Focus Galilei maggio 2015

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MINI

CULTURA SCIENTIFICA E QUOTIDIANITÀ

Liceo Scientifico G. Galilei a.s. 2014/2015 Come costruire un biliardo ellittico

Nel mondo delle nanoparticelle

Il segreto del faro (e altro ancora)

L’erbario dei veleni: curiosità e consigli Maggio 2015

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La sede centrale del Liceo Scientifico G. Galilei di Macerata, in Via Manzoni 95

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MINI

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Cultura scientifica e quotidianità Com’è fatto:Il biliardo delle coniche

La sfida: le nanotecnologie

SOMMARIO Com’è fatto: il biliardo delle coniche

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La sfida: le nanotecnologie

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Domande e risposte: i pericoli nascosti della natura

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Riconoscimenti

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Domande e risposte: i pericoli nascosti della natura

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Com’è fatto? Il biliardo delle coniche La geometria può avere applicazioni sorprendenti, come in questo particolare tavolo da biliardo... Spesso le leggi della fisica e le regole della matematica permettono di spiegare fenomeni sorprendenti: è il caso di questi due biliardi, che sfruttando le proprietà della parabola e dell’ellisse fanno seguire alle palline delle traiettorie “inaspettate”. Ma andiamo a vedere nel dettaglio...

Data un’ellisse e un suo punto P, tracciamo la retta tangente t e la retta normale n alla curva per P. E’ possibile dimostrare che la normale n forma lo stesso angolo con la retta passante per PF1 (α) e quella passante per PF2 (β), cioè che la bisettrice dell’angolo F1PF2, formato dalle rette PF1 e PF2, coincide proprio con la normale all’ellisse nel punto P. Quindi i raggi d’onda che partono da un fuoco si riflettono sempre sull’altro fuoco secondo le leggi della riflessione.

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Considerata una parabola si può dimostrare che la retta normale n in un punto P è la bisettrice dell’angolo formato dalla retta passante per P e parallela all’asse della parabola e la retta passante per P e per il fuoco F della parabola. Quindi, sempre secondo le leggi della riflessione, si ha che un raggio d’onda proveniente dal fuoco si riflette incontrando la parabola parallelamente al suo asse e viceversa un raggio parallelo all’asse si riflette sul fuoco.


FASE 1. PROGETTAZIONE : vengono stabilite le misure e scelto il materiale per la creazione dei biliardi. Con l’utilizzo di un software di progettazione come “AutoCAD” vengono costruite le due forme geometriche seguendo le misure precedentemente concordate. La costruzione di un modello in scala ridotta permette una visione completa del lavoro evidenziando la presenza di eventuali problemi strutturali e la necessità di modifiche.

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FASE 2. REPERIMENTO MATERIALI: prima della lavorazione dei due biliardi è necessario provvedere ai materiali per il MONTAGGIO. Dopo aver costruito su un CAD le due forme geometriche, per mezzo di una macchina a controllo numerico, due tavole di legno MDF (Medium-Density Fibreboard) di considerevole spessore vengono intagliate all’interno secondo le forme dell’ellisse e della parabola andando a costituire i bordi dei biliardi; inoltre per la costruzione si necessita di altre due tavole di legno che fungeranno da base per le due sagome, il panno verde tipico dei biliardi, due palline di diametro uguale o minore rispetto ai bordi, due aste di legno ed infine chiodi e graffette.

CONCLUSIONE I biliardi così costruiti mostrano perfettamente le leggi della riflessione. Nel caso dell’ellisse, ogni palla che parte da uno dei due fuochi passerà, una volta rimbalzata, per l’altro. Per la parabola invece, si nota che ogni pallina mandata contro di essa in direzione parallela al suo asse rimbalzerà inevitabilmente sul fuoco (e viceversa ogni pallina che sbatte sulla parabola dopo essere passata per il fuoco andrà parallela all’asse).

FASE 3. MONTAGGIO: dopo avere provveduto a tutto il materiale occorrente non rimane che assemblare e definire i vari pezzi. Prima di tutto si rivestono con il feltro le due tavole che fungono da base, utilizzando ai lati oppure sotto graffette o chiodi che lo tengano fisso e teso. Sempre coi chiodi si fissa alle stesse tavole ,precedentemente rivestite, le sagome in legno dell’ellisse e della parabola, che costituiranno i bordi dei biliardi. Riconsiderando il progetto, si calcolano i fuochi delle curve e successivamente si ricercano e si segnano in maniera evidente all’interno dei biliardi. Le aste di legno vengono lavorate in modo da fungere da stecche per i biliardi.

