio. Grande sostenire delle crociate a cui dedica molti anni della propria vita e ingenti risosrse del paese, muore durante la settima crociata da lui voluta e organizzata.

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Lo sviluppo dell’XI secolo Unità 10

La cavalleria e la riforma della Chiesa Unità 11

Unità 12

Lo scontro tra Impero, Chiesa e Comuni

Unità 13

Il medioevo in Oriente Unità 14


Unità 1

Mentre l’Europa si dilania nelle lotte tra Impero, Papato e Comuni in Asia nasce il più grande Impero che la Storia abbia mai visto. I responsabili di questa grande impresa sono i Mongoli, una popolazione strettamente legata a quella degli Unni, guidati da Gengis Khan, l’ “imperatore (khan) universale (Gengis)”, da molti considerato il più grande comandante della storia. Dopo un’infanzia di stenti, Gengis riunisce intorno a sé alcuni fedeli e con loro pone sotto il suo comando tutte le tribù nomadi delle steppe asiatiche. Tra queste vi sono anche i Tartari, è questo il nome con cui gli europei chiamano i Mongoli, perché ricorda il Tartaro, cioè l’Inferno.

Un grande condottiero Gengis Khan addestra i nomadi delle steppe alla tattica mongola: cavalcare al galoppo contro il nemico, voltarsi velocemente prima di arrivargli a tiro facendo credere di essere in fuga, girarsi sulla sella scoccando con l’arco frecce di micidiale precisione appena questi incominciano a inseguirli. Ciascun guerriero, inoltre, galoppa con accanto quattro cavalli privi di cavaliere per poter saltare dalla propria cavalcatura a quella di riserva, appena la prima incomincia ad essere stanca. Oltre a questo addestramento, Gengis impone ai suoi una disciplina durissima, abituandoli a procedere nel caldo più atroce e nel freddo più pungente, a fare a meno dell’acqua per giorni e giorni e a dissetarsi, secondo l’uso mongolo, incidendo la pelle dei cavalli e bevendone piccole quantità di sangue. Suddivide l’esercito in unità di cento uomini che fanno parte a loro volta di superunità di mille uomini e, compiendo una vera rivoluzione, non li sottopone ai loro capi tribù, ma ai guerrieri più valorosi. Nell’esercito, hanno un ruolo fondamentale le donne: seguono gli uomini in battaglia con il compito di finire i nemici feriti e di estrarre dai loro corpi le punte delle frecce: una pratica orribile, ma fondamentale data la scarsità di ferro.

L’Orda mongola Forte di 100.000 guerrieri, il Gran Khan promette ai suoi uomini sfrenate razzie e ricchi bottini e muove contro i grandi imperi. Nel 1214, a quarantasette anni, si è già impadronito della Cina. Poi marcia verso ovest e conquista i territori asiatici dell’islam. Uno storico musulmano del tempo ha scritto che i Mongoli “avanzavano più numerosi delle formiche e delle locuste, più della sabbia del deserto e delle gocce di pioggia”. Possiamo immaginare quale terrore prenda chi, affacciato alle mura di una città, vede in lontananza centomila cavalieri seguiti da almeno quattrocentomila cavalli di ricambio e preceduti da un’immensa folla di prigionieri appiedati, che Gengis usa come “scudo umano”. Gengis porta con sé anche tecnici e artigiani cinesi capaci di costruire complesse macchine da assedio, dalle catapulte alle torri “corazzate” su ruote, da cui gli assalitori possono combattere corpo a corpo alla stessa altezza dei difensori. Il condottiero mongolo inventa la tecnica di bagnare i proiettili delle catapulte in una miscela incendiaria che brucia tutto ciò che tocca ed è impossibile da spegnere: è composta di zolfo, nitrato di sodio e petrolio; oppure le catapulte lanciano botti piene di pece infuocata.

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Grazie a queste tecniche militari, le grandi città mercantili situate lungo la Via della seta, compresa la meravigliosa Samarcanda, cadono in mano ai Mongoli, che le saccheggiano ricavandone bottini favolosi fatti di sete, ori, pietre preziose, tappeti ecc. Molte di queste splendide città vengono bruciate e rase al suolo cancellandole per sempre. Anche Baghdad, capitale del regno arabo, viene distrutta dopo una feroce battaglia descritta in questo modo da uno storico arabo del tempo: “I Mongoli, come formiche e locuste, sciamavano da tutte le direzioni accerchiando i contrafforti di Baghdad e formando un muro... Essi proseguivano la battaglia all’unisono preparando catapulte di fronte alla torre di Ajami e spezzandola... La feroce battaglia fu combattuta per sei giorni e sei notti ... poi la più splendida città dell’Islam fu data alle fiamme e rasa al suolo.” Le invasioni mongole sferrano un colpo durissimo ai regni islamici, bloccandone l’espansione e la pressione contro l’Europa per due secoli.