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Chi non si è mai chiesto come un faro riesca ad illuminare una vasta porzione di spazio a partire da una piccola lampadina? O come fanno le antenne a trasmettere segnali che arrivano in maniera disordinata sui tetti delle nostre case? La risposta sta proprio nelle proprietà delle coniche e nelle leggi dell riflessione e della rifrazione. Non parliamo, infatti, di nozioni sterili ma di leggi che, passando inosservate, trovano concreta applicazione nella vita di tutti i giorni. L’occhio è l’esempio più noto di lente che converge i raggi luminosi al suo interno nel punto focale. L’utilizzo degli occhiali da vista gioca proprio su questo principio: le lenti vengono costruite con diverse curvature per compensare il difetto del cristallino che non riesce a convergere i raggi nel punto che permette la chiara perce -zione dell’immagine. Allo stesso modo l’antenna parabolica, sfruttando questa proprietà, converge le onde elettromagnetiche, inviate da un satellite, in un punto corrispondente al fuoco, dal quale un convertitore le trasformerà in segnali che arriveranno al televisore.

Dai fari alle antenne e ai nostri stessi occhi, le coniche accompagnano le nostre vite Se si pone una sorgente di luce, per esempio una lampadina, nel fuoco di uno specchio parabolico, i raggi riflessi formano un fascio parallelo all’asse. Questa caratteristica viene sfruttata nella costruzione dei fari nei porti, nelle automobili, nei flash, nelle torce elettriche e nei proiettori in genere. Come già anticipato nell’introduzione, da sola la lampadina non illumina molto! Grazie invece alla superficie riflettente e alle sue proprietà è possibile ottenere un fascio di luce concentrato e di alta luminosità. Quelli citati sono solo alcuni esempi che si possono annoverare relativamente a queste conoscenze ed alle loro applicazioni tecniche.

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TECNICA: dal greco τέχνη (téchne), ovvero “arte”, intesa come “perizia”, “saper fare”, tanto in campo intellettuale quanto in quello manuale.

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La sfida L’ultima frontiera della tecnologia C’è molto spazio giù in fondo e adesso siamo finalmente pronti a occuparlo. Ora medicine e batterie si fanno in piccolo. “There is plenty of room at the bottom”, esclamò Richard Feynman nel 1959, lanciando una nuova sfida in ambito scientifico:le nanotecnologie. Egli si riferiva allo studio della materia a livello atomico e molecolare, che opera in grandezze comprese tra 1 e 100 nanometri (10-9m). Lo studio si sviluppò a partire dalla metà del 1900 in California, dove ancora oggi è operante un istituto per la ricerca sulle nanotecnologie, il Foresight Institute, fondato da Kim Eric Drexler. Nonostante l’interesse recente, le nanotecnologie sono sempre state presenti nella vita dell’uomo, sebbene egli non ne fosse consapevole (l’oro a livello nanometrico cambia, infatti, le sue proprietà! ). Esse furono applicate inconsciamente, ad esempio, nella coppa romana di “Licurgo” del IV secolo e nelle vetrate delle cattedrali medievali. Inoltre le nanotecnologie coinvolgono numerosi indirizzi di ricerca scientifica tra cui la biologia molecolare, la chimica, la scienza dei materiali, la fisica, l’ingegneria chimica, la meccanica, l’elettronica, la bioingegneria, la medicina e la robotica. È però necessaria una seria attività di ricerca sui rischi di queste tecnologie, a partire da quelle più diffuse, in modo da essere certi della sostenibi lità del loro sviluppo e della sicurezza delle loro applicazioni .

ROSSO DI SERA La coppa di Licurgo: il contenuto in oro del vetro colora di rosso la luce che lo attraversa Cellule animali

Artropodi (6 - 9µm)

Protisti

(<1mm-30cm)

Scala logaritmica delle grandezze: dal metro al picometro

(20 - 300nm)

(0,2 - 30µm)

1m

10 0 m

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Atomi

Virus

1mm -3

10 m

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Macromolecole (100 - 670pm)

(1 -100nm)