L’impero mongolo e i quattro regni Gengis Khan muore nel 1227, a sessant’anni. I suoi figli proseguono le conquiste, dimostrando che l’organizzazione e l’addestramento del padre hanno dato i loro frutti. Conquistano la Russia dal Mar Nero a Mosca e poi si dirigono verso occidente conquistando la Polonia e l’Ungheria. I figli di Gengis Khan arrivano a dominare il più grande impero che il mondo abbia mai conosciuto. Per amministrarlo meglio, lo dividono nei quattro khanati, o “regni”. Per tutta la durata del dominio mongolo i khanati restano sottoposti allo stesso efficientissimo ed equo sistema fiscale, uniti da

La cartina mostra l’Impero Mongolo nella sua massima espansione, diviso nei quattro regni. In verde è segnata la Via della Seta attraverso cui passa il ricco commercio tra Oriente e


Unità 1

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L’esercito mongolo La cavalleria mongola è divisa in piccoli reparti, il cui compito è l’esplorazione, il disturbo degli schieramenti nemici e il loro aggiramento. Qui possiamo vedere un’armatura, del periodo di massima espansione dell’Impero mongolo, fatta di piccole piastre d’acciaio sovrapposte. La qualità del lavoro è evidente come la sua efficacia in combattimento. Non è paragonabile all’armatura completa dei cavalieri Occidentali, ma questo perchè l’arma principale dei Mongoli è l’arco e quindi l’armatura dove permettere l’agilità dei movimenti. I guerrieri mongoli sono in grado di usare l’arco con estrema precisione mentre cavalcano rapidi suoi loro cavalli. Per questo sono in grado di colpire con fitte piogge di frecce i nemici senza mai venire a contatto con loro. Solo quando lo schieramento nemico dà segni di cedimento e incomincia a disgregarsi viene caricato e i cavalieri estraggono le loro spade. La tecnica militare mongola è però impotente contro le grandi fortificazioni, ma Gengis Khan impara dai Cinesi sconfitti le loro tecniche ingegneristiche e usa i loro artigiani e scienziati per costruire possenti macchine d’assedio con cui distrugge e conquista tutte le città e fortezze lungo il suo cammino.

L’arco composito mongolo L’arco composito mongolo è un’arma eccezionale, composta da legno, nerbo e corno tenuti insieme da fasciature e colla di pesce. La straordinaria innovazione di quest’arco è costituita dalle leve rigide dette anche spalle - poste all’estremità dei flettenti. Queste permettono di generare una maggiore forza, pur mantenendo ridotta la dimensione dell’arco che deve essere impugnato andando a cavallo. Si ottiene così un arco corto, ma dalla notevole forza anche se inferiore ai celebri archi lunghi inglesi, che avremo modo di analizzare più avanti.

ampia

leve rigide


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un sistema postale di Stato e governati sulla base degli stessi principi: rispetto delle religioni locali e leggi dirette a sviluppare l’artigianato e i commerci.

La via della seta Durante la dominazione mongola, dopo la violenza delle loro conquiste, si instaura un periodo di pace e tranquillita che favorisce il commercio tra Oriente e Occidente lungo la leggenderia via della seta, chiamata così perchè il bene più prezioso proveniente dall’Oriente è proprio questo tessuto, la cui fabbricazione rimase un segreto per molti secoli. Lungo questa strada si sviluppano città, mercati, locande e il collegamento tra la civiltà occidentale e quella orientale è molto intenso.

2. La conversione dei Mongoli

La via della seta fu percorsa e descritta da molti viaggiatori europei, il racconto più famoso è sicuramente il Milione di Marco Polo, pochi sanno però che molti prima di lui e dopo compirono la stesso viaggio. In particolare il primo resoconto ufficiale di un viaggio intrapreso per incontrare i Mongoli è quello di Giovanni da Pian del Carmine, frate francescano inviato da papa Innocenzo IV, per proporre la conversione dei Tartari al Cristianesimo e la possibilità di un’alleanza contro l’Islam. Il viaggio inizia del 1245 e il frate francescano percorre 10.000 chilometri fino a raggiungere, dopo più di un anno, la corte dell’imperatore Guyuk. Le proposte di convesione e alleanza non vengono accolte, ma viene trattato con rispetto e cordialità. Ritornato in Europa, viene accolto con grande stupore. Alla corte mongola si conserverà però il ricordo di questa visita, così che quando i Polo arrivano a Pechino l’imperatore riceve una lettera data dal Papa ai commercianti veneziani per continuare i rapporti diplomatici con la potenza orientale.

Misisonari francescani Dopo Marco Polo fondamentale è il viaggio del francescano Giovanni da Montercovino che arriva nel 1294 in Cina è ottiene dall’imperatore Timur, il permesso di annunciare liberamente il vangelo in mezzo ai Tartari. La sua opera è straordinaria: si adatta alla cultura locale fino a celebrare la santa Messa in lingua tartara e opera molte vonversioni. In Europa si persero le sue tracce e per dieci anni non si seppe nulla di lui finchè non viene mandato un altro frate missionario. Il Papa accoglie la richiesta di Giovanni di inviare altri missionari ad aiutarlo e viene ordinato vescovo di Pechino. Muore nel 1328 e la sua opera si interrompe bruscamente perchè si interrompe il flusso di missionari a causa della terribile peste che nel frattempo colpisce tutta Europa. Dopo la grande calamità che scuote profondamente l’occidente, si perde il ricordo degli importanti traguardi raggiunti, favorendo così la conversione all’Islam.

La conversione all’Islam I Mongoli hanno una religione tipica dei nomadi. Credono negli spiriti e affidano a degli stregoni chiamati sciamani il potere di dialogare con loro e con il mondo dei morti. Quando conquistano il loro grande impero entrano in contatto con tre grandi religioni: il Buddismo presente in Cina, l’Islam e il Cristianesimo. Tutte e tre queste religioni li affascinano, ma dopo un iniziale interessamento al cattolicesimo i Mongoli della Cina finiscono per abbracciare il Buddismo e quelli dell’Asia vengono convertiti all’Islam dopo la conquista dei Turchi. Proprio a causa del Mongoli, il Cristianesimo, che si stava diffondendo in Oriente grazie alle prime missioni di frati francescani e mercanti, non riesce a superare i confini orientali dell’Europa. Al contrario, inizia, quell’enorme


Unità 1

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espansione dell’Islam in Asia che oggi ne fa una delle più grandi religioni al mondo con oltre un miliardo di fedeli.

3. L’invasione del Giappone

All’apice dell’espanzione mongola, Kublai Khan decide di invadere una grande isola che si si trova a poca distanze dalle coste asiatiche: il Giappone. La prima spedizione sbarca con 20.000 uomini nel 1274, è la prima volta che i samurai si scontrano con forze straniere. I giapponesi rimangono sbigottiti dal tipo di combattimento privo di cerimoniale dei nemici, i quali rifiutano gli inviti a duelli singoli tra guerrieri e, come invece descrive una loro cronoca, “si lanciavano in avanti tutti insieme, combattendo e uccidendo chiunque incontrassero”. L’esercito mongolo travolge quello giapponese, ma dopo una serie di vittorie decide di ritirarsi perchè troppo pochi per controllare un territorio così vasto e montuoso. La loro, probabilmente, doveva essere solo una ricognizione armata.

Il vento divino Sette anni dopo Kublai organizza un’imponente invasione per assoggetare quel popolo che vive isolato dal resto del mondo. Una flotta di 4400 navi con un esercito di oltre 150.000 parte per conquistare il Giappone. Stavolta, però, i samurai non si fanno congliere di sorpresa. Durante quei sette anni in cui i Mongoli hanno preparato il loro esercito, sono stati addestrati molti più soldati e costruite fortezze e difese costiere come una barriera di pietra lunga 20 km per proteggere le baie più importanti. Il primo tentativo di sbarco viene respinto con ferocia e determinazione dagli abili samurai che danno prova di essere ottimi guerrieri, l’esercito mongolo è costretto aripiegare su alcune isole al largo. La flotta stava per sferrare un nuovo imponente attacco quando un tifone di eccezionale potenza, a cui i Giapponesi davano il nome di Kamikze (vento divino), affonda e disperde la maggior parte della flotta. Il disastro è tale che i Mongoli non proveranno più ad invadere il Giappone. Questa è una cronaca giapponese del 1281 : “Il primo giorno, un tifone ha fatto naufragare le navi dei pirati stranieri. A decine di migliaia sono caduti o li hanno fatti prigionieri. All’orizzonte non si vede una sola nave nemica.”

4. Il medioevo in Giappone Sotto alcuni aspetti la struttura sociale giapponese è simile a quella dell’alto medieoevo, infatti il Giappone è dominato da un gruppo di nobili feudatari “daymo” che esercitano il loro potere tramite potenti soldati “samurai”. La maggior parte del popolo è impiegato come contadini, poi ci sono artigiani e un numero ristretto di piccoli commercianti, ma l’economia del feudo è improntata principalmente sull’auto sussistenza.