1 µm -6

10 m

1nm -9

10 m

1pm -12

10 m


Nanotecnologie: gli usi comuni L’ “effetto loto” è un meccanismo per cui la pianta acquatica del loto, pur crescendo in acqua stagnanti e fangose, ha foglie e fiori sempre puliti. La superficie delle foglie di loto è ricoperta da cristalli di una cera idrofobica di dimensioni micrometriche, che la rendono estremamente ruvida. Questo strato offre una scarsa superficie di contatto a tutto ciò che vi si deposita e impedisce all’acqua di aderirvi. Le goccioline d’acqua, quindi, tendono a mantenere una forma quasi sferica e a scivolare via, trascinando con loro tutte le piccole particelle, sporco compreso, che incontrano. La nanotecnologia sta cercando di riprodurre l’effetto loto in vernici, tessuti e altre superfici. L’obiettivo è di ricreare materiali autopulenti e idrorepellenti, in grado di potere essere applicati in tutti gli ambiti.

I “quantum dots” -letteralmente “punti quantici”- sono strutture della grandezza di 2-10 nanometri, formati da una sfera di un semimetallo inglobata in un altro semimetallo. Esposti a raggi UV i “quantum dots” emettono una luce colorata in base alle loro dimensioni e costituiscono un valido sostituto agli schermi tradizionali. Ad esempio, sfruttando le varie emissioni d’onda dei punti quantici, alcune note case produttrici sono riuscite a creare televisori con un’altissima resa di colore. Nel campo dei prodotti cosmetici, le nanoparticelle possono essere impiegate nella preparazione di shampoo, creme e prodotti per protezione solare. Il biossido di titanio (TiO2) e l’ossido di zinco (ZnO) sono relativamente diffusi nelle creme di protezione solare, sfruttando la loro capacità d fornire una protezione invisibile e altamente efficace contro i raggi solari. Assorbendo i raggi UVA e UVB, proteggono efficacemente la pelle dalle scottature solari. Il guscio di alcune conchiglie è costituito da madreperla, un materiale pregiato formato da nanocristalli di aragonite, un composto del carbonato di calcio, uniti da colle proteiche. Lo studio accurato della composizione chimico-fisica di questo guscio permette di approfondire la biomineralizzazione e di progettare nuovi biomateriali. Una delle applicazioni più promettenti, ricavate da questo genere di ricerche, è la riparazione dentaria. Inoltre, imitando questa struttura molecolare, è stata realizzata una pla stica molto resistente, ma leggera e trasparente. Le zampe dei gechi hanno attirato l’attenzione per la loro capacità di aderire ad una grande varietà di superfici: possono arrampicarsi sui muri, correre a testa in giù sul soffitto e perfino rimanervi aggrappati con una zampa sola. Nei polpastrelli hanno, infatti, un insieme di peli speciali (spatole) suddivisi in modo gerarchico fino a dimensioni nanome triche: riescono ad aderire alla superficie attraverso le forze di Van der Waals, che attraggono le molecole le une alle altre. La nanotecnologia fin da subito si è interessata a questa particolarità propria dei gechi, cercando di sviluppare adesivi universali in grado di attaccarsi e staccarsi, quanlunque sia il tipo di superficie, e il geco-robot capace di arrampicarsi su tutte le superfici, anche quelle verticali più lisce.

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MEDICINA E NANOTECNOLOGIA, LA SFIDA DEL PROGRESSO. Secondo la European Science Forum la nanomedicina è “una disciplina che si occupa della diagnosi, del trattamento e della prevenzione di malattie e traumi, utilizzando strumenti molecolari e conoscenze molecolari dell’organismo.” La nanomedicina, in realtà, non è una frontiera così distante da noi. Sono molte, infatti, le terapie basate su nano utilizzate in oncologia - sebbene in gran parte ancora in sperimentazione - , in ortopedia e odontoiatria, dove vengono create protesi più resi stenti e maggiormente biocompatibili. Anche alcuni farmaci in commercio sono stati sviluppati con il contributo delle nanotecnologie, che consentono il rilascio mirato e controllato del far maco stesso e certamente non mancano applicazioni anche ai vaccini antinfluenzali costruiti con nanoparticelle della forma di batteri patogeni, molto più efficienti dei tradizionali. La nanomedicina sembra essere anche il punto d’inizio per la medicina rigenerativa e la teranostica (terapia e diagnostica), discipline dedicata a sviluppare procedimenti o prodotti in grado di svolgere diagnosi e interventi terapeutici; il progetto in corso è infatti la creazione di nanorobot, un obiettivo che gli scienziati potrebbero veder realizzato in meno di cinquanta anni. I nanorobot sarebbero automi capaci di muoversi nel nostro organismo alla ricerca di patologie, diagnosticandole e trattandole in loco. Altre indagini sono portate avanti sulle nanoparticelle magnetiche: queste fungono da contrasto nella risonanza magnetica nucleare per migliorare la visualizzazione di possibili anomalie, che attraverso precisi meccanismi possono venir curate con l’aiuto di piccoli interventi esterni. Il punto di forza delle nanoparticelle è proprio nella loro dimensione nano che gli scienziati possono riu scire a controllare. Joseph DeSimone, dell’Università di Chapel Hill, ha messo a punto un particolare processo tecnologico che permette di modellare dimensioni, forma e rigidità delle nanoparticelle, rendendo possibile il loro uso in maniera precisa e puntuale. Alla base di tutto ciò vi è la fantasia e l’entusiasmo della ricerca e il desiderio delle nuove generazioni di cimentarsi con le sfide del progresso.

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Nanotecnologie applicate alle patologie tumorali PRO

CONTRA

Superamento delle barriere biologiche e azione diretta Possibilità di sequestramento delle nano particelle da parall’interno delle cellule tumorali, attraverso lo sviluppo te degli organi del sistema reticoloendoteliale2. di farmaci costituiti da un antitumorale “convenzionale” combinato con una comune proteina dell’organismo, l’albumina. Questa proteina “scherma” l’antitumorale, aumentan done la solubilità e il tempo di circolazione nell’organismo, in modo che siano maggiori le probabilità che raggiunga le cellule tumorali. Aumento dell’efficacia farmacologica attraverso il rilascio Possibili effetti tossici, neurotossici ed infiammatori delle mirato e controllato di principio attivo nelle zone interes- nanoparticelle rispetto alle altre particelle di dimensioni sate. micrometriche Possibilità di una diagnosi precoce del tumore attraverso Possibile deposito delle nanoparticelle nei polmoni e in altri organi con conseguente effetto infiammatorio in loco. il legame di marker1alle nano particelle. Miglioramento della protezione del farmaco attraverso Eventuale rischio di mutamenti delle caratteristiche di un materiale nel passaggio dalle dimensioni micrometriche a l’incapsulamento grazie allo sviluppo di nanofarmaci in cui il principio attivo viene in- quelle nanometriche serito in una specie di capsula costituita da polimeri biodegradabili, che rendono il farmaco solubile e invisibile al sistema immunitario. Impiego di nanofarmaci, sempre costituiti da polimeri ,a cui si possono anche agganciare molecole in grado di riconoscere in modo specifico altre presenti solo sulla superficie delle cellule tumorali Rilascio localizzato di più principi attivi Diminuzione degli effetti collaterali Indica una molecola, generalmente proteica, che identifica la presenza di un determinato tessuto.

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Anche noto come sistema fagocitario mononucleare, fa parte del sistema immunitario ed ha il compito di eliminare sostanza estranee dall’organismo, che potrebbero essere dannose.

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Domande & Risposte I pericoli nascosti della natura Qual è la pianta più velenosa d’Europa? L’ Aconitum lycoctonum L., conosciuta anche con il nome di Aconito o Erba della volpe, è una pianta erbacea con fusto cilindrico, una piccola peluria in alto e fiori gialli, che cresce ai limiti dei boschi; è una delle piante più velenose in Europa. Il succo delle radice era usato dai Galli e dai Germani per avvelenare la punta della frecce; nel Medioevo era usata per eseguire le condanne a morte. I principi attivi letali (diversi alcaloidi) sono presenti in tutta la pianta, ma soprattutto nelle radici; questi agi scono dapprima sul sistema nervoso periferico, eccitandolo, successivamente causano la morte per arresto cardiaco e respiratorio. L’utilizzo oggi è limitato a scopi terapeutici, ad esempio come anestetico, specificamente indicato nelle nevralgie del trigemino e nelle sciatiche; in pratica, però, il suo impiego è sconsigliato, soprattutto in considerazione del fatto che 1-4 mg di questa pianta costituiscono già una dose mortale per l’uomo.