I samurai Come i cavalieri occidentali, i samurai combattano a cavallo e indossano elmi di metallo e armature fatte di pelle e lamine di

Statuetta che rappresenta due samurai leggendari della tradizione giapponese che combattono contro dei


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metallo, per proteggersi in battaglia. Per i samurai combattere in duello uno contro uno è la forma più nobile di combattimento. Le arti militari dei samurai sono ispirate al buddismo zen, divenendo di fatto non solo una pratica militare ma una stile di vita, una tipo di religiosità guerriera.

Onore e fedelta I samurai obbediscono a un codice di condotta molto severo, chiamato bushido, o “la via del guerriero”, che condiziona ogni aspetto della loro vita. Fedeltà e onore sono i pilastri su cui si fonda il loro codice di vita. Se un samurai viene meno a questi principi deve suicidarsi con la propria spada, attraverso un rituale ben preciso.

Una società immobile Ciò che distingue in negativo il feudalesimo giapponese è la sua assolutà immobilità, infatti mentre in Europa in pochi secoli si vedono profonde trasformazioni sociali e tecnologiche, il Giappone rimane sostanzialmente fermo. Infatti quando nel XVII secolo le prime navi portoghesi arrivano nell’isola, trovano una società praticamente identica a quella che avevano incontrato i Mongoli alcuni secoli prima. E’ solo l’incontro-scontro con gli europei che aprirà il Giappone, non senza profondi traumi, alla modernità; basta pensare che la classe dei samurai viene

Il frontone decorato mostra il simbolo della casata.

Anche i sognori giapponesi costruivano castelli sia per proteggere famiglie e soldati, sia per far mostra della propria ricchezza e potenza. Il castello era formato da un edificio principale (istenshu) disposto al centro e formato da più piani. La base era di pietra, mentre i piani superiori di legno intonacato per ridurre il rischio d’incendio. L’istenshu era circondato da fossati, mura, torri e di solito si trovava circondato da almento tre recinti che formavano un labirinto per confondere gli invasori. Erano presenti anche l’equivalente orientale delle feritoie e caditoie.

I muri esterni fatti di legno sono intonacati. Tutta la struttura interna è in legno.

Riproduzione della struttura di un classico istenshu, la parte principale del castello giapponese, l’equivalente


Unità 1 Le armi principali del samurai sono le spade; di qualità eccezionali, la spada lunga (katana) e quella corta (wakizashi) sono portate entrambe alla cintura e con la parta affilata rivolta verso l’alto in modo che il taglio inferto fosse netto ed energico non appena sguainate. Le spade sono ricurve perchè si sguainano con maggiore rapidità e possediono un’angolatura di taglio più efficace. Per imparare l’arte della spada sono necessari anni di duro addestramento e spesso i signori locali istituivano delle scuole per migliorare e formare i propri samurai.

Katana dentro il

maschera, per proteggere il viso e

L’armatura doveva consentire libertà e rapidità di movimento per usare la spada con maestria, per questo era fatta con piccole piastre di metallo cucite

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Lo sviluppo dell’XI secolo Unità 10

La cavalleria e la riforma della Chiesa Unità 11

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Lo scontro tra Impero, Chiesa e Comuni Unità 13

Il medioevo in Oriente

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La chiesa di Mont-St-Michel Con l’aumentare delle città, con la riforma cistercense dei secoli XII e XIII e la conseguente costruzione di centinaia e centinaia di monasteri in tutta Europa, avvengono le premesse di una esplosiva passione costruttiva chiamata anche la Crociata delle Cattedrali. Ciò che maggiormente stupisce, forse più del loro elevatissimo numero, è la concezione stessa dell’opera: vengono edificate chiese enormi, altissime e spaziosissime, per esprimere una fede che punta verso l’alto e che desidera essere espressa da tutto il popolo riunito. Nel corso di tre secoli, dal 1050 al 1350, la sola Francia ha estratto dalle sue cave milioni di tonnellate di pietre per edificare ottanta cattedrali, cinquecento chiese grandi e qualche decina di migliaia di chiese parrocchiali. Ha trasportato una più grande quantità di pietre la Francia in quei tre secoli che l’antico Egitto in qualsiasi periodo della sua storia, sebbene la Grande Piramide abbia, essa sola, un volume di 2.500.000 m3. Le fondamenta delle grandi cattedrali penetrano fino a dieci metri di profondità (è il livello medio di una stazione del metrò) e formano in certi casi una massa di pietra non meno grande di quella esterna visibile. La cattedrale di Amiens, con i suoi 7.700 m3 di superficie, permetteva a tutta la popolazione (circa diecimila persone) di assistere alla medesima cerimonia. Se vogliamo stabilire un paragone con il nostro tempo, dobbiamo immaginare che venga costruito, nel cuore di una città di un milione di abitanti, uno stadio così vasto da contenere un milione di persone. Ora, il più grande stadio del mondo non ha che 180.000 posti!

Una società dinamica La storia della costruzione e dei costruttori delle cattedrali è in stretto rapporto con la rinascita delle città e dei commerci, con il sorgere della borghesia, ed anche con le prime libertà civili. Grazie a questi uomini e alla loro attività, le città ricominciano ad esistere. Accorti proprietari di terre cercheranno di attirare questi gruppi dinamici e di incoraggiarli a fondare città. L’economia medievale si elabora nella libertà

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del lavoro e della concorrenza. L’estendersi dei commerci farà nascere il cambiavalute, il banchiere, l’industriale. La Chiesa, ostile all’idea del profitto, attribuirà una «cattiva coscienza» a questi uomini, e li obbligherà, per farsi perdonare, ad offrire in donazione o in lascito una parte delle loro ricchezze ad opere pie, fra cui la costruzione di chiese. È così che verrà potenziato un forte mezzo di finanziamento delle cattedrali. Lo spirito del borghese medievale sostiene una parte decisiva nella «Crociata delle Cattedrali». Il borghese è animato da un fanatico patriottismo locale. Si sente fiero di avere strappato al «signore» del vecchio sistema feudale le proprie libertà, e vuole che le chiese della sua città diano testimonianza della sua gioia. Nulla è abbastanza meraviglioso, abbastanza grande. La «città» è la sua patria, ed egli vuole che lo straniero rimanga impressionato dallo splendore delle sue chiese sempre più alte.

2. Testimonianza

L’altezza delle navate di una cattedrale, delle torri e delle guglie è per noi motivo di meraviglia. Nel coro della cattedrale di Beauvais, un architetto potrebbe innalzare un edificio di quattordici piani prima di toc¬care la volta che è a 48 metri dal suolo. Per non essere da meno degli uomini di Chartres, che nel XII secolo lanciarono la guglia della loro cattedrale a 105 metri di altezza, oggi il comune dovrebbe costruire un grattacielo di trenta piani; e per competere con gli uomini di Strasburgo, che giunsero con la loro guglia fino a 142 metri, bisognerebbe costruire un grattacielo di quaranta piani.

Tuttavia se l’Età di Mezzo non fosse stata animata dalla fede cristiana, il genio dei costruttori e il denaro dei mercanti sarebbero stati impiegati altrimenti, e noi oggi non avremmo lo splendore delle cattedrali. Si costruisce così la casa di Dio a immagine della Gerusalemme celeste ed era mirabile cosa: era il luogo dell’adorazione, il luogo del popolo orante. Nella L’entusiasmo per la costruzione delle cattemaggior parte delle religioni antiche, il popolo non aveva accesdrali è incominciato verso la metà del XII so al santuario, alla casa di Dio. Al contrario, la Chiesa cristiana sec. a Sens nel 1133, a Noyon nel 1161, a ha chiesto ai fedeli di partecipare alle spese della costruzione di Laon nel 1160, a Notre-Dame di Parigi nel edifici abbastanza vasti da permettere alla folla di accedere al san1163, raggiungendo la massima intensità verso la fine del XII sec. e l’inizio del XIII, tuario. E le navate erano più particolarmente riservate al popolo, a Bourges nel 1192, a Chartres nel 1194, ma per noi del XXI sec. è un aspetto difficile da capire, quello cioè a Rouen nel 1202, a Reims nel 1211, a Le dell’animazione e delle varie attività che potevano un tempo aver Mans nel 1217, ad Amiens nel 1221, e negli luogo nell’interno delle chiese: la gente vi poteva dormire, mananni seguenti a Beauvais, dove la costruziogiare, parlare invece di bisbigliare. Vi poteva introdurre animali, ne progettata nel 1225 è stata iniziata solamente nel 1247. Poi l’interesse appassionato per esempio cani e sparvieri. Vi si circolava molto più liberamente per la costruzione si è andato a poco a poco di oggi, d’altronde, perché non v’erano sedie o panche. attenuando: i lavori proseguirono, ma con Soprattutto le frequentissime feste medievali hanno intensificato un’attività ridotta al minimo, fino all’inizio gli incontri degli uomini con Dio, e giustificano la passione genedel Trecento. La guerra dei Cent’anni, che rale per la ricostruzione delle chiese; addirittura in questo periodo incomincia praticamente nel 1337, porterà alla chiusura dei cantieri. E, nonostante gli i giorni di festa nell’arco dell’anno erano maggiori di quelli lavosforzi compiuti alla fine della guerra (1453) rativi! Mai, a quanto sembra, una civiltà aveva offerto tanti giorni e nel Cinquecento, nessuna cattedrale frandi vacanza riconosciuti ai suoi contadini, ai suoi operai. Bisogna cese sarà mai completamente ultimata. però riconoscere che le giornate di lavoro erano, un tempo, assai più lunghe di oggi... Si incominciava quasi sempre all’alba per terminare al tramonto. Nei giorni delle grandi feste, avveniva qualcosa di simile a ciò che oggi avviene quando è annunciato un incontro interna¬zionale nel più grande stadio della città: la popolazione si precipita in folla al grande avvenimento sportivo. E il grande stadio, quindi, dev’essere il più vasto possibile. Per ragioni simili la cattedrale medievale dev’essere abbastanza vasta per poter accogliere la folla accorsa da tutti i punti della città.