Cosa nasconde l’oleandro dietro l’apparenza dei suoi bei fiori? L’oleandro (Nerium oleander L.) è un arbusto sempreverde coltivato per i suoi fiori vistosamente colorati e profumati di mandorla amara. Tutta la pianta è velenosa: anche il solo contatto con la linfa provoca eritemi e vescicole. La sua tossicità è nota sin dall’anti chità. In India era chiamato kajamaraka, “ l’erba che fa morire il cavallo”. Si narra che alcuni soldati napoleonici morirono per aver usato il legno d’oleandro quale spiedo per arrostire le carni. I principi attivi sono dati principalmente da glucosidi, sostanze resinose e tanniche. Libera principi attivi anche nell’acqua (come il mughetto), quindi bisogna prestare attenzione ai vasi dei fiori recisi! Questi glucosidi, però, possono svolgere anche un’azione terapeutica: come nel caso dei medicamenti per il cuore e per la pressione arteriosa.

Quali erbe erano predilette dalle streghe? Secondo la tradizione e le leggende, le streghe erano solite impiegare alcune erbe nei loro preparati. Fra queste spiccava la Belladonna (Atropa belladonna), una pianta erbacea presente, anche se rara, in tutta Italia. Questa sintetizza alcaloidi (atropina, scopolamina) nelle radici, che poi vengono traslocati in tutte le parti della pianta, soprattutto nei frutti e nei semi. L’intossicazione è caratterizzata da allucinazioni e disordini psicomotori. E’ stato ipotizzato, pertanto, che il “sabba delle streghe” fosse l’effetto di un uso rituale di belladonna. Il nome della pianta allude all’uso, comune nel Rinascimento, di dilatare le pupille e rendere più attraente lo sguardo delle dame. Prima dell’avvento degli anestetici di sintesi, inoltre, veniva usata come anestetico chirurgico. Oggi l’atropina è usata in oculistica per dilatare le pupille.

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Esiste in natura una pianta dall’odore di topo? Ebbene sì, vi è una pianta erbacea, il Conium maculatum L., anche chiamata cicuta maggiore, con un odore nauseabondo di topo. Si incontra in luoghi ombrosi e incolti. Tutta la pianta è molto velenosa, specialmente le foglie giovani e i frutti immaturi per la presenza della cicutina che paralizza i tessuti neuromuscolari e il vago. L’avvelenamento provoca salivazione, lacrimazione, sete intensa, nausea, vomito, diarrea, disturbi della vista, paralisi dei muscoli volontari e del diaframma, morte per arresto della respirazione. Sono sufficienti sei, otto foglie fresche per causare la morte di un adulto. La velenosità della pianta era già conosciuta dai Greci, che la sommi nistravano ai condannati alla pena capitale (basti pensare a Socrate). In dosi terapeutiche viene usata come sedativo ed antinevralgico, negli spasmi delle vie respiratorie, nella pertosse e nell’asma. L’erba di San Giovanni scaccia veramente i diavoli? L’erba di San Giovanni (Hypericum perforatum) è una pianta erbacea perenne; le foglie e gli steli contengono piccole ghiandole che producono resina e un olio essenziale dall’odore balsamico. I fiori hanno color giallo carico; sono dotati di 5 petali delicati, ricoperti di puntini neri , che se vengono sfregati, tingono di colore rosso le dita. Tutta la pianta è tossica a causa del contenuto di ipericina, un pigmento rosso fluorescente responsabile della fotosensibilizzazione primaria (reagisce alla luce solare provocando gravi ustioni e lesioni alla pelle esposta al sole). I primi cristiani denominarono l’iperico “Erba di San Giovanni”, in onore di Giovanni Battista, ritenendo che la pianta secernesse l’olio sanguigno il 29 agosto, giorno di anniversario della decapitazione del Santo. Il termine “Hypericum” significa “sopra l’immagine”, poiché nell’antichità vi era l’usanza di appenderlo sopra l’immagine sacra, allo scopo di allontanare i demoni. L’iperico è soprattutto un antidepressivo-tranquillante; pertanto è valido nelle forme ansiose depressive, nei casi di malumore, malinconia, insonnia, agitazione nervosa. L’azione antidepressiva è dovuta, anche in questo