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Parte terza

La costruzione delle Cattedrali è un’opera ancora più straordinaria se pensiamo che la maggior parte delle persone che vi lavoravano e pagavano per costruirla, non potevano vederla finitia. Quello che riuscivano a vedere era solamente la sua lenta costruzione, noi possiamo dirci fortunati di visitare la cattedrale senza il disordine e il fracasso di un immenso cantiere. Il borghese medievale, con sua grande tristezza, non ha mai veduto la sua cattedrale compiuta, solo i figli forse avrebbero visto un giorno la fine di quell’eterno lavoro che durava 4 o 5 generazioni. Operai di tutti i mestieri si danno da fare entro uno spazio ristretto, in mezzo alle carrette che trasportano i materiali. Ci sono scultori, scalpellini, muratori, stuccatori, copriletti, costruttori d’impalcature, fabbri, assistenti, piombatori, sagomatori, e molti altri. Contro i muri, le impalcature nascondono una parte dell’edificio. Il cittadino, considerando lo spettacolo di questa attività, ha almeno la soddisfazione di controllare lui stesso l’impiego giudizioso che viene fatto dei fondi da lui donati, e ne viene senza dubbio incoraggiato a mostrarsi ancora più generoso in avvenire. Spesso capita anche che il semplice cittadino contribuisca all’opera con il lavoro volontario, per trasportare pietre o altro materiale.

Il falegname era una figura indispensabile per la costruzione delle impalcature e delle armature di sostegno.

Il responsabile del cantiere era al tempo stesso progettista, cioè architetto, responsabile della stabilità della costruzione, cioè ingegnere, direttore e organizzatore dei lavori, cioè capomastro.

Lo scalpellino provvedeva a scolpire, secondo le indicazioni del capomastro, le pietre già tagliate, ma godeva di grande libertà creativa.

Il contabile teneva il conto delle pietre che arrivavano dalla cava e della quantità di legname necessario all’opera

Alcuni artigiani, come l’arrotino, erano gente del posto. Essi dovevano garantire la manutenzione degli strumenti di lavoro.


Unità 1

Un miracolo tecnologico Le cattedrali non sono solo un’opera di fede, ma anche di una straordinaria capacità tecnologica. Sono ancora oggi l’opera più grande e complessa che l’uomo sia riuscito a costruire dal punto di vista architettonico-artistico. L’armonia che pervade qualsiasi chiesa gotica è frutto di un attento studio matematico fatto di proporzioni perfettamente studiate e applicate. Per costruirle sono state, inoltre, perfezionate gru e impalcature in modo da poter issare pietre e statute ad altezze che superano i cento metri. Ma l’apice della creatività tecnica è stato raggiunto con i contrafforti e gli archi rampanti. La copertura di pietra della chiesa gotica è inconciliabile con il desiderio di costruire grandi vetrate con cui illuminarla in un tripudio di colori. Il peso della copertura avrebbe fatto crollare i muri indeboliti dai grandi vuoti in cui costruire le vetrate. Per bilanciare questa spinta esercitata dalla copertura di pietra, ecco dunque comparire esternamente ai muri perimetrali degli enormi contrafforti necessari per evitare il loro crollo. Su questi contrafforti sono collocati, per dare stabilità nei punti di maggiore tensione, degli archi rampanti che dirigono verso il basso le spinte laterali. Le cattedrali sono la dimostrazione inequivocabile che il medioevo, pur nella sua complessità, non può definirsi un’epoca arretrata o contro la scienza e la tecnologia.

Il contrafforte e l’arco rampante hanno due funzioni combinate: da una parte contrastano ( ) la spinta verso l’esterno ( ) causata dal peso del tetto ( ), dall’altra scaricano una parte della spinta verso l’esterno sul contrafforte stesso.

Arco rampante Contrafforte

Arco rampante

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Parte terza

Quando il passante, curioso e devoto, si avvicina alla porta della cattedrale, ha la gioia di riconoscere, nelle sculture, i personaggi dell’Antico e del Nuovo Testamento che gli sono familiari e cari al suo cuore e alla sua anima. Ciò che rende quest’epoca commovente e armoniosa, è che il letterato e l’uomo del popolo possiedono lo stesso mondo figurativo, ed hanno ricevuto la stessa educazione, la sola differenza consiste in una differenza di grado. Sotto le volte della cattedrale (ed è questo un altro aspetto dell’armonia medievale) stanno a fianco a fianco uomini di tutte le condizioni sociali. Il borghese vi incontra il contadino, ma anche il vescovo, il nobile, il principe, e persino il Re. La cattedrale è quindi anche uno strumento di cultura per parlare a tutto il popolo e dato che molti sono analfabeti usa il linguaggio universale delle immagini. Vengono rappresentate le sacre scritture, la vita dei santi, avvenimenti storici importanti, il paradiso e l’inferno, in sostanza viene rappresentata la cultura medievale e la visione dell’uomo che nasce dal cristianesimo. La Chiesa diventa dunque un enorme libro fatto di pietra, bronzo e vetro che attraverso la sua bellezza istruisce il popolo e lo introduce al significato dell’esistenza. Per avere un esempio di questa capacità dell’arte cristiana di parlare alla gente del tempo, leggiamo quello che scrive un poeta francese del XV secolo di quanto sua madre, umile contadina, gli raccontava le sensazioni provate ammirando le spendide decorazioni della chiesa del suo villaggio. “Sono una donna povera e vecchia, sono ignorante e non so leggere. Nella chiesa vedo un paradiso dipinto pieno di arpe e liuti, un inferno dove bruciano i dannati. Una visione che mi dà grande gioia e una visione che mi sgomenta.”

Le vetrate Uno dei capolavori artistici delle cattedrali gotiche sono sicuramente le vetrate. Enormi e coloratissime quando vengono illuminate dal sole diventano uno spettacolo stupefacente di luce, colori e figure che rappresentano la cultura del tempo. Per dare un’idea della loro grandezza, nella sola cattedrale di Chartres le vetrate coprono una superficie di 2.500 metri quadrati. Essendo la lavorazione del vetro molto difficile in lastre di grandi dimensioni, le vetrate sono composizioni di piccoli pezzi di vetro come una specie di mosaico. La tecnica per la realizzazione di una vetrata è complessa e richiede un’abilità artigianale notevole, ineguagliata fino ai nostri giorni.


UnitĂ 1

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I vetri colorati erano prodotti nelle tinte primarie con l’aggiunta di ossidi metallici alla pasta vitrea. Si ottenevano in questo modo splendidi colori che prendevano nome dalla pietre preziose: rosso rubino, verde smeraldo, blu zaffiro. Le ricette degli impasti erano tenute gelosamente segrete dagli artigiani e sono andate in gran parte perdute. Per esempio lo spendido azzurro delle vetrate di Chartres è rimasto ineguagliato lungo la storia e la ricetta della sua composizone perduta, per questo viene chiamato azzur-


RINASCITA

I Mongoli fondano il più grande

IL BASSO MEDIOEVO Le crociate sono un fenomeno complesso che attraverso il Basso Medioevo.

1130

1066

Guglielmo il conquistatore invade l’Inghilterra e sconfigge i Sassoni nella battaglia di Hastings.

1085

Guglielmo il conquistatore invade l’Inghilterra e sconfigge i Sassoni nella battaglia di Hastings.

1059

Papa Niccolò II durante il Sinodo nella basilica di San Giovanni in Laterano a Roma, stabilisce tre nuove regole fondamentali per la vita della Chiesa.

Ruggero II, figlio di Ruggero d’Altavilla, unifica i due regni normanni divenendo re di Sicilia e duca di Puglia e Calabria.

1152

Federico I Barbarossa viene eletto imperatore del Sacro Romano Impero.

1077

Enrico IV di Franconia viene scomunicato da Gregorio VII e va in penitenza al castello di Canossa

1158

Viene riconosciuta ufficialmente l’Università di Bologna, la prima al mondo.

1075

Papa Gregorio VII emana il Dictatus papae

Grande sviluppo agricolo e tecnologico. Rinascono le città e i commerci, si forma una nuova classe sociale: i borghesi. Sorgono i Comuni.

1122

1095

Urbano II indice la prima crociata.

Il concordato di Worms, pone una tregua nella lotta per le investiture tra Impero e Chiesa.