caso, all’ipericina (per questo va evitato di esporsi al sole per periodi pro lungati durante l’assunzione dell’iperico). L’Iperico è anche un ottimo antivirale, rafforza le difese immunitarie, è antidolorifico e antispasmodico, allevia le nevralgie croniche ed è efficace nella diarrea, nella gastrite, nei dolori muscolari da sforzo. I suoi fiori hanno proprietà diuretiche,vermifughe, aromatiche, stimolanti e digestive. Usi popolari: le sommità fiorite, colte nel solstizio d’estate, sono impiegate per produrre l’olio di iperico. I fiori sono posti a macerare nell’olio, al sole, per tutto il ciclo lunare: l’olio che si ricava è di colorazione rosso scuro intenso e viene impiegato per massaggi e frizioni nelle zone colpite da dolori articolari; inoltre, possiede proprietà lenitive, emollienti e restitutive, e risulta molto efficace nella cura delle ottimo pelli secche, screpolate e nelle scottature. Attualmente l’efficacia dell’iperico viene studiata per la terapia di varie forme di cancro, dell’enuresi notturna nei bambini, di alcune malattie della pelle come la psoriasi, dell’artrite reumatoide e del mal di testa da sbornia. La tradizione riferisce che l′iperico veniva colto nella notte di San Giovanni, una notte magica nella quale non solo si riuniscono usualmente le streghe e i diavoli per la

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la loro sabba, ma si traggono gli au spici buoni o cattivi per il futuro. In Italia una disposizione del Mini stero della Salute limita la quantità di ipericina presente in prodotti erbo ristici a 21 microgrammi al giorno, quindi molto inferiore ai dosaggi dimostrati utili per la cura della depressione.

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Qual è una delle piante velenose per eccellenza? Il tasso è la pianta velenosa per antonomasia. Tutta la pianta è velenosa, specialmente gli aghi e i semi che contengono un principio amaro (l’alcaloide Taxina) che è tossico per l’uomo e per gli animali. La velenosità del tasso è leggendaria, conosciuta da tempo immemorabile come pianta velenosa e per questo denominata “Albero della morte”. Ne parla già Giulio Cesare nel “De bello gallico” a proposito di un capo celtico che, piuttosto che arrendersi alle legioni romane, preferì suicidarsi con il tasso. Ma ci sono anche degli aspetti positivi: da una corteccia di Taxus brevifolia, tasso della California,alcuni ricercatori estrassero una potente sostanza anticancro, il taxolo, oggi utilizzata per il trattamento del tumore al seno, all’ovaio e al polmone. Poiché questa pianta è piuttosto rara, il principio attivo è oggi prodotto chimicamente. Si può curare un avvelenamento col latte? Nel dubbio di un possibile avvelenamento, non bisogna mai sommi nistrare di propria iniziativa farmaci o sostanze come antidoti. Il latte, ad esempio, che la tradizione popolare consiglia in questo caso, stimola l’assorbimento delle tossine liposolubili, quindi potenzia l’azione di alcuni veleni. Va evitata anche l’induzione del vomito: se la composizione del veleno ingerito non è nota, si rischiano problemi ancora più gravi.

Il bosso è una pianta ornamentale o una minaccia per l’uomo? Il Bosso (Boxsus sempervirens L.) è un arbusto sempreverde, a crescita molto lenta, che può raggiungere i 600 anni di età. Tra le piante spontanee europee è l’unica a possedere un legno che, a causa della sua specifica compattezza, non è in grado di galleggiare sull’acqua. Tra i primi a riconoscerla come pianta depurativa vi fu Santa Ildegarda, la grande mistica benedettina del XII secolo, che la usava contro il vaiolo. Tutte le parti di questa pianta sono altamente tossiche a causa degli alcaloidi contenuti (la buxina), al punto da causare la morte per asfissia conseguente a una paralisi respiratoria terminale. A dosi terapeutiche, la si utilizza nel trattamento della gotta, nell’insufficienza biliare nei disturbi nervosi e nell’epilessia. Recentemente si è scoperto che la buxina è in grado di inibire lo sviluppo di colture di cellule tumorali umane. ATTENZIONE: le applicazioni terapeutiche e gli usi delle piante esposti sono da intendere come semplici spunti informativi. E’ del tutto evidente che non esistono in natura piante utili o piante dannose, ma è l’uso più o meno corretto che ne viene fatto da parte dell’uomo che determina il grado di pericolosità o di utilità di una pianta.

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Realizzato dal Liceo Scientifico G. Galilei di Macerata Docenti Supervisori: -Prof.ssa Annalisa Campanaro (Coordinatrice) -Prof.ssa Sabina Ascenzi (Fisica e Matematica, 4°G) -Prof.ssa Maria Lavinia Perrotta (Scienze, 4°F)

Impaginazione e design: -Davide Carducci (4°G) -Aurelio Pacetti (4°G) Consulenza grafica: -Ivan Rigolli (4°G)

La classe 4°G

La classe 4°F Maggio 2015

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