XII


Lo scontro tra Impero,Chiesa e Comuni

1270

Viene indetta l’VIII e ultima crociata verso l’Oriente del Medieoevo. Iniziata da Luigi re di Feancia.

1187

Gerusalemme viene riconquistata dai mussulmani sotto la guida del Saladino.

1215

Federico II è incoronato Imperatore del Sacro romano Impero.

1250

Federico II muore improvvisamente, scoppia di nuovo la guerra per la successione e il potere imperiale tramonta definitivamente.

1183

La pace di Costanza mette fine alle lotta tra Barbarossa ed i Comuni.

1237

Federico II sconfigge la Lega lombarda.

1248

Federico II è sconfitto a Parma.

1176

Barbarossa viene sconfitto dalla Lega Lombarda a Legnano.

Sec.

1240

L’impero mongolo raggiunge la sua massima espansione.

XIII Sec.



TRAMONTO

DAL MEDIOEVO ALL’ETA’ MODERNA

Sacco di Roma da parte dei Visigoti

Fine dell’Impero romano d’Occidente


Come si stabilisce la fine di un’epoca? Abbiamo visto come il Medioevo comprenda un periodo storico molto lungo e complesso, in cui accadono numerosi fatti storici e popolazioni si trasformano passando da uno stile di vita nomade e violento alla fondazione della maggior parte degli stati che costituiscono oggi l’Europa. Ciò che accomuna questi secoli e questi popoli è stato l’affermarsi di una certa visione dell’uomo e della storia che ha il cristianesimo come suo fondamento. La Chiesa ha tracciato una strada in cui si sono incrociati i destini di popoli e nazioni creando una cultura e una società che hanno caratterizzato il Medioevo, dandogli una sua identità ben identificabile. Certamente il Cristianesimo è stato il grande protagonista di questo periodo attraverso l’azione storica della Chiesa, dei monaci e dei santi. Altri protagonisti che ne caratterizzano la carta di identità sono l’Impero, il feudalesimo, la classe dei nobili guerrieri, i Comuni con la loro capacità di intrapresa e la rivendicazione di libertà. Per un’epoca così grande e complessa è impossibile stabilire una data precisa per la sua fine, non è la storia di un uomo o di un regno per cui si può dire quel giorno, quell’anno ha cessato di esistere. Gli storici per necessità di studio scelgono delle date simbolo, la peste del ‘300 o la scoperta dell’America, ma sono solo delle convenzioni. Il Medioevo finisce con il cambiamento delle strutture sociali che lo hanno caratterizzato (cavalieri, feudalesimo ecc.) e la trasformazione degli elementi culturali che lo hanno generato. Ma questi cambiamenti non sono avvenuti tutti insieme e nello stesso momento, ma in modi e tempi diversi. Per questo, come un grande storico del medioevo ha scritto, più che della fine dell’Età di Mezzo è giusto parlare di tramonto, cioè di un lento e graduale passaggio da un certo tipo di civiltà ad un’altra. Noi in questa parte metteremo a tema alcuni di questi cambiamenti, in particolare la nascita delle Nazioni, il tramonto della cavalleria, la cultura umanista e le grandi scoperte geografiche. In particolare queste ultime ci sembrano significative come elemento storico di transizione tra l’Età di Mezzo e l’Età Moderna. Infatti questo grande slancio alla scoperta e conquista del mondo è figlio da una parte del dinamismo e della cultura tipicamente medievale, nello stesso tempo segna la fine delle vecchie istituzioni politiche e indica come protagoniste del nuovo periodo storico le nazioni e la borghesia con i suoi commerci che in pochi secoli condizioneranno il mondo intero. Inoltre queste imprese compiute da uomini eccezionali vengono prese come esempio di una nuova epoca in cui il modello non è più il santo medievale ma l’eroe, l’uomo che con la sua forza e la sua intelligenza riesce a superare qualsiasi difficoltà. Ma per capire meglio avventuriamoci nello studio di questi ultimi capitoli.

A lato pezzi per il gioco degli scacchi del


L’ETA’ DI MEZZO

Non esistono gli stati o le nazioni come noi li intendiamo, il potere è determinato da legami di fedeltà per-

La classe dei nobili guerrieri è una delle caratteristiche peculiari della società e della cultura medievale.

Il cristianesimo determina ogni aspetta della vita medievale e la Chiesa è l’elemendo fondante della società che riesce ad unire popoli e culture diverse in una unità che nei secoli getta le

L’esperienza dei liberi comuni è uno dei fenomeni storici più imprevisti e particolari della storia medievale.

Gli imperatori nella loro lotta per le investiture contro la Chiesa, sono l’altro grande potere protagonista della


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